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AVATAR - LA VIA DELL'ACQUA

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La Pandora Dei Nostri Giorni

Di caterina borello E monica contini

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Dopo tredici anni dal primo film di Avatar, finalmente è uscito l’attesissimo sequel. Solo il primo fine settimana di programmazione nelle sale è stato da record in tutto il mondo: 134 milioni incassati negli Stati Uniti e oltre un miliardo ad oggi. Avatar 2 – La via dell’acqua non poteva che essere un successo globale almeno quanto il suo predecessore, il film più visto nella storia. Il regista, James Cameron, è riuscito a mantenere alte le aspettative e ha optato stavolta per un paesaggio diverso, cambiando lo sfondo delle avventure della famiglia Sully, con uno spostamento dell’azione dalle foreste di Pandora agli oceani del pianeta, presso la famiglia dei Metkayina.

Alla fine del primo film –quasi – tutto era finito per il meglio. Ora, Jake deve proteggere la tribù Na’vi, Neytiri e i loro tre figli, prendendo delle scelte che lo porteranno a cercare rifugio presso un villaggio affacciato sull’oceano. Qui la famiglia Sully dovrà ricominciare daccapo e imparare a trovare il contatto con la natura del luogo. Fantastiche scene subacquee, accompagnate da effetti speciali straordinari, trasmettono le emozioni con un brivido. In un certo senso si può affermare che la natura sia un personaggio principale della pellicola, come lo era stata del precedente.

Appena usciti dalla sala si ha la sensazione che questo film sia come la via dell’acqua: senza inizio e senza fine. In effetti il finale è aperto, poiché sono stati confermati altri tre film della saga, dichiarazione che ha allarmato alcuni fan sull’eventuale sviluppo di questo magnifico mondo in base a scelte commerciali.

Un tema su cui Avatar si concentra è la cupidigia dell’uomo che arriva a distruggere il mondo circostante per brama di denaro, non curandosi della natura e dei popoli che la abitano. È lasciato nelle mani dello spettatore un ottimo spunto su cui riflettere: la razza umana è pronta a tutto pur di arricchirsi. Sicuramente un tema molto attuale, un altro elemento di discussione è il disturbo provocato dall’uomo agli abitanti di Pandora, che ricorda l’epoca dell’Imperialismo.

È infatti evidente l’analogia con le potenze europee imperiali e coloniali dei secoli scorsi: i colonizzatori sbarcati sul suolo americano portarono con sé, ad esempio, malattie di cui i popoli nativi erano prive di anticorpi. Queste si diffusero di tribù in tribù, fino a cancellare, secondo molti storici, il 95% delle civiltà precolombiane. Lo shock della conquista devastò l'intero sistema demografico indigeno: a bloccare i sistemi di autodifesa fu, prima di tutto, l'imposizione di un sistema di asservi- mento coloniale, con l’inevitabile risultato che il modo di vivere di quelle terre fu cancellato, insieme alle reti di sostegno del clan e della famiglia.

Ad oggi, sembra comunque che questo panorama non sia migliorato. Solo in Australia vi sono circa cinquecento diversi popoli indigeni, ciascuno con la propria identità culturale. Più della metà di queste tribù risiede nelle città, spesso in condizioni terribili nelle periferie più degradate. Molti lavorano in condizioni disumane in quelle aziende che hanno occupato le loro terre ancestrali e sono pochi quelli che rimangono insediati nelle proprie terre e vivono ancora di caccia e raccolta. Si trovano in condizioni simili anche i popoli indigeni dell’Amazzonia, minacciati dalla crisi climatica e da politiche lesive per la Foresta; la tribù dei Dongria Kondh, in India, vittima di soprusi da parte di multinazionali britanniche; e, ancora, i popoli del bacino del Congo, minacciati dalla deforestazione.

Di fronte a questo contesto, si distingue lampante il messaggio che la saga vuole diffondere: è decisamente ora che l’uomo occidentale si accorga dell’enorme patrimonio appartenente alle culture diverse dalla propria, importantissimo tassello del puzzle che è di fatto la specie umana.

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