camilla morgan-davis
Camilla Morgan-Davis allo scoccare della mezzanotte inizia a scrivere seduta alla scrivania, chiusa in un appartamento ricavato da un vecchio monastero abbandonato. Di giorno si occupa di scienze sociali e letteratura on-line. Il canto delle ombre è il secondo capitolo di una trilogia che vede come protagonista Maila. Il canto della notte (zero91, 2010), il primo libro, è stato acquistato dalla casa editrice belga Baeckens books.
Illustrazione copertina: © Almosh82, 2009 Illustrazione quarta: @ Sivali D’Lirium, 2012 Grafica: zero91 s.r.l.
IL CANTO DELLE OMBRE
IL CANTO DELLE OMBRE
due sono le vie per le ombre dei sogni: una è di corno, l’altr a è d’avorio.
camilla morgan-davis
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Ad Amadriade, Maila, la ragazza con sangue di lupo, affida alla Luna il suo desiderio più intimo. Ritrovare Ren, il suo amore, il suo Othar. Solo una nuova visione, un nuovo sogno, potrebbe indicarle il luogo in cui lui è tenuto prigioniero o dove il suo corpo è stato abbandonato. I sogni di Maila sono però minacciati da alcuni Demoni, i Velatori, che vogliono impadronirsi della sua mente per accedere al regno della Luce e perdere la loro essenza di Ombre. Intanto, i Disincarnati, gli antichi nemici dei licantropi, hanno allestito una cellula segreta a Ochate. In questo paese del nord della Spagna, tengono prigionieri gli uomini lupo cercando l’Arma Celeste, un pericoloso veleno – custodito da secoli in un luogo misterioso – in grado di sterminare ogni lincantropo. Maila sarà chiamata ancora una volta a onorare il suo ruolo di Prescelta. Lascerà Amadriade per mettersi in viaggio verso la città spagnola di Ochate. Affronterà la minaccia dei Velatori e la furia dei Disincarnati che incombe sul destino del suo popolo. Forse la Luna veglierà sul suo amore per Ren.
Camilla Morgan-Davis
il canto delle ombre romanzo
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Il canto delle ombre © Camilla Morgan-Davis, 2012 TUTTI I DIRITTI RISERVATI
© 2012 zero91 s.r.l., Milano Prima edizione: marzo 2012 Illustrazione copertina: © Almosh82, 2009 Illustrazione quarta: @ Sivali D’Lirium, 2012 ISBN 978–88–95381–45– 9 La riproduzione di parti di questo testo, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma senza autorizzazione scritta è severamente vietata, fatta eccezione per brevi citazioni in articoli o saggi. Stampato in Italia nel mese di febbraio 2012 presso GECA S.p.A. – Cesano Boscone (MI) www.gecaonline.it
Questo libro è stampato su carta FSC amica delle foreste. Il logo FSC identifica prodotti che contengono carta proveniente da foreste gestite secondo i rigorosi standard ambientali, economici e sociali definiti dal Forest Stewardship Council.
La casa editrice è impegnata contro l’editoria a pagamento. La realizzazione di questo libro non ha richiesto nessun tipo di contributo né l’acquisto di copie da parte dell’autore. www.zero91.com
A Guaio, il migliore amore a quattro zampe che potessi desiderare. Questa storia l’abbiamo scritta insieme. Io alla scrivania e tu sulle mie ginocchia. Mi manchi. Per sempre.
il canto delle ombre
PRIMA PARTE
PRELUDIO
Due sono le vie per le Ombre dei Sogni: una è di Corno, l’altra è d’Avorio. Solo i sogni che provengono dalla Porta di Corno sono veri, vissuti da un essere mortale. I Sogni che provengono dalla Porta d’Avorio sono falsi. E pericolosi. Odissea, XIX, 560-67
ODISSEA
Ossa abbandonate. Questa storia potrebbe cominciare con il rumore di ossa gettate via, frantumate. Ossa dimenticate. Comincia molti anni addietro, quando corpi di uomini lupo vennero uccisi e bruciati, fra fiamme e argento, da gente che inneggiava alla sconfitta del Demonio. Nello scrivere queste parole, sembra quasi di percepire qualcosa. Come se quell’avvenimento tornasse in vita. Un brusio. Una musica appena accennata che sovrasta le urla che non possono raggiungere l’orizzonte. Dolore e vendetta si uniscono sfiorando il nostro presente. E non è un presagio.
Un triste canto risuonava nella notte. Un ossessivo tamburo e un sibilo di liuti maledetti accompagnava un coro di bisbigli. Tristi come sono certi destini che si contorcono nelle illusioni o in vane speranze che non permettono la realizzazione della propria essenza. I Sogni talvolta sono echi di morte. Canti provenienti da luoghi lontani. I letti diventano bare su cui volteggiano tirannici
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demoni dalla forma femminile e il volto allungato. Costoro sono stati disturbati e non attendevano altro che ciò accadesse. In cambio vogliono molto. Carne. Anima. Paura. Terrore. Un corpo. Il passaggio, attraverso le Porte di Corno e d’Avorio, doveva essere purificato. La Luna, riflettendosi al di fuori della grotta in una grande falce insanguinata, illuminava la Dimensione del Sogno, facendo risplendere le nubi con i colori delle memorie perdute. I sentieri si dissipavano articolandosi fra gli alberi recisi come fiori morenti. I demoni uscirono dalla grotta in cui ardevano tre colonne di fuoco. Ombre che possedevano voce, potenza, forma. E il Canto risuonò mostrando la sua volontà .
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I ragazzi lupo ballavano intorno ai fuochi che avevano acceso per delimitare i confini della festa. Erano una trentina e tutti indossavano una maschera, riuniti sotto la Luna per festeggiare il Lupercolo. Erano anime randagie che non avevano bisogno, per quella notte, né di regole né di case. Volevano solo divertirsi e sfidare se stessi. Maila indossava un abito che sembrava la copia di quello indossato da Claudia Cardinale nel Gattopardo, in versione gotica. Il viso era coperto da una maschera di pelle a forma di farfalla. Voci rincorrevano risa e schiamazzi. Parole e canti. I licantropi bevevano whisky d’annata, altri mangiavano carne cruda imbrattandosi il viso di sangue mentre danzavano intorno ai fuochi. Tutti quanti indossavano vestiti ispirati a scene di film celebri. C’erano maschere da gatto, da elefante e altre più semplici che coprivano solo gli occhi. La musica suonava a tutto volume. Erano state posizionate delle casse intorno agli alberi. A Maila piaceva. Placebo. Running up that hill. Tu non vuoi ferirmi ma guarda quanto giace in profondità la pallottola. Inconsapevolmente ti sto facendo a pezzi. C’è un tuono nei nostri cuori, tesoro.
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« Sei bella » disse Ren con un filo di voce. Maila sorrise. Non si sarebbe mai stancata di guardarlo ora che lui era lì, vicino a lei. Vivo. Riconobbe un sentimento di mancanza e smarrimento che trasudava dalla sua pelle. Avevano condiviso lo stesso dolore, ma avevano vinto sulle maledizioni, sull’ignoranza, sulla cattiveria degli altri e persino sulla morte. L’amore aveva giocato la sua partita ed era diventato una carezza che rendeva i due ragazzi meno soli, che scaldava e consegnava ciò che ai due era stato strappato. « Mi sei mancato » sussurrò lei. E sapeva bene quanto questo fosse vero. Quanto aveva sofferto pensando alla sua morte. Allontanò quel ricordo con ostinazione. Non voleva che qualcosa rovinasse quella notte. Lui restò immobile, attento alle parole che Maila sussurrava. Lei appoggiò il viso sulla spalla di lui. Ren la baciò, la strinse forte fra le sua braccia. Lei aderì al suo torace e ne percepì la tenerezza. Ballarono insieme, anche loro, intorno al fuoco. Senza pensare a nulla se non alla libertà conquistata. Libertà di ridere, di correre e gridare. Soprattutto di amare. Erano di nuovo insieme. Erano come una stella cadente che brucia il passato con il suo splendore distruttivo ma che rende possibile l’impossibile. Un ragazzo, che nessuno dei due conosceva, lanciò per aria delle sfere rosse, che riprese abilmente con rapide mani da giocoliere. Altre ragazze sputarono fuoco e ballarono attraversando le fiamme. Lanciatori di coltelli segnarono i profili di licantropi ubriachi che si muovevano davanti agli alberi. Molti cominciarono a trasformarsi in lupi. La Luna splendeva e Ren ne rubò l’ombra per proiettare con le mani sulla terra la storia di animali fantastici; giraffe che rincorrevano uccelli. Maila rise. Ren la prese per mano e la trascinò lontano dalla festa. « Non sei mai stata così bella » e mentre lo diceva si tolse la maschera e strappò quella di lei.
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La musica seguì i loro passi. …Tu, tu e io. Tu e io non saremo infelici. E se solo potessi farei un patto con Dio per convincerlo a invertire i ruoli… Con una dolce spinta, Ren fece appoggiare Maila contro il tronco di un albero e cominciò a baciarla. Prima sul collo, sul seno, infine sulle labbra che accarezzava nervoso con le mani. Spietati e puri, i loro baci che si mordevano di passione continuando a cercarsi. « Non avrei potuto sopravvivere senza di te » ripeté lui sollevando la gonna di Maila. Affondò dentro di lei con un movimento preciso. Non c’erano più confini fra la loro pelle. Maila non voleva che lui smettesse di muoversi, di conquistarla. Sollevò le gambe avvinghiandosi a quelle di lui. Lo sapeva; la vita che voleva possedeva gli occhi di Ren. « Ora sei mio. » Maila si strinse alle braccia del suo amore. Si graffiò il collo contro la corteccia dell’albero ma non se ne curò. Sentiva i muscoli contrarsi. Il battito del cuore accelerare. Il respiro affannarsi e il piacere rinnovarsi in movimenti continui. Ren le chiuse le labbra con un ultimo bacio. La musica si bloccò inaspettatamente. Un silenzio che faceva paura sfiorò la schiena di Maila. Il buio. Maila cercò aria per respirare, boccheggiava. Si svegliò bruscamente e fu come riemergere dagli abissi della morte. Trattenne un urlo. Maila voleva solo richiudere gli occhi per convincersi che tutto sarebbe andato bene. Che quel sogno, in qualche modo, corrispondesse al vero. Sogni che, come messaggi in bottiglia,
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provenivano da un futuro che sarebbe arrivato a sollevarla dal fango e dal male. Non sapeva come, ma sperò che il sogno appena vissuto fosse la visione di ciò che doveva accadere. Perché Ren era vivo e la stava aspettando. Sarebbero stati di nuovo insieme. Maila pensava solo a questo. Era ciò che sperava con tutta se stessa. Ren era vivo. Ne era certa. Nonostante tutto. Non sapeva ancora che anche i Sogni possono essere zoppi. Incubi, accompagnati dalla voce di una donna, che si insinuano nella mente e la manipolano. Sogni provenienti dalla Porta d’Avorio che presto avrebbero minacciato la vita e l’equilibrio della Prescelta.
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Ren si chinò nella gabbia. Sentì lo stimolo della fame aumentare a dismisura, ma non avrebbe potuto nutrirsi fino a che gli umani, quei bastardi, non glielo avessero concesso. Le parole dell’Esaminatore gli risuonavano nelle orecchie come sangue che cola. Poco prima si trovava nello studio di lui. Un ambiente privo di qualsiasi riferimento. Una stanza completamente rivestita di tappezzeria grigia con due sedie di legno al centro. Una su cui si accomodò l’Esaminatore e l’altra su cui fu fatto accomodare il Soggetto 82, per poi legarlo con nastri di acciaio ai polsi e alle caviglie. Gli fu iniettato un liquido negli occhi che gli annebbiò la vista. L’ultima cosa che gli rimase impressa negli occhi era un uomo alto dai capelli bianchi e gli occhi neri, con il viso talmente paffuto da sembrare di gomma, un naso ricurvo e labbra sottili. Labbra sottili che si aprirono per parlare. « Annullerai il tuo passato. Tu sei uno schiavo dei Disincarnati. Stiamo lavorando affinché tu possa essere una nostra arma. » Queste erano le uniche parole che Ren ricordava. Gettò un’occhiata agli altri licantropi. Alcuni di loro sembravano stare, per quanto possibile, peggio di lui. A Ren, almeno, da un paio di giorni avevano tolto la maschera di ferro. Premio per aver vinto il combattimento, precisarono.
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A Ren era chiaro che non avrebbe potuto vincere per sempre e le possibili vittorie non avrebbero risparmiato quotidiane torture. Il licantropo nella gabbia accanto, l’ultimo arrivato, adottò la forma di un piccolo lupo grigio dagli occhi viola e con un morso provò a piegare le sbarre della sua gabbia. Ovviamente fallì e dopo qualche istante fu raggiunto dai Disincarnati. Gli spararono addosso una scarica elettrica ad alto voltaggio. Il lupo si accasciò a terra, scivolando dalla gabbia che i Disincarnati avevano aperto. Lo obbligarono a indossare la peggiore delle maschere di ferro; la maschera dell’infamia in grado di provocare un dolore tremendo: gli stringeva la testa mentre una pallina al suo interno, entrando nella bocca, gli impediva di urlare durante le torture punitive. « Riunite i licantropi nel recinto del combattimento. Voglio che combattano di nuovo » una voce femminile riecheggiò dagli altoparlanti presenti in ogni stanza. Un’eco di morte risuonava senza incertezze dalla bocca di Beatrice. Dieci lupi camminarono in fila con la testa china, trascinando gli arti stanchi e feriti. I Disincarnati utilizzavano lame appuntite per sfregiare la pelle dei lupi, in modo tale che il sangue sollecitasse un combattimento furente. L’odore del sangue avvampava come fiamme solleticando l’invito a dilaniare la carne strappandola dalle ossa. Ren chiudeva la fila e riuscì per un breve tempo a trattenere l’istinto che lo spingeva a combattere. Il combattimento era stato organizzato in una stanza con luci al neon che, appese al soffitto, illuminavano l’ambiente con fastidiose tonalità verdi flou. Un recinto spinato formava un cerchio perfetto in grado di produrre scosse elettriche a chi tentava di superarlo. Un lupo dal pelo rosso, stremato dal combattimento, tentò di saltare il recinto, ma fu sollevato per aria da una scossa, e ricadde su se stesso. Morto. Nessuno badò a lui.
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Chi non muore oggi può morire domani, chi sferra il primo attacco può subirne un altro, non ci sono vincitori che possono mantenere il titolo per lungo tempo, resiste solo chi è forte abbastanza. E forse la forza non è tutto, occorre essere fortunati, nella sfortuna, per non lasciarci la pelle. Il Soggetto 32 si fiondò contro Ren con le fauci spalancate e gli occhi bramosi di carne. Artigliò Ren alla schiena. Ren si liberò dalla presa e in pochissimo tempo lo atterrò mordendolo allo gola e strattonandolo con furia da una parte all’altra. Un altro lupo lo sfidò mostrando fauci affilate. Ren accettò la sfida e si gustò il combattimento, certo di vincerlo. Anche quella volta. In un’altra stanza Beatrice osservava ogni cosa. Convincendosi sempre di più che fosse lui il soggetto migliore da utilizzare per perseguire il suo obiettivo. Lo scopo che aveva portato i Disincarnarti a creare un nuovo quartier generale in una minuscola città fantasma nel nord della Spagna, Ochate. Il sangue colava dalle fauci di Ren. Con la lingua si ripulì il pelo, inebriato dal suo sapore metallico. Il sangue sapeva di sporco. Il suono di una sirena echeggiò nella stanza segnalando la conclusione dei combattimenti. Ogni licantropo sapeva a cosa sarebbe andato incontro. I Disincarnati entrarono nella stanza lanciando carne fresca ai migliori combattenti, mentre gli sconfitti sopravvissuti vennero immobilizzati e legati. Con una sega avrebbero lacerato in profondità i loro muscoli, monitorando il tempo che i profondi tagli avrebbero impiegato per cicatrizzarsi. Dopodiché li avrebbero messi a testa in giù, legati a cavi metallici per ripetere la tortura. In questo modo aumentava la quantità di ossigeno apportata al cervello e diminuiva la possibilità che i licantropi svenissero, mentre si prolungava la folle agonia.
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Lo spettacolo era atroce. I nervi si laceravano, le ossa si frantumavano e le arterie, strappandosi, zampillavano sangue. Beatrice da dietro il vetro sorrideva soddisfatta, mentre i Disincarnati prendevano nota dei tempi e confrontavano fra loro i dati. A causa della continua fame, dei ripetuti combattimenti, delle sevizie costanti, alcuni licantropi morivano fra le urla. Lo scopo era chiaro. Solo i migliori dovevano sopravvivere. E fra i migliori ne sarebbe rimasto solo uno.
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Beatrice conosceva perfettamente le azioni che i licantropi, figli del Demonio, sono abituati a compiere. Conosceva le regole, la prima fra tutte: non può esistere muta-forma che non sia vincolato da un patto col diavolo. Ogni muta-forma avrebbe ucciso e divorato i propri figli e quelli degli altri, si sarebbe recato di notte nelle case degli umani per rapire o uccidere, estrarre le viscere, succhiare il sangue e divorare i neonati non ancora battezzati. I licantropi erano in grado di distillare unguenti ed essenze malefiche come quelle della peste e del colera e diffonderle ungendo le porte delle loro vittime, come avevano fatto molti secoli prima. Si divertivano a propinare veleni mortali, costruire specchi magici che rispondevano alle loro domande malvagie, disegnare cerchi entro cui invocare il Demonio per adorarlo offrendogli sacrifici, evocare qualche demone particolare per imprigionarlo in una bottiglia e utilizzarlo come coadiutore delle loro arti malefiche. Con l’aiuto del Diavolo potevano trovare cose e tesori nascosti, operare malefici sugli uomini onesti, provocare tempeste e grandine e causare naufragi. Praticavano atti blasfemi profanando la santa religione. Beatrice era profondamente convinta di tutto ciò e non le importava domandarsi se rispondesse al vero o meno. Estrasse un antico manuale di torture medioevali, estasiata per essere
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riuscita a riprodurre molte di esse. Ringraziò silenziosamente chi aveva trascritto le antiche torture. Le aveva offerto la possibilità di studiarle e infliggerle con precisione e accuratezza. Ma non era tutto. Non si era mai sentita tanto potente come in quel periodo. I Disincarnati erano riusciti a entrare in possesso di alcune pagine di un testo chiamato Il libro della Luna. Per anni avevano cercato la copia originale o altre parti dello stesso, ma senza risultato. Un libro che narrava l’origine e la storia di alcuni muta-forma esemplari. « Ci sarà scritta l’unione compiuta con il Diavolo » disse Beatrice accendendosi la settima sigaretta fumata dopo la mezzanotte. Dormire, per lei, era una perdita di tempo, le bastavano due o tre ore per notte, oltre al caffè e alle sigarette. Il Libro della Luna, però, non destava interesse per la storia dei licantropi, bensì per la parte dedicata a un’arma particolare e distruttiva. Le poche pagine che i Disincarnati avevano acquistato da un collezionista dell’occulto si erano dimostrate di estrema utilità. Parlavano proprio dell’Arma Celeste che, nella Parigi del 1340, aveva annientato buona parte dei muta-forma presenti in città e nelle zone vicine. Le pagine raccontavano di un eretico, un frate flagellante, che per proteggere i muta-forma aveva nascosto l’arma presso la città di Ochate per far sì che nessuno più la utilizzasse. Non vi era scritto altro, ma storici e scienziati al servizio dei Disincarnati da anni stavano studiando ogni singola parola ritenendo plausibile la possibilità di riprodurre l’arma e amplificarne gli effetti. L’unico problema consisteva nel fatto che non vi era cenno sul luogo in cui era nascosta. Il solo indizio era uno schizzo che ne delineava la forma: un’ampolla e, al suo interno, il veleno tramutabile in virus. « L’Arma Celeste può essere ovunque in questa minuscola città fantasma. » Il fumo della sigaretta le usciva dalle labbra sottili
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e screpolate. « Ho bisogno di un licantropo maschio, forte. In grado di sopportare qualsiasi sofferenza inflitta dalle mie torture. Perché il veleno dell’arma che sto cercando può uccidere all’istante. La maggior parte dei licantropi morirebbe venendoci a contatto, e il virus sarebbe sprecato. Non il licantropo che sto cercando. Lui no. Lui diventerà la mia arma personale. Lui diffonderà il virus ai suoi simili. Sarà addestrato a ucciderli senza pietà. Lui penserà quello che penso io. Lui farà quello che gli dirò io. Nulla di più. Poi la morte lo trascinerà nel luogo a cui appartiene, all’inferno. » Mentre parlava, Beatrice sapeva già di aver trovato il licantropo giusto. Ne era quasi certa, gli aveva inflitto torture che avevano già ucciso altri licantropi. Il Soggetto 82, invece, sopportava e, pur debilitato, riacquistava la forza in tempi impensabili. Sembrava l’esemplare perfetto. Quello che Beatrice avrebbe tenuto d’occhio e poi infettato con l’Arma Celeste. Ciò che ignorava era che quel licantropo, che lei stava torturando e che avrebbe sacrificato in nome del suo odio, era proprio Ren, proprio suo figlio. Né, tanto meno, poteva supporre se e quando lui avrebbe riconosciuto in lei sua madre. Colei che Ren credeva fosse morta quando era solo un bambino.
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La Monaca Bianca, dall’alto del suo palazzo, parlava al suo popolo, agli Xolotl riuniti e ai Cheeza. Si muoveva con eleganza, allargando le bianche mani artigliate. « In vita fui designata come Prescelta, in morte mi venne impedito di passare al di là del fiume, a seguito dell’incarico di Monaca Bianca. » Il popolo ascoltava la sua regina, la sua sovrana, demiurgo potente, guardiana del passaggio fra la vita e la morte. Colei a cui fu offerto il compito di traghettare le anime al di là del grande Fiume Sacro. « La grande Dea, attraverso i Loa, ci chiese di nominare la Prescelta, così abbiamo fatto. Grazie alle sue gesta abbiamo intrappolato gli Artigli Rossi nel Non dove. « Vi chiedo di pregare per lei affinché la sua prossima battaglia possa essere gloriosa, come la precedente. Al momento non ci è dato sapere nulla a riguardo. Il pericolo sta avanzando. Non so dirvi sotto quale spoglie si mostrerà. Ma quel momento non sarà un momento di pace per i nostri fratelli nel Mondo di Superficie. Siate pronti a vedere molti di loro attraversare il fiume sacro che separa la vita dalla morte. » Dopo aver concluso il discorso, la Monaca Bianca ritornò nelle sue stanze. Dalla finestra scrutava l’imperturbabile movi-
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mento delle acque del fiume e il rosso del sangue versato per deliziare gli Dei e i Loa. Pensava a quando, molti anni addietro, aveva deciso che Ren diventasse l’Othar che avrebbe affiancato la Prescelta, morendo per lei. Avrebbe voluto uccidere lei stessa la donna che aveva sparato a suo figlio e sua nuora. Artigliarle il petto squartandola fra lamenti e urla. Ma non poteva. Era pur sempre una morta e, anche se investita del ruolo di Monaca Bianca, i morti non possono uccidere nessuno, ancor meno un umano. Ma qualcosa poteva ancora fare e lo fece. Si limitò a decretare la morte del figlio della donna, Beatrice. Il ragazzo, allora bambino, era un licantropo e la Monaca Bianca con il suo potere poteva modificargli il destino. Ne annunciò la morte, stabilendo una sorte complicata. Con intrighi e sofferenze non solo fisiche. E sarebbe morto per sua nipote. Non si era mai sentita in colpa riguardo a questo. Le regole dei licantropi sono chiare. La vendetta è una cosa seria. Voleva comunicare con sua nipote ma qualcosa si era spento, come la luce di una candela che affonda nella terra. I contatti precedenti erano stati permessi dalla grande Dea e dai Loa, senza il loro volere non poteva interferire in quello che accadeva sulla terra e dunque in ciò che riguardava i vivi. Tutto taceva in un silenzio assordante. Pensava al futuro di Maila, mentre riempiva il calice di zucca del liquore fermentato con il siero estratto da un albero del Regno di Ayta. Posò le unghie sul bordo per raffreddare il liquido. Dopo qualche minuto si addormentò inebriata dalla notevole quantità bevuta. Sognò una foresta di alberi spogli, alcuni marciti, altri bruciati, avvolti da una fittissima nebbia. Una voce ripeteva il suo nome facendolo risuonare in un’eco sibilante. La voce di una donna. La Monaca Bianca si vedeva camminare fra gli alberi. Sollevò
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la testa. La nebbia non permetteva allo sguardo di vedere altro che se stessa. Una lupa bianca, all’improvviso, sfrecciò fra gli alberi emettendo rauchi versi. La Monaca Bianca cercava di metterla a fuoco, ma la lupa era troppo veloce nel suo continuo movimento da destra verso sinistra e viceversa, apparendo dietro un albero e un attimo dopo dietro un altro. Si sentiva trascinata all’indietro da mani scheletriche che le facevano comprendere che non aveva il permesso di addentrarsi in quel luogo, e di procedere oltre. La Monaca Bianca si arrestò. La lupa cambiò il suo aspetto tramutandosi in donna. I capelli neri fluttuavano nell’aria come i tentacoli di una medusa. I grandi occhi rossi si spalancarono, scintillando. Indossava un abito di un grigio spento che lasciava scoperti i piedi, sollevati da terra e ricoperti da graffi e spine. Intorno a lei apparvero decine di magrissimi cuccioli di lupo che fra le zanne stringevano una corda legata a delle lanterne emananti una luce fioca. Quei lupi erano deformi. La Monaca Bianca arretrò di un passo. « Maatlena » disse riconoscendola. La voce le giunse alle orecchie come se non le appartenesse più. Arretrò di un passo ancora. La donna lupo balzò in avanti posando le mani sulla gola della Monaca Bianca. Premette gli artigli ricurvi e li affondò nella carne.
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Lisaika si trovava nello studio di Victor. Il volto seriamente preoccupato, trafficava riordinando dei fogli che non poteva decifrare ma che sfiorava con la sensazione di voler placare il bisogno di sentirsi impegnata. « Cosa è successo? » domandò immediatamente Maila restando sorpresa di trovarla lì e non in cucina, come era sua abitudine fare di mattina. « Victor è dovuto andarsene. Voleva salutarti ma non ne ha avuto il tempo. È stato convocato d’urgenza per un’adunanza con gli altri capibranco. Sta succedendo qualcosa di serio. E se è effettivamente così, presto sarai convocata anche tu. » « Ma io devo cercare Ren. Voglio dedicare il mio tempo a lui. Solo a lui. Io so che è vivo e che devo salvarlo. » « Tu sei la Prescelta » la interruppe bruscamente Lisaika. « La Luna ti ha scelta e tu, successivamente, hai accettato di esserlo. Non sono io che devo ricordarti quali sono i tuoi obblighi. » « Ho appena sconfitto Seimo. L’ho decapitato e ho portato la sua testa nel regno di confine fra la vita e la morte. Sono stata ad Ayta. Ho scoperto che la Monaca Bianca, colei che ha lanciato la maledizione sull’unione tra me e Ren, è mia nonna. Credi che sia stato facile? Non basta? » « Figlia mia, certo che non basta. Sei solo all’inizio della tua
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avventura. Non sei tu a decidere come e quando servire la Luna e i tuoi fratelli lupo. Nessuno ti ha mai detto che sarebbe stato facile essere la Prescelta. Tu e Ren siete stati scelti per compiti nobili e ardui, non per amarvi. » « Ma… » Maila incassò la durezza di quelle parole. La dolcezza di Lisaika aveva ceduto il posto al rigore e alla severità con cui le ricordava che il suo ruolo prevedeva sacrifici e rinunce. « Ma cosa? » « Non credevo che tutto accadesse così in fretta. Vorrei avere del tempo per capire, per cercare Ren. Non penso di chiedere troppo. Solo del tempo. » Vorrei essere felice, avrebbe voluto dire. « Mi dispiace, ma il tempo è un lusso che non puoi concederti. Quello che è normale per le altre ragazze della tua età, che siano umane o muta-forma, non lo è per te. Pensavo che ti fosse chiaro. Che lo avessi capito. » Maila non rispose e Lisaika continuò a parlare. « So che stai soffrendo. Hai trascorso un periodo terribile. Tutti noi ne siamo stati testimoni. Abbiamo visto la tua disperazione per la morte di Ren. » « Non è sicuro che sia morto. L’ho sognato, è vivo. E nell’unico sogno in cui ho incontrato mia madre mi ha fatto capire che c’è una possibilità di trovarlo. Non so dove sia, ma ovunque si trovi so che prima o poi riuscirò a sentirlo. Riuscirò a mettermi in contatto con lui. Il nostro è un legame di sangue, di cuore. Siamo uniti. » « So che lo ami. Non ti ripeterò che il vostro amore è sbagliato. Che non dovevate legarvi così tanto, così in profondità. Se Ren è morto tutte le parole possibili sono vuote e inutili. Mi vergogno anche solo a pensarle. Dinnanzi alla morte coraggiosa di un giovane non si possono avere parole da dire con leggerezza. E io non le dirò. Prego la Luna affinché accompagni il suo spirito a trovare pace. Questo sì.
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Non voglio che tu ti illuda. Non voglio alimentare la tua illusione. Non abbiamo prove che Ren sia vivo, così come non è facile credere che tua madre sia riuscita a mettersi in contatto con te per riunirti a lui. Da poco tempo hai il dono della Wacan. Parlare con i morti richiede una capacità che si acquisisce solo con il tempo e la saggezza. » « Il volto di mia madre è impresso qui, nella mia mente, chiaro e reale » replicò Maila. « Le sue parole non lasciano mai il mio cervello. Restano e mi danno speranza. L’unica speranza che mi permette di stare ancora in piedi. Di non lasciarmi sopraffare dalla disperazione. Sai cosa significa perdere tutto? Io mi sento esattamente così. Ne sento la mancanza, come se mi avessero strappato un braccio o una gamba. Anzi, no. Senza una gamba o un braccio starei sicuramente meglio di come mi sento ora. » « Tesoro, non devi dire così. Non puoi fidarti dei Sogni. Ti fai solo del male. » Lisaika la interruppe recuperando un po’ di dolcezza, ma Maila riprese a parlare. « Mi fa male tutto senza di lui. Il petto mi sembra pesante. Lo stomaco è rigido. Ne sento la mancanza in tutto il corpo. Non riesco a respirare senza di lui. Dicono tutti che è stato sbagliato innamorarci l’uno dell’altra, e forse è vero visto quello che è successo, ma è come se i sentimenti che provo per lui fossero dentro di me da sempre, prima ancora di conoscerlo. E quando ci siamo incontrati, ogni volta che mi ha sfiorato, è come se avesse donato qualcosa di nuovo al mio corpo. Qualcosa di bellissimo. Mi sono sentita viva. La Luna mi ha già castigato, dunque anche se lo ripeto ora cos’altro può succedere? Lo dico. Oltre a essere viva sono stata felicissima. Voglio le sue mani. Le sue labbra. Il suo respiro » e mentre diceva queste parole le lacrime erano feroci all’interno degli occhi, ma Maila, chiudendoli e controllando il respiro, non permise a nessuna di loro di rigarle il volto.
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Camilla Morgan-Davis
« Ren mi ha insegnato a fidarmi, mi ha permesso di essere debole senza che lui si approfittasse di me. Insieme a lui ho sentito una forza che prima non avevo mai pensato di avere. Non parlo di una forza fisica, so di poter vincere qualsiasi combattimento. Parlo della forza dell’amore, quell’amore che, anche se ci rende deboli, allo stesso tempo ci rende più forti anche dell’angoscia. E spero che questo amore possa trionfare sulla morte. Ren ha risvegliato qualcosa dentro di me. Qualcosa che se lui è veramente morto morirà insieme a lui. Ma Ren potrebbe essere vivo. È vivo, io lo so. » Maila era determinata nel ribadirlo, ma era stanca, stufa di non essere creduta. Ogni volta che ne parlava, tutto nell’atteggiamento di Lisaika e Victor indicava che la ritenevano prossima alla follia. Come avrebbero reagito se avesse raccontato della voce che sentiva nella testa? Ci sarebbe stato altro oltre alle dita che ticchettavano sulla scrivania. I denti a mordicchiare le labbra. I lunghi sospiri. Lo sguardo abbassato che evitava palesemente quello di Maila, che non ammetteva di essere considerata pazza. Maila solo allora decise di cambiare discorso. « Cosa credi che stia succedendo? Perché Victor è dovuto andarsene? » « Non lo so. Purtroppo nessuna visione è venuta a farmi visita » rispose Lisaika tentando di sdrammatizzare la pesante situazione, anche se era davvero difficile riuscirci. Maila si domandava quale pericolo stesse sopraggiungendo per spingere i capibranco a riunirsi con una tale fretta. Provava un brivido di paura accompagnato dal desiderio di tremare fra le braccia di Lisaika, ma restò immobile. Voleva essere capita. Protetta. Cullata. Avvolta in una coperta e riscaldata dal freddo che le sbranava dall’interno la carne e l’anima. Non le era concessa alcuna debolezza.
Il canto delle ombre
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Ringhiò contro la paura che si strofinava sulla schiena in un brivido dopo l’altro, tanto forte da essere capace di spaccare in tanti frammenti quel che lei era. Ciò che di lei restava. « La Prescelta non ha paura di niente » ripeté con un filo di voce. Lisaika sapeva che la ragazza stava mentendo.
LE STORIE
Camilla Morgan-Davis, Il canto delle ombre Alessandro Zaltron, Manuale per i(n)felici amanti Miriam Mastrovito, Il mistero dei libri perduti Miguel Ruiz Montáñez, La tomba di Colombo Joshilyn Jackson, La ragazza che parlava agli angeli Daniele Vecchiotti, La signorina cuorinfranti Giambattista Passarelli, Di sabbia e di vento (2° edizione) Alessandro Camilletti, La guerra di Dio Amy Greene, La magia dei petali sparsi Marin Ledun, Quasi innocenti William Kotzwinkle, L’orso che venne dalla montagna Tiffany Baker, La ragazza gigante della contea di Aberdeen Camilla Morgan-Davis, Il canto della notte Kevin J. Anderson, Gli ultimi giorni di Krypton Vitobenicio Zingales, Da mezzanotte a zero Alessandro Esposito, Manuale del perfetto venditore di droga Stefano Ceccarelli, Camilla Portafortuna (2° edizione)
Miguel Ruiz Montáñez, Il Papa Mago Paolo De Lazzaro, Quello che manca (2° edizione) Pedro Ugarte, Un padre Erika Moak, Eudeamon Luigi Pelazza, Un mondo quasi perfetto (2° edizione) Dario D’Amato, Morire in fondo è trendy Jesús Moncada, Amore fatale Imogen Edwards-Jones, Fashion Babylon Imogen Edwards-Jones, Air Babylon Corrado Farina, L’invasione degli Ultragay Ariëlla Kornmehl, Il mese delle farfalle Diego Astori, Vengo e mi spiego Imogen Edwards-Jones, Hotel Babylon Pierfrancesco Diliberto, Piffettopoli, le fatiche di un quasi vip Pieter Toussaint, La biciletta volante Costantino Margiotta, Mafia, dalla mattanza a Provenzano