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La favola più divertente di sempre. – Los Angeles Times –
william kotzwinkle
L’ORSO CHE VENNE DALLA MONTAGNA
L’O R S O C H E V EN N E D A L L A M O N TA G N A
L’illustrazione di copertina è opera di Peter de Sève, artista che ha creato, fra l’altro, fortunati personaggi cinematografici, tra i quali quelli di Nemo, dell’Era Glaciale e di A Bug’s Life.
Un docente universitario fallito, un assistente che sogna di fargli le scarpe, un anziano taglialegna sgrammaticato, una donna irsuta, una vecchietta sboccata, un agente letterario che ha paura di Topolino, un editor ostentatamente gay, una parrucchiera autrice di bestseller per casalinghe bigotte, una pubblicitaria nevrotica, un’agente cinematografica ninfomane, due bimbi di otto anni a passeggio con un mitra sotto la giacca, un reverendo visionario che aspira alla Casa Bianca… e su tutti Hal, orso-scrittore che assaggia lo zuccheroso sapore della vita di città e che la critica letteraria incensa come il nuovo Hemingway. Attraverso una galleria di personaggi tanto ridicola quanto improbabile, William Kotzwinkle ci consegna una storia a metà strada fra la satira e la favola per adulti.
william kotzwinkle
William Kotzwinkle è uno sceneggiatore cinematografico e autore di oltre quaranta romanzi e racconti per adulti e bambini, tradotti in una dozzina di lingue (perfino in latino). Tra i più celebri ci sono Doctor Rat (1977), premiato con il World Fantasy Award, e la versione romanzata di ET l’extraterrestre. L’orso che venne dalla montagna è il suo capolavoro. Da ricordare, inoltre, la serie di libri illustrati per bambini Walter the Farting Dog (Walter, il cane scoreggione, di prossima pubblicazione per la Zero91), autentico cult presso il pubblico infantile negli Stati Uniti. L’autore vive con la moglie su un’isola lungo le coste del Maine.
Una commedia degli equivoci che traccia un ritratto irriverente, impietoso e irresistibilmente comico del mondo dell’editoria, della politica e dello star system.
9
€ 0
,0
17 www.zero 91 .com
ISBN 978-889538123-7
Grafica: zero91 s.r.l.
788895 381237
In copertina foto © Peter de Sève
Una satira appassionata sul mondo dell’editoria. – Der Spiegel – Una fiaba incantevole... ilare... Kotzwinkle ha vreato una vera star. – Publisher Weekly –
Arthur Bramhall, docente di letteratura inglese presso l’Università del Maine, subisce un furto bizzarro: un orso gli trafuga il manoscritto che ritiene possa diventare un bestseller. Il grosso e goffo bestione ha le idee chiare su che farsene di quel plico di fogli. S’infila giacca e cravatta e si reca in città per inseguire il grande sogno dell’orso americano: trovare un agente che riesca a renderlo uomo e ricco, per potersi strafogare di miele e torte a volontà e scacciare i pensieri che affliggono la vita quotidiana degli orsi. La Grande Mela è così diversa dalle pacifiche foreste del Maine, ma si conferma la capitale delle opportunità. E l’orso diventa Hal Jam, osannato autore di Destino e desiderio…
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William Kotzwinkle
L’ORSO CHE VENNE DALLA MONTAGNA
ROMANZO
traduzione di Costantino Margiotta
zero|91
Titolo originale: The Bear Went over the Mountain Traduzione dall’inglese di Costantino Margiotta Copyright © 1996 by William Kotzwinkle TUTTI I DIRITTI RISERVATI
© 1996 First American edition published by Doubleday © 1997 First Owl Books edition © 2011 zero91 s.r.l., Milano Published by arragement with Marco Vigevani Agenzia Letteraria, Milano Prima edizione: aprile 2011 Realizzazione editoriale: Simone Bertelegni Copertina © Peter De Sève ISBN 978–88–95381–23–7 La riproduzione di parti di questo testo, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma senza autorizzazione scritta è severamente vietata, fatta eccezione per brevi citazioni in articoli o saggi. Questo libro è opera di fantasia. Personaggi, fatti e luoghi citati sono inventati dall’autore o sono utilizzati a scopo narrativo. Ogni riferimento a fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è puramente casuale.
Stampato in Italia nel mese di aprile 2011 presso GECA S.p.A. – Cesano Boscone (MI) www.gecaonline.it
Questo libro è stampato su carta FSC amica delle foreste. Il logo FSC identifica prodotti che contengono carta proveniente da foreste gestite secondo i rigorosi standard ambientali, economici e sociali definiti dal Forest Stewardship Council.
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un grazie a Bronson Platner
The bear went over the mountain The bear went over the mountain The bear went over the mountain To see what he could see‌
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Un incendio divampò in una vecchia fattoria. Le fiamme indifferenti si stavano nutrendo delle pagine di un manoscritto. Era un romanzo intitolato Destino e desiderio, i cui fogli si arricciarono agli angoli uno a uno, per poi infiammarsi e alla fine svanire nel fumo. La fattoria bruciò in fretta. Le travi e i pilastri collassarono formando una pira infuocata e quando arrivò l’ignaro proprietario, quel che trovò al posto della casa e del romanzo era solo una fossa fumante nel terreno. La fattoria era diventata il buen retiro di Arthur Bramhall, professore di letteratura americana presso l’Università del Maine, durante il suo anno sabbatico. Non era fatto per l’insegnamento, era soggetto alla depressione e preferiva stare da solo, consapevole di essere di pessima compagnia quando era depresso, il che accadeva per la maggior parte del tempo. Aveva comprato la fattoria con la speranza di portarci a letto donne che, come lui, si erano trasferite in campagna e potevano essere depresse a loro volta. Molte delle donne che incontrava gli sembravano depresse, o per lo meno arrabbiate, probabilmente perché dovevano 3
vivere lì. Il suo progetto era quello di scrivere un bestseller sulle donne, dopo aver fatto sesso con loro. Nel corso di quell’anno aveva effettivamente scritto il romanzo, ma era stato mero frutto della sua immaginazione e non dell’esperienza. Aveva notato che le donne che si erano trasferite in campagna erano solite indossare tute da lavoro abbondanti, puzzavano di cherosene, partecipavano ai festeggiamenti per i solstizi e si rifiutavano di depilarsi le gambe; lui le considerava donne da pelliccia e questo tendeva a reprimere la sua libido. Di conseguenza, l’unico momento di eccitazione che aveva vissuto era stato l’incendio della sua fattoria. Ora rimaneva immobile nell’oscurità della notte invernale davanti alle braci della sua casa distrutta che gli illuminavano il viso. Dalla cenere facevano capolino le forme contorte del suo schedario di metallo, della sua lampada a collo d’oca e della sua macchina da scrivere. Camminava con passo lento lungo il perimetro della fossa, in cerca di rimasugli della carta ormai carbonizzata. Le piccole lingue luminose delle fiamme lo lambivano, quasi a volerlo avvertire di mantenersi a una certa distanza fino alla loro estinzione. Si inginocchiò ai bordi del cerchio fumante e pianse il suo libro perduto.
«Se ho ben capito, Bramhall si è costruito da solo una baita con i soldi dell’assicurazione» disse Bernard Wheelock, un giovane e brillante assistente di letteratura americana presso l’Università del Maine. «Sì, e sta riscrivendo il suo libro» aggiunse Alfred Settlemire, professore presso lo stesso ateneo. Settlemire era un uomo molto distinto, con la fronte alta e una criniera leonina accentuata da un pizzetto molto ben curato che si stagliava sul suo mento prominente. 4
«È stato terribile, il suo libro divorato del fuoco…» disse Wheelock. «Che duro colpo per un tipo sempre tendente al pessimismo.» «È stato così terribile in fin dei conti?» domandò Settlemire. «Mi dispiace che la sua casa sia bruciata, ma per quanto riguarda il suo libro… be’, era una scopiazzatura di No, Mr Drummond. Me lo aveva detto lui stesso. Aveva studiato tutti i bestseller e pensava che quello fosse l’unico in grado di copiare.» «Non è un’impresa facile» ribatté Wheelock, che ci aveva provato a sua volta. «Ma è per cose così che uno si prende un anno sabbatico? Per copiare un bestseller? Con o senza successo? È questo che uno si deve chiedere: qual è il motivo per cui uno scrive?» Il professor Settlemire era solito utilizzare il pronome uno molto spesso. Lui stesso aveva pubblicato un saggio sull’uso che Robert Frost fa della similitudine, e tra le altre cose era riuscito a dimostrare che Frost aveva usato e ripetuto la parola come per ben 0,54 volte a pagina. Quello era il genere di lavoro che aveva senso per lui. Uno potrebbe dire: un lavoro impegnativo. «Hai mai letto qualcuno dei libri di Bramhall?» domandò Wheelock. Settlemire si lasciò sfuggire una sbuffata di disprezzo. «Prima che scoppiasse l’incendio, mi aveva spedito alcuni capitoli affinché gli dessi una mia opinione, cosa che naturalmente una persona come me non può proprio fare con tutto il lavoro che ha, perché non si sa mai da dove cominciare. La sua eroina sta per prendere una decisione: investire sulla fattoria che ha ereditato. La ragazza puzza di cherosene ma, a parte questo, è molto carina!» «Potrebbe essere una storia interessante.» Settlemire si lisciò il suo magnifico pizzetto. «Tutti sanno come sono fatte le fattorie. Al contrario di Frost, che si deve 5
studiare. La fattoria descritta nel libro di Bramhall sembra un sogno irrealizzabile.» «Povero Bramhall.» «Non verrà mai pubblicato. Ne sono più che sicuro.»
Nella sua baita, Arthur Bramhall riscrisse il suo libro. Non si preoccupò di riallacciare la linea telefonica e non incontrò mai nessuno, fatta eccezione per un vecchio taglialegna che viveva sulla collina vicina e che occasionalmente si fermava per farsi una chiacchierata. Per il resto Bramhall non aveva nessuna distrazione. Il fuoco gli aveva insegnato qualcosa circa la pazienza, la voglia di ricominciare e il coraggio. Aveva abbandonato l’idea di copiare un bestseller, così scrisse con la febbre dell’ispirazione che sgorga dritta dal cuore, scrisse di amore, desiderio, lutto e delle forze della natura dai cui poteri era stato iniziato. Verso la fine del libro la sua nuova eroina risplendeva di una nuova luce, una radiosità che le veniva dell’interno, conquistata grazie alla sua umiltà nei confronti della natura. C’erano ancora scene di sesso, ma legate agli antichi spiriti delle foreste, al canto sgraziato del corvo, al pianto della volpe e al crepitio del fuoco dentro al cuore. «Ho scritto la verità» disse Bramhall quando, chiuso il manoscritto, gli diede delle pacche affettuose. Nel pozzo del male oscuro, dove la depressione che lo accompagnava da una vita si era depositata, aveva acceso la piccola lanterna del coraggio. «Domani uscirai nel mondo» disse al suo manoscritto. Lo mise nella sua ventiquattrore e lo portò con sé fuori di casa. «Sto andando a comprare una bottiglia di champagne per noi» disse alla sua valigetta. Un problema per chi di solito abita in città e si sposta in campagna è quello di non avere nessuno con cui parlare, eccetto i campi infestati o, come in quel caso, la propria ventiquattrore. 6
Camminò attraverso l’erba alta dei pascoli, allontanandosi dalla sua baita, e appoggiò con cura la ventiquattrore sotto il ramo di un vecchio abete rosso. Il ramo che si prolungava sino al terreno nascondeva completamente il manoscritto. «Se scoppierà un altro incendio, sarai al sicuro.» Accarezzò le estremità del ramo come era solito fare ogni giorno durante i mesi precedenti e lanciò un sorriso soddisfatto verso il suo nascondiglio. Un orso lo osservava a poche centinaia di metri di distanza. Come Bramhall, l’orso era un onesto e instancabile lavoratore. Seguiva con regolarità i propri ritmi; andava al ruscello dove catturava trote e salmoni, negli orti abbandonati dove in autunno mangiava le mele, fino al versante della montagna dove in estate si abbuffava di mirtilli. Era benevolo e aveva sempre fame. Si era imbattuto di recente nella cucina di un ristorante dove era riuscito a mangiare torte, dolci, gelati, crema al cioccolato e un barattolo di granella di zucchero colorata. I sapori e gli odori degli oggetti lo avevano stregato; la fragranza balsamica della primavera sembrava trasportarli attraverso l’aria, tentandolo. L’uomo aveva lasciato qualcosa di valore sotto l’albero. Forse una torta. All’orso piaceva rotolarsi nei prati e agitare i suoi artigli nell’aria. Mangiava spazzatura quando ne trovava e gli piaceva rovistare nella discarica alla ricerca di cartoni della pizza con ancora qualche avanzo di formaggio e altre “delizie”. Viveva per riempire il suo stomaco, ma una volta l’anno, alle prime avvisaglie dell’inizio della stagione estiva, faceva del sesso stupefacente. Era saggio quando seguiva le vie della foresta e pieno di risorse quando seguiva quelle degli uomini; quando forzava la finestra di un ristorante, uno sguardo di estrema concentrazione riempiva i suoi piccoli occhi rotondi e scintillanti, non troppo dissimile dallo sguardo che aveva Arthur Bramhall quando sedeva alla sua macchina da scrivere. 7
Mentre Bramhall entrava in auto per andare a comprare lo champagne, l’orso si mosse lentamente attraverso il prato e scivolò sotto i rami dell’abete. Si avvicinò alla valigetta con cautela e la odorò. Non c’era nessuna traccia di torta. Tuttavia, la sua curiosità prevalse. Addentò la valigetta per il manico e se la trascinò tra gli alberi. Quando si sentì al sicuro, la lasciò cadere sul terreno e la percosse diverse volte. La serratura saltò e la borsa si aprì. Annusò con delusione il manoscritto. “Cibo per termiti” disse fra sé e sé e si voltò per andarsene, ma una riga sulla prima pagina catturò la sua attenzione e la lesse. Le sue frequentazioni letterarie erano limitate alle etichette dei barattoli di marmellata e di granella di zucchero colorata, ma qualcosa nel manoscritto lo costrinse a continuare a leggere. “Non male” pensò. “Davvero niente male.” C’era molto sesso e una piccola parte riguardante la pesca, con dettagli accurati ed evocativi. “Questo libro ha tutto” concluse. Infilò il manoscritto dentro la borsa, addentò i manici e si diresse verso il paese vicino.
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Mentre il suo manoscritto veniva rubato da un orso, Arthur Bramhall stava bevendo un caffè in compagnia di una donna villosa. Erano in una tavola calda sulla strada principale del paese, dove si recavano ogni settimana per fare provviste. «Ho finito il libro» le disse. «Ma è fantastico» gli rispose. «Sì, penso di sì» replicò lui, cercando di mantenere un certo contegno, anche se dentro di sé stava fremendo di gioia. Se il suo libro avesse avuto successo non sarebbe più dovuto rientrare dal suo anno sabbatico. Non avrebbe più dovuto metter piede nel dipartimento di Inglese e non sarebbe più stato tentato di mangiare la pizza unta nella sede dell’associazione studentesca, dove oziavano i suoi allievi, occupati solo dalla lettura di fumetti che avevano come protagoniste amazzoni spaziali vestite di fogli di alluminio. «Sono sicuro che sarà un successo» disse la donna villosa con garbo, anche se lo aveva appena cancellato dalla sua lista di probabili relazioni serie. Arthur aveva una corporatura robusta e un viso gradevole circondato da capelli castani mossi, i suoi occhi marroni erano graziosi e aveva anche un bel sorriso, ma il suo tipo ideale di uomo doveva odorare di 9
resina di pino, legna bruciata e montagna, come lei. Arthur Bramhall non poteva essere affinato per raggiungere un qualsiasi livello di interesse. Per dirne una, indossava jeans stirati. «Mi ha fatto piacere averti incontrata» disse. Se era vero che lui stirava i propri jeans, era anche vero che era una persona molto gentile che provava dell’affetto genuino verso gli altri. Ma poiché era timido e introverso, non aveva mai avuto una relazione duratura con una donna, e la sua solitudine lo conduceva spesso a stati d’animo che lo portavano a fissare la finestra come un baccalà. In quel momento si trovava nella fase maniacale del suo ciclo. «Cosa stai facendo ultimamente?» chiese con interesse. «Oh, sto continuando il mio lavoro di benessere» rispose la donna villosa, con qualche incertezza sulla sintassi, ma le idee chiare sugli affari. Per cinquantacinque dollari faceva ai suoi clienti quello che lei chiamava un “massaggio energetico”. Bramhall l’aveva pagata cinquantacinque dollari per scoprire che, alla fine, le sue mani non gli avevano mai toccato il corpo, limitandosi a sventolare l’aria con delle piume di gallina tinte di viola. Lui aveva finto di sentirsi molto meglio dopo il trattamento per il solo motivo che gli piaceva incoraggiare gli altri nei lavori che svolgevano. Ora stava ascoltando la donna villosa parlare delle ultime scoperte in fatto di campi energetici, auree e acqua magnetizzata, sforzandosi di trovarla attraente nonostante la puzza di cherosene. Cercò di pensare a lei come all’eroina del suo libro, ma le proprietà afrodisiache del cherosene sembravano funzionare meglio sulla carta che davanti a un caffè in un ristorante. «Lo sai che la terra sta entrando nel ciclo femminile?» gli chiese. «Mi dispiace, non lo sapevo.» «Sì, la forza femminile sta diventando ogni giorno sempre più potente. Sto organizzando una festa in onore della dea della luna per celebrare questo evento.» 10
Bramhall annuì. La donna villosa amava le feste. Le notti in cui era soltanto moderatamente depresso, il pensiero di quanto fosse meraviglioso non trovarsi a una festa della dea della luna lo aiutava a sentirsi meglio. La donna villosa prese le mani di Bramhall nelle sue. «Chiudi gli occhi» disse «e concentrati sul successo attraverso Giove, il pianeta della fortuna.» Anche la donna villosa era una brava persona e credeva davvero di poter aiutare gli altri con delle piume viola di gallina. Bramhall chiuse gli occhi pensando alla sua valigetta, nascosta sotto l’albero. Formulò il pensiero come un boscimano pensa al suo feticcio intagliato ricoperto di pelle di pipistrello. «Vedo bellissime cose che avverranno con il tuo libro» disse la donna villosa. «Vedo qualcuno che lo sta prendendo.» Bramhall sentì un pizzicore effervescente all’addome, come se avesse appena ingoiato l’Antiacido della Felicità. Con gli occhi ancora chiusi si rese conto di quanto fosse intensa la voce della donna e percepì la sua buona fede. Era una folle, come tutte le altre donne villose del Maine. Gli inverni erano troppo lunghi per loro e alla fine le spingevano a svolgere strane attività. Lui sperò che il suo romanzo le avrebbe confortate. Il personaggio principale era un archeologo rinnegato in cerca di fossili nel Maine; anche lui era stato umiliato dalla natura e aveva imparato a rispettarla, così come faceva con le donne, che erano la meraviglia della natura. Bramhall pensò che le donne villose che lo avessero letto avrebbero potuto credere, almeno per un po’, che l’eroe fosse arrivato nelle loro fattorie vuote per frugare rispettosamente tra le loro rovine. I bulbi delle lampadine del ristorante che pendevano sopra le loro teste venivano riflessi dai cristalli di quarzo della collana che la donna villosa indossava, e sembrava che riflettessero anche il suo isolamento. Arthur sospettava che fosse sola come lui. Immaginò se stesso mentre la accompagnava 11
a casa, le preparava un bagno caldo e lasciava in bella vista sul bordo della vasca un pennello da barba e un rasoio. «Penso che ti piacerà il mio libro» ripeté timidamente. Lei annuì. «Ho la forte sensazione che proprio in questo momento ci sia un angelo che se ne sta prendendo cura.»
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L’orso attese ai margini della cittadina fino a sera. Siccome il paese era nel mezzo delle campagne del Maine, aveva un solo negozio di abbigliamento, ma l’orso non si scompose. Forzò una finestra sul retro ed entrò. Entrare dalle finestre posteriori di solito voleva dire finire per abbuffarsi di dolci, ma scacciò il pensiero del cibo mentre camminava tra le corsie buie del negozio. Un manichino lo spinse a indietreggiare per prudenza, ma il suo naso scoprì ben presto che quella figura umanoide era fatta di legno. Si avvicinò al manichino e analizzò attentamente gli abiti che indossava. Poi proseguì e raccolse lo stesso tipo di abiti dagli scaffali, finendo per scegliere un completo tipo quelli che i taglialegna indossano ai funerali. Si infilò una camicia senza troppi problemi, se non al momento di allacciare i bottoni. Riuscì a farne passare qualcuno nelle asole e si accontentò. Dopo qualche tentativo riuscì a infilarsi un paio di pantaloni. Li aveva indossati al contrario, perché non aveva capito bene la loro funzione. “Non mi stanno mica male” sottolineò guardando nella semioscurità il proprio riflesso in uno specchio posto sulla parete di fondo del negozio. Scivolò dentro la giacca del completo e tornò dal mani13
chino per un rapido confronto. Lo sguardo dipinto del manichino sembrava critico. “Ma certo, una cravatta” pensò l’orso, e ne trovò una decorata con immagini di persone intente a dimenare hula hop. Aveva gusti atroci, ma dopotutto era un orso. “Mi dona” pensò, anche se il nodo era bizzarro. Aggiunse un cappellino da baseball e un paio di scarpe, andò alla cassa e la svuotò, poi sgattaiolò fuori dalla finestra. Non appena toccò terra, scrollò le maniche del cappotto e si mise in posizione eretta. Camminava lentamente e in modo impacciato con le scarpe slacciate. Stringeva tra i denti la maniglia della valigetta e ciò attirò l’attenzione di alcuni passanti. Non dissero nulla, ma l’orso notò i loro sorrisi sarcastici. “Cosa c’è che non va?” si domandò. Scorse la sua immagine in una vetrina e si fermò. “C’è qualcosa che non va” pensò, mentre studiava il proprio riflesso. Il cappellino era dritto e il vestito sembrava a posto. I suoi occhi piccoli e lucenti ritornarono a fissare l’immagine riflessa. La valigetta in bocca! La trasferì docilmente nella zampa. “Le vecchie abitudini sono dure a morire” si disse mentre si allontanava. Più tardi, seduto in fondo a un ristorante sulla via principale, aprì di nuovo la valigetta ed esaminò il frontespizio del manoscritto. DESTINO E DESIDERIO
di Arthur Bramhall “Il titolo va bene” pensò l’orso “ma non mi ci vedo come Arthur Bramhall. No, il nome va cambiato. Qualcosa di veloce. Mi verrà in mente.” Sul tavolo di fronte a lui c’erano caffè, toast e due piccole piramidi di vaschette di marmellata e di panna. Spostò lo sguardo sulle vaschette, pensieroso. 14
JAM
Un cognome perfetto, non c’era niente di meglio di Jam. Adesso il nome. Di nuovo i suoi occhi si spostarono sulle etichette delle vaschette. HALF-AND-HALF
Molto distinto. Forse un po’ troppo etnico? Con la zampa coprì alcune delle lettere dell’etichetta. HALF JAM
Suona molto nordico. Ma sento di essere vicino. Lasciami solo fare… una piccola modifica… Con la punta del suo artiglio luccicante coprì la F di HALF. “Questo è un nome che la gente ricorderà.” Nella valigetta c’erano una penna e alcuni fogli di carta. Con grande concentrazione scrisse laboriosamente una nuova pagina. DESTINO E DESIDERIO
di Hal Jam
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Arthur Bramhall ritornò a casa quella sera e attraversò i campi con una torcia tra le mani per ritrovare il luogo dove aveva nascosto il manoscritto. In un primo momento pensò di aver sbagliato albero. Corse di abete in abete, strappando i rami con violenza e muovendo il fascio di luce della torcia sul terreno. «No!» gridò. «No, no!» Fissò attraverso gli alberi la luna crudele che si stagliava tra i rami, la luna dei ladri e del distino. Cadde sulle ginocchia e colpì con un pugno il terreno. Si alzò e iniziò a correre tra i campi urlando «Sparito! Sparito!» Alzò un pugno al cielo e urlò ancora: «Perché? Perché di nuovo?» Quando si riprese e tornò in sé cercò l’aiuto di Vinal Pinette, il vecchio taglialegna che viveva nei dintorni. Vinal Pinette arrivò e iniziò a indagare sondando la scena che si presentava sotto l’albero. «Orso.» «Cosa?» «L’ha preso ’n orso.» 16
«Un orso ha preso la mia valigetta?» Il vecchio taglialegna rivolse uno sguardo fugace in direzione di un avvallamento sul terreno. «Qui ci sono le impronte.» «Bene, seguiamole!» «Un orso viaggia molto veloce, quando ci gira. Adesso potrebbe trovarsi nella contea vicina.» Arthur Bramhall cadde all’indietro con la schiena contro il tronco di un albero. Aveva già speso tutta la poca resilienza che gli rimaneva. Anni di depressione e incertezze l’avevano provato e ora un orso aveva inferto il colpo di grazia. «La mia vita è finita.» «C’era roba di valore nella valigetta?» «Il mio romanzo.» Bramhall fissò Vinal Pinette. Anche sa aveva stima del vecchio, sapeva che il taglialegna non avrebbe mai afferrato il significato di quello che era andato perduto. «Possiamo andarci dietro» disse Pinette «ma penso che non ha senso. Si dice: se un orso ti vede, tu non vedrai mai l’orso.» «Bene» disse Bramhall freddamente, cercando di non causare altri inconvenienti al suo vicino. Tornò indietro incespicando nel terreno, il suo cervello stava preparando quel cocktail assassino che lui conosceva molto bene, quello che lo avrebbe portato a sentirsi come un’ancora corrosa sul fondo del mare.
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«È un libro meraviglioso» disse Chum Boykins dell’agenzia letteraria Boykins Literary «ma sicuramente non c’è bisogno che te lo dica.» L’orso dondolò la testa e Chum Boykins sorrise tamburellando le dita sulla prima pagina del manoscritto. «Quello che mi piace di più è la sua freschezza, ma nello stesso tempo ha un che di familiare, qualcosa che noi non abbiamo mai apprezzato appieno.» L’orso fece dondolare ancora la testa, con modestia. I suoi pantaloni non erano più al contrario e la sua sicurezza stava aumentando. Fuori dalle vetrate dell’ufficio l’aria era pervasa dal brusio del grande alveare umano. La sua attività frenetica era difficile da capire, ma l’orso si consolava con barrette al cioccolato, alcune delle quali si trovavano nella sua tasca proprio in quel momento. «Ho un editor in mente» disse Boykins. «Conosci Elliot Gadson della Cavendish Press? Penso che possa essere il nostro uomo. Gode di ottima reputazione, ha l’età giusta e questo è il genere di libri su cui adora lavorare. Lo chiamo subito e metto in moto la macchina.» 18
Boykins premette il suo interfono. «Margaret, potresti rintracciarmi Elliot Gadson, per favore?» Si rivolse nuovamente all’orso: «Elliot sa che lo chiamo solo quando ho qualcosa di speciale. Gradisci del caffè?» «Zucchero» grugnì l’orso, facendo attenzione nel pronunciare la parola più importante del suo limitato vocabolario. «Margaret, potresti portarci del caffè per favore, con tanto zucchero. Grazie.» Boykins sorrise all’orso. «Nessuno ti ha mai detto che assomigli in modo impressionante a Hemingway?» «Chi?» «Come chi? Ah… sì… certo. Penso che tu possa essere l’unico capace di farlo cadere nel dimenticatoio.»
«Torta» disse l’orso al cameriere del ristorante francese nel quale lo aveva invitato Boykins. «Nient’altro?» domandò l’ospite. «Dolci.» «Mi piace vedere qualcuno che non è ossessionato dal peso.» «Inverno» disse l’orso dando dei colpi al suo stomaco. «Sì, è stato un inverno difficile.» Gli occhi di Boykins erano scuri, il suo sguardo intenso. Le sue movenze erano precise. Si chinò in avanti sostenendo il mento con pollice e indice. «Hai qualcuno che ti rappresenta nella West Coast? Un agente a Hollywood? Lo dico perché le possibilità di realizzare un film tratto dal tuo libro sono molto alte. Già mi vedo l’enorme falò del solstizio sul grande schermo.» Boykins spostò il vaso che c’era sul tavolo di pochi centimetri alla sua destra. “Sì” disse fra sé e sé “così va molto meglio.” Boykins aveva passato la sua infanzia eseguendo una serie infinita di rituali compulsivi; ai suoi genitori poteva ca19
pitare di trovarlo, nel mezzo della notte, dentro la sua stanza, a testa in giù in preda a convulsioni che lo paralizzavano. «In effetti l’intero libro si legge come se fosse un film, cosa di cui sicuramente sei consapevole. Il testo ha un perfetto meccanismo di ricombinazione.» Lisciò i bordi della tovaglia diverse volte. Come quando era bambino, Boykins non aveva tempo per le attività sportive, per le ragazze e per nessun’altra occupazione fatta eccezione per l’allisciare centinaia di volte il suo cuscino. Rimaneva nella stanza da letto su una gamba e con le braccia alzate per intere ore supplicando l’essere soprannaturale che lo dominava. «Ho iniziato a lavorare con una bellissima ragazza alla Creative Management. Sono sicuro che ti troverai bene insieme a lei.» L’orso voleva essere sicuro delle cose che lo avrebbero coinvolto. «Lei piace torte?» «Torte?» «Sì.» «Sono sicuro che le piacciono» disse Boykins ridendo. «Ma non so dirti quante ne mangia.» Boykins spezzò tra i denti un gambo di sedano e lo masticò trentasette volte. Mentre stava a testa in giù nella sua stanza al college, scrocchiandosi le dita trentasette volte, la notte prima della laurea, si domandava come avrebbe mai potuto entrare a far parte del mondo con tutti i suoi tormenti. «Posso dirti questo, Zou Zou Shar è una delle donne più intelligenti di Hollywood. Ed è anche bellissima, per quel poco che importa. Conosce i registi più importanti, conosce gli attori ed è una bravissima negoziatrice. E perché tu lo sappia» sorrise Boykins «anch’io lo sono.» Le trattative complesse erano nulla in confronto alla risolutezza di un uomo che aveva passato l’infanzia e l’adolescenza su una gamba sola. Chi avrebbe potuto avere la meglio su di lui? Nonostante il suo crudele modo di negoziare, gli editori lo amavano. Quando prendevano uno scrittore rappresentato da Boykins sapeva20
no che lui avrebbe provveduto a tutto. Faceva l’editing del testo, disegnava le copertine, scriveva gli strilli, inventava i trucchi pubblicitari, batteva la rete di vendita, chiamava i giornalisti per le recensioni, corteggiava i media e le librerie. La sua lucida follia lo portava ad avere il controllo su tutto e ciò veniva ripagato con le vendite. «Non mi piace usare la parola di tendenza, Hal. Ma penso che il tuo libro tocchi delle tematiche contemporanee.» L’orso tirò su col naso, godendo delle ondate di profumi e acqua di colonia disciolte nell’aria. Una sensazione che gli ricordava i campi fioriti. Sorseggiò un po’ di vino. Le uniche esperienze che aveva con l’alcol erano state con una bottiglia di sherry usato per cucinare che si era scolato mentre si aggirava nella cucina di quelristorante del Maine; i suoi effetti si erano confusi con quelli di un grande numero di torte che gli avevano causato un’indigestione. Adesso l’effetto si notava di più e la sua sensibilità verso l’aria fragrante che lo circondava cresceva. Il suo naso, che per anni aveva guidato i suoi istinti, lo guidava anche adesso, senza riflettere e senza ponderare i pericoli della posta in gioco. Scivolò dalla sedia e finì sul pavimento del ristorante dondolando sulla schiena con le zampe in aria, come solo un orso fa quando trova un campo di fiori che lo riempie di gioia. Boykins s’irrigidì sulla sedia. Il suo cliente si stava comportando come un coglione. Da un altro punto di vista, però, cadere dalla sedia e dimenarsi estaticamente sul pavimento nel bel mezzo di un pranzo mostrava un considerevole grado di libertà di fronte alle costrizioni dei costumi sociali. Boykins, sollevato nel corpo e nello spirito, vide in Hal Jam l’immagine di ciò che lui non era mai stato, un bambino felice che giocava con i sogni. Boykins lo fissò affascinato. Il capocameriere non era dello stesso avviso. Si diresse verso l’orso, oltraggiato dalla mancanza di etichetta nel suo elegante regno. 21
L’orso rotolava avanti e indietro, utilizzando le movenze tipiche della sua natura, che consistevano nell’alzare le braccia e le gambe nel tentativo di grattare intensamente la maggior parte del corpo. Nei suoi occhi si leggeva l’estasi. Il viso del cameriere era confuso, ma i suoi baffi e la sua voce frignante lo facevano assomigliare a una donnola. «Monsieur, per favore! Non durante il pranzo!» Gli orsi non amano essere interrotti da donnole impertinenti mentre si divertono. Hal fece scattare gli artigli delle zampe. Il capocameriere aveva passato la sua vita scansando porte basculanti. Si abbassò e il colpo sferrato sfiorò solo la punta dei suoi baffi. Boykins si inginocchiò accanto al suo cliente, assicurandosi che il suo ginocchio si posasse esattamente al centro di uno dei rettangoli di moquette del pavimento. «Hal, penso che tu sia ubriaco.» L’orso si immobilizzò, consapevole della moltitudine di occhi che si stavano posando su di lui. “Ho una strana sensazione. Che abbia commesso un errore?” pensò. Si girò velocemente sulla pancia, si alzò in piedi e si sedette con tutta la dignità che poté mettere insieme, la quale era considerevole essendo padrone di un’esistenza caratterizzata da una supremazia incontrastata nella foresta. Il capocameriere aveva una simile autorità nella sala che dirigeva ed era egualmente competente nel ristabilire il decoro. Boykins lo aiutò passandogli velocemente venti dollari. L’agente alzò la bottiglia di vino. «Ho visto parecchi scrittori rovinarsi con questa merda, Hal. E tu non ne hai bisogno. Tu sei già perfetto.» La voce di Boykins si mescolò a quelle delle altre persone presenti in sala, simili al ronzio delle api. «Api, miele» disse l’orso, facendo scivolare i gomiti sul tavolo. “Ha il cervello in pappa” pensò Boykins. 22
«Miele vita» continuò l’orso, lottando con fatica per creare una semplice conversazione. Sentiva su di sé le occhiate delle persone e i loro sorrisi sarcastici. Non facevano fatica a esporre i loro pensieri, mentre per lui era estremamente difficoltoso. Il suo agente lo osservava ansioso, senza capire che cosa intendesse provando a parlare del miele. “Mi sto agitando” pensò. Fu preso dal panico e i suoi occhi guizzarono in tutte le direzioni. «Bene» disse Boykins cercando di riportare il discorso sugli affari. «Che idee hai riguardo alla campagna pubblicitaria?» La domanda mise l’orso in seria difficoltà, non sapendo come mettere insieme le parole. La sua lingua enorme correva velocemente sul muso. Una donna, che si era appena unita alla festa dei dirigenti della Tempo Oil a un tavolo accanto al loro, notò l’orso e iniziò a fissarlo mentre le voci dei suoi colleghi maschi le ronzavano stupidamente intorno. “Quello sì…” pensò, mentre la lingua violacea dell’orso raggiungeva di nuovo la punta del naso “… che è un uomo!” «La nostra rete di vendita insisterà per un tour» disse Boykins. «Se ci daranno il budget necessario organizzerò tutto io.» L’orso aveva dimenticato il motivo per il quale aveva attraversato le montagne che separavano il Maine da Manhattan. Il brusio del ristorante era un’insopportabile sentenza sulla sua natura animale. Si coprì le orecchie con le zampe. «Capisco, Hal, non vuoi sentire ancora questi discorsi. Hai appena scritto un romanzo ed è molto importante per te. Ma di questi tempi l’autore è un prodotto tale e quale al suo libro.» Il flusso delle parole degli umani scorreva brillante e veloce, evitando gli ostacoli per fluire verso di lui, aumentando spietatamente di volume, mentre lui desiderava con ardore la stupidità animale. 23
All’improvviso il suo naso fiutò qualcosa. I bulbi olfattivi che stavano all’interno delle sue narici erano migliaia di volte più sensibili di quelli umani. Si raddrizzò e roteò la testa per isolare il profumo naturale che aveva percepito all’interno del velo sintetico creato da quelli artificiali. L’aveva trovato, umido, fresco. «Salmone.» «Sì, di solito lo cucinano allo spiedo, accompagnato da patate, funghi e pepe verde.» «Crudo» disse l’orso, sentendo rinascere la sua autorità primitiva. «Crudo?» «Crudo femmina. Pieno uova. In bocca.» L’orso picchiettò gli incisivi con la zampa. “Mioddio” pensò Boykins “è il nuovo Hemingway.”
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Arthur Bramhall fissava il foglio bianco infilato nella macchina da scrivere. Non gli veniva in mente nessuna parola, nessun pensiero, non era in alcun modo ispirato. Quella volta le forze della natura lo avevano distrutto. Posò la testa sulla barra spaziatrice. “Avrei dovuto usare un computer. Adesso avrei il libro su un dischetto. Ma avevo paura dei cali di tensione delle zone rurali. Mi dicevo, se una macchia da scrivere andava bene a Hemingway sarebbe stata perfetta anche per me. Che tragica presunzione.” Alzò la testa. Accanto a lui, sulla scrivania, c’era una tazza dell’Università del Maine con il suo logo – un orso bruno – dipinto sulla parte esterna. La prese e la infilò in un cassetto. Iniziò a fissare il paesaggio fuori dalla finestra della sua stanza. Lo sguardo si posò sotto gli alberi dove aveva lasciato la sua valigetta. Si sforzava di vedere attraverso le fronde degli alberi, dentro il bosco, la forma di un orso bruno che si muoveva lentamente con la valigetta. L’unica cosa che vide fu Vinal Pinette che passeggiava sul sentiero. Bramhall si alzò dalla scrivania mentre il vecchio taglialegna entrava nella baita. «Perché l’ha presa, Vinal?» 25
domandò Bramhall. «Che cosa se ne fa un orso di una valigetta?» «Gli orsi sono delle creature bizzarre» disse Vinal Pinette. «’Na volta un orso mi ha rubato una maglietta dallo stenditoio. L’ha distrutta e poi l’ha lasciata per terra. Forse qualcosa che c’era nella maglietta non ci piaceva e così ha risolto il problema.» «Mi sento come se stessi per morire» ammise Bramhall, sperando nel miracolo che Pinette gli regalasse delle parole piene di saggezza accumulata durante gli anni trascorsi nei boschi. Aveva inserito anche un personaggio come Pinette nel suo libro, un vecchio filosofo che viveva in zone boscose e selvagge, che appariva nei momenti cruciali, proprio come quello, e risolveva la situazione con il suo sudato buonsenso. «Proprio come mi sentivo io» disse Pinette. «Mi sentivo in ’sto modo ogni anno, verso la primavera, quando l’areoplano della segheria ci spruzzava con il DDT. Mi rincoglioniva totalmente. I tipi della segheria dicevano che era la roba migliore che c’era, e io non ne dubito, è solo che a me non mi stava proprio simpatica.» Vedendo il viso di Bramhall accigliato, proseguì: «Ma io dico sempre se non hai il naso pieno di aculei di porcospino, tutto va per il verso giusto.» Bramhall si portò le mani al viso. «Come posso tornare all’Università del Maine e guardare in faccia i miei colleghi?» «Pagano degli stipendi alti all’università, vero?» Come molte persone di campagna, Vinal Pinette era molto interessato agli stipendi che si guadagnavano nei posti “esotici”. «Io non voglio il loro stipendio. Voglio la mia libertà.» «Anche Arf McArdle parlava spesso di libertà. Aveva una moglie, undici figli e una suocera insopportabile, come gli stivali con la punta in ferro. Un giorno la suocera l’ha mandato a comprare del sapone e nessuno l’ha più rivisto. Qualcosa riguardo alla richiesta di sapone ha fatto prendere ad Arf la strada verso luoghi sconosciuti.» 26
Bramhall fissò di nuovo il cielo fuori dalla finestra, dove enormi batuffoli di nuvole si muovevano lentamente. «Pensavo che il libro fosse davvero stupendo. Forse mi sbagliavo. Forse era solamente roba adatta a un orso.» «Gli orsi non sono esigenti, questo è vero.» Dopo aver profuso quella perla di saggezza contadina, Vinal Pinette si girò il cappello tra le dita mentre lo sguardo di Bramhall ritornava a fissare la finestra. Le nuvole assomigliavano a un corpo di ballo formato da orsi, con cappello a cilindro e smoking, che alzavano le zampe. Mentre fissava quelle immagini esuberanti, provò il disperato desiderio che lo aveva guidato per tutti quei mesi: essere libero dalle sfacchinate all’università e avere un futuro da romanziere. La bramosia gli torse le budella e, forse a causa della depressione che lo aveva accompagnato per tutta la vita, si lasciò andare. Basta ambizioni, basta castelli in aria, che Destino e desiderio gli scivolasse pure via tra le dita come la corda di un aquilone che fugge nel cielo. Poteva vederla, una corda dorata che frustava l’aria, impossibile da afferrare. Crollò sulla sedia mentre la corda dorata navigava tra le nuvole. Si sentiva stranamente rilassato, nonostante la sua sventura.
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L’orso entrò nell’edificio dell’Autorità portuaria nei pressi di Times Square, a Manhattan. Sarebbe tornato nel Maine con l’autobus successivo della compagnia Grayhound. Il panico che lo aveva assalito al ristorante era solamente l’inizio. Se avesse tentato di rimanere nel mondo degli umani, il continuo brusio generato dalle loro vite lo avrebbe stritolato. Tutti avrebbero capito che era un orso e sarebbe stato trascinato in uno zoo. Adesso aveva con sé la valigetta vuota, il salvacondotto per sembrare una persona. «Lasci che la porti io, signore» disse un criminale vestito con una tuta su cui era attaccata una targhetta di plastica con scritto ASSISTENZA BAGAGLI. «No» disse l’orso, stringendo ancora di più la valigetta sotto il braccio. «Qualcuno potrebbe rubargliela» insistette il falso facchino, ma l’orso continuò a camminare superando code di poveracci che aspettavano di salire sui bus per recarsi in altri luoghi, in cui sarebbero rimasti sempre dei poveracci. L’orso non sapeva che quei viaggiatori stavano peggio di lui. Non sapeva che avrebbero dato qualunque cosa pur di ave28
re un agente. Non sapeva che tutti in America volevano un agente. Non sapeva che stava buttando l’opportunità che sognava ogni vero americano, essere una celebrità. Tutto questo perché era un orso. Tre skinhead in vena di scherzi che avevano bisogno di soldi videro la simpatica figura dell’orso avanzare verso di loro e pensarono che fosse una facile preda. Lo circondarono fingendo di conoscerlo. «Ehi, Jack, dove stai andando con la valigetta?» Il capo indossava un elmetto nazista e si faceva chiamare Heimlich in onore dell’uomo che comandava le SS, non sapendo di avere confuso la manovra di Heimlich che serve a salvare le vittime dal soffocamento con Heinrich Himmler. «Non mi chiamo Jack» disse l’orso. «Dammi la valigetta» disse con tono di sfida Heimlich. «Questo è un ordine! Achtung!» L’orso fissò un punto lontano in fondo al lungo corridoio dell’edificio, lo sguardo perso nel vuoto. Non voleva attirare l’attenzione su di sé, ma non ebbe di che preoccuparsi poiché tutte le persone all’interno dell’edificio erano occupate a guardare da un’altra parte. «Dammela» ripeté Heimlich, indicando la valigetta. «Perché?» domandò l’orso, pensando che ci fosse un problema di comunicazione. «Noi siamo l’Obermensch. Prendiamo quello che vogliamo.» Heimlich amava cospargere i suoi discorsi di parole tedesche. Prima o poi si sarebbe iscritto a un fottuto corso di lingue e avrebbe stupito tutti quanti con il suo tedesco. «Dammi il portafoglio e la valigetta.» «No!» disse l’orso risoluto. Gli skinhead lo afferrarono per le braccia e Heimlich si avvicinò alla valigetta. L’orso, pensando che in quel modo il suo unico legame con gli umani si sarebbe infranto, sferrò con la zampa un rovescio così forte da slogare la mandibo29
la di Heimlich e asportargli una grossa porzione del naso. Prese Heimlich, lo girò a testa in giù afferrandolo per le caviglie e iniziò a farlo dondolare. La testa con l’elmetto dello skinhead divenne una spranga d’acciaio screziato che percuoteva gli altri skinhead in faccia, producendo un suono del tipo whog-whong-whong. La testa di Heimlich sbatacchiava dentro l’elmetto e il suono che produceva lo sconquassava sempre di più. Da quel momento in poi avrebbe ascoltato la sua preziosa registrazione di Deutschland über alles attraverso una scatola di titanio. Gli altri skinhead alzarono le braccia, cercando di ripararsi il volto dai colpi metallici. L’impatto li fece girare sul posto, spezzando loro costole e gomiti, mentre una grossa pistola automatica rimbalzava lungo il pavimento della stazione. Una vecchietta la raccolse. Mentre Heimlich cercava di rimettere il naso al suo posto, l’orso iniziò a guardarsi intorno pieno di ansia, con la paura che la folla potesse aggredirlo per l’atto bestiale che aveva appena compiuto. Iniziò ad allontanarsi, ma ora che il pericolo era passato la folla iniziò ad applaudirlo urlando «Bravo, hai fatto bene» e «Gran bel lavoro!» Così, con l’automatica nel sacchetto di plastica, la vecchietta salì su un autobus per recarsi a fare visita al suo fastidioso genero, nel New Jersey.
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Arthur Bramhall seguì Vinal Pinette lungo il viottolo d’accesso a una piccola fattoria. La legna era accatastata accuratamente sul prato e un secchio di acqua fresca stava vicino alla porta. «Quello di cui hai bisogno» disse Pinette «è un po’ di vita sociale. Fred ti tirerà su il morale.» Bussò alla porta. «Fred, sei in casa?» «Entrate» rispose una voce dall’interno. Pinette e Bramhall entrarono. Un uomo tarchiato in camicia e pantaloni da lavoro sedeva in cucina. «Art» disse Pinette «questo è Fred Severance. Fred, questo è Art Bramhall, viene dall’università. Pensavo che insieme potevamo sollevargli il morale.» Bramhall vide che il suo ospite era depresso, poteva percepirlo, lo sentiva con il suo fiuto. «Mi ha lasciato, Vinal.» Severance scuoteva la testa mestamente, ma si ricordò i suoi doveri di ospite. «Ragazzi, volete una tazza di tè?» La credenza in legno conteneva tazze e piatti scheggiati e anneriti dall’uso. Il viso di Severance si rifletteva nelle cromature lucenti delle pentole, il volto allungato nel metallo 31
come se una zucchina schiacciata gli fosse cresciuta nel cervello. Gli utensili consumati erano appesi al muro insieme agli scarponi da neve. L’unico elemento moderno era una cornice che conteneva la fotografia a colori di una giovane donna. «Quella è lei» disse Severance, accorgendosi di dove si stava posando lo sguardo di Bramhall. La sua voce era bassa, solenne. «La Federazione di wrestling è venuta in città per il suo spettacolo annuale e lei è andata via.» «Cleola è scappata con un lottatore, vero?» domandò Pinette. «Sì. E la colpa è solo mia.» «Non ti puoi dare la colpa di quel che è successo» rispose Pinette. Lo sguardo di Severance ritornò alla fotografia della sua amata. Era una foto scattata in uno studio, come quelle che si fanno durante la cerimonia di laurea all’università. «Non avrei dovuto lasciarla andare via, Vinal. Non con un lottatore di wrestling. Adesso è chissà dove con un nano pieno di tatuaggi.» «La sua famiglia amava tantissimo viaggiare» ammise Pinette. Poi cambiò argomento con delicatezza. «Fa’ vedere ad Art il marchingegno che hai sotto i fornelli.» Severance fece roteare un pezzo di legno inciso grezzamente il cui centro misurava e aveva pressappoco la forma di due palle da bowling. «Lo hanno fatto i castori, facendolo rotolare per miglia.» Bramhall fissò la stupefacente scultura, la cui utilità meccanica non poteva essere messa in discussione. Aveva l’aspetto di un totem. Il suo sguardo rimase inchiodato sul pezzo di legno, come se lo avesse già visto da qualche altra parte. I sogni che aveva fatto nelle ultime notti erano stati terribilmente strani e colorati, pieni di animali reali e mostruosi allo stesso tempo. 32
“I castori” rifletteva “lo hanno cesellato con i denti.” Ma sentiva che c’era dell’altro riguardo a quell’oggetto al di là dei semplici mezzi utilizzati da quei piccoli scultori per realizzarlo. C’era qualcosa che scaturiva da esso, una sensazione rosicchiante durante le notti al chiaro di luna mentre la foresta era immobile e gli uomini dormivano. Solo allora i castori lavoravano e Bramhall, con una sensazione di galleggiamento, si sentiva trasportato verso di essi, si accovacciava accanto a loro su una collinetta fatta di legna sopra il loro laghetto, la collina da dove avrebbero fatto rotolare il loro trofeo. Gli occhi dei castori lo fissavano, siglando un patto che lo avrebbe legato a loro, se lo avesse desiderato. Con un sobbalzo di paura sentì spezzarsi la visione. Il suo corpo si contrasse sulla sedia come se fosse stato rimbalzato da un’enorme altalena elastica attraverso la foresta. «Mica tutti sanno che i castori hanno inventato la ruota» disse Pinette a Bramhall. «E questo è il tipo di storia» gli diede una pacca sulle ginocchia per enfatizzare la frase «che racconterai quando scriverai il tuo nuovo libro.»
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L’orso spingeva il carrello della spesa tra le corsie del supermercato. Lo stupore per i grattacieli di Manhattan l’aveva sopraffatto e le enormi quantità di miele che gli uomini gli avevano messo a disposizione l’avevano mortificato. L’intelligenza, l’inventiva, il tempo e il coraggio necessari per raccogliere così tanto miele era la prova finale che l’uomo indossava la corona di tutto creato. “Gli orsi sono dei semplici assistenti” pensava mentre riempiva di miele il carrello; miele in barattoli, miele in bottiglie di plastica, miele in tubetti. Un arcobaleno di colori lo abbagliò e scrutò più attentamente i lucenti barattoli di vetro. “Sogno o son desto” pensò. Scelse, eccitato, una varietà di marmellate e gelatine. “Quando penso a tutto il tempo che ci sarebbe voluto per raccogliere questi mirtilli… e senza la concorrenza di corvi e di volpi da rincorrere.” Ignorò la voce sommessa che gli diceva che quella sovrabbondanza avrebbe richiesto in futuro un prezzo da pagare molto più alto rispetto a quello scritto sul coperchio dei barattoli. Aveva già riempito il carrello con tutte le marmellate presenti nel negozio e si avvicinò alle casse. Sopra di esse si trovavano scatole di biscotti, dol34
ci, frittelle e krapfen. Il suo rispetto per il talento che dimostrava l’umanità crebbe all’infinito. Il supermercato aveva i passaggi tra gli scaffali stretti e le provviste si ammassavano a perdita d’occhio. La coda per pagare era lunga e i clienti scalpitavano dalla fretta. Ma all’orso non importava, poiché gli sarebbero occorsi mesi per raccogliere nella foresta quello che aveva raccolto lì in appena un’ora. Si mise in coda con il carrello dietro una donna anziana. “Lei è vecchia, lei è saggia, copierò quello che fa. Sarà una buona opportunità per imparare.” «Questo fottutissimo posto» disse l’anziana. L’orso annuì con il capo e prese nota mentalmente della frase. La vecchia puntò un dito nodoso in direzione della ragazza che lavorava dietro la cassa. «Sta dormendo. Non gliene frega niente. Possiamo aspettare in coda tutto il giorno per colpa di quella puttanella.» L’anziana signora spinse con forza il carrello in direzione delle casse andando a sbattere contro l’espositore delle riviste. «Forza, muoversi!» La cassiera lanciò alla vecchia signora un rapido sguardo colmo di disprezzo, continuando la sua flemmatica e sonnolenta lettura dei prodotti. L’orso trovava quel lavoro ipnotizzante, era affascinato da come la cassiera prendeva qualcosa, lo faceva scivolare, faceva suonare un campanello per poi farlo scivolare ancora verso un’altra giovane donna che la metteva dentro un sacchetto. I movimenti di entrambe le ragazze erano così armoniosi, i loro modi erano calmi come quelli di un particolare uccello marino, molto aggraziato, di cui apprezzava le movenze ridicole durante la stagione della pesca ai salmoni. Il pensiero di quell’uccello lo face rapidamente tornare indietro con la memoria, ricordandogli i suoi territori. Chi li stava dominando in quel momento? Chi stava invadendo i suoi posti preferiti per pescare? Quale altro orso stava annusando, in quel momento, i campi che lui 35
aveva marcato come suoi? Un’ondata di gelosia lo attraversò. Poteva percepire attraverso centinaia di chilometri il suo rivale che passeggiava senza impedimenti. Un concorrente solitario ai confini del suo regno che fiutava il terreno. «C’era un tenace figlio di puttana che controllava questo territorio. Non c’è più. Dev’essere morto. Adesso è mio.» «Fai quello che sei pagata per fare, ragazzina» ringhiò la vecchia, facendo sbattere il carrello contro la cassa. L’orso angolò il suo carrello in modo che anche lui potesse sbatterlo contro la cassa, come un vero umano, e facendolo mise a tacere le voci che si davano battaglia dentro la sua testa. La vecchia signora si girò verso di lui con un ghigno cospiratorio. «Dovremo appiccare il fuoco a questo posto, così si darebbero una mossa. Hanno passato un solo fottutissimo pezzo in un minuto e mezzo.» La vecchia indicò un orologio appuntato al suo cappotto insieme a un cartellino che indicava il suo nome e il suo indirizzo. «Non pensare che non li abbia cronometrati.» L’orso continuava a sbattere il carrello avanti e indietro contro la cassa. “Sono un modello di comportamento, ormai.” La cassiera calcolò il totale che doveva pagare la vecchia. «Sono venti dollari e cinquantadue centesimi.» «In culo» disse l’anziana. Pagò, prese le buste e uscì dal negozio, brontolando. L’orso svuotò il carrello sul nastro trasportatore. Quando i suoi acquisti furono imbustati e gli furono consegnati dall’aiutante, disse «In culo», e si incamminò verso l’uscita. Stava imparando ogni giorno sempre di più.
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«Quel che c’hai bisogno è una storia che vadi dritta al cuore delle persone» disse Pinette. Salirono sul furgone del taglialegna che li condusse, nel crepuscolo, lungo la strada sterrata che collegava le case della remota comunità rurale. «Odio vedere la valigetta di un uomo rubata da un orso» continuò Pinette «ma se succede a un bambino non è certo meglio.» «Un bambino?» «Una volta Mavis Puffer era uscita in giardino per ricoprire i fiori e le piante per proteggerle dal ghiaccio. Alza lo sguardo e vede una figura vicino alla staccionata. Era convinta che era suo marito che rincasava. Era buio e Mavis non c’aveva mai avuto una buona vista. Solleva il bambino e lo passa oltre la staccionata dicendo: “Portalo dentro, qui fa freddo”. Solo che la figura non era suo marito, ma un orso.» Pinette si tolse il cappello e si grattò la testa, la storia era apparentemente finita. «Cosa accadde al bambino?» «L’orso se l’è pappato, probabilmente.» Viaggiarono in silenzio per diverse miglia, Bramhall teneva lo sguardo fisso sulla foresta. Osservava il luccichio di 37
un lago attraverso gli alberi, vide la luce del crepuscolo sui pendii della collina sopra di lui, mentre lo riempiva il desiderio di osservare i castori che facevano girare le loro ruote, ma cosa più importante voleva che loro guardassero lui, con i loro occhi che brillavano, comunicando. «Penso che la tua storia ci aspetti laggiù, dove vive Armand LeBlond» disse Pinette indirizzando il suo furgone nel vialetto d’ingresso della proprietà di LeBlond. La porta della fattoria si aprì e ne uscì una donna. «La suocera di Armand, Ada Sleeper» disse Pinette con enfasi, mentre lui e Bramhall scendevano dal furgone. Bramhall fece attenzione alla staccionata che ronzava di elettricità. «Come stai Ada?» chiese Pinette. «Bene, Vinal.» Dopo quella risposta, uno strano suono uscì dalla gola di Ada Sleeper, come il chiocciare di una gallina. Di colpo la sua voce ritornò normale. «Armand è nei pascoli a sud. Ritornerà presto.» «E Janetta?» «È nel fienile» disse Ada e la sua voce da chioccia uscì ancora una volta. «Janetta!» Una ragazza uscì dal fienile. Dietro di lei Bramhall vide le stalle illuminate e le sagome di alcune mucche. «Abbiamo compagnia, Janetta» annunciò Ada, chiocciando. Janetta LeBlond attraversò il cortile cercando di sorridere ai due uomini. Vennero fatte le presentazioni e Pinette iniziò a conversare con lei. Mentre parlava, il taglialegna lanciò dei cenni d’intesa verso Bramhall, che non riusciva però a comprenderne il significato. Armand LeBlond arrivò attraverso i campi e Pinette e Bramhall gli andarono incontro. «Come stai amicò mio?» chiese LeBlond con un allegro accento francese del Maine. «Ti ho portato ’sta persona, Armand. È uno scrittore in cerca di una storia.» 38
LeBlond estrasse un sacchetto di tabacco, delle cartine e iniziò ad arrotolare una sigaretta, che accese dalla parte sfilacciata con una fiamma tremolante. Lanciò un’occhiata a Bramhall. «Hai conosciuto mia suocerà, hai sentito che parla come le galine?» «Sì, l’ho notato» disse Bramhall. «Bene, anche Janetta parla come le galine. È nel sangue di questa familia.» LeBlond soffiò pensierosamente sulla sigaretta fatta a mano. «Una cosa molto extravagante. Una notte Janetta era ubriaca e camminando è svenuta sulla mia stascionatà.» La indicò, mentre la staccionata sembrava ronzare leggermente più forte, quasi fosse orgogliosa della parte che aveva avuto in quella storia. «Deve aver passato tanto tempo appesa laggiù» spiegò Pinette. «Perché le ha fatto uscire fuori la voce da chioccia.» «Anche la vechia si voleva lansciare verso la stascionatà. Ponendo fine così al suo chiocciare. Ma io le ho deto: non c’è nessuno come te che sa badare alle galine, suocerà.» Mentre LeBlond pronunciava quelle parole, Bramhall notò che diverse galline stavano seguendo devotamente Ada, attorno alle sue caviglie. LeBlond si rivolse a Bramhall. «Ti do una dozina di uova, le migliori fotutissime uova che tu abbia mai mangiato.» I tre uomini rimasero immobili mentre le ultime luci del giorno si perdevano oltre i campi. Più tardi, sul furgone, con un cesto di uova tra Bramhall e Pinette, il taglialegna disse: «Una storia eccezionale, Art, in cui c’è tutto.» Bramhall prese un uovo e lo cullò dolcemente sul palmo della mano. Quindi premette la sua superficie fresca contro la fronte leggermente febbricitante. Ebbe un effetto lenitivo. «Un porcospino» disse Pinette indicando con la testa un punto di fronte a loro, dove la lenta creatura si era fermata, immobile, abbagliata dai fari del veicolo. I suoi occhi luccicavano e Bramhall scese dal furgone ancora in movimento. 39
Rincorse il porcospino attraverso lo sterrato, mentre quello alzava gli aculei per difendersi. L’animale scomparve barcollando dentro il fogliame, mentre Bramhall ascoltava il suo lento allontanarsi nell’oscurità dei suoi pensieri. «I porcospini hanno una corazza divertente» disse Pinette avvicinandosi a lui al centro della strada. Bramhall stava fiutando il porcospino, il suo odore quasi umano, simile a quello di una persona sudata con indosso una maglietta sudicia. «Cosa c’è Art? Fiuti qualcosa?» «Tu non lo senti?» «Non sento niente.» Il porcospino si era allontanato tra i cespugli e il ruomore dei suoi movimenti era ormai scomparso, ma il suo odore aveva lasciato una traccia evidente nell’aria notturna. Bramhall roteò la testa e improvvisamente si rese conto di sentire gli odori della notte, ricchi di aromi di ogni tipo. Nel momento in cui provò ad analizzare quella nuova sensazione, qualcosa si chiuse violentemente, accompagnato da un suono simile a quello di uno schedario metallico, una porta o una finestra che si chiudono di scatto. E quello scatto lo fece scendere da qualunque nuvola profumata stesse cavalcando, e il suo acuto senso olfattivo sparì.
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La favola più divertente di sempre. – Los Angeles Times –
william kotzwinkle
L’ORSO CHE VENNE DALLA MONTAGNA
L’O R S O C H E V EN N E D A L L A M O N TA G N A
L’illustrazione di copertina è opera di Peter de Sève, artista che ha creato, fra l’altro, fortunati personaggi cinematografici, tra i quali quelli di Nemo, dell’Era Glaciale e di A Bug’s Life.
Un docente universitario fallito, un assistente che sogna di fargli le scarpe, un anziano taglialegna sgrammaticato, una donna irsuta, una vecchietta sboccata, un agente letterario che ha paura di Topolino, un editor ostentatamente gay, una parrucchiera autrice di bestseller per casalinghe bigotte, una pubblicitaria nevrotica, un’agente cinematografica ninfomane, due bimbi di otto anni a passeggio con un mitra sotto la giacca, un reverendo visionario che aspira alla Casa Bianca… e su tutti Hal, orso-scrittore che assaggia lo zuccheroso sapore della vita di città e che la critica letteraria incensa come il nuovo Hemingway. Attraverso una galleria di personaggi tanto ridicola quanto improbabile, William Kotzwinkle ci consegna una storia a metà strada fra la satira e la favola per adulti.
william kotzwinkle
William Kotzwinkle è uno sceneggiatore cinematografico e autore di oltre quaranta romanzi e racconti per adulti e bambini, tradotti in una dozzina di lingue (perfino in latino). Tra i più celebri ci sono Doctor Rat (1977), premiato con il World Fantasy Award, e la versione romanzata di ET l’extraterrestre. L’orso che venne dalla montagna è il suo capolavoro. Da ricordare, inoltre, la serie di libri illustrati per bambini Walter the Farting Dog (Walter, il cane scoreggione, di prossima pubblicazione per la Zero91), autentico cult presso il pubblico infantile negli Stati Uniti. L’autore vive con la moglie su un’isola lungo le coste del Maine.
Una commedia degli equivoci che traccia un ritratto irriverente, impietoso e irresistibilmente comico del mondo dell’editoria, della politica e dello star system.
9
€ 0
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17 www.zero 91 .com
ISBN 978-889538123-7
Grafica: zero91 s.r.l.
788895 381237
In copertina foto © Peter de Sève
Una satira appassionata sul mondo dell’editoria. – Der Spiegel – Una fiaba incantevole... ilare... Kotzwinkle ha vreato una vera star. – Publisher Weekly –
Arthur Bramhall, docente di letteratura inglese presso l’Università del Maine, subisce un furto bizzarro: un orso gli trafuga il manoscritto che ritiene possa diventare un bestseller. Il grosso e goffo bestione ha le idee chiare su che farsene di quel plico di fogli. S’infila giacca e cravatta e si reca in città per inseguire il grande sogno dell’orso americano: trovare un agente che riesca a renderlo uomo e ricco, per potersi strafogare di miele e torte a volontà e scacciare i pensieri che affliggono la vita quotidiana degli orsi. La Grande Mela è così diversa dalle pacifiche foreste del Maine, ma si conferma la capitale delle opportunità. E l’orso diventa Hal Jam, osannato autore di Destino e desiderio…
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