La tomba di Colombo

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miguel ruiz monta単ez

LA TOMBA DI COLOMBO romanzo

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Titolo originale: La tumba de Colón © Miguel Ruiz Montáñez, 2006 © Ediciones B, S. A., 2006 TUTTI I DIRITTI RISERVATI

© 2011 zero91 s.r.l., Milano by arrangement with Il Caduceo srl Literary Agency and Antonia Kerrigan Agencia Literaria Prima edizione: ottobre 2011 Copertina: Sebastiano del Piombo, Ritratto di un uomo, forse Cristoforo Colombo (1446-1506 ca.), 1519 © The Metropolitan Museum of Art/Art Resource/Scala, Firenze Interni: Carta del Cantino mappa del mondo, ca. 1502, ©Foto Scala, Firenze – su concessione Ministero Beni e Attività Culturali ISBN 978–88–95381–44–2 La riproduzione di parti di questo testo, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma senza autorizzazione scritta è severamente vietata, fatta eccezione per brevi citazioni in articoli o saggi.

Stampato in Italia nel mese di ottobre 2011 presso GECA S.p.A. – Cesano Boscone (MI) www.gecaonline.it

Questo libro è stampato su carta FSC amica delle foreste. Il logo FSC identifica prodotti che contengono carta proveniente da foreste gestite secondo i rigorosi standard ambientali, economici e sociali definiti dal Forest Stewardship Council.

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MIGUEL RUIZ MONTAÑEZ

LA TOMBA DI COLOMBO

romanzo

TRADUZIONE DI PIERO LOPIERNO

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A mio padre, che ha cominciato un lungo viaggio verso terre sconosciute.



Cristoforo Colombo, Ammiraglio del Mare Oceano, è uno dei personaggi più enigmatici e controversi della Storia. Per tutta la vita si adoperò fortemente per creare un’immagine di sé contraddittoria e ambigua. Oggi, è l’unico personaggio dalla Storia dell’umanità su cui ancora si dibatte in merito al suo luogo di nascita e a quello della sua sepoltura. Anche dopo numerosi studi, esistono ancora molti altri misteri insoluti sullo scopritore dell’America. Chi era davvero l’uomo che ampliò i confini del mondo? I fatti storici che sono narrati in questo libro sono realmente avvenuti. I monumenti, le lapidi, le iscrizioni, e in generale tutte le informazioni utilizzate in quest’opera, comprese le citazioni dello stesso Colombo, sono reali.



santo domingo repubblica dominicana



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Sia fatta misericordia in cielo, e la terra pianga per me. Cristoforo Colombo lettera ai Re Cattolici, Giamaica, 7 luglio 1503

La tempesta tropicale era passata al largo della costa, senza provocare troppi danni. La forte pioggia aveva creato, in pochissimo tempo, una grande pozza davanti all’ingresso fatiscente del commissariato. Edwin Tavares, il direttore della polizia scientifica della Repubblica Dominicana, osservava dalle persiane del suo piccolo ufficio lo stato in cui versavano le strade dopo il passaggio della tormenta. Il fango mischiato ai rami degli alberi abbattuti dal vento non aveva fermato il traffico; a quell’ora di notte, le auto riempivano la strada in file irregolari, cercando di evitare i grandi tronchi d’albero caduti. Edwin spense il computer e prese la giacca. Aveva appena aperto la porta, quando si rese conto della vibrazione insistente del suo cellulare nella tasca dei pantaloni. La chiamata proveniva dal direttore nazionale della polizia, da cui dipendeva anche il suo dipartimento. «Stavo per rientrare a casa, capo» disse il poliziotto. «Lascia perdere. Vieni al Faro» gli ordinò il direttore. «Si tratta di qualcosa di urgente?» 3


«C’è stato un furto alla tomba di Colombo e si sono portati via i suoi resti.» Edwin scese velocemente in strada infilando in tutta fretta la giacca. Sistemò per bene anche la cravatta che, come sempre, gli diede un immediato senso di soffocamento. Fuori dal suo ufficio, l’umidità gli appiccicò al corpo la camicia bianca di cotone. Quella maniera di vestire era la divisa della polizia, e un ispettore così preciso come lui non avrebbe certo messo in discussione un ordine impartito a livello nazionale. Entrato in macchina abbassò i finestrini per fare entrare l’aria notturna nella vecchia utilitaria. Lo stipendio non gli consentiva lussi e, negli ultimi tempi, la svalutazione del peso dominicano aveva provocato un grosso aumento dei prezzi della maggior parte dei prodotti e dei servizi del Paese. La benzina e tutte le materie importate erano diventate carissime. I dominicani – e lui non faceva eccezione – stavano attraversando un periodo difficile. Si fece strada verso il centro dell’enorme capitale, che, con più di due milioni di abitanti, era diventata la città più importante dei Caraibi. Se Colombo lo Scopritore avesse alzato la testa, non avrebbe creduto ai propri occhi nel vedere la magnifica città che si stendeva davanti al fiume Ozama, proprio lì dove – cinquecento anni prima – erano sbarcati per la prima volta lui e i suoi uomini. Edwin aveva sempre amato la Prima Città d’America, un luogo che vive della sua stessa memoria. La sua pelle scura e molti altri tratti del suo carattere testimoniavano come tante razze si fossero mischiate sull’isola dopo l’arrivo degli spagnoli. Il passato glorioso del Paese era motivo di orgoglio per Edwin e per tutti i dominicani. Perso nei suoi pensieri, arrivò alla zona coloniale, proprio dove si trovavano tutti i simboli di quella grande storia: la 4


Fortezza di Colombo, la Piazza di Spagna, il Forte Ozama, e soprattutto la Prima Cattedrale d’America, vero emblema del Nuovo Mondo. Il direttore nazionale della polizia gli aveva ordinato di raggiungere il Faro di Colombo, la moderna tomba eretta in onore del Quinto Centenario della Scoperta. Edwin stava per raggiungere la sua meta. La tormenta aveva lasciato le strade in pessime condizioni e, per questo, il traffico intenso, il rumore incessante e la circolazione congestionata non erano spariti neanche a quell’ora tarda. Arrivato vicino all’enorme monumento funebre, si avvicinò lentamente e vide un’infinità di luci e di agenti che circondavano il Faro facendo defluire il traffico verso altre strade. Il gran numero di auto della polizia, che proiettavano fasci di luci azzurre e rosse in tutte le direzioni, gli fece pensare che davvero, quella notte, doveva essere successo qualcosa di grave. Edwin proseguì, ammirando la curiosa forma piramidale del monumento. Notò la precisione e l’essenzialità delle linee dell’edificio, con la sua pianta a forma di croce. Quando fu più vicino, pensò per l’ennesima volta che non gli piaceva l’enorme struttura di cemento e di marmo dove il presidente Balaguer aveva deciso di erigere la tomba di Colombo. Sulla porta dell’edificio, riconobbe i vertici della polizia dominicana e il ministro della Cultura, Altagracia Bellido. Non si era mai ritrovato in una situazione del genere, così tirò un sospiro prima di scendere dalla macchina. Poi si incamminò verso quel comitato di benvenuto così prestigioso. Il direttore nazionale della polizia lo salutò con un gesto più brusco del solito. In meno di cinque secondi, Edwin sospirò per la seconda volta. Il direttore allora lo afferrò per un braccio e, senza rivolgergli la parola, lo portò all’interno del Faro, dove si trovava il mausoleo. Non gli aveva neanche 5


presentato il ministro della Cultura, la bella ed elegante Altagracia. Il ministro era famosa grazie ai media dominicani, ma Edwin, non avendo mai svolto indagini su crimini relativi al patrimonio artistico del Paese, non l’aveva mai incontrata. All’interno del Faro, il capo della polizia continuò a strattonarlo guidandolo bruscamente fino a una zona vicina alla tomba. Come sempre, Edwin rimase impressionato davanti a quell’imponente mausoleo, forse per il suo aspetto così diverso dall’edificio opaco che lo ospitava. I nove metri di altezza, le numerose decorazioni in marmo di Carrara, e il chiaro stile gotico conferivano alla tomba un’aria solenne, accentuata da una figura di donna affiancata da quattro grandi leoni di bronzo, simbolo della Repubblica Dominicana. Edwin, durante quel breve tragitto, cercò di immaginare il motivo per cui qualcuno avesse voluto rubare le ossa dello Scopritore d’America. Pensò allora che probabilmente fossero stati trafugati anche dei quadri o magari dei preziosi resti archeologici delle mostre permanenti. All’improvviso, il veloce viaggio all’interno della storia coloniale si concluse quando il capo della polizia raggiunse la sua destinazione. «Hai fatto tardi!» disse il direttore mentre controllava minuziosamente l’ordine dell’uniforme. «Lo sai, il mio ufficio è lontano e la tormenta ha bloccato il traffico. Che abbiamo qui?» chiese, mentre esaminava il perimetro della tomba. «Un sorvegliante morto e un altro ricoverato in ospedale con due proiettili nel torace. C’è stata una sparatoria, uno dei ladri è stato ferito a una gamba» borbottò il superiore. «Cosa hanno rubato esattamente? Non sembra che manchino oggetti di valore» disse Edwin, mentre continuava a esaminare il posto. «Quando i sorveglianti sono arrivati, i ladri stavano portando via qualcosa dall’interno della tomba.» 6


Il direttore della polizia puntò il dito verso un buco. Edwin notò che c’era uno spazio attraverso cui si poteva accedere a una specie di loculo oscuro, che emanava un forte odore di umidità. «Hanno portato via qualcosa? Non sembra una grossa effrazione.» «Be’, hanno preso “solo” l’urna che contiene i resti di Cristoforo Colombo.» «E non hanno portato via niente di valore? Nessun ornamento d’oro o altri preziosi…?» «Niente di niente. Erano professionisti. Venuti per qualcosa di specifico. Hanno rubato solo i resti dell’Ammiraglio.» «Come lo sa, se ancora non abbiamo controllato a fondo?» domandò il poliziotto, mentre osservava le decine di agenti che perlustravano il luogo. «Perché i ladri hanno impresso la firma di Colombo sulla parete esterna dell’edificio» rispose Altagracia Bellido alle spalle dell’ispettore «e, come lei sa, il Gran Ammiraglio ci ha lasciato un mistero ancora irrisolto: la sua stessa firma.» In quel momento, Edwin sentì un brivido, come se Colombo gli bisbigliasse qualcosa dalla tomba.

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Don Diego, figlio mio, o chi per lui avrà ereditato e sarà in possesso della quota indivisibile dell’eredità, apponga la firma che adopero abitualmente, costituita da una X con una S sopra e una M con una A romana con una S sopra, con le loro aste e occhielli, la stessa firma che uso io adesso… Cristoforo Colombo atto di istituzione del maggiorasco, 22 febbraio 1498

L’ambasciatore spagnolo presso la Repubblica Dominicana fece accomodare tutti gli ospiti nella sala riunioni dell’ambasciata. Pur trattandosi di una questione di evidente competenza locale, era chiaro che il furto dei resti del creatore dell’Impero di Spagna rivestisse notevole rilevanza per il suo Paese. Alla riunione erano presenti il direttore nazionale della polizia dominicana, diversi assistenti dal severo aspetto marziale ed eleganti nelle loro rigide uniformi, il ministro della Cultura Altagracia Bellido, e lo stesso Edwin Torres, a rappresentare la polizia scientifica. Anche se per strada il caldo era insopportabile, l’aria condizionata rinfrescava gradevolmente l’interno dell’ambasciata. La costruzione, nel pieno centro della capitale, era uno dei migliori edifici dell’avenida de la Independencia e si trovava non lontano dalla zona coloniale. L’ambasciatore ringraziò tutti per la loro presenza. Erano trascorsi due giorni dal furto alla tomba di Colombo. La notizia aveva commosso l’opinione pubblica anche fuori 11


dai confini dominicani. La stampa nazionale ed estera aveva dedicato grande attenzione all’accaduto e aveva riportato agli onori della cronaca la controversa discussione sul luogo dove si sarebbero realmente trovati i resti dell’uomo che aveva unito i due mondi. «Vi comunico che il ministero della Cultura spagnolo ha manifestato una viva preoccupazione per quanto avvenuto questa settimana al Faro. Inutile dirvi come tutto ciò che riguardi l’Ammiraglio sia di grande interesse per noi spagnoli.» «Signor ambasciatore, lei sa che può contare sulla nostra piena collaborazione» sostenne Altragracia, fissando attentamente tutti i presenti. «La posizione ufficiale della Spagna sui resti di Cristoforo Colombo è di riconoscerli in quelli conservati nella cattedrale di Siviglia. Lo abbiamo dimostrato anche con i test del DNA e questi risultati non lasciano spazio ad alcun dubbio» disse l’ambasciatore, col tono più solenne possibile. «Detto questo, la scomparsa delle ossa conservate in questo Paese, ossia i resti che voi avete proclamato come autentici per più di un secolo, costituisce un fatto determinante per risolvere l’enigma della reale ubicazione delle spoglie. Per questo ci interessa…» «Comunque, a nome delle polizia, devo far presente che l’incidente è di nostra esclusiva competenza. Al momento, non possiamo divulgare i particolari del furto, le indagini sono ancora in corso» sussurrò il capo della polizia, alzando a poco a poco la voce. «Forse quando avrò spiegato meglio le ragioni del nostro interessamento, lei cambierà opinione» asserì l’ambasciatore, mentre spostava nervosamente alcuni fogli sul tavolo. Il direttore della polizia dominicana si mosse bruscamente sulla sua poltrona, nella lussuosa sala riunioni dell’ambasciata. Non appena finì per trovare una posizione comoda, 12


si aprì la porta ed entrò un uomo alto, vestito con un elegante abito grigio. «Lasciate che vi presenti il signor Andrés Oliver, ispettore della polizia scientifica spagnola» disse l’ambasciatore. Tutti i presenti si voltarono a osservare il distinto ispettore chiedendosi perché un funzionario spagnolo fosse arrivato sin lì per un caso di competenza esclusiva delle autorità della Repubblica Dominicana. L’ispettore abbozzò un sorriso: aveva vissuto molte volte situazioni simili e non sentiva nessuna soggezione di fronte ai vertici della polizia dominicana. Oliver salutò i presenti e approntò un telo da proiezione in fondo alla sala riunioni, dopodiché le luci si spensero automaticamente. Sullo schermo apparve all’istante un’immagine che tutti i presenti riconobbero:*

«Come voi sapete, questa firma autografa dell’Ammiraglio coincide con quella che oggi c’è sulla facciata del Faro» spiegò Andrés Oliver. I presenti continuarono a mormorare fittamente, l’ambasciatore chiese loro di fare silenzio e di ascoltare con attenzione. «La firma dell’Ammiraglio rimane da sempre uno dei *

Firma autografa di Cristoforo Colombo.

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misteri più grandi che gravitano intorno alla figura dello Scopritore del Nuovo Mondo» continuò «ma non si tratta dell’unico enigma irrisolto sulla vita del famoso navigatore.» «Non siamo qui per ascoltare una lezione di storia» lo apostrofò il capo della polizia dominicana, visibilmente contrariato. «No, però abbiamo ragione di credere che alcune informazioni in nostro possesso possano aiutarvi a risolvere il problema che voi avete davanti.» «Prosegua» disse l’ambasciatore. Oliver spiegò che la strana firma dell’Ammiraglio, a forma di triangolo, da secoli era oggetto di diverse interpretazioni tra i ricercatori e gli storici. Non si era ancora arrivati a una interpretazione sicura che potesse confermare il significato dei segni contenuti nella firma. In particolare, la forma esatta del suo autografo era quella usata da Colombo nelle lettere scritte al figlio Diego. I presenti poterono osservare che la firma originale dell’Ammiraglio conteneva tre “S” che formavano un triangolo, e al centro di questo appariva una “A”. Sotto, c’era una “X”, seguita da una “M” e poi una “Y”. Tutte queste lettere, in maiuscolo, erano misteriosamente circondate da una serie di punti e segni ancora indecifrati. «E comunque» continuò a spiegare l’ispettore «la cosa più significativa si trovava alla base del triangolo: “:Xpo FERENS./” «Se lasciamo da parte i segni, la firma di Colombo si può leggere in questa maniera: S S A S X M Y Xpo FERENS 14


«Anche nel nostro Paese, per molti anni, abbiamo condotto studi sulla firma dell’Ammiraglio. Neanche noi siamo riusciti a formulare nessuna conclusione plausibile sul suo significato» spiegò il ministro, chiedendosi dove volesse arrivare Oliver. «Questa firma è quello che potremmo chiamare un logogrifo, disposto probabilmente a forma di geroglifico» chiarì Oliver. «Ossia, si tratta di un enigma non risolto, che qualcuno ha voluto utilizzare per lasciare una traccia del furto per una ragione che ancora ignoriamo.» «Secondo alcune teorie recenti, si tratterebbe di una formula religiosa, riconducibile alla possibile origine ebraica di Colombo, oppure una conferma del suo cattolicesimo. In ogni caso, rimane un mistero» esclamò l’ambasciatore. «È importante sottolineare però quanto Colombo dia una grande importanza alla firma se, addirittura, al momento di fare testamento, richiede ai suoi eredi di copiarla. Se ci sono alcuni storici che pensano che la firma triangolare sia solo il frutto di un’originale simbologia creata dall’Ammiraglio, ce ne sono altri che ritengono che Colombo avesse voluto solo lasciare un messaggio ai suoi eredi, chiedendo nel testamento che tutti i suoi successori apponessero la stessa firma» spiegò l’ispettore. «E lei, che opinione si è fatto?» chiese Altagracia. «Credo che, molto probabilmente, Colombo abbia voluto lasciare un messaggio occulto ai suoi eredi, facendo in modo che quella firma, riprodotta per generazioni e generazioni, tramandasse con sé proprio quel messaggio così importante…» disse pensieroso Andrés Oliver. L’ambasciatore si alzò e, con fare serio, propose: «La nostra idea è di collaborare fattivamente con le vostre indagini, in modo che insieme si possa capire cosa è davvero successo nel mausoleo, e perché qualcuno abbia voluto 15


mettere le mani su alcune ossa invece di rubare uno dei tanti tesori storici rinchiusi nel Faro.» «Tutto questo è davvero molto interessante, signori» disse il direttore nazionale della polizia dominicana, alzando la voce «ma ancora non capisco che cosa c’entri con quanto è accaduto nel nostro mausoleo. E soprattutto, signor Oliver, perché lei e la polizia spagnola vi interessate tanto al furto di alcune ossa avvenuto nel nostro Paese?» «Hanno rubato anche i nostri resti di Colombo. E ora, anche sulla facciata della cattedrale di Siviglia compare la firma dell’Ammiraglio.» Oliver chiuse il telo da proiezione, e tra i presenti si diffuse un mormorio.

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Era alto di statura, sopra la media; aveva il volto lungo e severo; il naso aquilino, gli occhi azzurri; la pelle era bianca, ma poteva diventare rosso acceso; da giovane la barba e i capelli erano biondi, ma presto con le fatiche divennero bianchi. Fernando Colombo Historia della vita e dei fatti di Cristoforo Colombo, 1537

Edwin Tavares stava sorseggiando il suo solito, meritato rum di mezzogiorno in un bar della calle El Conde, quando il telefono squillò rumorosamente. Il suono del cellulare risvegliò molti clienti assorti nel contemplare l’andirivieni di persone di ogni razza e condizione che passavano davanti al bar. La strada più commerciale di Santo Domingo, come se fosse un’improvvisata passerella, era il luogo ideale per i dominicani che volessero mostrare orgogliosamente la loro forma fisica. A Edwin, la maniera di camminare delle donne ricordava il dolce dondolio delle palme sulle spiagge caraibiche. Prima di allontanarsi, notò che – nel poco tempo in cui era rimasto seduto – il cielo si era coperto di nubi. Il colore plumbeo faceva pensare a una pioggia imminente che sarebbe stata ben accolta dai dominicani, asfissiati da quel caldo insostenibile. Edwin si trovava a pochi metri dalla cattedrale e dalla sala consiliare del municipio di Santo Domingo, dove Altagracia Bellido l’aveva convocato per una riunione di lavoro 19


con l’ispettore spagnolo Andrés Oliver. Pagò il conto e si infilò svogliatamente la giacca. Il palazzo, di colore bianco, si trovava all’angolo tra calle El Conde e calle Arzobispo Meriño, in piena zona coloniale. La sua bellezza testimoniava il glorioso passato dominicano e rappresentava un pezzo pregiato del patrimonio artistico della Prima Città d’America. Gli spagnoli avevano costruito lì il primo municipio del Nuovo Mondo. Tavares salì le scale del palazzo e fissò i curiosi dipinti che adornavano le pareti. Le scene in cui i colonizzatori spagnoli diffondevano il Vangelo tra gli indios si alternavano a quelle in cui li combattevano. Tavares pensò che il caso a cui stava lavorando fosse connesso con le scene dipinte e con quelle persone che, cinquecento anni prima, avevano vissuto quegli eventi. Arrivato davanti allo studio principale della sala consiliare, fu ricevuto da un’assistente del ministro che l’accompagnò in una vicina sala riunioni. Mentre attraversava un corridoio stretto, Edwin riconobbe sul fondo Altagracia e Andrés Oliver. «Signori, il sindaco di Santo Domingo ci ha messo a disposizione tre uffici indipendenti e questa sala riunioni, dove lavoreremo insieme fino alla risoluzione di questo caso» spiegò il ministro. Gli uffici erano piuttosto grandi, ed erano attrezzati con computer e stampanti. Andrés Oliver notò che in ogni stanza campeggiava un’enorme cornice con la foto del presidente in pose diverse. «Dovete sapere che il presidente della Repubblica Dominicana ha scritto una lettera al ministro spagnolo della Cultura, offrendo tutta la nostra collaborazione per il bene comune dei nostri Paesi.» Edwin si tolse la giacca quando vide che il collega spagnolo l’aveva già preceduto. 20


«Non potremmo avere un altro ufficio ma dotato di aria condizionata?» chiese, visibilmente sudato. «Ho scelto questo posto perché si trova nella zona coloniale, molto vicino ai musei e a quegli archivi che possono contenere informazioni importanti per le nostre ricerche.» «A me sembra un posto magnifico» disse l’ispettore spagnolo, guardandosi intorno. Una volta chiusa la discussione sui nuovi uffici, la donna fece proiettare una presentazione su uno schermo. «Bene, signori. Seguendo le istruzioni date dal presidente, il nostro Paese ha quindi accettato la proposta di avviare un’indagine congiunta. Ma queste sono le regole: primo, io sarò la responsabile dell’indagine e coordinerò i lavori che porteremo avanti. Voi, quindi, sarete ai miei ordini. Secondo, devo essere messa a conoscenza di tutte le informazioni di cui già disponiamo o che otterremo nel corso dell’indagine, e questo vale specialmente per lei, signor Oliver. Terzo, le prove che otterremo saranno di proprietà dello stato dominicano, senza nessun’obiezione. È chiaro?» «Perfetto» disse Oliver, annuendo con la testa. «Chiaro» rispose Edwin, vedendo che aspettavano una sua risposta. «Bene, detto questo, signor Tavares la prego di aggiornarci sulle ultime novità emerse dalle indagini.» Edwin spiegò che stavano seguendo le tracce di due persone che, due giorni prima del furto, avevano noleggiato un’auto all’aeroporto Las Américas. Il veicolo sospetto era un fuoristrada nero della Toyota, un modello recente – e per questo non molto comune per le strade di Santo Domingo – che era stato avvistato nei pressi del mausoleo proprio la notte della rapina. La polizia stava concentrando i suoi sforzi nella ricerca del fuoristrada e nei controlli degli ospedali, visto che uno dei ladri era stato ferito nello 21


scontro a fuoco con i sorveglianti. Al momento non era stato trovato nulla. «Intanto noi potremmo controllare le informazioni che i nostri rispettivi Paesi hanno sui resti di Colombo. Che dite?» domandò Altagracia. E Andrés Oliver cominciò a spiegare che era un dato storico che Cristoforo Colombo fosse morto a Valladolid il 20 maggio del 1506. Tre anni dopo il decesso e la sepoltura, la salma era stata riesumata e trasferita a Siviglia, dove rimase per molti anni. In seguito, la vedova di suo figlio Diego, donna María de Toledo y Rojas, alla morte del marito, cercò di far trasferire i resti di Diego e dell’Ammiraglio a Santo Domingo, la prima grande città del Nuovo Mondo, che all’epoca era diventata il centro delle operazioni degli spagnoli nell’area caraibica. «Correva probabilmente l’anno 1544 e il primo grande tempio cattolico del Nuovo Mondo era già stato costruito. Questo spinse gli eredi di Colombo a portarne i resti qui a Santo Domingo adempiendo così alle volontà del grande navigatore. Colombo e suo figlio vennero seppelliti qui con grandi onori. Quando però l’isola di Hispaniola venne ceduta temporaneamente alla Francia nel 1795» proseguì Andrés «i resti dell’Ammiraglio furono trasportati a Cuba, con l’idea di farli rimanere sul suolo patrio. La permanenza a Cuba ebbe fine nel 1898, quando la Spagna perse l’ultima grande colonia che aveva nei Caraibi. Per la seconda volta, i resti viaggiarono allora attraverso l’Oceano, per finire, questa volta definitivamente, nella cattedrale di Siviglia, dove, secondo la versione spagnola, sono rimasti fino a ora.» Il ministro obiettò che la versione dominicana era totalmente diversa. Quando nel 1795 Hispaniola cadde in mani francesi, gli spagnoli spostarono alcuni resti all’Avana. Fin lì, tutto bene. Ma quasi cento anni dopo, esattamente nel 22


1877, alcuni operai che stavano restaurando la cattedrale di Santo Domingo riaprirono la fossa e trovarono una camera mortuaria nascosta. Dopo aver ottenuto i permessi per poter aprire il sito archeologico, le autorità dominicane trovarono un feretro che conteneva frammenti ossei e una targa con la scritta: “Qui riposano i resti del Primo Ammiraglio don Cristoforo Colombo”. «Questo ritrovamento venne documentato da numerose autorità dominicane, ed è ritenuto autentico da molti storici di fama internazionale» spiegò la donna, cercando di convincere lo spagnolo. Poi riprese: «Da allora, la nostra tesi è che i resti inviati a Cuba fossero quelli di Diego Colombo, figlio dell’Ammiraglio, sepolto nella chiesa vicino alla tomba di suo padre. Altre fonti indicano, invece, che i resti inviati all’isola vicina potrebbero essere stati quelli di altri membri della famiglia Colombo, poiché nel pantheon della Prima Cattedrale d’America erano stati sepolti altri discendenti dell’Ammiraglio.» «Se prendiamo per buona la teoria dominicana, allora perché si sarebbe commesso un errore così grossolano per una questione così importante?» domandò lo spagnolo, per cercare di mettere in difficoltà la donna con una storia che lui conosceva bene. «Esistono molte teorie, e bisogna tenere conto degli avvenimenti di quanto è accaduto sull’isola nel Cinque e Seicento» rispose Altagracia. «La ragione dell’errore dei resti mandati a Cuba, secondo la tesi dominicana, risiede nel fatto che quando Francis Drake minacciò di attaccare Santo Domingo nel 1585, le autorità di allora si affrettarono a riesumare l’Ammiraglio per proteggerne i resti. In seguito, non lo riportarono più nella sua ubicazione originaria, vicino all’altare maggiore. In nessun caso, comunque, esiste la certezza che ci fosse una lapide sulla tomba dello Scopritore.» 23


Gli uomini si scambiarono un’occhiata, mentre seguivano le spiegazioni del ministro. «In realtà» aggiunse Altagracia «la posizione dell’altare maggiore della cattedrale venne modificata diverse volte, nei cinquecento anni di vita di questo tempio così importante. Quindi la tesi dominicana poggia su una solida base storica, così solida da essere accreditata da tanti esperti internazionali.» «La versione dominicana è stata sempre rifiutata in Spagna» si oppose Oliver. «Quando si scoprì la nuova tomba nella cattedrale di Santo Domingo, mentre la Repubblica Dominicana era già un Paese indipendente e Cuba era l’ultima grande colonia spagnola nei Caraibi, l’Accademia Reale di Storia, su indicazione di Cánovas del Castillo, emise un verdetto chiaro: “I resti di Cristoforo Colombo, Ammiraglio del Nuovo Mondo, giacciono nella cattedrale dell’Avana, all’ombra della gloriosa bandiera di Castiglia”. Quindi, da più di un secolo i nostri Paesi si contendono il possesso degli autentici resti dello Scopritore del Nuovo Mondo, senza avere la conferma se voi o noi abbiamo il vero Cristoforo Colombo» concluse l’ispettore spagnolo. «Si sbaglia, signor Oliver. Adesso possiamo concordare sul fatto che né voi né noi abbiamo i resti dell’Ammiraglio» sentenziò Altagracia. *** Quando i tre uscirono dal municipio per andare a pranzo, la pioggia cadeva insistente sulla piazza della cattedrale. Centinaia di studenti, con la loro uniforme azzurra, cercavano riparo dall’acquazzone nei negozi vicini. Andrés osservò la statua di Cristoforo Colombo al centro della piazza, nella sua posa tipica con il braccio alzato. Vide che il mo24


numento aveva un’iscrizione; più tardi, sarebbe ripassato per leggerla. Si diressero tutti verso la Taverna Bari, in calle Hostos, vicino alle rovine dell’Ospedale di San Nicola. Il ristorante, situato in una delle case più antiche della zona coloniale, fu raccomandato insistentemente da Altagracia. Andrés ed Edwin, che non conoscevano il posto, si ritrovarono davanti un locale tranquillo, pieno di intellettuali dominicani che discutevano sui tanti temi della cronaca caraibica. Il posto offriva ai clienti una grande esposizione di opere pittoriche dei principali artisti dominicani. Al suo ingresso nel ristorante, Altagracia attirò l’attenzione di gran parte dei commensali, che subito si voltarono a guardarla. Chiaramente, era molto conosciuta dalla piccola élite intellettuale e politica del suo Paese. Ma Andrés pensò che i tanti sguardi potessero essere dovuti anche alla sua bellezza: una pelle vellutata e color cannella, capelli lisci e lunghi e forme scultoree. La donna rappresentava l’esempio più avvenente del meticciato nelle Antille. Furono fatti accomodare a un tavolo al piano superiore, vicino a una delle finestre. Altagracia consigliò ai commensali il granchio alla creola, lumache di mare e, ovviamente, un piatto di banana arrosto. «Inizia a piacerle il nostro Paese, signor Oliver?» chiese Edwin. «Sì, certo. Ci sono delle bellezze storiche incredibili e dei paesaggi naturali incantevoli… Ma soprattutto, mi ha molto colpito la gente.» «Magari riusciamo a farle conoscere anche la nostra gastronomia e, perché no, anche la nostra musica e le nostre tradizioni» aggiunse Altagracia. «Magari, sarebbe un piacere.» Decisero di darsi del tu, e bevvero insieme del buon rum.

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*** La notte portò con sé un meraviglioso cielo stellato. Ancora più spettacolare era la proiezione sul cielo di un potente raggio laser che, dal Faro di Colombo, disegnava una croce, visibile da quasi tutta la città. Oliver intuì che il raggio partiva proprio dall’edificio che ospitava i resti dell’Ammiraglio… qualora li avesse mai realmente custoditi. Lasciò l’hotel Jaragua, dove alloggiava. Prese a camminare sul lungomare, e rifletté sullo strano furto e la sua relazione con quello avvenuto a Siviglia. Senza dubbio, i ladri avevano agito in maniera coordinata nei due Paesi, e avevano voluto lasciare un segno con la firma dell’Ammiraglio su entrambi gli ingressi dei luoghi derubati. Oliver aveva appuntamento con i due colleghi in un bar dalla tipica atmosfera caraibica chiamato El Sartén. Aveva deciso di camminare un po’, in hotel gli avevano spiegato che il bar si trovava nella zona coloniale, a una trentina di minuti a piedi. Il sole al tramonto offriva dei colori straordinari riflessi nelle acque del Mar dei Caraibi che baciavano il lungomare. Notò che qualcuno lo stava seguendo. Ostentando indifferenza, Andrés si fermò in uno dei bar della zona che servivano rum e altri alcolici. Ordinò una birra Presidente, la più famosa del Paese, e mise in all’erta i sensi. L’uomo che lo seguiva proseguì diritto e sparì dalla vista. Andrés vide che si trattava di un tipo, sui trentacinque anni, con un completo marrone e una cravatta variopinta. Pensò subito che si trattasse di un poliziotto dominicano. Pagò la birra e proseguì veloce verso il punto di incontro. Quando arrivò, trovò un locale di piccole dimensioni, illuminato da tenue luci azzurrine, con una bachata che suonava in sottofondo. Scoprì che sia Altagracia che Edwin erano già arrivati. Si sedette con loro e raccontò quello gli che era successo. 26


Edwin cercò di allentare la tensione, per rallegrare la serata. «Sei pronto ad assaporare una notte caraibica?» chiese. «Be’, se i tuoi colleghi la smettono di farmi delle improvvisate, magari riesco a divertirmi» rispose secco Andrés. «Non so di cosa parli. Puoi stare sicuro che non si trattava di un collega. La scientifica non lavora così» rispose contrariato. «Domani parlerò direttamente con il capo della polizia e chiarirò questa faccenda, ma tu, come fai a essere certo che si tratti di un poliziotto dominicano?» chiese Altagracia, un po’ confusa. «Intuito professionale.» Per stemperare definitivamente la tensione, la donna propose di ordinare del rum, e invitò Edwin a ballare un merengue, così che lo spagnolo potesse osservare e imparare. Andrés Oliver li seguì con attenzione, ma capì che non sarebbe mai stato capace di volare sulla pista come loro. *** Il giorno dopo, in ufficio, Altagracia informò i suoi compagni di lavoro che aveva chiesto spiegazioni al dipartimento di polizia su quanto era accaduto la notte precedente, e aveva proposto di tenere una riunione congiunta per aggiornarsi sull’andamento delle indagini. «Ho la sensazione» iniziò a dire Oliver «che non stiamo toccando il cuore del problema. Magari il filo conduttore di questo caso non si trova nei resti in sé, di uno o dell’altro membro della famiglia Colombo, ma in un qualche altro mistero di quelli che hanno sempre circondato l’Ammiraglio dal giorno della sua morte.» «A cosa ti riferisci?» domandò il dominicano. 27


«La morte di Colombo ha lasciato irrisolti molti enigmi» continuò a spiegare lo spagnolo. «Se me lo permettete, posso elencarvi alcuni aspetti di questo personaggio storico che, cinquecento anni dopo la sua morte, restano ancora controversi.» «Prego» disse la donna. «Questo potrebbe aiutarci a mettere a fuoco il caso e magari aprire nuovi filoni d’indagine.» Oliver iniziò una spiegazione ordinata degli enigmi su Colombo. Il primo mistero, e uno tra i più significativi, era quello sulla sua origine. «I natali genovesi, anche se rimangono la tesi più accreditata, sono messi in discussione da molti studiosi. Come dimostrano molti scritti dell’epoca, risulta strano che Colombo non utilizzasse mai l’italiano nemmeno per rivolgersi ai banchieri genovesi. La sua possibile origine catalana, per esempio, sarebbe invece sostenuta dalla sua discendenza da una famiglia ebraica convertita. Una verità che Colombo avrebbe tentato di nascondere per tutta la vita e soprattutto nella fase degli accordi con i Re Cattolici. Questi infatti avevano decretato l’espulsione degli ebrei dal Paese, una decisione che fu all’origine di una forte avversione contro tutto l’ebraismo negli anni successivi. Per questo, non sarebbe strano pensare che il nostro Ammiraglio possa essere nato in Catalogna o magari in qualche posto delle Baleari.» «Mi risulta però che esistano anche altre tesi abbastanza fantasiose. Non è vero?» domandò Altagracia. «Hai ragione, sono state formulate delle ipotesi molto lontane dalla realtà» continuò Oliver. «Queste indicano che Colombo nacque in America, in qualche luogo remoto, popolato da quei templari che sarebbero salpati dal porto di La Rochelle il 14 ottobre del 1307 verso una destinazione sconosciuta. È vero che, quando il re di Francia Filippo il Bello e il suo cancelliere Gugliemo di Nogaret ordinarono 28


di arrestare tutti i templari, questi sparirono senza lasciare traccia e di loro non si è saputo più nulla. Quelli che propongono l’origine templare dell’Ammiraglio si basano sulla teoria che Colombo avesse conoscenze nautiche molto superiori a quelle dell’epoca, e che conosceva perfettamente la direzione che doveva seguire per arrivare al Nuovo Mondo.» Edwin seguiva le spiegazioni con un’eloquente sorpresa dipinta sul volto. Prima di quel momento, non aveva mai sentito nulla di simile. «Ovviamente, io non credo per niente a questa relazione tra il navigatore e l’Ordine del Tempio» disse lo spagnolo, ridendo. «Indipendentemente da queste teorie sulla sua possibile origine, è vero però che quest’ultimo punto, ossia la possibile conoscenza della rotta precisa per l’America prima di iniziare il suo viaggio, rappresenta il secondo grande mistero che gravita intorno al nostro Ammiraglio.» «Bé, io ignoravo anche questo» disse Edwin, sempre più incuriosito. «La tesi più credibile in questo senso fa riferimento a uno sconosciuto capitano» continuò a raccontare lo spagnolo. «Durante la sua permanenza a Porto Santo o in un viaggio a La Gomera, sembra che Colombo sia venuto in contatto con i superstiti di un naufragio. Una nave proveniente da ovest, con a bordo solo sei marinai vivi, avrebbe toccato terra, dopo un viaggio pieno di avversità e un terribile temporale. Il capitano di questa nave, che si chiamava Alonso Sánchez ed era originario di Huelva, nel sud della Spagna, durante il tragitto di andata era stato spinto verso ovest da un succedersi di forti venti e tempeste che gli avevano reso impossibile l’approdo a terra. Finito in mezzo all’oceano, senza vele e senza strumenti di navigazione, lui e la sua nave, persa ogni speranza, si lasciarono trasportare alla deriva, in balia del fato. 29


«Dopo dieci settimane di viaggio» continuò «la nave raggiunse un’isola dei Caraibi e i marinai, conquistato il favore dei nativi che credevano fossero delle divinità inviate dal Cielo, poterono rifocillarsi con la frutta. «Riempita la stiva, quei marinai iniziarono a circumnavigare diverse isole. È legittimo pensare che abbiano rimesso a posto gli strumenti indispensabili dell’imbarcazione e che possano aver lavorato sul calafataggio. Mesi dopo però, durante il viaggio di ritorno, quell’equipaggio venne flagellato da un gran numero di incidenti e di malanni. In particolare, una strana malattia colpì gravemente tutti quei marinai che avevano avuto dei rapporti con le native. «Il capitano, durante questo viaggio così difficile, sembra che abbia fatto di tutto per ricostruire la rotta e per ridisegnare le carte nautiche con grande precisione. Arrivato a terra, Alonso Sánchez sopravvisse solo sei giorni. Consegnò però le sue note e le sue mappe al navigatore Cristoforo Colombo che, a quei tempi, era al servizio del Portogallo.» «Non conoscevo questa storia» disse pensosa il ministro. «Neanche io» affermò Edwin, mentre si accendeva una sigaretta per rilassarsi dopo quella lunga lezione di storia. «Si tratta di fatti non molto noti e studiati da alcuni ricercatori che credono alla veridicità di questi avvenimenti anche se non sono supportati da prove inconfutabili. A sostegno di quanto vi ho raccontato, basti dire che a Huelva ci sono parchi, statue e altri monumenti dedicati ad Alonso Sánchez, il nostro misterioso capitano.» «Pensi che potrebbe esserci qualche relazione col nostro caso?» domandò Edwin. «Al momento non credo, anche se questa non è l’unica fonte da cui Colombo potrebbe aver attinto per indovinare la rotta che pensava lo avrebbe portato a Oriente.» Oliver spiegò che durante la sua permanenza in Porto30


gallo, Colombo era in contatto con un’élite di scienziati, geografi e navigatori. I migliori del mondo nautico del XV secolo. A Lisbona conobbe un tedesco che ebbe su di lui un grande ascendente. Si chiamava Martin Behaim, il primo geografo a costruire un mappamondo. «Contrariamente a quanto dice la tradizione, e a quanto molta gente crede erroneamente, Colombo non fu il primo a sostenere che la Terra era rotonda» commentò Oliver. «Quando il navigatore diede forma al suo progetto di arrivare alle Indie da ovest, la sfericità del globo terracqueo era già stata accettata. Il dilemma era la reale grandezza della Terra. Nessuno immaginava che si potesse andare in Oriente passando per l’Occidente. Colombo sapeva solo che, dopo circa settecento leghe marine, avrebbe trovato terra. O almeno così immaginava. E così, il nostro Ammiraglio, al termine del suo viaggio, trovò un Nuovo Mondo.» Altagracia si sistemò comodamente sulla sedia e chiese: «Quale sarebbe il terzo grande mistero relativo a Colombo?» «La sua strana firma» rispose Oliver. «E questo, senza dubbio, è il mistero che ci riguarda più da vicino…» Lo spagnolo non aveva ancora finito di parlare che il telefono di Edwin Torres cominciò a suonare. Il direttore nazionale della polizia li convocava urgentemente nel suo ufficio. Avevano trovato le prime tracce dei rapinatori. *** A bordo dell’auto di servizio del ministro, i tre arrivarono all’enorme palazzo della centrale di polizia in pochi minuti. Altagracia sentiva un brivido ogni volta che entrava in quell’edificio con le sue forme regolari e i soffitti alti, costruito all’epoca del dittatore Trujillo. L’architetto aveva 31


progettato il palazzo con il chiaro intento di impressionare e il risultato gli aveva dato ragione. Il lucido marmo grigio del pavimento e il granito verde scuro delle pareti conferivano all’edificio un aspetto sinistro, enfatizzato dalla presenza di grosse inferriate alle finestre. I tre investigatori erano seduti davanti alla scrivania del direttore nazionale attendendo il suo arrivo. Erano arrivati lì il prima possibile e ora trepidavano per avere gli ultimi aggiornamenti sulle indagini. «Che silenzio di tomba!» azzardò Edwin, guardando i suoi compagni. «Ben detto, amico mio» rise Oliver. Ancora sorrideva per la frase del collega dominicano, quando entrò il direttore accompagnato da altri due ufficiali di polizia. Si mise a sedere e cominciò: «Abbiamo individuato un appartamento in periferia dove i ladri si sono rifugiati, in questi giorni. Riteniamo che, durante tutto questo tempo, non si siano mossi da lì. Sfortunatamente, ci sono sfuggiti, ma credo che riusciremo a prenderli. Ho messo molti dei miei uomini sulle loro tracce. Staremo a vedere.» «Il ferito è ancora vivo?» chiese Edwin. «Sì, e tutto sembra confermare che sia stato curato in quello stesso appartamento. Abbiamo trovato delle bende e del materiale sanitario per curare una ferita da arma da fuoco. Abbiamo anche localizzato il fuoristrada nero e abbiamo trovato dei documenti, che vorrei sottoporre alla vostra attenzione.» Il capo della polizia dispose sulla scrivania decine di fogli. Per la maggior parte, si trattava di note scritte a mano dai ladri, ma anche disegni della cattedrale, del Faro e di altri luoghi storici della capitale dominicana, tutti ubicati nell’antica zona coloniale. «Sembra che avessero anche altri obiettivi» disse il capo. 32


«Mi preoccupa il fatto che avessero raccolto tante informazioni anche sulla cattedrale, sulle chiese e sugli altri monumenti della zona. Non riesco davvero a capire quale possa essere il piano di questi banditi.» «Cosa sono quegli appunti?» chiese lo spagnolo, indicando dei fogli con degli scarabocchi delle iscrizioni di vari monumenti dominicani. Ce n’era una che recitava: ILLUSTRE E NOBILE GENTILUOMO DON CRISTOFORO COLOMBO. «È l’iscrizione dell’urna in cui, nel 1877, furono ritrovati i resti nella nostra cattedrale» spiegò Altagracia. «Sembrerebbe che i ladri siano interessati a queste iscrizioni. Perché avrebbero dovuto copiare tante volte la stessa frase su questi fogli?» «La cosa si fa interessante» rispose Oliver. «Credo che gli autori del furto mirino a qualcosa di più delle spoglie.» Osservarono gli appunti buttati giù dai ladri. C’erano alcune tabelle con diverse combinazioni di parole e testi e provenivano tutte dalla bara in cui erano stati ritrovati i resti dell’Ammiraglio, così come le iscrizioni di alcuni monumenti eretti in onore di Colombo. «E le ossa? Non si trovavano nell’appartamento?» chiese Altagracia. «No, è l’unica cosa che non abbiamo trovato» rispose il direttore della polizia. «Voi avete idea di quale potesse essere il piano dei ladri? Perché erano tanto interessati a queste iscrizioni?» Si guardarono l’un l’altro, senza trovare una risposta.

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santo domingo



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Ho cominciato a navigare quando ero molto piccolo e ho continuato fino a oggi… Sono più di quarant’anni che faccio questo mestiere. Ho solcato tutto il mare che fino a oggi è possibile navigare. Ho conosciuto persone sagge, ecclesiastici e laici, latini e greci, ebrei e musulmani, e tanti altri di diverse etnie e diversi credi. Cristoforo Colombo, 1501

Avevano convocato, per una riunione, alcuni storici dominicani che, seguendo percorsi diversi, avevano tutti svolto delle ricerche sui resti di Colombo. Si trattava di esperti di chiara fama, unanimemente apprezzati dalla stampa e dall’opinione pubblica del Paese. Il luogo scelto per questo incontro non ufficiale con gli accademici era stato, ancora una volta, la Taverna Bari. Il piano superiore era stato chiuso per l’occasione. Un tavolaccio di legno si trasformò in un’improvvisata cattedra universitaria da cui la squadra di investigatori avrebbe dovuto ricevere una lectio magistralis di storia. L’obiettivo primario era trovare degli appigli che potessero aiutarli nell’indagine. Altagracia presentò gli illustri docenti convenuti. Il primo intellettuale, un uomo piuttosto anziano, con i capelli grigi, baffi e occhiali spessi, fumava un enorme sigaro la cui fragranza acre riempiva la stanza. Fu presentato come Rafael Guzmán, rettore della prestigiosa Pontificia Università Cattolica Madre e Maestra, conosciuta ai 37


più come PUCMM: un’istituzione creata nel 1962 dopo la morte del dittatore Trujillo e che riuniva una serie di discipline universitarie di grande importanza nella società dominicana. Il secondo erudito, professore dell’Università Autonoma di Santo Domingo, la UASD, era Gabriel Redondo. Aveva scritto diversi libri sulla scoperta dei resti dell’Ammiraglio nell’Ottocento, e si era specializzato nella storia dell’età colombiana, anche se il suo forte era lo sviluppo urbanistico di Santo Domingo negli anni successivi alla sua fondazione. Anche lui un po’ in là con gli anni, Redondo conservava in parte il colore originale dei capelli. I suoi tratti lasciavano intuire che da giovane doveva essere stato un bell’uomo. A chiudere il gruppo di storici, la prestigiosa professoressa dell’Istituto Tecnologico di Santo Domingo, l’INTEC, Mercedes Cienfuegos. Specialista in storia economica dell’età colombiana, con un dottorato in un’università americana, con le sue pubblicazioni si era guadagnata un’indiscussa credibilità a livello internazionale. L’espressione sul suo viso, accentuata da lineamenti squadrati, rivelava fermezza e affidabilità. I suoi capelli bianchi, lisci e pettinati elegantemente all’indietro, senza grandi pieghe, le conferivano un aspetto decisamente intellettuale. Oliver osservò con attenzione, uno per uno, tutti i professori, mentre Altagracia li presentava con profusione di complimenti indirizzati, soprattutto, alla sua mentore. L’ispettore spagnolo li ringraziò per la loro disponibilità e cercò di rompere il ghiaccio con una prima considerazione informale: «Vedo che lei sta fumando un bel sigaro cubano.» «Si sbaglia, signor Oliver» rispose Rafael Guzmán. «Questo sigaro è dominicano, di qualità di gran lunga superiore a quelli prodotti dai nostri vicini di isola.» «Allora chiedo scusa» disse lo spagnolo. «A essere sin38


ceri, io non fumo, e ho sempre pensato che i sigari fossero tipicamente cubani.» Edwin colse l’occasione per accendersi una sigaretta, e il fumo rese ancora più viziata l’aria della stanza. Altagracia decise di andare al nocciolo della questione e porse una prima domanda esplicita ai presenti. «Voi avete idea del perché i ladri sono interessati alle ossa di Colombo?» «Dovete sapere che quelle ossa hanno un grande valore sia storico che economico. Ci sono molte persone che pagherebbero per averle.» Spiegò il rettore, Rafael Guzmán. «Tutto ciò che ha a che fare con Cristoforo Colombo e con i suoi discendenti ha un enorme valore in questo Paese» si inserì Gabriel Redondo. «Basti pensare che quando saltano fuori alcune lettere dell’Ammiraglio, e molte sono dei falsi, vengono battute all’asta a prezzi esorbitanti.» «E anche l’urna dove si trovavano i resti ha un grande valore. In tanti sarebbero disposti a pagare una fortuna per averla. Dal giorno del furto, la stampa dominicana non ha fatto altro che versare fiumi di inchiostro…» disse Mercedes. «Se il movente del colpo fosse di natura economica, allora perché i ladri avrebbero lasciato una traccia disegnando la firma di Colombo sulla parete?» azzardò Edwin. «Abbiamo saputo che hanno rubato anche i resti di Siviglia, la stampa spagnola non parla d’altro» disse Rafael Guzmán. «L’azione combinata dei due furti, con le stesse firme lasciate in entrambi i casi, può stare a significare che gli autori del reato cercano di attrarre l’attenzione, o magari hanno voluto lasciare una pista che avesse un significato particolare per qualcuno.» Oliver spiegò che proprio questa era una delle teorie portate avanti dalle indagini della polizia spagnola, che si occupava del furto di Siviglia. Se il movente fosse stato solo 39


economico, i ladri non avrebbero mai lasciato una traccia così in bella vista tenuto conto delle dimensioni enormi della firma che campeggiava sulla cattedrale. «Voi poliziotti siete abituati a dubitare di tutto» si intromise Mercedes. «E se l’idea della firma fosse solo un modo per depistarvi? Io opto per il movente economico. In molti vorrebbero possedere i resti dell’Ammiraglio e pagherebbero profumatamente per averli.» «Allora, perché non hanno rubato anche gli altri oggetti preziosi custoditi nel Faro?» chiese Altagracia, mostrando un po’ di scetticismo. Gabriel Redondo spiegò che quei tesori erano di grande importanza per la storia dominicana, ed erano fondamentali per capire la scoperta del Nuovo Mondo e l’età precolombiana. Non bisognava dimenticare l’importanza dell’esposizione di arte degli indios taino, antichi abitanti dell’isola prima dell’arrivo degli scopritori. Probabilmente i ladri avevano attribuito maggior valore ai resti che ad altri oggetti presenti nel Faro. Il dibattito sull’autenticità delle ossa spagnole o di quelle dominicane aveva attirato una grande attenzione sui reperti. Forse i ladri non sapevano che la tomba di Colombo a Santo Domingo custodiva anche altri preziosi tesori. «Signori» cominciò a esporre il rettore Rafael Guzmán «questo è il Paese più antico d’America. Non è stato il primo Paese libero, ma è stata la prima nazione i cui eventi storici hanno segnato l’umanità. Il nostro passato è glorioso, anche se oggi, per le carenze della nostra classe politica e per la scarsità di risorse, la Repubblica Dominicana non occupa un posto di primo piano nel panorama internazionale. Ciò non significa che non esista amor patrio o amore per la nostra storia, e quindi, vi posso assicurare che tutto quello che è custodito nel Faro è di enorme valore per il popolo dominicano.» 40


«Cosa le fa supporre che i ladri siano dei vostri connazionali?» chiese Oliver. «Facevo solo delle ipotesi, signor Oliver, non volevo difendere una tesi specifica.» «Va bene.» «Io credo che non dovreste trascurare le nostre idee, anche se non vi convincono» assicurò Mercedes. «I misteri colombiani, legati al nostro passato e che non hanno trovato risposta negli ultimi cinquecento anni, potrebbero rivelarsi con il progredire delle vostre indagini. Su questo non nutro il minimo dubbio.» Altagracia strinse la mano di Mercedes Cienfuegos, un gesto che catturò l’attenzione di Oliver. *** Ritornati nei loro uffici, i tre investigatori fecero il punto. Edwin era dell’idea di continuare a indagare sul furto e intercettare qualunque tentativo dei ladri di vendere la refurtiva sul mercato nazionale e internazionale, attraverso un accordo con l’Interpol. Altagracia si disse d’accordo con questa linea di lavoro, avvalorata dalla conversazione con gli accademici dominicani e con l’ipotesi della polizia sul possibile movente economico del furto. «Andiamo nella direzione sbagliata» disse Andrés Oliver, cogliendoli di sorpresa. «Le teorie dei vostri amici sono assolutamente rispettabili. Ma la linea investigativa che stiamo portando avanti in Spagna è molto diversa.» «Ricordati che hai promesso di condividere con noi tutte le informazioni rilevanti per il nostro caso» ricordò Altagracia, con tono serio. «Dico solo che i miei colleghi spagnoli che stanno analizzando il furto della cattedrale di Siviglia seguono una pista 41


molto diversa dalla nostra. Li ho messi al corrente di tutte le informazioni che abbiamo su questo caso, e le due linee di indagine non convergono per nulla.» «Cosa suggerisci di fare?» chiese Altagracia. «Partire insieme alla volta di Siviglia e vedere quello che hanno trovato. Qui la polizia dominicana andrà avanti con le sue indagini.» *** Edwin andò a trovare il suo capo alla centrale di polizia. In pochi giorni, era la seconda volta che varcava la soglia di quell’imponente palazzo e ne osservò l’architettura sobria. Le enormi colonne e i soffitti alti facevano risuonare ogni passo del poliziotto. Entrò nella stanza del direttore nazionale e gli raccontò, nei minimi particolari, tutti gli elementi presi in considerazione finora, spiegandogli le ipotesi sulle dinamiche dei furti. «Partiamo per Siviglia per conoscere più approfonditamente quello che è successo in Spagna» disse Edwin, cercando il consenso del suo capo. «Va bene, ma ricorda che dobbiamo essere cauti in tutto quello che facciamo. Per noi è molto importante dare rilievo all’autenticità dei resti che ci hanno rubato. Dobbiamo recuperarli.» «Certo.» «Ma se noi trovassimo le nostre ossa, e loro no, allora…» «Che intende dire?» chiese Edwin, nervoso. «Ogni anno milioni di turisti visitano il nostro Paese per vedere il Faro di Colombo e i resti dell’Ammiraglio Scopritore del Nuovo Mondo. Riesci a immaginare che cosa succederebbe se non recuperassimo le spoglie? O se si ritrovassero solo quelle spagnole? Noi perderemmo milioni 42


di pesos provenienti dal turismo, uno dei pochi pilastri che reggono ancora la nostra economia traballante.» «Non capisco cosa c’entro io.» «Il presidente mi ha chiesto di fare tutto il possibile per rimettere ordine sulla questione della tomba di Colombo e per recuperare le nostre ossa il più rapidamente possibile. Se riuscissimo a dimostrare che le nostre spoglie sono quelle autentiche, o se recuperassimo solo le nostre… godremmo di un bel vantaggio per rilanciare il nostro Paese a livello internazionale. Capisci qual è la posta in gioco, adesso?» domandò, mentre aspirava profondamente la sua sigaretta, con lo sguardo perso verso l’alto. *** Altagracia si trovava nel suo ufficio al ministero, quando la segretaria le comunicò che al telefono c’era sua madre. Quel viaggio a Siviglia le era sembrato davvero una buona idea per dare nuovo corso alle indagini. Non era la prima volta che si recava in Spagna, ma era la prima volta che visitava Siviglia, la città dove giungeva tutto l’oro dalle Americhe. Come storica ed esperta di arte, non vedeva l’ora di visitare i tanti monumenti della città e, ovviamente, la cattedrale e la tomba spagnola di Colombo. «Ti ho preparato tutto quello che mi hai chiesto, però non so se sia una buona idea questo viaggio con un poliziotto e con questo spagnolo che conosci appena» le disse sua madre, preoccupata. «Per piacere, mamma, non cominciare con le solite prediche. Questo è il mio lavoro. Non ti preoccupare, un giorno troverò l’uomo che mi proteggerà e che ti darà tutti i nipotini che vuoi. Ma fino ad allora, lasciami lavorare tranquillamente.» 43


«Sei molto bella e devi stare attenta con gli uomini. Che tipo è questo Edwin Torres? Almeno è un poliziotto, forse vigilerà su di te.» «È un brav’uomo, molto simpatico, ci troviamo bene ed è un grande ballerino» le rispose Altagracia, ridendo. «Non ti starai mica innamorando di lui?» chiese la madre, pensando che tra i due potesse esserci qualcosa di più di una semplice relazione professionale. «Mamma, hai una fantasia…» *** Il giorno prima di partire per Siviglia, Oliver decise di fare acquisti nella zona coloniale della capitale dominicana. La vita da scapolo e il non avere tanti parenti che gli ronzavano attorno gli permetteva di dedicarsi con abnegazione al suo lavoro. Trascorreva la maggior parte del suo tempo alla polizia scientifica e alle lezioni universitarie. Pensò che qualche suo dottorando all’Università Complutense di Madrid avrebbe gradito un piccolo regalo in arte taina. A quasi quarant’anni, aveva ottenuto molti successi professionali come poliziotto anche se l’attività di docente all’università gli permetteva di frequentare un ambiente diverso, sicuramente meno teso dell’altro, dove poteva continuare ad arricchire le sue conoscenze. Un giorno, forse avrebbe raggiunto il suo obiettivo più importante, a cui lavorava da molti anni: mettere fine alla solitudine a cui ormai si era serenamente abituato. Prima o poi, avrebbe di certo risolto il caso più importante della sua vita. O almeno così sperava. In questo, le lezioni all’università si erano rivelate di grande aiuto. Entrò in un negozietto di calle El Conde dove c’erano moltissime maschere di legno, dipinti e rilievi di gesso con 44


motivi indigeni. Oliver chiese a una commessa se tutti gli oggetti in vendita fossero riconducibili all’arte taina. La ragazza gli rispose che probabilmente lo erano ma confessò di non essere così esperta da distinguere l’arte taina da quella dei vicini haitiani con cui la Repubblica Dominicana condivideva l’isola. Decise che alcune maschere di legno e dei tucani dello stesso materiale con colori vivaci sarebbero andati bene per i suoi alunni. Quando uscì dal negozio, camminò verso un piccolo ristorante all’angolo della strada, vicino alla plaza de Colón. Da lì poteva ammirare la cattedrale e la piazza dove la statua dell’Ammiraglio alzava il dito mentre la bella india Anacaona cercava di scalare il monumento per raggiungere il Grande Navigatore. Oliver ricordò che si era ripromesso di leggere l’iscrizione alla base del monumento. Chiese un rum, e mentre aspettava che glielo portassero si avvicinò. Un folto gruppo di piccioni circondava la statua, e quasi impediva il passaggio. Riuscì a leggere senza difficoltà la scritta alla base del monumento: ILLUSTRE E NOBILE DON CRISTOFORO COLOMBO

La stessa iscrizione che avevano trovato tra le carte dei ladri. Cercò di riflettere. I ladri erano interessati alle iscrizioni che avevano a che fare con la tomba di Colombo e probabilmente ne cercavano altre nei diversi monumenti colombiani. In questo caso, in una statua commemorativa nella piazza dedicata al maggiore Scopritore di tutti i tempi. Non doveva trascurare le iscrizioni in nessun monumento colombiano. Alzò lo sguardo e si ritrovò di nuovo davanti all’immagine dell’india Anacaona, la cui storia aveva sempre impressionato Oliver. 45


L’india lo fece commuovere ancora una volta. Era la prima volta che vedeva rappresentata fisicamente la bella eroina. I tratti di quella statua assomigliavano incredibilmente alle fattezze che Oliver aveva immaginato in tutti quegli anni. Rimase davvero colpito. Per molto tempo aveva idealizzato e addirittura mitizzato la figura dell’india, e adesso la poteva vedere in tre dimensioni. Quante volte aveva raccontato ai suoi alunni la storia di questa bella nobile taina, sorella del capo Bohechío, del regno Jaragua. Per un attimo, la sua mente si ritrovò nell’aula universitaria dove, per due giorni a settimana, insegnava ai suoi alunni diverse materie, tra le quali la storia dell’età colombiana. Si appassionava particolarmente nello spiegare la storia degli abitanti autoctoni dell’isola, i veri martiri della rapida colonizzazione spagnola. Forse perché era un argomento poco conosciuto della conquista del Nuovo Mondo. Era difficile parlare di un popolo che non aveva lasciato memoria storica e riuscire a far apprezzare la ricca cultura che fu schiacciata dagli spagnoli con la scusa di divulgare nuovi modelli di vita più moderni. Quando Colombò arrivo sull’isola di Hispaniola, esistevano cinque regni principali, con a capo potenti re. Uno di loro era Maguá, nella zona della Vega, a sud dell’attuale città di Santiago de los Caballeros e a nord di Santo Domingo. Un altro regno era quello di Marién, dove in seguito fu costruito Puerto Real. Il terzo regno era quello di Maguana, una terra bella e affascinante. Il quarto, era quello di Higuey. Infine c’era Jaragua, il regno dove abitava la prima india che imparò la lingua castigliana: Anacaona. Per spiegare ai suoi alunni la storia di questa donna fuori dal comune, Oliver usava la versione del padre Bartolomeo de Las Casas, da sempre considerato un fedele trascrittore degli antichi documenti di Colombo. 46


Sin dal primo momento, Anacaona, donna di grande intelligenza e intraprendenza, imparò a capire gli spagnoli e partecipò a molte avventure. Imparò con grande facilità la lingua castigliana parlata e scritta, e aiutò ad appianare molti conflitti provocati dalla difficile convivenza tra le due culture. Moglie di Caonabo, capo di Maguana, secondo le cronache dell’epoca era una donna di carattere e molto colta. Il suo nome significava “fiore d’oro”, e le sue composizioni, fatte di canti e poemi, venivano recitati nelle grandi feste dove, sotto la guida del capotribù, si cantavano e si tramandavano i miti della creazione. Suo marito Caonabo rimase coinvolto in diverse dispute con i colonizzatori. Diresse l’attacco al Fuerte Navidad, costruito con i resti di una delle prime navi che arrivarono al Nuovo Mondo: la Santa María. Questa nave, incagliatasi nella barriera corallina di Hispaniola, fu usata dall’Ammiraglio per costruire una fortezza dove si rifugiarono alcuni dei suoi uomini in attesa che i colonizzatori, in un secondo viaggio, facessero ritorno. Quando l’Ammiraglio arrivò, il Fuerte Navidad era stato distrutto, e tutti gli uomini del primo insediamento spagnolo nel Nuovo Mondo erano morti. Colombo catturò Caonabo per consegnarlo alla Spagna come prigioniero, ma questi morì durante la traversata. Dopo la morte di suo marito, Anacaona ebbe una vita avventurosa e molto intensa, a contatto con gli spagnoli. L’india taina fu più volte negoziatrice nelle dispute che spesso sfociavano in violente rivolte tra i coloni, l’Ammiraglio e i suoi uomini, grazie al suo talento nelle relazioni personali. Non solo aiutò a risolvere problemi di convivenza fra le due culture – spagnoli e indigeni –, ma spesso contribuì in maniera determinante a porre fine a rivolte fomentate dai coloni stabilitisi in varie parti dell’isola. La colonizzazione 47


del Nuovo Mondo in pochissimo tempo si era trasformata in un processo complicato e lei aiutò a riappacificare gli animi con la sua grande diplomazia. Nel terzo viaggio, a fronte dell’ingovernabilità in cui versava l’isola, Colombo fu arrestato insieme ai suoi fratelli e incarcerato a Santo Domingo. In seguito, fu condotto prigioniero in Castiglia, dove il re Ferdinando il Cattolico sciolse tutte le accuse a suo carico e gli restituì i suoi diritti. Ma l’Ammiraglio non tornò a governare l’isola. Prese il suo posto Nicolás de Ovando, che subito dopo la nomina si impegnò a sedare tutte le ribellioni. Per mettere fine alla rivolta di alcuni capi taino, ordinò di chiudere un gran numero di indios nelle loro capanne e di appiccarvi il fuoco. Poco dopo, Anacaona fu ingiustamente accusata di frode e fu impiccata, in uno degli episodi più deplorevoli della Conquista. Correva l’anno 1503. Oliver tornò nel ristorante dove aveva ordinato il rum. Trovò posto a un tavolo all’aperto, dove rimase ancora un po’ a contemplare la scultura di Anacaona. Dopo pochi secondi, si accorse di quanto somigliasse ad Altagracia…

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Il mistero continua...


Cristoforo Colombo, Ammiraglio del Mare Oceano, è uno dei personaggi più enigmatici e controversi della storia

per tutta la vita si adoperò fortemente per creare un’immagine di sé contraddittoria e ambigua

è l’unico personaggio dalla storia dell’umanità su cui ancora si dibatte in merito al suo luogo di nascita e a quello della sua sepoltura

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chi era davvero l’uomo che ampliò i confini del mondo?


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