Il papa mago

Page 1

M IGUEL RUIZ MONTAÑEZ

Tutto cominciò nell’anno Mille...

Illustrazione sovraccoperta: Kircher, Athanasius - Magnes siue De arte magnetica (Biblioteca Histórica “Marqués de Valdecilla”. Universidad Complutense de Madrid.) Immagine sovraccoperta: The Heavens, from ‘De Natura rerum’ by Thomas van Cantimpre (1201-72) (vellum) © Getty Images Progetto grafico: Costantino Margiotta/zero91 s.r.l.

ISBN 978-889538116-9

Il PAPA MAGO

Miguel Ruiz Montañez (Malaga, 1962) è ingegnere e laureato in Scienze Economiche. Da più di 10 anni è professore associato presso l’università di Santo Domingo, Repubblica Dominicana. Proprio in questo Paese è ambientata gran parte de La Tomba di Colombo, il suo primo romanzo. La potenza narrativa dell’opera e la sua trama complessa hanno costituito per l’autore un brillante esordio, tanto da raggiungere un successo di vendite e da essere tradotto in dieci lingue. Col suo secondo romanzo storico, Il papa mago, ci presenta uno dei personaggi più affascinanti e misteriosi della storia, legandolo ad una trama fitta e densa di sorprendenti colpi di scena.

Il

PAPA

In questo romanzo, Miguel Ruiz ci immerge in un’epoca appassionante, combinando con maestria una base storica ben documentata con una trama contemporanea, agile ed efficace, che ci terrà in sospeso fino all’ultima pagina.

MAGO

90

9, 788895 381169

Conosceremo uno dei personaggi più affascinanti della storia. Un uomo più evoluto del suo tempo che è divenuto leggenda.

M IGU EL R U I Z M ON TA Ñ EZ

€1 9

Alla fine del primo millennio accaddero in Europa una serie di fatti che provocarono grandi cambiamenti. Il mistero è resistito per più di dieci secoli e oggigiorno è difficile descrivere quel periodo senza conoscere Silvestro II, il Papa mago. Per alcuni fu un visionario, un saggio e un erudito, per altri un fattucchiere e un negromante.

zero | 91

www.zero91.com



Il papa mago


Nessuna parte di questa pubblicazione inclusa la copertina può essere riprodotta, immagazzinata o trasmessa in nessuna maniera tramite nessun mezzo, elettronico, chimico, ottico, di registrazione o di fotocopia, senza il permesso dell’editore. Tutti i diritti riservati. Titolo originale dell’opera: El Papa Mago Traduzione: David Santoro

© 2008, Miguel Ruiz Montañez © 2008, Ediciones Martinez Roca, Madrid Paseo de Recoletos, 4 - 28001 Madrid © 2009, zero91 s.r.l., Milano by arrangement with Il Caduceo srl Literary Agency and Antonia Kerrigan Agencia Literaria

I Edizione giugno 2009 ISBN 978-88-95381-16-9 Stampato in Italia www.zero91.com


Miguel Ruiz Monta単ez

Il papa mago Traduzione di David Santoro

zero|91



A Beatriz


Vidi un angelo scendere dal cielo, con la chiave dell’abisso e una grande catena in mano. Prese il drago, il serpente antico, che è il diavolo, Satana, e lo incatenò per mille anni. Lo gettò nell’abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto... Apocalisse 20, 1-3


LA STORIA

Alla fine del primo millennio, intorno al mitico anno Mille, si verificarono numerosi eventi che provocarono grandi cambiamenti. In un’epoca in cui le profezie sull’Apocalisse annunciavano la fine del mondo e la popolazione era terrorizzata al pensiero delle conseguenze del passaggio al nuovo millennio, strani avvenimenti scossero dalle fondamenta una società sprofondata nella barbarie. Questo racconto, i fatti e i personaggi storici che vi figurano sono reali, compreso lo stesso Gerberto d’Aurillac, il Papa Mago Silvestro II. Tuttavia, vi sono state inserite anche molte delle leggende giunte fino a noi, poiché al giorno d’oggi è difficile descrivere quell’epoca senza far cenno agli insondabili misteri che tuttora gettano un velo d’ombra su uno dei momenti più appassionanti della storia dell’umanità.



1 Reims Regione di Champagne-Ardenne (Francia)

U

n inatteso raggio di luce illuminò la scrivania del conte, tingendo di toni violacei la penombra in cui era immersa la stanza. Il cambiamento improvviso colpì l’attenzione del nobile e lo spinse a guardare attraverso un’enorme finestra spoglia, priva di vetri. Una splendida luna campeggiava in un cielo stellato dal quale, pochi istanti prima, nubi imponenti avevano rovesciato una gran quantità di pioggia. Era stato un altro di quei temporali estivi che a sera si abbattevano sulla campagna. Dal momento stesso in cui aveva approntato il suo studio nella stanza che occupava la parte più alta del castello, Pierre Dubois, conte di Divange, aveva compiuto notevoli progressi nelle sue ricerche. E ora, la nuova tonalità delle mura, livide come la sua carnagione, sembrava confermare la favolosa scoperta che aveva appena fatto. Le pergamene illuminate dal tenuo chiarore non lasciavano dubbi: la testa parlante, la macchina infernale creata dal Papa Mago, doveva trovarsi proprio lì, nel castello in cui i suoi antenati avevano vissuto per secoli. La scoperta gli fece perdere il controllo e, tra grida scomposte, discese verso le cantine. Quelle pareti costruite con immensi blocchi di pietra, rivelavano l’antichità dell’edificio che, vecchio di oltre mille anni, era stato usato come fortezza per buona parte del Medio Evo e aveva subìto, nelle tante battaglie, danni tali da richiedere profondi restauri. Un edificio aggiunto nel XIX secolo era destinato alla vita familiare e ospitava inoltre il personale di servizio; dotato di

9


tutte le comodità, costituiva un’abitazione moderna e confortevole, in evidente contrasto con il baluardo medievale. L’arrivo del conte nell’ala sinistra gettò nello scompiglio i domestici, che osservarono stupiti il nobile visibilmente in preda all’agitazione. «Dobbiamo scavare dietro la parete sud!» gridò. «Sono le tre del mattino, signor conte» osservò il suo assistente. «Lo so. Ho appena scoperto che siamo fuori strada. Sono più di duecento anni che cerchiamo nei posti sbagliati.» «Allora potremmo forse aspettare ancora un po’...» «Non dire sciocchezze! Fai venire gli operai e che si preparino a iniziare immediatamente una nuova ricerca. Cominceremo appena spunta il sole» ordinò. Il conte aveva dedicato tutta la vita a quella particolare crociata, degno prosieguo di quella dei suoi antenati, e ora non avrebbe atteso neppure un minuto dopo la scoperta fatta pochi istanti prima. Doveva sapere se davvero era possibile svelare uno dei più grandi misteri della storia. Preso dall’impazienza, scese fino alle fondamenta del castello, senza controllare se sua moglie e sua figlia stessero dormendo. Se le sue idee fossero state giuste, l’intero pantheon familiare avrebbe vibrato in un simile giorno di gloria. E non era cosa che si potesse rimandare. Tastò con le sue stesse mani il muro, che coincideva per posizione e perfino per dimensioni con le indicazioni delle pergamene. La pietra sembrava davvero antica, simile a quella impiegata nelle prime opere di fortificazione intorno al X secolo. Considerò l’idea di maneggiare lui stesso i pesanti strumenti usati il giorno prima dai suoi operai nei lavori di perforazione ma poi, ricordandosi del suo precario stato di salute, desistette. Nel frattempo, una passeggiata nei vigneti al chiarore della luna lo avrebbe aiutato a rilassarsi, del resto sarebbe stato inutile mettersi a dormire solo per pochi minuti.

10


Prima di quel momento, non si era mai aggirato per i suoi possedimenti a quell’ora, quando migliaia di stelle disegnavano un incredibile arazzo sopra la regione di Champagne. Tutta l’area che riusciva ad abbracciare con lo sguardo, come del resto la maggior parte delle piantagioni adiacenti, apparteneva ai Dubois da molte generazioni. La sua famiglia era legata alla produzione delle bollicine fin dai tempi in cui l’abate benedettino Dom Pierre Pérignon, la cui tomba si trovava nelle vicinanze, scoprì per caso come produrre il re dei vini. Da allora, la regione intera era diventata una miscela di storia e di passione per il liquido destinato a diventare il più famoso del mondo. Tutti avrebbero vissuto per sempre sotto il segno di quella bevanda scintillante. Si mise sotto la pergola di una delle terrazze e colse di sfuggita un paesaggio ondulato colmo di viti che si protendevano cariche di frutti. “Una buona vendemmia”, pensò. Ma il creatore dello champagne non era il solo a essere sepolto nei dintorni del castello. Molti altri francesi famosi, uomini e donne, avevano reso illustre la patria da quella contrada. Infatti, anche l’uomo che più gloria aveva dato alla Francia, Charles de Gaulle, dormiva nelle vicinanze il suo sonno eterno. Ma in quel momento tutto ciò non gli sembrò più importante. Pierre Dubois aveva dedicato il suo percorso professionale, tutta la sua esistenza, a sviscerare la vita di un individuo misterioso, un compatriota illustre. Silvestro II non era nato a Reims, ma aveva raggiunto il culmine della sua sapienza in quelle terre. Non c’erano dubbi: Gerberto d’Aurillac era originario del paesino da cui prendeva il nome e che era assai distante dalla regione, ma aveva raggiunto la perfezione spirituale e scientifica nel cuore dello Champagne-Ardenne. E se c’era qualcuno che era legato

11


all’arrivo del nuovo millennio, il termine di un’epoca infausta, quello era stato proprio il Papa Mago, il primo Papa francese, il Papa matematico. Molti epiteti per una stessa persona, il che, senza ombra di dubbio, era indice di una personalità controversa. Al conte però piaceva soprattutto uno dei suoi soprannomi, il più rivelatore di tutti: il Papa dell’anno Mille. Di enigmi intorno a questo curioso personaggio ne esistevano a centinaia. Lo avevano accusato di aver stretto un patto col diavolo, di praticare la stregoneria e di appropriarsi delle conoscenze scientifiche degli arabi. Secondo un’antica leggenda, alla nascita di Gerberto un gallo aveva cantato tre volte, e lo avevano sentito fino a Roma... Dio solo sapeva se i malefici e la negromanzia che gli venivano attribuiti fossero mai stati praticati da questo intellettuale che era stato arcivescovo di Reims, poi di Ravenna e si era infine seduto sul trono di Pietro. Tutto ciò non poteva apparire normale in un uomo capace di ideare macchine, dominare le scienze matematiche e attuare politiche inusuali per la sua epoca. Non era strano che i suoi contemporanei vedessero, in quell’uomo tanto intelligente, un mago. Nell’alto Medio Evo, quell’umile contadino non avrebbe potuto diventare Papa e scienziato se non con l’aiuto del diavolo. Se i suoi calcoli si fossero rivelati giusti, si sarebbe potuto finalmente stabilire la verità. Mille anni dopo, il mondo avrebbe conosciuto gli incredibili segreti di un uomo senza pari che aveva gettato le basi perché tutto cambiasse. Il conte alzò lo sguardo e constatò che l’orizzonte cominciava a tingersi d’arancio. Non ricordava quanto tempo fosse rimasto lì, ad ogni modo un’acuta lombaggine gli sferzò le reni quando fece per alzarsi, probabilmente a causa del freddo notturno che era penetrato nel suo corpo malandato.

12


Senza curarsene più di tanto, si sollevò come poté e si diresse alla cantina, dove lo attendeva disciplinatamente la squadra di lavoro al completo. Appena lo vide, l’assistente gli si fece incontro per chiedere istruzioni. «Seguitemi!» biascicò il conte. «Da quella parte abbiamo già provato un’infinità di volte» osservò l’aiutante. «Non nel modo in cui lo faremo oggi.» Con una sicurezza inconsueta, ordinò di trasportare il pesante macchinario verso un muro di contenimento che non dava accesso a nessun luogo. «Finora abbiamo scavato tutta la superficie della cantina pensando che ciò che cerchiamo si trovasse nel sottosuolo» disse puntando l’indice verso la terra estratta dal pavimento. «E dove se no?» chiese il caposquadra. «Ai lati. Togliete questa pietra!» accarezzò più volte un’enorme lastra che, incastonata con altre, costituiva una parte dell’immenso muro delle fondamenta del castello millenario. Gli operai applicarono il martello pneumatico lì dove le pietre si congiungevano. Il frastuono rese per alcuni istanti intollerabile la loro presenza nel locale ma, qualche minuto dopo, il pietrisco sembrava ormai separato dal resto, per cui il caposquadra ordinò di fermarsi. Uno degli operai notò che un grosso frammento non era più stabile e prese a smuoverlo con le mani per cercare di estrarlo. Accortosi che si era aperta una cavità nella spessa parete, il conte chiese all’uomo di liberarla dei detriti e introdusse, in quel varco, il suo corpo debilitato. Quando la polvere si depositò, alla luce della lanterna apparve un’ampia sala in cui centinaia di oggetti erano sparsi irregolarmente. Sembrava che il luogo fosse stato abbandonato secoli prima e in gran fretta. Tutto era ricoperto da uno spesso strato di sudiciume che impediva di riconoscere la maggior parte degli strani arnesi che vi si trovavano. La vista del conte tardò pochi secondi ad abi-

13


tuarsi alla profonda oscurità appena scalfita dalla falce di luce della lanterna. Al centro della stanza, Pierre Dubois, conte di Divange, trovò quel che storici, archeologi e studiosi avevano cercato per secoli ininterrottamente. Una testa immensa, una macchina gigantesca, mostruosa e perversa, fedele rappresentazione della sofferenza, un enorme moncone dolente, si ergeva su un solenne piedistallo di marmo nero come l’incarnazione dell’inferno, e osservava il conte con lo sguardo più sinistro mai visto da essere umano negli ultimi mille anni.

14


2

I

l conte dovette respirare a fondo tre volte prima di arrivare a una prima conclusione. Bisognava licenziare la maggior parte degli operai, certo, con un compenso generoso per il lavoro svolto e trattenere solo un gruppo di lavoratori fidati per aprire un varco di accesso al locale più comodo. Una volta che fu ben illuminata, la sala rivelò la presenza di una moltitudine di oggetti e macchinari che avrebbero richiesto molte ore di studio. Eliminare la polvere depositata, catalogare, mettere in funzione e comprendere l’uso cui erano destinati tanti dispositivi avrebbe comportato un’ingente mole di lavoro. Le poche persone autorizzate a entrare si sforzavano di non guardare direttamente negli occhi quel busto orribile. Trasmetteva delle strane sensazioni creando un’atmosfera inquietante. Jean Luc Renaud, l’assistente personale del conte, cercava di esaminare la macchina da un punto di vista scientifico, senza badare all’orribile aspetto che l’apparecchio presentava nel suo complesso. Armatosi di tutto il coraggio di cui disponeva, pronunciò la frase che tutti attendevano. «È la testa parlante del Papa Mago?» «Proprio così» rispose il conte con un’espressione ambigua, che mescolava la gioia di aver raggiunto l’obiettivo più desiderato e lo stupore provocato dall’aspetto sconcertante del mostro. «Questa dev’essere, senza dubbio, la macchina creata dal Papa sapiente.» I presenti si aggiravano attorno all’incredibile scoperta

15


nel tentativo di afferrare la natura di quel prodigio sinistro. Senza distogliere lo sguardo da esso, Pierre Dubois balbettava tutto quel che gli passava per la testa. «Ci troviamo di fronte a uno dei segreti cui più è stata data la caccia nell’ultimo millennio. Fin dalla sua creazione sono sorti dubbi sulla sua autenticità e molti non hanno mai creduto alla sua esistenza. Eppure, non era passato molto tempo dalla morte di Silvestro II che cominciarono gli attacchi che avrebbero dato origine a tante leggende, alcune insensate, altre più ragionevoli. I templari diedero perfino un nome a questa meraviglia − Baphomet1 − e l’adorazione che le tributarono, tra le altre cose, costò loro la vita. Si è parlato molto di questa testa nel processo che portò allo scioglimento dell’Ordine del Tempio e, forse per via del fatto che non si fece nessuna chiarezza, la leggenda continuò a circolare per secoli, finché il nostro compatriota Eliphas Lévi, in pieno secolo XIX, dedicò buona parte dei suoi studi al Baphomet e a ciò che rappresenta. Mio dio, ancora non posso credere che ci troviamo davanti a un prodigio come questo, che può spiegare tante cose...» «Cos’ha in bocca?» chiese ancora Renaud, indicando una delle parti della macchina che, come una cavità orale, presentava una serie di stecche metalliche disposte parallelamente. Ad ognuna di esse era intrecciata una serie di tubi che si perdevano nell’oscuro interno del macchinario. «È un abaco» rispose il conte senza esitare. «Vuol dire uno di quegli antichi arnesi per fare i calcoli?» chiese nuovamente l’altro spalancando gli occhi. «Esatto. Potremmo dire che in qualche modo l’abaco è il predecessore dei calcolatori che conosciamo oggi e, nella sua forma più complessa, addirittura il lontano parente degli attuali computer.» 1 Il primo riferimento noto al termine Baphomet si deve a un cavaliere dei templari, chiamato Gaucerant, che descrisse la testa come realizzata in figuram baffometi.

16


«Ma se questa orribile creatura è un’invenzione del nostro Papa Silvestro II, si conosceva l’abaco già nel X secolo?» «Anche molto prima. È stato inventato autonomamemente da culture diverse, in periodi diversi. Ce n’erano di europei, orientali, americani e molti altri. La sua origine si perde nella notte dei tempi. Contrariamente a quanto si pensa, gli esseri umani si sono preoccupati di contare, prima che di scrivere.» «Non ci capisco niente» disse Renaud. «Voi avete passato la vita alla ricerca della famosa testa parlante del Papa Mago. Negli ultimi secoli gli archeologi di mezzo mondo gli hanno dato la caccia e adesso questa è, senza dubbio, una testa, ma... come potrebbe parlare?» «La testa parla e ne ha di cose da raccontare. Questa macchina sfrutta le profonde conoscenze matematiche del suo inventore. La bocca è uno strumento per l’immissione dei dati, qualcosa di simile alla tastiera di un computer. Ora il nostro compito è riuscire a far funzionare un automa millenario.»

*** Gli scalini gli sembravano più alti del solito. Era subito accorso alla chiamata della contessa, ansiosa di essere messa al corrente del ritrovamento. Una pausa cadeva a proposito per riprendere le forze. La osservò prima di entrare nella sua stanza da letto. I bei capelli biondi lavati da poco ondeggiavano lievemente al vento. Dalla finestra, sua moglie sembrava sorvegliare i campi in una giornata in cui un sole radioso faceva maturare i grappoli della prossima vendemmia. Donna energica e perspicace, la contessa di Divange, Véronique Dubois, accolse il marito con un ampio sorriso. Un bacio sulla guancia bastò a esprimere il suo rallegramento per la scoperta. «Questa notte ti abbiamo sentito urlare, credevamo si

17


trattasse di un altro dei tuoi falsi allarmi» disse la donna. «Nostra figlia non ha chiuso occhio tutta la notte. Sai quanto è sensibile.» «Come sta Guylaine?» chiese il conte preoccupato per la persona che più amava. «è in pena per te, è da troppi mesi che sei immerso in questo progetto. Tutta la vita, a dire il vero. Nessuno si spiega cosa ti stia succedendo.» «Non importa. Per fortuna la nostra ricerca ha avuto successo.» «Oh no, adesso dovrai lavorare ancor di più.» «Abbiamo trovato dei marchingegni davvero interessanti e, soprattutto, la testa parlante. Certo, dovremo intraprendere una ricerca rigorosa che richiederà molte ore di lavoro, ma lo farò senza fretta. Lascia che ti dimostri di essere in grado di recuperare il nostro rapporto e di essere un buon marito, un buon padre e perfino un amante accettabile.» «Ci sono cose che non cambiano, Pierre. I miracoli non esistono.» La contessa spinse con forza la porta del bagno, chiudendo così la conversazione.

*** Tra grandi sorprese e delusioni, i giorni successivi passarono rapidi, grazie all’eccitazione prodotta dal fatto di avere riunita in una sola stanza una moltitudine di apparecchiature di cui occorreva svelare i segreti occulti. Neanche uno dei dispositivi era accompagnato da indicazioni pur sommarie che ne illustrassero il funzionamento, anche se certi piccoli marchingegni, una volta ripuliti e catalogati, sembravano chiaramente destinati a un uso preciso. Gli astrolabi di forme e misure diverse rappresentavano la parte più semplice da analizzare. Tuttavia, un gruppo di macchinari di piccole dimensioni dotati di centinaia di

18


ingranaggi che ruotavano in varie direzioni mise a dura prova l’intelligenza dei presenti. La testa parlante era senza dubbio l’oggetto più complesso tra tutti quelli ritrovati. Realizzata in bronzo, mostrava ancora tracce dell’antico bagno in oro che doveva averla ricoperta in precedenza e che le dava un aspetto ancor più sinistro. Il conte la fece misurare e prese nota di ogni possibile dettaglio. L’altezza, superiore ai due metri, le dava un’aria imponente e in larghezza era di dimensioni ancora maggiori. Quanto alla profondità, a causa dei molteplici meccanismi che la mostruosa costruzione conteneva al suo interno, anch’essa faceva sì che la macchina occupasse uno spazio notevole. Nel complesso, si trattava di un immenso monumento al diavolo, sui cui usi e scopi nessuno si azzardava a fare ipotesi. La parte anteriore era la più imponente. Il volto, indescrivibile e sconcertante, apparteneva a un essere indefinito, metà umano e metà animale. Lo sguardo di quel mostro avrebbe folgorato chiunque avesse osato guardarlo dritto negli occhi. La bocca, molto grande, sembrava uno strumento per introdurre nella macchina dei dati, proprio come aveva spiegato il conte. Malgrado il suo aspetto potesse far pensare a un abaco tradizionale, con le sue caratteristiche stecche per i calcoli, la sua forma mostrava chiaramente che quella parte del marchingegno era il punto di accesso alla macchina, poiché diversi dispositivi conducevano al suo interno. Neppure i meccanismi posteriori lasciavano dubbi. Quel mostro meccanico doveva avere una funzione ben precisa. Era stato costruito per uno scopo ben determinato che dovevano scoprire. «Voi sapete a cosa serve?» chiese al conte l’assistente, frastornato dagli avvenimenti. «È evidente che si tratta di uno strumento per effettuare calcoli e rispondere a domande precise» rispose con lo

19


sguardo fisso sulla moltitudine di tubi, sbarre, leve, ingranaggi e pulsanti collocati al suo interno. «Penso che dovremmo studiare qualcuno degli arnesi che sono nella sala per capire il funzionamento di questa macchina. Quel che è chiaro è che se a costruirla è stato proprio lui prima di diventare Papa, Gerberto d’Aurillac deve aver attinto a segreti custoditi in libri molto antichi, probabilmente arabi o indù. E senza quei libri sarà difficile far funzionare questo aggeggio.» «Ma se davvero l’ha costruita Gerberto, cioè il Papa Silvestro II, perché ha questo aspetto diabolico?» «È una giusta osservazione. Come sai lo accusavano di praticare la stregoneria e di aver stretto un patto con Satana. Credo che abbia costruito questa macchina poco prima dell’anno Mille, e sai già quali strani fatti accadevano all’epoca» il conte si voltò per poterlo guardare negli occhi. «Ma io ho una teoria diversa. Credo che il nostro Papa abbia dato questo aspetto terribile alla macchina per tenerne lontana la gente. Per qualche ragione che ignoriamo, sapeva che, in mani sbagliate, questo apparecchio sarebbe stato un pericolo.»

*** L’interno della sala avvolta nella penombra si presentava, una notte di più, inospitale. Il conte era riuscito a fare appena qualche progresso nelle sue ricerche e l’umidità gli stava penetrando nelle ossa. Non ricordava da quanti giorni era immerso in quel lavoro a cui aveva dedicato tutto il suo tempo e senza mai riposarsi. La polvere depositata sul suo corpo lo faceva addirittura sembrare un fantasma. Dei passi sulla soglia della stanza lo fecero tornare alla realtà. La vide avvicinarsi piano, come se non volesse disturbare. Era sua figlia Guylaine che veniva a portargli la cena. «Questa storia deve finire. Bisogna che ritorni alla vita

20


normale, che passi più tempo di sopra e che riposi. Si è perso il conto dei giorni che non dormi.» «Non riuscirei a chiudere occhio neppure volendo» rispose dandole un bacio mentre l’abbracciava. Pierre Dubois aveva dedicato la sua vita a due cose; ora entrambe si trovavano riunite nella stessa stanza. «Lo studio dei fatti misteriosi accaduti alla fine del primo millennio è stato sempre al centro della mia carriera professionale e gli ho dedicato tutta la mia vita. Se c’è un paese che può custodire i segreti di quell’epoca, è il nostro, quello in cui il millenarismo ha trovato la sua massima espressione. Quel periodo, il passaggio dal 999 all’anno Mille, ha fatto tremare milioni di persone. Erano convinte che si sarebbero avverate le più tremende profezie apocalittiche, credevano che sarebbe arrivata la fine del mondo mille anni dopo la nascita di Cristo. Ci furono grandi carestie, avvistamenti di mostri marini, eclissi di luna eccezionali, piogge di stelle e comete e, anche, uno spaventoso meteorite che rimase visibile nei cieli d’Europa per più di tre mesi intorno all’anno Mille. Con tanti misteri da risolvere, credi che possa fermarmi proprio adesso?» Malgrado la passione con cui si era prodigato a risolvere gli enigmi millenari, la gioia più grande della sua vita restava sua figlia. La guardò negli occhi e si accorse che piangeva. «Vedi Guylaine, tu sai perché tutto questo mi stia così a cuore» le disse prendendola tra le braccia e passandosi tra le dita una ciocca dei suoi capelli biondi. «Se c’è una cosa che voglio chiarire a questo mondo, è proprio questa, perché so che lo devo a tutte le generazioni della nostra famiglia che hanno abitato questo castello. E qui sembra esserci tutto ciò che mi occorre per risolvere questo enigma così complesso.» «Va bene, ma prometti almeno di tenermi informata

21


delle tue scoperte.» Lo sguardo limpido e trasparente che gli rivolsero gli occhi azzurri di Guylaine Dubois fece capire al conte che avrebbe sempre avuto il sostegno di sua figlia.

*** La chioma stopposa e rada di Pierre Dubois, quasi candida all’età di settant’anni, dopo giorni di ricerche incessanti appariva in disordine e trascurata. Una timida espressione di curiosità traspariva dal suo viso al termine delle ultime verifiche. Poco a poco, riuscì a riattivare diverse parti della macchina misteriosa. La funzione di una serie di dispositivi collegati a numerosi pulsanti collocati sulla parte posteriore risultava chiara. Una volta azionati, il marchingegno eseguiva regolarmente delle semplici operazioni che riuscì a identificare. Più complesso si rivelò il compito di inviare ordini attraverso la bocca, per mezzo dell’abaco. Tuttavia, la questione principale su cui si interrogava era se quell’arnese servisse solo per realizzare semplici calcoli matematici o invece per ottenere risposte complesse a domande precise. Dalle osservazioni di cui via via prendeva nota, si deduceva che il meccanismo era stato progettato da un essere superiore, visto il labirinto di elementi meccanici in esso contenuti. Applicò metodicamente le conoscenze ottenute dalle apparecchiature più piccole e, poco a poco, riuscì a comprendere a cosa servisse ogni parte e ciascuno dei diversi componenti. Il suo nervosismo aumentò quando constatò che tutte le parti dell’automa erano collegate tra loro e che non restava che azionarle insieme. Respirò a fondo e tentò la sorte. Tirò la leva dell’accensione. Quel che avvenne avrebbe cambiato la vita del conte. Mille anni dopo la macchina riprese a funzionare.

22


3

S

tava vivendo un momento particolare e l’inquietudine riuscì a svergliarla anche quella notte. Negli ultimi giorni si era sentita molto sola. Suo padre non dormiva già da molto tempo, aveva perso peso e, probabilmente, anche la ragione. Non aveva neppure un’idea chiara di come stesse sua madre e di quali fossero i suoi pensieri. E come se non bastasse, trovarsi in quella stanza così grande, per quanto arredata in modo confortevole, le dava un ulteriore senso di disagio. Guylaine era sempre stata del parere che il palazzetto adiacente al castello non fosse adatto alla vita familiare, forse perché fin da piccola aveva sofferto per i continui screzi tra i suoi genitori che, in uno spazio tanto grande, sembravano destinati a non trovare mai un punto di incontro tra loro. Negli ultimi anni le cose si erano complicate, le incomprensioni reciproche avevano messo solide radici. Poteva ricordare l’infinità di volte che aveva riflettuto sulla personalità dei suoi genitori, su quanto erano diversi, sui modi opposti che avevano di vedere la vita. Pensò a loro ancora una volta. Suo padre – appassionato, indipendente, un po’ timido, affettuoso, dedito agli studi e brillante – l’aveva sempre trattata con rispetto e considerazione, al punto che lei ne aveva fatto il suo punto di riferimento praticamente per ogni cosa. A quasi trent’anni, Guylaine Dubois poteva affermare di dover molto a suo padre, sia sul piano materia-

23


le che per quanto riguardava la sua formazione personale. Per contro, sua madre aveva un carattere passionale, ma di una veemenza eccessiva. Di fatto, ogni volta che cercava di capirla si scontrava con un muro invalicabile che lei stessa aveva costruito, affinché neppure la figlia potesse andare al di là delle apparenze. Più d’una volta le aveva chiesto direttamente e senza giri di parole il motivo della sua rinuncia a farsi capire, a esprimere i suoi sentimenti e a mostrare la sua vera indole. In fondo, non era poi strano che ognuno vivesse nel proprio mondo ormai da anni e che il rapporto tra loro fosse considerato irrecuperabile. Per tutte queste ragioni, di fronte a caratteri tanto diversi, i suoi tentativi di rafforzare l’unione tra i genitori erano sempre stati infruttuosi, una causa persa. La luce del giorno cominciava a filtrare dalle tende quando un intenso dolore alla schiena le ricordò le decine di volte che si era rigirata nel letto e che adesso, con ogni probabilità, le avrebbero presentato il conto. Come se non bastasse, ricordò che all’università l’aspettava una giornata dura, visto che doveva esaminare gli studenti alla prima ora e poi riunirsi con gli altri professori per definire le vacanze estive e stabilire il programma del corso successivo. Raccolse le energie, saltò giù dal letto e si diresse in bagno. Da lì telefonò al personale di servizio perché le preparassero la colazione.

*** Fu sorpresa di trovare sua madre ai fornelli. La cucina era affollata per la presenza di buona parte dei domestici del castello che non volevano perdersi la novità di vedere la contessa condire delle pietanze. Perfino Jean Luc Renaud, il serio e professionale assistente del conte, mostrava sorpresa e soddisfazione per l’iniziativa della contessa.

24


«Non credo di ritrovare nella mia memoria una scena come questa» disse Guylaine con un ampio sorriso. «Tuo padre non si fa vedere in quest’ala della casa da molti giorni e qualcuno deve prendere il timone...» disse Véronique stringendo tra le mani un gran tocco di carne. «Ho deciso di preparare uno Chateau-briand alla mia maniera. Te lo ricordi?» «A essere sincera, no. E qual è il motivo?» «Dobbiamo fare in modo che tuo padre esca dal quel luogo orribile. La mia ricetta non può fallire. Con un po’ di fortuna, oggi mangerà qui.» «Brava mamma!» «Allora vai a dirgli di uscire da quel loculo, di farsi una doccia e di essere pronto all’ora di pranzo per mangiare il suo piatto preferito.» «Vado.» Scese nella lugubre cantina, sorridendo per la bella trovata di sua madre. I pensieri notturni sul cattivo stato del rapporto tra i suoi genitori svanirono all’istante, come se fossero stati una coppia felice che andava d’amore e d’accordo dal giorno delle nozze. Al solo pensiero di spingere le loro vite in quella direzione sentiva che le tornavano le forze. Doveva convincere suo padre ad accettare l’invito a pranzo. Si infilò nella feritoia che avevano aperto nella parete di pietra. L’apertura angusta, come una porta improvvisata e la penombra che regnava nella stanza le diedero una lieve sensazione di claustrofobia che superò con decisione. All’interno della stanza notò qualcosa di strano. Un vago odore di zolfo la trattenne per un istante. “Probabilmente avranno utilizzato qualche prodotto chimico negli esperimenti”, pensò. Cercò dietro gli scaffali su cui erano stati classificati ordinatamente quegli strani apparecchi. Sembrava non esserci nessuno. Aguzzò la vista nel tentativo di scorgere suo padre

25


dietro la macchina. L’oscurità e le grandi dimensioni dei marchingegni le impedivano di vedere se stesse lavorando sul retro. Girò attorno al mostro e constatò che il conte non era neppure lì. Dapprima ebbe un’impressione positiva. Magari era salito a fare un bagno e a riposare. Finalmente una buona notizia. Quando si girò per attraversare di nuovo la feritoia, vide il biglietto. Una busta ingiallita, affissa sul volto spaventoso della testa parlante, per un istante, le fece battere il cuore più forte. Con grafia tremolante, Pierre Dubois aveva scritto una lettera chiarificatrice. Annunciava che partiva alla ricerca della verità.

*** I singhiozzi di Guylaine attirarono l’attenzione di tutti i presenti nella stessa cucina in cui poco prima risuonavano le risa. Véronique si tolse rapida il grembiule per assistere la figlia che, tra le lacrime, le mostrò la lettera che aveva tra le mani. La contessa, manifestando un improvviso cambiamento d’umore, chiese a tutto il personale di ritirarsi, eccetto Renaud, e lesse a voce alta. Care Véronique e Guylaine, gli ultimi giorni sono stati i migliori della mia vita. Malgrado mi abbiate visto in preda a una grande agitazione, sono stato felice come mai mi era capitato in vita mia. Tanti secoli dedicati alla ricerca dell’opera del nostro Papa Mago sono stati infine ricompensati. Non so quante generazioni si sono dovute avvicendare nella nostra famiglia perché trovassimo il segreto e svelassimo l’enigma millenario. All’inizio mi ci sono voluti giorni, settimane, per capire cosa contenesse questo arcano marchingegno, perché

26


nessuno immaginava che la testa parlante fosse in realtà un’astuta combinazione di arte, scienza e... credo stregoneria. I meccanismi, i tubi, i dispositivi e tutti i singoli componenti contenuti in questo busto miracoloso sono stati costruiti con la più massiccia dose di magia mai utilizzata dagli esseri umani. Ora posso affermare, senza ombra di dubbio, che si tratta dell’autentico Baphomet, l’idolo adorato dai templari e ricercato per secoli da molti studiosi. Ancora non so se questo apparato sia nato con l’aiuto del diavolo, che secondo l’Apocalisse si sarebbe scatenato nell’anno Mille, se sia il frutto della più misteriosa magia degli arabi o se sia semplicemente il prodotto della mente complessa del nostro Papa Silvestro. La cosa certa è che è accaduto. La macchina ha parlato. La contessa si fermò per prendere fiato e, nel frattempo, riflettere su quel che stava leggendo. Con la coda dell’occhio guardò sua figlia per vedere se anche la sua espressione rivelava la stessa sorpresa che quelle parole suscitavano in lei. Osservò il fedele assistente del marito, curvo e costernato per quanto aveva udito. Raccolse le forze e riprese a leggere. Non è stato facile capire ciò che voleva dirmi questo mostro terribile, dato che le mie conoscenze matematiche sono buone, ma non sono all’altezza di un cervello come quello di Silvestro. Per un po’ ho creduto che la testa avrebbe risposto a domande semplici, concrete e tipiche di un’epoca in cui la barbarie imperversava nelle campagne, nei paesi e nei castelli e in cui solo i monasteri erano al riparo dai tempi infausti. Ma mi sbagliavo. Il messaggio contenuto in questo aggeggio è inequivocabile e inatteso. Un perfetto modello matematico – a metà tra la scienza e il sortilegio – porta senza via di scampo a una conclu-

27


sione certa che l’apparato riesce a dimostrare. La stessa cosa che ha detto nell’anno Mille, la stessa che sta dicendo adesso. La fine del mondo è arrivata. La respirazione di entrambe si fece percettibilmente più rapida. Guylaine aveva smesso di piangere e il suo viso mostrava chiaramente lo sconcerto che la lettera produceva in lei. Guardò la madre e notò che la sua espressione manifestava incredulità rispetto al contenuto di quello scritto. Una breve pausa servì per affrontare gli ultimi paragrafi. Questo mondo è alla fine. Non c’è dubbio. Non ci sono equivoci possibili. Il modello è perfetto e può essere dimostrato senza alcuna crepa. Ma ci sono ancora cose che possiamo mettere in salvo. C’è qualcosa che possiamo fare. E devo trovare la via per arrivarci. Prima che tutto giunga al termine, devo trovarlo. Me ne vado di mia volontà. Non preoccupatevi per me. Starò bene in questa crociata personale che devo intraprendere da solo. Perciò vi chiedo di non seguirmi e di stare tranquille fino al mio ritorno. Abbiate cura di voi fino a quel momento. Pierre Dubois Conte di Divange Jean Luc Renaud lasciò la sala in fretta, non amava mostrare i suoi sentimenti in presenza di altri. Aveva trascorso tutta la vita accanto al conte e che fosse partito senza contare sul suo aiuto lo addolorava profondamente. Una volta sole, le due donne si abbracciarono. La figlia prese di nuovo a piangere, mentre sua madre lasciava vagare lo sguardo all’esterno. Il tempo era cambiato. Dense nuvole nere avanzavano verso di loro, minacciando tempesta.

28


4

Parigi

N

on aveva mai visto un ingorgo come quello che si trovava davanti: l’uscita verso Porte Maillot era completamente bloccata da diversi minuti, senza alcuna possibilità di tirarsi fuori da quella trappola. Per di più, il frastuono dei clacson finì per complicare ulteriormente la situazione. Se una persona come lui, un uomo di trent’anni e nato lì, non riusciva a tollerare i continui imbottigliamenti, era difficile immaginare come potessero sopravvivere i milioni di cittadini venuti da fuori che abitavano in quella splendida ma insopportabile città. Per l’ennesima volta sarebbe arrivato tardi. Giunto in vista dell’alta cuspide dell’hotel Concorde Lafayette, riuscì a prendere una strada meno trafficata. Forse le cose non andavano poi così male. Un colpo di fortuna gli consentì di parcheggiare senza problemi. Il ristorante Chez Robert aveva tutti i tavoli occupati. Non sarebbe stato facile individuare la persona con cui aveva appuntamento a pranzo. Il maître gli andò incontro e gli chiese di seguirlo. «Ciao Marc. Tuo zio ti aspetta ed è abbastanza nervoso.» Lui stesso lo avrebbe accompagnato al tavolo migliore, nell’angolo riservato ai migliori clienti. Marcos Miñón, il fratello di suo padre, osservava l’orologio mentre parlava al telefono. Vedendolo arrivare lo salutò facendogli cenno di sedersi. Aveva l’aria impaziente. «Finalmente sei arrivato» disse al nipote.

29


«Colpa del traffico.» «Allora potevi uscire prima» disse bruscamente, scrutando da capo a piedi il suo abbigliamento. «Eccomi. Vuoi solo pranzare con me o c’è dell’altro?» Respirò a fondo prima di parlare. Se non fosse stato per suo fratello, per il suo passato, non avrebbe mai fatto affidamento su suo nipote Marc per una faccenda come quella. Tuttavia il ricordo dei tempi in cui la sua famiglia aveva dovuto affrontare situazioni complicate, lo aveva spinto a pensare che occorreva far inserire in qualche modo quel ragazzo. Sessant’anni prima, i genitori di Marcos Miñón avevano abbandonato la Spagna dopo la guerra che aveva diviso in due il Paese. Lui e suo fratello erano nati lì, ma erano cresciuti in Francia, come molti altri spagnoli dell’epoca. «Tuo padre ti ha dato il mio nome, eppure siamo molto diversi.» «Non mi avrai fatto venire per rifilarmi l’ennesima ramanzina. Ricordati che ormai ho più di trent’anni.» I due fratelli avevano rilanciato un’agenzia investigativa ereditata alla morte del padre. I primi anni erano stati duri, per via dello stato in cui versavano gli affari dopo la lunga malattia del detective Mignon, nome scelto per evitare l’uso della ‘ñ’ che impediva ai clienti di riconoscere facilmente il suo nome. Col passar del tempo, tutta la famiglia finì per utilizzare questa grafia per presentarsi in pubblico. Marcos, il fratello maggiore, aveva guidato l’impresa con efficienza, tanto da farne in dieci anni una stimata agenzia parigina. Aveva dedicato la vita a questo progetto, tanto che la sua abnegazione al lavoro gli aveva impedito di metter su famiglia. La solitudine lo aveva accompagnato per tutti quegli anni e soltanto il fratello gli era stato vicino nei momenti

30


difficili. L’arrivo del suo primo e unico nipote, Marc, fu un avvenimento che i Miñón accolsero con grande gioia. Ma tutto questo durò fino alla morte, avvenuta in circostanze poco chiare, del fratello e della cognata. Accadde mentre investigavano su un caso apparentemente semplice. Un freddo mattino d’inverno un vecchio si era presentato in agenzia. Voleva che un detective controllasse se i suoi figli erano coinvolti in qualche giro di droga perché intendeva lasciare l’eredità a qualcuno che proseguisse l’attività di famiglia, un’onorata impresa di import-export con oltre un secolo di storia denominata Baumard. Malgrado l’incarico non sembrasse presentare complicazioni, Marcos e suo fratello subirono diverse aggressioni durante le indagini. Quando si trovarono sul punto di consegnare le loro conclusioni al cliente, si verificò il terribile incidente. Dopo aver assistito all’opera nel moderno edificio della Bastille, i genitori di Marc stavano tornando a Montparnasse, dove avevano appena acquistato un appartamento con una stanza in più, grande e soleggiata, in modo da assicurare al figlio un luogo adatto in cui crescere e studiare. Era una notte di pioggia. Mentre rincasavano un fragoroso temporale si stava abbattendo su Parigi. L’automobile perse il controllo e si schiantò contro il parapetto della Senna. La polizia attribuì l’incidente alla velocità eccessiva e al maltempo, tuttavia alcuni testimoni ebbero l’impressione che un veicolo nero avesse tamponato l’auto dei genitori di Marc, facendo perdere loro il controllo. Non si riuscì a individuare il veicolo sospetto, né a trovare un collegamento tra l’incidente e il caso su cui stavano investigando. Era accaduto più di vent’anni prima e aveva messo fine al periodo di stabilità della loro vita. «Allora, vuoi dirmi il motivo per cui desideravi vedermi?» disse il nipote, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. «È scomparso un conte nella regione di Champagne, vicino Reims. Ha lasciato una lettera in cui esprime il desi-

31


derio di non essere cercato e per la polizia non c’è nulla di strano, ma la moglie – la contessa – e soprattutto la figlia insistono per ritrovarlo. È stata presentata una denuncia per estendere le ricerche anche all’estero, ma le due donne vogliono che la nostra agenzia svolga delle indagini autonome, per non lasciare nulla d’intentato.» «E io che c’entro in tutto questo?» «Si tratta di un caso facile che potresti gestire da solo e una buona occasione per cominciare a occuparti dell’agenzia.» «Non prendertela, ma... ho mai detto di voler lavorare con te?» «L’agenzia Mignon è anche tua. Sei l’unico erede di tuo padre.» «D’accordo. Ma questo non vuol dire che debba lavorarci per forza» disse Marc manifestando il suo stupore. «Senti, non puoi continuare a fare il ragazzino che corre di qua e di là a salvare il mondo. Le tue avventure con Greenpeace andavano più che bene quando hai finito gli studi, ma a tutto c’è un limite. Io ti propongo di iniziare una carriera nell’agenzia, la tua impresa, e di prenderne in mano le redini. Io ormai ho una certa età. Cosa mi dici?» «Non so. Ci devo pensare.» Il suo sguardo si rivolse istintivamente all’esterno, mentre prendeva un sorso dal bicchiere.

*** Il traffico caotico continuava a paralizzare la città. A pensarci bene, non avrebbe fatto male a fare una passeggiata e ad aspettare che le centinaia di automobili che intasavano il Boulevard Périphérique si fossero disperse. Dal luogo in cui si trovava gli Champs Élysées rappresentavano per Marc Mignon un obiettivo ragionevole. Parigi era uno spazio inesauribile, una città che, per

32


quanta strada facesse, gli permetteva di passare inosservato. Il pranzo con suo zio gli aveva messo una certa inquietudine ed era vero che già da diverso tempo si arrovellava sul suo futuro. Era ormai più di un anno che aveva lasciato il suo posto da Greenpeace. Il tempo speso dando la caccia alle navi nell’Atlantico, o fotografando orsi polari al Nord, avrebbe sempre rappresentato per lui il ricordo migliore del suo passato. Dopo di allora aveva collaborato sporadicamente con altre organizzazioni e al momento aveva un rapporto stabile con un’organizzazione non governativa che si occupava di aiuti ai Paesi africani. Vissuta intensamente e a ritmi serrati, la sua gioventù era finita in un batter d’occhio. Suo zio gli aveva ripetuto centinaia di volte di smetterla, di progettare la sua vita così come faceva qualsiasi altro giovane della sua età. Ma in fondo, era evidente che per lui si trattava di una fuga continua, un buon pretesto per non pensare alla famiglia che aveva perso e all’adolescenza solitaria che aveva avuto. La piazza Étoile, con l’imponente Arco di Trionfo a presidiare l’entrata degli Champs Élysées, gli indicò che era ormai giunto a destinazione. Scelse una brasserie con i tavolini all’esterno, vicino al posto che più gli piaceva di tutta la città: l’imponente Virgin Megastore, dove passava spesso le sere alla ricerca delle musiche dei Paesi che aveva visitato. Starsene lì a guardare la gente che passava, assaporando una birra ghiacciata, lo avrebbe messo in condizioni di riflettere su quell’offerta di lavoro. Se c’era qualcuno che lo conosceva bene, quello era lo zio Marcos. Di fatto, per tanti anni gli aveva fatto da padre, fino a quando aveva raggiunto la maggiore età e aveva cominciato a volare da solo, veloce e privo di rotta. Pur essendo riuscito a terminare gli studi, conduceva da più di dieci anni una vita nomade, vagando per una

33


quantità di Paesi e battendosi per cause perse contro giganti, imprese inquinanti, stati corrotti e altre entità che causavano danni continui all’ambiente e che erano i suoi mulini privati contro cui, come qualsiasi Don Chisciotte, si era battuto per molto tempo, forse troppo. Dal punto di vista pratico l’offerta dello zio non era poi così insensata. In fondo poteva voler dire trovare un impiego stabile per il futuro e la strada per raggiungere una felicità che non aveva mai trovato perseguendo obiettivi irraggiungibili. Non che simili questioni gli importassero più di tanto, ma di sicuro desiderava cambiare vita già da tempo. E la proposta di entrare nel mondo delle investigazioni non era male. Suo padre era stato un detective, di quelli bravi, a quanto pareva. Suo zio, un uomo serio e tutto d’un pezzo, aveva a sua volta dedicato la vita a quella professione. Era evidente che si trattava di un buon lavoro, che permetteva di viaggiare, conoscere gente, condividere situazioni interessanti e, soprattutto, assicurava uno stipendio, cosa sulla quale non sempre aveva potuto contare negli ultimi anni. Era possibile che quel lavoro gli procurasse la stabilità che a volte desiderava nella vita. O forse no. Perché a volte aveva l’impressione che il passato avesse lasciato sulla sua mente un’impronta che non poteva controllare, che lo obbligava a cambiare progetto e città ogni sei mesi. Perciò l’offerta di suo zio era una sfida, poiché avrebbe dovuto dimostrare a se stesso e agli altri che era in grado di gestire la propria vita e di essere una persona ragionevole e che, di conseguenza, le persone avrebbero potuto riporre fiducia in lui. D’altra parte, il lavoro che gli era stato offerto presentava alcune incognite. Come la maggior parte della gente, non sapeva niente di delitti, non conosceva le tecniche investigative e probabilmente non avrebbe saputo come comportarsi in determinate situazioni.

34


Tuttavia era evidente che il caso non sembrava difficile. Inseguire un vecchio pazzo, un conte suonato, non si presentava come un compito impossibile per un investigatore alle prime armi. In un modo o nell’altro, nella sua mente si fece strada l’idea che questa prima sfida non rappresentava un ostacolo tale da impedirgli di iniziare una nuova avventura. Senza neppure accorgersene, Marc Mignon aveva preso una decisione. Si era trasformato in un detective improvvisato.

35


M IGUEL RUIZ MONTAÑEZ

Tutto cominciò nell’anno Mille...

Illustrazione sovraccoperta: Kircher, Athanasius - Magnes siue De arte magnetica (Biblioteca Histórica “Marqués de Valdecilla”. Universidad Complutense de Madrid.) Immagine sovraccoperta: The Heavens, from ‘De Natura rerum’ by Thomas van Cantimpre (1201-72) (vellum) © Getty Images Progetto grafico: Costantino Margiotta/zero91 s.r.l.

ISBN 978-889538116-9

Il PAPA MAGO

Miguel Ruiz Montañez (Malaga, 1962) è ingegnere e laureato in Scienze Economiche. Da più di 10 anni è professore associato presso l’università di Santo Domingo, Repubblica Dominicana. Proprio in questo Paese è ambientata gran parte de La Tomba di Colombo, il suo primo romanzo. La potenza narrativa dell’opera e la sua trama complessa hanno costituito per l’autore un brillante esordio, tanto da raggiungere un successo di vendite e da essere tradotto in dieci lingue. Col suo secondo romanzo storico, Il papa mago, ci presenta uno dei personaggi più affascinanti e misteriosi della storia, legandolo ad una trama fitta e densa di sorprendenti colpi di scena.

Il

PAPA

In questo romanzo, Miguel Ruiz ci immerge in un’epoca appassionante, combinando con maestria una base storica ben documentata con una trama contemporanea, agile ed efficace, che ci terrà in sospeso fino all’ultima pagina.

MAGO

90

9, 788895 381169

Conosceremo uno dei personaggi più affascinanti della storia. Un uomo più evoluto del suo tempo che è divenuto leggenda.

M IGU EL R U I Z M ON TA Ñ EZ

€1 9

Alla fine del primo millennio accaddero in Europa una serie di fatti che provocarono grandi cambiamenti. Il mistero è resistito per più di dieci secoli e oggigiorno è difficile descrivere quel periodo senza conoscere Silvestro II, il Papa mago. Per alcuni fu un visionario, un saggio e un erudito, per altri un fattucchiere e un negromante.

zero | 91

www.zero91.com


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.