Il mistero dei libri perduti

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miriam mastrovito

Leggere è magia … In copertina foto © Tony Watson /Arcangel Images

Grafica: zero91 s.r.l.

IL MISTERO DEI LIBRI PERDUTI

Miriam Mastrovito (Gioia del Colle, 1973) è laureata in filosofia. È titolare di un negozio interamente dedicato al fantasy. Da sempre coltiva una forte passione per la scrittura e i mondi fantastici. Ha vinto svariati premi letterari ed è autrice di tre romanzi tra cui Il mendicante di sogni (La penna blu edizioni). Ha collaborato e tuttora collabora con diversi siti letterari e web magazine. Attualmente gestisce il blog letterario StepiTesti.

miriam mastrovito

IL MISTERO DEI LIBRI PERDUTI

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Tea Reali è una giovane scrittrice. Sogna di pubblicare il suo romanzo senza scendere a compromessi con editori spregiudicati e attenti solo a chiedere l’inevitabile obolo anche agli autori più promettenti. Un giorno, Tea ottiene un colloquio presso la sede centrale della Wizard Edizioni. I corridoi di quel vecchio edificio sembrano condurre lungo una casa degli orrori, le statue di pietra scrutano con occhi terrificanti, lo stesso editore ha un aspetto sinistro e modi poco rassicuranti. Tea è sul punto di scappare, quando una figura indistinguibile sbuca dal nulla e le sottrae il manoscritto. La ragazza insegue il ladro nei sotterranei della Wizard e perde conoscenza. Si risveglierà così a Büchenland, un regno parallelo in cui vive una comunità di Troll. Nessuno di loro sa leggere o scrivere e i libri, rubati dal coraggioso Adelindo, sono stati scambiati per mattoni. Ora il varco che collega i due mondi rischia di chiudersi definitivamente proprio a causa di una presenza umana. Solo liberare la regina Wakandha dal nefasto Morten potrebbe rompere tutti gli strani incantesimi di quel regno. Nel meraviglioso universo di Büchenland, Miriam Mastrovito riconsegna ai libri un’aura magica e necessaria. Tea e Adelindo ci allontanano eroicamente dalla monotonia, avvicinandoci ai nostri sogni dimenticati in un cassetto.


Il mistero dei libri perduti Copyright © 2011 by Miriam Mastrovito TUTTI I DIRITTI RISERVATI

© 2011 zero91 s.r.l., Milano Prima edizione: novembre 2011 Copertina © Tony Watson /Arcangel Images ISBN 978–88–95381–38–1 La riproduzione di parti di questo testo, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma senza autorizzazione scritta è severamente vietata, fatta eccezione per brevi citazioni in articoli o saggi. Questo libro è opera di fantasia. Personaggi, fatti e luoghi citati sono inventati dall’autore o sono utilizzati a scopo narrativo. Ogni riferimento a fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è puramente casuale.

Stampato in Italia nel mese di novembre 2011 presso GECA S.p.A. – Cesano Boscone (MI) www.gecaonline.it

Questo libro è stampato su carta FSC amica delle foreste. Il logo FSC identifica prodotti che contengono carta proveniente da foreste gestite secondo i rigorosi standard ambientali, economici e sociali definiti dal Forest Stewardship Council.

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MIRIAM MASTROVITO

IL MISTERO DEI LIBRI PERDUTI

romanzo

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Leggere è magia…



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Era il 25 febbraio. Una giornata gelida ma tersa, di quelle che invitano a fare più di un pensiero sull’imminente arrivo della primavera. Il sole al tramonto contribuiva a diffondere un’atmosfera calma. Il cuore di Tea, invece, era in completo subbuglio. Accelerò il passo scorrendo i numeri civici e quando finalmente si arrestò il suo viso si atteggiò in una smorfia. Un edificio pencolante dalle pareti scrostate e dalle persiane sbilenche. Non era esattamente così che aveva immaginato la sede della Wizard Edizioni. Eppure, la targhetta affissa sull’uscio non lasciava adito a dubbi. Il drago rosso accoccolato sulle pagine di un libro aperto era lo stesso che figurava sul logo del sito web e, d’altra parte, le lettere color oro in rilievo che gli svolazzavano attorno ne davano conferma. Anche l’indirizzo coincideva: via delle Dune 696. Non che si aspettasse un ufficio ultramoderno al quindicesimo piano di un grattacielo, ma neanche “la casetta di marzapane”. Si ravviò le ciocche ribelli, esalò due lunghi respiri per stemperare la tensione e si avvicinò all’ingresso ancora di 7


qualche passo. A ben guardare, le sorprese non erano finite. Non un campanello, non un batacchio sulla porta. “Che scherzo è?” si chiese reprimendo un’ondata di sgomento. D’improvviso ebbe la sensazione che il suo sogno fosse destinato a sgonfiarsi come una torta riuscita male. Forse ad attenderla oltre quell’uscio c’era l’ennesima delusione. Probabilmente, dietro le belle promesse, si celava ancora una volta un ciarlatano, un tipografo travestito da editore, un venditore di sogni a caro prezzo. Ne aveva conosciuti Tea di personaggi del genere, tanto da convincersi che il mondo editoriale somigliasse a una giungla. Ciononostante non si era arresa. Aveva impiegato due anni per scrivere il suo ultimo romanzo e, a lavoro finito, si era sentita abbastanza soddisfatta. Le sembrava di aver compiuto notevoli progressi rispetto alle opere precedenti e non escludeva che un editore serio potesse apprezzarlo. Aveva stampato, fotocopiato, spedito. Atteso con pazienza e stoicamente ingoiato il boccone amaro dei primi insuccessi. «Non rientra nella nostra linea editoriale» oppure, «non ci ha convinto fino in fondo.» Erano tutte lapidarie e simili le lettere di rifiuto. Certo, non si poteva dire che brillassero per fantasia. Qualcuno si era mostrato più magnanimo. Si era sperticato in lodi insistendo sulla necessità di divulgare il suo capolavoro, salvo poi presentarle un conto di qualche migliaio di euro. Purtroppo ci era già cascata in passato. Non avrebbe ripetuto lo stesso errore. Quando aveva ricevuto l’esito della valutazione dalla Wizard, Tea si aspettava il solito ritornello. Invece, si era ritrovata per le mani una lettera traboccante di lusinghe al termine della quale l’editore esprimeva interesse per il suo manoscritto e la convocava in ufficio per un colloquio. Nessun accenno a contributi per la pubblicazione. 8


Le era parso un sogno, un meraviglioso sogno che si realizzava. La neonata casa editrice aveva sede nella stessa città in cui si era trasferita da poco per ragioni di lavoro. Recarsi all’appuntamento sarebbe stato facile. Così Tea aveva accolto l’invito con entusiasmo e contato con impazienza le ore che la separavano da quell’incontro. Adesso, però, non si sentiva più tanto sicura. Il terribile sospetto che qualcuno volesse prendersi gioco di lei aveva cominciato a farsi strada nella sua testa al pari delle crepe che percorrevano i muri della bizzarra costruzione. “Come si fa per entrare qui?” si domandò aggrottando le sopracciglia. Per tutta risposta, una folata di vento, assolutamente improvvisa, le sparpagliò i ricci corvini sulla fronte, come a farle dispetto, poi si abbatté sulla porta e, con un colpo secco, la spalancò. Tea recepì il gemito che produsse cigolando sui suoi cardini come un segnale sinistro. “Sarà meglio che me ne vada” si disse, quasi cedendo all’impulso di scappare, ma qualcosa la trattenne e la riportò sui suoi passi. Era curiosa, testarda e, soprattutto, determinata a pubblicare. Non si sarebbe mai perdonata se avesse gettato alle ortiche quella possibilità per una sciocca paura, probabilmente infondata. «Coincidenze» bisbigliò per farsi coraggio. Si ravviò i capelli una seconda volta e, finalmente, entrò.

Si ritrovò in un atrio completamente avvolto nella penombra, molto più vasto di quanto si sarebbe potuto immaginare dall’esterno. Dalla volta altissima pendevano enormi ragnatele in guisa di macabri drappeggi. L’aria era pregna di odore 9


di muffa e stantio. Una scalinata dall’aspetto pericolante si inerpicava verso il piano superiore. Lateralmente, a brevissima distanza, una seconda scalinata si inabissava nelle viscere del pavimento rivestito di tavolacce traballanti e fradicie. “Sarà meglio che me ne vada” tornò a ripetersi Tea, ma le gambe ignorarono il consiglio e la sospinsero in direzione delle scale. Nonostante avesse un fisico esile, i gradini scricchiolavano paurosamente sotto il suo peso. L’ampia volta amplificava quel rumore trasformandolo in un cupo avvertimento che le accelerava il battito cardiaco a ogni passo. «C’è nessuno?» chiese a metà percorso sperando che una benevola figura umana si materializzasse ponendo fine alle sue ansie. Nessuna risposta. Seguitò a salire con il cuore in gola. Sospirò di sollievo quando conquistò il pianerottolo. La scala aveva retto, dopotutto! «C’è nessuno?» reiterò più fiduciosa di prima. Fu colta da imbarazzo quando si rese conto di aver gridato, visto che qualcuno c’era ed era a brevissima distanza. Un uomo segaligno dalla folta capigliatura raccolta in una coda di cavallo e una barbetta caprina le stava proprio di fronte e sogghignava. Difficile stabilire se la stesse guardando, poiché aveva gli occhi schermati da due spessissime lenti scure. Era vestito completamente di nero e, sul suo petto, riluceva un medaglione con l’effige di un drago rosso, lo stesso del logo. «Tea Reali» si presentò la scrittrice tendendo una mano. «Ho appuntamento con il signor…Wizard?» azzardò dopo un attimo di esitazione. Non era certa che il nome della casa editrice coincidesse con quello del titolare. Al suo solito era stata impulsiva e temeva di aver già commesso una gaffe. 10


«La stavo aspettando» rispose l’uomo laconico e, senza perdersi in ulteriori convenevoli, si incamminò. «Venga» la sua voce gracchiante riecheggiò nel lungo corridoio. Lei lo seguì in silenzio. Gli occhiali scuri e il modo in cui aveva ignorato la sua mano tesa le suggerirono l’idea che fosse cieco. Questo sospetto fu però subito fugato dall’agilità con cui il signor Wizard imboccò l’ingresso del suo ufficio, guadagnò la scrivania e recuperò il manoscritto di Tea da una pila cartacea di dimensioni ciclopiche. «Si accomodi» disse sedendosi a sua volta su uno scranno rivestito di velluto scarlatto. La stanza era piccola, arredata con mobili in stile barocco che parevano riesumati dal retrobottega di un rigattiere. Il pavimento interamente ricoperto di tappeti persiani consunti e polverosi, le pareti tappezzate di quadri raffiguranti creature mitologiche e gargoyle. Non una finestra. «Tea…» esordì Wizard. «Tea come la rosa.» La donna ricambiò il suo ghigno vampiresco con un sorriso stentato. Commentavano tutti così il suo nome e lei non aveva mai apprezzato tanta carenza di originalità. «Dunque, vorrebbe pubblicare» seguitò l’editore accendendosi una pipa. Un odore dolciastro di incenso salì a mescolarsi con il puzzo di chiuso. «Mi piacerebbe» ammise lei sforzandosi di tenere a bada un capogiro. Quel fumo le provocava una sgradevole sensazione di stordimento. A ogni boccata l’ambiente si ammantava di una leggera foschia che rendeva tremule le immagini sui muri. Adesso i gargoyle sembravano respirare. «Ho letto con attenzione il suo manoscritto. Interessante. Certo, andrebbe limato in più punti, ma nulla che non si possa fare. D’altra parte è ancora giovane…» «Ho ventisette anni» precisò Tea. «Scrivere è la mia passione da sempre. Questo è il mio terzo romanzo anche se i primi non hanno ottenuto un grande successo. Immagino che 11


possa avere dei difetti e sarei pronta a lavorare con impegno per perfezionarlo, se lei volesse concedermene l’opportunità.» Lottò per mettere in fila delle parole sensate giacché il fumo le offuscava la mente. In quella stanza si sentiva terribilmente a disagio. I gargoyle parevano scrutarla con espressione maligna dalle pareti ammuffite e il signor Wizard non la faceva sentire meglio. Aveva un piglio sinistro, un tono sgradevole e ipnotico al contempo e poi… le mani! Aveva mani ossute spropositatamente grandi rispetto al resto del corpo. Le dita dal colore violaceo terminavano in unghie insolitamente lunghe per un uomo. La giovane non poteva fare a meno di osservarle con disgusto mentre accarezzavano distratte il suo manoscritto. Si sentì violata, come se quel tocco la riguardasse in prima persona. «Cosa ne direbbe di una tiratura di un migliaio di copie per cominciare?» Per una frazione infinitesimale di secondo le pupille di Tea si dilatarono, irradiate di stupore ed entusiasmo. L’attimo dopo, un campanello di allarme risuonò nelle retrovie del cervello. Troppo facile. Il signor Wizard aveva sventagliato quella proposta da favola in maniera precipitosa e superficiale, glissando perfino sul contenuto del romanzo. “Non ti fidare!” si ribellò la sua parte razionale. “Incalzalo con le giuste domande.” Ormai era ben informata sulle insidie dell’editoria a pagamento, sulle facili promesse e sui tranelli in cui un emergente poteva cadere. Peccato che un senso di confusione la stesse aggredendo complicando la situazione. Gli occhi le bruciavano e i contorni del suo interlocutore le apparivano sempre più sfocati. Tutti quei gargoyle che la puntavano ostentando espressioni compiaciute nel coglierla in difficoltà, quell’aria satura di cattivo odore… se almeno ci fosse stata una finestra! 12


«Quali sarebbero le sue condizioni?» balbettò infine. «Quanta fretta!» sbottò Wizard ridacchiando. «Avremo tutto il tempo per discuterne. Per ora, mi piacerebbe sentire se la proposta l’alletta. Pensi, mille copie del suo libro rilegate ad arte, il suo nome in rilievo sulla copertina patinata… non è questo ciò che desidera?» «Il fatto è che non posso permettermi alcuna spesa» riuscì a rispondere riguadagnando una certa presenza di spirito. «Sono un’insegnante ma finora ho rimediato solo brevi supplenze e fatico ad arrivare a fine mese… attualmente sto sostituendo una professoressa in maternità… entro fine anno sarò di nuovo disoccupata…» Si bloccò all’improvviso rendendosi conto di stare fornendo troppe informazioni a quello sconosciuto. Probabilmente desiderava tergiversare e lei stava facendo il suo gioco. «In ogni caso la sostanza non cambia» tagliò corto. «Non ho soldi, perciò avrei bisogno di capire se la sua offerta ha un prezzo, per evitare di farmi illusioni e farle sprecare tempo.» «Tea» la blandì l’editore lisciandosi la barba «Tea come la rosa, tutto ha un prezzo a questo mondo, ma esistono molteplici alternative al denaro…» Un bagliore appena percettibile guizzò dalle lenti agli occhi del drago. La donna avvertì un brivido lungo la schiena. Si aggrappò ai braccioli della sedia mentre il suo disgusto cresceva e la diffidenza si tramutava in paura. Quel tipo aveva qualcosa di losco che non le piaceva per niente. «Provi a spiegarsi meglio» farfugliò, sebbene non fosse più sicura di volere altre spiegazioni. Il suo desiderio più impellente, in quel momento, era di andare via, di correre fuori a respirare aria fresca. L’uomo si alzò e rapidamente si portò dalla parte opposta del tavolo. Con fare distratto lisciò i ricci di Tea mentre un gargoyle annuiva con espressione lasciva, le scostò una 13


ciocca chinandosi, quindi le sussurrò in un orecchio: «A cosa potrebbe rinunciare pur di vedere realizzato il suo sogno?» Un improvviso fragore, proveniente dal piano inferiore dell’edificio, soffocò il quesito. Il signor Wizard balzò sulla soglia con uno scatto felino. «Aspetti qui!» ordinò malcelando la sua preoccupazione, e si precipitò per le scale. “Ora o mai più” si disse Tea benedicendo quell’interruzione, e senza pensarci due volte si lanciò sulla scrivania. Mentre allungava una mano per afferrare il fascicolo rilegato le parve di udire un coro di voci. «Sei sicura che sia la scelta giusta?» Istintivamente volse gli occhi in su e, questa volta, l’impressione che i mostri di pietra fossero vivi si tramutò in certezza. Li vide sporgersi dalla parete quasi volessero precederla o bloccarla. Distolse lo sguardo appena in tempo per non lasciarsi paralizzare dal terrore, con un gesto maldestro recuperò il manoscritto e si fiondò fuori dalla stanza. Ispezionò con rapide occhiate il pianerottolo e, accertatasi che non vi fosse nessuno, si lanciò giù per la scalinata. Questa volta non ebbe il tempo di interrogarsi sulla sua stabilità, né di pregare che reggesse. I suoi pensieri erano tutti concentrati sull’uscita. Aveva appena sceso l’ultimo gradino sentendosi già fuori dall’incubo, quando un’ombra sfrecciò nell’oscurità. Tea non ebbe modo di identificarla. Riuscì appena ad accorgersi che qualcuno le aveva sottratto il manoscritto sgattaiolando nel sotterraneo. «Ehi!» gridò indispettita. Ovviamente quella non era la sua unica copia. Ne aveva un’altra a casa e aveva il file salvato nel computer. In teoria avrebbe potuto anche lasciarla sulla scrivania di Wizard senza subire alcuna perdita. Ma lei era incredibilmente gelosa delle sue opere, le considerava sue creature e l’idea di lasciarle in balìa di estranei le era 14


intollerabile. Per questo l’aveva presa con sé nel tentativo di fuga e, adesso, non aveva alcuna intenzione di lasciare il furto impunito. Chi mai poteva essere il ladro? Perché aveva preso il suo romanzo e a quale scopo? All’istante, paura e fretta scivolarono sullo sfondo. Wizard e le sue possibili cattive intenzioni si trasformarono in un ricordo lontano. A prevalere su tutto fu il desiderio di smascherare il ladro, chiunque egli fosse. La curiosità uccise il gatto. Quante volte lo aveva ribadito ai suoi studenti, altrettante volte lo aveva ricordato a se stessa certa che, prima o poi, quella sua debolezza l’avrebbe cacciata in qualche pasticcio, ma il monito non aveva mai sortito effetto. Tea era fatta così. Ignorò la porticina che dava sull’esterno e si lanciò all’inseguimento.

Si ritrovò in un locale vastissimo, ancor più umido e fatiscente degli altri. Deboli raggi di luce filtravano da un paio di lucernari incrostati rischiarando appena l’oscurità. File di scaffali zeppi di libri attraversavano la stanza ripartendola in molteplici corridoi. C’erano libri anche sul pavimento, ammonticchiati in disordine o perfettamente impilati. “Il magazzino della casa editrice” pensò Tea, benché dubitasse fortemente che tutti quei volumi fossero editi dalla Wizard. Non le sarebbe dispiaciuto curiosare, ma non ne aveva il tempo. Prima di ogni altra cosa doveva scovare il ladro che, al momento, sembrava essersi dileguato. Si avventurò tra gli scaffali tendendo bene le orecchie e badando a non fare rumore. Percorse un paio di corridoi 15


senza scorgere anima viva ma, appena ebbe imboccato il terzo, poté individuare una sagoma bizzarra in lontananza. Dalla statura bassissima si poteva presumere che fosse un nano o un bambino. Era intento a raccattare libri e a infilarli in un sacco visibilmente troppo piccolo per contenerli tutti. La curiosità di Tea crebbe a dismisura. Avanzò con cautela in modo da passare inosservata, infine si nascose dietro una pila di volumi e tornò a sbirciare. Dovette mordersi la lingua per restare in silenzio. Ciò che vide le fece strabuzzare gli occhi! Colui che le aveva rubato il manoscritto non sembrava un essere umano. Era alto un metro o forse meno, aveva una pelle rugosa e marrone del tutto simile alla corteccia di un albero. Sul suo viso spiccavano due tondi occhi sporgenti e un naso spropositatamente lungo. I capelli folti e scuri sembravano un cespuglio incolto e aveva uno strappo sul retro dei calzoni da cui sporgeva un codino, tanto corto quanto peloso. Le braccia, sproporzionate rispetto al resto del corpo, pendevano fin quasi sotto le ginocchia. “Che cos’è?” si chiese la scrittrice sbigottita, poi la sua attenzione scivolò sul sacco. Il suo manoscritto doveva essere finito lì dentro. Ma che cosa ci faceva quello scherzo della natura con tanti libri? E come facevano a entrare in una sacca così piccola? Probabilmente, prima ancora di porsi simili quesiti, Tea avrebbe dovuto chiedersi se fosse possibile che un essere del genere esistesse davvero, ma lo spettacolo che si palesava ai suoi occhi non lasciava adito a dubbi. Se ne restò immobile per qualche minuto seguitando a spiare il ladro in azione, mentre un senso di crescente inquietudine cominciava a pervaderla. Benché quella creatura non avesse un’aria minacciosa, Tea non poteva stabilire se fosse realmente innocua. Sicuramente non sarebbe stato prudente uscire allo scoperto, tanto più con il signor Wizard in giro. Per quel che ne sapeva, era sceso 16


anche lui e, presumibilmente, era nei paraggi. Dubitava che sarebbe stato contento di sorprenderla a curiosare lì. Per un attimo l’immagine delle sue dita ossute tornò ad affiorare facendole accapponare la pelle. “Sarà meglio che trovi un modo per andarmene di qui e dimenticare questa brutta faccenda” si disse, ma fu questione di un attimo. Poco prima di mettere in atto il suo proposito, si accorse che il mostriciattolo si era momentaneamente allontanato lasciando incustodito il sacco. “Solo una sbirciatina” si ripromise abbandonando il nascondiglio “una sbirciatina e poi giuro che vado via.” Tea si avvicinò con circospezione. Dapprima provò a sollevarlo senza alcun esito – era talmente pesante che ci sarebbe voluta una gru – successivamente lo aprì per guardarvi dentro. Non ebbe il tempo di accostare il viso all’imboccatura che un rumore di passi improvviso la colse alle spalle. Sussultò, avvertì un terribile capogiro, poi la vaga sensazione di precipitare nel vuoto. Un pozzo senza fondo privo di luci e colori in cui percepiva soltanto la presenza di libri. Centinaia, forse migliaia di libri!

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La Porta si richiuse con un insolito clangore. «Giornata rumorosa» commentò Adelindo. Risollevò il sacco come fosse stato un cuscino imbottito di piume, lo caricò sul suo carretto e vi montò a sua volta. «Va’ bello!» ordinò spronando un bue. L’animale si avviò con indolenza. Il villaggio era ancora addormentato ma le strade apparivano già rischiarate dalle luci artificiali delle lanterne. Dalla locanda di Ronja si diffondeva un invitante profumo di crostata di mirtilli. La pancia del troll emise un gorgóglio all’irresistibile richiamo. “Più tardi vengo a prenderne una bella fetta” si ripromise procedendo verso la sua meta. «Buona Luna a te!» Qualcuno lo salutò interrompendo i suoi pensieri. «Marvin!» esclamò lui riconoscendo la voce dell’amico. Questa volta tirò le briglie deciso a concedersi una breve sosta. «Ancora al lavoro?» domandò volgendo gli occhi in su. «Questa è l’ultima» rispose Marvin dall’alto di una scala. «Un attimo e sono da te.» 19


Con un rapido gesto aprì il sacchetto che portava appeso al collo, ne estrasse un pizzico di polverina gialla e la cosparse sulla lanterna facendola illuminare all’istante. Con altrettanta rapidità scese a terra. «Ho grandi novità» annunciò Adelindo sfoggiando un sorrisetto malizioso. «Però, adesso ho fretta. Ho un sacco da scaricare al cantiere.» «Quand’è così ti accompagno.» Marvin balzò sul carretto senza attendere l’invito. «Allora, non tenermi sulle spine.» «Ecco…» esordì l’altro riprendendo la marcia, «oggi ci sono andato molto vicino. Per poco non ti ho rimediato qualche capello di essere umano.» «Cosa?!» esplose Marvin incredulo. «Non dirmi che sei uscito dal magazzino. E se c’era il Sole? Se ti prendevano?» Mentre parlava gesticolava freneticamente palesando una certa apprensione. «Non è successo» lo tranquillizzò Adelindo, «ma adesso, vuoi sapere com’è andata?» «Puoi scommetterci!» Il troll si schiarì la voce e assunse un’aria solenne. «Stavo caricando i libri quando ho sentito delle voci venire dai piani alti. Non mi era mai capitato prima, infatti pensavo che l’edificio fosse abbandonato. Invece, oggi c’era qualcuno. Ho pensato subito a te, alla tua pozione e all’ingrediente mancante. Un’occasione imperdibile! Mi sono fatto coraggio e sono salito. Allora è successa una cosa inspiegabile. C’era una porta. Si è spalancata e poi richiusa all’improvviso con un fracasso assordante. Per poco un raggio di luce non mi colpiva mettendo fine ai miei giorni.» A quelle parole Marvin emise un gemito. Adelindo non vi fece caso e seguitò: «Subito dopo ho sentito dei passi per le scale. Mi sono rannicchiato in un angolo per non farmi scoprire e ho visto prima un maschio, poi una femmina. Questa sembrava meno pericolosa e aveva un libro 20


in mano. Ora o mai più, mi sono detto. Con un salto l’ho raggiunta e…» «E?» lo incalzò Marvin, deluso per l’interruzione sul più bello. L’amico scosse il capo facendo ondeggiare la sua folta chioma. «Mannaggia al giorno in cui ho smesso di crescere!» sbuffò. «Non ce l’ho fatta a raggiungere la testa. A mala pena le ho preso il libro, anche se non volevo. Ce ne sono così tanti lì sotto! Mi dispiace.» «Non hai colpa se i troll sono più bassi degli esseri umani» lo rincuorò Marvin posandogli una manona sulla spalla. «Però, hai avuto un gran bel coraggio. Un altro al posto tuo non avrebbe rischiato tanto. Sei un vero amico.» Il naso di Adelindo divenne paonazzo. «Ti prometto che ci riproverò» concluse parcheggiando il carretto. Discorrendo erano arrivati a destinazione.

Il cantiere era deserto. Mancava circa mezz’ora all’arrivo degli operai e Adelindo, puntuale come sempre, era pronto per scaricare il materiale da costruzione. Prese in braccio il sacco e, con un unico gesto, lo ribaltò. Una quantità inimmaginabile di libri cominciò a riversarsi al suolo. Tra un romanzo e una raccolta di poesie, un corpo estraneo rotolò per terra come fosse una gigantesca patata. Tea si rannicchiò per attutire i colpi, infine riuscì a mettersi seduta e lentamente si sforzò di aprire gli occhi. Si sentiva come uno straccio rimasto per ore a girare nella lavatrice, provava un forte senso di vertigine e la luce, se pur fioca, abbagliava le sue pupille abituatesi all’oscurità. «E quello chi sarebbe?!» esplose Marvin saltando giù dal carretto. 21


«Quella» lo corresse Adelindo avvicinandosi all’intrusa. Adesso che era piegata, riusciva a guardarla dritto in viso. Aveva un naso così piccolo per lo standard di un troll, da fargli dubitare che potesse respirare davvero. La pelle era liscia e rosea, i capelli… be’, quelli somigliavano abbastanza ai suoi. Le arrivavano al collo, erano ricci, neri e sufficientemente arruffati. Intanto anche Marvin si era fatto più vicino. Appariva incuriosito e timoroso al tempo stesso. «Non dirmi che…» balbettò. «È l’umana del magazzino» affermò l’amico annuendo vigorosamente. «Per tutte le Lune! Un’umana qui?! Non è possibile!» «Ssshhh!» lo zittì Adelindo notando che la ragazza aveva smesso di stropicciarsi gli occhi. Ora anche lei li stava guardando con aria smarrita. «Cosa mi è successo? Dove mi trovo?» farfugliò. La creatura che aveva visto nel sotterraneo della Wizard sembrava essersi sdoppiata. I mostriciattoli che la scrutavano ora erano due, così simili tra loro da poter essere scambiati. A un primo impatto solo la statura li distingueva, uno era più basso dell’altro di qualche centimetro. «Sei a Büchenland, nel villaggio dei troll» spiegò quello più alto scoprendo i dentoni sporgenti in un sorriso. «Non temere, non vogliamo farti del male.» Rimase come in attesa di un’affermazione altrettanto rassicurante dall’altra parte. «Büchenland» ripeté Tea pensierosa. La sua attenzione si spostò dai troll all’area circostante. Da quel che poté intuire, si trovava di nuovo in un luogo sotterraneo. Una specie di caverna vastissima dalle pareti in roccia, rischiarata dalla luce di lanterne che sembravano fatte di cartapesta. Ovunque erano sparse montagnole di libri. In alcuni punti il suolo era scavato, in altri si ergevano muri fabbricati con volumi tutti delle stesse dimensioni. Qua e là si potevano scorgere 22


degli attrezzi rudimentali, all’apparenza anch’essi dello stesso materiale. Quel posto somigliava in tutto e per tutto a un cantiere in cui i libri venivano impiegati al posto dei mattoni. Una miriade di domande si affollò nella mente confusa di Tea ma, per cominciare, ne formulò solo una, la più urgente. «Mi avete rapita?» «Oh no, no» chiarì con veemenza Adelindo. «Non so proprio come sei finita qui. Anzi, a dirla tutta, non puoi restare. Gli umani non possono entrare nel villaggio dei troll.» Marvin rafforzò il concetto scuotendo ripetutamente il capo. «Se non sbaglio è tuo o del tuo compare il diabolico sacco che mi ha trascinata qui» commentò la donna. «E, sempre se non sbaglio» aggiunse in tono di rimprovero, «sei stato tu a rubarmi il manoscritto e a ficcarlo lì dentro.» «Il mano… che?» il troll diede l’impressione di non aver mai udito quella parola. «Il libro» spiegò l’umana con pazienza. «Ah, sì, certo, scusami.» Lo sguardo di Adelindo si rifugiò tra i piedoni scalzi, mentre la punta del naso gli diventava rosso peperone. «In realtà non volevo, mi è venuto spontaneo» si giustificò. «Se vuoi lo cerchiamo e poi ti riaccompagno a casa.» Marvin, che fino a quel momento aveva assistito in silenzio, gli sferrò una gomitata. «Scusaci un attimo» disse rivolto all’ospite indesiderata e trascinò Adelindo in disparte. «Senti» gli bisbigliò in un orecchio, «giacché ci siamo, potremmo farci prestare un paio di capelli prima di lasciarla andare.» «Va bene» gli concesse l’altro, «ma cerchiamo di fare in fretta. Immagina se arrivano gli operai e la scoprono qui.» Di ritorno dal loro conciliabolo, i troll notarono che la ragazza si era alzata in piedi. Non sembrava più tanto impaurita ed era intenta a curiosare tra la merce scaricata. 23


«Hai trovato quello che ti interessa?» domandò Marvin, mentre pensava al modo più idoneo per formulare la sua richiesta. «Come cercare un ago in un pagliaio» sbuffò Tea. «Lasciamo stare. Sarà meglio che mi riportiate indietro e ci mettiamo una pietra sopra.» In quello stesso istante il suono di una sirena riecheggiò nella caverna. «Gli operai!» esclamò Adelindo allarmato. «Non devono vederla» asserì Marvin. Tea rivolse loro uno sguardo interrogativo. «Presto, sul carretto!» ordinò uno dei due troll afferrando il sacco. «Non vorrai chiudermi di nuovo lì dentro!» «Ma no» la blandì lui «te lo stenderò addosso per nasconderti.» In men che non si dica i tre trottavano lontano dal cantiere.

Tea non osò disubbidire all’ordine ricevuto. Per tutto il tragitto rimase accucciata sotto lo strano sacco che, per l’occasione, pareva essersi dilatato tanto da ricoprirla tutta. Tuttavia non seppe resistere alla tentazione di sbirciare. Che quello fosse un sogno o la realtà, di una cosa era certa: era capitata in un mondo davvero insolito da cui, sicuramente, avrebbe potuto trarre ispirazione per i suoi romanzi. Tanto valeva apprendere il più possibile e farne tesoro prima di andare via. Nei pochi attimi impiegati per montare sul carretto, aveva potuto constatare che anch’esso era fatto di carta. Le rapide occhiate rubate durante il percorso confermarono la sua prima intuizione: lì a Büchenland i libri erano stati scambiati per mattoni. Le strade erano lastricate di copertine. La posizione scomoda e il movimento non consentivano un’osservazione 24


accurata, ma Tea ne ebbe a sufficienza per presagire che una passeggiata a piedi le avrebbe permesso di scorgere decine di titoli familiari. Le costruzioni erano tutte formate da volumi sapientemente impilati e incollati tra loro mentre staccionate e lampioni sembravano ricavati da pagine martoriate e lavorate fino a ottenere un materiale simile alla cartapesta. Lo scenario era suggestivo, si aveva quasi la sensazione di essere in una biblioteca stravagante quanto enorme, sebbene il pensiero che tanti libri potessero essere calpestati e subire un simile scempio fosse intollerabile per lei che li aveva sempre amati e rispettati come fossero creature viventi. Intanto che la scrittrice si godeva il “GIRO TURISTICO”, tra uno scossone e l’altro, i due troll confabulavano sommessamente. «Adesso che si fa?» domandò Marvin. «Filiamo dritti alla Porta e la rimandiamo nel suo mondo» rispose Adelindo in tono perentorio. «Dall’alba dei tempi, troll e umani vivono in dimensioni separate. È una legge di natura e cambiarla è pericoloso. Per quel poco che ne sappiamo, gli uomini sono malvagi. Gli anziani che ricordano ancora qualcosa delle vecchie storie ci hanno insegnato a starne alla larga. Diventano i padroni di tutte le terre in cui arrivano. Hanno armi potentissime, sputano fuoco come bocche di drago e poi… mettono in gabbia le creature diverse da loro e le tengono lì per divertimento. È per questo che gli umani non devono sapere di noi e non devono scoprire come si arriva qui.» «La nostra umana però non ha armi e non sembra pericolosa. Forse gli uomini non sono tutti uguali, ci sono quelli buoni e quelli cattivi.» «Preferisco non essere io a scoprirlo. Meglio spedirla a casa e risistemare tutto come prima.» «Hai ragione» convenne l’altro, «ma non dimenticare che i suoi capelli potrebbero cambiare le sorti del nostro popolo. 25


L’Ultima Luna sta per finire. Tra poco saremo, di nuovo, prigionieri qui sotto per sei lunghi Soli. Se la mia pozione funzionasse, tutto cambierebbe e potremmo vedere la luce, quella vera!» A queste parole gli occhi del troll brillarono intensamente. «Sarebbe fantastico» commentò Adelindo con aria sognante. «Peccato che, a parte me, qui nessuno crede nel potere magico dei tuoi miscugli. In prigione, ecco dove finiremo se ci sorprendono in compagnia di un’umana.» «Ma noi non ci faremo sorprendere.» Il sorriso di Marvin era disarmante. «Dunque» tagliò corto l’amico, «cosa proponi?» La sua espressione conciliante lasciava intendere che non avrebbe opposto resistenza qualsiasi cosa avesse suggerito. «Solo una breve sosta a casa mia» implorò lui. ‹‹Giusto il tempo di fare due chiacchiere con l’umana e convincerla a prestarci qualche capello. Poi la rimanderemo a casa.» «E sia!» si arrese Adelindo invertendo la rotta.

Il carretto si arrestò bruscamente. «Resta nascosta sotto il sacco» suggerì uno dei troll aiutando Tea a scendere «e cerca di camminare con le gambe piegate. La tua statura potrebbe insospettire qualcuno.» Aveva modi gentili ma il suo tono non lasciava spazio a repliche. La donna ubbidì ancora una volta. Si piegò sulle ginocchia e si sforzò di procedere. “Siamo sicuri che non si tratti di un sequestro?” Il dubbio tornò a farsi pressante e le procurò una fitta allo stomaco. Chi mai sarebbe venuto a liberarla lì? E soprattutto chi avrebbe potuto cercarla nell’immediato? Si era trasferita da poco in una città mai visitata prima per non perdere l’opportunità di una supplenza annuale. I genitori la sentivano per telefono una 26


volta al mese, ne sarebbe trascorso di tempo prima che si accorgessero del suo rapimento. Con i colleghi aveva instaurato relazioni basate più sulla cortesia che su un’amicizia sincera. Quanto ai rapporti sentimentali… meglio sorvolare. Di sicuro la sua scomparsa non avrebbe lasciato cuori infranti. Certo, se la terza B dell’istituto “Alessandro Manzoni” fosse rimasta scoperta il giorno dopo, per il dirigente scolastico sarebbe stato un problema. Ecco sì, il preside Rossetti l’avrebbe cercata per richiamarla all’ordine e magari rispedirla al mittente… Persa in simili pensieri Tea si lasciò guidare dai suoi accompagnatori attraverso una porticina fatta di tascabili. Quando, finalmente, ottenne il permesso di tornare in posizione eretta si rese conto di essere in una stanza piccola e a dir poco bizzarra. Pochi centimetri la separavano da un soffitto tappezzato di fogli. Le pareti, il pavimento, i mobili, erano tutti fatti di libri abbinati per dimensioni e colori. Sembrava una versione decisamente originale della casetta dei sette nani. «Accomodati» le disse Marvin indicandole una sedia ricavata con una decina di volumi di una qualche enciclopedia. Tea si irrigidì. «Non dovevate portarmi a casa?» «Lo faremo» promise Adelindo. «Desideriamo solo parlare un po’ con te e… be’… sì, ecco… vogliamo scusarci per averti preso il libro. Magari possiamo farci perdonare offrendotene uno già lavorato. Ti andrebbe un vassoio o una panchetta poggiapiedi?» La scrittrice spalancò gli occhi. «Un vassoio per il mio manoscritto?! Volete prendermi in giro» era evidentemente indignata. «Era così prezioso?» intervenne Marvin con candore. «Tu cosa ci avresti ricavato?» «Non aveva neanche la coperta» gli fece eco Adelindo imbarazzato. «Certo che non aveva la coperta. Era un dattiloscritto inedito!» Dall’espressione dei troll le fu subito chiaro che 27


non avevano compreso le ultime parole. «Un romanzo non ancora pubblicato» rilanciò. Adelindo arricciò il naso sempre più confuso. Tea ricadde sulla sedia sgomenta. Si guardò intorno e d’improvviso quella che inizialmente le era parsa una simpatica abitazione da fiaba assunse un aspetto desolante. La sua attenzione si soffermò sul tavolo e le richiamò alla mente un’immagine che qualche anno addietro aveva fatto il giro del web. Uno scrittore americano, dopo aver pagato un’ingente somma per pubblicare, si era ritrovato la casa ingolfata di volumi invenduti. Non sapendo più che farne li aveva utilizzati per costruire una scrivania e aveva condiviso la foto perché tutti riflettessero sul marcio del sistema editoriale. Si trovava in una situazione simile quando l’aveva scovata in rete, con l’unica differenza che la tiratura del suo romanzo d’esordio contava poco più di cento copie. Il suo reso le sarebbe bastato giusto per una panchetta. Si rabbuiò al ricordo. «Ti abbiamo offesa?» il troll più piccolo incurvò gli angoli della bocca seriamente dispiaciuto. La scrittrice provò un moto di tenerezza. Sorrise. «Non importa» disse. «Consideriamo chiuso questo incidente. Sarà sufficiente che mi riportiate indietro. Avete detto che la mia presenza qui potrebbe rivelarsi sconveniente per tutti.» Ora il suo tono tradiva una certa impazienza. Forse, per la prima volta in vita sua, la ragionevolezza aveva preso il sopravvento sulla curiosità. «Il fatto è che vogliamo chiederti un favore» venne al dunque Adelindo. «Di cosa si tratta?» Marvin guardò il soffitto come alla ricerca della giusta ispirazione. «Se ci presti un paio dei tuoi capelli, ti saremo infinitamente grati.» Tea si sbalordì per la stranissima richiesta, ma al contempo tirò un gran sospiro di sollievo. Accontentare quegli svitati 28


non le sarebbe costato nulla. Per quanto seguitassero a sembrarle inoffensivi, lì non si sentiva al sicuro. Aveva premura di svignarsela prima che gli eventi precipitassero. Sospettava che non sarebbe stato piacevole ritrovarsi tra decine di mostriciattoli scontenti della sua presenza. Quei due sembravano ingenui e benevoli, ma gli altri? Se si fossero opposti all’idea di lasciarla andare così facilmente? Si passò le dita tra i capelli, strattonò appena una ciocca annodata, infine tese la mano verso il suo interlocutore. «Adesso andiamo?» Marvin si illuminò come un’alba di Primo Sole. Venne avanti con un misto di timore e reverenza. Sfilò con la massima delicatezza i pochi capelli rimasti impigliati tra l’indice e il medio di Tea, poi si profuse in un inchino. «Ti saremo debitori per tutte le Lune a venire.» Lei non aggiunse altro. Raccattò il sacco scivolato sul pavimento, vi si avvolse dentro e indirizzò uno sguardo eloquente ai suoi ospiti. «Avete promesso.»

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