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LE LETTERE DI NONNO PIETRO
L’Archivio Storico di Bolzano ha ricevuto una nuova donazione: le lettere originali di Pietro Meloni spedite clandestinamente alla moglie Enrica durante la sua prigionia nel campo di transito di Bolzano. Abbiamo intervistato la nipote Carmen Meloni per scoprire la storia dietro questi preziosi documenti.
Carmen, parlaci delle lettere scritte da tuo nonno Pietro. Da dove arrivano? Non ho mai conosciuto mio nonno, è morto quando suo figlio - mio padre - era un bambino. Mia nonna Enrica non mi ha mai raccontato nulla di lui. Alla sua morte siamo andati con tutta la famiglia a dismettere la casa e a ritirare gli effetti personali. Ho aperto l’armadio e sul fondo, sotto degli stivali neri appartenuti al nonno, ho visto dei pezzetti di carta ingialliti e ammalorati dal tempo. Furtivamente li ho tirati fuori e li ho nascosti, come se avessi trovato un segreto prezioso da custodire. Me le portai a casa e non le feci vedere mai a nessuno. Come mai hai deciso di tenerle nascoste?
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Mi sono interrogata molto sul perché. È come se avessi voluto rispettare la volontà della nonna e mantenere il silenzio. Ora che mi sto approcciando al mondo della Memoria, inizio a capire perché la nonna non avesse mai parlato del nonno e di cosa gli era successo durante la guerra. Alcuni familiari di deportati nei lager nazisti mi hanno spiegato come fosse difficile ricordare le vittime delle deportazioni, tanto era il dolore e l’incredulità. Dopo molti anni, decidi di condividere le lettere del nonno. Cosa è cambiato?
Un giorno, nel febbraio del 2021, mentre leggevo il quotidiano locale di Rho, la mia attenzione è stata catturata dal titolo “Rho ricorda con le pietre d’inciampo 7 deportati civili”. Non ho capito subito di cosa si trattasse, ma sentivo che dentro di me qualcosa si stava sciogliendo. Mi sono alzata di scatto come una molla e sono andata a cercare le lettere del nonno. Erano talmente nascoste bene che non riuscivo a trovarle. Nel momento di concitamento non riuscivo a focalizzare mentalmente dove le avevo messe. Con un po’ di fatica le ho trovate con le mani che tremavano dall’emozione. L’indomani del ritrovamento ho chiamato l’assessora di Rho che insieme all’ANPI si era occupata della realizzazione delle 7 pietre d’inciampo. L’assessora si è subito impegnata per dedicare una pietra anche al nonno Pietro. Perché sono così importanti questi documenti?
Non sapevo nulla di mio nonno e queste carte mi raccontano un pezzetto della sua storia. Come attesta una cartolina postale che riuscì a spedire dal carcere di San Vittore, il nonno era stato arrestato dalla polizia germanica il 22 luglio del 1944 a Milano.
Chiaramente la cartolina doveva passare dalla censura e non poteva scrivere molto, diceva solamente di essere stato arrestato non capendone il motivo e chiedeva alla nonna di portargli alcuni effetti personali: la schiuma da barba, un paio di pantofole, un cambio d’abito. Scoprii in seguito che segretamente era un oppositore politico. Queste lettere ora sono conservate presso l’Archivio Storico di Bolzano. Come mai hai scelto di donarle? Perché le lettere parlano di Bolzano. Il nonno era stato portato al campo di transito di Bolzano, dove riuscì a scrivere alcune lettere clandestine, dunque non censurate. Mi sono informata in merito a questo luogo e ho scoperto il grande lavoro portato avanti dall’Archivio Storico, in particolare dalla
Intervista a Carmen Meloni responsabile Carla Giacomozzi. I documenti conservati nell’Archivio, nello specifico nel fondo Ubaldo Pesapane, mi hanno portato al ritrovamento di altre informazioni relative a mio nonno.
Le storie come queste ci fanno capire quanto sia importante il ruolo di un Archivio Storico, sia a livello collettivo sia personale...
Grazie all’Archivio Storico di Bolzano che conserva un quaderno appartenuto al Maggiore Ubaldo Pesapane, ho potuto ritrovare una lettera che aveva scritto a mia nonna Enrica dove le dava informazioni sul nonno: lo aveva conosciuto nel carcere di San Vittore, aveva continuato il percorso con lui fino al lager di Bolzano e insieme sono stati deportati al campo di concentramento di Flossenbürg in Germania. Il Maggiore Pesapane scrive che il nonno era stato mandato a lavorare nel sottocampo di Hersbruck da dove era tornato moribondo in condizioni ormai disperate. I compagni di baracca avevano tentato di aiutarlo rubando qualche medicinale dall’infermeria o un pezzo di pane per cercare di alimentarlo. Morì intorno al Natale del ‘44. Venne poi portato al forno crematorio. Dopo la ri-scoperta delle lettere di nonno Pietro sei entrata a far parte del direttivo ANPI di Rho. Com’è cambiato il tuo rapporto con la Memoria?
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Mi sento in dovere, soprattutto per il nonno e per tutti coloro che hanno perso la loro vita combattendo per la libertà, di fare memoria delle eportazioni civili nelle scuole. La Memoria è un seme che deve essere sempre coltivato. Ci vuole pazienza, implica impegno epreparazione. La Memoria è qualcosa che ci identifica ancora come uomini. Come uomini del nostro tempo e come uomini dei tempi che verranno. È una costante che non può mancare nella formazione della coscienza di qualsiasi essere umano. Le persone come mio nonno hanno fatto una scelta: da che parte stare.
La Memoria deve essere qualcosa che porta i ragazzi e le generazioni future a formare una coscienza e a poter scegliere.