Manuale del perfetto venditore di droga, un romanzo con business plan

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Apri il tuo regno, sia fatta la mia volontà, come in cielo così pure a Scampia.

MANUALE del perfetto venditore di droga

In copertina foto © GettyImages/Laurent Hamels

Alessandro Esposito

Alessandro Esposito (Napoli, 1974) ha trascorso un decennio turbolento in giro per l’Italia, un’Italia borderline. Poi una conversione, non religiosa, lo porta lontano dalle periferie. Ora vive a Milano, ha due figli e, dopo aver lavorato per quattro anni per la più grande agenzia di pubblicità meneghina, si è messo in proprio. Un’attività legale, questa volta. Manuale del perfetto venditore di droga è il suo esordio letterario.

MAN UALE

del perfetto venditore di

DROGA romanzo con business plan

Questo è il diario lercio di uno spacciatore che vive nella periferia più malsana di Napoli, ai bordi di una metropoli violenta e immorale tra donne da conquistare e trans da fottere. Questa è la vita depravata di un ragazzo senza nome che ha avuto come scuola la strada. Come madre una zoccola. Come padre un bidello cornuto. Un ragazzo che è un re magio in un presepe chimico illuminato da mille neon color piscio. Il ritmo delle sue giornate è scandito da coca da vendere e perversioni da consumare. La sua unica certezza è che dio te la manda buona, se sai scegliere il dio giusto. La salvezza forse arriva anche per lui sotto forma di un controverso manuale che fa del crimine un’arte. Manuale del perfetto venditore di droga è un romanzo che descrive un’Italia invisibile che giornali e televisioni non riescono a raccontare. Un libro – ispirato agli anni più oscuri dell’autore – che lacera La scimmia sulla schiena di Burroughs innestandola agli incubi consumistici della Vita liquida di Bauman.

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Alessandro Esposito

MANUALE DEL PERFETTO VENDITORE DI DROGA romanzo con business plan

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Manuale del perfetto venditore di droga, romanzo con business plan Copyright © 2010 Alessandro Esposito Copyright © 2010 zero91 s.r.l. Viale Molise 51 20137 – Milano Stampato in Italia Prima edizione: giugno 2010 ISBN 978–88–95381–22–0

Ogni riferimento a persone realmente esistenti è da considerarsi puramente casuale. Ogni riferimento a vicende realmente accadute è da considerarsi puramente intenzionale.

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Il buono e la speranza esistono sempre. Anche nei posti pi첫 immondi, anche nelle persone pi첫 sfortunate, anche in libri come questo.



Diario lercio di Scampia



Manuale del perfetto venditore di droga

Io ho trentuno anni. Mia madre ne ha quarantasei. Di lei scrivono: “Angelina si chiava mezzo rione”. E anche: “Angelina succhia alla grande”. “Andate al quarto piano che si scopa.” Al quarto piano abitiamo noi. Mia mamma si chiama Angela, Angelina per noi tutti, per chi la scopa e per chi le scrive queste dediche sui muri dei palazzi. A me, comunque, qui mi rispettano. Mi faccio volere bene, così di questo fatto non me ne parlano mai apertamente. Ma io penso che sia vero: in fondo mia madre è una zoccola, né più né meno. Come tante di loro, qui sui ballatoi. Ne ho la ragionevole certezza. Di sicuro mia mamma si è portata a letto anche Frank o’ Pacchero. Uno che comanda nel mio rione e che fa i soldi con la droga. Soprattutto con la droga. Lo chiamano o’ Pacchero perché mena bene le mani (il pacchero è lo schiaffo). Io pure faccio qualche affare con lui. Poi, sempre mammina, si è portata di sicuro a letto anche Luca Orzata e Giovanni o’ Rosso che abita nel palazzo dirimpetto al nostro. In verità si dice che, una volta, insieme a questo Rosso, ci stava anche un altro tipo a penetrarsi mia madre. Una cosa a tre, lei al centro. 7


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Che poi io mica per queste cose me la prendo con lei. No, io me la prendo con quel cornuto di mio padre che è un bidello ed è una merda. Chissà quanto poco cazzo le dà. Lei adesso lo va cercando negli androni dei palazzi e sui ballatoi. Evidentemente vuole recuperare il cazzo perduto. Io sono rimasto figlio unico. Perché quel cuore di coniglio di papà invece di riempirla di sperma diceva a mia madre che era meglio essere prudenti. Meglio fare un solo figlio, che uno solo sicuramente sarebbero riusciti a mantenerlo, col suo stipendio da bidello. Quando qui fanno otto figli a coppia e tutti mangiano strabene, cazzo! Vorrei dirlo a quel bidello di mio padre: in otto mangiano meglio di noi tre messi insieme. Si sa: ci si inventa qualcosa e si mangia. In cinque, in sei, in otto, in dieci. Anche in venti. Benvenuti a Scampia. Qui funziona così: chi guadagna non lavora, chi lavora non guadagna. Fanculo.

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Sono le quattro di pomeriggio e io ho da fare. Scendo in strada, senza preoccuparmi delle scritte su mia madre. Anche per altre donne del quartiere ci sono dediche spruzzate con lo spray. Per una, Rosaria, avranno sprecato almeno tre bombolette: sono descritte le posizioni con tanto di bei disegnini, i fumetti di come urla, come vuole essere chiamata quando si mette a pecora e quanto è brava a bersi sempre tutto. Una cosa d’artista. In più, c’è anche un grafico supplementare che ritrae la sua vagina, con due nei evidenziati con una precisione che non lascia dubbi sulle conoscenze dell’autore in materia. Mia mamma non è a casa, forse davvero se lo sta facendo battere nel culo da qualche ragazzo in qualche garage del quartiere. Sicuramente non si sta facendo scopare da Frank o’ Pacchero. Perché lui è davanti a me, ora. È con lui che devo faticare. O’ Pacchero e i suoi hanno trovato un buon business, un affare nuovo da affiancare a quelli di sempre. Si tratta di limoncello. Sì, proprio limoncello. Produzione e immissione nel mercato di una bella bottiglia con tanto di etichetta con foto di costiera amalfitana. Tutto fatto da loro, ovviamente. Hanno iniziato a venderlo a Napoli, su qualche bancarella e in spacci di terz’ordine. Adesso invece lo mandano pure al Nord. 9


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Un tipo di non so dove è riuscito a infilarlo nella grande distribuzione dei discount. “Vero limoncello di Sorrento” c’è scritto sull’etichetta. Ma niente è vero in questa bevanda gialla fosforescente. È una merda e basta. Di limoni di Sorrento, nemmeno l’ombra. Tutta frutta di battaglia. Spesso – questo l’ho visto con i miei occhi – si tratta di agrumi andati a male. Li tengono in buste marcite sotto il sole. Con un girotondo di moscerini e mosche a fargli la festa. E anche lo zucchero, l’acqua, gli aromi: tutto è merda pura nel limoncello che produce o’ Pacchero. Tutto è falso, ovviamente anche la sigla della Comunità Europea e le altre certificazioni stampate sull’etichetta tanto per darsi un tono. Qualcuno dice che Mennella, la vecchia che dirige le operaie che imbottigliano questa porcheria negli scantinati della sua vecchia casa, ci piscia anche dentro. Così, per dispetto. Io non ci credo ma, per precauzione, non lo bevo mai. Il mio compito è caricare duecento casse su un camion. Io il muletto lo so usare – ho lavorato per quattro mesi in una fabbrichetta come addetto al magazzino – e quindi mi chiamano sempre per mettere la merce sui mezzi. Sanno che sto zitto, non rompo le palle e faccio bene il lavoro. O’ Pacchero mi vuole bene. E in più, si scopa pure mia madre. Insomma, ho la sua benedizione. Inoltre se devo comprare droga per rivenderla, posso sempre prenderla da lui. Ci troviamo tutti vicino alla casa di Mennella, mentre escono in fila – con gli occhi puntati ai piedi – le ragazze che, con l’imbuto, passano il limoncello dalle botti alle bottiglie. Hanno tutte sui sedici anni e sono alla fine del loro turno di lavoro. Fanno tutto manualmente per venticinque euro al giorno. 10


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Al Pacchero e i suoi le bottiglie costano novanta centesimi l’una e le rivendono ai grossisti a uno e cinquanta. Nei negozi si trovano a due e ottanta. In Germania, perché arrivano anche lì, a quattro euro. Viaggiano verso il mezzo milione di bottiglie già vendute. Sono soldi, cazzo. «Carica dai» mi dice un amico del Pacchero, dopo avermi offerto un caffè in un bicchierino di plastica. Mi metto subito al lavoro. Di qua, di là, su, giù. Traack... traack... Guido come il barone rosso dei muletti. Avanti e indietro, come un pazzo, e dopo neanche tre ore è già tutto a posto. Casse sul camion, bancali perfettamente incastrati. «Ho finito.» Loro annuiscono soddisfatti. «Passa domani, che ti diamo anche il “vecchio”.» Il vecchio sono milleduecento euro che devo avere per alcuni lavori dei mesi precedenti. Li avanzo ancora. Con i centocinquanta di quella giornata, sono milletrecentocinquanta. Spero che magari mi allungheranno millecinque – cifra tonda. Qualche volta lo fanno. Torno a casa. Mia madre dorme, mio padre al suo fianco dorme e russa. Russata tipica da bidello: insignificante e fastidiosa. Vado diretto al frigo. Ci sono prosciutto cotto e provolone. Mangiati insieme sono ottimi, l’importante è dosarli bene (questione di equilibrio: il provolone non deve prendere il sopravvento sul prosciutto né tantomeno deve sostituire il pane, per questo deve essere tagliato a fette abbastanza sottili). Poi c’è il vino di quel fallito di mio padre. Ne prendo un bicchiere. 11


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Proprio come lui, il vino non sa di nulla. Penso al da farsi, l’indomani dovrò prendere quei soldi. Mille e dispari. Più altri duemila che ho già, fanno tremila e più. I duemila li ho guadagnati con Enzo Etiopia, un ladro che vive alla fine della mia strada. Lo chiamiamo così perché è più magro di una penna Bic. Gli ho fatto vendere a un mio conoscente un’intera refurtiva con una provvigione very good. Si trattava di oro, orologi di marca e gioielli per quasi ventimila euro. A volte riusciamo a vendere anche gli stereo o altra merce varia. Il mese prossimo dovrebbe arrivare un camion di jeans rubati in un magazzino del Nord. Ma adesso mi basta pensare a breve termine. So già cosa fare: voglio comprare la polvere. Coca. Con tremila euro posso comprare settanta grammi di roba buona. E già ho a chi darli, stuort’ o muort’. Ho un buon aggancio con un tipo di giù Napoli. Uno di Posillipo, la via dei signori. Sta sempre a cercare la bamba, lui e tutti i suoi amici, e io vado a vendergliela. Fanculo. A novanta o cento euro al grammo, conto di farci sei o settemila euro. Sono tutti figli di professionisti e di commercianti, gente con la grana che, durante la settimana, manco ti guarda negli occhi e che poi ti cerca il venerdì sera con le narici già larghe come le gambe di una troia in calore. Tra noi di qua e loro in riva al mare ci divideranno sempre dieci chilometri di strada e sessantacinque punti percentuali di disoccupazione.

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«...tredici, quattordici e quindici. Tieni.» Gli amici del Pacchero contano il money sotto i miei occhi e, come previsto, arrotondano a favore mio. Siamo in un’autorimessa. «Ci sta o’ Pacchero?» chiedo a chi mi aveva appena dato i soldi. «Sta dietro. Perché?» «Volevo chiedergli una cosa.» «Aspe’...» Frank viene e mi saluta: «Ué, compa’... dimmi tutto...» «Mi serve un po’ di coca...» Gli spiego cosa ho intenzione di fare. Gli parlo dei miei amici della Napoli bene. Ci metto poco a convincerlo, anche perché pago in contanti. Trentotto ore dopo avrei avuto, diviso in due buste, sessantotto grammi di coca, di quella ottima. Ne capisco di polvere magica e la controllo per bene. L’ho anche fumata: bomba. Come da copione, quei cannibali dei tipi di Posillipo – senza che io mi debba sforzare per venderla – comprano tutta la mia coca in due sole serate. Io staziono con la roba nascosta nella macchina di mio padre che parcheggio in un vicolo distante. Quando qualcuno vuole acquistare, gli dico di aspettare cinque minuti, vado in auto a prenderla e faccio la mia consegna. 13


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Semplice e abbastanza sicuro. Lo faccio già da diversi week end. A Posillipo così ho fatto conoscenza con i drink altolocati, il mojito soprattutto. Prima avevo bevuto solo birra, dividendomi equamente tra Peroni e – per le occasioni migliori – Ceres. Insieme ai cocktail, a Posillipo ho conosciuto anche Sabrina, Olga, Francesca, Marilena. Le amiche degli amici. Alcune di loro sono più cocainomani dei maschi. Vere idrovore che tengono sempre il portafoglio gonfio e le labbra umide. Si dice che per sniffare gratis qualcuna apre le gambe e se la fa leccare o sfondare. A me ancora non è mai capitato ma il business a Posillipo è buono e mi va bene così. Inizio a passare i giorni della settimana nel mio quartiere e il week end tra la Napoli bene per vendere. Intanto è apparsa una nuova scritta su mia madre: “Angelina mette le corna al marito con Pauluccio”. Pauluccio è il salumiere che tiene bottega sotto casa nostra. In effetti, è da un po’ di tempo che vedo lì mia madre e non sempre torna a casa con la busta della spesa. Chissà cosa pensa mio padre. So per certo che entra nell’androne con lo sguardo abbassato. Forse spera di essere invisibile. Ma mica lo è: giorni fa i bambini gli hanno urlato «cornutone» nella tromba delle scale e lui, come al solito, ha fatto finta di non sentire. Prova a convincersi che non ce l’hanno con lui, anche se intorno non c’è nessun altro. E poi mio padre non ha mica tempo per queste cose: la mattina deve alzarsi presto e andare a spazzare la scuola. Altro che pensare alle corna. Sto mangiando. Buono il provolone. Il cotto, invece, è così così. Mi rimetto in movimento. Faccio il gioco della coca a Posillipo e piazza San Pasquale – altro ricettacolo di drink e soldi di papà – per alcune settimane di seguito. Cazzo se va bene! 14


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Anche altri spacciano lì, non sono tutti del mio quartiere ma tra noi c’è tolleranza. Quegli avidi in griffe zucano la coca come animali. Guadagnamo bene e ce n’è per tutti. Intanto, a Scampia inizia ad arrivare quel caldo asfissiante che non lo trovi uguale da nessuna parte. Alle undici di sera non c’è un cazzo da fare. Il dilemma è se scendere giù per incontrare qualcuno o rimanere a letto a tentare di fottere queste zanzare di merda. Mio padre mi ha salutato da mezz’ora, già dorme. Angelina vede una specie di fiction alla tivù. Dalle mura in cartongesso, sottili sottili, sento le urla dei vicini e le voci che arrivano dalla strada. Riconosco anche quella di Gaetano Mezzanotte. Lo chiamano così perché a mezzanotte, ora che corrisponde alla fine del suo turno di spaccio, si fa la sua tirata di coca. L’unica della giornata. Sono anni che fa così. Sempre alla stessa ora, sniffa il suo mezzo grammo, poi resta ancora un poco nella piazza e si ritira a casa. Saluta i figli, si scopa la moglie e poi si cocca, va a dormire. Decido di scendere: infilo Nike e calzoncini e salto come una lepre tutte le rampe di scale che mi separano dalla strada. Mezzanotte è lì. Ha già tirato, si vede. Ha lo sguardo appizzato e le mani che si muovono a mille all’ora mentre puliscono il naso che cola o mentre toccano il cazzo. «Ué compa’!» gli dico. «Ué...» la voce è strozzata dalla coca. Di sicuro ha appena tirato. Si sforza comunque di parlarmi. Sa che io compro la roba dal Pacchero e la rivendo a Napoli. Mi fa i complimenti per questa bella attività. Solo quello che non si fa non si sa, penso. Soprattutto qui. 15


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Ma pure lui è un dipendente di o’ Pacchero, che a sua volta è in società con i padroni della piazza di spaccio ai piedi del mio palazzo. Anche se Mezzanotte tira una pista di coca ogni sera, per lavoro lui vende solo eroina. Nello scacchiere di quell’organizzazione, a lui sono capitati i tossici come clienti. Dal fondo della strada si avvicina una macchina, una vecchia Ritmo rossa. Roba da museo. Accosta vicino a Gaetano. È Manuela, o’ femminiello. Un trans mezzo napoletano e mezzo brasiliano, o viceversa. Chissà. Faccia da troia su due spalle da nuotatore. Occhi da cerbiatta e un filo di barba tenuto a freno a botta di ormoni. «Sto male! Sto male!» gli dice. È agitata. Sta come una pezza e non ha nessuna voglia di nasconderlo. La sua voce roca sembra arrivare da un sarcofago. «Che c’è?» chiede Mezzanotte. Anche se lo sa già cosa c’è. «Ho tirato troppa coca, Gaeta’. Ho bisogno di un po’ di roba, devo calmarmi. Lo sai...» «Hai soldi?» «Sì, ce li ho.» «O mi vuoi fare il servizio?» «Va bene.» Gaetano mi sorride malizioso. «Vieni anche tu» mi dice «basta che non lo dici a nessuno...» Vado anche io. Non lo dirò a nessuno. Scendiamo in un vano caldaia. Gaetano ha le chiavi, quel posto all’occasione serve per nascondere droga e soldi o per barricarsi dentro quando è il momento di scappare dagli sbirri. Manuela ha lo sguardo avido di eroina. Gli occhi sputano lance di adrenalina, senza un calmante magari schizzerebbero via dalla faccia. 16


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Si spoglia subito. Ha il seno. Gaetano, come una sporca zoccola thailandese che si sente una raffinata geisha, si sporge sinuoso in avanti. Poggia le mani sulle condutture umide e calde e si mette a pecora per offrirsi a Manuela. Lei caccia un arnese degno di due uomini. Non è solo grosso e diritto, ma durissimo e venoso. Gaetano si gira per vederlo, ma ha giusto il tempo di annuire. Manuela lo penetra così a fondo che sembra che gli abbia infilato il suo uccello nelle viscere. Ci da sotto il trans. Questa zoccola con il membro di marmo pompa come una dannata. Forse vuole scaricare in quella scopata e nel culo di Gaetano tutta la furia della droga e tutta l’ansia dell’astinenza. Di certo vuole sborrare e poi farsi una pera. Lui si trattiene per non urlare, però ansima forte. «Arrivo!» urla lei. Lui aumenta il ritmo muovendo il culo a favore di cazzo. Sono incastrati l’uno all’altro come due pezzi dello stesso giocattolo. «Aahhhh...» Manuela inonda quelle natiche avide con il suo sperma bollente. Gaetano non parla, ora è rosso in volto. Solo il suo corpo ha dei leggeri sussulti. Si riveste in un baleno e si gira verso Manuela. È incazzato. «Vecchia troia! Quante volte ti ho detto che qua non devi venire?» Da cagna vogliosa si è trasformato in un leone furioso. «Prenditi la tua roba e non farti più vedere.» Le getta addosso una busta e la mezza donna sparisce nella notte. Ci guardiamo ma c’è poco da dire. «Buonanotte.» «...’notte» risponde. Torno a cercare il sonno. Però che peccato: a dir la verità, mi sarei fatto fare anche io un bel pompino da quella Manuela. Forse glielo avrei anche picchiato nel culo. Forse sì. 17



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Questa mattina, nel quartiere ci sono poliziotti dappertutto. Volanti e sirene. Sbirri in borghese e sbirri in divisa. Sembra uno dei soliti controlli in pompa magna. Di quelli che servono soprattutto a fare felici le telecamere. Invece no: due giorni fa, nella notte, alcuni ragazzi sono crepati con le pere. Roba troppo tagliata o troppo pura. Quell’operazione è mirata a capire da dove arriva questa eroina ammazzacristiani. Un tipo è morto a Napoli, sul lungomare. Schiattato con la siringa infilata nella vena. Un altro è crepato ad Angri, nelle campagne attorno a Salerno, nello stesso modo. Un terzo lotta tra la vita e la morte al Cardarelli di Napoli, azienda ospedaliera di rilevanza nazionale. Fanculo. La solita storia: si muore e qualcuno deve pagare, è scritto nel contratto tra Stato e gente di malaffare. Mi affaccio e vedo Manuela. Nemmeno venti ore fa ti ho vista che scopavi come un mulo, strafatta di coca e avida di eroina, e adesso sei di nuovo qui? Vuoi altra coca? Ma non li vedi gli sbirri in giro? Con la sua Ritmo fa inversione e torna subito indietro. Ha capito che non è proprio aria. 19


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La sua auto sfila via lasciandosi alle spalle l’eco della solita battuta che, nel rione, le fanno tutti: «Manuela, copriti: ti è uscito fuori un testicolo». Qualcuno ci va giù pesante e, innervosito dalla sua presenza, le grida contro con disprezzo: «Omm’ e’mmerda!». Anche Gaetano la sta prendendo in giro. Proprio lui che, solo poche ore prima, si era sottomesso a lei per farselo infilare nel deretano e aveva goduto, aveva urlato di piacere come un’asina, davanti ai miei occhi. Quando quegli sbirri di merda ci restituiscono le nostre strade, io comincio a cercare o’ Pacchero. Mi servono almeno cento grammi di coca. Con tutto quel movimento di divise e manganelli, non sono sicuro di trovarlo in giro. Provo al solito garage. Autorimessa Primavera. Il Pacchero dà a pochi il suo numero di cellulare e ha l’abitudine di cambiarlo talmente spesso che non fai in tempo ad averlo che già non è più buono. In quel caso, ci si può rivolgere a una caffetteria, un fruttarolo o un garage, per lasciargli detto che lo cerchi. Sono fortunato, o’ Pacchero è al garage. «Cento?» mi chiede. «Cento» rispondo. «Tra mezz’ora.» «Ok. Fammi lo sconto che pago cash, come sempre.»

*** Il venerdì sera di Posillipo è sfavillante. Come in ogni parte bene di qualunque città. Interminabili code per entrare nei locali. Gente di ogni specie e di ogni umore: belli e meno belli (i brutti restano in periferia), col broncio e col sorriso, chi scherza, chi si rompe i coglioni, chi bacia, chi vuole scopare, chi è impotente. Di tutto. 20


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Entro al Velvet, un locale alternativo frequentato da figli di papà che hanno mollato, almeno per questa sera, lo stile griffato per abbracciare quello anticonformista. Tra loro c’è Barbara, una cliente sniff-sniff di Posillipo firmata dalla testa ai piedi. Mi ossessiona con ogni centimetro del suo corpo. Con quei seni sodi, con quello sguardo di fogna a cinque stelle, con quella fica scura tutta caipirinha. Peccato che quella piccola troia borghese di Barbara non rimanga mai a secco di soldi. Il padre fa l’avvocato e il money in casa sua non manca mai. Cazzo Barbara, stasera dimmi che non hai un euro! E che hai un disperato bisogno della mia coca! Non ti chiedo neanche la vagina stasera stessa, ti passo la coca e lo considero un investimento. Balla scosciata. Lo spacco della gonna regala al pubblico uno scorcio di gamba liscia e imbrunita da una lampada solare. Si struscia divertita sui suoi amichetti. Io non la conosco bene: lei manda sempre qualcuno a comprare la coca da me. Ci saremo salutati sì e no per tre volte, anche se, comunque, è una mia cliente. Mi avvicino a lei, da bravo arrapato. «Ciao Barbara.» «...ciao.» Inizio a ballare vicino al suo culo. Forse non le fa piacere, ma neanche sembra che le dispiaccia. Ovviamente non ci pensa proprio a strusciarsi con me, ad appoggiare le sue chiappe al peperoncino sul mio cazzo supplicante. Questa stronza, a me distributore automatico di polvere in bustine, riserva solo frustrazione e arrapamento. E se la ride pure. Mi avvicino al suo orecchio, vaffanculo. «Ti va una tirata?» 21


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Lei continua a ballare, fa volare lo sguardo in giro, esita un poco, poi risponde: «Perché no?». Barbara è una cannibale con la coca. Lo sanno tutti. Andiamo in bagno. Lei si fa stendere una pista lunga e spessa quanto una matita e se la spara in una sola tirata nel suo cervelletto di troiafigliadipapà. «Buona...» mi dice. Si strofina pure il naso lanciandomi un’occhiata compiacente. «Grazie. Torniamo a ballare...» Mi tira per il braccio in pista, la storia finisce lì. Ma anche questi brevi attimi sono da considerare un investimento.

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Sono passati due giorni dal blitz. Nella piazza di spaccio bisogna stare ancora attenti. La roba tagliata male è stata venduta proprio qui, però la polizia non è riuscita ad arrestare nessuno. Gli sbirri stanno ancora come gli avvoltoi intorno agli spacciatori che hanno il problema di rispedire la roba al mittente. Così com’è stata tagliata, non si può assolutamente vendere. Farebbe degli altri cadaveri. A me più di tanto non interessa, con o’ Pacchero e la mia coca non ho mai avuto problemi. Mi preparo per scendere a Posillipo. Ho cinquantacinque pezzi da un grammo da vendere ed è ancora sabato. Avrei anche potuto comprare cinquanta grammi in più: li avrei spacciati senza problemi. Le buste le tengo già nelle mutande ma non scendo subito. Non è prudente tenersi la coca tra i coglioni con tanta polizia di merda in giro. Mangio del provolone. Nel mio frigo non manca mai. Mio padre vede la televisione, mia madre invece è dalla vicina a spettegolare. La vicina, te la raccomando quella: Antonietta, un’altra troia da Champions League. Ha un marito che gira l’Italia col camion – collezionando chilometri e corna – e un figlio così antipatico che già da piccolo lo prendevo a calci nel culo un giorno sì e l’altro pure. 23


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È ora di andare. Mi devo accontentare dell’auto di famiglia, una Lancia Delta del ’98. Prima, seconda, terza, un’accelerata e mi trovo fuori dal rione. «Alt.» Una cazzo di paletta mi invita a fermarmi. Brutto casino: se ’sti sbirri sospettano qualcosa e mi chiedono di spogliarmi è la fine. Se trovano la coca, mi fanno il culo di sicuro. Accelero. Schizzo via. Le ruote sgommano e la macchina, la merdosa Lancia da rottamare, stranamente ha un guizzo d’orgoglio e mi catapulta lontano dai gendarmi. Li ho spiazzati con l’effetto sorpresa e ho guadagnato già cento metri. Li ho dietro il mio culo ma non possono ancora vedermi. Allungo la mano dal finestrino aperto e il vento porta via tutte le bustine. Un altro chilometro. I poliziotti ormai mi hanno raggiunto. Che schiaffi, cazzo! Pesanti come padellate in acciao inox. «Perché sei scappato, eh? Stronzo!» Pam! Un altro schiaffone. «Uhmm... io... beh, mi ero impressionato...» «Che nascondevi?» Pam! Pam! Altri schiaffi, tutti da professionista: almeno una quarantina di chili di pressione cadauno. Ma niente, non possono fare altro. Droga non ne trovano e coi documenti dell’auto sono in regola, figuriamoci se quel coniglio di mio padre sgarra con l’assicurazione o col bollo. Quindi nulla. Sono dovuti andare via gli sbirri figl’ e’ puttana. Mi lasciano lì, tumefatto, e si rimettono in auto per cercare di arrestare qualcun altro. Cazzo, ho perso tutti i miei pezzi di coca. Di sicuro sono stati già razziati da quegli affamati del mio quartiere ed è inutile tornare indietro a cercarli. I poliziotti sono ancora a far luccicare le sirene nella mia zona e mi inculerebbero volentieri. 24


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Torno a casa. Brutta storia. Mi abbandono sul materasso per dormire. Depression. O latitante è una foglia dint’ o vient’, non può parlare e non può dire: so’ innocent’. Che palle! Sempre questa merda di cd di Tommy Riccio. È la colonna sonora del figlio di Antonietta, o’ guaglione inutile che nel quartiere picchiamo tanto per allenarci. Spara sempre le merdose canzoni della malavita di Napoli. Sogna di fare il gangster anche se si caca addosso pure con le sirene delle autoambulanze. Figlio di puttana. Mi dà sui nervi. Metto un cuscino sulle orecchie sfiorandomi la cappella al pensiero di sua madre zoccola.

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«Hai fatto bene a buttarla via.» Gaetano Mezzanotte la pensa così. «Sì, certo. Ma ci ho perso un sacco di soldi.» «I soldi si rifanno» mi dice sereno. Io non sono sereno: è stata una brutta perdita e mi resta poco cash per fare affari. In più ho appena cacciato quattromila euro in contanti per comprare uno scooter che serve per scendere nella Napoli bene. Me lo devono consegnare la settimana prossima. Settecento euro li ho spesi in vestiti, altri cinquecento li ho dati a mia madre. Le ho detto di avere faticato con un po’ di lavori di muratura. Ha finto di crederci prendendoli senza fiatare. La droga lanciata dal finestrino era tutto il mio capitale. Vai a sapere che avrei dovuto buttarla via! Santo Pacchero, fammi la grazia. Sino a qualche anno prima era solo un giovane bravo a vendere a’ rrobba per strada ma, in poco tempo, era salito di livello. Gestiva tutto da casa e dalla sua macchina. Per mano sua, e dei suoi soci, scorreva buona parte di tutta la droga del quartiere. Pure l’affare del limoncello andava a mille all’ora. Dalla Germania avevano iniziato a volerne molto di più e, negli ultimi mesi, al Pacchero avevano chiesto anche distillati e vini pregiati. Così, nello scantinato di casa Mennella, insieme al liquore 27


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di limoni, le ragazzine del quartiere imbottigliavano anche grappa veneta tipica e un Barbera piemontese. Tutto finto-doc. Questo movimento faceva girare una barca di soldi che il gruppo passava per lo più a dei commercianti del rione Amicizia, un groviglio di palazzi popolari al confine tra Napoli e Scampia. E questi lo prestavano con gli interessi per tutta la città. I soldi fanno i soldi, si sa. Trovo o’ Pacchero in un bar che vende ancora il caffè a cinquanta centesimi. Tralascio la storia dei poliziotti e della droga persa nel vento. Gli dico solo che, per questo giro, la roba mi serve a credito. Sarei passato a pagarla dopo qualche giorno. «Nessun problema. Però non voglio casini, mi raccomando.» «Lo sai, mi conosci, casini non ne faccio.» Così mi ritrovo in una tasca cento grammi di coca e nell’altra quattromila euro di debiti. Nel fine settimana, incasso senza problemi. Alzo settemila euro in tre serate. Tre a me e quattro al Pacchero che da un po’ di tempo non vedo più dietro la gonna di mia madre. Forse per lui è stata solo uno sfizio o forse mammà è ancora troppo presa da Pauluccio il salumiere. La vedo sempre da lui, non compra mai un cazzo ma torna a casa con il prosciutto, le uova e il solito provolone. Poi serve la cena fredda a mio padre e sorride. Mi sembra che quasi ci gode a seguire con lo sguardo le mandibole del bidello cornuto buono solo a ruminare il pacco dono guadagnato da un paio di cosce aperte con vista panoramica su Scampia.

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Barbara ha invitato le sue amiche dell’estate, quelle che vanno con lei in Sardegna per locali a farla annusare ai camerieri e farla leccare ai proprietari. Hanno tutte una gran voglia di sniffare. Le stronze saltano come api impazzite da un maschietto all’altro, sventolano la gonna e li convincono a comprare la bamba per sniffarsela insieme. E io sono lì, pronto, con le buste nascoste in macchina. Fanno razzia della mia scorta; mi cercano ogni due ore per comprare altra polvere ma alla fine, pure quelle troiette e i loro amici del cazzo si ritrovano senza soldi. In tasca mi è rimasto mezzo grammo. «Solo per te, Barbara. Un regalino di fine serata.» Le brillano gli occhi e mi saluta con un minuscolo bacio sul bordo delle labbra, nascosto da bacio sulla guancia. Mi piace molto. E ho il granarolo per il Pacchero e per ritirare il mio nuovo scooter nero fiammante. Corre come la tentazione: raggiunge i centotrenta chilometri all’ora. Sino a casa mia, sino alla cucina, sino ai quattrocento euro che allungo a mia madre. La velocità del motorino si annulla rispetto ai gesti di mia madre che fulminea infila il money nel reggiseno, sperando che papà non veda. 29


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Ma se pure li vedesse, col cazzo che mia madre farebbe toccare gli euri al cornuto. Le servono per andare dal parrucchiere e farsi bella. Per il suo piacere e per quello di tutti i suoi amici. Forse, almeno qualche volta, dovrei dare un centone anche al vecchio. Ma che si fotta, bidello di merda. Caro papà, ti è piaciuta la bicicletta? E ora ficcatela nel culo con tutte le ruote. Nella notte, afosa e cancerogena come sempre quando arriva luglio a Scampia, vengo svegliato da un gran vociare. Urla e sirene. Ci risiamo. Sono le cinque meno dieci del mattino e di nuovo sbirri dappertutto. Dal ballatoio, si vedono lampeggianti sventrare l’aria nera. I poliziotti iniziano a portare via delle persone in manette. Li conosco tutti: sono quelli dello spaccio giù da me. C’è anche Gaetano Mezzanotte. Penso a Manuela, al suo cazzo montato a posto della vagina e della sua vagina messa a posto del culo. Accanto a me, a godersi lo spettacolo, c’è anche il figlio sfigato di Antonietta. Sembra in fibrillazione, lo eccita questo via vai di guardie e ladri. Eh già, facile godersi il film dal balcone. Mica stanno arrestando lui. D’improvviso due poliziotti in borghese e due in divisa ci passano davanti e salgono al quinto piano. Bussano alla porta di Michele Mirabella, un socio del Pacchero con lo stesso nome e cognome di un tipo della televisione. La moglie monta un gran casino, insulta le forze dell’ordine ma poi il Mirabella lo portano via lo stesso, in manette. Come al solito, tutti si sono svegliati e, dal balcone, lanciano malauguri e sputi verso la polizia. 30


Manuale del perfetto venditore di droga

Qualcuno tira addosso a una volante anche una grossa pentola. Qualcun’altro consiglia: «Dovevi riempirla di olio bollente, per questi sbirri di merda!». Da quanto riesco a vedere, arrestano sette persone. Cioè sette ne portano via, a molti altri vengono fatte domande e prese le generalità. Alcuni carri attrezzi arrivano per sequestrare delle vetture sospette. Lo spettacolo finisce alle sette del mattino. Qualcuno torna a dormire, ma i più sono riuniti sui ballatoi per commentare l’episodio e maledire le forze dell’ordine. Subito si viene a sapere cosa è successo: un commerciante di jeans di Afragola, a nord di Napoli aveva trovato il coraggio per denunciare i suoi strozzini. Erano quelli del rione Amicizia, quelli che facevano gli affari con i soldi di o’ Pacchero e dei suoi soci. Ora non c’è da stare tranquilli. In una sola notte hanno arrestato sette persone nel mio rione e altri venti tipi in giro per Scampia e Napoli. Gaetano Mezzanotte è accusato di intimidazioni ai danni di quell’uomo che si era rifiutato di pagare un tasso di interesse spaventoso sul suo debito. I soldi in prestito li aveva voluti, però... I poliziotti hanno sequestrato pure duecentomila euro in contanti, trovati nel negozio di uno che faceva da cassiere per la gente del mio rione. C’è aria di lutto giù da me. La droga si è fermata: troppi rischi. O’ Pacchero non l’hanno beccato, a quanto sembra, il suo nome non era nella lista. Il pezzo grosso della retata era stato Mirabella. Non essendo riusciti a mettere le manette ai polsi di altri boss, avevano addossato su di lui tutti i mali di Scampia e dintorni. «Rischia venti anni.» 31


Alessandro Esposito

Così dicono in giro, ma io sono certo, o ragionevolmente certo, che tornerà a Scampia tra qualche mese. Capita sempre così: un cavillo di legge, la mancanza di prove, un colpo di genio di qualche avvocato coi controcoglioni, delle carte che non si trovano e sei presto fuori. Per la piazza, con gli occhi del bisogno, è rimasta solo Manuela sulla sua vecchia Ritmo. Vorrei tanto fermarla, dirle che ho voglia di scoprire con lei e col suo cazzo di legno i nuovi giochini della vita. Ma non posso avvicinarla davanti agli altri. Di giorno e con gli amici intorno, Manuela il trans è un cancro da isolare. Solo di notte, lontano dagli occhi pettegoli, può diventare un vizio da coltivare. Ma adesso il sole è ancora alto.

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Grafica: zero91 s.r.l.

www.zero 91 .com

Apri il tuo regno, sia fatta la mia volontà, come in cielo così pure a Scampia.

MANUALE del perfetto venditore di droga

In copertina foto © GettyImages/Laurent Hamels

Alessandro Esposito

Alessandro Esposito (Napoli, 1974) ha trascorso un decennio turbolento in giro per l’Italia, un’Italia borderline. Poi una conversione, non religiosa, lo porta lontano dalle periferie. Ora vive a Milano, ha due figli e, dopo aver lavorato per quattro anni per la più grande agenzia di pubblicità meneghina, si è messo in proprio. Un’attività legale, questa volta. Manuale del perfetto venditore di droga è il suo esordio letterario.

MAN UALE

del perfetto venditore di

DROGA romanzo con business plan

Questo è il diario lercio di uno spacciatore che vive nella periferia più malsana di Napoli, ai bordi di una metropoli violenta e immorale tra donne da conquistare e trans da fottere. Questa è la vita depravata di un ragazzo senza nome che ha avuto come scuola la strada. Come madre una zoccola. Come padre un bidello cornuto. Un ragazzo che è un re magio in un presepe chimico illuminato da mille neon color piscio. Il ritmo delle sue giornate è scandito da coca da vendere e perversioni da consumare. La sua unica certezza è che dio te la manda buona, se sai scegliere il dio giusto. La salvezza forse arriva anche per lui sotto forma di un controverso manuale che fa del crimine un’arte. Manuale del perfetto venditore di droga è un romanzo che descrive un’Italia invisibile che giornali e televisioni non riescono a raccontare. Un libro – ispirato agli anni più oscuri dell’autore – che lacera La scimmia sulla schiena di Burroughs innestandola agli incubi consumistici della Vita liquida di Bauman.

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