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MUSEI MUSEUMS
Architect 5 Andrea Bruno Gigon/Guyer Zaha Hadid Kengo Kuma Kisho Kurokawa Christian Menu Rita Rava, Claudio Piersanti Schmidt, Hammer & Lassen Kenzo Tange, François Deslaugiers UN Studio Urbanfish
In Italia Lire 17.000/8,80 Euro
Iva assolta dall’editore
1999 novembre november
142
Periodico mensile - Spedizione in abbonamento postale 45% pubblicità ART.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Milano
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La rivista internazionale di architettura, design e comunicazione visiva
The international magazine of architecture design and visual communication
Novembre 1999 November Musei Museums
Sommario/Summary l’Arca è pubblicata da is published by l’Arca Edizioni spa Via Valcava, 6 20155 Milano tel.(02)325246 facsimile (02)325481 l’Arca è in Internet: http://www.arcadata.it e-mail: arca@tin.it Direzione commerciale Business Manager Titi Casati Segreteria commerciale Business Secretariat Paola Festi Comunicazione/Communication Alda Mercante Casati International Promotion Daniela Adaglio Coordinamento edizioni Book coordinator Franca Rottola Pubblicità Advertising Lombardia, Liguria, Toscana Lazio, Campania, Calabria, Puglia, Basilicata l’Arca Edizioni spa tel.(02)325246 facsimile (02)325481 Marcello Altamura tel. 02/6701893 Piemonte Studiokappa srl tel.(011)597180-5817300 Emilia Romagna, Marche Angelo Sozzi tel. (051)232633-(0336)558900 facsimile (051)274294 Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige Michele Tosato Studio Mitos tel. (0422) 892368 - (0348) 8732626 facsimile (0422) 892055 Distribuzione esclusiva per l’Italia Messaggerie Periodici spa (Aderente ADN) Via G.Carcano, 32 - 20141Milano tel.(02)895921 facsimile(02)89500688 Distribuzione in libreria Joo Distribuzione Via F.Argelati,35-20143 Milano tel.(02)8375671 facsimile(02)58112324 Distributor for abroad Agenzia Italiana Esportazione A.I.E. Via Manzoni, 12-20089 Rozzano (MI) tel.(02)57512575 facsimile(02)57512606 Undici fascicoli l’anno Il fascicolo in Italia Lire 17.000/8,80 Euro in Italia (IVA assolta dall’editore) Arretrati il doppio Registrata presso il Tribunale di Milano con il n.479 del 8/9/1986 E’ vietata la riproduzione totale o parziale del contenuto della rivista senza l’autorizzazione dell’editore. Total or partial reproduction of the magazine without previous authorization by the editor is prohibited.
Direttore responsabile/Editor Cesare M.Casati Vicedirettori/Deputy Editors Mario Antonio Arnaboldi, Maurizio Vitta Comitato scientifico Scientific Committee Piero Castiglioni, Angelo Cortesi, Gillo Dorfles, Giorgetto Giugiaro, Gianpiero Jacobelli, Riccardo Mariani, Bob Noorda, Lorenzo Papi, Paolo Riani, Joseph Rykwert, Piero Sartogo, Pierluigi Spadolini, Tommaso Trini Consulenti/Consultants Carmelo Strano Redazione/Editorial Staff Elena Cardani, Carlo Paganelli, Elena Tomei English editing and translations Martyn Anderson, James Pallas, Sofia J. Teodori Corrispondenze da New York Correspondent in New York Pierantonio Giacoppo Corrispondenze da Parigi Correspondent in Paris Doriana O.Mandrelli Corrispondenze da Osaka Correspondent in Osaka Toshyuki Kita Coordinamento a Roma Coordinator in Rome Carmelo Zimatore
Cesare M.Casati
Ci proviamo? Shall we give it a try?
1
Maurizio Vogliazzo
Il continuum museale “Everything is Museum”
2
Aldo Castellano
Rinnovato e ampliato Van Gogh Museum New Wing
4
Kisho Kurokawa
Aldo Castellano
Esposizione e ricerca Dinosaur Museum, Katsuyama
14
Kisho Kurokawa
Mario Antonio Arnaboldi
Geometrie fluide “Gardening Show” in Weil am Rhein
18
Zaha Hadid
Marina Bonfigli
La riqualificazione della memoria Ethnographic Museum in Corsica
22
Andrea Bruno
Michele Bazan Giordano
Museo-laboratorio International Ceramics Museum, Faenza
30
Rita Rava e Claudio Piersanti
Elena Cardani
Metafisico minimale Liner Museum, Appenzell
36
Gigon/Guyer
Maurizio Vitta
Il gesto e lo spazio Tottori Flower Park
42
Architect 5
Carlo Paganelli
Suoni freddi e acuminati Het Valkhof Museum, Amsterdam
52
Un Studio-Ben van Berkel & Bos
Fotografi/Photographs Gabriele Basilico, Hélène Binet, Arnaud Carpentier, Heinrich Helfenstein, Lucien Lemoeuf, Nacàsa & Partners, Tomio Ohashi, Claudio Piersanti, Christian Richter, Philippe Ruault, Sels-Clerbourt, Y.Shinozawa
Remo Dorigati
Il diamante nero The Royal Library in Copenhagen
56
Schmidt, Hammer & Lassen
Alessandro Gubitosi
Geometria ed equilibrio Asian Art Museum, Nice
62
Kenzo Tange, François Deslaugiers
Stefano Pavarini
Una nuova natura Kitakami Canal Museum
66
Kengo Kuma
Stefano Pavarini
Modernità bloccata Museum of the Modern, Salzburg
72
Urbanfish
Maurizio Vitta
Contenitore e contenuto Musée de l’Armée, Paris
76
Cristian Menu et Associés
Amministrazione Administration Maria Grazia Pellegrina Daniela Cicchinelli Ufficio abbonamenti Subscriptions Laura Ronchi Giulia Bettega Stampa/Printed by Poligrafiche Bolis, Bergamo Fotolito/Colour Separation Litofilms Italia, Bergamo Computer graphics Romilda Fassina
I disegni in formato elettronico sono stati convertiti ed elaborati con AutoCAD® R14/AUTODESK®
Luce e Architettura Lighting Desing and Architecture Carmelo Strano
La stoffa del ritratto Alda Casal
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l’Arca 2
89
l’Arca Press
95
l’Arca News
97
Agenda Copertina/Cover Modello del progetto per il Museo dei Dinosauri, progetto da Kisho Kurokawa, che verrà realizzato a Katsuyama, nella Prefettura di Fukui, Giappone. Model of the project for the Dinosaur Museum, designed by Kisho Kurokawa, planned to be built in Katsuyama in the Prefecture of Fukui, Japan.
Questo periodico è iscritto all’AIE, Associazione Italiana Editori
Nel prossimo numero In the next issue Dicembre/December Sociale Social Architecture
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Dal 1986 l’Arca ha pubblicato questi argomenti: 01 Il territorio dello spettacolo - 02 Lo spazio del museo - 03 Il progetto del lavoro - 04 Il progetto verticale - 05 La modernità - 06 La città - 07 Trasporti e comunicazioni - 08 Riflessioni - 09 Design 10 Sopra e sotto - 11 Lo spazio dello sport - 12 Il pubblico - 13 La comunità - 14 Lo spazio domestico - 15 Il progetto intelligente 16 Strutture e materiali- 17 Scuola e società - 18 L’effimero - 19 Superfici e strutture - 20 Il territorio disegnato - 21 Il vecchio e il nuovo - 22 Domestic Landscape - 23 Il progetto ospitale - 24 Il luogo dello studio - 25 Luce e colore - 26 L’edificio integrato - 27 Architettura in URSS - 28 L’architettura è ambiente - 29 Reti e servizi - 30 I grandi spazi- 31 La costruzione dell’architettura -32 Il rinnovamento della città - 33 Il superamento della gravità - 34 Tecnologie 35 L’aspetto della materia - 36 Interiors - 37 Sistemi - 38 Sport - 39 Progetto e computer - 40 Ambienti urbani - 41 Il territorio delle reti - 42 Tecnologia e costruzione - 43 Il progetto della luce - 44 Qualità - 45 Texture e architettura - 46 Architettura come immagine - 47 L’architettura costruita - 48 Luoghi per la cultura - 49 Lo spazio collettivo - 50 I luoghi dell’abitare - 51 Strutture urbane - 52 L’architettura progettata - 53 La contemporaneità - 54 Architettura e tecnologia - 55 Il progetto e il lavoro - 56 Architettura in mostra - 57 I segni nella città - 58 Il grande numero - 59 Riti, miti e altre cose - 60 Architetture francesi - 61 Architetture in Italia - 62 Architetture negli USA - 63 I nodi nella città - 64 L’architettura ornata - 65 La scena della cultura - 66 La città ideale 67 Architetture in Giappone - 68 Il mito e il culto - 69 La trasparenza - 70 Visto da dentro - 71 Porte urbane - 72 Le torri - 73 Tensostrutture - 74 I servizi per la città - 75 La competizione 76 Competizione e ricerca - 77 Visioni urbane - 78 Riflessioni - 79 Oltre il muro - 80 Il progetto del terziario - 81 Lo spazio aperto - 82 America, America! - 83 Mens ludicra - 84 Formazione e ricerca - 85 La casa dell’uomo 86 Tecnoarchitettura - 87 La Committenza - 88 Natura e artificio 89 L’apparenza della materia - 90 Modernità e tradizione - 91 I luoghi delle arti - 92 America, America ! - 93 America Latina - 94 Architetture in concorso 95 Architetture in concorso - 96 Natura urbana - 97 Cultura e società - 98 Produzione e servizi - 99 La residenza - 100 La bellezza - 101 La nuova città 102 Cromatismi - 103 America, America! - 104 La Francia - 105 Italia - 106 Giappone - 107 La trasparenza - 108 Le infrastrutture - 109 Le torri - 110 L’Europa - 111 Small - 112 Il legno - 113 Il metallo - 114 Interni - 115 Nord America - 116 Ristrutturazione - 117 La luce - 118 L’immagine del futuro - 119 La Francia - 120 Tecnologie e sistemi - 121 La comunità - 122 Lo Sport - 123 I sensi e la materia - 124 Le infrastrutture - 125 L’emozione - 126 Il legno - 127 Immagine USA - 128 Creatività - 129 Superfici - 130 Orizzontale/Verticale - 131 Abitabilità - 132 Il segno è colore - 133 Acqua - 134 Apparenza - 135 Luce - 136 La materia 137 La trasparenza - 138 Materia e Natura - 139 Strutture - 140 Linguaggi - 141 Interni
Ci proviamo?/Shall we give it a try? Cesare Maria Casati
L
a prossima Biennale di Architettura di Venezia aprirà finalmente il dibattito sul problema del progetto della città. Sembra proprio che il tema, almeno come lo vede Massimiliano Fuksas direttore della prossima edizione, non sia più di pertinenza dei cosiddetti urbanisti tradizionali, sempre dediti a ipotizzare il futuro sviluppo del territorio in due dimensioni e sempre vincolati all'attuale sistema di trasporti individuali urbani su quattro ruote. Si spera che Venezia possa essere l'occasione di una rivoluzione copernicana e che il disegno della città ritorni nelle mani dei progettisti veri e con i cittadini come committenti, superando interessi industriali e politici consolidati solo nella tradizione e mai nell'evoluzione. Ipoteticamente si potrà riprogettare l'agglomerazione urbana partendo da zero e riconsiderare tutti gli spazi vuoti e pubblici, ora occupati da strade utili solo alle vetture e ai mezzi di trasporto tradizionali, come territorio di natura e di svago. Se riusciamo a implodere la città, destinando gli spazi, che normalmente separano gli edifici necessari alla residenza e al lavoro, esclusivamente ai cittadini e risolviamo tutti i trasporti orizzontali, come attualmente facciamo negli edifici alti con i collegamenti verticali, riusciremo a ritrovare individualità di movimento senza dipendere da vetture ingombranti ed energeticamente antieconomiche. Vetture che potremo certamente utilizzare nei collegamenti extraurbani e di lunga percorrenza. Costruiamo oggi normalmente degli edifici a torre che contengono la popolazione di una piccola città (7/10.000 abitanti) i cui abitanti si muovono e svolgono differenti attività, individualmente o in gruppo, senza avere ciascuno un proprio personale mezzo di movimento. Potremo chiamare un mezzo di trasporto con la stessa facilità con cui chiamiamo un ascensore e, inoltre, le tecnologie attuali e lo sviluppo incredibile dei mezzi di comunicazione ci consentiranno di telelavorare e portare le nostre idee o decisioni in qualsiasi luogo senza doverci spostare fisicamente. Proviamo a riflettere e chiediamo a tutti gli architetti di grande o piccolo talento di ritornare a pensare prima al territorio intero e poi disegnarne una parte rinunciando all'esibizionismo attuale di inserirsi in tessuti urbani compromessi con dei bellissimi macrooggetti che niente hanno a che fare con il contesto della città. Conserviamo tutto quello che si deve conservare e demoliamo, rinunciando alle maniacali presenze storiche industriali, ciò che non significa più nulla, rendendo libere grandi aree cittadine dove potremo realizzare i primi prototipi della città futura. Ci vuole tanto coraggio?
T
he next Biennial of Architecture in Venice will finally open up debate on the issue of town-planning. It would seem that this matter, at least as the Director of the next edition Massimiliano Fuksas sees it, is no longer the business of so-called traditional town-planners, bent on envisaging future territorial developments on a two-dimensional basis and bound to the current system of four-wheel private transport. It is to be hoped that Venice will provide the chance for a Copernican revolution and that town-planning will be put back in the hands of genuine designers, taking the inhabitants of our towns and cities as their clients and moving beyond industrial-political interests rooted in tradition and reluctant to ever change. Theoretically speaking, our towns and cities could be redeveloped from scratch, reassessing all those empty/public spaces currently filled with cars and other conventional means of transport from the point of view of nature and leisure. If we could only implode the city, allocating the spaces usually separating buildings serving housing-work purposes to the general public, and replacing all our horizontal transport systems with vertical connections, as is currently the case with tall buildings, then we would rediscover a more personalised form of transport, without having to rely on bulky high-energy-consumption cars. Cars we could still of course use for long-distance journeys outside our cities. We are now used to constructing tower blocks housing as many people as a small city (7-10,000 inhabitants), who move around and go about their business, individually or in groups, without each having his or her own means of transport. We would then be able to call a means of transport as easily as we now call a lift, without forgetting that progress in current technology and incredible developments in means of communication will soon allow us to work at a distance and "transport" our ideas and decisions anywhere without actually having to physically move. Let's pause for thought and ask architects of all talents and abilities to revert back to thinking about the entire territory before designing part of it, and to stop trying to stitch their own beautiful micro-objects into a badly damaged urban fabric without bothering about the overall city context. So let's hang onto everything worth keeping and demolish, giving up on certain old industrial relics, what has now lost all meaning, freeing large areas of our cities so that we can build the first prototypes of the city of the future. Does it really take that much courage?
l’ARCA 142 1
Il continuum museale “Everything is Museum” utto è Chinatown" - diceva il detective (Jack Nicholson) nelle ultime battute di un bel film di Roman Polanski di tanti anni fa “T (Chinatown 1974). Un bel modo - allusivo ed elusivo - per esprimere l'enigma sfuggente che in qualche modo accomuna le grandi conurbazioni metropolitane del XX secolo. "Tutto è Museo" - si potrebbe dire oggi altrettanto bene, parafrasando in maniera poi non tanto azzardata (almeno nella parte occidentale del nostro pianeta). L'osservazione è assolutamente neutra: non contiene risvolti in termini di giudizio, negativo o positivo. Una constatazione, insomma. Una rilevazione. La registrazione di un altro elemento molto importante di quell'ispessimento in pieno corso e già comunque consolidato della crosta terrestre, fatto di infrastrutture di varia consistenza fisica, di mutamenti sociali e tecnologici accelerati punteggiati di tracce rapprese, da implosioni puntiformi, che da tempo su l'Arca abbiamo segnalato e andiamo mano a mano scandagliando. Tutto è museo, dicevamo. Muovendoci con questa idea in mente nel tessuto connettivo di questo strato infrastrutturale, ovatta isotropa che ha progressivamente avvolto il pianeta, ci imbattiamo a ogni minuto nelle infinite mutazioni di questa cosa, di questo luogo o insieme di luoghi destinati a suscitare nel pubblico rapporti di qualsivoglia tipo con le distese sterminate dell'ingegno umano e della sua incessante attività e produzione, avvenuta, in corso, o che avverrà. Se poi si pensa che, in termini specifici di edifici e architetture appositamente pensate e costruite, la storia è relativamente recente - non è possibile andare molto più in là del British Museum, che poi è già della seconda metà del XVIII secolo - la consistenza e la rapidità o, meglio ancora, la densità delle trasformazioni hanno in questo caso indicatori immediati, tangibili, percepibili con facilità (facendo un po' di attenzione). D'altra parte, l'entità stessa delle destinazioni d'uso messe in gioco è di per sé speciale: la storia, la cultura, l'arte, la tecnica, la scienza e così via, e la loro comunicazione a utenti da tempo non più circoscrivibili e tanto meno programmabili. Si capisce facilmente come una questione di tale ampiezza e con confini così poco definiti abbia progressivamente chiamato in causa direttamente un arco di competenze che tende ad allargarsi sempre più, dando così inevitabilmente luogo quasi sempre a lotte, talvolta senza quartiere, fra lobby di specialisti ed esperti, tendenti ciascuna a escludere un'altra o anche tutte le altre. Di conserva, anche le risorse economiche in gioco, aumentando la posta, si sono radicalmente modificate, per natura, provenienza, entità. Questo è un discorso che porta lontano. L'architettura per il momento nel complesso ha ancora qualche peso; per lo meno rispetto ad altri campi, dai quali è stata mano a mano quasi del tutto esclusa. In realtà, il suo ruolo si è progressivamente molto modificato. Quando una fabbrica, un luogo destinato alla produzione, cessa, per vari motivi, di essere utilizzata in quanto tale, specie se dotata di un qualche particolare fisico interessante, o per lo meno divenuto tale (le incavallature metalliche chiodate a caldo o i pilastrini di ghisa, per esempio, certamente - e giustamente - à réaction poétique, anche se molto di massa, pulp), si candida istantaneamente a un suo destino di museo: di se stessa; del lavoro umano da essa già ospitato; del macchinario suo o di altra qualunque provenienza; di altre cose, reperti, manufatti. Non esistendo, ahimè, più una possibile utenza residenziale, i grandi palazzi "storici" costruiti da architetti più o meno “grandi” nelle città "storiche", che sovrabbondano nei Paesi "storici" (come l'Italia) vengono generalmente iscritti d'ufficio nella lista dei musei di qualsivoglia natura (o delle sedi di rappresentanza delle banche: che sono comunque una forma di museo). Poi ci sono le vecchie stazioni ferroviarie (malmenate magari senza tanti complimenti da architetture corrusche travestite da allestimenti, vedi la Gare d'Orsay); i depositi dei tram; i magazzini vari; anche i gasometri (qui è d'obbligo ricordare, scriviamo da Milano, il "Museo del Presente di Bovisa Contemporary" [sic], al quale varrebbe per ora soltanto potersi augurare non più di una buona fortuna). Una piccola enumerazione di casi, esempi fra i tanti possibili. E dunque: i musei (o la propensione a divenire in un qualche modo tali) da anni, più o meno silenziosamente, si estendono a macchia d'olio, divorando architetture e spazi interstiziali, occupando involucri rimasti vuoti, come fanno alcuni molluschi marini con le conchiglie disabitate. Con episodi alti, come fu con Scarpa e con Albini; anche se in realtà sono lontani, ben poco riconducibili a questa più recente modalità di occupazione estensiva, generalmente piuttosto senza volto, anche se d'autore. Questo da un lato. Poi ci sono gli investimenti museali deliberatamente a forte carica estetica, pubblici e privati. Come in Germania negli anni Ottanta con code nei Novanta. Frankfurt am Main (non badare alla
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qualità di alcuni dei risultati - vedi il Museo dell'Architettura; conta l'intenzione); Stuttgart; e così via. La Spagna nel medesimo periodo e tuttora, con risultati certamente più raffinati, dalla Merida di Moneo alla Barcellona di Viaplana (dove anni prima c'era già stato Sert); o veramente molto sofisticati, come recentemente a Bilbao, con la completa, lucida, incorporazione dell'architettura (Frank Gehry) come elemento portante di un progetto economico e sociale (un caso su cui riflettere, destinato probabilmente a ripetersi altrove). Questo modo di procedere parrebbe presentare analogie con alcuni momenti della fase di costruzione delle grandi città borghesi. Naturalmente tutto è cambiato: il peso del turismo nella formazione delle politiche urbane e territoriali (che se sono aggiornate e consapevoli non trascurano mai il valore specifico dell'architettura e della forma fisica delle cose costruite e da costruirsi) e dei sistemi di decisione relativi è divenuto, anche indirettamente, fondamentale e strategico. E non vi è dubbio che un assetto efficiente e qualitativamente distinguibile, anche sul piano architettonico, del complesso dei musei e dell'immagine di fondo giochi, in questo senso, uno dei ruoli determinanti, in una società di servizi, sorretta da veloce innovazione tecnologica, con standard di consumo tendenzialmente omogenei, e segnata da squilibri fortissimi (la contraddizione è solo apparente). Spunta un'ipotesi di ricerca. Urge una riflessione su riemersioni eventuali o inaspettate di elementi propri del rimpianto "Grand Tour" in un quadro totalmente "di massa" (che brutto modo di dire). Con tutti, o quasi i fattori in gioco cambiati. Comunque, qui gli architetti tornano utili. Specie se già molto, o troppo, affermati. Come al solito, si è sempre un pochino indietro: la griffe resiste versus un più raffinato, forse più adatto, anonimato. Dunque, se un cartografo abile sezionasse a una certa quota il territorio, urbanizzato e anche non, si troverebbe probabilmente di fronte a un continuum museale, o sul punto di esserlo, o aspirante tale, piuttosto indistinto e trapuntato da episodi qualitativamente e formalmente eclatanti, di varie epoche e fogge diverse. Neppure le zone non costruite sfuggirebbero a una tale rilevazione: dopo tutto, non sono le montagne, o i mari, anche nei casi meno infrastrutturati, musei in se stessi? Di una ipotetica natura o naturalità, elemento essenziale di un mondo interamente artificiale? Questa possibile, utilissima cartografia si troverebbe tra l'altro subito, per correttezza scientifica e nitore mentale, di fronte alla necessità di dover incorporare le grandi reti tecniche e le opere civili. Prendiamo (non facendolo a caso) la Francia: le fogne di Parigi; la rete di canali navigabili; gli impianti della RATP e della RER; la Très Grande Bibliothèque e così via: esattamente come il Louvre, sistemi complessi a crescita continua, macchine a funzionamento ininterrotto, accumulo di memoria pulsante, memoria non combustibile, motori sempre accesi, indistinguibile ronzio di fondo della metropoli totale. Se poi si pensa che, contemporaneamente, andrebbe giocoforza condotta una analoga campagna di rilevamento e rappresentazione del commercio, delle sue reti e dei suoi nodi, dei flussi di persone e merci messi in moto, si potrebbe giungere a una individuazione dell'ordito e della trama che ammagliano, senza apprezzabili soluzioni di continuità, la nostra superficie terrestre. Compresi i fili immateriali sempre più necessari per tenere insieme il tutto. Cartografia come progetto e progetti come cartografie. Molto lavoro e campi nuovi per l'architettura. Aver cercato di spiegare come e perché oggi tutto sia museo non vuol dire ovviamente che di edifici appositi non ci si debba più occupare. C'è anzi necessità di notevole impegno in questo senso. Progettare sistemi d'uso è solo un aspetto della questione (peraltro molto importante). Occorrono architetture innovative e belle. Non soltanto di richiamo o di ricamo. Fa riflettere, a distanza di anni, il Beaubourg, che continua comunque a segnare una grande svolta, probabilmente per molti versi l'ultima, e continua a star lì a funzionare senza interruzione, come le macchine di un transatlantico. Raccoglie, accoglie, ospita, produce, espone, forma, informa, diffonde, promuove, organizza. E' un must per ogni genere di turismo. In qualche modo riesce perfino ad assorbire gli sbalzi degli stili di gestione (che sono, si sa, uno dei principali rischi, anche endogeni, corsi continuamente dai musei di qualsivoglia natura). Comunque, parrebbe proprio che l'intuizione/invenzione, come al solito del tutto architettonica, di Le Corbusier, il "Musée à croissance illimité (1930!), abbia, dopo tutto, trovato un suo modo di realizzarsi: come condizione di fondo, forma/non forma invasiva, punteggiata da episodi di architettura. Maurizio Vogliazzo
verything is Chinatown” - so the detective (Jack Nicholson) quipped in one of the final scenes of Roman Polanski’s “E excellent movie filmed a number of years ago (Chinatown, 1974). A nice way - allusive and elusive - of expressing that puzzling enigma which is a sort of leit-motif in large XXth century urban conurbations. “Everything is Museum” - we might just as well say nowadays (at least in the Western part of our planet). There is nothing biased in this remark, no judging in either a positive or negative sense. Just the stating of a simple fact. A revelation. It is also worth pointing out the general thickening of the Earth’s crust that is now in full swing, taking the form of infrastructures of different physical dimensions, socio-technological changes accelerating at a breathtaking rate, and various other specific implosions, all of which have already been pointed out in l’Arca and are still being drawn to our readers’ attention. As we were saying, everything is museum. As we move around the connecting tissue of this huge layer of infrastructures with this idea in mind, an isotropic wad gradually wrapped around our planet, we constantly bump into all the infinite changes that have taken place in this thing, this place or combination of places designed to bring the general public into all kinds of different contact with the boundless realms of human intellect and everything it creates, has created or ever will create. But then if we start to think in terms of buildings and works of architecture specially designed and built for this purpose, then we do not get much further into the past than the British Museum, dating back to latter half of the XVIIIth century. In this respect, it is easy enough (if we pay a little attention) to detect the extent, speed, and even density of the transformations that have taken place over more recent times. After all, the sphere of interests such facilities are designed to serve is really rather special: history, culture, art, technology, science etc., and of course it is now quite pointless trying to pinpoint exactly who these facilities are made for. It is easy to see how such a vast issue with such fuzzy boundaries has gradually called into play an increasingly wide range of skills and expertise, inevitably causing real battles between different lobbies of specialists and experts, each tending to try and exclude all the rest. Even the financial resources at stake have changed quite dramatically in terms of the figures in play and where the backing comes from. But it would take us too far afield to look into this matter properly. For the time being anyway architecture is still of some importance; at least compared to other fields from which it has gradually been excluded altogether. In actual fact, its role has gradually changed. When a factory designed for manufacturing purposes stops been used for some reason or other, it is immediately a prime candidate for being turned into a museum, particularly if it can boast some interesting physical feature or other (hot-nailed roof trusses or cast iron columns, for instance, creating a very pulp-style réaction poétique); a museum of itself or of the human labour that went on inside it, of its own machinery or machines from anywhere else, or of other objects and relics etc. Since, alas, there is nobody interested in living in those big old “historical” buildings built by architects of varying importance in the kind of “historical” cities that abound in “historical” countries (like Italy), they are automatically placed on the list of miscellaneous museums (or headquarters for banks: which are, after all, museums of a kind). Then there are old railway stations (badly treated by flashy architecture dressed up as refurbishing projects, as in the case of Gare d’Orsay), tram depots, warehouses of all sorts, and gas works (writing in Milan, we cannot help mentioning the “Museum of the Present in Contemporary Bovisa” [sic], which can only wish the best of luck). These are just a few of the many possible examples. So museums (or those places with some intention of becoming so) have been slowly spreading like oil slicks for years now, eating up architecture and open spaces, occupying empty shells the way certain kinds of marine life do. Some of these examples are of exceptional quality like Scarpa and Albini’s work, although to tell the truth their work dates back so far it is hard to relate it to these more recent forms of widespread occupation in rather anonymous style, but actually designed by big names. This is one side of the coin. Then there are those private/public museum investments of great aesthetic force. Like those in Germany in the late 1980s and early 90s. Frankfurt am Main (do
not worry about the quality of certain designs - such as the Museum of Architecture - it is the intention that counts) and also Stuttgart etc. Back in those days, and even still today, Spain has certainly produced more elegant results, from Moneo’s Merida to Viaplana’s Barcelona (where Sert had been a few years earlier); including some genuinely sophisticated constructions in places like Bilbao, where architecture has been fully incorporated with great clarity (Frank Gehry) as the bearing element of a socio-economic project (something worth reflecting on that is likely to be repeated elsewhere). This approach would seem to bear similarities with certain aspects of the construction of large bourgeois cities. Of course things have changed: the importance of tourism in constructing urban-territorial policies (which, if they are up-to-date and attentive, never overlook the specific value of architecture and the physical form of built things and things planned to be built) and in creating decision-making systems is now a key strategic factor. And there can be no doubt that an efficient, high-quality museum complex with the right image (particularly on an architectural level) has a key role to play. Perhaps even in our largely centralised business world, which is part of a services-based society backed up by technological innovation progressing at an astoundingly fast rate, where consumer standards are substantially homogeneous but inequality is rampant (the contradiction is actually only apparent). This suggests a possible line of experimentation. We might recapture some of the flavour of those old-fashioned “Grand Tours” but now transferred onto a “mass” scale (what a horrible expression). Changing all, or almost all, the factors in play. This is where architects will come in handy. Particularly if they are already extremely well-established (even excessively so). As usual we are always a bit behind the times: a “big name” is always a greater attraction than a more sophisticated and perhaps better suited “nobody”. If a clever map-maker, were to cut a section at a certain height in the ground (whether it be urbanised or otherwise), he would probably come across a sort of museum continuum with no real distinguishing features from any particular age or stylistic period. This would even apply to unbuilt areas: after all, are not the mountains and seas museums in their own right, despite the lack of infrastructures? Is not their own nature or naturalness, a vital element in a totally artificial world? Such a useful map-making process would (for scientific reasons and for purposes of mental clarity) immediately be forced to come to terms with our major technological networks and civil-engineering structures. Take (not by chance) France: the Paris sewers; the network of ship canals; the RATP and RER systems; the Très Grande Bibliothèque and so forth: just like the Louvre, constantly growing complex systems, non-stop machines, a mound of pulsating memories, non-combustible memories, engines always running, the indecipherable background rumble of the total metropolis. If then a similar survey were carried out, at the same time, into business with all its networks and nodes, and flows of people and goods, then we might finally be able to work out the pattern knitting across and enveloping our beloved Earth’s surface. Including those immaterial wires now needed more than ever to hold everything together. Map-making as a project and projects as a form of map-making. Plenty of work and new realms for architecture to explore. Having tried to explain how and why everything is now museum obviously does not mean that there is no need to worry about special buildings. On the contrary a lot needs to be done in this respect. Designing operating systems is just one aspect of the issue (although an important one), we also need beautiful new works of architecture. Not just frills causing thrills. It could be useful to reflect on how, after many years, the Beaubourg Building is still a turning-point, perhaps the last of its kind, and it is still there in non-stop operation like the engines of an ocean liner. It draws in, welcomes, hosts, produces, exhibits, forms, informs, diffuses, promotes, and organises. It is a “must” on any sightseeing trip. In some way it even manages to resist differing management “styles” (which, as we know, are one of the main (endogenous) risks that all museums run). So Le Corbusier’s intuition/invention, totally architectural as usual, known as the “Musée à croissance illimité” (1930!), has found a way of actually taking physical shape: as an underlying condition, invasive form/non-form, peppered with architectural episodes.
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apprezzabili soluzioni di continuità, la nostra amata superficie terrestre. Compresi i fili immateriali sempre più necessari per tenere insieme il tutto. Cartografia come progetto e progetti come cartografie. Molto lavoro e campi nuovi per l'architettura. Aver cercato di spiegare come e perché oggi tutto sia museo non vuol dire ovviamente che di edifici appositi non ci si debba più occupare. C'è anzi necessità di notevole impegno in questo senso. Progettare sistemi d'uso è solo un aspetto della questione (peraltro molto importante4). occorrono architetture innovative e belle. Non soltanto di richiamo o di ricamo. Cenni e riflessioni brevissime a questo riguardo. Il MOMA è un caso interessante; forse però eccessivamente autoreferenziale e recentemente un po' dilapidato sotto il profilo compositivo. Il concorso appena concluso per un museo del XXI secolo a Roma (discutibile e improbabilissimo, e prudentemente definito in via ufficiale "Centro per le arti contemporanee") ha fornito una buona occasione a Koolhaas per mettere a punto un programma esemplare (non ci potrà mai essere una buona architettura senza che il suo progetto ne investa fino in fondo il programma), molto cool e assolutamente non enfatico, garanzia e apertura per un trattamento formale corretto e non velleitario o sbracciato (come hanno finito per fare invece anche in questa occasione diversi altri concorrenti). L'efficienza del Whitney; lo spettacolo e la carica foirmale del Guggenheim (di new York); la serenità del de Menil; la delicatezza e l'intimità del Soane (caratteri, questi ultimi, di inarrivabile raffinatezza e intelligenza, come il riferimento architettonico scelto per illustrarli; anche uno spiraglio per struggenti possibilità di margini futuri). A distanza di anni, il Beaunourg continua a segnare una grande svolta, probabilmente per molti versi l'ultima, e continua a star lì a funzionare senza interruzione, come le macchine di un transatlantico. Raccoglie, accoglie, ospita, produce, espone, forma, informa, diffonde, promuove, organizza. E' un must per ogni genere di turismo. In qualche modo riesce perfino ad assorbire gli sbalzi degli stili di gestione (che sono, si sa, uno dei principali rischi, anche endogeni, corsi continuamente dai musei di qualsivoglia natura). Comunque, parrebbe proprio che l'intuizione/invenzione, come al solito del tutto architettonica, di Le Corbusier, il "Musée à croissance illimité (1930!), abbia, dopo tutto, trovato un suo modo di realizzarsi: come condizione di fondo, forma/non forma invasiva, punteggiata da episodi di architettura. Maurizio Vogliazzo
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Rinnovato e ampliato Van Gogh Museum New Wing
Progetto: Kisho Kurokawa
pira aria nuova attorno al cuneiforme Museumplein di S Amsterdam, dove, a pochi passi di
This concept is very similar to symbiosis, which is the living together of differences and is a condition for metabolism itself. The difference is that metabolizing also means transforming the cultural nourishing coming from someone else into one’s own nature and according to one’s own nature, thanks to holism, which erases distances by putting everyone in contact with everyone else. For the new wing at the Van Gogh Museum, holism is not an up-to-date slogan, nor an omen, nor a possible prospect. It is a reality that has direct consequences on architecture. In fact, the extension of the museum was possible thanks to the generosity of the Japan Foundation, financed by the Yasuda Fire & Insurance Company of Tokyo. The mutual fascination that binds van Gogh and Japanese culture is well-known. The painter even had a collection of Japanese ukiyoe prints which are now in the new parallelepiped hall on the mezzanine, which sticks out of the elliptical semicylinder of the extension with an arris, in front of the old museum. This is the only space in the new wing that recalls the principle of orthogonality, so dear to the neoplastic trend. Metabolism (mutation) and symbiosis (living together) are the two principles which best describe Kurokawa’s design philosophy. Both imply the preservation of their own individuality, which needs to enter into a symbiotic relationship with the other or wants to metabolize the other, finally coming out changed, matured and enriched. If interpreted thus, Kurokawa’s project acquires new meaning. The old and the new each keep their own, distinct personality. The new puts itself into a symbiotic relationship with the old and with the surrounding environment. This is where the choice of hypogeal spaces comes from, but also the need to make the desired symbiosis explicit through a visible mediating element: the semielliptical tub sunk under the open sky (the liquid half of the zenithal theater) around which the two underground exhibitive rings flow, as well as the connections between the entrance to the Rietveld building and the halls of the new elliptical semicylinder. From this viewpoint, we can also read the counterpoint between Rietveld’s and Kurokawa’s geometry, the former linear, the latter curvilinear. Kurokawa’s geometry is founded on the ellipse, or between the perpendicularity of neoplasticism and Kurokawa’s own inclination towards asymmetrical aesthetics. Or it is founded on the lack of balance which is peculiar to the aesthetics of Japanese architecture, but is expressed in forms and ways that have already metabolized European sensibility.
distanza l’uno dall’altro, ruota la più straordinaria concentrazione museale del mondo. E’ il Big Three: il Rijksmuseum di Cuypers, alle spalle dello Stadhouderskade e del Singelgrach, al vertice del cuneo e verso il centro urbano; il Van Gogh Museum, opera postuma di Gerrit Rietveld (1973), in posizione mediana; e, infine, lo Stedelijk Museum of Modern Art sul margine estremo. Il Museo di Van Gogh si è rinnovato e ampliato con una nuova ala destinata alle esposizioni temporanee. Staccato, alle spalle del volume tormentato di Rietveld, quasi metafora dei tormenti spirituali di Vincent Van Gogh, si innalza un semicilindro ellittico, aperto verso il corpo principale e semichiuso verso il Museumplein con le sue cieche spalle convesse, ma con una maliziosa fessura vitrea in alto, che controlla lo spazio circostante come un occhio socchiuso sotto una curiosa semicoppola calcata in testa tra le due estremità di ipotetiche orecchie. In realtà c’è ben poco di antropomorfo in queste forme. C’è semmai un gioco divertito tra più fonti, una libera contaminazione di motivi, che, secondo la prospettiva con cui si guarda la composizione, lascia libero l’osservatore di gustare le suggestioni preferite: l’immagine della testa di un transformer stranamente sprofondato nel Museumplein di Amsterdam (di scorcio); un sottile gioco alchemico di volumi cui è impresso un movimento congelato (ancora di scorcio da terra o dall’alto); un anfiteatro semisolido e semiliquido; una bomboniera, che in realtà è semiellittica (vista sulla parete convessa); un edificio hard per chissà quale funzione industriale (assai improbabile, e perciò inquietante, data la collocazione); un segnale volumetrico, tipo la Grand Pyramide del Louvre, che nasconde un mondo ipogeo (il 75% di tutta la superficie calpestabile della nuova ala espositiva è sottoterra). Come si vede, l’ampliamento del Van Gogh Museum è architettura complessa, per quanto semplice e austera possa apparire di primo acchito. E’ infatti opera firmata da uno dei più grandi architetti del nostro secolo. Parlo di Kisho Kurokawa, che l’Europa di fine millennio, scrollatasi di dosso la tanta polvere accumulata con i fanatismi ideologici pre e postbellici, comincia a riscoprire dopo decenni di diffidenza a causa del Metabolism. Il metabolismo è un processo di trasformazione del nutrimento esterno, dell’altro da sé, in qualcosa di vitale per sé. Concetto molto vicino a quello di simbiosi, che è convivenza tra i diversi e ne è il presup-
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posto, ma con la differenza che metabolizzare significa anche trasformare nella propria natura e secondo la propria natura il nutrimento culturale che proviene dall’altro, grazie alla globalizzazione, che annulla le distanze ponendo tutto a contatto di tutti. Per la nuova ala espositiva del Van Gogh Museum la globalizzazione non è uno slogan alla moda o un auspicio o una possibile prospettiva. E’ una realtà, che ha diretta conseguenza sull’architettura. L’ampliamento del museo è stato possibile, infatti, grazie alla munificenza della Japan Foundation, finanziata dalla Yasuda Fire & Marine Insurance Company di Tokyo. E’ ben noto il fascino reciproco che lega Van Gogh e la cultura giapponese. Tra l’altro il pittore possedeva una collezione di stampe ukiyoe giapponesi, che, conservate presso il museo olandese, sono ora ospitate nella nuova sala paralellepipeda a quota mezzanino che fuoriesce con uno spigolo dal semicilindro ellittico dell’ampliamento, di fronte al vecchio museo. Questo è l’unico volume della nuova ala espositiva che si richiama al principio di ortogonalità caro alla poetica neoplastica. Metabolismo (mutazione) e simbiosi (convivenza) sono i due principi che meglio spiegano la filosofia progettuale di Kurokawa. Sia l’uno sia l’altro presuppongono la conservazione della propria individualità che vuole entrare in rapporto simbiotico con l’altro o vuole metabolizzarlo, uscendone in misura diversa cambiato, maturato, arricchito. Se letto dietro queste lenti interpretative, il progetto di Kurokawa acquista nuova luce. Il vecchio e il nuovo conservano la loro distinta personalità. Il secondo si pone in rapporto simbiotico col primo e con l’ambiente circostante. Di qui la scelta degli spazi ipogei, ma insieme la necessità di rendere esplicita la volontà di simbiosi attraverso un elemento mediatore visibile: la vasca semiellittica infossata a cielo aperto (è la metà liquida dell’anfiteatro zenitale) attorno cui scorrono i due anelli espositivi ipogei e insieme di collegamento tra l’ingresso nell’edificio di Rietveld e le sale del nuovo semicilindro ellittico. In questa ottica possiamo leggere anche il contrappunto tra la geometria lineare di Rietveld e quella curvilinea di Kurokawa, fondata sull’ellisse, ossia sul decentramento dei fuochi, o tra la perpendicolarità del neoplasticismo e l’inclinazione propria di un’estetica dell’asimmetria, o estetica dello squilibrio che appartiene alla tradizione giapponese, pur se espressa in forme e modi che hanno già metabolizzato la sensibilità europea. Aldo Castellano
new atmosphere is permeating the wedge-shaped Museumplein A of Amsterdam, where the most extraordinary museum concentration in the world is to be found in three adjacent buildings. It’s the Big Three: the Cuypers Rijksmuseum, behind the Stadhouderskade and the Singelgrach, at the vertex of the wedge and towards the urban center; the Van Gogh Museum, a posthumous work by Gerrit Rietveld (1973), in the middle; and, lastly, the Stedelijk Museum of Modern Art on the extreme margin. The Van Gogh Museum has been restored and enlarged with a new wing intended for temporary exhibitions. A detached elliptical semicylinder rises behind Rietveld’s tortured volume, virtually constituting a metaphor of Vincent van Gogh’s spiritual torments. The semicylinder opens up as it faces the main body and is half-closed towards the blind convex abutments of the Museumplein. However, it looks over the surrounding area with a half-open eye - a mischievous glass fissure at the top peeping out from under one half of a curious sort of cap pulled down between two hypothetical ears. But there really isn’t anything anthropomorphic in these forms. If anything, there is a play among various sources, a free mingling of motifs, which, according to the perspective from which the composition is seen, leaves the observer free to enjoy his/her favorite images, such as the foreshortened image of the head of a transformer, oddly sunk into the Museumplein of Amsterdam, or a subtle alchemic play of volumes in which a frozen movement is impressed. A zenithal point of view offers a semisolid and semiliquid amphitheater, while looking at the convex wall may give the impression of a semielliptical “bombonnière”. The view of the front facing Rietveld’s building affords the suggestion of a “hard” building constructed for some obscure industrial function. And seen from the top of the emerging volume’s convexity, a volumetric landmark, hides a hypogeal world (75% of all the new exhibitive wing’s area is underground). As we can see, the extension of the Van Gogh Museum is an instance of complex architecture, however simple and austere it may seem at first glance. In fact, the work was designed by one of our century’s greatest architects. I’m speaking about Kisho Kurakawa. After decades of wariness, which came about due to the Metabolism, the Europe of the end of the millenium is starting to rediscover him. Metabolism is a process of transformation of external nourishing, of someone else as he/she is, into something vital for oneself.
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Pianta del primo piano interrato. ■ First basement floor plan. ■
1. Esposizione/Exhibition 2. Corridoio espositivo/ Exhibition corridor 3. Giardino con laghetto interrato/ Sunken garden pond 4. Edificio espositivo/ Exhibition building 5. Servizi/Sanitary rooms 6. Rampe/Ramps
■ Pianta del primo ■ First floor plan.
■ Prospetto
nord.
■ North
elevation.
1. Giardino con laghetto interrato/ Sunken garden pond 2. Corridoio espositivo/ Exhibition corridor 3. Alluminio/Aluminium 4. Titanio/Titanium 5. Granito/Granite
piano.
1. Esposizione/Exhibition 2. Vuoto/Void 3. Ingresso principale/ Main entrance 4. Edificio espositivo/ Exhibition building 5. Rampa/Ramp
■ Sezione
est-ovest.
■ East-west
section.
■ Sezione
nord-sud.
■ North-south
1. Esposizione/Exhibition 2. Corridoio espositivo/ Exhibition corridor 3. Stampa/Print box 4. Titanio/Titanium 5. Granito/Granite
■ Pianta
del secondo piano. ■ Second floor plan.
1. Esposizione stampe/ Print exhibition 2. Corridoio espositivo/ Exhibition corridor 3. Vuoto/Void 4. Edificio espositivo/ Exhibition building 1. Esposizione/Exhibition 2. Corridoio/Corridor 3. Stampa/Print box 4. Titanio/Titanium 5. Granito/Granite
Sels-Clerbourt
section.
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■ Nelle
pagine precedenti, viste generali della nuova ala del Museo Van Gogh, progettata da Kisho Kurokawa e recentemente inaugurata ad Amsterdam. Sopra, particolari dell’esterno. A destra, il laghetto infossato che connette la nuova ala all’edificio espositivo principale che era stato l’ultimo progetto di Gerrit Rietveld. Il muro esterno della nuova ala su questo lato e la copertura sono in titanio di colore naturale.
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■ Previous
pages, general views of the new wing of Van Gogh Museum designed by Kisho Kurokawa and recently opened in Amsterdam. Above, details of the exterior. Right, the sunken pond connected the new wing to the main exhibition building, which was the last project designed by Gerrit Rietveld. The outside wall of the new wing over on this side and the roof are made of natural-coloured titanium.
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■ Particolari
della scala principale da cui si accede ai due livelli della nuova ala. I volumi disegnati da Kurokawa insistono sulle linee curve e su una composizione geometrica in contrasto con la linearità dell’edificio esistente di Rietveld.
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■ Details
of the main stairs leading up to the two levels of the new wing. The structures designed by Kurokawa work along curved lines and a geometric pattern contrasting with the linear forms of the old Rietveld building.
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■ Sotto,
la spazio espositivo del mezzanino con i pavimenti in legno di quercia e particolari della vetrata affacciata al laghetto esterno infossato. Il fondale del laghetto in pietra naturale
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è leggermente inclinato e l’acqua viene costantemente pompata verso l’alto così da risultare in continuo movimento. A destra, i servizi del museo.
■ Below,
the mezzanine exhibition space with oak floors and details of the glass window facing the sunken pond outside. The bottom of the pond made of natural stone is slightly sloping and water is
continuously pumped upwards to keep it moving. Right, the museum utilities.
Credits Project: Kisho Kurokawa Project Architects: Bruno Peeters, Marc Mussche Architectural Engineering: Bureau Bouwkunde General Contractors: J.P.Van Eesteren
Titanium/Aluminium Contractor: Combined Engineering Transport Contractor: Wolter & Dros-Evli Client: Van Gogh Museum New Wing Foundation Amsterdam
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del progetto per il Museo dei Dinosauri che verrà realizzato su un’area di circa 30.000 mq a Katsuyama, nella Prefettura di Fukui, dove si trovano i più consistenti scavi di fossili di dinosauri del Giappone.
■ Model
of the project for the Dinosaur Museum planned to be built over an area of approximately 30,000 square metres in Katsuyama in the Prefecture of Fukui, where the most important digs for dinosaur bones in Japan are located.
Tomio Ohashi
Esposizione e ricerca Dinosaur Museum, Katsuyama
■ Modello
Progetto: Kisho Kurokawa
opo due anni di lavori, nel 2000 si D inaugurerà il primo museo giapponese di dinosauri. L’evento è degno di nota soprattutto perché il Giappone è una terra recente dal punto di vista geologico. Si formò per la gran parte tra il Cenozoico e il Neozoico, ossia a partire dalla fine del Cretaceo (parliamo di circa 65 milioni di anni fa), quando appunto, per motivi ancora dibattuti tra gli studiosi, i dinosauri scomparvero all’improvviso. Ma evidentemente fecero in tempo a lasciare le loro gigantesche tracce inquietanti nel suolo giapponese e in particolare in quello intorno a Katsuyama, nella Prefettura di Fukui, nella parte centro-
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occidentale dell’isola di Honshu, città che è ora uno dei siti principali per lo scavo dei fossili di dinosauro nell’arcipelago nipponico. Il progetto, voluto dalla Prefettura di Fukui, è stato messo a punto nell’arco di poco più di un anno, nel 1996-1997. Porta la firma di uno dei principi dell’architettura giapponese, Kisho Kurokawa, che ormai sembra esser diventato uno degli specialisti mondiali di spazi espositivi. Coerente al tema di progetto è il gigantismo che caratterizza il complesso. Il sito copre una superficie complessiva di quasi trentamila metri quadrati. L’area edificata è di oltre
sette mila metri quadrati e quella totale calpestabile raggiunge gli oltre quindici mila metri quadrati divisi su tre livelli sopra un piano rialzato. Anche alcune forme architettoniche del complesso appaiono quasi come una metafora del contenuto museale. Il nucleo centrale del museo, per esempio, è costituito da una gigantesca sala per le esposizioni permanenti generata dalla rotazione di un’ellisse, quasi fosse il resto di una creatura immensa o di una parte di essa. Nel basso corpo di fabbrica articolato e adagiato sul terreno trovano posto, invece, una galleria espositiva, un auditorio, un laboratorio di ricerca
e, infine, gli uffici per l’amministrazione. Il tutto è immerso in un bosco fitto, da cui emerge visibile solo la gigantesca sagoma curvilinea del museo permanente e un cono vitreo che si stacca dalla copertura piana del corpo di fabbrica orizzontale. In prossimità dell’edificio si aprirà un parco riservato alle esposizioni all’aperto. Ciò completerà l’insieme, che risulterà così come un sito di scavo, ricerca ed esposizione immerso tra gli alberi, eppure sfacciatamente visibile nell’artificio delle sue forme geometriche, se vogliamo, zoomorfe, o più semplicemente puro involucro per tesori nascosti. Aldo Castellano
he first Japanese dinosaur T museum will be opening in the year 2000 after two years’ work. This is an interesting event, particularly bearing in mind that, geologically speaking, Japan is a relatively recent land. It was mainly formed during the Cenozoic and Neozoic eras: i.e. from the late Cretaceous period onwards (about 65 million years ago), or in other words when the dinosaurs suddenly vanished for some reason or other that the experts are still debating. But they were obviously in time to leave their huge, disturbing traces on Japanese soil, not-
ably in Katsuyama in the Prefecture of Fukui in the central-western part of Honshu Island, now one of the main digs for dinosaur fossils in the whole of Japan. The project commissioned by the Prefecture of Fukui was developed in the space of just over a year between 1996-1997. It bears the signature of one of Japan’s leading architects, Kisho Kurokawa, who now seems to be a world expert on exhibition facilities. The huge proportions of the design fit in with the basic project theme. The site covers an overall area of almost thirty-thousand square
metres. The built area is over 7 thousand square metres and the three levels and a basement together cover over 15 thousand square metres. Some of the architectural forms almost seem to metaphorically represent the contents inside. The museum’s central core, for instance, is constructed around a huge room for hosting permanent exhibits made by rotating an ellipse, almost as if it were the remains of some huge creature or part of one. The lower section of the building, carefully structured and placed on the ground, holds an exhibition gallery, auditorium, research laboratory and, lastly,
administration offices. The entire complex is buried in thick woodlands so that only the curved outline of the permanent museum and a glass cone on the flat roof of the horizontal building are actually visible. A park designed for outdoor exhibitions will be opened near the building. This will finish off the entire complex, creating a dig, research site, and exhibition facility hidden away among the trees, but opening flaunting some of its geometric forms, which might be described as zoomorphological or, more simply, as a pure shell for covering hidden treasures.
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■ Planimetria
generale; a sinistra, pianta del secondo piano e, in basso, pianta del primo piano. Nella pagina a fianco, il modello dell’edificio che è costituito da una enorme sala espositiva contenuta nella cupola ellittica, una galleria, un auditorio, un centro di ricerca e uffici amministrativi, distribuiti su tre livelli fuori terra e uno interrato. ■ Site plan; left, plan of the second floor and, bottom first floor plan. Opposite page, the building model constructed out of a huge exhibition room placed in an elliptical dome, a gallery, auditorium, research centre and administration offices, spread over three levels above ground and one underground.
Credits Project: Kisho Kurokawa Client: Fukui Prefecture
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impianto progettuale del nuovo “Gardening Show” a Weil am L’ Rhein, disegnato da Zaha Hadid, si
This project clearly shows that Zaha Hadid has taken in “time” and injected it into her design: the Natural and Artificial Landscape. It would be interesting to know just how important the tools of virtual reality were in the initial design process underlying this project. It is the mental approach and attitude to new prospects and possibilities that inevitably helps or hinders the expanding of intellectual horizons. Bearing in mind the pluralistic state of contemporary thinking in which deconstructivism hides a new form of design, it is worth making a temporal analysis of developments in the philosophical thought underpinning new approaches to design. The most radical deconstructivists consider the idea of imposing any one particular reading rather than another or of trying to place apriori bounds on the range of possible interpretations to keep a firm grip on meaning, to be nothing less than “authoritarianism”. This political approach works around the idea of respecting cultural differences. Nevertheless, not all this can take on real meaning and this does not seem to have been Zaha Hadid’s main concern in this project. The limits of this technique lie in the fact that a mental approach like this is likely to create rather simplistic and quite unnecessary forms of stylistic relativism. Zaha Hadid’s firmly grounded professionalism allows her to maintain a certain balance in an evolving world in which forms do not have “one true meaning”; but it is possible to recognise that certain readings are either wrong, pointless or senseless. According to this way of thinking, certain ideas are more effective than others in serving a certain purpose and this can be detected without any form of favouritism. This approach has allegedly held back the philosophy of science over the last thirty years, but it ought to be pointed out that scientific theories do not represent reality, since there is actually no predetermined (Croce-style) reality out there to be represented. The latest scientific theories are the phenomenon to be referred to, although experimental research coincides with reality. What we are left with, though, is a concrete hand in constructing the material world. There can be no doubting that theory and facts are known on a micrometric level, or in other words we know how the material world is formed on a human dimension. Once again Zaha Hadid has shown us how inscrutable the world is, since it is constantly changing, a spiritual world in constant need of help to be perfected.
ispira a geometrie fluide naturali attraverso un linguaggio dichiaratamente decostruttivista. Linguaggio, però, ormai altamente personalizzato da Zaha Hadid così da far emergere la sua raffinata conoscenza del numero e di quella matematica rivoluzionaria del processo creativo dell’architettura. Appare chiaro, in questo progetto, il “fantastico” risultato ottenuto nel modo omogeneo con cui l’opera si adagia nel bosco circostante, come segno determinato del territorio della municipalità della piccola cittadina al confine tra Svizzera, Francia e Germania. Weil am Rhein ha la fortuna di ospitare degli importantissimi brani di architettura contemporanea, all’interno della fabbrica di mobili “Vitra”, come la stazione dei pompieri della stessa Zaha Hadid, il museo di Frank O. Gehry e l’edificio di rappresentanza di Tadao Ando. Per questo, forse, la stessa municipalità ha deciso di avere un altro segno significativo per un luogo di aggregazione e di rappresentanza della stessa città. Un segno forte e significativo, in cui l’architettura viene determinata dalla scelta colta fatta all’interno di un processo di trasformazione del progetto. Una scelta che diventa determinante per il mutamento del fenomeno dell’esistere dove si vede come, ormai da tempo, sono state sostituite delle concezioni di fondo del nostro quotidiano come, per esempio, le relazioni ininterrotte e mutevoli dello spazio e del tempo e l’impegno delle nostre facoltà mentali ed emotive. Appare così chiaro come Zaha Hadid non perda di vista gli sforzi dei futuristi e dei cubisti, che per primi tentarono la magia della quarta dimensione, per non abbandonare l’idea di provocare sensazioni nuove e stimolatrici che ci rendano più attenti alla ricettività della nostra realtà, ancora nascosta nelle pieghe della tecnologia. La scienza, ormai, ha scoperto la relatività di tutti i valori umani e il loro ininterrotto fluire, per i quali non esiste una finalità assoluta o una verità eterna. L’ambiente fisico è mutato e muta continuamente durante il periodo di vita di un uomo; il tempo si fa più ponderabile di qualsiasi altra dimensione. E’ l’uomo che non muta a sufficienza. Il progetto di architettura ha mostrato in passato edifici che risentivano gli effetti del tempo, ma il progetto ha avuto nel suo “sguardo” sempre un uomo legato a un passato implacabile, confuso nelle sue emozioni primitive e impossibilitato a vedere in una serenità, tanto da riuscire a vedere solo ciò che vuole vedere. In questa realizzazione appare
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chiaro come Zaha Hadid abbia assimilato il fattore “tempo” e lo abbia fatto penetrare nell’idea progettuale: il Natural and Artificial Landscape. C’è da domandarsi, anche, quanto l’uso di strumenti, generatori di esperienze sulla realtà virtuale, siano stati referenti alla sperimentazione progettuale iniziale del suo generarsi. L’arresto per qualsiasi espansione intellettuale, alberga, come sempre, nell’approccio mentale e nel predisporsi di fronte alle nuove possibilità. Allora, nello stato pluralistico del pensiero contemporaneo dove il decostruzionismo cela una nuova forma di espressione del progetto, vale un’analisi temporale sull’evoluzione dell’approccio filosofico, generatore di nuove valenze compositive. Voler imporre un’interpretazione piuttosto che un’altra, o anche cercare di limitare in anticipo la gamma delle interpretazioni possibili per porre un freno all’autodissolvimento del senso, è considerato dai decostruttivisti più radicali una forma bella e buona di “autoritarismo”. Questa è una visione politica che privilegia l’idea del rispetto della diversità culturale. Non tutto questo, però, può avere un significato concreto e non sembra che sia lo sforzo principale che svolge Zaha Hadid in questo progetto. La limitazione, in generale, sta nel fatto che spesso tale approccio mentale rischia di generare forme ingenue, e per niente necessarie, di relativismo linguistico. La professionalità, ormai confermata, di Zaha Hadid, la fa mantenere in equilibrio in un mondo in divenire in cui non esiste l’“unico vero significato” di una forma; è possibile così riconoscere che alcune interpretazioni sono sbagliate, gratuite o insensate. E’ l’interpretazione secondo cui è possibile riconoscere alcune idee, rispetto a un certo scopo, come migliori di altre e che non ne impedisce alcune a favore di altre. Questa tendenza avrebbe portato al soffocamento della filosofia della scienza degli ultimi trent’anni. V’è anche da dire che le teorie scientifiche non rappresentano la realtà, in quanto non vi è una realtà fuori da rappresentare, crocianamente definita. La scienza con le sue recenti teorie è il fenomeno a cui ci si può riferire, anche se spesso la ricerca sperimentale coincide con la realtà. Rimane, però, l’aiuto concreto alla formazione del mondo materiale. Indiscusso è che, ormai, teoria e fatti sono conosciuti in maniera micrometrica, cioè si sa come è fatto il mondo fisico di dimensione umana. Ancora una volta, Zaha Hadid dimostra di sapere come è inscrutabile, perché mutevole, il mondo spirituale che richiede costanti impulsi per il suo affinamento. Mario Antonio Arnaboldi
he stylistic layout of the new “Gardening Show” in Weil am T Rhein, designed by Zaha Hadid, works along the lines of natural fluid geometries in an deliberately deconstructivist idiom. The idiom is distinctly Zaha Hadid’s, revealing her highly elegant knowledge of the revolutionary mathematics involved in the creative process of architectural design. The “fantastic” result of this project derives from the smooth way in which the work fits in with the surrounding woodlands as a carefully designed landmark in the territory around this small town on the border between Switzerland, France, and Germany. Weil am Rhein can boast some extremely important examples of contemporary architecture inside the “Vitra” furniture factory, such as the fire station also designed by Zaha Hadid, Frank O. Gehry’s museum, and Tadao Ando’s landmark building. This perhaps explains why the city council has decided to create another important monument for one of the city’s places of congregation and representation. A powerful landmark of great significance, whose architecture is determined by a decision which is part of a general process of transforming design. A decision of crucial importance in the transformation of the phenomenon of existence, showing how, for some time now, there have been some drastic changes in our fundamental concepts of everyday life, like, for instance, constant and everchanging relations in space and time and the use of our mentalemotional faculties. Zaha Hadid has not lost sight of the efforts of the futurists and cubists, who were the first to experiment with the wonders of the fourth dimension, without abandoning the idea of stimulating new sensations making us more receptive to our reality, hidden away in the folds of technology. Science has now discovered the relativity and smooth fluidity of all human values, free from absolute purposes or eternal truths. The physical environment has changed and continues to change right through a person’s life time; time is now more comprehensible than any other dimension. It is people who fail to change sufficiently. In the past architectural design produced buildings that suffered the effects of time, but design has always focused on a vision of man tied to an unshakeable past, emotionally confused and incapable of seeing things serenely, inevitably ending up seeing what he wants to see.
Prospettiva e vista notturna del nuovo spazio espositivo progettato da Zaha Hadid a Weil am Rhein per ospitare e rappresentare il Gardening Show che si tiene quest’anno nella città tedesca.
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Perspective view and nighttime view of the new exhibition space designed by Zaha Hadid in Weil am Rhein to host and represent the Gardening Show to be held in this German city this year.
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Hélène Binet
Geometrie fluide “Gardening Show” in Weil am Rhein
Progetto: Zaha Hadid
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La facciata di ingresso al museo e, in basso, pianta del piano terra. Il museo ospita, oltre agli spazi espositivi e alle aree di servizio e ristoro, anche un centro per ricerche ambientali.
The museum’s entrance facade and, bottom of page, ground floor plan. As well as exhibition spaces and servicerefreshment areas, the museum also holds an environmental research centre.
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Vista notturna del museo e, in basso, prospetti. I volumi realizzati dalla Hadid formano una serie di percorsi che si snodano in una geometria fluida costituita da forme dinamiche ed elementi che si intersecano tra loro.
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Nightime view of the museum and, bottom of page, elevations. The structures designed by Hadid create a sequence of paths winding into a fluid layout constructed out of dynamic forms and interweaving elements.
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Credits Project: Zaha Hadid with Schumacher, Mayer Bährle Project Architect: Markus Dochantschi Project Team: Oliver Domeisen, Wassim Halabi, Garin O’Avazian, Barbara Pfenningsdorf, James Lim
Models: June Tamura, Jim Heverin, Jon Richards, Ademir Volic Structural Consultance: L.Martino, GrenzachWyhlen/Turin Client: Landesgartenschau Weil am Rhein 1999, City of Weil am Rhein
Christian Richters
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La riqualificazione della memoria Ethnographic Museum in Corsica
Progetto: Andrea Bruno
l filo che unisce e attraversa tutta l’opera di Andrea Bruno è “I senza dubbio il lavoro sulla memo-
of a landscape that has been rendered aesthetically in a stylistic gesture. Listening attently to reality - the “rediscovering of the authentic nature of a place”, as Andrea Bruno describes it - is still the driving force behind design, abandoning the idea of a univocal typological definition in favour of experimentation into figurative designs, hybrid solutions, and narrative paths adding great depth to design. Design constantly wavers between the loss of well-established construction schemes and a re-working of archetypes and experimentation into deeply-rooted solutions. An elegant form of autonomous, anti-conformist rationalism backsup this work, bringing together the poetic force of a site location and programmatic objectives: architecture provides an effective technical means of sending out the museum’s inherent message as an open, dynamic place of great cultural force; architecture is also an effective means of stimulating emotion and a whole range of subtle feelings. This process is neatly incorporated in the redesign of Serrurier Barracks, which, redeveloped into an exhibition gallery designed for hosting the permanent museum collections, has undergone a complicated operation of architectural surgery. Wide incisions on the curtain wall over on the far side provide a sort of X-ray view of the long rows of vaulted factory premises, bringing out the rigid patterns and huge wall structures. The sudden burst of air and light in the museum rooms resulting from the knockingdown process acts as a catalyst triggering off reactions between the interior and exterior, fusing together the collections of objects on display and the landscape, actual places on the islands and the scenes painted on the walls. This endless sequence of visual stimuli transforms the large stone window frames, carefully sectioned and subject to a sort of metamorphosis, outlined by the walls and set in fields of glass, into icons of old architecture and, as such, incorporated themselves in the overall exhibition. The outline of the facade arches is reiterated in the chromatic interplay between the floor stones in the area in front of the museum - the floor and walls are drawn into an inverted interplay of reflections designed to create a similar sense of exhibition and evocation, a signifying process. Over on the other side the old window shafts are used as containers or supports for display mechanisms: the construction is absorbed in the overall museological apparatus and redefined in the interplay of hybrid signs and signals characterizing the entire project design.
ria. Memoria perduta che egli ricerca incessantemente, ed esprime, interpreta e reinventa attraverso i luoghi, le pietre... ” (Luc Tessier, ex direttore della Mission Interministérielle des Grand Travaux, Paris). E i musei, che sono il passato fatto oggetto al presente, il profondo fatto centro al luogo costituiscono momento espressivo privilegiato, occasione per lo scatto di un’istantanea sul trascorrere del tempo e delle cose. Vincitore del concorso indetto nel 1991 dalla Collectivité Territoriale de Corse per la riqualificazione della cittadella fortificata di Corte, il progetto del nuovo museo etnografico della Corsica (e della sede universitaria che in futuro sarà a esso collegata) conferma la forza di questa linea di ricerca. Nel rinnovamento della rocca di Corte - un sito difficile, introverso e dominante, di grigie pietre incombenti e orizzonti limpidissimi - l’intervento di Andrea Bruno persegue il recupero di una visione qualitativa del luogo fortificato: svelando stratigrafie dimenticate, riconfigurando spazi e collegamenti, ripercorrendo forme e consuetudini annichilite dal tempo, arriva a ridisegnare, per quello che è il museo della cultura corsa, una orgogliosa presenza territoriale. Il progetto ristabilisce il profilo della fortezza, intaglia la geometria del luogo, occupa e rivitalizza porosità e interstizi di un territorio riscoperto, si applica con precisione compositiva e grande sensibilità storica alla conversione dei materiali esistenti. Dalla rimozione dei riporti di terra accumulati lungo la cinta fortificata emergono le forme nitide dei bastioni stellati, tornano alla luce gli antichi camminamenti di ronda, in una ritrovata archeologia del luogo. Le linee che delimitano gli spazi terrazzati della fortezza vengono prolungate in tetti a giardino, ora sostituiti alle coperture degli edifici esistenti o inventati a protezione di nuovi ambienti semiipogei. Realizzati in acciaio, vetro, cemento, i blocchi funzionali che vengono accostati alla cinta fortificata danno soluzione alle diverse necessità d’uso: di volta in volta ricuciono i dislivelli, creano gli ambienti di ingresso e gli spazi polifunzionali del museo, danno forma agli atelier di lavoro. Con grande perizia compositiva, il tracciato sinuoso della rocca viene ridisegnato dall’ala metallica che delimita le addizioni, nitida e sottile, appena un suggerimento degli accadimenti interni: nella linea d’ombra della lama, dalle vetrate che corrono parallele alla cinta fortificata, si traguardano i profili montuosi di un
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territorio estetizzato dal gesto. L’ascolto minuzioso del reale - il “ritrovamento dell’autenticità del luogo”, come la definisce Andrea Bruno - si costituisce motore del progetto, e annulla la definizione tipologica univoca in favore della ricerca di valori figurali, di soluzioni ibridate, di percorsi narranti che addensano la trama compositiva. Il progetto, costantemente, oscilla tra lo smarrimento di schemi costruttivi consolidati e la rivisitazione degli archetipi, alla ricerca di soluzioni profonde e radicate. Un raffinato razionalismo, autonomo e anticonformista, supporta l’azione, coniuga poetica del luogo e obiettivi programmatici: il museo, come luogo aperto e dinamico di identificazione culturale, trova nell’architettura un’efficace modalità tecnica di trasmissione del messaggio, un media capace di percorrere i canali dell’emotività e di suggerire sensazioni sottili. Il processo si conferma nel ridisegno della caserma Serrurier che, recuperata quale galleria espositiva e destinata a ospitare le collezioni permanenti del museo, viene rigenerata da una sofisticata operazione di chirurgia architettonica. Ampie incisioni praticate sulla cortina muraria verso valle fanno emergere, come in una radiografia, le lunghe enfilades di ambienti voltati della fabbrica, portano alla luce le rigide scansioni e le murature massive della costruzione. Nelle sale del museo l’improvvisa inondazione di aria e luce che segue all’intervento di sfondamento agisce da catalizzatore, scatena reazioni tra l’interno e l’esterno, porta a fusione le collezioni di oggetti esposti e il paesaggio, i territori dipinti sulle pareti e i luoghi reali dell’isola. In questa infinita sequenza di stimoli visivi le grandi cornici in pietra delle finestre, sezionate e sottoposte a metamorfosi, scontornate dalle murature e incastonate in campi vetrati, sono ricreate icone dell’architettura antica, e come tali proposte all’interno dell’esposizione. Duplicato per analogia, il profilo delle arcature di facciata viene ripetuto nel gioco cromatico delle pietre di pavimentazione dell’area antistante il museo -suolo e parete in un ribaltato gioco di specchi, strumento di una analoga volontà di esporre ed alludere, significare. Ancora, verso monte, i vani delle finestre esistenti, tamponati, sono riproposti come contenitori o supporti di apparecchiature espositive: la costruzione viene assorbita nel congegno museografico e ridefinita all’interno del gioco di ibridi e segnali che caratterizzano l’intero intervento. Marina Bonfigli
he unifying thread running through and unifying all of “T Andrea Bruno’s work is unquestionably the idea of memory. A constant search for lost memory that he expresses, interprets, and reinvents through places, stones....” (Luc Tessier, former Directeur de la Maison Interministérielle des Grands Travaux, Paris). Museums, as the past objectified in the present and profundity projected into the centre of a special facility, are privileged places for artistic expression, a chance to take a snapshot of passing things and time. The winning entry in a competition organised by the Collectivité Territoriale de Corse in 1991 to redevelop the fortress town of Corte, the project for a new ethnographic museum in Corsica (and the university campus to be connected to it in the future) epitomises this line of experimentation. Working on the Rock of Corte - a tricky, introverted, yet dominant site characterised by its huge grey stones and clear horizons - Andrea Bruno has attempted to restore the visual force of a fortified location: by uncovering hidden layers of rock, redesigning spaces and connections, and tracing back through forms and habits that have been worn away by time, he has restored this museum of Corsican culture to its rightful status. The project redevelops the old fortress design, cuts into the geometric layout of the site plan, fills and injects fresh life into the pores and cavities of this rediscovered landscape, and works away with great stylistic precision and historical awareness at converting existing materials. As the earth that has gradually accumulated along the fortified walls was moved away, the neat forms of the star-shaped ramparts slowly emerged as the old trenches where soldiers did their rounds also came to light, uncovering the main archeological features of the site. The lines marking the fortress’s terraced spaces extend into roof gardens that have taken the place of the roofs of the old buildings or are used to protect new semi-underground environments. The functional blocks, made of steel, glass and concrete, are placed along the fortified wall where they serve a variety of purposes: they stitch back together the various height differences creating museum entrances and multi-purpose spaces and giving shape to workshops. The winding path of the great rock has been expertly redesigned from the neat and narrow metal wing bounding the additions, giving just a hint of what goes on inside: in the shadow cast by a blade, from the glass windows running parallel to the fortified wall, we can see the mountainous skyline
Schizzo preliminare per il progetto del Museo Etnografico di Corte, in Corsica, vincitore di un concorso del 1991 che prevedeva anche la riqualificazione della cittadella fortificata.
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Priliminary sketch of the project for the Corte Ethnographic Museum in Corsica, the winning entry in a 1991 competition, also involving the redevelopment of a fortified citadel.
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Planimetria generale e vista della cittadella dal basso.
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Site plan and view of the citadel from below.
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Sezioni e, sotto, particolari dell’intervento di riqualificazione della cittadella e degli spazi esterni del museo.
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Sections and, below, details of the citadel redevelopment project and museum exteriors.
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L’intervento di Bruno si è inserito nella geometria esistente della cittadella, occupandone gli spazi interstiziali e rivalutandone la caratteristica orizzontalità attraverso l’eliminazione dei tetti a falda delle caserme e la realizzazione di nuovi volumi semiipogei in acciaio, vetro e cemento e di nuovi blocchi funzionali. Il recupero della purezza volumetrica dei blocchi coperti a verde e della cinta dei bastioni come rinnovato percorso intorno alla cittadella sono il segno di una ritrovata archeologia del luogo.
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Bruno’s design knits in with the old citadel layout, filling its cavaties and working on its horizontality by eliminating the pitch roofs of the barracks and constructing new semiunderground structures made of steel, glass and concrete, and new functional blocks. The salvaging of the structural purity of the landscaped blocks and bastion walls to form a path around the citadel are evidence of a new archeological approach to the site.
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L’intervento di recupero si inserisce con organicità e naturalezza negli elementi esistenti. Sotto, viste del sottile profilo metallico ad ala delle nuove coperture che ripercorre il profilo dell’antica cortina e sottolinea la linea delle montagne sullo sfondo.
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The redevelopment project knits neatly and naturally in with what was already there. Below, views of the thin wingshaped sections of the new roofs running across the old curtain wall and drawing attention to the mountainscape in the background.
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All’interno del museo etnografico sono stati ricavati nuovi spazi flessibili e polifunzionali, attraverso la ristrutturazione e la duplicazione degli ambienti voltati delle vecchie caserme.
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The ethnographic museum has been equipped with flexible new multi-purpose spaces by restructuring and duplicaitng the vaulted premises of the old barracks.
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Credits Project: Andrea Bruno (Project Manager), Luciano Pia (Site Manager), Ugo Bruno, Maria Grazia Cerri Collaborator: Dominique Silvy Museology: Jean Marc Olivesi, Marie Eugenie Poli-Mordiconi Structures: Gerard Bartoli, Gianni Vercelli
Installations: Sinetic Quantity Surveyor: CEP Coordination: Roger Crochet Main Contractors: CNB, Vendasi, Zacharie (exhibition) Process Manager: Marilù Marchiani Client: Collectivité Territoriale de Corse
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Museo-laboratorio International Ceramics Museum, Faenza rchitettura in itinere quella di Rita Rava e Claudio Piersanti A che, a partire dal 1985 (l’Arca n. 28),
ri del settore. Tant’è che, a oggi, il M.I.C. è giunto ai due terzi della versione finale (9400 metri quadri su 14.000 ipotizzati) che in realtà, poi, finale non dovrebbe essere mai, proprio in virtù della filosofia del progetto. Tutto ciò deve naturalmente avvenire mentre la struttura funziona e viene vissuta dalla città. Il manufatto si inserisce in un contesto urbano decisamente anonimo, per non dire degradato, la con-
sueta architettura “minore” del dopoguerra, e la scelta progettuale è stata quella di “staccare” stlisticamente con il tessuto circostante, chiudendosi quasi a riccio e, nel contempo, denunciando apertamente la propria diversità: solo due lati dell’edificio, per esempio, affacciano su altrettante stradine mentre gli altri due sono privi di aperture e conglobati nell’insieme preesistente. Gli ampliamenti avvengono
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attraverso un lento allargarsi, farsi spazio senza violenze: l’ultimo intervento è stato possibile grazie all’abbattimento di alcuni capannoni industriali fatiscenti che ha portato al raddoppio dei depositi al piano interrato e alla creazione di nuove aree destinate all’esposizione al pubblico di ceramiche contemporanee e all’ospitalità di mostre itineranti. Già nell’intervento del 1985 era stato ideato e realizzato un piano di
depositi interrato, un piano terra con hall di ingresso e laboratori di restauro con gabinetto fotografico; un piano soppalcato finalizzato alla ricerca per consentire agli studiosi di esaminare reperti e consultare archivi. Tutta questa vita interiore rimane gelosamente custodita, dal punto di vista formale, dai muri dell’edificio, la cui facciata principale, poco dotata di aperture, “rifiuta” il contesto urbano per optare su
scorci di luce spesso zenitali o comunque “acciuffati” laddove le panoramiche sono favorevoli. L’edificio finisce così per “guardare verso se stesso, attraverso una serie di cavedi, grandi cavità centrali, in vetro, che lasciano entrare luce in abbondanza fino ai livelli sotterranei, e creano percorsi fluidi interni con possibilità di vedere per grandi estensioni e a livelli diversi” come confermano i progettisti. Percorsi
The new roofs with copper pitches and terraces of the Faenza International Ceramics Museum (Ravenna), which has gradually been modernised and extended from 1989 onwards, and is now nearing completion.
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interni di luce, dunque, che si abbinano a quelli reali, in muratura, di un “potente” scalone in cemento che assicura gli spostamenti verticali. Non a caso, dunque, Rava e Piersanti definiscono “rocca” la propria creatura , quasi un merlato fortino medioevale, visto dalla facciata principale, mentre il retro è quasi interamente coperto da una cortina di rame che si inserisce nel mattone solo “in zona Cesarini” e a livello
Gabriele Basilico
lavorano al M.I.C. (Museo Internazionale delle Ceramiche) di Faenza, e che hanno operato su quanto restava di un antico convento, quello di San Maglorio, adibito, dal 1908, a contenitore del patrimonio artistico locale. L’evolversi della ricerca artistica ha, via via, portato l’originale museo a trasformarsi in un vero e
proprio contenitore culturale di arti applicate. Un laboratorio insomma, che non si limita, nell’ottica del moderno significato del termine “museo”, a un semplice deposito di pur pregevolissimi oggetti. In itinere, si diceva, perché l’oggetto di architettura possa stare al passo con le continue mutanti esigenze dell’utenza, con le variegate evoluzioni delle poetiche artistiche e con le rinnovate richieste degli operato-
Le nuove coperture con terrazze e falde in rame del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza (Ravenna), che dal 1989 è oggetto di un processo di rinnovamento e ampliamento, giunto ormai quasi a completamento.
Progetto: Rita Rava e Claudio Piersanti
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ita Rava and Claudio Piersanti, R who have been working at the M.I.C. (International Ceramics
case, the M.I.C. is now two-thirds complete (9400 square metres out of a planned 14000), although in actual fact it will never really be complete by definition (it is philosophically grounded in the idea of development and change). All this must, of course, happen while it is in use, gearing its metamorphosis to the city itself (including financial backing as well). The building is situated in a dis-
ings. The extensions take the form of a gradual widening, creating space without “elbowing”: the final project was made possible by knocking down some decrepit old warehouses, doubling the amount of underground storage space and creating new areas for the public display of contemporary ceramics and for hosting travelling exhibitions. The 1985 project also involved the design and construction of an underground stor-
tinctly insignificant, not to say dilapidated, urban setting, typical “minor” post-war architecture, so it was decided to stylistically “detach” the building from its surroundings, architecture that almost rolls up like a hedgehog and, at the same time, openly flaunts its diversity: for instance, only two sides of the building face onto roads, while the other two have no openings and are enveloped in the existing surround-
age floor, a ground floor level with an entrance hall and restoration labs complete with a photo studio; an attic was also designed for research purposes to allow experts to study relics and consult the archives. Structurally speaking, all this interior life is jealously guarded inside the building walls, whose main facade (with very few openings in it) “rejects” the urban context opting for rays of basically zenith light or
at least light “snatched up” where the views are suitable (such as a lonely belfry, treescapes, or the courtyards of the old, renovated cloister) and, as the architects themselves put it, forcing the building to “look at itself through a series of light wells or air shafts, large central cavities made of glass letting light flood down to even the underground levels and creating fluid internal passages opening up wide views at different
levels (e.g. you can see right down to the basement from the top floor). Internal passages of light that combine with a real brick passage way constructed out of a “powerful” concrete flight of steps serving vertical circulation purposes. This explains why Rava and Piersanti describe their creation as a “rock”, as if it were a sort of battlemented Medieval fortress, viewed from the main facade, while the rear is almost total-
Claudio Piersanti
Museum) in Faenza since 1985 (l’Arca 28), design what is best described as architecture in itinere. They have recently been involved in work on the remains of an old convent, San Maglorio, converting it into a facility for holding part of the local artistic heritage. Gradual developments in artistic experimentation
have resulted in the old museum being converted into a real cultural home for applied arts, a laboratory or workshop not just confined to housing high-quality objects in the way we usually associate with museums. We described it above as in itinere because architecture can keep up with the ever-changing needs of its users, constant developments in artistic styles, and new demands of operators in the sector. In any
Dall’alto: pianta del piano terra, pianta del primo piano; sezioni trasversali. A sinistra, sezione e spaccato assonometrico del cavedio e, a destra, sezione delle vetrine espositive. Nella pagina a fianco, particolari dei tamponamenti in mattoni, della copertura e del lucernario sul cavedio centrale. ■ From top: plans of the ground and first floors; cross sections. Left, sectional detail and axonometric cutaway of the air shaft and, right, section of the glasscases. Opposite page, details of the brick roof, and skylight in the central air shaft. ■
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pavimento. Non manca, naturalmente, una sala-conferenze (da cento posti) come non mancano soluzioni formali “soft”, soprattutto a livello decorativo: dall’alternarsi dell’uso del mattone e del marmo bicromo che allude “alla genesi dell’uso nella ceramica nell’edilizia”, allo stretto rapporto fra le vetrine che contengono le ceramiche e l’architettura ; dalle raffinate tecnologie espositive (le luci delle bacheche, apparente-
mente semplici, sono in realtà il frutto di studi sull’utilizzazione di fibre ottiche che consentono l’analisi del dettaglio) fino all’attenzione a evitare ogni sbalzo cromatico (marmi bianchi di Galizia privi di venature). A far da contraltare alla “robustezza” dell’esterno contribuiscono anche le coperture in rame e alcuni terrazzi che assumono il ruolo di “vuoti” (oltre che di piccole oasi di riposo per i visitatori e di luoghi fina-
lizzati all’esposizione di sculture all’aperto). Si può in definitiva affermare che è stato mantenuto dai progettisti il ruolo di mistica chiusura formale dell’originale convento: se soltanto un’ala di San Maglorio, quella di impianto settecentesco, è stata oggetto di un restauro scientifico, le restanti volumetrie, che subirono gravi danni durante l’ultima guerra, sono state totalmente svuotate,
mantenendo però tutte le murature perimetrali esterne come a sottolineare una permanente, millennaria religiosità del manufatto. De-contestualizzando, dunque, con una scelta di campo, il manufatto e ciò che contiene, non dalla città ma da quella parte di essa che si pone in posizione antitetica alla ricerca artistica e allo studio delle proprie radici culturali. Michele Bazan Giordano
ly clad with a copper curtain wall that knits into the brickwork “at the last minute” at floor level. Of course there is a (hundred seat) conference room and plenty of “soft” stylistic features serving decorative purposes: alternating brick and two-tone marble evoking “the origins of the use of ceramics in the building industry”, close interaction between the glass showcases holding the ceramics and the architecture; elegant exhibition
techniques (the apparently simple lighting in the showcases is actually the result of studies into the use of optic fibres allowing analysis in great detail) and careful attention to make sure there are no sudden jumps in colour (white Galizia marbles with no veins running through them). The “toughness” of the exterior is contrasted by the copper roofs and terraces acting as “gaps” (as well
as small rest places for visitors and stands designed for displaying outdoor sculptures). In conclusion, we can safely say that the architects have held on to that mystical sense of stylistic closure characterising the old convent: even though only the eighteenth-century wing of San Maglorio has been scientifically renovated, the remaining structures, which were badly damaged during the IInd World
War, have been completely removed, although the designers have kept all the outside perimeter walls as if to underline the building’s permanent thousand-year religious nature. The construction and its contents have been studiously de-contextualised, not so much from the city as a whole, just those parts that stand in open opposition to artistic experimentation and an analysis of its own cultural origins. Nella pagina a fianco, particolare del corridoio distributivo che corre attorno al cevedio vetrato centrale e, sotto, le vetrine espositive realizzate appositamente per questo progetto. A sinistra, viste delle nuove sale espositive. Tutti gli impianti sono celati alla vista, le pareti sono di colore chiaro e i pavimenti sono in marmo bianco di Galizia. ■ Opposite page, detail of the corridor and, below, the very simple showcases specially designed for this project. Left, views of the new exhibition rooms. All the systems are hidden away and a homogeneous light colour makes it easier to reade the interior walls; the floors are made of white Galizia marble with almost no veins running through it.
Gabriele Basilico
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Credits Project: Rita Rava, Claudio Piersanti Structures: Angelo Sampieri Thermo-hydraulics Plants: Vittorio Baldassarri, Dervis Ortali Electrical Plants: Davide Lucchi Lighting Consultant: Mario Nanni Building Works: CEF, Guerrino Pivato S.p.A., ITER Cooperativa Ravennate Interventi sul Territorio, Euro Costruzioni, Olindo Manetti Plants: CILA, CON.TE.CO, C.E.A.R., Elettrofaenza, Tecnoprotezione, Tecno-Alarm Windowframes: Vega Systems, Alboni Giacomo Infissi False Ceilings: Stylcasa Light Fittings: Erco Exterior Courtains: Mengozzi Mazzoni Flooring: Ceredil, Soverchiam, Decorativa Italia Installations and Glass Cases: Contemporanea, Goppion Furniture: Poltrona Frau, Anonima Castelli Client: MIC Faenza
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La facciata est del Museo Liner ad Appenzell, in Svizzera, dedicato ai pittori Carl August e Carl Walter Liner. Il rivestimento esterno è realizzato in fogli di acciaio cromato sabbiato.
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The east facade of the Liner Museum in Appenzell, Switzerland, dedicated to the painters Carl August and Carl Walter Liner. The outside cladding is made of sheets of sanded chrome steel.
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Heinrich Helfenstein
Metafisico minimale Liner Museum, Appenzell
Progetto: Annette Gigon/Mike Guyer
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A fianco, planimetria generale e sotto, la facciata est e quella nord con la grande apertura che individua l’ingresso. E’ questo lo spazio più ampio del museo che ha funzione oltre che di atrio anche di sala per riunioni e per conferenze. Nella pagina a fianco, pianta e sezione
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longitudinale ; sotto, la facciata ovest. Le sale del museo si succedono longitudinalmente in una sequenza di spazi decrescenti da sud a nord. ■ Right, site plan and, below, the east and north facades showing the large space near the entrance. This is the biggest space
elemento che più colpisce in questo edificio è l’estrema essenziaL’ lità e la purezza delle sue linee. Un volume omogeneo, che sembra intagliato con una dovizia dei particolari quasi esasperata in una massa metallica, disegna nel paesaggio montano della cittadina svizzera di Appenzell un nuovo profilo che si sposa con quelli delle montagne e delle abitazioni tipiche della zona. Annette Gigon e Mike Guyer sono i
he most striking thing about this T building is the simplicity and purity of its stylistic lines. A homogenous structure, which seems to be cut with almost excessive attention to detail into a metal mass, gives a fresh outline to the mountainscape of the Swiss city of Appenzell, fitting in neatly with the mountains and characteristic houses in the area. Annette Gigon and Mike Guyer,
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in the museum and acts as both a lobby and meeting-conference room. Opposite page, plan and longitudinal section; below, west facade. The museum rooms are arranged in a sequence of descending spaces running in a south-north direction.
due architetti zurighesi appena quarantenni che hanno risolto con un garbo e una raffinatezza degni dei loro maestri - lo studio di Herzog e de Meuron dove la Gigon ha fatto un’esperienza di circa quattro anni, e Rem Koolhaas con il quale ha collaborato Guyer dal 1984 al 1987 - il tema del museo cosiddetto “monografico”. I committenti dell’operazione sono due artisti, padre e figlio, che hanno voluto dedicarsi uno spazio per esporre le
loro opere ma anche per ospitare mostre di arte contemporanea e momenti di discussione. Insomma un luogo di dibattito ma anche di riflessione più intima che Carl August e Carl Walter Liner hanno regalato alla loro città. Un segno di generosità che si esplica non solo per il valore funzionale del museo, ma anche per la sensibilità di aver colto l’importanza dell’architettura come momento di qualificazione del paesaggio, come
emblema di una cultura e di una civiltà in grado di trasmettersi nel tempo. Quindi un duplice impegno anche per gli architetti che hanno saputo tradurre le aspettative della committenza ricorrendo alla forza espressiva della materia con un processo di riduzione o più drasticamente di eliminazione del superfluo, dell’inutile, dello scontato. Il linguaggio secco, minimale e dichiaratamente scarno di qual-
siasi aggettivazione aggiuntiva si lascia leggere con una magia quasi metafisica. Lo sviluppo del volume vede un impianto rettangolare delimitato da una copertura a shed con moduli decrescenti da sud a nord. La scrittura dell’insieme acquista una straordinaria presa percettiva dal solo trattamento delle superfici che si animano di una pelle in acciaio cromato sabbiato posato in fogli sovrapposti. L’effet-
to della texture è quello di un manto di seta teso sulle superfici esterne che attraverso il suo prezioso e quasi impercettibile gioco di riflessi dà vita e armonia alla massa dell’edificio. L’organizzazione degli spazi interni, regolata da un ampio ingresso utilizzato anche per riunioni e conferenze, vede il succedersi di una decina di sale di dimensioni limitate (dai 30 ai 50 metri quadrati) disposte in successione e direttamente comunicanti. Il
trattamento essenziale degli ambienti privi di particolari a vista e con una pavimentazione in cemento colato si offrono nella loro semplicità e neutralità alla contemplazione delle opere. L’atmosfera intima e serena delle sale espositive è ottenuta dal tipo di illuminazione zenithale che penetra dalle apertura sulla facciata nord degli shed e dalle inquadrature delle tre finestre che si aprono sul paesaggio facilitando l’orientamento del percorso di visita.
Al minimalismo espressivo sposato da Gigon e Guyer corrisponde in questo piccolo museo una grande poetica degli spazi che, per ricordare le parole di Khan, riescono a “evocare un sentimento di uso”. Confluiscono in questo progetto il rispetto della tradizione e la tensione verso nuovi orizzonti espressivi che trovano nel linguaggio della materia la forza per disegnare un nuovo paesaggio architettonico. Elena Cardani
two young Zurig-based architects just in their forties, have designed this socalled “monographic” museum project with all the skill and elegance of the their maestros - the Herzog and de Meuron firm where Gigon worked for about four years, and Rem Koolhaas who employed Guyer from 1984-87. The project clients are two artists, father and son, who needed somewhere to display their works and also host
contemporary art exhibitions and debates. In other words a place for holding discussions and indulging in reflective thought that Carl August and Carl Walter Liner decided to donate to their home city. A show of generosity reflected not only in the practial utility of the museum, but also in their awareness of the importance of architecture in
embellishing the cityscape with landmarks of modern society to be handed down through ages as a legacy of the age in which we live. This means that the architects were also faced with this two-fold task in satisfying the clients’ requirements. They had to draw on the artistic force of matter through a process of reduction, eliminating all excesses and anything useless or unwanted. The simple, min-
imalist design idiom is deliberately free from superflous frills and exhudes a sort of metaphysical mystery. The rectangular site plan is covered by a shed-style roof constructed out of descending sections running in a south-north direction. The overall design is even visually striking from the point of view of the surfaces clad with a skin of layered sanded chrome steel sheets.
The texture is like a layer of silk stretched over the outside surfaces injecting life and a sense of proportions into the structure through an elaborate, almost imperceptiable interplay of reflections. The layout of interior spaces, gauged around a wide entrance also used for holding meetings and conferences, features a sequence of about ten directly interconnected smallish rooms
(ranging from 30-50 square metres in size). The austere way in which the rooms are designed, free from any exposed features and with a floor made of cast concrete, catches the eye for its neutral simplicity. The cool intimacy of the exhibition rooms derives from the zenith lighting that floods through the openings on the north facade of the sheds and through the three square windows
opening up onto the landscape and guiding visitors through the complex. Gigon and Guyer’s stylistic minimalism is matched in this building by the artistiry of its spaces, which, quoting Khan, manage “evoke a sense of use”. This project is a combination of tradition and tension projected towards new stylistic horizons drawing on the force of matter to design a new architectural landscape.
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In queste pagine, sezione e prospetto della facciata principale, l’ampio spazio dell’ingresso e due sale espositive. La luce naturale penetra zenithalmente dalle finestre inserite sul lato nord della copertura
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mentre la presenza di tre aperture disposte lungo le facciate inquadra scorci sul paesaggio facilitando l’orientamento dei visitatori. ■ These pages, section and elevation of the main facade, large entrance space, and two exhibition
rooms. Natural light flows down through the windows on the north side of the roof, while three openings along the facades offer views of the surrounding landscape, helping visitors get their bearings.
Credits Project: Annette Gigon/Mike Guyer Assistants: Urs Birchmeier, Daniel Kaufmann Client: Fondation Carl Liner Vater and Sohn
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■ La
struttura interna del lungo corridoio vetrato che attraversa il Parco Floreale di Tottori, nel Giappone occidentale. Il progetto si basa sul concetto di geometria geo-naturale e sul feng shui. Nelle pagine seguenti, vista zenitale del modello e prospettiva della cupola di 55 m di diametro che contiene la
serra principale e di una porzione dell’anello di 320 m di diametro lungo il quale, da un’altezza di 25 m da terra, i visitatori del parco possono avvicinarsi a tutte le specie coltivate nell’area; in basso a destra, diagramma dell’incidenza del sole sulla serra centrale nelle varie stagioni.
■ The
interior structure of the long glass corridor running across Tottori Flower Park in western Japan. The project is based on the concept of geo-natural geometry and feng shui. Following pages, zenith view of the model and perspective view of the dome with a diameter measuring 55 m holding the main green
house and a portion of the ring with a diameter measuring 320 m along which visitors to the park can view (from a height of 25 m above ground) all the different species grown in the area; bottom right, diagram of the angle at which the sun hits the central green house at different times of year.
Nacàsa & Partners
Il gesto e lo spazio Tottori Flower Park
Progetto: Architect 5 Partnership
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Nacàsa & Partners
Y.Shinozawa
er capire il modello progettuale di Architect 5 Partnership, lo studio P di Tokyo cui si deve il progetto e la realizzazione del Tottori Flower Park, bisogna partire da quel “cinque” che ne caratterizza la denominazione. Contrariamente a quanto di primo acchito si potrebbe pensare, esso non indica il numero dei titolari (che in realtà sono quattro), ma esprime una serie di concetti che formano i principi ispiratori cui lo studio in ogni opera si richiama. Convinto che il compito dell’architettura sia quello di creare le condizioni per un dialogo organico e profondo fra gli individui e fra questi e la natura, Architect 5 si richiama infatti al valore cognitivo ed emozionale dei cinque sensi, alla sensibilità e alla innocenza dell’infanzia fino a cinque anni e ai cinque elementi basilari (legno, fuoco, terra, oro e acqua) al cui equilibrio il buddhismo attribuisce la stabilità e la perfezione dell’esistenza in rapporto al tempo e allo spazio.
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I progetti di questo studio nascono quindi a partire da sensazioni e da impulsi che costituiscono l’intimo nucleo dell’esistenza umana e della sua relazione col mondo. L’imperativo della responsabilità sociale dell’architettura, che esso esplicitamente riafferma, ha poco o nulla di ideologico, almeno nel significato razionale e operativo che l’Occidente attribuisce all’ideologia, sempre fortemente legata alla praxis. Esso semmai sfiora la dimensione dell’utopia, nella misura in cui fa dell’atto progettuale una illuminazione poetica e della poesia una struttura spaziale nella quale vivere come nella natura. L’architettura è per Architect 5 una rivelazione: il gesto che disegna lo spazio ha tutta l’immediatezza dell’appropriazione del mondo da parte del bambino, ma in pari tempo si nutre di una sapienza millenaria che si colloca oltre la stessa storia.
Il Tottori Flower Park, realizzato in una zona collinosa nei pressi dell’Oyama-Iki National Park, sullo sfondo del Mar del Giappone, è in questo senso l’opera più emblematica dello studio, non foss’altro che per la diretta funzione ludica e naturalistica che il suo spazio e le sue strutture sono chiamate ad assolvere. La conformazione collinare del sito è stata non solo rispettata, ma altres è sfruttata nella soluzione architettonica. In netto contrasto con essa, però, il parco è circoscritto da un percorso circolare sopraelevato di 320 metri di diametro, che consente ai visitatori di godere di molteplici esperienze visive e di osservare fiori e alberi da diversi punti di vista. La flora è ovviamente la protagonista del Parco un po’ dovunque, ma soprattutto nella grande cupola vetrata di 55 metri di diametro, seminterrata con una inclinazione di 35 gradi, in relazione all’orbita sola-
re. All’interno, quindi, è possibile osservare il sole muoversi secondo l’orbita dell’equinozio primaverile e autunnale, nonché del solstizio invernale ed estivo. Inoltre, come spiegano gli stessi progettisti, “i ‘nodi’ che incorporano le diverse funzioni - tra cui l’ingresso, i settori espositivi, la serra tropicale e il ristorante - indicano i quattro punti cardinali intorno al percorso anulare. Ciascuno di essi é espresso attraverso colori (nero o genbu, rosso o shujaku, blu o seiryu, bianco o byakko) che nelle antiche città giapponesi simboleggiavano appunto il nord, il sud, l’est e l’ovest, secondo una tradizione urbanistica basata sul feng shui cinese”. Come si vede, la concezione di questa opera, una tra le più recenti di Architects 5, è quanto mai complessa. Grazie a essa l’architettura organizza lo spazio, ma in modo da assecondarne i caratteri naturali; fissa le strutture architettoniche affinché la
vita vi scorra liberamente; costruisce artefatti che esaltino la spontaneità delle relazioni; definisce la stabilità del luogo attraverso il dinamismo delle esperienze che se ne fanno. In pratica, eleva la contraddizione a sistema e fa del sistema un’occasione di libertà, di gioia, di benessere per il corpo e la mente. E’ chiaro che questo particolarissimo approccio all’architettura é frutto di un modello culturale altrettanto peculiare. Gli architetti giapponesi ci hanno ormai abituati al loro gioco sottile fra tradizione e modernità, tecnologia e poesia, razionalità e sensibilità. Non a caso Architect 5 si richiama nei suoi scritti, sia pure di sfuggita, al concetto di “simbiosi”, che consente di fronteggiare la cultura occidentale senza contrapporre ad essa una ideologia forte, ma semmai assorbendone i caratteri primari per restituirli alla luce della filosofia orientale. Così, segnalare in questo
lavoro, come in altri dello studio (cui l’Arca Edizioni sta dedicando una monografia), rimandi alla cultura architettonica occidentale (gli stessi progettisti rendono del resto esplicito omaggio a Frank Lloyd Wright, ad Alvar Aalto e a Richard Rogers), sarebbe facile, ma sterile. Più opportuno sarebbe invece riflettere sull’alto valore etico che Architect 5 attribuisce con forza all’architettura: in ciò è infatti da vedere il fondamento di un modello progettuale capace di oltrepassare gli obsoleti concetti di “funzione e forma”, “innovazione e memoria”, “spirito e materia” sui quali per tutto il Novecento ci si é accapigliati, per fissare invece la nuova frontiera dell’architettura nella stretta relazione (simbiotica, alchemica o matematica) tra spazio, tempo e vita - l’unica nella quale l’umanità possa davvero ritrovarsi e riscoprire i suoi valori fondativi. Maurizio Vitta
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■ Nella
pagina a fianco, vista notturna del corridoio e della cupola vetrata. A sinistra, l’interno della serra. ■ Opposite page, nighttime view of the corridor and glass dome. Left, interior of the green house.
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■ Vista
generale del parco. I fiori e le piante sono piantati secondo una disposizione geometrica in modo che in ogni stagione fioriscano diverse specie nei vari punti del parco.
o really grasp the design philosophy inspiring the work of the T Architect 5 Partnership, a Tokyobased firm which designed and constructed Tottori Flower Park, we need to take a look at that “5” in its name. Contrary to what you might first think, the five does not refer to the number of partners (there are actually only four), it stands for a set of concepts forming the basic principles behind the firm’s work. In the firm belief that architecture’s task is to create the conditions for deep, structural interaction between individuals and between individuals and nature, the name Architect 5 alludes to the cognitive-emotional value of the five senses, to the sensitivity and innocence of childhood up to the age of five, and to the five basic elements (wood, fire, earth, gold, and water). Buddhism ascribes the stability and perfection of life in relation to space and time to the balance between these five elements. The firm’s projects draw inspiration from sensations and input coming from the profoundest depths of human existence and its relations to the world. The imperative of the social responsibility of architecture that the firm explicitly avows has nothing (or next to nothing) ideological about it, at least in the rational-operative sense that the West gives ideology, inevitably closely tied to the concept of praxis. If anything it verges on an idea of utopia due to the way it treats design as artistic inspiration and artistry as a spatial structure for inhabiting in the same way we live in nature. Architecture is revelation for Architect 5: the manner in which space is designed has all the immediacy of the way children see the world, but at the same time it feeds off knowledge gained over thousands of years that actually lies outside history itself. Tottori Flower Park, built in a hilly area near Oyama-Iki National Park against the background of the Japan Sea, is in this sense the most emblematic of all the firm’s works, if nothing else for the playful-naturalistic function its space and structures are supposed to serve. The hilly formation of the land has not only been respected, it has actually been exploited in the architectural design. In sharp contrast with this, the park is surrounded by a circular overhead walkway measuring 320 metres in diameter that allows visitors to enjoy lots of different visual experiences and to look at the flowers and trees from different perspectives. Flowers are obviously the most important feature of the entire Park, particularly in the large glass cupola measuring 55 metres in diameter, half-underground and sloping at an angle of 35° to the sun’s
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■ General
view of the park. The flowers and plants are planted in a geometric pattern so that different species blossom in different parts of the park.
orbit. From inside, visitors can watch the sun move through its orbits in the spring/autumn equinoxes and winter/summer solaces. As the architects themselves point out, the “nodes” hosting the various functions - including the entrance, exhibition sectors, tropical green house, and restaurant mark the four cardinal points around the ring-shaped path. Each of these is given a different colour (black or genbu, red or shujaku, blue or seiryu, and white or byakko), that once stood for the north, south, east, and west in old Japanese cities, according to a town-planning tradition based on the Chinese concept of feng sui”. As we can see, the idea behind what is one of Architect 5’s most recent projects is extremely complicated. It guides how the architecture organises space, reinforcing its natural features; it sets up the architectural structures so that life can go on freely; it creates artefacts exalting the spontaneity of relations; and it stabilises its site location through the dynamics of the experiences it generates. Practically speaking, it makes a system out of contradiction and then turns this system into an opportunity for freedom, joy, and mental/physical well-being. This unusual approach to architecture derives from an equally unusual line of artistic thinking. We are now used to the way Japanese architects play around with tradition and modernity, technology and artistry, rationalism and intuition. It is no coincidence that Architect 5 refer, although only fleetingly, to the concept of “symbiosis”, allowing them to confront Western culture without resorting to a dominant ideology, if anything just absorbing its main concepts in order to reforge them in terms of Oriental philosophy. Pointing out how this and many other works by the firm (l’Arca Edizioni is writing a monograph on it) evoke Western architectural design (the architects themselves pay open homage to Frank Lloyd Wright, Alvar Aalto, and Richard Rogers), would be all too easy and rather pointless. It would be much more useful to reflect on the high ethical value Architect 5 dedicates to architecture: it is actually the grounding force of a design philosophy capable of moving beyond such obsolete concepts as “form and function”, “innovation and memory”, and “spirit and matter” that were so hotly debated right through the twentieth century, to set the latest frontiers of architecture in close relation (symbiotic, alchemical or mathematical) with space, time, and life - the only kind of architecture which the human race can really relate to and in which it can rediscover its grounding values. Maurizio Vitta
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■ In
senso orario da sinistra in alto: planimetria generale; pianta, sezione e assonometria del padiglione espositivo a est; pianta, sezione e assonometria della serra tropicale a ovest; pianta, sezione e assdonometria
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del padiglione di ingresso a ovest; dettaglio della sezione dell’anello circolare del perimetro; pianta, sezione e assonometria del padiglione di servizio a nord.
■ Clockwise
from left up: site plan; plan; section, and axonometric view of the exhibition pavilion to the east; plan, section, and axonometric view of the tropical green house to the south; plan, section,
and axonometric view of the entrance pavilion to the west; detail of the section of the circular perimeter ring; plan, section, and axonometric view of the service pavilion to the north.
■ La
piazza di ingresso al parco e, in basso, l’area ristoro che si apre al parco con una facciata completamente vetrata, entrambi sul lato ovest.
■ The
entrance plaza to the park and, bottom, the refreshments area whose all-glass facade opens onto the facade, both over on the west side.
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Suoni freddi e acuminati Het Valkhof Museum, Amsterdam
Progetto: UN Studio Ben van Berkel & Bos
l Museum Het Valkhof ? Un’architettura all’insegna della chiarezza Iassoluta. Ogni cosa al suo posto.
itor including restaurants, a bookshop, a thematic library and exposition rooms. The particular layered facade of the museum is a constant source of inspiration and expresses itself here, even if only suggestively, as a search for movement. A sliding towards the external layers generates a powerful emotive impact, idealy projecting the museum’s historical and artistic patrimony towards the outside. This dynamic mechanism dissolves once one crosses the threshold and comes into contact with the interior of the building where the architectural suggestions are more strongly linked to the interior space. The strong contrast between the archeological exhibits (including pieces from both the prehistoric and the Roman eras) and distinct modernity help suggest the internal voyage. Especially in this case the Berkelian structure is a kind of intermediary device between contemporary architecture and psychology of form. In other words, not all modern architecture is a prisoner of that technological fetish of enveloping a futuristic form in some hypermodern sheath. Very little of what is the meat, bones and skin of the Het Valkhof Museum displays giant structural windows or anything else that might be identified with the modern technological imagination. We find yet another scenario in the spaces designated to house another signifigant portion of the museum’s permanent collection: contemporary art. If history is contrasted by modernity, what kind of space (what catalyzing element) should be reserved for contemporary art? The van Berkel project seems to respond: cold and sharp sounds. Art today is sustained by the fruit of continuous provocation, by the violent flux of upset systems. When chasing the overturned, one must place permanent revolution alongside an architecture of powerful euclidian beauty with lines just barely divergent, with corners only slightly off true. In conclusion, van Berkel seems to be fascinated by distraction, by casual error: he seems to have forgotten to stop the goniometer on the drafting table and to have chosen to press on ahead even once the oversight had been identified. The esthetic machine he seems to suggest - is a structure without linguistic links and the presupposed metaprojectual is multidirectional. Architectural works must be declared through an interpretive voice which uses a single commanding code: Architecture, more than any other expression, must be understood as complex reality, as continuum.
Anche le immutabili categorie Passato e Presente sono state “compresse” e organizzate all’interno del cristallino casellario del Museum Het Valkhof di Amsterdam. Nessuna devianza linguistica o trasgressione sembra attraversare questa recente realizzazione di Ben van Berkel. Eppure, un’energia, anche se allo stato latente, pare esistere in quegli spazi senz’anima (neutri, per non oscurare reperti archeologici d’epoca romana e opere d’arte contemporanea o per suggerire percezioni spaziali personalizzate?). Certo, van Berkel è sempre stato lontano dall’elegante radicalismo di alcuni suoi conterranei come NL Architects. Tuttavia, seppure dopo una sommaria osservazione, non si possono escludere intenzioni di qualche rilievo. Per esempio: insistere sull’idea di stratificazione (i tagli orizzontali della facciata) rimanda alla sequenzialità delle epoche storiche, ma anche a qualcosa di personale, all’avvicendarsi degli eventi con lo scorrere del tempo. Sembra insomma che van Berkel voglia condurci attraverso una ricerca di emozioni destinate a fruitori disposti a considerare lo spazio museale non solo un viaggio didattico, ma anche un luogo d’introspezione profonda, di percorsi nello spazio mentale. Forse per van Berkel questo periodo rappresenta un momento di riflessione, e, forse, lo stretto legame tra forma e invenzione strutturale (per un certo periodo vi furono relazioni tra l’architettura di van Berkel e l’opera di Calatrava, per esempio: il progetto dell’Erasmus Bridge a Rotterdam), è ormai archiviato definitivamente e destinato a chiudere simbolicamente quest’ultimo scorcio di secolo? Un primo sguardo al sito rivela quanto la particolare location abbia aiutato il progettista nella realizzazione di una struttura vitale, destinata a migliorare il metabolismo urbano di Amsterdam, in qesto momento teatro di numerosi interventi. Il Museum Het Valkhof unisce infatti Kelfkensbos Park con una zona centrale della città. Il sito su cui sorge il museo assume dunque valenza strategica per i collegamenti pedonali e viabilistici all’interno della capitale olandese. La struttura museale unisce la funzione culturale a quella di elemento di riqualificazione urbanistica della zona. Alquanto schematica l’offerta di optional destinata ai visitatori che prevede, oltre alle sale espositive, i consueti ristorante, libreria e
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biblioteca tematica. La particolare conformazione a strati della facciata del museo fa emergere come la ricerca del movimento, seppure solo suggerito, sia stata costante fonte d’ispirazione. Lo slittamento verso l’esterno degli strati genera un forte impatto emotivo, proiettando idealmente verso l’esterno il patrimonio storico e artistico del museo. Il meccanismo dinamico si dissolve invece gradualmente una volta varcata la soglia ed entrati in contatto con gli interni, in cui prevalgono suggestioni legate più allo spazio interiore. A sollecitare i segreti spazi del paesaggio mentale c’è il forte contrasto generato dall’accostamento di materiali archeologici (reperti preistorici ma anche manufatti d’epoca romana) con ambienti di spiccata modernità. In questo particolare caso, la struttura berkeliana è una sorta di dispositivo intermedio fra architettura e psicologia della forma. In altri termini: non tutta l’architettura contemporanea è prigioniera del feticcio tecnologico della forma futuristica racchiusa in una guaina ipermoderna. Molto poco di quello che è carne, ossa e pelle del Museum Het Valkhof, ostenta ampie vetrate strutturali, controventature o quant’altro si identifichi nell’immaginario collettivo tecnologico contemporaneo. Altro scenario è invece quello degli spazi destinati all’arte contemporanea, anch’essa parte significativa delle collezioni permanenti del museo. Se alla storia è contrapposta la modernità, quale tipo di spazio riservare (come elemento catalizzatore) all’arte contemporanea? Suoni freddi e acuminati, sembra rispondere il progetto di van Berkel. Sì, perché l’arte è oggi alimentata dal cibo della provocazione continua, del fluire violento degli schemi ribaltati. All’ossessione del sottosopra, della rivoluzione permanente, si può affiancare un’architettura violentemente posseduta dalla bellezza non euclidea, con linee appena divergenti, con angoli appena fuori squadro. Insomma, van Berkel sembra affascinato dalla distrazione, dall’errore casuale: pare essersi dimenticato di bloccare il goniometro del tecnigrafo ma, una volta accortosi della svista, ha tirato dritto. La macchina estetica sembra suggerire van Berkel - è una struttura senza vincoli linguistici e il presupposto metaprogettuale è multidirezionale. L’opera architettonica va decrittata attraverso una lettura il cui codice interpretativo è: l’architettura, più di ogni altra espressione, va intesa come somma di realtà complesse, come continuum. Carlo Paganelli
he Het Valkhof Museum? Architecture working for absoT lute clarity; everything in its place. Even the immutable standards of Past and Present have been “compressed” and organized inside the crystalline cabinet in Amsterdam otherwise known as the Het Valkhof Museum. Not even a single linguistic deviance nor transgression seems to cross van Berkel’s recent accomplishment. And yet some form of energy, even in a latent form, appears to exist in those soulless spaces (perhaps kept neutral so as not to obscure Roman archeological exhibits and modern artwork...perhaps to suggest a personal perception of spaces?). One thing is for sure, van Berkel has always avoided the elegant radicalism of some of his fellow countrymen, NL Architects among others. When all is said and done, even after a relatively cursory observation one cannot exclude some important intentions. For example: an emphasis on the idea of stratification (the horizontal cuts of the facade) recall both the sequentiality, the strata of historical epochs and in the same moment something quite personal; a coming nearer of events with the passage of time. It seems as if Berkel wants to transport us through an emotional experience destined for visitors who are willing to consider the museum space not only as a didactic experience but also a place for profound introspection; a pathway into the mind. Perhaps this period represents a moment of reflection for van Berkel, or perhaps the strong connection between form and structural invention (for a certain period there were links between van Berkel’s architecture and Calatrava’s work-for example the Erasmus Bridge project in Rotterdam) has finally been retired and is destined to symbolically close the door on this last bit of the century? A first look at the site reveals just how much the particular location has helped the designer create a vital structure destined to improve Amsterdam’s urban metabolism, at the moment open territory for numerous projects. Where it stands The Het Valkhof Museum now unites Kelfkensbos Park with a central zone of the city. The Museum’s site acquires therefore a strategic importance for both pedestrian and street routes inside the Dutch capital. The Museum’s structure unites the cultural function with the urban requalification of the entire zone. There are all the traditional museum accoutrements for the vis-
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■ Nella
pagina precedente, schema distributivo del Museum Het Valkhof di Amsterdam. Aperto al pubblico nel 1999, il complesso museale possiede una
collezione di manufatti d’epoca romana e dispone di un settore dedicato all’arte moderna. ■ Previous page, diagram of the layout of Het Valkhof Museum in
Amsterdam. The museum complex, which opened to the public in 1999, has a collection of Roman exhibits and an entire section dedicated to modern art.
■ In
queste pagine, planimetria generale, piante, rendering e alcune immagini dell’edificio. Il complesso, destinato ad accogliere circa 100mila visitatori all’anno, è distribuito su una superficie di oltre 6000 mq e dispone di una libreria, una biblioteca tematica e un ristorante. ■ These pages, site plan, plans, rendering, and pictures of the building. The complex, designed to cater for about 100 thousand visitors a year, covers a surface area of over 6000 square metres and has its own book shop, special library, and restaurant.
Credits Project: Ben van Berkel (UN Studio/Van Berkel & Bos) Building Contractor: Nelissen van Egteren Bouw Technical Installations: ketel Raadgevende Ingenieurs Client: Stichting Museum Het Valkhof
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Il diamante nero The Royal Library in Copenhagen a Royal Library di Copenhagen è il risultato di un concorso europeo, L bandito nel 1993. I vincitori, gli architetti M.Schmidt, B.Hammer e J.F.Lassen, collocano, lungo il fronte dell’antico porto, un oggetto che a prima vista appare come una forma assoluta, un prisma levigato che vive del proprio riflesso. Il luogo è assai delicato poiché è una sorta di isola separata dalla città da un canale che la circonda su tre lati, mentre sul quarto si affaccia il grande bacino portuale. L’isola di Slotsholmen è il cuore storico della città in cui convivono il palazzo Christianborg, la Borsa e la preesistente biblioteca reale progettata nel 1906 da H.J.Holm. Attorno, si affacciano numerosi edifici storici fra cui il Royal Danish Arsenal Museum e la Christian IV’s Brew House, una delle più note e antiche fabbriche di birra. Ma non solo la presenza di monumenti storici rende complesso il progetto dell’inserimento del nuovo manufatto. La presenza di un sistema infrastrutturale, che collega le attività lungo il porto, richiede una soluzione coraggiosa allo scopo di definire una nuova identità degli spazi pubblici che si vengono a creare con il nuovo progetto.
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Gli architetti decidono di tenere la strada contigua alla precedente biblioteca, di oltrepassarla con un ponte di collegamento e collocare il nuovo corpo quasi a fronte del grande canale. Il blocco compatto, che si estende come una protesi verso l’acqua, produce il suo dominio urbano sul lato ovest dove una piazza, la Soren Kierkegaards, gli consente di affermare la sua inequivocabile presenza monumentale. La nuova biblioteca si carica, così, di un’ambiguità che produce un’inquietante relazione con il contesto. Là dove le masse e i registri dimensionali sono rispettosi della scala degli edifici circostanti e aprono un dialogo che è opposizione solo sul piano del linguaggio e della materia, le gerarchie urbane invece si risolvono in libere fluttuazioni degli spazi poiché l’edificio, che propriamente non dispone di una facciata principale, non necessita del tradizionale vestibolo urbano, ma solo di un contesto aperto tutt’attorno che ne esalti la tridimensionalità. Questi piccoli segni del sovvertimento fra edificio pubblico e spazio che gli appartiene è una delle chiavi di lettura più significative per comprendere una diversa posizione culturale sul ruolo dell’architettura nella città
contemporanea. Non vi è la rinuncia alla monumentalità. L’edificio pubblico si impone nel contesto urbano cercando quelle differenze, che sono il senso della sua unicità, in virtù di alcune modalità che riguardano la sua giacitura, la sua forma e il suo modo di manifestarsi nell’intorno. Alcuni aspetti della tradizionale composizione urbana perdono significato. Un monolite, come questa biblioteca, non dispone propriamente di una facciata principale e di un retro né di una cornice di completamento né di altri apparati decorativi che organizzino le sue proporzioni. Vi è solo un piccolo basamento vetrato che, sebbene prenda le misure dall’edificio contiguo della vecchia biblioteca, tuttavia ha lo scopo di sollevare il prisma da terra per dotarlo di maggiore autonomia formale e levità. La leggera torsione che deforma la sagoma dell’edificio, gli conferisce quel senso di instabilità che lo fa appartenere più al mondo dei container in attesa di essere caricati sulle navi che non al solido mondo del monumento di pietra. Il dialogo-opposizione con le preesistenze non si limita alla giacitura e composizione volumetrica, ma introduce le differenze anche nei ma-
■ Vista
della nuova Biblioteca Reale di Copenhagen dal canale. I colori e le forme contrastanti dei due edifici, denominati il Pesce e il Diamante, enfatizzano la loro indipendenza.
Progetto: Schmidt, Hammer, Lassen
teriali. Pietra, acciaio, cemento, vetro e legno sono trattati secondo le loro proprietà cosicché non vi è variazione cromatica che non nasca dalla loro propria naturalità. Alla levigatezza dell’immagine urbana corrisponde, di contro, un mondo più organico all’interno, dove la plasticità dei piani e la dinamicità dei percorsi ripropone uno spazio che trova la sua ragione nei flussi delle persone e della luce. Un grande vuoto interno, come ricavato da un coltello che ha inciso una materia molle, viene inondato dalla luce che scende dalla coperturalucernario fluendo entro i piani intermedi, dove sono collocate le sale di lettura. Scale mobili, rampe e percorsi rendono evidente il ruolo egemone di questo spazio che, tramite la grande vetrata a sud, si apre sull’area del porto. L’edificio basso appoggiato sul lato est, conosciuto come il “pesce”, segue la forma della strada urbana con un corpo schiacciato rivestito in pietra arenaria. E’ una sorta di appendice che contiene le sedi di importanti istituzioni culturali, la cui presenza viene denunciata dalle ritmiche rotture del fronte verso il porto. Remo Dorigati
he Royal Library in Copenhagen is the result of a European T competition launched in 1993. The winners, the architects M. Schmidt, B. Hammer and J.F. Lassen, have placed an object along the waterfront of the old port that looks at first sight like an absolute form, a smooth prism that lives off its own reflection. This is an extremely delicate location because it is a sort of island separated from the city by a canal surrounding it on three sides, while the fourth side overlooks the large harbour. Slotsholmen Island is the historical centre of the city hosting Christianborg Palace, the Stock Exchange, and the old Royal Library designed by H.J. Holm back in 1906. All around there are numerous old buildings, including the Royal Danish Arsenal Museum and Christian IV’s Brew House, one of the most famous old breweries. But it is not just the historical monuments that make the project to incorporate the new construction so complicated, the presence of an infrastructural system connecting activities along the waterfront calls
for a brave design giving a fresh identity to the public places resulting from the new project. The architects decided to keep the road alongside the old library, constructing a new bridge over it and placing the new building almost opposite the main canal. The compact block, extending out towards the water like a prosthesis, dominates over on the west side where Soren Kierkegaard Square lets it express its monumental presence. This gives an air of ambiguity to the new library, setting up disturbing relations with the surroundings. Whereas the masses and dimensional registers respect the scale of the surrounding buildings and open up interaction conflicting solely in terms of idiom and material, the urban hierarchies are reduced to freely fluctuating spaces because the building, which has no main facade, does not need a conventional urban hall, just an open context all around that brings out its three-dimensionality. These tiny signs of an inverting of a public building and the space belonging to it is one of the best keys to reading a different cultural
approach to the role of architecture in modern-day cities. Monumentality has not been abandoned. This public building imposes itself on the urban environment by focusing on the differences that make it unique, thanks to certain features of its position, form, and general setting in its surroundings. Certain aspects of traditional urban design are no longer so significant. A single block like this library has neither a main facade, nor a rear, nor a finishing frame, nor any other decorative mechanism designed to organise its proportions. There is just a little glass base which, despite taking its proportions from the nearby old library building, is actually designed to raise the prism off the ground to create a greater sense of lightness and independence. The slight twist deforming the building’s profile gives it the kind of feeling of instability that makes it look more like a container waiting to be loaded onto a ship than a solid monument made of stone. Its interaction-opposition with existing constructions is not, of course, merely confined to its posi-
■ View
of the new Copenhagen Royal Library from the canal. The contrasting colours and shapes of the socalled Fish and Diamond emphasise the independent existence of the two buildings.
tion and structural design, it also creates differences in the materials. Stone, steel, concrete, glass, and wood are all treated according to their properties to eliminate colour variations due to their natural features. The smoothly uniform image contrasts with a more organic layout on the inside, where the sculptural plasticity of the different floors and dynamic flow of corridors creates a space designed to let both people and light flow through. A large central space, which seems to have been carved out of a soft material with a knife, is flooded with light that projects down from the roof-skylight flowing between the intermediate levels holding the reading rooms. Escalators, ramps, and paths bring out the hegemonic role of this space opening up to the port area through its wide glass window. The low building resting over on the east side, known as the “fish”, follows the city road with its squashed form clad with sandstone. This is a sort of appendix housing the offices of the main cultural societies, whose presence is underlined by rhythmic breaks in the front facing the port.
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■ Planimetria
generale e, sotto, piante del piano terra e del primo piano. In basso, la facciata vetrata che racchiude il grande atrio centrale, aperto verso il porto.
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■ Site
plan and, below, pplans of the grouynd floor and first floor. Bottom, the facade of the great glazed atrium opened towards the harbour.
■ Piante
del secondo piano e del livello delle copertura. In basso, vista aerea della nuova biblioteca e del porto.
■ Plans
of the second floor and of the roof level. Bottom, aerial view of the new library and harbourfront.
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■A
destra, i due nastri elevatori che conducono al Ponte dell’Ufficio Prestiti al secondo piano. Sotto, il dipinto di 210 mq che decora il soffitto del Ponte dell’Ufficio Prestiti, opera di Per Kirkeby. Nella pagina a fianco, l’atrio alto 24 metri taglia l’intero edificio ed è disegnato come uno spazio organico e dinamico. ■ Right, the two traveletors leading up to the Lending Department Bridge al secondo piano. Below, the 210 sq.m picture which adorns the ceiling of the Lending Department Bridge painted by Per Kirkeby. Opposite page, the 24metre-high atrium cuts into the building and is designed as an organic room in motion.
Credits Project: Schmidt, Hammer & Lassen Engineering: Moe & Brødsgaard, Hansen & Henneberg, Hostrup-Schultz & Sørensen Acoustics: Anders Chr.Gade Owner: The Danish Ministry of Culture/The Royal Library Owner’s Consultant: Forskningsministeriet Byggedirektorat, Harry Faulkner-Brown
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■
Sotto, la scala elicoidale autoportante che collega, con una presenza scultorea nell’atrio d’ingresso, i due volumi sovrapposti che strutturano l’impianto planimetrico e l’intero sviluppo formale dell’edificio.
Opposite page, the Alpes-Maritimes Museum of Asian Art stands by an artificial lake inside a 7hectare flower park along the Promenade des Anglais in Nice, right in the middle of the new Arénas business centre. Below, the self-bearing spiral staircase
■
connecting the two superimposed structures, with a sculpture in the entrance hall, shaping the site plan and entire building design.
Arnaud Carpentier
Geometria ed equilibrio Asian Art Museum, Nice
Nella pagina a fianco, il Museo dipartimentale d’Arti Asiatiche delle Alpes-Maritimes che sorge su un lago artificiale all’interno di un parco floreale di 7 ettari, lungo la Promenade des Anglais a Nizza, nel cuore del nuovo centro direzionale l’Arénas.
Progetto: Kenzo Tange, François Deslaugiers
l Museo d’Arte Asiatica di Nizza è l’unico progetto museale di Kenzo ITange in Europa. Una delle idee di fondo, che sembrano essere state realizzate molto efficacemente, è l’apparente galleggiamento dell’edificio sulle acque calme del lago del giardino botanico in cui sorge. Le masse semplici e prive di bucature riconoscibili come tali, si pesano vicendevolmente, l’una sull’altra, in un equilibrio scontato. La configurazione planimetrica dell’opera è basata su geometrie classiche della tradizione Giapponese. Il cerchio e il quadrato sono simboli formali legati rispettivamente alla rappresentazione del cielo e della terra. Nella composizione, queste due figure sono utilizzate per scomporre la costruzione, del tutto simmetrica e regolare, in due volumi sovrapposti. Essi definiscono e concludono in un solo gesto l’intero programma formale, a eccezione della grande piramide traspa-
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rente di copertura. Sebbene questa possente dose di astrazione suggerisca la collocazione di questa opera di Tange in un dominio minimalista, un secondo sguardo all’insieme rivela la chiave compositiva che ha regolato il lavoro: in conformità alla più solida tradizione giapponese, l’edificio museale è una sapiente mescolanza di precetti figurativi e astratti. L’immagine della capanna primordiale è sopravvissuta, e anzi domina la configurazione in alzato dell’edificio. Il modello strutturale è basato su soli quattro pilastri circolari, ai quali sono agganciati tutti i solai e le pareti in cemento armato. Questo schema a croce è imprescindibile dalla composizione formale dei due volumi del museo, e instaura uno schema strutturale del tutto coerente con la simmetria bi-direzionale dell’edificio. Anche la suddivisione del patrimonio artistico esibito dal museo è in linea con questa imago mundi qua-
dripartita: quattro sono le sezioni di arte asiatica della collezione: Cinese, Indiana, Giapponese e Cambogiana. I due volumi centrali sovrapposti sono collegati verticalmente da una scala elicoidale autoportante, caratterizzata da un intradosso non orizzontale. Questa caratteristica suggerisce l’assimilazione di questo elemento a un oggetto scultoreo che attraversa verticalmente il corpo principale. La celebrazione del rito del thè, nel padiglione dedicato a questa funzione, aggiunge all’esperienza di una visita al museo, sensazioni tattili e papillari, che, alleate all’architettura, possono contribuire a stimolare atmosfere molto suggestive. L’intera superficie esterna del museo è ricoperta di marmo scelto bianchissimo, proveniente da Carrara. Le lastre poste a rivestimento del volume circolare superiore sono di taglio curvo, con un superbo effetto
superficiale. All’interno, pavimenti e rivestimenti della hall centrale sono dello stesso materiale, mentre in alcune sale espositive è stato steso un pavimento in legno. Per quanto riguarda l’allestimento degli interni, il progetto di presentazione museografica della collezione d’arte asiatica è stato affidato a François Deslaugiers. Conservare ed enfatizzare la personalità e l’essenzialità sia dell’edificio che delle opere, sfruttare al meglio le possibilità architettoniche e museografiche degli oggetti (pochi, ma di rara qualità), regolare i percorsi secondo le esigenze didattiche, storiche e geografiche dell’esposizione e calibrare le incidenze della luminosità, in un dosaggio equilibrato tra luce naturale e artificiale, sono stati i difficili compiti portati a termine con sapiente professionalità da Deslaugiers. Nell’atrio di ingresso, che riceve
una intensa e diffusa illuminazione naturale dalla grande vetrata propsiciente il lago, sono stati creati piccoli e quasi oscuri alveoli cubici che ospitano poche opere emblematiche di introduzione ai temi della collezione; inoltre, sono stati inseriti alcuni schermi paraluce, sufficientemente neutri sia per forma che resa cromatica, nel rispetto dell’essenzialità dell’ambiente. Al primo piano, nel grande cilindro illuminato solo dagli ampi lucernari in copertura, che contrasta sia con la forma che con la luminosità dell’atrio, si è studiata una ripartizione progressiva della luce a partire dal centro verso la perifieria della sala, dove sono collocate le opere più sensibili e fragili all’azione della luce. Tale andamento dal centro verso l’esterno, ben si adatta alla parte della collezione qui ospitata, che rappresenta la “via del buddhismo”. Nel sottosuolo, illuminato dal vuoto delle
scale che scendono dall’atrio, ma comunque poco illuminato naturalmente, sono collocate le opere provenienti dall’India e dalla Cambogia. Tutte le sale adiacenti all’edificio principale, a livello del primo piano sono illuminate prevalentemente da luce artificiale. Qui sono contenute opere (tessuti cinesi e giapponesi) molto sensibili alla luce che necessitano un controllo molto attento dell’irradiazione. Per quanto riguarda i materiali per gli allestimenti, sono stati scelti quelli che più rispettassero l’opera di Tange: falsi plafoni e divisori bianchi, legno chiaro per il Padiglione del Thè, vetro e acciaio grezzo per le bacheche. Deslaugiers ha saputo conciliare le tante esigenze imposte sia dal programma museale sia dal “gioiello bianco” di Tange, rafforzando quel senso di meraviglia ed emozione che nascono dalla visione della bellezza . Alessandro Gubitosi
he Asian Art Museum in Nice is T Kenzo Tange’s only museum design in Europe (he received an honourable mention at the 1999 Europe Marble Architectural Award organised by the Carrara Marble and Machinery Association) and it finally opened in 1998 after about a ten-year delay due to difficulties in deciding upon the permanent collection to be put on display in the new facility. The Museum with its simple, reassuring design now stands in a natural context that fits in perfectly with its contents. One of the underlying ideas that seem to have been extremely effectively incorporated is the way the building seems to float on the surface of the lake in the botanical garden where it is constructed. These two simple masses, both apparently without any notable holes or perforations, weigh against each other in perfect balance. The building’s site plan is based on classic geometric patterns deriving
from Japanese tradition. The circle and square are stylistic symbols representing the sky and earth. The design uses these two figures to hide this perfectly symmetrical, regular building away inside two superimposed structures, which define and conclude the entire design in one sweeping gesture, except for the large transparent roof. The building’s simple stylistic idiom and overall design evoke universal concepts, astoundingly simple pearls of Oriental wisdom. Although such a powerful dose of abstraction initially suggests labelling this design as minimalist, a closer look at the overall design reveals the true stylistic key to the architecture: in accordance with the most firmly grounded of Japanese tradition, the building is actually a clever combination of both figurative and abstract features. The image of a primitive hut has survived and indeed actually dominates the building elevation. The structural design is based
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Nella pagina a fianco, particolari degli spazi d’ingresso a piano terreno caratterizzati dalle superfici rivestite in marmo di Carrara. Sopra, pianta del primo piano e sezione sull’atrio d’ingresso. Sotto, particolari dell’atrio
■
■ ■
Planimetria generale. Site plan.
on just four circular columns to which all the reinforced concrete floors and walls are attached. This cross-shaped design is an inseparable part of the stylistic layout of the two museum buildings, creating a structural pattern that fits in perfectly with the building’s two-way symmetry. The works of art on display in the museum are also divided up in accordance with this four-way imago mundi. The collection contains four sections of Asian art: Chinese, Indian, Japanese, and Cambodian. The two superimposed central structures are vertically connected by a self-bearing spiral staircase featuring a non-horizontal intrados. This is a sort of sculptural feature running vertically right through the main structure. The tea ceremony carried out in a room specially designed for this purpose adds tactile, papillary sensations to a visit to the museum, combining
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■ ■
with the architecture to create a highly evocative and stimulating atmosphere. The whole of the outside of the museum is covered with carefully chosen, white marble from Carrara. The curved-shaped sheets placed over the circular upper structure create a superb effect. The floors and walls of the central hall are made of the same material. The floors of some of the exhibition rooms are paved with wood. The interior museological design for displaying the Asian art collection was commissioned to François Deslaugiers. Conserving and bringing out the character and simplicity of the works on display, taking full advantage of the architectural-museological potential of the objects (relatively few but of high quality), organising the overall layout along the educational, historical, geographical requirements of the exhibition, and gauging a carefully balanced mixture of natural-artificial light, are
d’ingresso delle sale espositive il cui allestimento è stato studiato in funzione della completa leggibilità delle opere. ■ Opposite page, details of the ground-floor entrance spaces featuring surfaces clad with white
Carrara marble. Above, first floor plan and section of the entrance hall. Below, details of the entrance hall and the exhibition rooms fitted out to display the works as effectively as possible.
Pianta del piano terreno. Ground floor plan.
the tricky tasks that Deslaugiers has tackled with great skill and expertise. Strong, diffused natural light flows into the entrance hall through a glass window overlooking the lake. The hall is fitted out with small, almost dark cube-shaped cells hosting a small number of emblematic works of art providing a foretaste of the basic themes of the collection. Screens against the light (suitably neutral in terms of their shape and colour) have also been incorporated in harmony with the overall simplicity of the design. In the large firstfloor cylinder that breaks with the shape and luminosity of the lobby and is lit up solely through skylights in the roof, light has been gradually diffused from the centre outwards, where those works most fragile and sensitive to light are located. This sense of motion projecting from the centre outwards is ideal for this part of the collection representing “the Buddhist
way”. The underground section, lit up by a small amount of light entering through the stairwell leading down from the lobby, holds works from India and Cambodia. All the rooms adjacent to the main building at first-floor level are mainly lit with artificial light. This area holds works of art (Chinese and Japanese fabrics) extremely sensitive to light, calling for careful radiation control. The wainscoting and cladding materials have been chosen to fit in with Tange’s work: fake borders and white partitions, clear wood for the Tea Pavilion, glass and rough steel for the showcases. Deslaugiers has managed to cope with all the requirements deriving from both the project brief for the museum and from Tange’s “white gem”, emphasising that sense of amazement and emotion generated by beauty. Alessandro Gubitosi
Credits Project: Kenzo Tange Associates (building) François Deslaugiers (interiors and museography) Structural Engineers: Elms - Rooke Managers: OTH Mediterranée General Contractor: Miraglia Lighting: Erco France Owner: Conséil Général des Alpes Maritimes Client Representative: Semam
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Una nuova natura Kitakami Canal Museum
Progetto: Kengo Kuma Associates
l lavoro di Kengo Kuma ha una sua radice profonda, da scoprire con Iattenzione: non è cosa che possa
flowing corridors bring visitors into contact with the architecture, even below ground level, as they walk along the riverside. The canal is symbolically taken as a point of interaction, an archetype whose thematic function is also being copied. Our architect is not so much interested in showing off his own distinctive forms as in rearranging things and injecting them with fresh meaning through winding, enveloping pathways introducing the observer to sudden disconcerting experiences and new ways of perceiving old things. This trip down into the underworld as a place of truth and extreme quest for meaning takes place through and in nature, almost a desire to sink into the depths of the earth or return to the warmth of the maternal womb. Kitakami Canal is one of the oldest canals in Japan. The project for the Canal Museum and recreation facility is located on a plot of land between Kitakami Canal and Kitakami River. The underground architecture fits in perfectly with the programme specifications. The building is designed with a “U”shaped layout, whose outside surface dips underground before eventually re-emerging at the end of its path, forming part of the underground exhibition space. There are nothing but fuzzy boundaries between architecture and landscape, architecture and infrastructure, nature (the river) and artifice (the canal). The large glass “eye” emerging out of the ground at the entrance is a sign of how this ambiguity has been reproposed in the form of a bridge-structure between nature and artifice. Kengo Kuma’s creativity looks, first and foremost, towards man himself - nature as an unbreakable bond, a blood pact free from conflict. Architecture is missing, but only in terms of the hardness and harshness of a wall, its absence brings it closer to the invisible meaning of things, draws it towards a spiritual contract of a new identity which is the result of new thoughts not new forms. Thus the materials he uses are geometric tools for bringing together building and the environment, not means of separating or keeping apart but a projecting of the act of building to the sacred status of a new form of creation. There is no discord or disconcertion, nothing provocative about this quest for a suspended, composite landscape. Kengo Kuma explores a different zone where architecture is not something different, but belongs to a new type of nature in which human intervention is directed towards both knowledge and a sense of belonging.
essere letta frettolosamente o con superficialità. Come tutto ciò che è importante, richiede da parte di chi si accosta una fatica, per andare oltre le apparenze dei discorsi soliti. Ma, si badi bene, non una fatica priva di senso, non un lavoro improbo o una punizione, ma un compito di riflessione e autocoscienza. Quasi un trattenersi sulla soglia delle solite griglie interpretative, per intraprendere un viaggio di ascolto, senza schemi rigidi, ma con sguardo di esploratore. Nei progetti di Kengo Kuma c’è un controllato stupore per la realtà come essa si presenta e il bisogno dei sensi, prima che della mente, di fare in modo che l’architettura partecipi di questo stupore, senza provocare danni derivanti dalla volontà di sovrapporre una nuova natura a quella che già c’è. Quindi siamo nei percorsi del senso e dei sensi: ovvero una ricerca che sappia parlare alla fisicità dell’uomo, al suo bisogno materiale di controllare, di sentire lo spazio, e al contempo soddisfare il bisogno primario di entrare in contatto con i motivi costitutivi della conoscenza filosofica-esistenziale. Ovvero capire il senso dello spazio e i modi della sua produzione. La natura osservata e riguardata alla ricerca del senso, è il luogo privilegiato per il richiamo al bisogno di conoscenza: l’uomo immerso nel paesaggio è più conscio del proprio destino di abitatore del mondo e pensa con più cautela agli spazi che deve organizzare come creatore di forme abitabili. Il plusvalore dell’umano sta nel partecipare a una generazione dell’ambiente già avvenuta, ma sempre da rigenerare. In questa direzione di pensiero Kengo Kuma aggiunge alla natura trovata la sua capacità di sguardo. Le sue architetture rappresentano dei percorsi della visione che si trasformano in costruzione, tutto è costruzione tematica attorno all’atto iniziale della contemplazione estatica. Prima materia del progetto è lo sguardo indagatore, che contempla e attende una rivelazione di senso. Ma questo senso non è mai un dato scontato, semplicistico, dogmatico: è sempre ambiguo, doppio, destabilizzante. Oltre a destabilizzare, Kengo Kuma vuole anche confermare e valorizzare le valenze dei luoghi intersecati dal progetto. Un senso di mescolanza , di fusione e confusione di elementi è particolarmente evidente nel Museo del Canale Kitakami. Qui la fluidità dei percorsi porta il visitatore che percorre il lungofiume a essere condotto a incontrare l’architettura, ancora nel sottosuolo. Il canale viene
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assunto simbolicamente come un punto di dialogo, archetipo di cui imitare la funzione tematica. La forza dell’architetto non è tanto nell’esibizione della propria forma distintiva, quanto nel sapere organizzare, rigenerare i nuovi significati nelle cose, attraverso i percorsi sinuosi e avvolgenti che introducono l’osservatore a esperienze impreviste e spaesanti, verso nuove percezioni delle cose di sempre. Lo stesso percorso nel sottosuolo, come luogo di verità, come approfondimento estremo di una ricerca di senso, che si svolge attraverso la natura e dentro la natura, quasi un volersi immergere nel ventre della terra, un ritorno alla Madre, nel tepore dei suoi visceri. Kitakami Canal è uno dei più antichi canali giapponesi. Il progetto per il Museo del Canale e per uno spazio ricreativo è inserito in un terreno tra il Kitakami Canal e il Kitakami River. L’architettura è sotterranea e rispetta completamente le richieste del programma. L’edificio è progettato in modo che il percorso a “U”, che dalla superficie si incunea nel sottosuolo per ritornare al termine del tragitto all’aria aperta, diventi parte della funzione espositiva dello spazio sotterraneo. E’ un susseguirsi di ambiguità di confini tra architettura e paesaggio, architettura e infrastruttura, natura (il fiume) e artificiale (il canale). Il grande “occhio” vetrato dell’ingresso che emerge dal terrapieno è il segno della ricomposizione di tali ambiguità in una struttura-ponte tra natura e artefatto. Così la creatività di Kuma guarda innanzitutto a un discorso uomonatura fatto di comunità inscindibile, un patto di sangue dove non c’è contrasto. Architettura assente, ma solo come durezza, come asprezza, come muro, assente per essere più aderente al significato invisibile delle cose, per avvicinarsi a un concetto spirituale di nuova identità, non generata da nuove forme, ma da nuovi pensieri. Così, i materiali che utilizza per i suoi progetti sono gli strumenti di una geometria di assimilazione tra costruzione e ambiente, non sono strumenti di separazione, di presa di distanza, ma di avvicinamento, di sacralizzazione dell’atto del costruire, che vuole diventare nuova creazione. Non c’è dissonanza o spaesamento, non c’è provocazione, quanto invocazione di un paesaggio composito e sospeso. Kengo Kuma esplora una zona, in cui l’architettura non è un cosa diversa, ma appartiene a una nuova natura, dove l’intervento dell’uomo è diretto alla conoscenza e all’appartenenza. StefanoPavarini
engo Kuma’s work has deep roots that need to be unearthed K with great care: a quick, superficial reading is not use whatsoever. Like everything important, it takes a great deal of effort to go beyond the usual analyses of what first catches the eye. But there is certainly nothing laborious or punitive about this kind of reflective, self-conscious task. It is almost as if we have to teeter on the brink of conventional readings, abandoning the usual predefined schemes to look and, above all, listen with the eyes and ears of an explorer. Kengo Kuma’s projects express a sort of controlled astonishment at reality as it appears, drawing more on the senses than the mind to let architecture take part in this feeling of amazement, without doing any harm by trying to superimpose a new form of nature on nature itself. We are in the realms of sense and senses: in other words, experimentation capable of interacting with the physical side of man, his material need to feel and control space and, at the same time, to satisfy a basic need to keep in touch with the grounding principles of philosophical-existential knowledge. He wants to grasp a sense of space and the ways in which it is created. Observing and scrutinising nature in search of meaning is a privileged way of approaching this thirst for knowledge: buried in the landscape, people are more aware of their place in the world and adopt a more cautious approach to the spaces at hand for being worked into inhabitable forms. The natural environment is certainly more conducive to the spiritual side of art. The added value of human artistry lies in our ability to help create an environment that already exists but which constantly needs recreating. According to this line of thinking, Kengo Kuma “adds” a special way of looking at things to nature as it is. His works of architecture are ways of looking transformed into building, and everything is theoretically constructed around an initial act of ecstatic contemplation. Design starts with an inquiring glance that contemplates as it waits for meaning to be revealed. But this meaning can never be taken for granted, it is neither simplistic nor dogmatic: it is always ambiguous, two-pronged, and even disconcerting. But Kengo Kuma is not only interested in destabilising, he also wants to underline and bring out the qualities of the places involved in the project. This feeling of mixing, melding and combining different elements is particularly evident in Kitakami Canal Museum. Here the smoothly
Viste dal fiume del Kitakami Canal Museum. L'ingresso al museo emerge dal terreno come un elemento naturale, mentre il percorso espositivo si sviluppa sottoterra.
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Views of the Kitakami Canal Museum from the river. The entrance emerges fro the earth as a natural element. The exhibition path is completely underground.
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Prospettive dell'ingresso che appare come un grande occhio nella collina. A sinistra, planimetria generale, pianta del livello sottosuolo e sezione trasversale. Nella pagina a fianco, vista notturna dell'area di riposo.
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Perspective views of the entrance appearing as an eye from the hill. Left, site plan, plan of the basement and cross section. Opposite page, nighttime view of the rest area.
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Sopra, la copertura a verde del museo. A destra, vista del portico con l'area di riposo e delle panche in acciaio inossidabile ■ Above, view of the green roof of the museum. Right, view of rest area porch with stainless steel benches. ■
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Particolare delle pensiline di acciaio inossidabile che proteggono l'area di riposo ■ Details of the stainless steel eaves covering the rest area. ■
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Modernità bloccata Museum of the Modern,Salzburg
Progetto: Urbanfish Architects
rbanfish è un nome forte, curioso, forse più adeguato a un grupU po rock , che a uno studio di architet-
order to focus on sensorial appeal. The museum is rather surprisingly in competition with Hohensalzburg Fortress: not by opposing one powerful landmark to another, but by playing hide-and-seek in the heart of the great rock. This is reminiscent of Aurelio Galfetti’s project for Bellinzona: the feeling of having to actually enter the mountain in order to climb it: a human artefact designed to enter nature’s stomach to discover its secrets. Like all projects that work around interior space and not the illusory features of facades, the Urbanfish’s Museum can be appreciated studying its section or model: it is constructed out of a set of almost super-glass solids interfering with the exhibition spaces cut into the mountainside. The glass blocks jut out to draw attention to the structure and make it “stand out”. But this can only really be sensed from the outside, because a stitching process has been carried out on top of the rock, creating a sense of continuity between the natural rock face and man-made construction. So the museum is a chance for discovery and experimentation, thanks also to certain key features such as the observation deck jutting out of the stone affording a privileged view across the city. The museum site began with an excavation, extraction or removal of a piece of the rock to leave room for people. This is a powerful way of asserting what Urbanfish calls “virulent identity”. Perhaps this is the last effort to bring out the force of geometry that strives to be everywhere, even striving to actually enter the mountainside, that welcomes in this crystal of light. Crystals are primary masses, artefacts that do not want to adapt to either the construction or the rock, do not want to belong but have to, as prisoners of the rock, calling to mind Michelangelo’s work in which a human figure tries to break free from the constricting presence of stone with superhuman force. Here we have all the limits of human construction and, at the same time, a will to challenge the constrictions of nature to create another city within the city, a shy, secluded, withdrawn city marvelling in wonder.
rbanfish is a strangely evocative name, perhaps more suited U to a rock group than an architectural firm. The profession is finally losing that rather serious air associated with academic-workshops or high-tech firms with mega pyramid-style organisations and is reverting back to rather visionary, creative models. This is the case with Manfred Berthold and Mladen Jadric, not yet forty-year-old Austrian architects whose curricula rather jokingly refer to sand castles as their first work to be built (one in Dubrovnik, the other in Jesolo). But they are more than just two amusing characters with a good sense of humour. There is plenty of imagination in their collages and images telling us about this urbanfish, a fish out of water floating in the sky of the most Mozartian city of all, Salzburg. Perhaps this is a philosophy. Designed as part of the city, in the city, but as a sort of foreign body or rather something different from all the rest of “the city of salt’s” history and “picturesque” features. But do not be fooled into thinking this is some sort of joke. There is actually nothing frivolous or childish about their design for this Museum of the Modern. First of all, we need to ascertain whether modernity can actually be held in a museum, since we are actually immersed in it (modernity) and it is hard to see how it can be locked in a closed space. This modern museum is now no longer just a bland container, it is the main attraction in the spectacle of Design. It turns into a museum of itself, like Wright and/or Gehry’s Guggenheim Museums. Urbanfish works along the same lines as a place designed to create a gravitational force, empathy for modernity, but without showing off or stealing the show through tricks like twisted sheets of titanium, contortions or special effects, preferring to adopt a more subtle approach. The rock of Mönchsberg, the relief overlooking the Alstadt of Salzburg, is cut and penetrated into. The building hides away inside. The city seems to be trying to shake off the idea of being a tourist attraction in
Modello del Museo del Moderno di Salisburgo, che si inserisce nella rocca del Mönchsberg, il rilievo roccioso che sovrasta la città alta. Le parti esterne del museo saranno realizzate con una combinazione di materiali quali la pietra naturale, la pietra artificiale, il cemento e grandi lucernari vetrati.
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Model of the Museum of the Modern in Salzburg, which slots into Mönchsberg Rock, the rocky relief overlooking the upper part of the city. The outsides of the museum are made out of a combination of materials, including natural stone, artificial stone, concrete, and large glass skylights.
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Per Hejduk
ti. Ma è un segno dei tempi. La professione sta perdendo quell’aria seriosa della bottega artigianaleprofessorale, o dello studio hi-tech, megastruttura aziendale piramidale e sta ritornando verso modelli creativi, un po’ visionari. Questo è il caso di Manfred Berthold e Mladen Jadric, architetti austriaci non ancora quarantenni, che scherzosamente indicano nei loro curricula, come prima opera realizzata, un castello di sabbia (uno a Dubrovnik, l’altro a Jesolo). Simpatici, quindi. Ma non solo. C’è anche la voglia di fantasia nei loro collage, nelle loro immagini, voglia di parlarci di questo “pesce di città”, pesce fuor d’acqua, che galleggia nel cielo della città mozartiana per eccellenza, Salisburgo. Forse è una filosofia. Concepirsi nella città, dentro la città, ma come un corpo estraneo, o meglio qualcosa di diverso, rispetto a tutto l’accumulo di storia e di “pittoresco” della “città del sale”. Ma non aspettiamoci qualcosa di frivolo. In realtà il loro progetto per il Museo del Moderno è tutt’altro che superficiale e giovanilistico. Innanzitutto è ancora tutto da capire se la modernità possa essere contenuta in un museo, dacché ci siamo dentro appieno (nella modernità) e sembra quasi impossibile bloccarla in uno spazio chiuso. Il museo moderno diventa oggi non più un contenitore asettico, ma è il primario centro di attenzione per lo spettacolo del Progetto. Diventa insomma museo di se stesso, come il Guggenheim di Wright e/o quello di Gehry. Urbanfish si colloca in questa scia, per disegnare un luogo che vuole creare gravitazione, empatia verso la modernità, ma senza esibizione, senza rubare la scena con artifici, lamiere distorte al titanio, contorsioni o gesti eclatanti, ma con logiche più sottili. Il corpo duro del Mönchsberg, il rilievo che sovrasta la Alstadt di Salisburgo, viene scavato, viene penetrato. La costruzione si rifugia al suo interno. Sembra voler sfuggire alla logica della città turistica, per creare una fascinazione sensoriale. Così il museo tenta in modo imprevisto la competizione con la Fortezza
di Hohensalzburg: non opponendo un segno forte a un altro segno forte, ma giocando a nascondino nel cuore della rocca. Viene a mente il progetto di Aurelio Galfetti per Bellinzona: la sensazione di dover entrare nella montagna per poterla risalire: l’artificio umano serve a violare il ventre della natura, a scoprirne il segreto. Come tutti i progetti giocati sullo spazio interno e non sui valori illusori della facciata, questo museo di Urbanfish si apprezza in sezione e nella comprensione del modello: si tratta di una serie di solidi, quasi super-cristalli che interferiscono con gli spazi espositivi incastrati nel cuore della montagna. Le masse vetrate emergono al di fuori, diventano elementi di riconoscimento, di differenza. Ma il gioco dall’esterno può essere solo intuito, perché sulla sommità della rocca il rapporto è di cucitura, senza discontinuità tra parete naturale, rocciosa e costruzione artificiale. Allora il museo diviene occasione di scoperta, di ricerca, grazie anche a tracce significative, come il belvedere che fuoriesce dalla pietra, punto di osservazione privilegiato sulla città. Il luogo del museo parte da uno scavo, dall’estrazione, dalla sottrazione di un pezzo di identità alla roccia, per regalare uno spazio all’umano. Si tratta di un’affermazione molto forte di quella che Urbanfish chiama “virulenza dell’identità”. Forse l’ultima volontà di affermare la forza della geometria che vuole abitare ovunque, fino all’estremo sforzo di entrare nella montagna, ospite di un cristallo di luce. I cristalli sono masse primarie, concrezioni di artificio che non si vogliono adeguare né alla costruzione né alla roccia, non vogliono appartenere, ma devono, perché prigionieri della roccia, come nell’opera di Michelangelo , dove la figura umana cerca di svincolarsi dalla costrizione della pietra, con uno sforzo immane. Anche qui c’è tutto il senso del limite della costruzione umana e al contempo la voglia di sfidare le costrizioni di natura, per creare un’altra città dentro la città, una città riposta, schiva, reclusa sì, ma nella meraviglia del mistero. Stefano Pavarini
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Dall’alto in basso: pianta del livello -17.00, sezione sul museo e le cucine, sezione sul museo e il ristorante, sezione sul museo e gli uffici, pianta del piano terra. Nella pagina a fianco, modello, con in primo piano la lama vetrata del corridoio panoramico aggettante dalla parete rocciosa. ■ From top down: plan of level -17.00, section of the museum and kitchens, section of the museum and restaurnat, section of the museum and offices, ground floor plan. Opposite apge, model showing in the foreground the glass blade of the panoramic corridor jutting out over the rock face. ■
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Contenitore e contenuto Musée de l’Armée, Paris
Progetto: Menu & Associés
rasparenza e opacità tecnologia e ransparency and opacity, techmemoria, classicismo e modernità nology and memory, classicism T T sono i princìpi ispiratori di questa and modernity, are the main sources opera di ristrutturazione e rinnovamento del Musée de l’Armée nell’Hôtel National des Invalides a Parigi. Il progettista, Christian Menu, ha risolto il problema dell’ammodernamento dando per scontato il tema della continuità, che però, ha arricchito, esaltandolo, attraverso un serrato confronto con la sensibilità e le potenzialità del nostro tempo. In pratica, egli ha collocato il suo progetto nella prospettiva del mutamento storico, senza azzerare i valori della conservazione, ma illuminandoli di una luce nuova. Menu ha filtrato l’immagine museale attraverso strutture trasparenti - ampie vetrate, esili griglie metalliche, sapienti rimandi tra il vetro delle teche espositive e quello della pavimentazione e dei rivestimenti - conferendo all’insieme una levità che si oppone alla gravità delle vecchie e massicce murature, il cui disegno originario resta comunque rispettato. A questa cristallina atmosfera fa tuttavia da contrappunto la presenza degli arredi della biglietteria e della libreria, neri e massicci, i quali sembrano evocare il grandioso spirito del luogo per consegnarlo subito dopo a una sobria e pratica funzionalità. Il difficile, ma stabile equilibrio così raggiunto è reso possibile dall’impiego dei materiali e delle tecnologie strutturali più recenti, innestati sul corpo storico dell’edificio. Le memorie che aleggiano su quegli spazi e che si concretizzano negli stessi contenuti museali ritrovano in tal modo una leggibilità più attuale; sicché perfino le forme architettoniche tese e asciutte del nuovo auditorium ricavato nei sotterranei dell’edificio assumono un vago carattere simbolico nella misura in cui si ricollegano a una razionalità progettuale capace di mediare tra passato e presente. Il compito di Christian Menu era duplice, giacché si trattava non solo di riorganizzare un museo, ma altresì di intervenire su un edificio di per se stesso storico, e quindi di natura doppiamente museografica. Nel Musée de l’Armée il contenitore ha lo stesso valore del contenuto; e la storia stessa del luogo lo proietta in una prospettiva temporale fitta di implicazioni emotive e culturali. Ciò spiega il carattere intrinsecamente classico dell’intervento di Menu. Il classicismo è, come si sa, un elemento portante della cultura francese, non solo architettonica. Ma qui il progettista se ne è servito non per inseguire la vuota forma della memoria, bensì per farla riemergere nell’attualità. Egli ha dunque in certo modo modernizzato il classicismo e resa classica la modernità, in un gioco temerario e tuttavia riuscito, che ha riconsegnato senza traumi all’oggi un’architettura di tanto tempo fa. Maurizio Vitta 76 l’ARCA 142
of inspiration behind this project to redesign and redevelop the Musée de l’Armée in the Hotel National des Invalides in Paris. Christian Menu’s solution to the problem of modernising an old institution works around enhancing a sense of continuity by facing up to the awareness and potential of the age in which we live. He has basically placed his project in a perspective of historical change, projecting a sense of conservation in a new light. To achieve this Menu has filtered the museum’s image through transparent structures - wide glass partitions, narrow metal grids, and clever interactive allusions to the glass of showcases and that of floors and claddings - injecting an overall feeling of lightness in contrast to the heaviness of big, old walls whose original design is, however, kept in mind. The cut-glass atmosphere is counteracted by the dark, heavy furnishing of the ticket office and book shop, which seem to evoke the great spirit of this place in order to exploit it for sober, practical purposes. This kind of tricky, yet stable balance is the result of using the latest structural techniques and materials on the old core of the building, so as not to detract from its cultural meaning, preferring to take full advantage of its existing potential. The memories in the air, which are physically embodied in the museum contents - the glorious past of an Armée to which so much of French history is linked -, are thereby given a much more up-to-date reading; this means that even the clean-cut architectural forms of the new auditorium built in the building’s underground structures take on a vaguely symbolic nature by drawing on a form of stylistic rationalism capable of bringing together the past and present. Christian Menu was faced with the dual task of both rearranging a museum and modernising a historical building: a double-edged museological undertaking. The container is just as important as what it contains at the Musée de l’Armé in Paris; and it is the history of the place itself that projects it into a temporal perspective brimming with emotional-cultural implications. This explains the intrinsically classical nature of Menu’s design. As is we know, classicism is one the great columns of French culture in general, not just architecture. But in this project the architect has not just exploited classicism in the name of the past, but with a definite intention to represent the present. He has, in a certain way, modernised classicism and given a classical cut to modernity, gambolling rather successfully on restoring an old work of architecture to the present causing as little disruption as possible. l’ARCA 142 77
Philippe Ruault
Nelle pagine precedenti, l’ingresso verso l’atrio distributivo, particolare della griglia in legno massiccio e inox patinato che scherma le arcate verso la corte e le scale che partono dall’atrio del rinnovato Musée de l’Armée e a Parigi. A sinistra, schizzi per la
Lucien Lemoeuf
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nuova Sala Gribeauval. Sopra, le bacheche sospese e le vetrate a pavimento e, sotto, il grande muro vetrato curvo della Sala Gribeauval. ■ Previous pages, the entrance by the main lobby, detail of the grill made of hard wood and stainless steel shielding the arches
over by the courtyard and stairs leading up from the lobby into the new Musée de l’Armée in Paris. Left, sketches for the new Gribeauval Room. Above, the hanging showcases and glass floors and, below, the large curved glass wall of the Gribeauval Room.
La scala dell’atrio distributivo e, sotto, l’atrio di ingresso. A sinistra, pianta del museo. ■ The lobby stairs and, below, the entrance lobby. Left, museum plan. ■
Credits Project: Christian Menu & Associés Assistant: Etienne Hardy Structures: G.Phenerdjian Plants: ABX
Acoustics: Lasa Quantity Surveyor: Agence Paris Ouest Socotec Client: Hôtel des Invalides (assistance: STBFT)
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Luce e architettura Lighting Design and Architecture
Adolfo Guzzini
rogetto Luce” è stato il titolo “P dell’incontro organizzato lo scorso giugno da l’Arca in collaborazione con iGuzzini, presso la Posteria di Milano. Ancora una volta si è voluto sottolineare, attraverso un dibattito pubblico, l’importanza sempre maggiore che il progetto illuminotecnico ha nella progettazione contemporanea, sia a livello di singoli interventi ed edifici sia, e forse soprattutto, a livello di pianificazione urbana. All’incontro hanno partecipato, oltre a Cesare Maria Casati, direttore de l’Arca, e ad Adolfo Guzzini, presidente della iGuzzini, gli architetti Claudio Lucchin, Robert McFarlane (dello studio Foster and Partners) e Jean-Michel Wilmotte; il professor Alberto Seassaro presidente del Corso di laurea di Disegno Industriale del Politecnico di Milano. Un confronto, dunque, che ha dato la parola ai produttori, ai progettisti, al mondo della docenza e a quello della comunicazione, di cui riportiamo di seguito una breve sintesi. Cesare Maria Casati, dopo aver ringraziato il numeroso pubblico, ha brevemente presentato gli ospiti e introdotto il tema. Cesare Casati: ...Il significato stesso di luce è un significato legato alla vita, quindi prima di economizzare la luce dobbiamo economizzare, forse, molta banalità che circonda ormai i progetti di architettura. Parliamo di luce perché il 90% dell’architettura che ci circonda, in realtà, la comprendiamo di giorno; di notte, per la maggior parte, le nostre città sono fatte di triangolini luminosi o da rettangolini, che sono le finestre, oppure ancora, quando va bene, da pareti intere luminose sparse nel buio senza nessuna correlazione fra un soggetto e l’altro e con un sistema di illuminazione urbano poco soddisfacente. Il tema della luce nella città è un problema complesso, come lo è quello della luce nell’architettura. Progettare oggi senza progettare al tempo stesso il sistema di controllo della luce, sia diurno che notturno, sia naturale che artificiale, è impensabile. Il primo intervento è stato di Claudio Lucchin, giovane architetto di Bolzano che ha realizzato, insieme a Roberto D’Ambrogio, un grande pro-
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getto per la Fiera di Bolzano (l’Arca 139). Dopo aver raccontato la storia e l’evoluzione del progetto, si è soffermato sulla descrizione di questa grande struttura e sul suo rapporto con la luce. Claudio Lucchin: ...Il nostro intervento è stato quello di fare un’architettura del silenzio, la più semplice e rigorosa possibile, dei volumi molto semplici, di colore assolutamente uniforme, grigio chiaro, con delle grandi mura di modo che potesse difendersi dal contesto per fare emergere lo spazio pubblico rispetto agli insediamenti privati molto rumorosi. Nella piazza, il segno del pubblico è dato dalla fontana e dai getti d’acqua che abbiamo realizzato come segno della vita del quartiere. L’acqua, insieme alla luce e alla terra, sono gli elementi fondamentali della vita che abbiamo inserito. Tutto ciò che volevamo trasmettere con il progetto era un senso di tranquillità, cioè eliminare il rumore sia visivo che acustico che insiste tutto intorno: le fabbriche fanno rumore e lo producono anche attraverso i colori e i rivestimenti delle facciate... ... Riteniamo che l’architettura dei prossimi anni debba avere un obiettivo: quello di ridare una casa all’uomo. Spesso vedo dei progetti di architettura che non riescono a definire dei luoghi, definiscono solo delle cubature e l’uomo non si ritrova in cubature funzionali ma può ritrovarsi soltanto se questi sono dei luoghi... L’architettura del Centro Servizi è molto semplice con tagli verticali che tornano dappertutto proprio per evitare di fare il “bricolage” degli elementi architettonici. Anche per quanto riguarda l’illuminazione, in particolare l’oggetto lampada, abbiamo cercato il più possibile di uniformare tutte le lampade. La scatola, il contenitore delle lampadine, doveva essere il più possibile uguale. Tutte le lampade dei padiglioni, del centro servizi e degli esterni sono simili, questo perché a nostro avviso il progetto è quello della luce e non delle lampade. Alcuni apparecchi sono stati realizzati direttamente con i Guzzini appositamente per Bolzano, per esempio una lampada da incasso quadrata 50x50cm con un vetro serigrafato e fissata su quattro bulloni. La stessa è riportata anche nei padiglioni espositivi, negli uffici e via dicendo,
quello che cambia sono le ottiche e, ovviamente, gli spessori dei vetri. ... E’ stato realizzato un muro che si contrappone a una strada di grande scorrimento con il passaggio di molti camion, mentre l’edificio vero e proprio l’abbiamo arretrato. Tra l’edificio e il grande muro abbiamo inserito delle scale di servizio e di emergenza, creando un vuoto che ricorda il fossato dei castelli medievali. Nella facciata della corte interna si può vedere un elemento coperto in acciaio, in realtà è un canale d’acqua che porta l’acqua dal centro congressi alla fontana... Nell’atrio del Centro Congressi, che si sviluppa su tre piani, risalta la luminosità di questa parete che ha una grande vetrata in alto e lateralmente... I padiglioni espositivi, sono molto semplici... Ovviamente l’architettura è più austera e meno vetrata in quanto la luce negli spazi espositivi è più dannosa che positiva, quindi è più chiuso... L’interno del padiglione espositivo è un sistema costituito da una serie di elementi modulari di 18x18 metri, separati uno dall’altro liberando un canale al cui interno sono contenuti tutti gli impianti, la climatizzazione, gli impianti elettrici e via dicendo. In vista ci sono soltanto le lampade e la parte di diffusione dell’aria, tutto il resto degli impianti non si vede... Il ponte che collega il Centro Servizi ai padiglioni è totalmente illuminato dal vetro cemento e da esso si accede al percorso centrale, all’ultimo piano, riservato per esposizioni d’arte e totalmente vetrato con vetro cemento. La copertura è di legno lamellare sbiancato per consentire alla luce di avere la massima riflessione... L’illuminazione che abbiamo voluto dare è un’illuminazione dal basso, tutte le infilate delle strutture portanti verticali sono illuminate con lampade dal basso, così come la copertura vetrata e la corte interna del Centro Servizi. La nostra volontà era quella di illuminare intensamente la parte bassa, cioè illuminare la faccia delle persone che vivranno di notte il Centro Servizi, evitare di fare vedere tutta l’architettura in quanto questa sarà visibile totalmente di giorno ma di notte bisognerà immaginarsela un po’, intravedere le cose. L’errore che spesso si fa è mettere le luci in alto e qualche volta si perde un po’ di sogno. Nella piazza della Fiera con la grande
facciata in vetro cemento della stazione, ritorna il grande elemento della luce sia diurna che notturna. È una piazza pavimentata interamente in marmo bianco di Lasa: un marmo molto pregiato di un piccolo paese vicino a Bolzano, totalmente bianco e quindi di giorno riflette moltissimo la luce solare. Abbiamo anche inserito una serie di colonne verticali anch’esse bianche, quando le abbiamo pensate volevano segnare il tempo, le ombre, le stagioni, il ritmo della vita: a terra hanno una vera lampada che riflette e manda la luce su queste colonne bianche rendendole così le vere lampade della piazza stessa...anche il grande muro di vetro cemento, totalmente illuminato di notte, diventa uno dei lampioni della piazza. ...Poi vi è l’illuminazione della fontana e da cui emerge il grande tappeto bianco d’ingresso alla Fiera. L’altra grande lampada della piazza è la fermata ferroviaria che illumina indirettamente la piazza.
he meeting organised last June by l’Arca in conjunction with T iGuzzini at the Milan Posteria was
La parola è poi passata a Robert McFarlane che ha illustrato il progetto del North Greenwich Transport Interchange a Londra (l’Arca 135), il cui progetto luce è stato realizzato in collaborazione con iGuzzini.
entitled “Lighting Design”. Once again the idea was to organise a public debate to emphasise the growing importance of technical lighting design in modern-day planning, both as regards individual projects and buildings and, perhaps most significantly, in terms of townplanning. As well as the Editor of l’Arca, Cesare Maria Casati, and Adolfo Guzzini, the Chairman of iGuzzini, the meeting was also attended by the architects Claudio Lucchin, Robert McFarlane (from Foster and Partners) and Jean-Michel Wilmotte, and Professor Alberto Seassaro, in charge of the degree course in Industrial Design at Milan Polytechnic. The debate provided a platform for manufacturers, designers, members of the teaching profession, and communications experts. There now follows a brief summery of what went on. After thanking all those in attendance, Cesare Maria Casati presented the guests and introduced the subject of the debate.
Robert McFarlane: Il progetto su cui mi vorrei soffermare è quello per il North Greenwich Transport Interchange a Londra Ha ricevuto molta attenzione in quanto trasporterà i visitatori al Millennium Dome nel 2000. Alcuni lo hanno descritto come simile alle ali spiegate di un uccello in volo. L’Interchange è collocato nel cuore della penisola di Greenwich e segna l’ingresso alla nuova Jubilee Line Station... L’orientamento e la collocazione delle scale mobili, degli ascensori, delle scale di sicurezza e dei condotti d’aria erano già fissati. Questo, insieme all’analisi del movimento di autobus, auto e pedoni, ha determinato l’altezza, la larghezza e le campate dell’edificio. C’era bisogno di una campata libera con luce di 30 metri con una spina centrale di 10 metri sopra l’entrata della metropolitana, dove non era possibile collocare colonne. Ciò è stato ottenuto con un sistema di travi che partono dai muri portanti adiacenti realizzati attorno ad alcuni degli elementi esistenti. Un sistema
Cesare Casati: ...The meaning of light is closely linked with life, so rather then economise on light we would perhaps be better off economising on some of the old clichés still surrounding architectural design. We are interested in light because 90% of the architecture we are used to seeing all around us is actually taken in during the daytime; at night most of our cities are little more than the brightly-lit little triangles or rectangles of windows, or, in the best of cases, of whole luminous walls scattered in the dark with no correlation whatsoever between one subject and another and with an urban lighting system which is rather unsatisfactory. The issue of city light is a big problem, but there is also the problem of light in architecture. The idea of designing without at the same time designing the system for controlling daytime, nighttime, natural, and artificial light is quite unthinkable. Architectural design is increasingly an interdisciplinary matter.
The first speech was made by Claudio Lucchin, the young architect from Bolzano who, together with Roberto D’Ambrogio, has designed a major project for the Bolzano Trade Fair (l’Arca 139). After talking about the history and development of design, he described this large construction and how it relates to light. Claudio Lucchin: ...We set out to design as simple and precise a work of silent architecture as possible, using basic structures all in the same absolutely uniform clear grey colour, with large walls to protect it against its surroundings and to draw attention to a public space rather than extremely noisy private facilities. The public feature in the square is a fountain with jets of water designed to represent community life. Water, light, and soil are the fundamental elements of life we have inserted in the project. Our underlying idea was to create a sense of peacefulness by eliminating all the surrounding visualacoustic “noise”: noise form the factories is also caused by their colours and facade claddings... ...We believe that architecture ought to have a definite objective over forthcoming years: to provide people with homes. I often see architectural designs that fail to define places, they just create cubic structures and people never feel at home in functional cubes, unless they are real places... The architectural design of the Services Centre is extremely simple, featuring vertical cuts twisting around everywhere so as not to make a “bricolage” of the architectural features. Even from the point of view of lighting, we have tried to make all the lights the same, as far as possible. The box holding the lights has a standard design. All the lights in the pavilion, services centre, and exteriors are similar, this is because we are interested in designing light not lamps. I can’t stand those buildings with a vast array of different lamps like some sort of manufacturer’s display. Some of the lights were designed directly with iGuzzini specially for Bolzano, for example a 50x50 square wall
light made of serigraphed glass and fixed in place by four bolts. The same light is fitted in the exhibition pavilions, offices etc., the only difference being the optics and, of course, the thickness of the glass. ...A wall was built as a sort of barrier against a busy road full of lorries, while the building itself has been set back slightly. Emergency exits and other steps have been inserted between the building and big wall, creating a gap reminiscent of the moats of Medieval castles. There is a covered element made of steel fitted in the facade of the internal courtyard which is actually a channel of water conveying water from the conference centre to the fountain... The three-level lobby of the Conference Centre brings out the luminosity of this wall that has a large glass partition at the top and sides... The exhibition pavilions are extremely simple... Obviously the architecture is more austere, featuring less glass, since light is more harmful than helpful in exhibition spaces, which are therefore more closed... The interior of the exhibition pavilion is a system of 18x18-metre modular elements separate from each other, leaving room for the channel holding the various plants, air-conditioning, electrical systems etc. All we can actually see are the lights and air distribution section, the air conditioning, all the rest of the systems are hidden away out of sight... The bridge connecting the Services Centre to the pavilions is entirely lit-up through the glass bricks. The bridge leads through to the topfloor central corridor designed for art displays, which is also made entirely out of glass bricks. The laminated wooden roof is painted white to reflect light as effectively as possible... We decided to focus on lighting from below, so all the rows of vertical bearing structures are lit up by lights from below (also serving safety purposes). The glass roof is also lit up by a series of lights. The internal courtyard of the services centre is illuminated in the same way. We wanted to light up the lower part as intensely as possible, so as to light up the faces of people living in the
Services Centre at night and hide part of the architecture, which will all be visible during the daytime but only glimpsed at night, forcing people to use their imaginations. It is a common mistake to place lights high up, losing that dream-like atmosphere. The large brick-glass facade in the trade fair square reintroduces both daytime and nighttime light. The square is entirely paved out of white Lasa marble: a high-quality marble from a little village near Bolzano, completely white and reflecting plenty of sunlight during the day. We have also inserted a set of vertical columns, which are also white, designed to mark time, shadows, the passing seasons, and pace of life: at ground level they are fitted with lamps reflecting light and sending it up the white columns so that, in the end, they are the real lights for the square...even the large glassbrick wall, totally lit-up at night, turns into one of the lights in the square... Then there is the fountain lighting, where the large white entrance carpet to the square begins. The other large light in the square is the railway station illuminating the whole square. Robert McFarlane then took the stage and described his project for the North Greenwich Transport Interchange in London (l’Arca 135), whose lighting design was constructed in conjunction with iGuzzini. Robert McFarlane: I’d like to discuss the North Greenwich Transport Interchange project in London . It has attracted plenty of attention because it will transport visitors to the Millennium Dome in the year 2000. It has actually been compared to the open wings of a bird in flight. The Interchange is situated right in the middle of the Greenwich peninsula and marks the entrance to the new Jubilee Line Station... The location and position of the escalators, lifts, emergency exits, and air ducts had already been decided. This, together with an analysis of bus, car and pedestrian movements, determined the height, width and spans of the buildings. A free bay was needed spanning a distance of 30 metres with a 10-metre
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Adolfo Guzzini
strutturale ad albero sotto le ali è stato impiegato per favorire il movimento delle auto private e dei taxi e creare un arco dove organizzare la sosta per gli autobus. E’ stata così realizzata una grande copertura, con arrivi e partenze sui lati e un atrio centrale, perimetrata da schermi vetrati sospesi e ventilata naturalmente per garantire un ambiente confortevole ai passeggeri in attesa. ... Con un’altezza costante di circa 5 metri attorno all’arco laterale della sosta autobus e di 12 metri sotto la copertura centrale e alcune altre mutazioni geometriche si è giunti alla forma ad ala larga 160 metri... Il materiale utilizzato è alluminio riflettente, forato con piccoli lucernari triangolari che portano luce negli spazi più bassi... Foster & Partners ha collaborato, come da molti anni, con il lighting designer Claude Engle... C’è sempre stato con lui un confronto costante su come la luce deve sottolineare l’architettura, rendendo gli spazi piacevoli per la gente che li vive, privilegiando questo aspetto rispetto ai pro e ai contro degli esatti livelli e regolazioni della luce. Su quest’ultimo punto il London Transport ha standard molto severi da rispettare. A Greenwich dovevamo quindi combinare il rispetto di tali standard con una soluzione che rendesse giustizia alla forma dell’edificio e piacevole l’ambiente. Si è deciso di illuminare l’edificio dall’alto. Far “rimbalzare” la luce da sotto la copertura non solo avrebbe sottolineato la forma spettacolare ma avrebbe anche fornito quella luce indiretta che riteniamo molto importante per dare agli spazi un’atmosfera rilassata e sicura. La sfida è stata quella di realizzare tale progetto in poco tempo e nel rispetto degli standard di sicurezza: a questo punto è intervenuto iGuzzini. L’entusiasmo e l’esperienza dell’industria è essenziale per il successo di un progetto come questo con strette scadenze temporali. Non si trattava solo della forma esterna degli apparecchi illuminanti ma del progetto e della produzione di ottiche e supporti completamente nuovi capaci di essere collocati in diverse configurazioni geometriche. Era richiesta un’altezza costante dal soffitto per garantire una diffusione regolare della luce e così abbiamo iniziato a fare degli esperimenti sui
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Robert Mc Farlane
primi modelli che avevamo realizzato per capire come poteva funzionare l’idea, come gli apparecchi potevano essere sospesi e come potevano essere posizionati in rapporto allo spazio. Poi abbiamo fatto modelli più grandi e fatto esperimenti più sofisticati sulle modalità di sospensione degli apparecchi, sulla relazione con il soffitto riflettente. In parallelo procedeva il dialogo con iGuzzini che ha portato a una veloce realizzazione dei prototipi e di una simulazione del soffitto nei loro laboratori. Questo ha consentito di velocizzare il processo, grazie all’entusiasmo e all’approccio pro-attivo de iGuzzini. Sono stati realizzati modelli 1:1 per testare i cavi di sospensione alla struttura in acciaio e per studiare gli allineamenti per mantenere tutte le luci allo stesso livello. Un anello di supporto è stato collocato attorno al perimetro del volume illuminato per consentire la massima precisione nel posizionamento nella definizione dei punti nodali. Alla fine, gli apparecchi illuminanti hanno contribuito a definire il ritmo e il vocabolario visivo dell’intera composizione dell’Interchange, come elementi scultorei flottanti sotto la copertura, sospesi elegantemente a fili quasi invisibili. Le variazioni di luminanza richieste nelle diverse aree hanno portato all’introduzione di un elemento di regolazione. Per esempio nell’atrio centrale è regolato sui 200 lux. Mantenendo l’illuminazione dall’alto siamo stati comunque in grado di garantire la massima uniformità dell’illuminazione, fondamentale nella nostra concezione dell’edificio come copertura unificante a protezione di molte tipologie di mezzi di trasporto, in grado di dare ai passeggeri (che saranno nel 2000 quasi nove milioni) un’esperienza di apertura e trasparenza di forma. Cesare Casati ha poi presentato Jean-Michel Wilmotte uno degli architetti francesi più noti che, tra l’altro, ha ridisegnato - e continua a disegnare da cinque anni - tutto il piano di illuminazione dell’intera città di Lione, più di 18.000 punti luminosi. Jean Michel Wilmotte: Il mio studio si trova a Parigi... E’ nato dalla sinergia di designer, architetti d’interni, architetti e urbanisti le cui conoscenze si assommano, producendo progetti dif-
ferenti che nascono da culture differenti. Il 50% del nostro lavoro si svolge in Francia, l’altro 50% è suddiviso tra Asia, Portogallo, Italia. La luce è estremamente importante, credo faccia parte integrante dell’architettura, dei volumi, ed è un aspetto su cui lavoriamo costantemente. Una delle nostre specialità è la museografia, nella quale la luce ha grande importanza; un altro ambito nel quale l’illuminazione ha un ruolo di primo piano è la ristrutturazione di antichi edifici e la valorizzazione del patrimonio. Ha accennato ad alcuni dei suoi progetti più noti: ...Per la sede di Canal+ a Parigi, situata in un luogo totalmente “cieco”, abbiamo ricostruito la luce avvalendoci di luci artificiali che ci hanno consentito di ricreare un ambiente “forte”. La luce è stata utilizzata anche come segnaletica per indicare i passaggi, le scale ed è diventata un elemento di costante riflessione. ...In un piccolo intervento al Musée Carnevalet di Parigi, ...la luce si distacca dalle architetture; si tratta di soluzioni estremamente semplici ma al contempo molto “vivificanti” per l’architettura stessa. ...Nel restauro al Comune di Nîmes, un antico convento nel quale è difficile associare degli elementi luminosi, abbiamo utilizzato spesso delle fonti verticali e abbiamo cercato di creare una transizione tra architettura moderna e antica attraverso un reticolo di luce... ...Un altro intervento realizzato a Nîmes è quello dell’Opera, per il quale ci siamo avvalsi ancora una volta di elementi estremamente semplici, dei cordoni luminosi incastrati nei cornicioni... ...A Rouen abbiamo trasformato un antico ospedale in prefettura; ancora una volta la luce ha giocato un ruolo capitale, ci ha consentito di puntualizzare, di mettere in rilievo l’architettura, sia dall’alto (le luci sono collocate sui capitelli), sia dal basso (incastrate nel suolo). Spesso l’illuminazione che proviene dal suolo è particolarmente indicata per mettere in rilievo le architetture antiche. ...Ci siamo occupati anche di illuminare tutta la parte degli oggetti d’arte del Louvre; per le vetrine ci siamo serviti di due sorgenti luminose; la prima
Alberto Seassaro
soluzione consiste nell’utilizzo della fibra ottica che ci ha permesso di dissimulare la presenza di punti luminosi negli zoccolini e nei muri e di evitare il surriscaldamento degli oggetti d’arte (ci si è infatti resi conto che spesso gli oggetti si rovinano per la presenza di spot nelle vetrine); nella seconda soluzione, la parte superiore della vetrina è realizzata con un vetro resina sabbiato, la sorgente luminosa è sul soffitto e il vetro resina è una specie di filtro che permette alla luce di diffondersi sugli oggetti. La soluzione scelta per questa vetrina fa sì che, grazie alle quattro fibre ottiche collocate alla base, il visitatore abbia l’impressione che l’oggetto sia sospeso e avvolto dalla luce. ...Nel Museo di Lisbona, costituito anche da una parte più vecchia, scopo dell’intervento era di illuminare anche questa parte senza mettere luci sul soffitto, ma incastrandole nella struttura della passerella che è sospesa su questo spazio e che avrebbe dovuto integrare, al tempo stesso, la climatizzazione e la luce. Era un compito piuttosto complesso quello di illuminare le opere in maniera sottile, cosa non esattamente semplice poiché si doveva partire da un’unica fonte luminosa su questa passerella. Un cantiere interessante è quello del Collège de France a Parigi; nel sottosuolo c’erano delle sale occupate dalle caldaie: abbiamo spostato queste parti tecniche e abbiamo trasformato gli spazi in sale per i professori e qui il lavoro è quasi unicamente basato sulla luce. E’ interessante come la luce riveli un luogo, dandogli un senso direi quasi di teatralità; il sottosuolo di questo cantiere è stato illuminato unicamente utilizzando dei sistemi radenti, integrati nel suolo. Altro esempio interessante di come la luce sia un elemento importante in grado di partecipare della qualità di un edificio durante la notte è costituito da una casa nel sud della Francia, di cui abbiamo ridisegnato la facciata studiando il modo di inserire la luce e la possibilità di leggere dall’esterno le funzioni interne dell’edificio. ...In un parcheggio che abbiamo realizzato a Lione, le auto scendono fiancheggiando la parte centrale e abbiamo installato uno specchio al di sopra del quale c’è un periscopio che permette ai bimbi di vedere le macchine che scendono.... in questi contesti la
backbone above the underground entrance where it was impossible to place columns. This was obtained using a system of beams placed on the adjacent bearing walls built around some existing elements. A tree-style structural system beneath the wings was used to encourage the circulation of cars and taxis and to create an arch for holding a bus stop. A large roof was constructed with arrivals and departures at the sides and a central lobby surrounded by hanging glass screens and naturally ventilated to make waiting passengers more comfortable. ...The 160-metre wide wing shape derives from the constant height of approximately 5 metres around the side arch of the bus stop and 12 metres below the central roof, as well as other geometric alterations. The material used is reflective aluminium perforated with small triangular skylights allowing light into the lower spaces... Foster & Partners worked with the lighting designer Claude Engle, a partnership that has been going on for some years now... We have always analysed together how light can bring out architecture, making its spaces pleasant for people to live in, rather than worrying about the pros and cons of particular levels and intensities of lighting. In any case, London Transport has its own tough standards to be abided by in this respect. At Greenwich we had to conform to these standards and, at the same time, come up with a solution that did justice to the building design and made it pleasant to inhabit. Working with Claude Engle, we decided to light the building from above. “Bouncing” light off the roof would underline the building’s spectacular form and provide the kind of indirect lighting we think is so important in creating a safe, relaxing atmosphere. The challenge was to carry out the project quickly in conformity with safety standards: this is where iGuzzini came in. The enthusiasm and experience of industry is vital for the success of a project like this with a tight schedule. It was not just a question of the outside form of lighting appliances,
Jean-Michel Wilmotte
but the design and production of completely new optical instruments and devices capable of being placed in different geometric configurations. The height from the roof had to be constant to allow light to be diffused evenly, so we began experimenting with the first models we had designed to try and see how the idea might work, how the appliances could be hung up, and how they ought to be placed in relation to space. We then made larger models and carried out more elaborate experiments into ways of hanging up the appliances and their relation to the reflective ceiling. At the same time we began working with iGuzzini on the rapid construction of prototypes and then carried out a simulation of the ceiling in their laboratories. The enthusiasm and active approach of iGuzzini speeded up the process. Scale 1:1 models were constructed to test the suspension cables on the steel frame and to study how all the appliances could be lined up on the same level. A support ring was placed around the edge of the illuminated structure to position them as accurately as possible at key points. In the end, the lighting appliances helped set the pace and visual style of the entire Interchange design, like sculptural elements floating beneath the roof, hanging elegantly from almost invisible threads. Finally, the differences in lighting levels required for the various areas meant some sort of control had to be introduced. For instance, it was set at 200 lux in the central lobby. Maintaining the lighting from above, we still managed to keep it as smooth as possible, a vital factor in our idea of designing the building as a roof over lots of different means of transport, allowing passengers (almost nine million by the year 2000) to enjoy open, transparent forms... Cesare Casati then introduced Jean-Michel Wilmotte, one of the most famous French architects who, amongst other things, has redesigned - and has been designing for five years - the entire lighting plan for the whole of Lyons, over 18,000 lights.
Cesare M. Casati
Jean Michel Wilmotte: My firm is based in Paris... Designers, interior designers, architects, and town-planners pool their resources to design different projects deriving from their different skills and backgrounds. 50% of our work is carried out in France, while the other half is divided between Asia, Portugal, and Italy. Light is an extremely important aspect of our work, indeed I think it is an inseparable part of the architectural structures and something we work on all the time. One of our specialities is museology, in which light has an extremely important part to play; the restructuring of old buildings and enhancing of our architectural heritage is another realm in which light is a key feature. He talked about some of his best known projects: ..We reconstructed the lighting at the headquarters of Canal+, in a completely “blind” location, using artificial lights that allowed us to recreate a “powerful” environment. Light was also used to indicate corridors and stairs and eventually developed into a sort of reflective constant. ...In a minor project for Carnevalet Museum in Paris.....light breaks free from the architecture; extremely simple designs injecting fresh life into the architecture itself. ...For the renovation of an old convent in the City of Nîmes, where it was difficult to combine different lighting appliances, we made considerable use of vertical sources and tried to create a gradual transition between modern and old architecture through a web of light... ..We also carried out a project on the Nîmes Opera House, again drawing on very simple features, luminous chords fitted on special frames..... ...We also converted an old hospital into a Prefecture in Rouen; once again light played a key role, allowing us to pinpoint and draw attention to the architecture both from above (the lights are fitted on the capitals) and below (fitted in the floor). Floor lighting is often the best way of highlighting old works of architecture. ...We also handled the lighting for
Claudio Lucchin
all the works of art on display at the Louvre; we used two light sources for the glass showcases; the first idea involved the use of optic fibres to prevent bright spots of light from entering the wainscoting and walls and to prevent the works of art from overheating (we now know that objects are often ruined by spotlights in the showcases); the second idea was to construct the top section of the showcases out of a sanded glass resin, the light source is fitted on the ceiling and the glass resin is a sort of filter allowing light to flow over the objects. The showcases are designed so that the four optic fibres at the base give visitors the impression that the objects are suspended and wrapped in light. ...The project for Lisbon Museum, which also has an older section, had to provide illumination without placing lights on the roof, inserting them instead in the overhead walkway above this space and thereby simultaneously integrating the air-conditioning and lighting. The difficulty associated with this subtle way of lighting up works of art derived from the fact that only one single light source could be placed on the walkway. There is also an interesting project under way at the Collège de France in Paris; in this case there were even boiler rooms below ground: we moved these technical facilities and converted the spaces into staff rooms, the entire project hinging almost exclusively around light. It is interesting to see how light unveils a place, giving it what I would call an almost theatrical sense; the underground spaces of this site were entirely lit by systems fitted in the ground. Another interesting example of how important light can be in enhancing the quality of a home is provided by a house in the south of France, whose facade has been redesigned.....it shows how light can be directed into a house and the possibility of reading the interior functions of the building from the outside. ...In a car park we built in Lyons, the cars skirt along the central section and we have also installed a mirror with a periscope above it to let
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Claudio Lucchin
luce ha sempre costituito un elemento importante per rassicurare le persone che li utilizzano e per dare della vita a questi luoghi. L’architetto Casati ha poi dato la parola ad Alberto Seassaro che ha delineato in breve la situazione dell’università italiana nell’affrontare l’insegnamento della luce. Alberto Seassaro: ...In un tentativo che avevo fatto anni addietro scrivendo un saggio affermai che esistevano vari tipi di luce: “luce messaggio”, “luce ambiente” e “luce oggetto”. Tentai di fare delle categorie di carattere, di connotazione della luce per cercare di capire in termini semantici la questione del progetto e del rapporto della luce nell’architettura. Quel tentativo poi non l’avevo perseguito, anche perché non c’è un gran dibattito su questi problemi, le riviste che parlano di luce non suscitano appassionate discussioni. Lo scenario italiano com’è? Gli architetti fanno un po’ fatica ad appassionarsi alla questione della luce, talvolta si sono dedicati al progetto delle lampade con qualche buon successo, il nome del design italiano nel campo della progettazione di apparecchiature luminose è alto, è un profilo riconosciuto in tutto il mondo, l’industria italiana si muove molto e sta tentando passi per integrare l’architettura alla luce, ma la cultura del progetto italiana, quella dominante, quella accademica, viene un po’ a mancare. La luce è un soggetto scomodo su cui soltanto la vena poetica e soggettiva di qualcuno consente agli utenti e a coloro che poi vivono l’architettura di considerare la luce come un problema che si può gestire. C’è poca attenzione. Io vedo che nell’università ci sono dei corsi di illuminotecnica che gli studenti ignorano e beatamente i docenti altrettanto. Gli architetti laureati da questa università e da questa cultura, a loro volta, ignorano abbastanza il problema della luce. Ignorarlo può essere anche un atteggiamento di scelta poetica ben precisa - non lo metto in discussione - il risultato però è che poi là dove la luce è stata effettivamente oggetto di amore progettuale, si vede. Sono contento perciò di poter dire che il problema della luce, che per noi è stata una specie di mania negli ultimi dieci anni proprio per ten-
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Adolfo Guzzini e Cesare M. Casati
tare di portare nell’università questi contenuti e questo insegnamento, oggi finalmente ha trovato un certo spazio. Lo spazio sono riuscito a trovarlo nel corso di laurea di disegno industriale che gestisco e, proprio perché gestisco un intero corso, mi sono preso il lusso di aprire un intero orientamento di studi e di formazione, un indirizzo della luce dentro il corso di laurea dove gli studenti scelgono di operare su questa materia e su questi ingredienti, su questa sostanza e tecnologie. Quindi un indirizzo della luce dove gli studenti operano su questo contenuto... L’illuminotecnica è una cultura della luce, ma non tutta la cultura che la luce merita. E’ un passaggio obbligato per un architetto nel senso che deve conoscerla, deve praticarla, deve essere quanto meno consapevole di cosa eventualmente fa l’illuminotecnico, inteso come tecnico specialista che lo affianca nella progettazione, laddove ha avuto il coraggio di coinvolgere un professionista specializzato che lo affianchi nel progetto di architettura, cosa che succede abbastanza di rado. ...Abbiamo appena visto una specie di campionario di atteggiamenti possibili, un’esplorazione dell’universo luce. Noi ci siamo inventati un discorso che è una sorta di “basic light design”... cioè come si impara a governare i fenomeni base della luce, ovvero capire la luce come si genera, attraverso quali tecnologie, con che rapporto-interazione luce e materiale con tutti i fenomeni di riflessione, rifrazione, diffusione, eccetera, e tutte le modalità con cui in natura e in tutto il mondo artificiale si può manifestare il rapporto luce e materia. Per fare questo esercizio abbiamo chiesto che ciascuno studente si dotasse di un laboratorio illuminotecnico, percettologico, un laboratorio che consentisse allo studente di sperimentare e verificare tutti questi fenomeni. Abbiamo chiesto agli studenti di affrontare il problema della percezione di come si fa ad avere una bella percezione, un bel percetto, un bel vedere. ... Ora, l’equivalente oggettuale di un bel vedere è un caleidoscopio. Il significato di questa parola è kalos: bello, dos: immagine e scopos: vedere, quindi vedere una bella immagine. Agli studenti abbiamo chiesto di progettare un proprio caleidoscopio. Questo segue regole della geometria otti-
ca molto precise, dà luogo a fenomeni controllabili e, abitualmente, quando gli studenti arrivano al terzo anno passano attraverso questo piccolo esercizio: un caleidoscopio che poi, come risvolto, viene vissuto anche come oggetto fisico, che deve essere anche un bell’oggetto, deve essere un oggetto di design e deve avere delle idee... Cesare Casati: ...La luce non è più un fatto casuale, o soltanto di armature di apparecchi per illuminare . Dietro alla luce artificiale c’è un progresso tecnologico che non si vede mai, ma che è altrettanto importante di quello che si è avuto nel campo della struttura e dei materiali. Quindi, forse, capire la luce come materia dell’architettura è importante: la luce è un componente industriale dell’architettura. ... Le industrie italiane sono le migliori del mondo nella tecnologia, nel produrre elementi altamente tecnologici. A fianco a me, c’è Adolfo Guzzini, e la sua azienda è nata proprio attorno all’illuminazione... Adolfo Guzzini: ...La nostra famiglia tutta, iniziando dal settore del casalingo, regalo, guidata dai miei fratelli e Teuco per l’altra parte, così come per l’illuminazione ha scelto il segmento alto di mercato e si può restare in questa posizione a una sola condizione, o meglio a tre: se si punta sull’innovazione, se si punta sull’innovazione e se si punta ancora sull’innovazione. O si è leader di costo e pertanto si va a vendere quantità di prodotto, o si diventa leader di mercato di qualità. Questa è una scelta che non riguarda soltanto il prodotto, innanzitutto la cultura dell’impresa che è fatta chiaramente da chi la dirige ma realizzata con una cultura complessiva che l’impresa deve avere nella globalità della struttura, pertanto nel gruppo manageriale e in tutti i dipendenti, perché la qualità degli uomini è il primo elemento del progetto. Da quando siamo passati dal settore illuminazione d’arredo, produzione lampade oggetto, durante la crisi del petrolio nel 1973-75, all’illuminazione tecnica e architetturale, è cambiata radicalmente la strategia e la filosofia della nostra impresa.....Nel 1975 prendemmo i primi consulenti per il comparto illuminotecnico sul piano del prodotto, del progetto e del processo
Jean-Michel Wilmotte, Robert Mc Farlane, Alberto Seassaro
produttivo, un tecnico inglese che aveva esperienza di settore e prendemmo anche un professore di competenza, il professor Luigi Manzoni, che ci ha accompagnato, completato e acculturato in quella fase di avvio di progetto in questo settore... ...Andando avanti con questo concetto e pertanto facendo questo corso di formazione prima ai nostri interni e poi ai nostri clienti e alla nostra catena distributiva, siamo entranti nel 1982 con una campagna di comunicazione estremamente importante che ancora oggi ci consente di segnare dei primati nel bene e nel male, per far capire quanto la progettazione dell’illuminamento degli spazi e degli ambienti interni ed esterni sia importante e debba nascere unitamente al progetto della struttura architettonica e dello spazio vissuto. La luce influisce sull’uomo come influisce sulla natura... ...In Italia oggi ci sono più aziende che si propongono al mercato con la stessa tematica e anche scuole e associazioni di light design che hanno ancora grande difficoltà nel porsi perché da noi non si capisce che come si deve pagare il progetto per l’impianto elettrico, di condizionamento, eccetera, bisognerebbe pagare anche il progetto d’illuminazione degli spazi... ...I nostri più importanti collaboratori sono i lighting designer e gli architetti in quanto a noi interessa avere la cultura del mondo perché se vogliamo esportare il 57% della nostra produzione, che ammonta a 171 miliardi, in 70 paesi del mondo è chiaro che dobbiamo capire le loro culture, interpretarle per poi riportarle a loro. Infine, in risposta a un intervento del pubblico che puntualizzava l’importanza della dimensione tempo nel tema della progettazione della luce artificiale, Cesare Casati ha concluso il dibattito affermando che: ...Il problema della luce artificiale è proprio quello che non dovrebbe essere così tanto ‘artificiale’ perché c’è la luce del sole. Il problema è che la luce notturna non varia e invece dovrebbe e potrebbe anche variare. La quarta dimensione è anche emozione, non è solo tempo, è anche immaterialità dell’effetto e la scenografia ci insegna molto, forse alcune volte conviene anche sprecare luce se si ottengono delle emozioni.
children watch the cars go down....in contexts like this light has always been a key element in reassuring potential users and in injecting the spaces with fresh light. Mr. Casati then handed over to Alberto Seassaro, who briefly outlined how Italian universities teach the use of light. Alberto Seassaro: ...In an essay I wrote some years ago, I pointed out that there were various different types of light: “message-carrying light”, “ambient light”, and “object light”. I tried to divide light into different categories according to its type and connotations to try to come to semantic terms with lighting design and how light interacts with architecture. But I did not take the issue any further, partly due to the lack of discussions on these matters. Journals talking about light do not generally cause much of an academic stir. So how do things stand in Italy? Well architects are not generally particularly enthralled about light, although they have occasionally tackled lamp design with a certain amount of success. Italian design has a great reputation worldwide for its work in the field of lighting appliances. Italian industry is always extremely active and is trying to bring light into architecture, but the mainstream of Italian design in academic circles has been rather slow to catch on. Light is a tricky issue and it takes the poetic force of an individual artist to persuade users and the inhabitants of architectural designs that light is a problem that can be coped with. There is a general lack of interest. I have also noticed that both students and staff blindly ignore our university courses dealing with technical aspects of lighting. Architects who graduated from our universities and this academic environment are quite ignorant about the question of light. This refusal to confront light could actually be taken as a deliberate artistic stance - I am not denying that - but it is equally true that you can quite literally see where light has been treated with the stylistic passion it deserves.
I am delighted to say that the question of light, which over the last ten years or so we have been almost obsessively trying to get introduced onto the university syllabus, is finally attracting a certain amount of attention. I have managed to incorporate it in my own degree course on industrial design and because it my course I have taken the liberty of starting up a full study-training programme, a sort of major in lighting design as part of the degree course for students who choose to study this subject, this substance, and all its technological aspects. A major in lighting design and everything that the subject entails... Technical lighting design is a cultural approach to light, but it is not the kind of culture light deserves. It is something an architect must know and must implement, or in any case he must know enough to work alongside an expert in lighting design, should he or she be brave enough to involve one in an architectural design, something that only happens very rarely. ...We have just surveyed a sample of possible approaches, exploring the realms of light. We have invented a subject which is really a sort of “basic light design”...i.e. how to learn to control the basic phenomena of light or in other words how to understand where light comes from, what technology is involved in its creation, how matter and light interact with such phenomena as reflection, refraction, diffusion etc., and all the different ways in which light and matter interrelate in nature and the entire artificial world. To carry out this exercise, we ask our students to equip themselves with their own perceptualogical technical lighting laboratory, a laboratory which allows students to experiment on and check out all these phenomena.We asked students to approach the issue of perception in terms of how we perceive properly, how we obtain a good percept, a good view... Now the objective equivalent of a good view is a kaleidoscope. The meaning of the word itself comes from kalos: good, dos: image, and scopos: to see, in other words to see a good or beautiful image. We asked students to design their own kaleidoscope following very accurate rules
of optical geometry and creating controllable phenomena. When our students reach the third year they are expected to complete this little exercise: a kaleidoscope which is also experienced as a physical object, a beautiful object of fine design and full of ideas... Cesare Casati:...Light is no longer a random fact or just some sort of appliance for illuminating things; a technological process is hidden away behind artificial light that is actually just as important as the process lying behind structure and materials. This perhaps means that we ought to understand how light works as an architectural material: light is an industrial component of architecture. ...Italian industries are world leaders in technology, in manufacturing high-tech elements. Adolfo Guzzini is here next to me and his firm was actually founded around lighting... Adolfo Guzzini: ...Our entire family, first working in the household goods and gifts sector under the management of my brothers and our other company Teuco, opted for the top range of the market, and there is only one way, or rather three ways, to keep up such a position: by focusing on innovation, by focusing on innovation, and by focusing on innovation. You either need to be market leaders in terms of price and hence sell large quantities of your product, or you aim to produce the highest quality products. Decisions like this do not just concern products, it is also a question of business acumen and that often depends on both company executives and overall business strategy: in other words the management team and all the staff, because the most important aspect of design is the quality of human resources. Ever since we left the decorative lighting sector (manufacture of lamps) during the 1973-75 oil crisis and moved into the architecturaltechnical lighting sector, we have radically changed our business strategy/policy.... In 1975 we hired our first lighting consultants for product design and manufacturing,
a British technician with experience in the sector and Professor Luigi Manzoni, who accompanied and guided us as we prepared to launch onto this particular market... ...Continuing with this concept and carrying out this training course first with our staff and then with our customers and distributors, we set under way an extremely important communications campaign back in 1982, that now places us right at the cutting edge, for better or for worse, illustrating just how important lighting design for spaces and interior-exterior environments actually is and how it ought to be developed in conjunction with the design of architectural structures and inhabited space. Light influences people in the same way it influences nature... ...In Italy there are now numerous firms operating in this sector, as well as schools and associations involved in light design, that are still struggling to make their presence felt, because people here do not yet realise that in the same way you have to pay for an electrical plant, air-conditioning system etc., you also have to pay to for your lighting design... ...Our most important assistants are lighting designers and architects. This is because we are well aware that we need their expertise if we are to export 57% of our products (amounting to 171 billion lira) in 70 countries worldwide, analysing their cultural background ready to interpret it in our own way. Finally, in response to someone in the audience who pointed out the importance of the dimension of time in the design of artificial light, Cesare Casati drew the discussion to a close by stating that: ...The problem with artificial light is that it should not be so “artificial” because of the existence of sunlight. The problem is that light does not vary at nighttime, but it should and actually could. The fourth dimension is also emotion, it is not just time, it is also the immaterial side of special effects and, as set design has taught us, we are sometimes quite entitled to make excessive use of light if it creates emotion.
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La stoffa del ritratto Alda Casal Alda Casal, alcuni dei ritratti realizzati con tecnica mista su supporto tessile/some of the portraits realized with mix technique on fabrics, 1999: a sinistra/left, Gillo Dorfles; a destra/right, Carlo Guglielmi; nella pagina a fianco/opposite page, Toshiyuki Kita. ■
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lda Casal realizza ritratti su stoffa e ha la stoffa per il ritratto. Cosa può significare oggi eseguire il A ritratto di qualcuno? Non certo più, ormai da 150
lda Casal produces portraits on fabric and has what it takes for portraits. Today, what does making a A portrait of someone mean? Certainly not what it used to
anni, fissare un’immagine per i posteri. Sopravvive l’interesse alla personale interpretazione di un soggetto, come l’artista lo vede, lo sente, lo anima, rispettandolo. Sopravvive anche il piacere, per il ritrattato, di vedersi e sentirsi interpretato e anche un malcelato interesse - che è generico e non specialmente connesso con l’arte - a sapere chi egli è per gli altri, soprattutto se si tratta di creativi. Questa breve riflessione risulta necessaria per via che la Casal ha “sfruttato” una serie di figure, tra amici e parenti, spesso a loro insaputa. Ricordo un titolo di Jack London, Ciò che la vita significa per me. Con l’arbitrio dell’arte, l’autrice ha firmato la propria idea di ogni soggetto. Ha eluso infatti il richiamo forte ai tratti somatici, che avrebbe potuto rispettare impiegando il riporto fotografico. Ma ha eluso anche l’indagine psicologica di piglio espressionistico. La forma e il tratto che la definisce giocano rispettosamente un ruolo di veicolo di comunicazione interpersonale: ci sei tu e ci sono io, nessuno di noi due è mero oggetto o assoluto soggetto. Per questa via, Alda Casal diventa quasi un reporter. E in questo reportage immette quel tanto di confidenza che le è consentita di volta in volta. Ma non è un fatto di maggiore o minore conoscenza del soggetto. Non approfitta, per esempio, della dimestichezza che può avere con la psicologia di un familiare. E non per una ragione di pudore. La vera ragione è il rispetto di se stessa, ossia della dimensione espressiva che le sta a cuore: la composizione come momento autosufficiente. Non a caso in un seconda fase di questo periodo dei ritratti, i soggetti non son più visi emergenti come degli “a solo” da un uguale sottofondo contrappuntistico; essi sono parte di una vicenda narrativa più complessa, spesso a scomparti. Altri elementi si aggiungono concorrendo all’interesse primario per la composizione. E poco importa che i nuovi elementi non sono casuali ma costituiscono una referenza, magari un elemento biografico, del ritrattato. Questo andamento psicologico che l’artista intrattiene col proprio soggetto, tra il detto e il non detto, credo dia conferma di come questi ritratti siano una sorta di civetteria elegante, di alta classe, un lusso senza concessioni. Questo andamento conferma che la Casal non ha “ritrattato” il suo background artistico attestato su un’arte oggettiva, tesa a coniugare arbitrio espressivo e comunicazione oggettiva, come bene testimoniano gli ambienti d’artista realizzati negli anni Settanta. Carmelo Strano
mean more than 150 years ago, when portraits were made to fix an image for future generations. What still survives is the interest for the personal interpretation of a subject, how the artist sees it, feels it and gives it life through his/her respect for it. What also survives is the pleasure of the portrayed, who sees and feels that he/she is being interpreted, also through an ill-concealed interest - which is general and not especially connected with art - in knowing how he is considered by others, particularly if the model is a creative person. This brief consideration is necessary, due to the fact that Casal “utilized” a series of figures, among friends and relatives, often without their knowing about it. I recall one of Jack London’s titles, What life means to me. With the help of art, the author signed her own idea about each subject. In fact, she eluded the strong appeal of somatic features, which she could have followed by using photographs. But she also eluded any kind of psychological insight of an expressionistic nature. The form - and the feature that defines the form - play a respectful role as a means of interpersonal communication: you exist and I exist, neither one of us is a mere object or and absolute subject. Along this path, Alda Casal almost turns into a reporter. And in this reportage she puts as much familiarity as she is allowed to put in, each time. But it is not a question of how well she knows her subject. For instance, she doesn’t take advantage of the familiarity she may have with the psychology of one of her relatives. And this is not due to any feelings of reserve. The real reason for this is her self-respect, the expressive dimension which is dear to her: the composition as an independent moment. It is not by chance that in a second phase of this period of portraits, the subjects aren’t faces that emerge as “soloists” from an even, contrapuntal background; they are part of a more complex narrative event which is often told in sections. Other elements are added, contributing to the primary interest in the composition. And it is not important that the new elements are not casual, but constitute a point of reference, perhaps a biographical element of the portrayed. I believe that this psychological communication that the artist lives with her subject, between what is said and what is not said, is a confirmation of how these portraits constitute a sort of elegant, high-class coquetry, a kind of unacknowledged luxury. This tendency confirms that Casal has not “portrayed” her artistic background on an objective kind of art which tends to put together expressive freedom and objective communication; the environments the artist accomplished in the seventies are ample proof of this.
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Alda Casal, alcuni dei ritratti realizzati con tecnica mista su supporto tessile/some of the portraits realized with mix technique on fabrics, 1999: sopra a â–
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sinistra/above left, Elio Santarella e, a destra/right, Chicchi Ginepri; sotto a sinistra/below left, Lisa Ponti e, a destra/right, Giancarla Quacquarini.
Museo da viaggio The Museum of Voyages
Rubriche e articoli sul mondo della progettazione, della produzione e della ricerca. Design, production and research.
Progetto: Pentagram
“Voyages of Discovery” è la grande mostra itinerante organizzata dal Natural History Museum di Londra dedicata ai grandi viaggi per mare di esplorazione del diciassettesimo e diciottesimo secolo. La mostra, che sarà al museo londinese fino alla primavera del 2000, si trasferirà successivamente in America e poi in Giappone. La mostra è costituita da una collezione di reperti botanici, entomologici, geologici, zoologici, da opere d’arte storiche, rapporti scritti, fotografie, stampe e disegni raccolti durante quattro grandi viaggi di esploratori britannici a partire da quello pionieristici di Sir Hans Sloane in Jamaica. Per questa ricca raccolta di
Pianta dell’area espositiva, rendering dell’allestimento e particolari della segnaletica e delle bacheche espositive della mostra itinerante “Voyages of Discovery”, progettata da Pentagram. Plan of the exhibit area, rendering of the installation and details of graphic signals and glasscases of the “Voyages of Discovery” travelling exhibiton designed by Pentagram.
Pentagram si caratterizza come una grande coreografia destinata a sottolineare la narrazione, sospesa tra scienza e fantastico, delle grandi esplorazioni che hanno spesso raggiunto nuovi orizzonti non solo per quanto riguarda i limiti geografici ma anche quelli della mente umana.
immagini e sensazioni, il museo ha commissionato allo studio Pentagram Design Limited l’allestimento di un apposito spazio espositivo. La struttura e il contenuto della mostra si trovano così a fluttuare in un ambiente fisico diverso per ognuno dei quattro viaggi. Ogni viaggio è visto come un’isola appesa in uno spazio vuoto ed etereo. Pannelli grafici trasparenti e traslucidi si susseguono lungo il percorso per guidare i visitatori a fare nuove scoperte. L’ingresso alla mostra è incorniciato in un grande paesaggio marino la cui linea di orizzonte corre attraverso l’intera lunghezza dello spazio espositivo collegando tra loro le molte immagini e oggetti. Il progetto, realizzato con un sistema modulare leggero che può essere montato, smontato e impacchettato rapidamente, è tale da rendere possibile la suddivisione in nove aree principali, a loro volta componibili e suddivisibili indipendentemente l’una dall’altra per potersi adattare a qualsiasi spazio espositivo. I pannelli grafici sono illuminati con varie soluzioni (retroiluminazione, spot, luce frontale) a seconda della loro composizione e contenuto; gli oggetti esposti sono invece illuminati dalla struttura primaria in modo integrale. Nel complesso, il progetto dei
“Voyages of Discovery” is the large travelling exhibition organized by the Natural History Museum of London. Dedicated to the great sea voyages of exploration in the 18th and 19th centuries, the show will be on view at the London museum through the spring of 2000, after which it will be transferred to America and then to Japan. The exhibition consists of a collection of botanical, entomological, geological, and zoological finds, of works of historical art, written reports, photographs, prints and drawings collected during four great voyages of British explorers, beginning with the pioneering voyage of Sir Hans Sloane to Jamaica. The Pentagram Design Limited studio was commissioned to stage the exhibition of this rich collection of images and experiences in a special exposition space. The structure and contents of the show are in this way found floating in a different physical environment for each of the four voyages. Each voyage is seen as an island suspended in an empty and
ethereal space. Transparent and translucent graphic panels follow one another along the corridor, inviting visitors to make new discoveries. The entrance to the exhibit is framed by a large seascape with a horizon whose line runs along the whole length of the exposition space, connecting all the images and objects. The project, made with a light modular system which can be quickly mounted, dismantled, and packed up, is of a kind that makes it possible to subdivide the material into nine main areas which can be mounted and subdivided independently of one another and adapted to any expository space. Various solutions are adopted for illuminating the graphic panels (rear illumination, spotlights, and frontal lighting) according to their composition and contents; the objects on view, however, are completely illuminated by the primary structure. On the whole, the Pentagram’s project is marked by a great choreographic design aimed at underscoring the narration, suspended between science and fantasy, of the great explorations, voyages which often reached new horizons, not only of geographical limits but also of the human mind.
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Il Museo dei Bambini In Mexico City Progetto: TEN Arquitectos
Situato all’angolo sudest del Parco Chapultepec a Città del Messico, il Museo dei Bambini progettato da Enrique NortenTEN Arquitectos è delimitato a sud e a est da due grandi arterie stradali. In precedenza, il lotto era occupato da una fabbrica di vetro divisa dal parco da un grande muro che ora, modificato e abbellito con murales, diventa
un segnale della presenza del nuovo museo. Altra memoria della vecchia fabbrica è un’alta ciminiera che diviene a sua volta segnale verticale di richiamo verso la nuova struttura. Il programma del concorso a inviti che era stato bandito per il progetto prevede la realizzazione di una struttura di 6.000 mq che includono un planetario, una biblioteca, uffici amministrativi, negozi, magazzini e aree espositive sia all’interno che all’esterno, per la qual cosa si è provveduto anche una riorganizzazione degli spazi del parco più adiacenti al museo. Norten ha sviluppato il progetto come un’aggregazione di volumi su una pianta cruciforme frammentata e collegando la struttura principale del museo al parco tramite una passerella vetrata che va a formare l’asse dominante in direzione sudestnordest. Questa passerella sospesa tra gli alberi parte al confine del parco da un volume cubico che contiene la biglietteria e il negozio del museo. Perpendicolarmente alla
passerella passa il muro e il punto di incrocio ha la funzione di punto di riferimento per il percorso che raggiunge altri tre volumi - contenenti la reception, gli uffici, i magazzini e in negozi di cui diverse forme e materiali che si intersecano tutti in un punto cumune del ponte formando l’atrio centrale. Nella parte terminale dei tre diversi volumi, dove si innalza la ciminiera, è progettato lo spazio espositivo interno/esterno con una copertura vetrata. La piazza che si forma all’esterno contiene inoltre una piccola piramide trasparente, pensata per dare luce agli spazi interrati, la cui angolarità è contrastata dalla sfera del planetario che conclude il percorso della passerella. Insomma, pur rispettando tutte le funzioni richieste, il progetto le In alto, planimetria generale, sezione e modelli del Museo dei Bambini a Città del Messico. A sinistra, sezione parziale e pianta del piano terra. Top, site plan, section and model views of the Children’s Museum in Mexico City. Left, partial section and ground floor plan.
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organizza in modo nonsequenziale e giocoso. La scoperta e l’apprendimento si esprimono qui in una scoperta continua e in un’esperienza spaziale sempre nuova che spinge a circolare liberamente attraverso i diversi volumi che formano il complesso e che fanno dell’architettura stessa una scoperta. Situated in the southeast corner of Chapultepec Park in Mexico DF, the Children’s Museum, designed by Enrique Norten-TEN Arquitectos, is bounded on the south by two large main roads. Previously, the lot had been occupied by a glassworks set off from the Park by a large wall which, now modified and embellished with murals, signals the presence of the new museum. Another reminder of the old building is a tall chimney which in its turn becomes a vertical signal calling one’s attention to the new building. The programme of the competition (on invitation only) advertised for the project provides for the building of a 6,000 sq.m. structure which would include a planetarium, a library, administration offices, shops, storerooms, and exhibition areas both indoors and out, for which provision is also made for the reorganization of park spaces nearest the museum. Norten developed the project as a aggregation of volumes with a fragmented cruciform ground plan connecting the main structure of the museum to the
park by way of a glassed-in bridgeway which was to form the main axis running southeastnortheast. This bridgeway suspended among the trees starts at the limit of the park from a cubic volume containing the ticket office and the museum shop. Running perpendicular to the bridgeway is the wall, and the crossing point serves as a point of reference for the path leading to three other volumes containing the reception desk, offices, storerooms, and shops the various forms and materials of which all intersect at the same point of the bridge, forming the central entrance hall. Planned for the terminal part of the three different volumes, where the chimney rises, is the indoor/outdoor exhibition space with glass roofing. The square formed outside, moreover, contains a small transparent pyramid designed to provide light for the spaces below ground. The angularity of this pyramid is offset by the sphere of the planetarium, which lies at the end of the bridgeway. To sum up, we can say that while respecting all the functions requested, the project organizes them non-sequentially and even playfully. Discovery and learning are expressed here in continuous discovery and in a spatial experience which is always new, inviting one to move around freely through the various volumes that form the complex and that make this architecture itself a discovery.
Video Project Cylinder For Manchester 2002 Progetto: Williams and Cunliffe, Gary Shoemaker Architects, and James Doerfler Architects
La genesi del Video Project Cylinder è stata nel 1998, quando l’Aeroporto di Manchester, in Inghilterra, ha bandito un concorso per un’installazione d’arte pubblica. L’artista newyorkese Nik Williams e Jason Cunliffe di Manchester proposero in quell’occasione una “Rotatoria Video”, costituita essenzialmente da un sistema di proiettori ad alta intensità, controllati elettronicamente e avvolti da una superficie per la retro-proiezione, da collocare nell’area di accesso all’aeroporto, Il loro progetto è poi risultato vincitore è stato sviluppato con Gary Shoemaker Architects e James Doerfler Architects. L’installazione, che verrà realizzata entro il 2000 nella rotatoria di fronte all’Hilton hotel dell’Aeroporto di Manchester, è costituita da video panoramici multi-canale disposti a 360 gradi su una struttura leggera tensotesa su cavi di acciaio. Vista dall’alto, arrivando o partendo con l’aereo, questa installazione, che si pone al confine tra arte, architettura e design, appare come un grande Noguchi - il paralume tipico della tradizione giapponese. Il sistema di manutenzione e di aggiornamento dei dati e delle immagini avviene via Internet e vi si potrà quindi interagire anche da luoghi molto distanti tra loro. Il progetto vuole quindi riassumere e sintetizzare nella propria funzione informativa la tensione dinamica che caratterizza i grandi aeroporti contemporanei. L’installazione sarà inoltre una delle principali infrastrutture per l’informazione dei prossimi Giochi del Commonwealth che si terranno a Manchester nel 2002. The Video Project Cylinder first appeared in 1998, when England’s Manchester Airport announced a competition for a public art installation. On that occasion, the New York artist, Nik Williams, and Jason Cunliffe of Manchester proposed a “Video Roundabout” essentially consisting of a system of highintensity electronically controlled floodlights covered by a surface for retroprojection, to
be situated in the airport’s approach area. Their project, which turned out to be the winner, was developed together with Gary Shoemaker Architects and James Doerfler Architects. The installation, which will be fully carried out by 2000 in the roundabout facing Manchester Airport’s Hilton structure on steel cables. Seen from above, from approaching or departing aircraft, this installation, which lies somewhere between art, architecture, and design, looks like a huge Noguchi, the typical lampshade of Japanese tradition. The system employed for the maintenance and revision of the images operates on Internet and, consequently, one can interact with it from points quite distant from one another. The project therefore aims to summarize and synthesize in its own informational function the Rendering e planimetria generale del Video Project Cylinder per Manchester 2002. Renderings and site plan of the Video Project Cylinder for Manchester 2002.
dynamic tension that characterizes the large airports of our day. Moreover, this installation will be one of the main information infrastructures for the upcoming Commonwealth Games to be held in Manchester in 2002.
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Il nuovo Dean Centre a Edimburgo A Reconversion Plan Progetto: Terry Farrell & Partners
Progettato originariamente nel 1833 da Thomas Hamilton come un orfanotrofio, il Dean Building di Edimburgo è stato recentemente inaugurato come galleria d’arte. Il progetto di riconversione, nato dalla necessità di ospitare la nuova donazione della Collezione Eduardo Paolozzi di arte Dada e Surrealista e di trovare nuovi spazi per i magazzini, gli archivi e gli uffici delle National Galleries of Scotland, è stato affidato allo studio londinese Terry Farrell & Partners. Per analizzare la forma dell’edificio esistente, Farrell ha raggruppato concettualmente le principali componenti volumetriche: i padiglioni d’angolo, le torri gemelle, il “tempio” centrale, ordinando visivamente la percezione della scala e dell’orientamento dell’edificio. L’esuberanza quasi barocca dell’esterno è stata mediata con interni volutamente quasi asettici che favoriscono ed esaltano la visione delle opere d’arte esposte. Il corridoio centrale principale, che era stato parzialmente rimosso in una precedente ristrutturazione d’epoca vittoriana, è stato reinserito. Originariamente, i percorsi dei piccoli ospiti dell’orfanotrofio erano divisi a seconda che si trattasse di maschi o femmine, adesso, pur mantenendo la logica architettonica dei percorsi, si è eliminata la bipolarità. Gli spazi della Galleria formano il cuore dell’edificio ai due livelli superiori, mentre nelle ali laterali sono stati organizzati gli uffici amministrativi. Il piano interrato ospita i magazzini e i servizi a questi associati. Le due torri, che
sono un elemento caratterizzante la silhouette di Edimburgo, sono state adibite ad accogliere la Collezione Paolozzi. Farrell ha inoltre studiato punti di vista vantaggiosi per avere scorci suggestivi delle due torri, culminanti con uno spazio a doppia altezza al termine dell’asse centrale. Tutto il progetto per la riorganizzazione degli spazi interni è teso a mantenere il rigore Neoclassico dell’edificio senza sottomettervi gli oggetti e le opere d’arte che vi sono stati ora esposti. I colori utilizzati sono ispirati al paesaggio scozzese e studiati in modo da non prevalere sulle opere. L’edificio della Dean Gallery è stato inoltre collegato esternamente, tramite una appropriata sistemazione paesaggistica alla vicina Gallery of Modern Art, creando così un vero e proprio campus artistico, che si articola tra passeggiate pedonali e giardini con sculture, nel cuore di Edimburgo. Originally designed as an orphanage by Thomas Hamilton in 1833, the Dean Building in Edinburgh has recently been inaugurated as an art gallery. The reconversion plan, entrusted
Sopra, prospetto della facciata di ingresso, pianta e vista della caffetteria e, a destra, pianta del piano terra della nuova Dean Gallery a Edimburgo. Above, elevation of the main facade, plan and view of the cafateria and, right, ground floor plan of the new Dean Gallery in Edinburgh.
to the London studio of Terry Farrell & Partners, was necessitated by the need to accommodate the new donation of the Eduardo Paolozzi Collection of Dada and Surrealist art and to find new spaces for the storerooms, archives and the offices of the National Galleries of Scotland. In order to analyse the form of the existing building, Farrell conceptually regrouped the main volumetrical components: the corner pavilions, the twin towers, and the central “temple”, visually scaling the perception of the size and orientation of the building. The almost baroque exuberance of the exterior is mediated by
Premiato il Palazzo Borghese a Roma
Lo scorso ottobre è stato assegnato il Premio Sotheby 1999 al Palazzo Borghese a Roma per il miglior restauro di cortili, fontane e ninfei. Il premio, alla sua prima edizione italiana, istituito d’intesa tra la casa d’aste inglese e l’Associazione Dimore Storiche Italiane, , ambedue interessate alla tutela e alla conservazione degli edifici storico-artistici di proprietà privata e agli interventi di restauro, in questo caso riguardanti le parti comuni con funzione di cerniera tra pubblico e privato, si è avvalso di una giuria composta da James Stourton, Aimone de Seyssel d’Aix, Pier Fausto Bagatti Valsecchi, Michele Cordaro, Luisa Lepri, Augusta Desideria Pozzi Serafini, Claudio Strinati. La giuria ha deciso all’unanimità di assegnare il premio al progetto
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Fontana centrale di Venere del Ninfeo del Giardino di Palazzo Borghese a Roma.
Venus’ Central Fountain of the Garden Ninpheum at Palazzo Borghese in Rome.
per il restauro di Palazzo Borghese che, oltre alla notevole qualità, si è caratterizzato per aver applicato tutte le aree previste dal bando: il ninfeo con le fontane, il cortile con il loggiato a tre ordini sovrapposti, il giardino e l’avancorpo che interessa la parte del piano nobile coperta a terrazza, la cui forma a cembalo determina l’antica denominazione di “Cembalo Borghese”. Il progetto, che si è avvalso di una puntuale ricerca storica, tesa a individuare tutte le fasi costruttive dell’intero complesso architettonico, ha richiesto, data la gravità del degrado, uno studio perticolare sullo stato di conservazione dei luoghi e delle cause che l’hanno determinato (pioggia, usura, sconnessione di parti protettive, polvere, smog).
deliberately ascetic interiors, which favour and enhance the viewing of the works of art on exhibit. The main central corridor, which was only partly moved in a previous restructuring operation in the Victorian age, has been restored. Originally, the corridors for the young inmates of the orphanage were divided according to whether they were boys or girls; now, to keep the architectonic logic of the corridors, this bipolarity has been eliminated. The spaces of the Gallery make up the heart of the building on the two upper levels, while in the lateral wings one finds the offices of the administration. The basement accommodates the storerooms and ancillary sevices. The two towers, which are an element characterizing the silhouette of Edinburgh, have been used for the Paolozzi Collection. Farrell has also studied advantageous positions for suggestive partial views of the two towers, culminating in a space of double height at the end of the central axis. The whole project for the reorganization of the interior spaces is so designed as to maintain the Neoclassical rigour of the building without subordinating the works of art on exhibit there. The colours used are inspired by the Scottish landscape and care is taken to avoid their prevailing over the works. Externally, the Dean Gallery building has also been connected to the nearby Gallery of Modern At by means of a special landscaping arrangement, thereby creating a real artistic campus, made up of walks and gardens with sculptures, in the very heart of Edinburgh.
Benedictus Awards 99 The Winners
Odile Decq e Benoît Cornette hanno di nuovo conquistato i favori della giuria nella settima edizione del DuPont Benedictus Award 1999, il premio organizzato a scala mondiale da DuPont de Neamours e l’AIA (American Institute of Architects) con il sostegno dell’UIA e destinato alle migliori realizzazioni architettoniche dove venga fatto uso del vetro stratificato. Già vincitore nel 1994 con la sede della Banca Popolare di Rennes, lo studio francese (che da qualche mese è stato privato della figura di Benoît Cornette prematuramente scomparso in un incidente stradale) si è quest’anno aggiudicato il primo premio della categoria “Edifici pubblici e commerciali” per l’estensione della Facoltà di Scienze Economiche e la Biblioteca di Diritto dell’Università di Nantes. I membri della giuria composta dallo strutturista Tim Macfarlane, da Jean-Marc Ibos, associato con Myrto Vitart nello studio parigino che vinse lo scorso anno il Benedictus per l’ampliamento e la ristrutturazione del Musée des Beaux Arts di Lille e da Thom Mayne, co-fondatore dello studio californiano Morphosis e vincitore del Prix di Roma, hanno sottolineato la genialità del progetto di Decq e Cornette come dimostrazione della possibilità di ottenere effetti particolarmente elaborati anche con un budget molto limitato. Il rapporto tra economicità della
Rettifiche Riportiamo di seguito l’esatta composizione del gruppo di progettazione del progetto per il Centro Congressi EUR a Roma, pubblicato ne l’Arca 140, settembre 1999 a p.91 col titolo “Naturale e monumentale”: Progettisti: Marco Mattei (Capogruppo), Michele Piccini Collaboratori: Jeawoo Kim Elaborazione immagini: DIM Digital Imaging (Firenze). Inoltre relativamente all’articolo “Ponti effimeri/For the Jubilee”, pubblicato ne l’Arca 139 luglio/agosto 1999 a p.4, dedicato al concorso per i ponti pedonali per il Giubileo a Roma, ci scusiamo per l’omissione dell’architetto Laura Gallucci dal gruppo di progettazione guidato da Massimo D’Alessandro (secondo classificato, p.6).
Da sinistra a destra/ Left to right, Schulitz+PartnerArchitekten BDA Passerella a/bridge in
costruzione e creatività e innovazione del linguaggio architettonico è stato il punto centrale nella definizione del giudizio finale anche per l’assegnazione del premio nella categoria “Costruzioni residenziali”. Il vincitore, l’austriaco Georg Marterer in collaborazione con lo studio viennese Gmeiner-Haferl, si è segnalato per l’interessante progetto di un nuovo concetto di abitazione individuale prefabbricata basato sull’economicità e sulla flessibilità e facilità di assemblaggio. La “TEE-house” è commercialmente assimilabile a una sorta di fenomeno “Ikea”, rivolta al grande pubblico e pensata per una diffusione allargata, può essere facilmente manipolata e assemblata da due persone senza alcuna esperienza. La sua struttura in pannelli prefabbricati può assumere diverse configurazioni giocando su un modulo standard di 242 cm, “un’espressione particolarmente seducente di architettura intelligente per il grande pubblico che sulla base di una struttura semplice consente a ognuno di costruirsi il proprio ambiente di vita con un certo margine di creatività e un forte potenziale evolutivo”. Non poteva mancare in quest’edizione del Benedictus una menzione speciale all’esempio forse più eloquente che ha segnato la storia recente, la maestosa trasparenza della cupola vetrata del Reichstag rinnovato a Berlino con cui Norman Foster ha voluto tradurre in modo prestigioso e spettacolare l’evento della nuova democrazia tedesca. Manuelle Gautrand (Francia), Behnisch & Partner (Germania), FTL/Happold Architecture & Engineering (Gran Bretagna), Ingenhoven Overdiek Kahlen & Partner (Germania), Ken Okogawa Architects & Associates (Giappone), Masakatsu Tokuoka Architects (Giappone), Schulitz+Partner, Architecten BDA+Ingenieure (Germania) e Samyn & Partners (Belgio) completano la rosa dei progettisti selezionati con una menzione speciale. La sezione riservata agli studenti, ai quali era assegnato come tema di concorso il progetto di un collegio, ha visto invece un completo riconoscimento ai lavori di tre gruppi di allievi dell’università di Hong Kong giudicati i milgiori su un totale di 1.100 candidati di 125 scuole d’architettura di 33 Paesi. Elena Cardani
Hannover; Odile DecqBenoît Cornette, Facoltà di Scienze Economiche e Biblioteca di Diritto
dell’Università di Nantes (foto: Georges Fessy); due immagini della/views of TeeHaus di Georg
Odile Decq and Benoît Cornette have again found favour with the jury of the seventh edition of the Dupont Benedictus Award for 1999. The Award, which is organized world-wide by Du Pont de Nemours and the AIA (the American Institute of Architects), with the support of the UIA, is given to the best architectonic projects employing stratified glass. Already a winner in 1994 for the main offices of the Société de Crédit de Rennes, the French studio (for some months now without the presence of Benoît Cornette, who suffered a premature death owing to a car accident) has won the first prize this year in the “Public and Office Buildings” category for its extension of the Faculty of Economic Sciences and the Law Library of the University of Nantes. Making up the Jury were the structural engineer, Tim Macfarlane; Jean-Marc Ibos, an associate of Myrto Vitart in the Paris studio that last year won the Benedictus for the extension and restructuring of the Musée des Beaux Arts de Lille; and Tom Mayne, the co-founder of the California studio Morphosis and the winner of the Prix de Rome. The Jury underscored the brilliance of the Decq and Cornette project as an effective and convincing demonstration of how particularly elaborate effects can be obtained even with a very limited budget (less than 500 francs per square metre). This relationship between economy of construction and a creative and innovative approach in architectonic idiom was also considered the main point in defining the final judgement in assigning the award in the “residential buildings” category. The winner, the Austrian Georg Marterer, in collaboration with the Viennese studio GmeinerHaferl, won honourable mention for his interesting project expressing a new concept of a prefabricated individual habitation based on low cost, flexibility, and easy assembling. Commercially, the “TEE-house”, which may be compared to a sort of “Ikea” phenomenon aimed at the general public and designed for wide distribution, can be easily handled and assembled by two persons without any experience. Its prefabricated pannelled structure can be shaped in various ways by working with the standard 242 cm. modulus, “a particularly seductive expression
Marterer-GmeinerHaferl. In basso, vista del/bottom, view of the Reichstag di Berlino di/by Norman
Foster (foto:Richard Davies) e particolare del progetto di/detail of the project by Decq e Cornette.
of intelligent architecture for the general public based on a simple structure that enables one to build his own living quarters with a certain amount of creative imagination and with a strong potential for development”. This edition of the Benedictus could hardly fail to award an honourable mention to what is perhaps the most eloquent project that has marked its recent history, the majestic transparency of the glass dome crowning the restructured Reichstag in Berlin, with which Norman Foster contrived such a prestigious and spectacular expression for this event in the new German democracy. Manuelle Gautrand (France), Behnische & Partner (Germany), FTL/Happold Architecture & Engineering (Great Britain), Ingenhoven Overkdiek Kahlen & Partner (Germany), Ken Okogawa Architects & Associates (Japan), Masakatsu Tokuoka Architects (Japan), Schulitz+Partner, Architecten BDA+Ingenieure (Germany), and Samyn & Partners (Belgium) complete the list of designers selected for special mention. The section reserved for students, who were assigned the theme of a boarding school for the competition, came out with full approval of the work of three groups of pupils at the University of Hong Kong, who were judged the best out of a total of 1,100 candidates from 125 schools of architecture in 33 countries.
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Novità Pininfarina
Due sono le novità che, tra le altre, la Pininfarina a proposto al mondo dell’auto nel 1999: un veicolo di marca cinese e una nuova automobile urbana. Cominciamo dal primo. La Cina - si potrebbe dire parafrasando il titolo di un vecchio film - è vicina, e anzi oggi più vicina che mai, sebbene in modo assai diverso da come il protagonista della pellicola di
A destra, la Metrocubo e, sotto, il nuovo Minivan prodotto in Cina, entrambi disegnati da Pininfarina. Right the Metrocubo car and, below, the new Minivan, produced in China, both designed by Pininfarina.
Bellocchio credeva. Ne è una ulteriore dimostrazione l’accordo di collaborazione stipulato fin dal 1996 tra la Pininfarina e l’industria cinese, e in particolare con la Hafei Industrial Group Corporation di Harbin, il cui primo frutto è il Minivan Songhualiang Zhongyi. Si è trattato di un lavoro lungo e meticoloso, durante il quale ingegneri e tecnici cinesi hanno seguito a Torino tutte le fasi progettuali e la realizzazione dei primi prototipi del veicolo, mentre un gruppo di tecnici della Pininfarina contribuiva in Cina al relativo processo di industrializzazione. Il nuovo
Minivan è stato quindi presentato quest’anno al Salone dell’Automobile di Pechino, riconfermando il successo di questa categoria di veicoli, alla quale il design e l’industria italiani hanno da decenni dato fondamentali contributi. Il Songhuajiang Zhongy è un MPV con telaio e meccanica Suzuki e dotato di due motorizzazioni (970 e 1051 cc, 4 cilindri a benzina), installate sotto i sedili anteriori. Nel suo spazio di 3,57 metri di lunghezza e 1,47 di larghezza potranno essere comodamente ospitate sette persone; l’accesso è consentito da cinque porte, con
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verticale) che in caso di foratura possono ancora percorrere 200 km, rendendo superflua la ruota di scorta, e infine un sistema propulsivo ibrido in serie del tutto nuovo, che fornisce un’autonomia di 400 km. Presentata al recente Salone di Francoforte, la Metrocubo ripropone dunque, come è facile vedere, il tema del design come cuore pulsante della progettazione industriale, soprattutto - ma non solo - nel campo dell’automobile, settore nevralgico - e nevrotico, potremmo aggiungere - della produttività mondiale. Maurizio Vitta
Un’opera di/a work by Mohammed Kacimi.
Kacimi a Parigi
Taluni Paesi del Nord Africa stanno attirando l’attenzione del mondo dell’arte, in forza di un risveglio autoctono misto a un vigile connubio con modi espressivi delle aree altamente tecnologizzate. Ciò vale per l’Egitto e anche per il Marocco. Negli ultimi anni quest’ultimo è sempre più efficacemente rappresentato nelle rassegne internazionali e in occasione di assegnazioni di premi da Mohammed Kacimi, ormai nel pieno della maturità anagrafica e poetica. Egli sente in modo particolarmente forte il rapporto natura-cultura e lo ha espresso in varie installazioni di ampio spessore etico e poetico oltre che nei più canonici dipinti. Ma la cultura nel suo caso non è consistita nelle nuove tecnologie, anche se talora egli le usa, bensì nel tipo di coscienza che ha assunto e ha invitato ad assumere nei confronti della natura “auscultata” (penso soprattutto alle sue “operazioni” nel deserto) con timore
apertura tradizionale per quelle anteriori e ribaltabile per quelle posteriori. Il veicolo è prodotto in Cina in circa centomila unità all’anno, a un costo oscillante tra i 6000 e i 6500 dollari. L’altro progetto della Pininfarina - per il momento in fase di studio - è invece la “Metrocubo”, vettura urbana caratterizzata da un pianale interamente libero, una capienza per cinque persone più bagaglio, sedili scorrevoli e asportabili, porte ad apertura diversificata per facilitare gli accessi, ruote anteriori più piccole delle posteriori, con pneumatici (del tipo Pax System della Michelin, ad aggancio
reverenziale e referenziale, quasi come uno sciamano influenzato dalla rilettura della mitologia greca. Questo impegno culturale è ben chiaro anche nei dipinti. In essi il colore materico (tinte spesso scure, qua e là contraddette da squarci improvvisi di luce (bianchi, celesti). Una narrazione astratto-figurale intensa, dal ritmo ansioso anche se controllatissimo, carica di escrescenze sincopate, di segni simbolici non privi di valore apotropaico. Sono forse questi “Les messagers” di cui si dice nel sottotitolo della mostra che Kacimi tiene a Parigi, alla Florence Touber Galerie, fino a tutto novembre. Dipinti energetici, sintesi degli elementi naturali fondamentali con connotazioni fortemente mediterranee che meritano di spostarsi dalla rue Vieille du Temple (dove si trova la Galleria) al vicino “tempio” del Beaubourg. Carmelo Strano
I paradossi dell’architettura Viguier’s Elegance
Rassegna d’informazione sull’editoria dell’architettura, del design e della comunicazione visiva. Information about publications in the architecture, design and visual communication fields.
Régis Debray Jean Paul Viguier Éditions du Regarde, Paris 1998, ill. col. e b/n, 260 pp Quando si ammirano i lavori di Jean Paul Viguier, la parola che viene in mente è eleganza; la sua architettura unisce la semplicità delle forme a una tecnologia sofisticata. Nelle sue creazioni si coglie perfettamente il paradosso dell’architettura, che si colloca tra lo spirituale e il materico, dibattuta com’è tra l’aereo e il pensante. E, nonostante questi elementi antitetici e tuttavia in rapporto dialettico l’uno con l’altro, Viguier riesce ad armonizzare la bellezza con l’industria, lo slancio del concetto con il vincolo della committenza. Poiché, a suo avviso, non esistono più luoghi naturalmente deputati alla costruzione, l’architetto deve, intervenendo nello spazio precostituito che ha a disposizione, inserire nel miglior modo possibile la costruzione nella cultura. Costruire un edificio su un sito diviene, pertanto, una questione di memoria, perché il sito si esprime e comunica un messaggio che deve essere
sempre interpretato. L’architetto, con le sue opere, lascia dei segni nel territorio e l’accumulazione di tali segni costituiscono il tessuto urbano in cui viviamo. Questo volume cerca di dar conto della poetica di Jean Paul Viguier, servendosi di molte fotografie che testimoniano gli interventi architettonici da lui realizzati negli ultimi anni. When we admire the works of Jean Paul Viguier, the word that most readily comes to mind is elegance. His architecture combines simplicity of form with sophisticated technology. His creations convey perfectly the paradox of architecture, which lies somewhere between the spiritual and the material, hovering between the aerial and rational thinking. And, notwithstanding these antithetical elements which, however, stand in a dialectical relationship to each other, Viguier has contrived to harmonize beauty with industry, the thrust of a concept with the limits set by the client. For, as he sees it, there are no longer any
places naturally designated for building; the architect must operate in the preconstituted space at his disposal and, as best as he can, fit the construction into its cultural context. Putting a building up on a particular site, therefore, becomes a question of memory, because the site expresses and communicates a message that must always be interpreted. With his works the architect leaves his mark on the territory and the accumulation of these marks make up the urban fabric we live in. This book aims to give us an account of Jean Paul Viguier’s poetics, and for this purpose it includes a great many photographs that testify to the architectonic operations that he has carried out in the last few years. In alto, la terrazza giardino della sede di France Télévision a Parigi (1994). Sotto, il Padiglione di Francia all’Expo di Siviglia (1992). A sinistra, modello del progetto per la torre IGH-Z, Parigi (1993).
Top, the gardenterrace of France Télévision HQ in Paris (1994). Below, the French Pavillion at Sevilla Expo (1992). Left, model for the IGH-Z Tower project in Paris (1993).
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Comunità virtuali
Pierre Lévy L’intelligenza collettiva/Per un’antropologia del cyberspazio Collana Interzone (a cura di E.”Gomma” Guarneri e Raf “Valvola” Scelsi) Feltrinelli, Milano 1999 (4^ edizione), 248 pp L’autore (Tunisi, 1956, lavora al dipartimento Hypermedia dell’Università di Parigi ) in questo libro si occupa delle “comunità virtuali” tecnologiche, scientifiche, etiche, antropologiche, filosofiche, economiche, anche, e, ovviamente, comunicazionali. Una visione inedita, persino audace. Ma, accettabile, comunque, perché è appassionata nella sua teleologica visione di un nuovo umanesimo. Quindi senso della libertà (“I regimi autoritari non hanno retto alle reti telefoniche”, anche perché -proseguiamo noi sulle orme dell’autore “l’intelligenza collettiva ha inizio solo con la cultura e si accresce con essa”); e ancora: universalizzazione dell’intelligenza nel senso di patromonio che appartiene a tutta la collettività. Quale collettività? Essa non è geograficamente circoscritta, non è rinserrata in un “qui e ora” etnologico, proprio perché è virtuale e, in quanto tale, sfugge a qualsiasi limite geografico e per di più sulla base di un coordinamento in tempo reale capace peraltro di provocare “una
Segnalazioni
mobilitazione effettiva delle competenze”. Lévy sostiene tuttavia che solo attraverso l’idea di collettività l’individuo trova le attese risposte. Ma, nel sottolineare quale è, per lui, l’obiettivo finale dell’intellegenza collettiva, non parla dell’individuo, ma fa riferimento all’“arricchimento reciproco delle persone”. Sembrerebbe allora che, nella sostanza, e al di là dei titoli, l’indagine poggi sul principio di reciprocità quale luogo di scambio “virtuale” virtualmente paritetico. D’altronde, in epoca di globalizzazione e della sua posizione dialettica con l’individuo e il genius loci, si è indotti a confidare nel “contagio”, nella adlinguisticité per dirla con un filosofo belga o, ancora, come proponevo agli inizi degli anni’80, nel “metamonosistema”, nulla di trascendente, ma solo un principio di relazionalità, tra i vari monosistemi (inidividui), non più “monadi senza finestre”. Lévy ci invita a “pensare insieme”, a passare dal cogito al Cogitamus. Al lettore il gusto di questa agile, appassionante e ben informata scorribanda per temi interdisciplinari sul filo rosso di una propositiva antropologia legata al cyberspazio. E vi si trova anche, lungo i 15 capitoli, una precisa attenzione all’arte e all’architettura e un “Manifesto per una politica molecolare”. Carmelo Strano
Mangiarotti scultore Luciano Caramel Il DNA della scultura. Angelo Mangiarotti Internazionale Marmi e Macchine Carrara, 1999, ill. in b/n, 72 pp In occasione della mostra a Carrara delle sculture di Angelo Mangiarotti, tenutasi dal 27 maggio al 27 giugno 1999, organizzata dal Comune di Carrara e dall’“Internazionale Marmi e Macchine” in collaborazione con “La Facciata SpA”, è stato realizzato a cura di Luciano Caramel e pubblicato dalla stessa Internazionale Marmi e Macchine, il volume intitolato “Il DNA della scultura” di Angelo Mangiarotti. Il volume contiene la raccolta delle opere esposte, rappresentate da sculture e disegni, espressioni di un autore “maestro d’architettura”. Il libro diventa curioso quando si scopre, attraverso le opere, un “passaggio” sconosciuto di Mangiarotti, cioè la sua attitudine a regolare, in modo continuo, la sua creatività, aggiornamento questo non comune. Egli è alla ricerca continua del suo rapporto con la materia.
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Ecco allora che appare l’utopico, il sogno, la forza imperativa del pensiero quando deve trasformarsi in pietra e cerca di esprimere i più alti sentimenti. E’ così che Mangiarotti si conferma “Maestro dell’arte del costruire”. Maestro perchè è uno dei pochi professionisti contemporanei in grado di esprimere che non vi è confine fra arte e architettura, a patto, però, che siano vera arte e vera architettura. Il suo linguaggio si riassume in una sola nota, sulla nota che intona la sinfonia del “sapere” del segno. La sapienza dell’espressione dell’arte, dove materia e spirito trovano i loro incontri in un dialogo che ci trova spettatori e osservatori della chiara immagine che da sempre è l’arcano non ancora scoperto, della relazione fra creare e sentire. Mario Antonio Arnaboldi
William Klein New York 1954-55 Peliti Associati, Roma 1998, ill. b/n, 256 pp Nel 1956 compare per la prima volta New York di William Klein, un testo di capitale importanza nel panorama fotografico mondiale. La sua pubblicazione ha provocato una vera e propria rivoluzione nel mondo dell’immagine; Klein ha imposto uno stile nuovo, grafico e violento in cui humour nero, critica sociale, poesia e satira costituiscono gli elementi principali del nuovo linguaggio visivo da lui elaborato. Questa nuova edizione è stata notevolmente rinnovata sia nella forma sia nel contenuto e arricchita di circa cento pagine supplementari con una dozzina di fotografie inedite. L’acier pour construir Revue trimestrielle d’architecture Per informazioni: 22, Rue Boileau 75016 Parigi Tel.: ++33 1 46064594 L’acciaio può svolgere molteplici ruoli, dando vita a un gioco tra le superfici e la costruzione, tra gli effetti della luce e la sensazione dei volumi, tra ciò che sorregge e ciò che protegge. Si delineano tutte le potenzialità che caratterizzano questo materiale, che è in grado di inasprire le strutture per celebrare gli spazi, di creare il lusso dell’internoesterno, di frammentare la luce... La rivista, partendo dallo studio di alcuni progetti realizzati, mette in luce le diverse modalità di utilizzo dell’acciaio e i differenti effetti architettonici che questo materiale produce. L’analisi e la pianificazione dei sistemi agricolo-forestali mediante GIS a cura di Alessandro Toccolini Collana: Sistema agricolo italiano Franco Angeli, Milano 1998, 144 pp L’utilizzo sempre più diffuso dei GIS (Geographical Information System) ha consentito l’affermazione delle tecnologie informatiche nei processi di analisi, pianificazione e gestione territoriale. Tale innovazione tecnologica è destinata a trasformare in breve tempo il modo stesso di concepire i processi di conoscenza e intervento territoriale. La città provvisoria... Fuori un grande silenzio come un dio che dorme fotografie di Giampiero Duronio e Sergio Maritato testi di Gilberto Centi e Roberto Mutti Collana Fotografia Edizioni Gabriele Mazzotta, Milano 1998, 90 ill. b/n, 120 pp Questa raccolta di fotografie nasce dall’esigenza di distinguere tra il vivere una città e il vivere in una città. Giampiero Duronio e
Sergio Maritato si sono confrontati con questa differenza e, in particolar modo, si sono confrontati con L’Aquila, la loro città, in modo profondo e diretto. Da qui nasce la scelta di fotografarla di notte, quando la realtà vive una dimensione particolare e tutto acquista un fascino nuovo e ignoto. Alle immagini notturne della città si accompagnano fotografie di persone, presumibilmente gli stessi abitanti, come a ricordare che la città, al di là delle apparenze, è viva e abitata. La splendeur des Rolin - Un mécénat privé à la cour de Bourgogne a cura di Albert Châtelet e Jean Richard Edition Picard, Parigi 1999, ill. col. e b/n, 344 pp Avvocato di talento, Nicolas Rolin guadagna ben presto la stima e la fiducia di Giovanni Senza Paura e quella di Filippo il Buono, di cui diviene cancelliere. Doni, pensioni, beni confiscati, regali di ogni natura si trasformano ben presto in accumulo di castelli e di terre, patrimonio che viene incrementato dal figlio Jean, vescovo di Chalon-sur-Saône e di Autun. I Rolin rappresentano l’esempio più notevole dei consiglieri dei duchi di Borgogna: alla volontà di adempiere a una missione sociale uniscono uno spiccato gusto per le arti. Nel 1660 si parlava ancora dello “splendore della loro casa”. Le fantastiche macchine di Leonardo da Vinci Come interpretarle, costruirle e farle funzionare a cura di Salvatore Sutera Skira, Milano 1998, ill. col., 112 pp Il volume presenta alcune delle principali macchine progettate da Leonardo nel corso della sua vita, ricostruite sulla base degli studi tecnici e scientifici del maestro. La descrizione storica è accompagnata dal racconto puntuale delle varie fasi di ricostruzione, in modo da consentire ai lettori la perfetta comprensione del funzionamento delle macchine e la ricostruzione delle medesime. Christian Moley Les espaces de l’habitat privé Immeuble ancien, immeuble recent Edition du Moniteur, Paris 1998, 250 pp Fondato sugli studi realizzati per conto del’ Agence intérnationale pour l’amélioration de l’habitat (ANAH), questo testo spiega come intervenire sugli edifici e si articola in tre grandi sezioni: le specificità concernenti il programma e l’inserimento urbano della produzione privata, la sua collocazione nella storia e le qualità di spazio e forma degli appartamenti.
Immagini del nostro secolo Errò’s Anti-Legends
L’esposizione “Errò, images du siècle”, in corso al Jeu de Paume a Parigi fino al 2 gennaio 2000 offre un’interessante panoramica del lavoro di questo artista di origine islandese trapiantato a Parigi dal 1958 noto per l’incisiva interpretazione che dà attraverso il suo lavoro. Tra i più attivi sostenitori del movimento di Figurazione narrativa, Errò evoca attraverso una selezione di circa sessanta opere realizzate dal 1962 ai nostri giorni, una sorta di antileggenda del nostro secolo. Le sue immagini, che trovano ispirazione dalla eterogeneità del mondo della comunicazione e della cultura - dalla cronaca dei
Notizie sui principali avvenimenti in Italia e nel Mondo. Reports on current events in Italy and abroad.
giornali, ai fumetti, al cinema fini alla critica e alla storia dell’arte restituiscono un ritratto cinico e a volte sarcastico della nostra società rielaborandone gli avvenmenti politici e di attualità di maggiore pregnanza. I suoi quadri che sono da leggere come da osservare ci rivelano i fantasmi e il caos della nostra epoca. In mostra anche una serie di collage che consentono di avvicinare con un particolare approfondimento analitico il lavoro dell’artista offrendoci i parametri di lettura per decodificare uno dei possbili criteri di intepretazione della storia del nostro secolo. Accompagna l’esposizione un In alto/top, Errò, Fishscape (1974); a sinistra/left, Mao at San Marco (1974).
catalogo che illustra tutte le opere esposte corredate da testi di Laurence Bertrand-Dorléac, Arthur Danto, Guy Tortosa e Sarah Wilson. The “Errò, images du siècle” exhibition on view at the Jeu de Paume until January 2, 2000 offers an interesting panoramic view of the work of this Icelandic artist, who has been living and working in Paris since 1958 and is well known for the incisive interpretations he conveys through his work. Among the most active supporters of the movement called “Narrative Figuration”, Errò, with some sixty major works carried out since 1962, evokes here a sort of anti-legend of our century. His images, inspired by the heterogeneity of the world of communication and culture - ranging from press reports to comic strips, and from the cinema to the criticism and history of art - offer a cynical and at times sarcastic portrait of our society and rework its most significant current and political events. His paintings, which call for interpretation as well as viewing, reveal the chaos and the phantasms of our age. Also on exhibit is a series of collages which make it possible to approach the artist’s work with much deeper analytical analysis, offering us parameters of interpretation for decoding one of the possible criteria for the interpretation of the history of our century. Accompanying the exhibit is a catalogue illustrating all the works on exhibit with comments by Laurence Bertrand-Dorléac, Arthur Danto, Guy Tortosa, and Sarah Wilson.
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A sinistra/left, Sport en Vogue “Zorbing (foto: Stefan Jäggy); a destra/right, André
L’evoluzione dell’automobile At Vitra Design Museum Il Vitra Design Museum ospita fino al 9 gennaio del 2000 l’esposizione “Automobility - Ce qui nous remue”, progetto interdisciplinare che, prendendo spunto dagli ambiti più diversi, ripercorre la storia e l’avvenire dell’automobile considerando come punto di partenza la sua funzione fondamentale: la mobilità individuale. L’esposizione non abborda il design propriamente detto, ma sceglie come tema l’intima connessione relazionale che accompagna e influenza la creazione dell’automobile. La mostra si articola in quattro sezioni; nella prima, “De la roue à l’auto”, si dà conto dell’avvento
Berger a Losanna
dell’automobile mediante l’esposizione di modelli e ricostruzioni a grandezza naturale, alcuni dei quali possono essere utilizzati dai visitatori. “L’ère de l’automobile”, la seconda sezione, presenta una selezione di modelli che hanno contribuito alla motorizzazione di massa del nostro secolo e che sono, al contempo, esempi di ottimo design. La terza sezione “L’automobile aujourd’hui” è una sorta di bilancio critico della situazione attuale in rapporto all’auto e alla mobilità, mentre la quarta sezione (“L’avenir de l’automobilité”) è consacrata a illustrare degli scenari futuri per le auto e la mobilità.
Patrick Berger, Sede UEFA a Nyon (1994).
Poyet, Sfera rotante/Rotating Sphere, 1882 (foto: Manuel Cheminau).
L’esposizione è corredata da un catalogo in cui sono presenti saggi di Paul Virilio, Giorgetto Giugiaro, Carlo Bellati, Vittorio Lampugnani e Wolfang Sachs. Through January 9, 2000 the Vitra Design Museum will be hosting the show “Automobility Ce qui nous remoue”. Taking its cue from the most disparate quarters, this interdisciplinary project retraces the history and the future of the car, considering the starting point as its fundamental function: individual mobility. The exhibit does not address design in the strictest sense of the term, but chooses as its theme the close relational connection that accompanies and influences the creation of the automobile. The show is divided
Dopo la mostra di Mendrisio nel 1997, anche Losanna dedica fino al 24 novembre un’ampia retrospettiva all’opera di Patrick Berger che, realizzata dalla stessa Accademia di Architettura di Mendrisio, è stata completata dal Dipartimento di Architettura dell’Ecole polythecnique fédérale di Losanna su incarico della UEFA. Losanna quindi rende omaggio all’architetto francese, oggi poco più che cinquantenne, in occasione dell’inaugurazione della nuova sede della UEFA a Nyon, uno dei suoi più interessanti lavori che gli valse il premio di un concorso bandito nel 1994. E proprio questo edificio ci può fornire i parametri essenziali per la lettura dell’intera opera di Berger, autore tra l’altro del suggestivo giardino del Parc Citroën nel XV arrondissement di Parigi. Pietra, vetro e metallo sono i materiali che individuano la stecca inserita in un giardino che scende dalla strada fino alle rive del lago. Una terrazza minerale definisce l’affaccio su strada aprendo la vista sul panorama del monte Bianco, mentre l’andamento a piani orizzontali successivi sposa il declivio naturale del terreno sul lago. Un lavoro questo che dimostra
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come ha sottolineato Jacques Lucan nell’introduzione al catalogo dell’esposizione (Skira) : “..assenza di contorcimenti, assenza di effetti chiassosi, rifiuto della ricerca impaziente e ansiosa di innovazioni, rifiuto di ogni genere di ricercatezza pittoresca o decorativa : il lavoro di Patrick Berger si situa nella distanza, nella differenza che separa il fatto del costruire dall’atto architettonico”. La ricerca di una necessaria intelligibilità delle forme architettoniche attraverso la rappresentazione del loro uso e della loro funzione, la qualità grezza dei materiali, la contestualizzazione nel paesaggio sono parte del processo creativo di Berger. Rientrano in questa logica l’assemblaggio, la composizione, l’articolazione degli elementi, l’attenzione al valore tattile dei materiali, alla loro fattura, alla ricerca di un mondo di sensazioni complementari a quelle puramente visuali. Sono momenti, tappe di un percorso metodologico e progettuale che collocano l’architetto francese al di fuori da schemi precostituiti o da logiche dominanti facendolo partecipe di una sensibilità proiettata verso una nuova dimensione linguistica.
into four sections. In the first, “De la roue à l’auto”, an account is given of the advent of the motor car through the exhibition of lifesize models and reconstructions, some of which can be utilized by visitors. The second section, “L’ère de l’automobile”, presents a selection of models that have contributed to mass motorization in our century and that also happen to be examples of excellent design. The third section, “L’automobile aujourd’hui” is a sort of critical summing up of the current situation as regards the motor car and mobility. Accompanying the show is a catalogue with essays by Paul Virilio, Giorgetto Giugiaro, Carlo Bellati, Vittorio Lampugnani, and Wolfang Sachs.
Leggerezza e armonia
La Galleria Aam-Architettura arte moderna di Milano ospita, sino al 20 novembre, la mostra “Sequenze. Disegni e mobili di Mario Asnago e Claudio Vender 1930-1960”. L’esposizione ricostruisce l’incontro e la collaborazione dei due artisti e mette in luce il sofisticato ragionamento che è sempre possibile individuare dietro le loro opere, nelle quali si percepisce la costante
Asnago e Vender, studio per gli interni del/study for the interiors of Negozio Istituto Ottico Viganò a Milano (1952-1958).
interrogazione sull’edificio e sulle sue relazioni con lo spazio esterno e interno. Si tratta di architetture dominate da un’estetica del rigore, della sparizione, della naturalezza nelle quali è sempre presente l’attenzione per il dettaglio e in cui una presenza ritmica aperta e contemporanea consente loro di proiettarsi nel presente, dando vita a un modo di abitare la città appagato, pacato e civile.
L’architettura della grafica SCI-Arc at SFMOMA Negli ultimi dieci anni il Southern California Institute of Architecture di Los Angeles ha commissionato alcuni dei più innovativi prodotti di graphic design (poster, brochure, manifesti, materiale elettronico) degli Stati Uniti, selezionando per la loro realizzazione noti designer, ma anche dando la possibilità a giovani professionisti di esprimere la propria creatività. Adesso il San Francisco Museum of Modern Art ha ottenuto circa ventiquattro dei migliori esempi di questa produzione per la propria collezione permanente e ha organizzato per la prima presentazione al grande pubblico dal 19 novembre al 20 febbraio 2000 una mostra intitolata “The Architecture of Graphics: Designs for SCI-Arc from the Permanent Collection of Architecture and Design”. Tra le opere in mostra, grafiche di April Greiman, Lorraine Wild, Adams/Morioka, Gail Swanlund, Tom Bonauro, Jennifer Sterling, Re Verb, Louise Sabdhouse, Lucille Tenazas, Caryn Aono, per lo più appartenenti alla collezione di poster che nel corso degli anni hanno pubblicizzato i seminari tenuti ogni anno da architetti, artisti, designer, registi, scrittori su temi quali “Architectural Continuums: Time. Space, and Sound”, “Magic and Architectural Space, “Sex, Cities, and Satellites”.
The San Francisco Museum of Modern Art has now acquired about 24 of the best examples of this production for its own permanent collection and, for the first presentation of these works to the general public from November 19 to February 2000, it has organized an exhibit entitled “The Architecture of Graphics: Designs for SCI-Arc from the Permanent Collection of Architecture and Design”. Among the works on view are graphics by April Greiman, Lorraine Wild, Adams/Morioka, Gail Swanlund, Tom Bonauro, Jennifer Sterling, Re Verb, Louise Sabdhouse, Lucille Tenazas, and Caryn Aono. Most of these works belong to the collection of posters that over the years publicized the seminars held every year by architects, artists, designers, directors, and writers on themes such as “Architectural Continuums: Time, Space, and Sound”, “Magic and Architectural Space”, and “Sex, Cities, and Satellites”. Tom Bonauro, poster per lo SCI-Arc.
In the last ten years the Southern California Institute of Architecture in Los Angeles has commissioned some of the most innovative products in graphic design (posters, brochures, placards, and electronic material) in the United States, selecting well-known designers for this work, but also giving young professinals a chance to express their creative ability.
Faenza capitale della ceramica
internet sites www.archioz.com.au Ampia rassegna sul mondo dell’architettura australiana. Si può accedere alle pagine degli architetti, alle scuole, ai fornitori di materiali edilizi e di software per la progettazione. Il sito è collegato con l’International Competition Network e fornisce informazioni sulle principali mostre e sui convegni, soprattutto quelli che si svolgono nel continente australiano.
www.archioz.com.au This site offers an ample survey of Australian architecture. Easy access is available to the pages of architects, schools, and to the suppliers of builing materials and software for designing. The site is linked to the International Competition Network and provides information on the main exhibits and on conventions, especially those being held in the Australian continent.
www.aiapp.net L’Associazione Italiana Architetti del Paesaggio si è dotata di questo sito in cui, oltre a presentare la propria rivista specializzata, fornisce informazioni circa gli avvenimenti relativi all’architettura di paesaggio che si svolgono nel mondo. Vi si trova anche una presentazione teorica e applicativa circa la figura dell’architetto paesaggista che, sempre più, svolge un ruolo fondamentale nella progettazione.
www.aiapp.net The Italian Association of Landscape Architects has acquired this site where, besides presenting its specialized review, it furnishes information regarding events in landscape architecture taking place in the world. Here one can also find a presentation in terms of theory and application regarding the figure of the landscape architect who, increasingly, is beginning to play a fundamental role in designing.
www.arx.org Sito dedicato prevalentemente alla bio-architettura. Oltre a link selezionati in tutto il mondo su questo argomento e a informazioni su attività, corsi ed eventi in tale campo, il sito si propone come forum di discussione tra gli utenti della rete. Questi gli argomenti su cui si può intervenire: bioedilizia, ingegneria, sviluppo sostenibile, costruire sano, arredare sano, ambiente e clima, riscaldamento attivo e passivo, raffrescamento, inquinamento, energia solare, energia eolica. Una sezione è dedicata a libri e riviste, turismo e agriturismo, fiere, mostre e saloni.
www.arx.org This site is prevalently dedicated to bio-architecture. Besides select links on this subject throughout the world and information on activities, courses, and events in this field, the site offers itself as a forum for discussion among web users. Here are some of the subjects that one can contribute to: biobuilding, engineering, sustainable development, sound building, sound interior design, the environment and climate, active and passive heating and cooling, pollution, solar energy, and wind energy. One section is dedicated to books and reviews, touring and agro-touring, fairs, exhibitions and showrooms.
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Biennale di Architettura in Brasile In occasione delle Manifestazioni Internazionali della Ceramica sono state organizzate cinque mostre che si svolgono a Faenza sino al 2 gennaio 2000. Primo fra tutti, il Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte, giunto alla cinquantunesima edizione, che ha insignito Torbjørn Kvasbø del premio Faenza per l’opera “Form”. Ai giovani ceramisti italiani, allievi degli istituti d’arte, è riservato il concorso Arte della Ceramica, quest’anno incentrato sulla creazione di prototipi di ciotola, che ha premiato Sonia Capozzi dell’Istituto Statale d’Arte di Avellino. La mostra Artisti nel mondo, curata da Janet Mansfield e Garth Clark, si affianca al Concorso
Internazionale, proponendo una selezione di affermate personalità del mondo dell’arte contemporanea, appartenenti a diverse aree culturali. Sono stati chiamati a esporre dieci artisti: Ruth Duckworth, Adrian Saxe, Carlo Zauli, Gwyn Hanssen Pigott, Varda Yatom, Martin Smith, Sueharu Fukami, Yoh Akiyama, Claudi Casanovas Y Sarsanedas e Bodil Manz. Viene proposta, infine, una grande personale dedicata a Sandro Lorenzini, artista savonese; sono esposte le opere ceramiche di grandi dimensioni eseguite a partire dal 1986 e un’opera inedita, costituita da una serie di pezzi in sequenza, realizzata appositamente per la manifestazione.
Dal 20 novembre al 25 gennaio prossimi si svolge a San Paolo del Brasile la quarta edizione della Biennale Internazionale di Architettura. La Biennale ha ormai acquisito una propria autonomia, anche grazie all’impulso dato dall’Istituto degli Architetti del Brasile (IAB), rispetto alla più generale Biennale d’Arte (iniziata dal 1951) in cui sempre era dedicata una sezione all’architettura. L’edizione di quest’anno, curata da Lucio Gomes Machado e Luiz Fisberg, è tesa a mettere in luce gli architetti e le opere
brasiliane che hanno segnato il XX secolo anche al di là dei confini nazionali. Si vuole inoltre con questa edizione avvicinare sempre più il grande pubblico alla qualità architettonica; con questo intenso, sono state organizzati una serie di eventi collaterali: forum, dibattiti, un festival cinematografico, concerti, pubblicazioni, corsi di perfezionamento, tutti legati ai temi architettonici. Per informazioni: Tel. ++55 11 5745922, ++55 11 5490230, bia@arquitetura.com.br
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Giovani pittori in mostra
Quando l’immagine diventa archetipo
La Galleria Comunale di Palazzo Sarcinelli di Conegliano ha in cartellone, sino al 30 gennaio 2000, la mostra “Sulla pittura. Artisti italiani sotto i quarant’anni”; l’idea che sottende alla manifestazione è quella di dare voce e spazio ai giovani artisti italiani che non abbiano più di quarant’anni e che si siano dedicati alla pittura. Gli organizzatori hanno pertanto tentato di raccogliere le migliori espressioni dell’arte contemporanea, seguendo una
Palazzo Magnani, a Reggio Emilia, presenta sino al 28 novembre una grande personale sul fotografo americano Eugene Smith dal titolo “Eugene Smith, fotografo. La passione della verità”. Sono esposte 185 immagini attraverso le quali i curatori della mostra, Pierre Bonhomme e Gilles Mora, tracciano in maniera ampia ed esaustiva il profilo del fotografo e reporter americano, collaboratore della rivista “Life” e dell’agenzia Magnum. Le fotografie di Smith non nascono dal semplice piacere personale. O, quantomeno, non solo; con i suoi scatti egli vuole registrare la vita del mondo, giungendo a delle immaginisimbolo, in cui è contenuta l’essenza stessa della verità. Compito del fotografo diviene, pertanto, il documentare la realtà, denunciandone le atrocità e le ingiustizie, senza tuttavia rinunciare al filtro delle emozioni personali. Lo scatto acquista, quindi, quella dimensione di verità morale che oltrepassa la verità oggettiva e proietta la fotografia in una dimensione archetipica e primordiale. L’unicità delle immagini di Smith è data, dunque, da un insolito connubio di coinvolgimento personale e ricerca artistica che lo porta, per i contrasti di luce e ombra, a ispirarsi a Rembrandt.
linea critica estranea alla volontà di settorializzare, per affiancare invece artisti affermati ad altri più giovani. Questa manifestazione, intesa dagli organizzatori come apertura al nuovo, non segue tendenze precise, né vuole fornire una panoramica completa ed esaustiva della situazione artistica in Italia, ma si colloca al di là di scelte critiche univoche e, soprattutto, non contempla alcuna logica di mercato.
Capolavori di inizio Novecento In Treviso
“Da Cézanne a Mondrian” è il titolo della mostra organizzata nelle Sale di Casa dei Carraresi, a Treviso, dalla Fondazione Cassamarca; sono esposte, fino al 9 gennaio, 120 opere tra le quali figurano alcuni capolavori della storia dell’arte europea dell’Otto e Novecento. Tentativo dell’esposizione è mostrare quali cambiamenti si sono verificati, in ambito pittorico, nel modo di intendere e dipingere il paesaggio, dando conto delle evoluzioni che si sono prodotte durante l’Impressionismo, l’Espressionismo e il Cubismo. L’arco di tempo indagato è quello che intercorre tra il 1878 e il 1919, anni cruciali non solo per la storia dell’arte; dalle fondamentali novità dell’Impressionismo, passando attraverso le esperienze del postImpressionismo, per poi accostarsi al Fauvismo e all’Espressionismo fino alla nascita delle avanguardie Cubismo e Astrazione - questi i grandi movimenti artistici che trovano spazio all’interno dell’esposizione. La scelta del paesaggio come tema non è affatto casuale: in primo luogo, e fondamentalmente, consente di dare alla mostra un’unità formale facilmente riconoscibile; in secondo luogo, indica come la pittura sur le motif costituisse, nel XIX secolo, quasi il senso di una fede. La mostra si articola in tre sezioni ed è corredata da un catalogo in cui sono riprodotte tutte le opere esposte.
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“From Cézanne to Mondrian” is the title given to the exhibit organized by the Fondazione Cassamarca in the Sale di Casa dei Carraresi, in Treviso. On view, through January 9, will be 120 works among which figure a few masterpieces of the history of nineteenth and twentieth century European art. The show is an attempt to demonstrate what changes have taken place, in painting, in the way artists understand and paint landscapes, taking into account the evolutionary changes produced during Impressionism, Expressionism, and Cubism. The span of time under consideration is the period between 1878 and 1919, which were crucial years not only for the history of art; years marked by the fundamental novelties of Impressionism, passing through the experiences of postImpressionism, then approaching Fauvism and Expressionism, and down to the avant-garde movements Cubism and Abstractionism the two great modern art movements, which are also represented in the exhibition. The choice of landscape art as a theme was by no means a matter of chance: in the first place, and fundamentally, it gives a formal and easily recognizable unity to the show; in the second place, it points up the fact that in the nineteenth century painting sur le motif had virtually become an article of faith.
Eugene Smith, in alto/top, Operaio con Occhiali (1955);
sopra/above, Senza titolo/Untitled (1955-56).
Ritorno alla figurazione Si può visitare fino al 28 novembre la personale di David Salle al Castello di Rivoli, curata da Dorine Mignot e Giorgio Verzotti. Il giovane artista americano (è nato a Norman, Oklahoma nel 1952) si è imposto all’attenzione della critica e del pubblico negli anni Ottanta con una serie di mostre in importanti gallerie di tutto il mondo, da quella di Leo Castelli a New York, a quella di Lucio Amelio a Napoli, Larry Gagosian a Los Angeles e Bruno Bischofberger a Zurigo e con la partecipazione alle grandi manifestaziuone internazionali a cominciare dalla Biennale di Venezia e a Documenta 7 a Kassel nel 1982.
A Rivoli era già stato in occasione dell’inaugurazione del museo con “Overture” nel 1984. Nelle sue opere, grandi dipinti su tela, combina frammenti di pubblicità, fotogrammi di film, fotografie sentimentali ed erotiche “soft”, citazioni da artisti del passato come Géricault o Courbet, trasformando le immagini dei mass media in dittici e trittici. Alla fine degli anni Ottanta, Salle è divenuto, insieme a Julian Schnabel, uno degli esponenti di spicco della tendenza che, prendendo le distanze dall’arte concettuale e minimalista, è tornata a privilegiare la figurazione.
David Salle, Tennyson (1983). In alto a sinistra/top left, Emile Bonnard, Pomeriggio a Saint-Briac (1887) e Claude Monet, Il Parlamento, cielo tempestoso/The Parliament House, stormy sky (1904).
Mosaici a Rimini
Palazzo del Podestà di Rimini ospita fino al 6 gennaio prossimo una mostra, intotlata “La forma del colore. Mosaici dall’Antichità al XX secolo”. Sono esposti più di cento esemplari policromi tra cui capolavori conosciutissimi ma anche pezzi di recente rinvenimento. La mostra parte dalle testimonianze della tradizione musiva dei primi secoli dell’era
ll “giovane” Barbisan romana per passare a quelli bizantini di Ravenna, a quelli dell’ambiente veneziano fino alla rifioritura del genere nel Sette e Ottocento e a quelli del Novecento, con opere tra gli altri di Severini, Funi, Cadorin per finire con Balthus. Per la prima volta, inoltre, sono finalmente ricongiunti tutti i frammenti musivi della Basilica Costantiniana Vaticana. Mosaico policromo con scena di porto, II secolo d.C./Polichrome mosaic with harbour scene, II century AD. Sotto/below, Orbetto, Adorazione dei Magi, olio su tela/oil on canvas, 219x117 cm.
Verona: omaggio all’Orbetto Cinquanta dipinti e una ventina di disegni costituiscono il corpus di una mostra che il Museo di Castelvecchio a Verona dedica fino al 19 dicembre ad Alessandro Turchi detto l’Orbetto (Verona 1578-Roma 1649). E’ frutto di uno sforzo scientifico e organizzativo teso a far conosccere al vasto pubblico un artista che il collezionismo internazionale ha costantemente amato. Già negli anni del soggiorno romano erano in molti a contendersi le opere dell’Orbetto: il conoisseur Louis Phélipaux de la Vrillière gli commissionò una Morte di Cleopatra da esporre nel suo palazzo parigino accanto alle opere di Pietro da Cortona, Guercino, Reni ecc. Turchi fu autore, con Bassetti e Ottino, del rinnovamento in direzione caravaggesca della pittura veneta e veronese in particolare del primo Seicento. Nella maturità si trasferì a Roma, dove ricevette importanti commissioni anche per la clientela internazionale. Le sue opere, tra cui alcune di quelle in mostra a Verona, si trovano oggi nei maggiori musei del mondo.
IIl Civico Museo Bailo di Treviso ha in programma, sino al 5 dicembre, una retrospettiva dedicata a Giovanni Barbisan, artista veneto scomparso qualche anno fa. La personale incentra la propria attenzione sulle opere giovanili, nelle quali l’adesione al gusto dei novecentisti allinea perfettamente Barbisan con la cultura degli anni Trenta; in particolare, è esposta la produzione pittorica e incisoria realizzata tra il 1928 e il 1945, dando conto dell’evoluzione artistica del pittore in un excursus temporale che va dagli anni passati all’Accademia di Brera al momento della prima importante mostra tenutasi a Venezia. La personale, in cui sono presentate
ottanta opere, quaranta dipinti e altrettante incisioni, consente di cogliere la complessità della pittura di Barbisan, caratterizzata da una vena intimistica e lirica, particolarmente evidente nei ritratti dai toni bruni e nelle natura morte.
Folletti a Sarmede
È giunta alla diciassettesima edizione la “Mostra Internazionale dell’Illustrazione dell’Infanzia: Le immagini della fantasia” che si tiene a Sarmede (Treviso) negli spazi del Palazzo Municipale. Tema di quest’anno, dal 6 novembre al 22 dicembre, sono “I folletti”. Sono presenti circa 250 opere originali dei maggiori illustratori per l’infanzia di tutto il mondo. Nel catalogo che accompagna la mostra, l’introduzione alla
sezione dedicata ai Folletti è stata affidata a Fernanda Pivano; una parte è poi dedicata alle illustrazioni e agli affreschi di Stepan Zavrel, artista ideatore della mostra. Ospite d’onore è Jozef Wilkon, attualmente tra gli illustratori più noti al mondo. Dopo Sarmede, la mostra inizierà un lungo viaggio che la porterà a Treviso in febbraio, a Siena in aprile, a Bolzano in maggio e poi in giro per l’Europa. Un’illustrazione di/an illustration by Stefan Zavrel. In alto/top, Giovanni Barbisan, Autoritratto/SelfPortrait, 1933.
Uno sguardo senza tempo…
La collezione Peggy Guggenheim a Venezia ospita, sino al 12 dicembre, la mostra “The Timeless Eye. Opere su carta della Collezione Jan e MarieAnne Krugier-Poniatowski”. Le opere esposte appartengono a una delle collezioni private considerata tra le più importanti del mondo che comprende oltre quattrocento opere su carta dal primo Rinascimento all’arte contemporanea. Sono esposti a Venezia 189 lavori, tra i quali segnaliamo opere di Tintoretto,
Parmigianino, Carracci, Tiepolo e Veronese - solo per citarne alcuni. Rubens, Rembrandt e Joerdans rappresentano invece i risultati raggiunti dalla scuola fiamminga e olandese. Alla Francia del XIX secolo è dedicato ampio spazio con le opere di Géricault, Degas, Delacroix, Seurat e Cézanne. Un’ampia sezione è stata allestita per le opere del XX secolo, tra le quali figurano lavori di Picasso, Klee, Kandinsky, Matisse, de Chirico, Ernst e Bonnard.
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Progettisti globali Naço in Paris
Una città moderna in territorio africano
Marcelo Joulia, argentino, e Alain Renk, francese, entrambi architetti d’interni sono le energie pensati dello studio Naço, fondato nel 1987 in concomitanza con un’esposizione organizzata dal VIA di Parigi (l’Associazione che riunisce le industrie francesi dell’arredamento). A dodici anni di distanza, il VIA accoglie nuovamente nei propri spazi una mostra omaggio che ripercorre l’esperienza progettuale di questo gruppo oggi tra le voci di punta nel panorama del design e dell’architettura contemporanei. Dalla Cité Numerique al progetto Flèches du Temps di Notre Dame de Paris - una sorta di segnale che avvolgerà le guglie della cattedrale per celebrare il passaggio al tezro millennio - ; dal design di mobili e oggetti d’arredamento allo studio dell’immagine coordinata fino alle ristrutturazioni di spazi commerciali, come Kokai, o a nuovi concetti di complessi turistici, come Club Med, l’esposizione presenta fino al 2 gennaio 2000 le diverse sfaccettature di un percorso riccamente articolato che trae la propria originalità dalle differenze. Nella propria sede, installata in vecchio granaio, Joulia e Renk lavorano affiancati da architetti, grafici, scenografi, artisti e designer che uniscono le loro energie e competenze contribuendo alla definizione di un progetto globale in grado di inscriversi nella specificità dei singoli contesti. Questo modo di progettare colloca lo studio Naço in una posizione trasversale rispetto a un mondo ormai impostato sulla specializzazione, un percorso che, se può essere considerato trasgressivo e contestatario, si risolve invece in un approccio generoso e aperto alla molteplicità dei bisogni del pubblico.
A Bordeaux, il centro di architettura arc en rêve ospita fino al 28 novembre una mostra interamente dedicata alle architetture di Casablanca. L’occasione è offerta dalla manifestazione “Temps du Maroc”, ma la mostra, che arriva in Aquitania dalla capitale, concepita dallo storico e architetto Jean-Louis Cohen e dalla sociologa e psicologa Monique Eleb e prodotta dalla Fondation Electricité de France, scava molto più a fondo rispetto a quella che potrebbe sembrare un’operazione di solidarietà e valorizzazione di una cultura ormai riscattata dalla soggezione francese. Viene infatti proposta una sorta di itinerario tra le architetture più emblematiche della città che documentano la straordinaria evoluzione di una metropoli
Marcelo Joulia, an Argentine, and Alain Renk, a Frenchman, both interior designers, are the brains behind the Naço studio, which was founded in 1987, concomitant with an exhibition organized by the VIA of Paris. Ranging from the Cité Numerique to the Flèches du Temps design for Notre Dame de Paris - a sort of sign that will enwrap the spires of the cathedral; and from the designing of furniture and other objects of interior decoration to the study of coordinated images and the restructuring of salesrooms, like those of Kokai; or again, to new concepts of touring complexes like the Club Med - the show, through January 2, 2000, will be presenting the different facets of a richly variegated path. In their own site, installed in an old barn, Joulia and Renk work side by side with architects, graphic designers, stage designers, artists and designers who combine their energies and specialties and contribute to the definition of an overall project that can be fitted into the specific character of single contexts. This way of designing, which has by now become nothing less than a way of life, places the Naço studio in a position somewhat off-centre with respect to a world now based on specialization. But while moving in a direction which may be considered transgressive and challenging, in the event, Naço’s approach proves to be generous and open to the multiple requirements of the public.
Un viaggio virtuale nella metropoli futurista Fino al 14 novembre, la Galleria degli uffizi di Firenze, nella Sala delle Reali Poste, propone la mostra “La Metropoli Futurista, Progetti impossibili”. Si tratta di una mostra multimediale centrata sull’architettura Futurista, curata da Vincenzo Capalbo con la direzione scientifica di Ezio Godoli, che si articola in tre sezioni tese a celebrare il novantesimo anniversario del Manifesto del Movimento Futurista Italia di Marinetti. La prima sezione fornisce informazioni generali sul Movimento e vede esposti
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manifesti e articoli. Nella seconda sezione sono esposti 52 progetti e disegni originali di Chiattone, Crali, De Giorgio, Ginna, Fiorini, Marchi, Mosso, Sant’Elia, Sartoris e cinque dipinti di Andreoni, Crali, Depero e Peruzzi. La terza sezione, infine, è costituita da una “passeggiata virtuale” nelle metropoli futuriste, resa possibile grazie alla proiezione su schermo di un video realizzato al computer sviluppando tridimensionalmente e animando i progetti mai realizzati degli architetti futuristi presenti in mostra.
In alto/top, Naço, Radio “Bainca M”. Sotto/below, Marius
Boyer, Edificio LévyBendayan Casablanca, 1928.
diventata nel giro di nemmeno un secolo il centro industriale ed economico più importante del Marocco passando dai 50 ettari del nucleo storico nel 1900 a un agglomerato odierno esteso su 86.000 ettari, di cui 15.000 urbanizzati, con una popolazione di circa 3,5 milioni di abitanti. Si capisce quindi con una simile realtà sia divenuta un territorio alquanto fecondo di speculazioni teoriche e di analisi critiche sulle caratteristiche sociali e urbanistiche che si sono via via sedimentate dando testimonianza di questa formidabile trasformazione. Dalle cartografie e stampe antiche, ai disegni di piazze e di vie come a quelli di edifici e di particolari ornamentali documentano la ricchezza creativa che ha stimolato la definizione architettonica della città in cui si sono mescolate culture e etnie diverse (non solo i francesi, ma anche gli spagnoli, gli italiani e in forma minore portoghesi, svizzeri, russi, polacchi, svedesi e americani) che hanno lasciato ognuno una propria traccia rielaborandone il linguaggio con la dimensione locale. Il materiale cartografico è accompagnato da una selezione di modelli frutto delle ricerche di architetti radicali come Marius Boyer, o Georges Candilis, Gaston Jaubert e Jean-François Zévaco, che trovarono proprio a Casablanca un terreno idoneo per sperimentare, negli anni Cinquanta, l’articolazione volumetrica di forme libere allora impensabili in un contesto europeo. Mito, avventura e mistero sono infine testimoniate da manifesti di propaganda colonialista e da pubblicità di film ambientati a Casablanca.
Thun a Trento
Matteo Thun, Villa Beautiful 1992.
La Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento organizza presso la sede di Palazzo Geremia, dal 3 al 30 novembre, una personale di Matteo Thun. In primo piano c’è l’attività progettuale dell’architetto bolzanino dedicata alla casa. In particolare vengono presentati, oltre che con modelli, immagini e disegni, con voci, odori, suoni e atmosfere specifiche, quattro progetti: Memory Village (1983), un villaggio della memoria, una necessità fisica di catalogare le icone dell’infanzia all’inizio della ricerca progettuale architettonica; Villa Beautiful (1992), una risposta realistica al ruolo che le immagini occupano nel nostro contesto urbano con una nuova interpretazione della
facciata che viene decorata con un sistema di tende telecomandate; O Sole Mio (1997), un sistema di case solari in cui prevale l’uso energetico ottimale, senza investimenti hightech, collettori solari o pompe di calore; infine Heidi’s (1999), un sistema di architettura prefabbricata con l’influenza dei masi tradizionali tirolesi.
Aggiornamenti per costruire
Specialista del vetro
E’ edito da Alveolater (Consorzio tra produttori di laterizio alveolato), il Quaderno Alveolater 5; guida dedicata a progettisti, tecnici e imprese di costruzioni che aggiorna esaustivamente sui prodotti e i sistemi, attualmente presenti nel mercato, in merito alla progettazione e all’esecuzione di murature in blocchi Alveolater. Il volumetto presenta in appendice, a proposito delle normative nazionali ed europee che hanno introdotto nuove e radicali regole di cambiamenti per progettare e costruire (come ad esempio per la muratura armata destinata a zone sismiche), la norma Uni 8942, dei decreti ministeriali 20 novembre 1987 e 16 gennaio 1996, nonché la Circolare n. 65/AA.GG. del 19 aprile 1997. A cura di Giorgio Zanarini, la pubblicazione presenta inoltre
Secondo produttore di vetro piatto in Europa, Glaverbel detiene attualmente il 24% della quota di mercato. In occasione del Batimat presente a Parigi dall’8 al 13 novembre, Glaverbel presenta nel proprio stand numerose novità tra le quali Stopsol SilverLight Green: una vetrata blu-verde, con una trasmissione luminosa e poco riflettente. Anche la serie di vetri caratterizzati per l’isolamento termico rinforzato si completa con la realizzazione di Thermoplus Starlite N. Questo vetrocamera, dotato di strato basso emissivo, combina proprietà straordinarie di isolamento termico, un aspetto neutro, una trasmissione luminosa pari a un normale vetro e un elevato fattore solare. Questo vetro viene assemblato
un’ampia serie di illustrazioni, grafici e tabelle con i dati aggiornati alle nuove ricerche e prove perimentali. Il volume può essere richiesto al produttore associato di zona o direttamente al Consorzio Alveolater (fax 051559816, o e-mail consorzio@alveolater.com).
sul nuovo Planibel Top N, il vetro semplice destinato ai fabbricanti di vetrocamera. Tra i vetri destinati alle applicazioni per interni (Glaverbel è stato tra i primi a produrre specchi ecologici privi di rame e piombo) si distingue il modello Mirox New Generation Ecological; questo specchio ha ricevuto l’encomio speciale dalla giuria preposta al “Design Ecologico” del concorso “Premi europei all’industria per un ambiente migliore” organizzato nel 1998 con il patrocinio della Commissione Europea. Nel settore della sicurezza emerge il Safe Step System: trattamento antisdrucciolo applicato alle lastre di pavimentazione e ai gradini delle scale in vetro laminato Stratobel.
Per prodotti impermeabilizzanti
Nord Bitumi, azienda produttrice da oltre trent’anni di membrane bitume polimero, mette a disposizione, di progettisti, direttori dei lavori e posatori il nuovo volume “Membrane Bituminose e sistemi di impermeabilizzazione”. Il volume, curato da Paolo Saracino, intende essere una guida per l’analisi, la valutazione e la scelta appropriata dei prodotti impermeabilizzanti attraverso l’approfondimento conoscitivo delle membrane bitume polimero. Indagando sui materiali di base si arriva ad analizzare e descrivere le diverse tipologie di membrane e relative prestazioni, mentre le parti attinenti al sistema impermeabile e alla sua progettazione, aiutano a
comprendere come il sistema impermeabile di copertura sia il risultato di un progetto che considera le caratteristiche di ogni suo componente, del modo in cui tali componenti funzionano e degli effetti che si possono avere a causa delle interazioni fra un componente e l’altro nelle condizioni di esercizio. Il curatore della pubblicazione si è impegnato in questo manuale, corredato di schemi, disegni e immagini fotografiche, convinto che un sistema di impermeabilizzazione affidabile necessiti di un buon progetto, di buoni prodotti e di una buona posa in opera. Il volume può essere richiesto direttamente alla Nord Bitumi e gratuitamente alla Nord Bitumi (fax 045 6094191, e-mail nord@nordbitumi.it).
Per serramenti metallici
Un accordo tra Federlegno Arredo (Federazione italiana delle industrie del legno, del sughero, del mobile e dell’arredamento) e Uncsaal (Associazione Nazionale Costruttori di Serramenti in Alluminio, Acciaio e Leghe) ha stabilito che nel corso dell’edizione 2001del Saiedue di Bologna, si inaugurerà il Salone delle tecnologie e dei sistemi per i serramenti metallici , con cadenza biennale. Ugo Avanzini di Uncsaal dichiara che “L’iniziativa vuole essere non solo uno strumento di razionalizzazione dell’offerta del
comparto, ma anche il motore di iniziative europee e, negli anni di assenza, il catalizzatore di importanti occasioni di riflessione, approfondimento e rappresentanza che coinvolgeranno tutto il settore”. Da parte sua Rodrigo Rodriguez, Presidente di Federlegno Arredo, sottolinea che questa “ è una tappa importante nel percorso di posizionamento del Saiedue del nuovo millennio che si conferma, forte di 120.000 visitatori e oltre 60.000 mq di superficie espositiva, vetrina unitaria per l’intera filiera dell’architettura d’interni.”
Nuovi servizi professionali
Di Hewelett-Packard il primo portfolio di servizi professionali HP Digital Workplace; questa linea di servizi fa parte della nuova iniziativa HP e prevede prodotti e servizi finalizzati alla messa a punto di soluzioni aziendali nel campo IT. Il pacchetto HP Digital Workplace consolida la leadership e l’esperienza di HP nel settore della consulenza, dell’integrazione di sistemi, della formazione e dell’outsourcing, competenze che consentono agli utenti di beneficiare di maggiori capacità e possibilità nel campo della gestione delle informazioni. I servizi del prodotto sono indirizzati alle esigenze delle grandi aziende e di numerosi comparti industriali, che intendono ottimizzare le proprie attività attraverso il deployment di applicazioni e iniziative IT ad ampio respiro, quali l’ecommerce. I servizi professionali
HP sono indirizzati alle seguenti aree specifiche: “Consulenza”, HP offre agli utenti il contributo personalizzato di esperti e consulenti HP, finalizzato allo sviluppo di un’efficace strategia di gestione dell’informazione in linea con il loro specifico business e con i loro esclusivi obiettivi IT; “Servizi di formazione”, HP mette gli utenti in grado di sfruttare pienamente il potenziale dei processi e delle tecnologie di copia e stampa di nuova implementazione, assicurando loro il raggiungimento di livelli di produttività più elevati e l‘impiego ottimale delle nuove apparecchiature; “Outsourcing strategico”, HP offre soluzioni a lungo termine che consentono agli utenti di demandare a esperti esterni la gestione dei propri ambienti stampa in rete, in modo di potersi focalizzare sulle proprie attività principali.
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Per “Trasmissione segnali”
Intervenire sull’ambiente
Nell’ambito del sistema “Trasmissione segnali” , Vimar ha realizzato una nuova gamma di prese TV e di connettori mobili che sostituiscono i vecchi prodotti in conformità alle recenti norme CEI EN 50083. La nuova gamma permette la realizzazione di impianti adatti a ricevere le nuove trasmissioni TV, i nuovi servizi e le loro future evoluzioni. I nuovi requisiti normativi prevedono, rispetto alle vecchie prese TV e per ottenere una standardizzazione a livello europeo, l’utilizzo di un connettore maschio IEC 169-2 per la porta TV. Le nuove prese coassiali sono adatte al collegamento di apparecchiature d’utente in impianti per la distribuzione di segnali televisivi e sonori, analogici e digitali, terrestri, da satellite e via cavo nella banda di frequenze 5-2400 Mhz, banda nella quale è possibile utilizzare applicazioni di interattività e Internet via satellite. La nuova gamma di prese TV-RD-SAT
La statunitense Vermeer Manufacturing Co. è specializzata nelle linee che comprendono: attrezzature per escavazione; prodotti per la cura dell’ambiente in merito a trapiantatrici per alberi, sminuzzatori per cespugli e frese per ceppi; sistemi direzionali di perforazione e di strumenti per perforazione pneumatica; prodotti per l’agricoltura riguardanti il pressaforaggio per balle cilindriche. Attualmente la società è impegnata nel poderoso progetto di costruzione per le ferrovie ad alta velocità Britanniche del Regno Unito: il collegamento merci tra Londra e Folkestone che servirà il “Channel Tunnel” (la Galleria sotto la Manica). In questo ambito RM Re-cycling svolge un ruolo significativo con i tre trituratori TG400 utilizzati nei primi due cantieri concessi alle
Vimar è costituita da 4 prese a una uscita (ingombro 1 modulo) per il collegamento di un solo apparecchio (TV o ricevitore SAT) e da 4 prese a due uscite (ingombro 2 moduli) per il collegamento contemporaneo di due apparecchi (es. TV e ricevitore SAT oppure TV e radio), di cui, in entrambe le famiglie, una derivata che permette il passaggio di corrente continua e segnali di controllo (24 V 500 mA max) e tre passanti con attenuazioni di 10 dB, 15 dB e 20 dB. Queste nuove prese sono innovative non solo dal punto di vista elettrico e normativo, ma anche da quello meccanico. Sono realizzate in metallo pressofuso e, grazie alle soluzioni tecniche adottate per la costruzione dei morsetti e del serracavo, garantiscono una elevatissima efficacia di schermatura. Il serracavo, con apertura a 110° e posizione di blocco, facilita l’accesso ai morsetti e le operazioni di cablaggio.
imprese AMEC7McAlpine e Kverner Construction; entrambi i luoghi, coperti di boschi fitti, hanno richiesto una drastica pulizia per consentire l’inizio dei lavori di costruzione su un’ampia area. Gli attuali e severi controlli ambientali per la bruciatura dei materiali organici e le tasse di discarica, che oscillano in continuazione, rende conveniente che i rifiuti organici vengano riciclati con l’utilizzo di trituratori di capacità elevata come nel caso del TG400. Questo trituratore è infatti in grado non solo di ridurre i materiali lavorati fino a un volume ridotto al 75% in meno di quello iniziale, ma anche di trasformarli in risorse apprezzate come materia prima per composti d’alta qualità, combustibili organici o triturato utile per il ripristino del paesaggio che ha subito l‘intervento.
Oro per impianti sportivi e tempo libero Si è conclusa a Colonia la designazione dei vincitori dello IOC/IAKS Award 1999, premio per “Strutture esemplari nel settore dello sport e del tempo libero”. Questo concorso di architettura dedicato a centri sportivi e al tempo libero, già utilizzabili e operativi, risale al 1987, ha cadenza biennale, e si svolge nell’ambito della Fiera di Colonia durante l’FSB, il Salone Internazionale delle attrezzature per il tempo libero, impianti sportivi e piscine. Per la prima volta il concorso, promosso dall’Associazione Internazionale Impianti Sportivi e Tempo Libero (IAKS), ha avuto la partecipazione dello IOC (Comitato Olimpionico Internazionale). Committenti e
architetti di 18 Paesi hanno presentato le proprie candidature, e una giuria internazionale le ha selezionate premiandone 24 con medaglie, mentre altre cinque sono state menzionate “con lode”. Le medaglie d’oro assegnate sono state tre: due alla categoria A (impianti sportivi per manifestazioni internazionali) rispettivamente alla Nagano Olympic Memorial Arena, Nagano, Giappone e al Sydney International Aquatic Centre, Sydney, Australia; una alla categoria B (strutture sportive per il tempo libero in zone urbane periferiche e in aree extraurbane) conferita allo Sporthalle Hohenpolding, Hohenpolding, Germania.
Per piastrelle e arredobagno
La diciassettesima edizione del Cersaie, dal 28 settembre al 3 ottobre 1999 a Bologna, ha registrato un record di espositori e di superficie espositiva che, grazie ai nuovi padiglioni 19 e 20, ha raggiunto i 136.000 metri quadrati. Con 1054 aziende espositrici (198 straniere), Cersaie ha realizzato una panoramica straordinaria in termini di tecnologie, materiali e iniziative per consentire agli operatori del settore la rassegna più completa ed esaustiva di quanto è attualmente presente nel mercato.
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Ora in Italia System Thinking di Owens Corning, leader mondiale nel campo delle fibre di vetro e dei materiali compositi, propone quelle soluzioni al servizio dell’edilizia che comprendono: l’isolamento termico e acustico, la copertura tetti ed esterni a bassa manutenzione, fornendo contemporaneamente le relative informazioni necessarie per pianificare e gestire al meglio la costruzione di edifici, la loro ristrutturazione e i progetti di restauro. I quattro sistemi relativi alle soluzioni offerte da System Thinking, attualmente collaudati con grande successo negli Stati Uniti, sono: Insulating System “Sistema di Isolamento Termico”
proposto dalla società che combina un insieme di prodotti per assicurare isolamento termico, protezione dalle infiltrazioni d’aria e resistenza all’umidità; Sound Control System - “Sistema di Isolamento Acustico” che elimina sino al 50% la rumorosità esterna; Roofing System - “ Sistema tetto” che garantisce la casa dall’effetto vento, pioggia, neve e sole, basandosi sul concetto di tetto stratificato che combina tegole, sottotegole e ventilazione; Exterior System - “Sistema Rivestimenti e infissi” che utilizza materiali da costruzione per consentire la minima manutenzione e l’inalterabilità nel tempo.
Nuova protezione dal fuoco
Venature e colori da marmo
Fireflex Bifire, di Advin, è un prodotto nuovo ed esclusivo che fa evolvere straordinariamente il problema della protezione dal fuoco REI 120 di tubazioni metalliche e condotte di ventilazione. Il prodotto si caratterizza per: la totale flessibilità, la grande leggerezza (6,5 Kg/mq in confronto ai circa 20 Kg/mq dei sistemi attuali), lo spessore contenuto (circa 60 mm), l’elevata facilità di taglio e i costi ridotti del 50% circa. Tutto ciò comporta notevoli vantaggi: perfetta adattabilità a qualunque forma e superficie grazie alla flessibilità; possibilità di limitare le strutture di sostegno o di intervenire su strutture
In Marmor Verum, di Emilceramica, le venature e i colori del marmo vengono evidenziati dal supporto in porcellana candida e dalle numerose sovrapposizioni di smalti e serigrafie che lo rendono identico al marmo più selezionato. Appartenente alla linea Porcellana & Smalto, questo prodotto presenta colori attribuibili ai materiali naturali più diffusi come il bianco statuario, l’avorio perlato, il giallo Siena, il verde afyon e il rosa damascato. Il trattamento riservato a Marmor Verum gli consente la stessa lucentezza e profondità della superficie marmorea.
preesistenti con un peso irrilevante assicurato dalla leggerezza; costi ridotti del prodotto e risparmi determinati dalla maggiore velocità/facilità di installazione e dalla possibilità di usare armature più leggere. Queste caratteristiche rappresentano notevoli vantaggi competitivi. Fireflex Bifire, prodotto realizzato attraverso la tecnologia Bifire di Advin, si basa sulle determinate e particolari proprietà di un gel superisolante e si è sviluppato con la collaborazione di tecnici esperti, di creativi e di strutture sofisticate per poter rispondere al meglio alle esigenze di un mercato internazionale. Il prodotto è fornito in materassini di mm 1200x2000 per i canali di ventilazione, mentre per le tubazioni metalliche è disponibile un kit nella misura dei diversi diametri e completo di accessori per il montaggio.
Quattro Saloni in fiera
Il lavabo Philippe Starck, di Duravit, ha ricevuto il premio Good Design Award, conferito dal Chicago Athenaeum, che ha particolarmente preso in considerazione il concetto della “vecchia bacinella” in uso nei tempi passati, da Starck interpretata in chiave nuova e originale. Il risultato è un lavabo di elegante rigore formale, che poggia su un piano di ceramica bianca di 70 cm di larghezza per 58 cm di profondità, sostenuto a sua volta da una struttura in legno massiccio.
Riunendo quattro Saloni, la Light + Building (Fiera di Illuminazione, Elettrotecnica, Tecnica di Condizionamento e Automazione di Edifici dal 19 al 23 marzo 2000 a Francoforte sul Meno) ha concluso un’operazione che porta la Messe Frankfurt a costituirsi come polo fieristico emergente per l’architettura e la tecnica. Con la ISH, che include la tecnica idrosanitaria e la tecnica di riscaldamento, la nuova fiera Light + Building, che avrà cadenza biennale, chiude il cerchio relativo alle tematiche sulla progettazione, la costruzione e il management di edifici. Moltissimi gli espositori che parteciperanno a questa prima edizione dell’evento (1200 gli inscritti) con un indice di
Luce da incasso
Quarant’anni di luce
Una premiazione
Studiato per l’incasso totale nei muri, Flat Incasso, di Simes, è un apparecchio illuminante pensato per evitare che possa minimamente sporgere dal filo della superficie di appartenenza. Viene fornito di tubo pozzetto in polipropilene per vano ad incasso, valido per l’ancoraggio dell’apparecchio, ed è dotato di griglia 45° che dirige la luce verso
il basso per evitare l’abbagliamento. La resistenza meccanica del vetro è di 25 Joule e la verniciatura, risolta con polveri ad alta resistenza alla corrosione, subisce il pretrattamento di fosfocromatazione. Di colore nero Flat Incasso ha il grado di protezione IP55, Classe 1. L’apparecchio viene fornito dotato di lampadina.
Il formato, di cm 36x36 e di cm 45x45, è completato da pezzi speciali come il battiscopa, il gradino classico e quello angolare e sono stati studiati decori ispirati alla tradizione italiana dell’intarsio marmo, come rosoni e bordure.
Nell’ambito della 22a edizione di Batimat (Paris Expo - Porte de Versaille - 8 - 13 Novembre), nato nel 1960, che festeggia 40 anni di presenza fieristica, per la prima volta si svolge “Lux Design”: mostra celebrativa sul design dedicato alla luce, che intende evidenziare attentamente, attraverso questo periodo, l’intero percorso riferito al tema dell’illuminazione e, soprattutto, chiarire che cosa di quel periodo è rimasto nel design di oggi, che cosa è andato perduto e che cosa ha ancora un valore propositivo nello scenario del prossimo secolo. Alla luce di questa iniziativa Batimat e le riviste l’Arca e l’Arca International, con l’intento di definire le prospettive del design espresso attraverso il tema dell’illuminazione, analizza i ripensamenti degli anni
internazionalità che si muove attorno al 50% e vede in testa l’Italia, seguita da Spagna, Austria, Belgio e Francia. Light + Building si svolgerà in contemporanea alla Fiera di Hannover per consentire ai visitatori stranieri di avere facilitata la presenza in entrambe le manifestazioni che avranno in comune il biglietto d’ingresso. Attualmente il Salone Illuminazione è il più sviluppato numericamente, occupando uno spazio di 100 mila metri quadrati lordi e con la disponibilità di circa 800 espositori, seguito dal comparto riservato all’Elettrotecnica, che precede a sua volta la Tecnica di Condizionamento e l’Automazione di Edifici.
Settanta, le trasgressioni degli anni Ottanta e i faticosi equilibri raggiunti negli anni Novanta, e cerca di stimolare quanti progettano nel confronto con le nuove tecnologie, i nuovi materiali e gli attuali modelli di vita individuale e collettiva. La mostra ha il suo momento più significativo nel confronto tra 20 apparecchi illuminanti progettati negli anni Sessanta e 60 apparecchi progettati attualmente in Europa e selezionati da una giuria composta pariteticamente da esperti francesi e italiani. Durante l’esposizione si tiene una tavola rotonda, coordinata da Cesare M. Casati, Direttore de l’Arca, dove i membri della giuria si confrontano con designer, architetti e produttori.
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Certificate per la biopersistenza
Per l’area mediterranea
La lana minerale di scoria, prodotta e utilizzata da Armstrong per i propri prodotti, ha ottenuto dalla Commissione Europea la certificazione di “Biopersistenza”. Ciò esonera
Presente alla prima edizione di Sicurezza Mediterranea, (rassegna biennale dedicata al settore della sicurezza e automazione degli edifici nell’area del mediterraneo, svoltasi a Bari dall’11 al 19 Settembre 1999), il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) ha creato, in uno spazio attrezzato, un punto di contatto e di informazione in relazione alle normative del settore. Impegnato a diffondere la cultura della sicurezza elettrica e della normativa tecnica nel mercato mediterraneo, il CEI ha
Armstrong dalle nuove disposizioni relative all’etichettatura dei prodotti classificati in classe 3, obbligati a essere identificabili su ogni cartone. L’impiego dei prodotti della società riguardanti la lana certificata, in merito alla biopersistenza, rende superflua la necessità di fornire informazioni su lunghezza, diametri delle fibre e possibilità di migrazione: questi dati non sono più rilevanti per i controsoffitti Armstrong. La gamma design “Contrast&Graphics”, relativa alla produzione di pannelli in fibra minerale, rientra ovviamente nella normativa per la Biosolvibilità, e rappresentano nuove possibilità per creare contrasti o armonici effetti di luce e ombra. La linea Contrast permette di combinare le tradizionali prestazioni del decoro Cirrus con raffinati disegni geometrici, mentre Graphics presenta la finitura dei tradizionali pannelli in gesso liscia, completata dall’accessibilità.
Tappeto di marmo
Azul, il nuovo rosone di Iris Porcellanato Fabbrica Marmi e Graniti, realizzato con il “Marmo di Fabbrica”, ha la funzione estetica e decorativa di un vero tappeto, e, studiato per ambientare negozi, banche, centri commerciali e spazi domestici, Azul è prodotto con
terre e minerali selezionati tra i migliori in natura. Realizzato, nelle tonalità del bianco, dell’azzurro e del nero, con le tecnologie esclusive e brevettate di Iris Porcellanato, questo rosone è straordinariamente resistente alle macchie, agli acidi, all’abrasione e al carico di rottura, ed è inoltre semplice da pulire e non richiede trattamenti speciali. Nata nel 1998, la divisione Iris Porcellanato Fabbrica Marmi e Graniti, è la più recente iniziativa presente nel Gruppo Iris Ceramica, e produce marmo di fabbrica con l’applicazione di un processo assolutamente esclusivo. I marmi e i graniti prodotti si presentano come pietre dall’aspetto naturale per tridimensionalità, per la totale variazione estetica dei singoli pezzi e per la resistenza.
Per l’edilizia in Argentina
Miller Freeman organizza in Argentina, dal 29 maggio al 3 giugno 2000, la terza edizione della mostra Fematec, rassegna dedicata all’Italia e specializzata nei settori concernenti l’industria dell’edilizia, delle costruzioni e della decorazione d’interni, nella quale Femetec presenta, in
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un’ampia gamma, i macchinari, i materiali e i prodotti relativi all’area d’impiego. La precedente edizione (maggio 1999) si è svolta presso il Centro Internacional de Esposiciones San Justo di Buenos Aires, su un’area di 100.000 mq con la presenza di 800 espositori italiani.
messo a disposizione le edizioni CEI con particolare attenzione alle normative tecniche di settore riguardanti i maggiori temi trattati nella rassegna, come la protezione attiva e passiva di beni e persone da furti e aggressioni, le normative relative alle tecnologie antincendio, la sicurezza sul luogo del lavoro e l’automazione degli edifici. Di notevole rilevanza nel contesto, le ultime novità normative inerenti la progettazione e l’installazione degli impianti in ambienti particolari.
Rinnovare la luce
Tronconi, specialista in lampade, cambia totalmente la propria immagine proponendo, nella creazione di un catalogo rinnovato nella sostanza, nuove e innovative iniziative mirate alla realizzazione di prodotti di design ad alto contenuto tecnologico, studiati da progettisti con esperienze internazionali. Guidata da Fabrizio Tronconi, l’azienda vive attualmente un impulso di grande vitalità e innovazione che intende concretizzarsi in prodotti anticonformisti, di elevato design, coerenti con il nostro momento culturale e del tutto rispondenti alle migliori soluzioni tecnologiche oggi possibili. Le prime proposte realizzate sono state affidate a Chistophe Pillet, Arik Levy e Paul Doll+FWDM, che inaugurano una collezione insolita ed elegantemente rigorosa. Tra i nuovi prodotti presentati sorprende “Alchemy” di Arik Levy, che nasce con il concetto di scoprire e proporre un nuovo uso di oggetti solitamente destinati ad altri utilizzi. Alchemy è una lampada di
estrema originalità, realizzata con l’impiego di una provetta da laboratorio riempita di cristalli di vetro, che sommergono una lampadina creando un particolare effetto di luce.
Per nuovi complessi cinematografici
Le problematiche relative all’attuale trasformazione dei singoli spazi dei cinema, in tipologie che riguardano i multisala urbani e i multiplex extraurbani, hanno spinto Lafarge Gessi, produttrice di sistemi in gesso rivestito, controsoffitti, pareti e contropareti, e con una grossa esperienza applicativa nei nuovi cinema, a promuovere un incontro dal tema: “L’Architettura dei nuovi spazi del cinema e il loro rapporto con la città”. Il dibattito, che si è svolto lo scorso giugno a Roma
Magliana, ha visto la presenza di esponenti del mondo imprenditoriale, dell’architettura e dello spettacolo, e ha indagato sullo stato dell’arte dell’architettura del cinema e i possibili prossimi sviluppi ed evoluzioni. Proprio in merito alle problematiche edili cinematografiche Lafarge Gessi produce attualmente sistemi in gesso rivestito per pareti, contropareti e controsoffitti ad alte prestazioni acustiche e protezione al fuoco per complessi cinematografici.
Agenda Concorsi di architettura e design Architecture and design competitions
Canada Toronto Tilley Design Competition Concorso internazionale di design per lo studio di nuove soluzioni per i viaggiatori del terzo millennio e per nuovi materiali/International design competition for new solutions for the third millennium travellers and new materials Scadenza/Deadline: 19/11 Per informazioni: Design Exchange 234 Bay Street, 4th Floor Toronto-Dominion Centre Toronto, ON, M5K 1B2 Canada Tel. ++1 416 2162148 Internet: www.tilley.com E-mail: programs@dx.org
Giappone/Japan Sapporo Sapporo International Design Competition 2000 Concorso internazionale sul tema “Progettare una città dei sogni: Progetti per Sapporo”/International competition on the theme “Planning a City of Dreams: Designs for Sapporo” Scadenza/Deadline: 31/1/2000 Monte premi/Total prize money: 1.600.000 Yen Per informazioni: Secretariat of Sapporo International Design Competition Executive Committee c/o Hokkaido Mirai Sogo Kenkyusho (Hokkaido Institute for the Future Advancement) Sumitomo Kaijo Sapporo Building 8F, Nishi 7, Kita 1, Chuo-ku, Sapporo, 0600001 Japan Tel. ++81 11 2072630, fax ++81 112614882 Internet: www.city.sapporo.jp/shimin/dezain/sapht ml/index.htm E-mail: design@voicenet.co.jp
Gran Bretagna/Great Britain Oxford TIA Sustainable Building Competition Concorso internazionale per studenti (AA 1999-2000) in due sezioni: 1. Riprogettazione e sistemazione di un edificio per uffici esistente; 2. Progettazione di un centro commerciale per una città del XXI secolo/International student (AY 1999-2000) competition in two sections: 1. Redesigning and retrofitting of an existing office building; 2. Design of a new commercial complex for a city of the 21st century Consegna/Submission: 30/3/2000 Monte premi/Total prize money: 24.000 Euros Per informazioni: Secretary of TIA Sustainable Building Competition School of Architecture Oxford Brookes University Oxford OX3 OBP, UK Internet: www.unifi.it/project/tia/competition E-mail: tia@dpmpe.unifi.it, tia@brookes@ac@uk
Italia/Italy Casalgrande (Reggio Emilia) Grand Prix Ceramica Casalgrande Padana 4ª Edizione del concorso internazionale che premia i professionisti che hanno valorizzato il grès porcellanato a marca Granitogres e Marmogres/4th International competition for architects who utilized porcelainized grès, Granitogres and Marmogres Scadenza/Deadline: 31/7/2000 Monte premi/Total prize money: 54.000.000 Lit. Per informazioni: Segreteria del Grand Prix c/o Ceramica Casalgrande Padana Strada Statale 467, 73 42013 Casalgrande (RE) Tel. ++39 0522 9901 Fax ++39 0522 996121 Internet: www.pianeta.it/casalgrandepadana/
Firenze La penna del 2000 Concorso per studenti iscritti alle facoltà di Architettura italiane per l’ideazione di una penna/Competition open to students of architecture in Italian Universities for the design of a pen Scadenza/Deadline: 15/12 Premio/Prize: 10 viaggi a Parigi/trips to Paris Per informazioni: Stypen Italia Via dello Stelli 4/C, Località Vallina 50012 Bagno a Ripoli (FI) Tel. ++39 055 696494/6
Milano Nuovi Segni Concorso nazionale di idee rivolto a laureandi e neolaureati per il progetto di riqualificazione di un’area urbana milanese identifica come “Porta Interscambio” Scadenza: 30/11 Premio: Stage remunerato di un anno presso il Renzo Piano Building Workshop Giuria: Fulvio Irace, Massimiliano Fuksas, Paolo Fabbri, Guido Martinotti, Salvatore Carrubba, Maurizio Lupi Per informazioni: Il Sole 24 Ore Ufficio stampa Nuovi segni Tel. 02 30224955, fax 02 30224959 Internet: www.ilsole24ore.it/nuovisegni
Opos Under 35 Concorso internazionale per designer under 35 (nati dopo l’1/1/1964) per prototipi da presentare al Salone del Mobile di Milano del 2000/International competition open to designers under 35 (born after 1/1/1964) for prototype to be presented at Milan Furniture Fair 2000 Scadenza/Deadline: 15/1/2000 Per informazioni: Opos Via Ermenegildo Cantoni 3, Milano Tel. ++39 02 33404307 Fax ++39 02 33404309 Internet: www.opos.it E-mail: contact@opos.it
Imagineering Concorso internazionale di design per studenti di design e giovani designer (laureati dopo il 1996) di Francia, Germania, Italia, Spagna, Portogallo e Regno Unito, sul tema delle applicazioni dei tecnopolimeri nel campo della “Sicurezza e Cura della Persona/International design competition open to design students and young designers (degree after 1996) from France, Germany, Italy,
Spain, Portugal, United Kingdom, on the theme of application of technopolymers in the field of “Personal Security and Care” Scadenza/Deadline: 31/3/2000 Monte premi/Total prize money: 65.000 Euros Per informazioni: ADI Imagineering Design Award Via Bramante 39, 20154 Milano, Italia Tel. ++39 02 33100241/164 Fax ++39 02 33100878 Internet: www.dupont-imagineering.com
Plunkett Award 2000 Concorso internazionale di progettazione di nuovi prodotti che utilizzano i fluoropolimeri Teflon(r) e Tefzel(r)/International design competition for new products utilizing fluoropolymers Teflon(r) and Tefzel(r) Scadenza/Deadline: 17/12 Monte premi/Total prize money: 9.500 US$ Per informazioni: DuPont Internet: www.dupont.com
Orzinuovi (Brescia) Il futuro della memoria Concorso di idee per studenti di Università di Architettura Europee per il progetto di riqualificazione di un’area urbana e l’inserimento di servizi integrati a Orzinuovi/Ideas competition open to students of European Architecture Universities for the design of a redevelopment plan and integrated services in an area of Orzinuovi Scadenza/Deadline: 30/11 Monte premi/Total prize money: 7.000.000 Lit. Per informazioni: Segreteria del Concorso “Il futuro della memoria” Comune di Orzinuovi Piazza Garibaldi 15, 25034 Orzinuovi (BS) Tel. ++39 030 943234 Fax ++39 030 9941335 Internet: www.comune.orzinuovi.bs.it/atti/competiti on.htm E-mail: competition@multilab2000.it
Pavia Premio Internazionale di Architettura sacra “Frate Sole” Premio internazionale per edifici di culto realizzati nell’ultimo decennio nell’ambito delle confessioni cristiane/International competition for ecclesiastical buildings of any Christian confession realized in the last ten years Scadenza/Deadline: 31/5/2000 Monte premi/Total prize money: 300.000.000 Lit. Per informazioni: Fondazione Frate Sole Via Ada Negri 2, 27100 Pavia Fax ++39 0382 301413 Internet: www.fondazionefratesole.org E-mail: fratesol@tin.it
Prato I luoghi della vita Premio europeo per donne fotografe/European award for women photographers Scadenza/Deadline: 30/1/2000 Premio/Prize: 5.000.000 Lit. Per informazioni: Segreteria del premio c/o dryphoto Via Pugliesi 23, 59100 Prato Tel./fax ++39 0574 604939 E-mail: m.verdi@dada.it
Siena Il manifesto 2000 delle Città del Vino Il concorso è rivolto sia ai grafici sia a coloro che intendono cimentarsi nella realizzazione del manifesto che caratterizzerà per tutto il 2000 l’immagine dell’Associazione Nazionale Città del Vino Scadenza/Deadline: 30/11 Monte premi/Total prize money: 3.000.000 Lit. Per informazioni: Associazione Nazionale Città del Vino Via Massetana Romana, 58/B - 53100 Siena Tel. ++39 0577 271556, fax ++39 0577 271595 Internet: www.cittadelvino.it E-mail: citvino@explorer.it
Treviso Premio di Laurea Biblioteca “Stefano Benetton” Concorso per il conferimento di sei Premi di Laurea a favore di laureati che abbiano svolto una tesi su temi attinenti allo sport discussa in una sessione dell’anno accademico 199899 Scadenza/Deadline: 30/4/2000 Montepremi/Total prize money: 1500 Euros Per informazioni: Verde Sport Strada di Nascimben, 1/b, 31100 Treviso Tel. ++39 0422 324280, fax ++39 0422 324274 E-mail: biblio@ghirada.it
Venezia La città: Terzo Millennio Concorso internazionale di idee sul tema della città contemporanea/International ideas competition on the theme of the contemporary city Scadenza/Deadline: 31/12 Giuria/Jury: François Barré, Peter Cook, Massimiliano Fuksas, Frédéric Migayrou, Paul Virilio, James Wines Per informazioni: Biennale di Venezia Internet: www.labiennale.org E-mail: concorso@labiennale.com
Olanda/Holland Geldrop Coram Design Award 2000 Concorso internazionale di design per nuovi oggetti per l’arredobagno/International design competition for new objects of bathroom furniture Scadenza/Deadline: 31/12 Monte premi/Total prize money: 25.000 f Giuria/Jury: Massimo Bortott, Simonetta Carbonaro, Mai Felip, Jan Jacobs, Jan Lucassen, Jos Oberdorf, Matteo Thun Per informazioni: Stichting Coram Design Award P.O.Box 11, 5660AA Geldrop Tel. ++31 40 2809896 , fax ++31 40 2809899 Internet: www.coram.nl
Woerden Aluminium in Motion Concorso internazionale, in diverse categorie, per progetti in cui l’alluminio sia applicato in modo funzionale e innovativo/International competition, for various categories, for projects in which aluminium is applied in a useful and innovative manner Scadenza/Deadline: 1/5/2000 Per informazioni: Secretariat European Aluminium Award P.O. Box 557 8440 AN Heerenveen, The Netherlands Tel. ++31 513 610666, fax ++31 513 650260
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Svizzera/Switzerland Ginevra Tha Aga Khan Award for Architecture 1999-2001 Concorso triennale per progetti realizzati tra il 1988 e il 2000 in regioni musulmane o utilizzati da musulmani in altre regioni, ispirati dall’eredità architettonica islamica/Triennial competition for projects completed between 1988 and 2000, located in a Muslim society or designed for Muslims in other societies; the projects must be inspired by Islamic architectural heritage Per informazioni: Tha Aga Khan Award for Architecture 1999-2001 P.O.Box 2049, 1211 Geneva 2, Switzerland Tel. ++41 22 9097200, fax ++41 22 9097292 Internet: www.akaa98.org E-mail: akaa@atge.automail.com
USA Fort Wayne (Indiana) Jubilee Year 2000 Concorso internazionale per il progetto della chiesa parrocchiale di Nostra Signora di Guadalupe per una comunità cattolica di circa 500 persone/International competition for the design of the Parish Church of Our Lady of Guadeloupe for a catholic congregatiuon of about 500 people Scadenza/Deadline: 29/11 Giuria/Jury: John Burgee, Carol Krinsly, Rodolfo Machado, William Brown, Francis Manion Per informazioni: Jubilee 2000 Design Competition Diocese of Fort Wayne-South Bend 1330 East Washington Center Road Fort Wayne, Indiana 46825 USA Fax ++1 219 4833661 E-mail: lfurge@fw.diocesefwsb.org
Fresno (California) Central California History Museum Concorso internazionale per il progetto del nuovo Central California History Museum/International competition for the design of the new Central California History Museum Scadenza/Deadline: 24/1/2000 Per informazioni: Bill Liskamm, Competition Advisor Fax ++1 559 4411372 Internet: www.valleyhistory.org E-mail: fresnomuse@aol.com
Convegni e dibattiti Congresses and conferences
Austria Graz Centre for Film Studies film+arc.graz 1999 Graz Biennial on Architecture and Media 24/11-28/11 Per informazioni: Centre for Film Studies Hallerschlosstrasse 21, A-8010 Graz Tel. ++43 316 356155, fax ++43 316 366156 Internet: www.thing.at/art.image E-mail: art.image@thing.at
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Vienna Architektur Zentrum Metropolis Now! The future of global cities - Global cities of the future 7° Congresso viennese di architettura/7th Wiener Architektur Congress 5/11-7/11 Per informazioni: Architektur Zentrum Museumplatz 1, A-1070 Vienna Tel. ++43 1 5223115 Fax ++43 1 5223117 Internet: http://azw.t0.or.at E-mail: azw@t0.or.at
Cina/China Hong Kong The University of Hong Kong-Dept. of Architecture Megacities 2000 Conferenza mondiale/World Conference 8/2/2000-10/2/2000 Per informazioni: Ms Freda Fung Secretary for Megacities 2000 The University of Hong Kong-Dept. of Architecture Pokfulam Road, Hong Kong SAR, China Tel. ++852 28592133 Fax ++852 25596484 Internet: http://arch.hku.hk/events/megacities2000 E-mail: fylfung@hku.hk
Francia/France Lyon CAUE du Rhône Pierre et architecture contemporaine 29/11-30/11 Façades en lumière 7/12 Per informazioni: CAUE du Rhône 6 bis, quai Saint Vincent, 69283 Lyon cedex 01 Tel. ++33 4 72074455 Fax ++33 4 72074459 Internet: www.archi.fr/CAUE69 E-mail: caue69@imaginet.fr
Paris Palais des Congrès Design 1999 Primo ciclo internazionale di conferenze sul design/First international cycle of conferences on design 15/12-16/12 Per informazioni: Reed-OIP 11, rue du Col. Pierre-Avia BP 571, 75726 Paris Tel. ++33 1 41904806 Fax ++33 1 41904759
Musée du Louvre Journées-Débat Musée-Musée: Les musées d’architecture, collections et narration 17/11 Edimbourg-Glasgow: musées et architecture 26/1/2000 A quoi servent les expositions? 22/3/2000 Le Cabinet des dessins du Louvre, un lieu pour des lectures multiples? 19/4/2000 MoMA, Tate Gallery, Musée National d’Art Moderne, trois grands musées se rénovent 7/6/2000 Per informazioni: Musée du Louvre Tel. ++33 1 40205317 Internet: www.louvre.fr
Italia/Italy Bologna Facoltà di Ingegneria-Dipartimento di Architettura e Pianificazione Territoriale Edilizia Bioecologica Corso di perfezionamento/Master course Iscrizione/Registration: 21/11 Lezioni/Lessons: 21/1/200031/10/2000 Per informazioni: DAPT Tel. ++39 051 2093155 Fondazione Elide Malavasi Tel. ++39 051 263774 ANCI Tel. ++39 051 525528
Firenze Università degli Studi-Dipartimento di Processi e Metodi della Produzione Edilizia New Media, cinema e innovazione: dalla Ricostruzione alla Sostenibilità 4° Festival Internazionale di Architettura in Video/4th International Festival of Architecture on Video 9/12-12/12 Per informazioni: Image Via Scipione Ammirato 82, 50136 Firenze Tel. ++39 055 666316, fax ++39 055 6241253 Internet: www.architettura.it/image E-mail: image@architettura.it
Milano Politecnico di Milano-Dip. Scienze del Territorio Generative Art ‘99 Conferenza internazionale sull’approccio generativo al progetto/International conference on the generative approach to design 1/12-3/12 Per informazioni: Prof. Celestino Soddu Generative Design Lab-DST-Politecnico di Milano Via Bonardi 3, 20133 Milano Fax ++39 0223995454
Fiera International Value-Added Technical Forum Wood Based Panels Forum internazionale sulle tecniche del legno 25/5/2000-27/5/2000 Per informazioni: EFIMALL Centro Direzionale Milanofiori 1a Strada - Palazzo F3, 20090 Assago (Mi) Tel. ++39 02 89210246 Fax ++39 02 8259009 Internet: www.acimall.com E-mail:xylexpo@acimall.com
Facoltà di Architettura Alleanze Culturali 9/11 Per informazioni: Bticino Via Messina, 38 20154 Milano Tel. ++39 02 34801 Fax ++39 02 3480422 Internet: www.biticinoaregoladarte.org
ACMA Centro Italiano di Architettura Valparaiso del Cile: idee e progetti per il centro storico 1° Seminario Internazionale di Architettura/1st International Architectural Workshop 10/1/2000-25/1/2000 Natura-Architettura. Progettare i luoghi estremi Workshop in Patagonia 25/1/2000-31/1/2000
Per informazioni: ACMA Centro Italiano di Architettura Via Antonio Grossich 16, 20131 Milano Tel. ++39 02 70639293, fax ++39 02 70639761 Internet:www.mclink.it/com/acma E-mail: dm4504@mclink.it
Torino Environment Park Ecodesign e sviluppo sostenibile Corso di progettazione per la sostenibilità ambientale/Course of design for environmental sustainability 20/9-15/2/2000 Per informazioni: Alessandra Corrias Tel. ++39 011 9424124 E-mail: corrias@csea.torino.it
Spagna/Spain Barcellona Elisava-Escuela Superior de Disseny Master in Design for Public Space Corso di perfezionamento per laureati e diplomati in design, Belle Arti, Comunicazione e Architettura/Master course open to individuals with university level degrees and diplomas in Design, Fine Arts, Communication and Architecture 12/11-23/6/2000 Per informazioni: Elisava-Escuela Superior de Disseny Berta Antich/Ester Buil Plaça de la Mercè Carrer Ample 11-13, 08002 Barcelona Tel. ++34 93 3174715, fax ++34 93 3178353 Internet: www.iccic.edu/elisava E-mail: bantinch@elisava.iccic.edu, ebuil@elisava.iccic.edu
Vigo Centro Cultural Caixavigo Galizia 1999 Primo congresso mondiale del granito in architettura/First world congress on granite in architecture 11/11-13/11 Per informazioni: Ana Montenegro c/ arenal 138, of.7, Vigo, Pontevedra Tel. ++34 986447550, fax ++34986 449577 Internet: www.congranito99.igatel.net E-mail: m.asoc@teleline.es, gmaevents@btinternet.com
USA Los Angeles - San Diego - San Francisco Varie Sedi La grande architettura sul Pacifico Incontri internazionali di architettura e design/International meeting on architecture and design 4/11-14/11 Per informazioni: Design Net World/Focchi Group C.P. 19, 47900 Rimini Tel./Fax ++39 0541 742483 E-mail: info@focchi.it
Mostre di architettura e design Architecture and design exhibitions
Austria Vienna MAK El Proyecto Habana. Arquitectura otra vez 27/10-9/1/2000
Belgio/Belgium Antwerpen deSingel Internationaal Kunstcentrum Sthéphane Beel Recent Werk II 7/10-1/12
Gent Hogeschool voor Wetenschap and Kunst Wenk Beton 97 i progetti 25/1/2000-25/2/2000
Brasile/Brazil Sao Paulo 4a Bienal Internacional de Arquitetura 20/11-25/11/2000
Canada
Galerie Netou Christian Ghion. Vases 18/11-11/12 Espace Poltrona Frau Michele De Lucchi. Vases 30/11-20/1/2000 Carrousel du Louvre Recevoir fête ses 10 ans 26/11-29/11
Germania/Germany Berlino Varie sedi Dieci itinerari per scoprire i nuovi edifici e il patrimonio antico fino al/through 1/1/2001 Bauhaus-Archiv/Museum für Gestaltung Punkt. Linie. Flache. Druckgraphik am Bauhaus 26/10-28/2/2000
Kamploops Art Gallery Gioielli americani 1940-1960 16/9-28/11
Vitra Design Museum Automobility Ce qui nous remoue 12/6-9/1/2000
Montreal
Francia/France Bordeaux arc en rêve Casablanca-naissance d’une ville moderne sur le sol africain 1/10-28/11
Boulogne-Billancourt
Gran Bretagna/Great Britain Edimburgo Scottish National Gallery of Modern Art Designs of Desire: Architectural and Ornaments Prints and Drawings, 1500-1850 27/8-7/11 Robin Philipson 25/9-14/11
Glasgow
Musée Albert Kahn Maroc. Mémoire d’avenir. 19121926/1999 21/6-19/12
The Lighthouse Please Touch 9/10-9/1/2000 Identity Crisis: The 90s Defined 26/11-13/2/2000
Paris
Londra
Fondation Cartier pour l’Art Contemporain 1 Monde Réel 31/6-14/11
The RIBA Architecture Gallery [future]city Novembre/November
Atelier Bonaparte Tables et fausses tables de Jean Paul Reti 6/10-18/12
Victoria and Albert Museum Designing in the Digital Age 1/7-3/1/2000
VIA Naço and friends 7/10-2/1/2000 Musée d’arts decoratifs Jean Royère, décorateur 1902-1981 8/10-gennaio/January 2000 Univerre Jeux de lumière sur l’art du verre contemporain 14/10-27/11 Haute Définition 100 ans, 100 objets pour l’entreprise 15/10-15/1/2000 En attendant les Barbares La lampe de l’an 2000 21/10-13/11 Silvera Composites, dix ans de création de Marcel Marongiu 5/11-18/11
Venezia XLVIII Biennale di Venezia Simone Decker 13/6-7/11
ETH Zentrum Dieter Kienast-Lob der Sinnlichkeit 10/12-21/1/2000 Mostra dei progetti realizzati dai diplomati dell’ETH 7/1/2000-7/2/2000
USA Chicago
Weil-am-Rhein
Canadian Centre for Architecture Cedric Price 31/8-26/3/2000
Fiera Frammenti di contract per il futuro hotel 5/11-911
Italia/Italy
Norvegia/Norway Aalborg Nordjyllands Kunstmuseum Alvar Aalto in Seven Buildings Jubilee 20/11-27/2/2000
Olanda/Holland Amsterdam Van Gogh Museum Kisho Kurokawa, architetto. Retrospettiva 24/6-14/11
Rotterdam NAI The Architect’s Studio: Frank O. Gehry 11/9-14/11 Landscape: 9+1 Young Dutch Landscape Architects 23/4-2/1/2000 Silent Collisions-Morphosis: Work in Progress 4/9-10/1/2000
Spagna/Spain Bilbao Guggenheim Museum Bilbao The Art of the Motorcycle 13/11-28/3/2000
Svizzera/Switzerland Losanna Ecole Polytechnique Fédérale Patrick Berger 27/10-24/11
Merchandise Mart Italian Design Furniture Show & Merchandise Mart Properties 4/11-7/11
New York Cooper Hewitt National Design Museum The Work of Charles and Ray Eames: A Legacy of Invention 12/10-9/1/2000 National Design Triennial 7/3/2000-6/8/2000
San Francisco Museum of Modern Art The Architecture of Graphics: Designs for SCI-Arc from the Permanent Collection of Architecture and Design 12/11-20/2/2000 Edge City: Work by Stephen Holl from the Permanent Collection of Architecture and Design 12/11-20/2/2000
Washington National Building Museum Stay Cool! Air Conditioning America 1/5-2/1/2000 Titanium! 20/5/1999-18/7/2000 Cooper Hewitt Design Museum National Design Triennial 8/2/2000-23/7/2000
Mostre d’arte Art Exhibitions
Lucerna Hochschule für Technik und Architektur Beton 97, i progetti 8/11-24/11
Cantù (Como)
Mendrisio
Austria
Galleria del Design e dell’Arredamento Fausto Melotti e la Scuola di Cantù 14/11-31/1/2000
Università della Svizzera Italiana Beton 97, i progetti 29/11-17/12
Vienna
Cuma (Napoli) Parco archeologico di Cuma Scultura e architettura del Novecento 7/5-5/12
Milano Galleria Aam-Architettura arte moderna Sequenze. Disegni e mobili di Mario Asnago e Claudio Vender 19301960 6/10-20/11
Soletta Premio Svizzero del design. I vincitori 5/11-9/1/2000
Zurigo ETH-Hönggerberger Funktionalismus 1927-1961. Hans Scharoun versus de Opbouw 29/10-17/12 Architekturpreis Eternit 99. Ein Architektur-Buchladen an der EPFL 14/1/2000-24/2/2000
MAK Josef Trattner 29/9-28/11 Josef Binder 1889-1972 19/10-28/11 Music Machines Self-Playing Instruments from the Biedermeier 18/6-28/11 Cine Art-Indian Poster Painters 1/12-19/12 Beate Passow 13/10-16/1/2000 Ornament is No Crime 24/3-27/2/2000 Kunst Haus Peter Beard. Stress & Density 9/9-16/1/2000
l’ARCA 142 109
Canada Montreal Museum of Fine Arts L’art moderne mexicaine, 19001950 4/11-6/2/2000 Holly King. Territoires de l’imaginaire 23/9-5/12 Triomphes du Baroque 9/12-9/4/2000 CCA 10 Year Anniversary Exhibition 1/12-30/4/2000
Musée du Louvre Dominique-Vivant Denon, l’oeil de Napoléon 23/10-17/1/2000 Centre National de la Photographie Tracey Moffatt. Mik Muniz 17/11-10/1/2000 Michael Snow. Panoramique 26/1/2000-20/3/2000 Maison Eurpoeene de la Photographie Une exposition, un livre: Une passion française, photographies de la collection Roger Therond 6/10-9/1/2000
Humblebaek
Patrimoine Photographique-Hotell de Sully Le désir du Maroc 1/10-9/1/2000
Louisiana Contemporary Art Museum René Magritte 6/8-28/11 Henning Larsen 12/11-27/2/2000 Full Moon 10/12-12/3/2000
Musée d’Art Moderne Le Fauvisme ou “L’epreuve du feu” 29/10-27/2/2000 Roni Horn 16/11-30/1/2000 L’eveil des songes 16/1-30/1/2000
Danimarca/Denmark
Francia/France Albi Université Culture Electronique 2/11-20/12
Castres Centre d’Art Contemporain Culture Electronique 28/10-20/12
Grenoble Magasin-Centre National d’Art Contemporain Mike Kelley 17/10-16/1/2000
Paris Cité des Sciences et de l’Industrie-La Villette Nouvelle image, nouveaux réseaux. Passeport pour le cybermonde fino a dicembre/through December Désir d’apprendre 23/11-dicembre/December 2000 Jeu de Paume Errò, images du siècle fino al/through 2/1/2000 Espace Elec Art Urbain novembre/November Centre Georges Pompidou Collections parallèles 16/4-14/11 Musée Carnevalet Jean Béraud 30/9-2/1/2000 Berenice Abbott-Changing New York, une ville en mouvement, 1935-1939 14/10-16/1/2000 Eugène Atget-Itinéraires parisiens 14/10-16/1/2000 Musée Galleria Souvenirs moscovites, 1850-1925 6/10-25/1/2000 Carrousel du Louvre Paris Photo 18/11-21/11
110 l’ARCA 142
Maison de l’Amerique Latine La Grâce Baroque. Chefs-d’oeuvre de l’Ecole de Quito, Equateur 28/10-26/1/2000
Saint-Denis Musée d’art et d’histoire Picasso Théâtre 17/9-20/12 Honoré Daumier, scènes de vie, vies de scène 17/9-20/12
Germania/Germany Amburgo Kunsthalle Gensler: Three Painters of Hamburg 6/8-14711 Robert Delaunay, Sonia Delaunay: Das Centre Pompidou in Hamburg 10/9-21/11 Hanne Darboven. The Early Works 29/10-13/2/2000 Art of Middle Ages in hamburg 19/11-5/3/2000
Giappone/Japan Hara Hara Museum Sophie Calle 20/11-27/2/2000
Gran Bretagna/Great Britain Edimburgo Scottish National Portrait Gallery Robin Philipson 25/9-14/11 Business and Commerce 28/10-23/1/2000 Magna Brava - The Magnum Women Photographers 5/11-30/12/2000 The Dean Gallery Morandi and His Time: Paintings from the Giovanardi Collection 23/10-5/12 René Magritte 22/12-26/3/2000
National Gallery of Scotland Turner and Sir Walter Scott 17/12-19/3/2000 Scottish National Gallery of Modern Art Elizabeth Blackadder 1/12-7/2/2000 Eileen Agar 1899-1991: A Centenary Exhibition 1/12-27/2/2000
Londra Royal College of Art Absolut Secret 1999 25/11-5/12 Partridge Gallery Vision of the East 5/11-10/12 Varie Sedi Asian Art in London 9/11-20/11
Italia/Italy Bassano del Grappa (Vicenza) Palazzo Bonaguro William Congdon 18/9-21/11
Bergamo Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Bergamo 1999-2001. Verso la città della luce fino al/through 7/6/2000
Bologna Galleria d’Arte Moderna Eva Marisaldi 27/10-28/11 Clara Bonfiglio/Vittorio Corsini 15/12-30/1/2000
Brescia Palazzo Martinengo Da Gauguin a Vallotton. Le stagioni del simbolismo francese 23/7-21/11
Busto Arsizio (Varese) Fondazione Bandera Omaggio a Bruno Munari 24/10/13/2/2000
Como Galleria Il Salotto Geometrie a confronto: Giuseppe Nitti 30/10-30/11 Essenza. Walter Trecchi 6/11-23/11 Omaggio a Volt@ 1/12-23/12
Conegliano (Treviso) Palazzo Sarcinelli Sulla pittura. Artisti italiani sotto i quarant’anni 27/11-6/2/2000 Strazza. Opere 1942-1999 25/9-7/11
Faenza (Ravenna) Museo Internazionale delle Ceramiche 51° Concorso Internazionale della Ceramica c’Arte Contemporanea 15/5-2/1/2000
Pino Castagna 2/10-2/1/2000 La ceramica in tavola. I ceramisti faentini interpretano modelli dell’Ottocento 10/12-6/1/2000
Ferrara Palazzo dei Diamanti Venezia 1950-1959. Il rinnovamento della pittura italiana 26/9-9/1/2000
Firenze Casa Bonarroti Giovinezza di Michelangelo 19/9-9/1/2000 Palazzo Nicolini Da Bernardo Daddi a Giorgio Vasari 26/9-20/12 Palazzo Medici Riccardi Manolo Valdés 16/10-30/11
Gallarate (Varese) Civica Galleria d’Arte Moderna Da Madi a Madi, 1946-1999 17/10-14/11
Mantova Palazzo Te Arte a Mantova 1900-1950 25/9-16/1/2000
Mestre (Venezia) Galleria d’Arte Contemporanea Natura della luce 18/9-21/11
Milano Photology Love & Desire. Between Neoclassicism and Neuroticism 10/9-6/11 Spirale Arte Contemporanea Franco Guerzoni. Carte Segrete 16/10-22/11 Museo Minguzzi Da Wildt a Martini. I grandi scultori italiani del Novecento 14/10-7/2/2000 Galleria Blu Luigi Veronesi 5/10-20/11 Viafarini Rosemarie Trockel 14/10-4/12 Fondazione Stelline Giorgio Milani. Jesus-Poetario Crocifisso di fine Gutenberg 15/9-31/12 Rotonda della Besana Tibet. Arte e spiritualità 20/10-10/1/2000 Galleria Raffaella Cortese Roni Horn 28/9-27/11 Galleria Appiani Arte Trentadue 2000. Elogio della Bellezza/2 “Nostalgìa della bellezza” 21/10-23/12 Galleria Cannaviello Federico Guida 5/10-13/11 Galleria Valeria Belvedere Federico De Leonardis 7/10-27/11
Galleria Giò Marconi Mimmo Rotella. L’Arte Oggi 21/10-24/12
Sarmede (Treviso)
Galleria Silva Lacche veneziane del Settecento 11/11-11/12
Varie Sedi Mostra internazionale di illustrazione per l’infanzia. Le immagini della fantasia 6/11-19/12
Modena Palazzina dei Giardini Luca Pancrazi - Formato 24/10-21/11
Montone (Perugia) Museo Comunale ex chiesa di San Francesco Immagine e culto. La deposizione nella scultura lignea fra ‘200 e ‘300 2/10-31/12
Monza (Milano) Serrone della Villa Reale Lalla Romano: Dipinti, disegni, manoscritti 8/10-7/11
Napoli Maschio Angioino Nino Longobardi 1/10-15/11
Padova Palazzo della Ragione Dipinti dell’Ottocento e del Novecento dei Musei Civici di Padova 24/10-15/1/2000
Parma Palazzo Bossi-Bocchi Julien de Parme 1736-1799 11/12-27/2/2000 Palazzo Pigorini Depero e Rubino 17/10-30/1/2000
Passariano (Udine) Villa Manin Miela Reina 4/10-15/11
Reggio Emilia Palazzo Magnani Eugene Smith 11/9-28/11
Rimini Palazzo del Podestà La forma del colore. Mosaici dall’antichità al XX secolo 22/8-6/1/2000
Rivoli (Torino) Castello David Salle 1/10-28/11 Un Progetto per il Castello Elizabeth Peyton 1/10 Gennaio/January 2000
Roma Palazzo delle Esposizioni Francesco Borromini e l’Universo Barocco 15/12-28/2/2000 San Giminiano, Volterra, Montalcino, Poggibonsi, Colle di Val d’Elsa, Casole d’Elsa Varie sedi Arte all’arte - arte, architettura, paesaggio 11/9-8/12
Torino Varie sedi Biennale internazionale giovani Torino 2000 13/4/2000-19/4/2000
48ª Biennale di Venezia - Padiglione Francese Jean-Pierre Bertrand e Yong Ping 14/6-7/11 48ª Biennale di Venezia - Padiglione Americano Ann Hamilton 14/6-7/11
Rancate
Verona
Pinacoteca Züst Julien de Parme (1716-1799) 19/9-21/11
Museo di Castelvecchio Alessandro Turchi 1578-1649 15/9-15/12
Palazzina di Caccia di Stupinigi I trionfi del Barocco 3/7-6/11
Palazzo Forti Kandinskij, Chagall, Malevic e lo spiritualismo russo 19/9-15/1/2000
Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea Giuseppe Pellizza da Volpedo 18/9-6/1/2000 Paul Klee autunno/inverno-Autumn/Winter Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi” Linee di Roccia. La Montagna di Lino Marini 17/9-21/11 Galleria Cristiani Piero Gilardi: il cybernauta dell’arte 9/12-20/1/2000
Trento Museo di Storia Naturale Il Diluvio Universale 8/12-25/5/2000 Galleria Civica di Arte Contemporanea Clegg & Guttmann 18/9-7/11 Alex Katz 20/11-16/1/2000 Museo di Arte Moderna e Contemporanea Giovanni Segantini. La vita, la natura, la morte. Dipinti e disegni 3/12-7/5/2000
Treviso Casa dei Carraresi Da Gauguin a Mondrian. Impressionismo Espressionismo Cubismo e il paesaggio del nuovo secolo 4/9-9/1/2000 Museo Civico Luigi Bailo Giovanni Barbisan. opere 19281945 25/9-5/12
Venezia Peggy Guggenheim Collection-Palazzo Venier dei Leoni The Timeless Eye. Opere su carta della Collezione Jean e Marie-Anne KrugierPoniatowski 4/9-12/12 Varie Sedi 48ª Biennale di Venezia 14/6-7/11
Fondation Pierre Gianadda Pierre Bonnard (1867-1947) 11/6-24/11 Sam Szafran 19/11-23/1/2000 Kandinsky e la Russia 28/1/2000-12/6/2000
Museo Fortuny Mariano Fortuny 3/10-1/2/2000
Centro storico Fiat Fiat, 100 anni di industria 14/6-6/11
Museo della fotografia storica e contemporanea Sebastiao Salgado. Immagini di tragedia e speranza novembre/November
Martigny
Lussemburgo/Luxenbourg Lussemburgo Casino Jacques Charlier: Forever 23/10-5/1/2000
Olanda/Holland Amsterdam Van Gogh Museum Da Cézanne a Van Gogh. La collezione del Dottor Gachet 24/9-5/12 Jean François Millet. Disegni 23/10-9/1/2000
Rotterdam Kunsthal Erotic Art from China. From Ming to Shanghai Belle Epoque 11/9-5/12 Zeppelin. Bubble or Balloon? 24/9-12/12
Slovenia Ljubljana Cancarjev Dom Manifesta 3 23/6/2000-24/9/2000
Spagna/Spain
USA Berkeley UC Berkeley Art Museum Valery Grancher - 24h00 1/10-31/12
Boston Museum of Fine Arts Ebru: Contemporary Marbling by Faridun Ozgoren 13/9-20/3/2000 The Paintings of martin Johnson Heade 29/9-16/1/2000 Pharaos of the Sun: Akhenaten, Nefertiti, Tutankhamen 14/11-6/2/2000 Photography by Bradford Washburn 24/11-30/4/2000
Chicago Chicago Art Institute IKAT: Splendid Silks from Central Asia 30/9-9/1/2000
Denver Denver Art Museum Impressionism: Paintings Collected by European Museums 2/10-12/12
Houston Contemporary Arts Museum Nic Nicosia: Real Pictures 1979-1999 24/9-28/11 Peter Shelton: sixty-slippers 15/10-12/12 Tony Oursler: Mid-life Crisis 10/12-10/2/2000
Barcelona
Lincoln
Museo de Arte Contemporani Raymond Hains 21/9-5/12 Martha Rosler 19/10-9/1/2000 Dau al set 19/10-9/1/2000
Sheldon Memorial Art Gallery and Sculpture Garden, University of Nebraska Robert Colescott 15/9-2/1/2000
Svizzera/Switzerland Ascona Museo Cantonale d’Arte Moderna Richard Seewald (1889-1976) 31/7-30/11
Lugano Museo Cantonale d’Arte Il giovane Borromini 5/9-21/11 Museo d’Arte Moderna James Ensor. L’opera grafica 12/9-7/11
Los Angeles County Museum of Art Around Impressionism: French Paintings from the National Gallery of Art 15/8-29/11 The Art of Twentieth-Century Zen: Paintings and Calligraphy by Japanese Masters 29/9-2/1/2000 Lee Krasner 10/10-2/1/2000 “Ghost in the Shell”: Photography and the Human Soul, 1850-2000 24/10-16/1/2000 The Fine Art of African Musical Instruments 24/10-19/6/2000
l’ARCA 142 111
The J.Paul Getty Center Anne et Patrick Poirier -”Gravida” 6/11-13/1/2000 Armand Hammer Museum of Art and Cultural Center Tania Mouraud 21/9-2/1/2000
New York Guggenheim Museum Clemente 8/10-9/1/2000 Bisazza Showroom Gabriele Basilico-Notturni, Milano 6/10-19/11 Bridge Gallery Paolo Pellegrin - Cambogia 6/10-13/11 Julie Saul Gallery Luigi Ghirri - Come pensare per immagini/Thinking with Images 14/10-24/11 Duggal Underground Gallery Toni Thorimberg - Ties 14/10-24/11
California College of Arts and Crafts Ghada Amer, Marie-Ange Guilleminot, Jean-Michel Othoniel, Sylvie Skinazi, Philippe Favier, Frédéric Ollereau, Bernard Quesinaux, Carmen Perrin 18/9-6/11 Camera Work Stéphane Couturier “Site of two Cities” 14/10-29/11 New Langton Art Space Mathieu Laurette, Rebecca Bournigault, Marie Sester 6/10-13/11
Santa Barbara Museum of Art Gilles Barbier - Copy Work: The dictionary and other diversions 6/11-30/1/2000
Santa Monica Santa Monica Museum of Art Marie-Ange Guilleminot, Pierre Huyghe 23/9-28/11
Francia/France Paris
Bologna
Parc des Expositions-Porte de Versailles Batimat 99 Salone internazionale dell’industria edilizia International trade fair of building industry 8/11-13/11
Fiera Europolis 2000 Salone internazionale della tecnologia per vivere la città/International fair of technologies to live in the cities 3/2/2000-6/2/2000
Per informazioni: International Sales Nuccia Invernizzi Viale Bacchiglione 28 20139 Milano, Italia Tel. ++39 02 57403340 Fax ++39 02 57402055 E-mail: info@nucciainvernizzi.it
Paris Expo-Porte de Versailles Salon Nautique International de Paris Salone nautico internazionale/International boats trade fair 4/12-13/12 Per informazioni: Reed-OIP 11 rue du Colonel Pierre Avia BP 571, 75726 Paris Cedex 15 Tel. ++33 1 41904865 Fax ++33 1 41904719 Internet: http://boatshow.reed-oip.com E-mail: nautique@reed-oip.com
Taranto Gallery Multiple Vision: Fotografie di Nicola Carignani, Marcello Simeone e Cristina Zamagni 4/11-24/11
Seattle
San Diego
Washington
Hannover
Museum of Art Star Wars: The Magic of Myth 25/9-2/1/2000 Pacific Arcadia: Images of California 1600-1915 30/10-9/1/2000 Picturing Paradise: San Diego in the Eye of the Artist, 1875-1940 30/10-9/1/2000 Land of the Winged Horsemen: Art in Poland 1572-1764 18/12-27/2/2000
The Phillips Collection Renoir to Rothko: The Eye of Duncan Phillips 25/9-23/1/2000
Messe World Light Show Salone internazionale dei sistemi di illuminazione, tecniche di installazione e attrezzature per l’edilizia/International trade fair of lighting systems, installation techniques and building equipment 18/1/2000-22/1/2000
Henry Art Gallery Gilles Barbier 15/10-2/1/2000
Fiere e saloni specializzati Trade fairs and exhibitions
Museum of Photographic Georges Rousse - Demolition 23/10-9/1/2000 Museum of Contemporary Art Bertrand Lavier “Walt Disney Productions” 24/10-30/1/2000 Mingei International Museum Artes de México 6/6-30/6/2000 Arrows of the Spirit-North American Indian Adornment from Prehistory to the Present 28/8-2/1/2000 Urushi/Lacquer-The Living Art of Nagatoshi Onishi 26/9-9/1/2000
San Francisco Museum of Modern Art Full Moon: The Photography of NASA Manned Lunar Exploration, 1965-1972 20/8-4/1/2000 Julia Margaret Cameron’s Women 27/8-30/11 Degas to Picasso: the Painter, The Sculptor and The Camera 2/10-4/1/2000 Seeing Time: Selections from the Pamela and Richard Kramlich Collection of Contemporary Art 15/10-11/10/2000 California Palace of Legion of Honor Alain Kirili. A dialogue with Rodin 9/10-2/1/2000
112 l’ARCA 142
Germania/Germany
Per informazioni: Deutsche Messe Hannover Messegelände, D-30521 Hannover Tel. ++49 5511890 Fax ++49 511 8932626 Internet: www.messe.de
Köln
Cina/China Beijing Beijing Exhibition Centre IDWF Fiera internazionale di porte e finestre, delle attrezzature e della tecnologia della costruzione/International door and windows, construction, equipment and technology trade fair 22/11-25/11 Per informazioni: Nürberg Global Fairs GmbH Messenzentrum D-90471 Nürberg - Germany Tel. ++49 0911 8606695, fax ++49 0911 8606694 E-mail: d.karg@nuernbergglobalfairs.com
Hong Kong Fairground Heimtextile Asia Asiaflor ‘99 salone internazionale dei tessuti per l’arredamento degli interni/International Trade for Home Textiles, Floor Coverings and Interior Furnishings 3/11-5/11 Per informazioni: Brook House Yoxall Road Newborough, Burton-on-Trent Staffordshire DE13 8SU, U.K. Tel. ++44 1283 575564, fax ++44 1283 575622 E-mail: mike.chappell@btinternet.com
Italia/Italy
Messe Kunst Messe Fiera internazionale dell’arte/International trade fair of art 7/11-14/11 Per informazioni: Messeplatz 1, D-50679 Köln Tel. ++49 221 821-0 Fax ++49 221 8212574 Internet: www.koelnmesse.de/domotechnica E-mail: 220@koelnmesse.de
Möbelmesse Salone internazionale del mobile/International furniture fair 17/1/2000-23/1/2000 Per informazioni: Messeplatz 1, D-50679 Köln Tel. ++49 221 821-0 Fax ++49 221 8212574 Internet: www.koelnmesse.de/domotechnica E-mail: 220@koelnmesse.de
Stuttgart Centro Fieristico Killesberg R+T 2000 Fiera internazionale degli avvolgibili e dei sistemi di protezione dal sole/International trade fair of windows and sun protection equipment 1/2/2000-5/2/2000 Per informazioni: Segreteria Fax ++39 0266982664
Per informazioni: Segreteria Europolis ON Organizzazione Nike Viale della Mercanzia 119-Blocco 2B Gall.B 40050 Funo Centergross (BO) Tel. ++39 051 6646624, fax ++39 051 6646424 Internet: www.smart.it/EUROPOLIS
Milano Fiera Expo Tour 1999 Salone internazionale delle attrezzature, arredamenti, forniture, tecnologie e servizi per le imprese alnerghiere/International trade fair of equipment, furniture, technologies and services for hotel contract 5/11-9/11 Per informazioni: Expocts Via Londonio 2, 20154 Milano Tel. ++39 02349841, fax ++39 02 33600493
Tecnoroll ‘99 Mostra biennale di macchinari tecnologici e di materiali per la protezione solare, della luce, delle strutture di porte e finestre, arredamento e attrezzature da esterno/Biennial exhibition of technological machinery and materials for sun protection, light architecture, door and window frames, outdoor furnishings and fixtures 25/11-27/11 Per informazioni: Tecnoroll Viale Monza, 57, 20125 Milano Tel. ++39 02 2871515, fax ++39 02 2610923 Internet: www. tecnoroll.com E-mail: tecnoroll@tecnoroll.com
La mia Casa Esposizione dell’arredamento e dell’abitare oggi 30/10-7/11 Per informazioni: Segreteria Via Domenichino, 11 20149 Milano tel. ++39 02 4815541
Vitrum Salone internazionale specializzato delle macchine, attrezzature e impianti del vetro piano e del vetro cavo International trade fair specialized in equipment, plants and machines of flat and hollow glass 3/11-6/11 Per informazioni: Segreteria Via Petitti, 16 20149 Milano Tel. ++39 02 3306099
Abacus Fiera dell’elettronica di consumo, delle comunicazioni e dell’informatica per la casa, lo studio e l’individuo/ Fair for home elctronics, informatics and communications 9/12-12/12 Per informazioni: Abacus Via Merano 18 20127 Milano Tel. ++39 02 28313.1 Fax ++39 02 28313410 Internet: www.abacusfiera.it, www.smau.it/magellano/abacus E-mail: abacus@smau.it