Italia oggi Italian Diversity siste, ed è possibile cogliere ancora ai giorni nostri, una "diversità italiana" anche per ciò che concerne l'architettura, se la E mettiamo a confronto con quella praticata negli altri Paesi europei,
con alcuni effetti positivi, ma anche altri - e molti - certamente negativi. L'origine del fenomeno si può far risalire all'Alto Medioevo, quando si diffonde il Gotico che nasce in Francia e rapidamente trasmigra in Inghilterra, in Spagna e in Portogallo, in Germania e persino nei Balcani, ma trova da noi una forte resistenza, che possiede ampie motivazioni, fino a condurre a una significativa variazione dei modelli. Dopo la lunga stagione che dal Rinascimento giunge al Barocco in cui l'arte nasce e si diffonde essenzialmente dal Bel Paese, inanellando l'una dietro l'altra star che ci hanno permesso di vivere di rendita e attrarre frotte di turisti, la specificità italiana riappare agli inizi del nostro secolo con quel Liberty che certamente da noi raggiunge un tono minore, rispetto a quello stesso stile diffuso altrove, in particolare in Belgio, con Victor Horta e nell'Austria Felix, con Joseph Olbrich prematuramente scomparso. Si riconferma persino con l'architettura razionale, che dell'internazionalismo ha fatto una bandiera, quando il Gruppo 7 e certamente non per opportunismo, non rinuncia al patrimonio nazionale. Riappare nelle vicende degli anni Trenta e Quaranta - quelli del fascismo -, in cui un documentato studio di Sandro Scardocchia, pubblicato di recente da Skira, pone in rilievo quanto sia distante l'architettura di Albert Speer da quella di Marcello Piacentini: l'una prettamente neoclassica e ispirata alla Grecia, l'altra di un modernismo con echi romani che prende le distanze dalle "follie" delle avanguardie. Potremmo andare avanti nel confronto soffermandoci sull'eredità dei maestri della seconda generazione che spaziano da Moretti a Libera, da Ridolfi a Scarpa, da Rogers a Gardella, a Ponti per giungere a una figura come Aldo Rossi, ponendola a confronto con le emblematiche presenze che popolano il nostro continente, ma ci interessa maggiormente soffermarci sull'oggi provando a ragionare su ciò che ci aspetta dopo il disastro a Foggia, purtroppo uno dei tanti e non di certo l'eccezione, quando molti giornali hanno titolato la prima pagina: "L'Italia è a pezzi". Com'è davvero il nostro Paese ? Quello reale non si può comprendere dagli interventi dei ministri né dell'Ambiente, né dei Beni Culturali, né tanto meno dei Lavori Pubblici che in giro per l'Italia parlano soltanto di direttissime che non si riescono a fare (e quelle fatte si fermano al primo temporale), per non parlare del terremoto che a due anni di distanza costringe la gente a trascorrere un altro inverno nelle baracche, o di una rituale tutela del patrimonio culturale, sovente in mano delle Sovrintendenze che tranne rare eccezioni, come a Napoli con l'intervento di Mendini per la Villa Comunale, hanno svolto solamente un ruolo censorio, inappellabile - è sufficiente pensare a Roma - nei confronti della progettualità contemporanea. Ciò ha finito per far crescere il gap che ci separa dal resto dell'Europa. Chi si reca anche per pochi giorni a Londra, a Parigi, a Berlino o a Barcellona, ma anche a Lisbona o a Praga, si rende conto di persona come si viva meglio in queste capitali, dove l'architettura dei giorni nostri ha svolto un'azione miracolosa: ne ha mutato il volto, rifacendole belle - pensiamo a La Villette prima dell'intervento, quando a Roma sono trent'anni che si parla del Mattatoio - e accresciuto la qualità dell'esistenza. A tale atteggiamento - che tranne rarissime eccezioni coinvolge tutta la classe politica (che pure sovente è all'estero), poco sensibile all'architettura si aggiunge un apparato industriale troppo legato alla tradizione e raramente in grado di misurarsi con le nuove tecnologie, quelle che hanno mutato l'organizzazione del cantiere. Nonostante il nostro sia il Paese di Renzo Piano, che soprattutto altrove ha realizzato "macchine" eccezionali tanto da ottenere dal Presidente Clinton il famoso Pritzker, il Nobel dell'architettura, in Italia non ha neppure una cattedra, messa invece a disposizione di molti che non hanno alzato neppure un muro. Il rischio che si può intravedere è il rimanere ai margini di un mercato che altrove è in espansione e quindi fra non molto saranno le imprese straniere che verranno a costruire da noi, soprattutto quei progetti così complessi (Zaha Hadid a Roma) che difficilmente riusciremo a seguirne la realizzazione e a calcolarne le strutture. Già oggi, con Internet, molti studi internazionali, a iniziare dai più noti, impiegano manodopera intellettuale disseminata nei Paesi più diversi.
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A ciò si somma un sistema balordo, come quello previsto dalla Merloni, che non favorisce il ricambio generazionale perché nella distribuzione degli incarichi premia solamente chi si è già fatto il curriculum, e quindi i sessantenni, finendo per incrementare una rendita di posizione difficilissima da scalzare che impedisce ai giovani di accedere in prima persona alla progettazione. In Francia invece a meno di trent'anni Dominique Perrault ha vinto un concorso per centinaia di miliardi e a meno di quaranta, con la Grande Biblioteca Nazionale, era il titolare dell'opera più importante del Paese. Quanto poi alla riforma del sistema universitario più che discutere se siano necessari tre o cinque anni per formare un architetto varrebbe la pena ragionare su quali programmi realizzare la formazione, dove incentivare e dove invece tagliare nettamente e destinare quelle risorse per incrementare ciò che serve davvero. Su questo scenario Vittorio Gregotti, dimenticando l'antico detto che recita errare umanum est, con quel che segue, propone di demolire per ricostruire così come è lo Zen a Palermo, che è come dire di demolire per ricostruire il Corviale di Mario Fiorentino o soltanto ricostruire le Vele a Secondigliano, Napoli, progettate da Francesco Di Salvo e finalmente abbattute, oppure il Pruitt-lgoe, a St. Louis, nel Missouri, di Minoru Yamasaki, l'autore delle torri gemelle del Word Trade Center a New York, che è andato a terra con una memorabile esplosione il 15 luglio del 1972, annunciando la fine del moderno. Ma pochi se ne sono accorti, e hanno aperto gli occhi. Ernesto Galli della Loggia in un articolo che risale a pochi mesi orsono sviluppa il seguente ragionamento: "Il massimo problema culturale del nostro Paese consiste nella conservazione del proprio volto, nella preservazione dell'effigie della propria identità storica. In nessun ambito forse come in quello della scena urbano-paesistica è dato di leggere (...) gli esiti quasi sempre distruttivi che l'avvento del moderno ha prodotto in Italia: quanto sia stato difficile metabolizzare il moderno da parte di una civiltà così profondamente (e gloriosamente) segnata e strutturata dal retaggio di tutto quanto si colloca cronologicamente prima di esso. Il volto così rovinato dell'Italia attuale è uno specchio di tutte queste difficoltà e contraddizioni. Ed è insieme un grande problema della nostra cultura". In realtà in alcune isole felici il moderno riesce a convivere con l'antico. Ma è sufficiente prendere il treno da Napoli a Reggio Calabria e osservare dal finestrino ciò che scorre sotto gli occhi, nelle città poi le nostre metropolitane non raggiungono la raffinatezza della linea Jubilee di Londra, le cui stazioni vedono la firma di Michael Hopkins, di Norman Foster, di Alsop & Störmer e di altri illustri progettisti, né sono previste operazioni come a Parigi dove in 12 minuti si collega un tratto sotterraneo dalla rive droite alla gauche che va dalla Madeleine alla nuova Biblioteca. Né sono ancora progettate (ma lo saranno mai?) operazioni simili a quella che l'IBA ha realizzato nel vecchio bacino della Ruhr, chiamando a nuova vita una vasta area dove si torna a respirare. Anzi possiamo dire che la marea avanza e i danni di un sistema sballato che crede ancora nell'urbanistica non tarderanno ad avvertirsi. Piccoli segnali incoraggianti sono che si inizia a demolire le ville abusive dell'Olgiata, a Roma; le costruzioni nella valle dei Templi, a Siracusa e quelle dello scempio a Catania, per non citare il mostruoso albergo sulla costiera amalfitana. Tutto ciò finirà per produrre frutti spingendo a quella legalità che altrove è la normalità e soprattutto incoraggiando chi imperterrito resiste. Potremmo fare i nomi di giovani e meno giovani progettisti che si oppongono al degrado che monta fino al parossismo e sembra davvero un'inarrestabile marea che consuma il suolo e provoca disastri; che resistono ai tragici sradicamenti che muovono cose e persone riducendole prive di certezze; ai continui soprusi che una generazione "tolta di mezzo" è stata costretta a subire, a iniziare dall'Università che dovrebbe favorire l'andata in cattedra dei migliori, e invece premia gli ignoranti; alle pesanti dimenticanze che progressivamente inducono al silenzio, alla rinuncia, all'abbandono. Anzi varrebbe la pena dedicargli un numero della nostra rivista. Non sono pochi coloro che con il loro lavoro dischiudono le porte a un Paese che disperatamente cerca di avvicinarsi all'Europa, resistendo soprattutto a una cultura stracciona e priva di valori che si lascia abbagliare dalle più banali, volgari spinte al consumismo. Mario Pisani
ven nowadays a certain “Italian diversity” can still be detected even in the field of architecture, compared to how it is practised in other E European countries. This diversity has certain pros but also lots of cons.The cause of this peculiarity dates back to the Dark Ages when the Gothic Movement first originated in France and soon spread to England, Spain, Portugal, Germany and even the Balkans, but met with considerable resistance here in Italy, for a number of reasons, resulting in notable variations on the basic Gothic theme. After a lengthy period stretching from the Renaissance through to the Baroque period, when art came into being and blossomed above all in Italy, producing a series of “superstars” who have let us “live off the interest” ever since and attracting hoards of tourists, the peculiarity of the situation in Italy re-emerges again early this century through the Liberty Movement, which certainly develops in a much lower key here than, say, in Belgium with Victor Horta, or Austria with Joseph Olbrich, who died so young. This is further underlined in rationalist architecture, when internationalism was all the rage, as epitomised by Gruppo 7’s refusal (and not just to take the easy way out) to break with the national heritage. It also crops up again during Fascism in the 1930s and 1940s; a carefully-documented study by Sandro Scardocchia, recently published by Skira, points out just how different Albert Speer’s architecture is from Marcello Piacentini’s: the former being fundamentally neo-classical and inspired by Greece, the latter featuring a vaguely Roman-style modernism that refuses to be part of the avant-garde “madness”. We could carry on with these comparisons, examining the legacy of the second generation masters ranging from the likes of Moretti, Libera, Ridolfi, Scarpa, Rogers, Gardella, and Ponti, right down to a figure like Aldo Rossi, comparing them to the most emblematic exponents of our continent, but we would actually rather concentrate on today, analysing what is still left after the Foggia disaster (unfortunately just one of a long line and certainly no exception) when several newspapers opened with the headline: “Italy is falling to pieces”. So just what is the situation in our country? There is no way of judging it from what the Minister of the Environment, the Minister of Culture or, even less so, the Minister of Public Works have said as they travel around Italy talking about direct train lines which are never actually built (or ground to a halt as soon as there is a storm, if they are ever built), not to mention the recent earthquake which, now two years on, is still forcing some people to spend another winter in mobile homes, or ritual measures for safeguarding our cultural heritage, often in the hands of Monuments and Fine Arts Services, which, except for rare cases like Mendini’s project for the Town Hall in Naples, seem to be more interested in exercising their powers of censorship - Rome is emblematic in this respect against modern-day planning and architectural design. This has ended up widening the gap between us and the rest of Europe. Anyone who spends even a couple of days in London, Paris, Berlin or Barcelona, or even Lisbon and Prague, can see for themselves that these capitals are better places to live, thanks also to the miraculous effects of modern-day architecture: they have literally been given face lifts - remember for instance, what La Villette looked like before the project was carried out, in contrast people have been talking about the Mattatoio project in Rome for thirty years now without anything actually being done - and raising the standards of living. This approach which, except in a few very rare cases, involves all the political parties (whose politicians incidentally, spend plenty of time abroad), indifferent to architecture, unlike Fascism which actually recognised itself in architecture, and also because the time it takes to transform the architectural landscape makes it a relatively ineffective tool in election campaigns - moves hand in hand with industrial structures too closely tied to tradition and rarely capable of measuring up to the kind of advanced technology that has transformed the building process. Despite the fact that Italy can boast an architect like Renzo Piano, who has designed most of his wonderful “machines” in other countries and even received the famous Pritzker Award from President Clinton, a sort of Nobel Prize for architecture, he has not even been given a university chair in Italy, while many others who have not built a single wall have. There is a real danger we will be left out of a market that is booming elsewhere, which will inevitably mean that foreign firms will come over to Italy to build their projects, particularly those that are so intricate and complex (Zaha Hadid in Rome) that we will inevitably struggle to carry them out or even work out the calculations underpinning their structures. Already today, thanks to the Internet, lots of international firms, notably the most well-known, use “brains” from all over the
world. “Brains”, for example, can be found in India, where they cost a lot less, while in Italy there is an objective lack of minds capable of carrying out the appropriate structural calculations. Add to all this an outmoded system, like the kind referred to in the Merloni law, that does not help the up-and-coming generations, since tenders are inevitably only awarded to those who already have an impression curriculum (i.e. sixty-year-olds) ending up even further reinforcing their position and preventing younger exponents from testing out their architectural design skills in person. In France, on the other hand, Dominique Perrault won a competition worth hundreds of billions of lira before he was thirty, and by the time he was forty he had designed the Bibliothèque Nationale, the nation’s most prestigious work of architecture. As regards the reforming of the university system, rather than argue over whether it takes three or five years to train an architect, it might be more interesting to take a closer look at the basic academic curriculum, deciding where to invest and where to make cuts, allocating resources where they are most needed. In this state of affairs, Vittorio Gregotti, forgetting the old saying that errare umanum est (and what follows), has suggested knocking down the Zen in Palermo and then rebuilding it as it is, which amounts to knocking down Mario Fiorentino’s Coviale for the sake of rebuilding it, or just simply rebuilding the Vele in Secondigliano, Naples, designed by Francesco Di Salvo and eventually knocked down, or the Pruitt-Igoe in St. Louis, Missouri, designed by Minoru Yamasaki (who also built the twin towers of the World Trade Center in New York), which was demolished with a memorable bang on 15th July 1972, marking the end of modernity. But hardly anyone took any notice and opened up their eyes. In an article he wrote a few months ago, Ernesto Galli della Loggia expressed his thoughts as follows: “The main cultural issue confronting our nation is the need to hold onto its own image and not lose its historical identity. In this realm and, perhaps, also on the urban-landscape scene, we can judge (....) the almost always destructive results of modernity in Italy: how difficult modernity has been to digest for a civilisation so profoundly (and jealously) marked and structured by the legacy of everything that chronologically came before it. Italy’s scarred face mirrors all these difficulties and contradictions. And, generally speaking, this is a big problem for the whole of our culture”. In actual fact, modernity does manage to co-exist with the old in a few happy cases. But taking the train from Naples to Reggio Calabria, you can see by just looking out of the window that what passes by beneath your eyes in the cities and metropolises of this part of Italy is not as elegantly refined as on the London Jubilee line, whose stations are designed by Michael Hopkins, Norman Foster, Alsop & Störmer, and other illustrious names. Neither are there any plans for projects like those in Paris, where a 12-minute stretch of underground line connects together the right and left banks, starting from Madeleine and terminating at the new library. There are not even plans (and will there ever be?) for anything like IBM’s project in the old Ruhr basin, bringing back to life a huge area where people can finally breathe again. In fact we might say that the tide is coming in and the damage caused by such an unbalanced system, that still has faith in town-planning, will soon be felt. There are, however, some small encouraging signs like the fact that the illegally-constructed houses in Olgiate, Rome, are starting to be knocked down; as are the buildings in the Valley of Temples in Syracuse and the horrendous constructions in Catania, not to mention the monstrous hotel along the Amalfi Coast. All this will eventually bear fruits, leading to the kind of rule of law that is the norm elsewhere, and, most significantly, encouraging those brave souls who have continued to battle on undaunted. We could name those young and not-so-young architects who are fighting against the dilapidation and decay which is rising like a relentless tide, literally eating up the ground, and causing disasters; architects who are battling against an uprooting of people and things that leaves them totally insecure, and against the continual bullying a generation which has quite literally been “shoved aside” has had to put up with, starting with our universities which ought to allocate posts to the most deserving instead of rewarding the ignorant; these architects are determined not to give up, resign themselves, or quite simply just keep quiet. In fact, it would be well worth dedicating an issue of our magazine to them. There is actually no lack of people striving to open up the doors of a country desperately trying to become more European, battling above all against a shoddy cultural scene completely lacking in values, that lets itself be blinded by the blandest and most vulgar of consumer products.
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Semplicità colta A New Square assenza di identità è uno degli L’ aspetti più peculiari che caratterizzano le periferie industrializzate
delle nostre città, risultati di un’urbanizzazione selvaggia, investite da devastanti speculazioni sorde a qualsiasi logica di programma, sviluppatesi solo in funzione del potenziamento di un’offerta di “posti letto” capace di supportare solo a livello quantitativo un pressante incremento di domanda. Molta letteratura si è spesa su questo argomento, restano comunque i nodi ancora fortemente irrisolti che furono scatenati dai meccanismi perversi di queste urbanizzazioni scellerate: aree prive di qualsiasi connotazione urbana, povere se non prive di servizi, di strutture pubbliche, di verde e soprattutto di quella qualità di vita indispensabile al benessere del cittadino. Un segno positivo di come molti di questi centri si stanno muovendo verso una ridefinizione qualitativa dell’identità del loro tessuto è sicuramente il concorso bandito per la riprogettazione di Piazza Gramsci a Cinisello Balsamo, un comune della periferia milanese che rappresenta un caso limite di sviluppo non pianificato, tra i più colpiti dai disequilibri legati alla forza polarizzante della metropoli lombarda. Il programma concorsuale si inserisce in una più ampia politica comunale di riqualificazione del centro urbano che vede nella formalizzazione del Piano Particolareggiato “Centro Città” e nella futura realizzazione di una metrotranvia gli strumenti privilegiati. E’ quindi la piazza, con le sue caratteristiche morfologiche e funzionali, l’elemento su cui si concentrano le energie rivitalizzatrici di una nuova centralità, nonché della ridefinizione di un tessuto storico per lo più negato dalle vicende speculative degli anni Settanta e di cui rimane qualche debole traccia. Un concorso di idee che però ha avuto tra i punti forti delle valutazioni finali la compatibilità dei progetti con una realizzazione effettiva. “Semplice, flessibile e realizzabile” sono i principi alla base della proposta di Dominique Perrault (capogruppo) e Luca Bergo che hanno conquistato i favori della giuria aggiudicandosi il primo premio. Il progetto è in effetti una soluzione che fa della semplicità e dell’immediatezza di lettura, i suoi punti forti. Semplice, flessibile e realizzabile è la piazza ridisegnata da un manto in cemento grigio chiaro, posato in grandi lastre trattate a effetto legno, su cui si individuano due polarità: la chiesa di Sant’Ambrogio e il suo sagrato, da un lato, e un’oasi di verde su quello opposto. Ora la mano di Perrault è riconoscibile proprio nella raffinatezza e nella poesia di questa macchia di alberi (pini marittimi o roveri) che, come in altri importanti interventi - dal bosco incassato della Grande
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Bibliothèque a Parigi al “meleto” del velodromo di Berlino - crea una piacevole parentesi paesaggistica a coronamento dello spazio pubblico. La piazza, realizzabile in tempi brevi e con costi sostenibili, si inserisce in un progetto di evoluzioni future con un margine di flessibilità capace di modificarsi nel tempo integrandosi agli altri interventi previsti per il centro cittadino. La parziale pedonalizzazione dell’area, come previsto dal bando, è tradotta da una piastra sopraelevata rispetto al piano stradale sulla quale si evidenziano le due isole costruite in pietra bianca del sagrato e della macchia di verde. Semplici e calibrati gli elementi di arredo: alcune panche dello stesso materiale della pavimentazione, pali cilindrici d’alluminio naturale per l’illuminazione che viene integrata da bassissimi fasci di luce che fanno risaltare la texture della pavimentazione e da proiettori incassati nel suolo che illuminano i rami degli alberi. La chiesa e il campanile vengono invece inscritti nel paesaggio notturno da fasci di luce provenienti da proiettori posti sugli edifici limitrofi. Secondo classificato il progetto del gruppo milanese formato da Osvaldo Pogliani (capogruppo), Luciano Crespi, Marino Crespi, Riccardo Dell’Osso e Fabio Reinhart. Qui la ricostruzione dell’identità della piazza è descritta attraverso una reintepretazione delle sue matrici storiche che trova nell’architettura il suo punto di forza. Pochi segni definiti con precisione individuano un nuovo disegno che traduce il ruolo centrale della piazza. Un’ellisse alberata, che riprende il tracciato dell’impianto ottocentesco del sito, ne definisce lo spazio centrale mentre un lungo muro porticato, sorta di loggia, sul lato sud scherma l’edificazione retrostante indirizzando i flussi pedonali e accogliendo i momenti di sosta come gli eventi vivacizzanti la vita pubblica. Il porfido grigio è il materiale privilegiato, utilizzato in grandi lastre sia per la pavimentazione che per il portico. Un progetto di ambienti è invece quello del gruppo romano Ricci, Aymonino, Ciorra e Spaini che identifica uno spazio unitario capace di contenere percorsi, elementi, edifici e differenti quote di imposta. Momenti focali dell’insieme sono un grande ovale pavimentato, vero spazio della piazza, che va a intaccare il perimetro di un’ampia superficie d’acqua mossa da getti verticali e attraversata in quota da barre di verde, ghiaia, pavimentazioni e tracciati luminosi. Anche qui, come viene evidenziato dal giudizio della giuria, si legge una rivisitazione delle tracce della storia attraverso un “disegno leggero” che traduce in chiave contemporanea un’idea di spazio pubblico continuo e della sua presenza nella città. Elena Cardani
a c k of i d e n tit y i s o n e of t h e L strangest aspects of the industrial suburbs of our cities, generally
resulting from an uncontrolled process of urbanisation. This devastating speculation has no underlying logic to it except the idea of providing more “beds” to cater in exclus i ve l y q u a n tit a ti ve t e r m s fo r t h e growing demand. Plenty has been written on this subject, yet the key issues triggered off by the perverse mechanisms of this terrible urbanisation process are still far from solved: areas totally lacking in any urban connotations furbished with very few if any services or public facilities, landscaping and, above all, totally bereft of the kind of qualit y of li fe r eq u i r e d fo r t h e i r inhabitants’ well-being. The competition launched to redesign Piazza Gramsci in Cinisello Balsamo, a municipality in the suburbs of Milan which is an extreme case of unplanned growth hit very badly by the imbalances caused by the polarising force of the city of M il a n , i s un q u e s ti o n a b l y a p o s i tive sign of how lots of these towns are trying to raise the standard of their urban identity. The competition is part of a much wider munici p a l p r og r a mm e t o r e d eve l o p t h e town centre, whose main tools are a Detailed “City Centre” Plan and t h e co n s t r u c ti o n of a n ew p u b li c t r a n s p o r t n e t wo r k ( un d e r g r o un d line, trams and buses). T h e t ow n s q u a r e ’ s m o r pho l og i cal-functional features provide the energy required for a new notion of centrality, involving the knitting back together of the old urban fabric, something that was basically ignored by speculation in the 1970s of w h i c h t h e r e i s s till t h e o dd remaining trace. An ideas competition which, however, was also judged in terms of how feasible it would actually be to construct the projects. “Simplicity, flexibility and buildability” are the principles underpinn i n g D o m i n i q u e P e rr a u lt ( t e a m leader) and Luca Bergo’s design, which was awarded first prize by the jury. The strong points of this project were simplicity and ease of interpretation. T h e r e d e s i g n e d s q u a r e, w it h a new surface of clear-grey concrete laid in large slabs designed to look like wood, works around two key fe a t u r e s : S a n t ’ A m b r og i o C h u r c h a n d it s c h u r c h - y a r d o n o n e s i d e, and an oasis of green landscaping over on the other. Perrault’s touch is clearly visible in the elegant artistry of this p a t c h of t r ee s ( c l u s t e r p i n e s a n d oaks) which, as in other important projects - from the woods encased in the Grande Bibliothèque in Paris to
t h e “ a pp l e o r c h a r d ” a t t h e C y c l e T r a c k i n B e r li n - c r e a t e s a n i ce piece of landscaping as a finishing touch to the public space. The square, which could be built in a short space of time and at reasonable costs, is part of a project for f u t u r e d eve l o p m e n t s , f l e x i b l e e n o u g h t o a d a p t i n ti m e t o f it i n with other projects designed for the city centre. The partial conversion of the area i n t o a p e d e s t r i a n zo n e h a s t a k e n the form of a platform raised above t h e g r o un d t o d r a w a tt e n ti o n t o these two “islands”: the white stone church-yard and green landscaping. The furbishing is simple and carefully-gauged: benches made of the same material as the paving, c y li n d r i c a l n a t u r a l a l u m i n i u m lampposts supplemented with low bands of light to highlight the texture of the paving, and spotlights in the ground to light up the branches of the trees. The church and bell tower, on the other hand, are projected into nightscape by strips of light shining out from spotlights on the surrounding buildings. Second prize was awarded to the project designed by the Milan team formed by Osvaldo Pogliani (team leader), Luciano Crespi, Marino C r e s p i , R i cc a r d o D e ll ’ O ss o a n d Fabio Reinhart. In this case the square’s identity was reinterpreted along the line of it s h i s t o r i c a l m a t r i x e s , d r a w i n g mainly on the artistic force of architecture. A few carefully designed s i g n s b r i n g o u t t h e s q u a r e ’ s ce n tral role on the cityscape. A tree-lined ellipse, evoking the n i n e t ee n -ce n t u r y l a y o u t of t h e s q u a r e, d ef i n e s it s ce n t r a l s p a ce, while a long porticoed wall over on the south side, a sort of loggia, shelters the building behind it, directing pedestrians and using moments of rest or breaks as events injecting life into the community. Grey porphyry is the main material used for the large slabs characterising both the paving and portico. T h e R o m e t e a m co m p o s e d of R i cc i , A y m o n i n o, C i o rr a a n d Spaini has designed a unitary space capable of holding pathways, buildings, and a series of different levels. The focal point of the overall design i s a l a r ge p a ve d ov a l ( t h e r e a l square) bordering on the edge of a large pool of water set in motion b y ve r ti c a l j e t s a n d c r o ss e d a t a higher level by shafts of greenery, gravel, paving, and paths of light. As the jury pointed out, history has bee n r ev i s it e d t h r o u g h a “ge n tl e d e s i g n ” p r ov i d i n g a n u p - t o- d a t e r e a d i n g of a p u b li c s p a ce a n d of how it is incorporated in the city.
Il vincitore The Winner Dominique Perrault
Credits Project: Dominique Perrault (Team Leader), Luca Bergo Collaborators: Gaëlle Lauriot-Prevost, Jerome Thibault, Reto Jmur, Patrizia Peracchio, Genc Barbulluschi, Alessandro Maggioni Cosultant: Gustavo Zani
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Secondo classificato Second Prize Osvaldo Pogliani
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Credits Project: Osvaldo Pogliani (Team Leader), Luciano Crespi, Marino Crespi, Riccardo dell’Osso, Fabio Reinhart Collaborators: Enrica Lavezzari, Nicoletta Silva
Terzo classificato Third Prize
Credits Project: Mosé Ricci (Team Leader), Aldo Aymonino, Pippo Ciorra, Filippo Spaini
Mosé Ricci
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Semplicità colta A New Square assenza di identità è uno degli L’ aspetti più peculiari che caratterizzano le periferie industrializzate
delle nostre città, risultati di un’urbanizzazione selvaggia, investite da devastanti speculazioni sorde a qualsiasi logica di programma, sviluppatesi solo in funzione del potenziamento di un’offerta di “posti letto” capace di supportare solo a livello quantitativo un pressante incremento di domanda. Molta letteratura si è spesa su questo argomento, restano comunque i nodi ancora fortemente irrisolti che furono scatenati dai meccanismi perversi di queste urbanizzazioni scellerate: aree prive di qualsiasi connotazione urbana, povere se non prive di servizi, di strutture pubbliche, di verde e soprattutto di quella qualità di vita indispensabile al benessere del cittadino. Un segno positivo di come molti di questi centri si stanno muovendo verso una ridefinizione qualitativa dell’identità del loro tessuto è sicuramente il concorso bandito per la riprogettazione di Piazza Gramsci a Cinisello Balsamo, un comune della periferia milanese che rappresenta un caso limite di sviluppo non pianificato, tra i più colpiti dai disequilibri legati alla forza polarizzante della metropoli lombarda. Il programma concorsuale si inserisce in una più ampia politica comunale di riqualificazione del centro urbano che vede nella formalizzazione del Piano Particolareggiato “Centro Città” e nella futura realizzazione di una metrotranvia gli strumenti privilegiati. E’ quindi la piazza, con le sue caratteristiche morfologiche e funzionali, l’elemento su cui si concentrano le energie rivitalizzatrici di una nuova centralità, nonché della ridefinizione di un tessuto storico per lo più negato dalle vicende speculative degli anni Settanta e di cui rimane qualche debole traccia. Un concorso di idee che però ha avuto tra i punti forti delle valutazioni finali la compatibilità dei progetti con una realizzazione effettiva. “Semplice, flessibile e realizzabile” sono i principi alla base della proposta di Dominique Perrault (capogruppo) e Luca Bergo che hanno conquistato i favori della giuria aggiudicandosi il primo premio. Il progetto è in effetti una soluzione che fa della semplicità e dell’immediatezza di lettura, i suoi punti forti. Semplice, flessibile e realizzabile è la piazza ridisegnata da un manto in cemento grigio chiaro, posato in grandi lastre trattate a effetto legno, su cui si individuano due polarità: la chiesa di Sant’Ambrogio e il suo sagrato, da un lato, e un’oasi di verde su quello opposto. Ora la mano di Perrault è riconoscibile proprio nella raffinatezza e nella poesia di questa macchia di alberi (pini marittimi o roveri) che, come in altri importanti interventi - dal bosco incassato della Grande
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Bibliothèque a Parigi al “meleto” del velodromo di Berlino - crea una piacevole parentesi paesaggistica a coronamento dello spazio pubblico. La piazza, realizzabile in tempi brevi e con costi sostenibili, si inserisce in un progetto di evoluzioni future con un margine di flessibilità capace di modificarsi nel tempo integrandosi agli altri interventi previsti per il centro cittadino. La parziale pedonalizzazione dell’area, come previsto dal bando, è tradotta da una piastra sopraelevata rispetto al piano stradale sulla quale si evidenziano le due isole costruite in pietra bianca del sagrato e della macchia di verde. Semplici e calibrati gli elementi di arredo: alcune panche dello stesso materiale della pavimentazione, pali cilindrici d’alluminio naturale per l’illuminazione che viene integrata da bassissimi fasci di luce che fanno risaltare la texture della pavimentazione e da proiettori incassati nel suolo che illuminano i rami degli alberi. La chiesa e il campanile vengono invece inscritti nel paesaggio notturno da fasci di luce provenienti da proiettori posti sugli edifici limitrofi. Secondo classificato il progetto del gruppo milanese formato da Osvaldo Pogliani (capogruppo), Luciano Crespi, Marino Crespi, Riccardo Dell’Osso e Fabio Reinhart. Qui la ricostruzione dell’identità della piazza è descritta attraverso una reintepretazione delle sue matrici storiche che trova nell’architettura il suo punto di forza. Pochi segni definiti con precisione individuano un nuovo disegno che traduce il ruolo centrale della piazza. Un’ellisse alberata, che riprende il tracciato dell’impianto ottocentesco del sito, ne definisce lo spazio centrale mentre un lungo muro porticato, sorta di loggia, sul lato sud scherma l’edificazione retrostante indirizzando i flussi pedonali e accogliendo i momenti di sosta come gli eventi vivacizzanti la vita pubblica. Il porfido grigio è il materiale privilegiato, utilizzato in grandi lastre sia per la pavimentazione che per il portico. Un progetto di ambienti è invece quello del gruppo romano Ricci, Aymonino, Ciorra e Spaini che identifica uno spazio unitario capace di contenere percorsi, elementi, edifici e differenti quote di imposta. Momenti focali dell’insieme sono un grande ovale pavimentato, vero spazio della piazza, che va a intaccare il perimetro di un’ampia superficie d’acqua mossa da getti verticali e attraversata in quota da barre di verde, ghiaia, pavimentazioni e tracciati luminosi. Anche qui, come viene evidenziato dal giudizio della giuria, si legge una rivisitazione delle tracce della storia attraverso un “disegno leggero” che traduce in chiave contemporanea un’idea di spazio pubblico continuo e della sua presenza nella città. Elena Cardani
a c k of i d e n tit y i s o n e of t h e L strangest aspects of the industrial suburbs of our cities, generally
resulting from an uncontrolled process of urbanisation. This devastating speculation has no underlying logic to it except the idea of providing more “beds” to cater in exclus i ve l y q u a n tit a ti ve t e r m s fo r t h e growing demand. Plenty has been written on this subject, yet the key issues triggered off by the perverse mechanisms of this terrible urbanisation process are still far from solved: areas totally lacking in any urban connotations furbished with very few if any services or public facilities, landscaping and, above all, totally bereft of the kind of qualit y of li fe r eq u i r e d fo r t h e i r inhabitants’ well-being. The competition launched to redesign Piazza Gramsci in Cinisello Balsamo, a municipality in the suburbs of Milan which is an extreme case of unplanned growth hit very badly by the imbalances caused by the polarising force of the city of M il a n , i s un q u e s ti o n a b l y a p o s i tive sign of how lots of these towns are trying to raise the standard of their urban identity. The competition is part of a much wider munici p a l p r og r a mm e t o r e d eve l o p t h e town centre, whose main tools are a Detailed “City Centre” Plan and t h e co n s t r u c ti o n of a n ew p u b li c t r a n s p o r t n e t wo r k ( un d e r g r o un d line, trams and buses). T h e t ow n s q u a r e ’ s m o r pho l og i cal-functional features provide the energy required for a new notion of centrality, involving the knitting back together of the old urban fabric, something that was basically ignored by speculation in the 1970s of w h i c h t h e r e i s s till t h e o dd remaining trace. An ideas competition which, however, was also judged in terms of how feasible it would actually be to construct the projects. “Simplicity, flexibility and buildability” are the principles underpinn i n g D o m i n i q u e P e rr a u lt ( t e a m leader) and Luca Bergo’s design, which was awarded first prize by the jury. The strong points of this project were simplicity and ease of interpretation. T h e r e d e s i g n e d s q u a r e, w it h a new surface of clear-grey concrete laid in large slabs designed to look like wood, works around two key fe a t u r e s : S a n t ’ A m b r og i o C h u r c h a n d it s c h u r c h - y a r d o n o n e s i d e, and an oasis of green landscaping over on the other. Perrault’s touch is clearly visible in the elegant artistry of this p a t c h of t r ee s ( c l u s t e r p i n e s a n d oaks) which, as in other important projects - from the woods encased in the Grande Bibliothèque in Paris to
t h e “ a pp l e o r c h a r d ” a t t h e C y c l e T r a c k i n B e r li n - c r e a t e s a n i ce piece of landscaping as a finishing touch to the public space. The square, which could be built in a short space of time and at reasonable costs, is part of a project for f u t u r e d eve l o p m e n t s , f l e x i b l e e n o u g h t o a d a p t i n ti m e t o f it i n with other projects designed for the city centre. The partial conversion of the area i n t o a p e d e s t r i a n zo n e h a s t a k e n the form of a platform raised above t h e g r o un d t o d r a w a tt e n ti o n t o these two “islands”: the white stone church-yard and green landscaping. The furbishing is simple and carefully-gauged: benches made of the same material as the paving, c y li n d r i c a l n a t u r a l a l u m i n i u m lampposts supplemented with low bands of light to highlight the texture of the paving, and spotlights in the ground to light up the branches of the trees. The church and bell tower, on the other hand, are projected into nightscape by strips of light shining out from spotlights on the surrounding buildings. Second prize was awarded to the project designed by the Milan team formed by Osvaldo Pogliani (team leader), Luciano Crespi, Marino C r e s p i , R i cc a r d o D e ll ’ O ss o a n d Fabio Reinhart. In this case the square’s identity was reinterpreted along the line of it s h i s t o r i c a l m a t r i x e s , d r a w i n g mainly on the artistic force of architecture. A few carefully designed s i g n s b r i n g o u t t h e s q u a r e ’ s ce n tral role on the cityscape. A tree-lined ellipse, evoking the n i n e t ee n -ce n t u r y l a y o u t of t h e s q u a r e, d ef i n e s it s ce n t r a l s p a ce, while a long porticoed wall over on the south side, a sort of loggia, shelters the building behind it, directing pedestrians and using moments of rest or breaks as events injecting life into the community. Grey porphyry is the main material used for the large slabs characterising both the paving and portico. T h e R o m e t e a m co m p o s e d of R i cc i , A y m o n i n o, C i o rr a a n d Spaini has designed a unitary space capable of holding pathways, buildings, and a series of different levels. The focal point of the overall design i s a l a r ge p a ve d ov a l ( t h e r e a l square) bordering on the edge of a large pool of water set in motion b y ve r ti c a l j e t s a n d c r o ss e d a t a higher level by shafts of greenery, gravel, paving, and paths of light. As the jury pointed out, history has bee n r ev i s it e d t h r o u g h a “ge n tl e d e s i g n ” p r ov i d i n g a n u p - t o- d a t e r e a d i n g of a p u b li c s p a ce a n d of how it is incorporated in the city.
Il vincitore The Winner Dominique Perrault
Credits Project: Dominique Perrault (Team Leader), Luca Bergo Collaborators: Gaëlle Lauriot-Prevost, Jerome Thibault, Reto Jmur, Patrizia Peracchio, Genc Barbulluschi, Alessandro Maggioni Cosultant: Gustavo Zani
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Secondo classificato Second Prize Osvaldo Pogliani
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Credits Project: Osvaldo Pogliani (Team Leader), Luciano Crespi, Marino Crespi, Riccardo dell’Osso, Fabio Reinhart Collaborators: Enrica Lavezzari, Nicoletta Silva
Terzo classificato Third Prize
Credits Project: Mosé Ricci (Team Leader), Aldo Aymonino, Pippo Ciorra, Filippo Spaini
Mosé Ricci
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1. Stazione Marittima/ Harbour Office 2. Piazza annessa/Adjacent square 3.Nuovo molo turistico e rampa d’alaggio/New tourist pier and landing ra mp
“Il nuovo edificio” For Otranto Harbour rindisi, Otranto da un lato; B dall’altro, Igoumenitza, Patrasso, Corfù La storia del Mediter-
raneo irrompe da questi nomi con il brusio indaffarato degli innumerevoli commerci, il mitico fulgore degli eroi sepolti sotto una greve coltre d’acqua, il suono metallico delle armi o lo schiocco delle bandiere che vi si risuona come un’eco confusa; e si deposita nell’arido presente con una nuova sigla “Interreg II Italia-Grecia”, che nella fredda funzionalità dei trattati moderni indica un programma di finanziamento varato dall’Europa unita per rendere meno periferiche le regioni frontaliere dei due suoi Stati membri. A quei porti è stato assegnato un ruolo strategico nello sviluppo degli scambi commerciali del Mediterraneo orientale; e all’architettura, come sempre, è toccato il compito di dare forma e spazio a questa nuova pagina di storia. A Otranto, dunque, accanto alla viva testimonianza d’una serena arcaicità greca e romana, d’un severo Medio Evo e di secoli sanguinosi ed eroici - testimonianza architettonica anch’essa, con la stupenda cattedrale del XII secolo, l’arcigna fortezza del XVI le case del paese ancora ornate delle palle di cannone con le quali i turchi conquistarono, nel 1485, la città - le estreme propaggini della modernità faranno
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sorgere edifici destinati alla nuova stazione marittima e alla capitaneria di porto, con la relativa sistemazione delle aree esterne e la riqualificazione della banchina antistante. “Il nuovo edificio”, dice Mario Cucinella, il cui progetto è risultato vincitore del concorso bandito per la realizzazione di queste opere, “è inserito in un contesto dalle forti connotazioni ambientali e paesaggistiche, nelle quali la sua struttura architettonica si propone come ultimo prolungamento della linea dei bastioni. La sua sagoma, definita dalla facciata principale in pietra leccese che si proietta verso l’orizzonte marino, conferisce all’insieme, con la sua inclinazione, un marcato dinamismo”. La scelta della pietra leccese, quantunque quasi obbligata data la natura fisico-storica dei luoghi, riflette l’essenzialità del gesto architettonico, e stabilisce anche il punto di congiunzione tra un prestigioso passato e un ottimistico futuro. “La grande massa muraria così ottenuta”, spiega Cucinella, “appare pronunciata e imponente verso il mare, ma si sfrangia e alleggerisce verso la piazza, dove il volume architettonico si trasforma in una gradonata e si apre alla città e alla fruizione collettiva”. Questa particolare attenzione al contesto naturale e storico dei luo-
4. Parcheggio/Car park 5. Prolungamento Molo San Nicola/ Extension to San Nicola Pier
Progetto: Mario Cucinella Architects
ghi caratterizza, come è noto, l’architettura di Mario Cucinella fin dagli inizi. Il concetto di continuità tra architettura e ambiente ne resta il tratto più peculiare o, meglio, il dato programmatico più significativo; e anche a Otranto la sua teoria dell’inserimento dell’architettura nel corpo vivo dell’ambiente per svilupparlo a un livello superiore trova un’applicazione in certo modo esemplare, soprattutto grazie alla cura posta nell’equiparazione, sul piano della luce, della temperatura e della vivibilità, tra esterno e interno. “L’effetto del ‘volume pieno’ generato dal prospetto principale”, egli osserva, “è reso dall’arretramento della linea delle finestre e dalla continuità del filo esterno, garantita da un sistema di frangisole che regola l’ingresso della luce diretta nelle ore più calde. Anche il disegno della pavimentazione esterna, in pietra locale, e la piantumazione di alberi tipici della macchia mediterranea definiscono un paesaggio nuovo, ma idealmente legato a quello naturale”. Toccherà invece all’illuminazione artificiale esterna il compito di rendere evidente il movimento storico, la novità introdotta nell’ambiente. “Parte integrante del progetto”, dice ancora Cucinella, “è il sistema
di illuminazione, che oltre a garantire un adeguato livello di luce nelle zone pubbliche, valorizzerà l’architettura della stazione e le prevalenze naturali. L’illuminazione dell’edificio avverrà dal basso, per alleggerire il blocco costruito, mentre una serie di corpi illuminanti getterà luce radente sul costone roccioso, in modo da sottolineare la contrapposizione tra architettura e natura”. C’è dunque da ritenere che questo contrastato rapporto tra storia, futuro e ambiente impedirà che la suggestione del passato, così fortemente radicato nel luogo, si riduca a mero esotismo estetizzante, e sappia invece produrre il giusto effetto di “trascinamento”, grazie al quale le forza vive della storia possono essere portate all’altezza del presente e delle sue proiezioni sul futuro. Come afferma infatti, in conclusione, lo stesso Cucinella, “tutto questo progetto è un tentativo di coniugare la necessità di integrazione col contesto e l’esigenza di esprimere in maniera contemporanea nuove funzioni”. Certo, il Mediterraneo è sempre quello; ma gli uomini che esso accoglie nel suo grembo immortale hanno aggiunto nuovi miti accanto a quelli antichi, cui l’architettura, come sempre, dà corpo. Maurizio Vitta
■ Nella pagina a fianco, schizzo preliminare e planimetria generale del progetto per la nuova Stazione Marittima, Capitaneria di Porto, risistemazione della banchina, realizzazione della piazza annessa e
connessione alle mura di Otranto. Sopra, pianta dell’intervento. In alto, la sequenza di modelli in legno realizzati per lo studio delle formazioni calcaree.
r i n d i s i a n d O t r a n t o ove r o n B one side; Igoumenitza, Patras and Corfu on the other. These
n a m e s i n ev it a b l y co n j u r e u p t h e history of the Mediterranean with it s o l d b u zz of b u s y t r a d i n g, t h e glittering legends of heroes buried beneath a heavy blanket of water, t h e c l a n g i n g of we a p o n s o r t h e s o un d of f l a g s f l u tt e r i n g li k e strange echoes in the wind; and all t h i s h a s bee n p r o j ec t e d i n t o t h e present under the rather arid title of “ I n t e rr eg II I t a li a -G r ec i a ”, r efe rr i n g, w it h a ll t h e coo l p r ec i sion of modern times, to a financing programme launched by Unit e d E u r o p e t o m a k e t h e r eg i o n a l borders of its Member States less p e r i ph e r a l . T h e p o r t s m e n ti o n e d above have been given a strategic r o l e i n d eve l o p i n g t r a d i n g i n t h e E a s t M e d it e rr a n e a n ; a n d , a s a l w a y s , a r c h it ec t u r e h a s bee n given the job of giving shape and s p a ti a l fo r m t o t h i s n ew p a ge i n history. Alongside Otranto’s living testim o n y t o t h o s e p e a cef u l a n c i e n t Greek and Roman times, the harsh M i dd l e A ge s , a n d b l oo dy , h e r o i c centuries that followed - architecturally represented by a wonderful X II t h -ce n t u r y c a t h e d r a l , t h e rugged-looking XVIth-century fortress, and town houses still decorated with the cannon balls fired by the
■ Opposite
page, peliminary sketch and site plan of the project for a new Harbour, Harbour Office, dockland redevelopment scheme, and construction of a square alongside and connection to the Otranto
Turks when they conquered the city i n 1485 - t h e l a s t d e s ce n d a n t s of modernity have designed buildings for the new sea port and harbour off i ce, r e a rrr a n g i n g t h e o u t s i d e areas and redeveloping the docklands in front. “The new building”, according to Mario Cucinella, whose project won t h e co m p e titi o n t o d e s i g n t h e s e works, “is incorporated in a context with powerful environmentall a n d s c a p e co nn o t a ti o n s , u s i n g architectural structure as a final extension to the line of ramparts. Its outline, defined by the main facade m a d e of L ecce s t o n e p r o j ec ti n g towards the sea, injects the entire co m p l e x w it h a m a r k e d s e n s e of dy n a m i s m t h r o u g h it s s l o p i n g design”. T h e d ec i s i o n t o u s e s t o n e f r o m Lecce, almost obligatory given the phy s i c a l - h i s t o r i c a l n a t u r e of t h e locations, reflects the simplicity of the architectural design, also marking where a glorious past meets an optimistic future. “The huge wall mass this creates”, Cucinella points o u t , “ i s p a r ti c u l a r l y a cce n t u a t e d and imposing towards the sea, but it gradually frays and lightens up by the square, where the architectural structure turns into a flight of steps and opens up to the city and its community”. This attention to the natural-his-
city walls. Above, project plan. Top, the sequence of wooden models designed to study the limestone formations.
torical context of the site location has, as we well know, always been a c h a r a c t e r i s ti c fe a t u r e of Cucinella’s architecture. The idea of continuity between architecture and the environment is still the most notable feature (or rather programm a ti c f a c t ) a bo u t h i s wo r k ; a n d here, too, in Otranto, his theory of how architecture ought to be incorporated in the living landscape to enhance its quality has been applied in exemplary fashion, particularly in the way light, temperature, and user-friendliness, have been exploited to set up relations between the inside and outside. “The ‘full volume’ effect created by the main elevation”, he notes, “derives from the way the window line has been set back and by the continuity of the outside line created by a system of shutters controlling incoming direct light during the hottest part of the day. Even the design of the outside f l oo r i n g m a d e of l oc a l s t o n e a n d t h e p l a n ti n g of t yp i c a l M e d it e r ranean species of trees create a new landscape, ideally linked to the natural surroundings”. The artificial outside lighting is expected to create a sense of historical motion, inserting new parts into the surroundings. Mario Cucinella also tells us that “the lighting system is an integral part of the design, not only ensur-
ing an appropriate level of lighti n g i n t h e p u b li c a r e a s , b u t a l s o enhancing the harbour architecture and natural landscaping. The building lighting will be from below to lighten up the built block, while a set of spotlights will cast radiant light on the rocky ridge to bring out the contrast between architecture and nature”. Everything indicates that the conflicting relations between history, t h e f u t u r e, a n d t h e e n v i r o n m e n t , w ill p r eve n t t h e p l a ce ’ s d ee p l y ingrained historical connotations f r o m l a p s i n g i n t o m e r e a e s t h e ti c e x o ti c i s m , a c t u a ll y c r e a ti n g t h e right kind of “dragging along” effect which will allow the living forces of history to be brought into the present and projected into the future. As Cucinella himself concludes, “this entire project is an attempt to combine the need to blend into the context while, at the same time, expressing new functions in an up-to-date manner”. Of course, the Mediterranean has not changed; but the people in its immortal lap have added new legends to the ancient myths, as usual u s i n g a r c h it ec t u r e t o phy s i c a ll y embody them.
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Jean de Calan
Francesco Bombardi
1. Parete inclinata in c.a. sp.20 cm/ 20 cm thick sloping concrete wall 2. Conci rivestimento 12,9x8 cm a correre in pietra di Cursi trattata, incollati con resine/12.9x8 treated Cursi stone cladding glued together with resin 3. Tufo sciolto sp. 4 cm/ 4 cm thick loose tuff 4. Travedi bordo in spessore 80x30 cm/ 80x30 cm edge beams 5. isolante sp. 4 cmcon barriera al vapore sulla faccia interna/ 4 cm thick unsulation with steam block on the inside face 6. Brise soleil in pietra su tubolare in acciaio 40x60x1 rivestito da concio a C/Stone shutter on 40x60x1 steel tubing coated with dressed stone 7. Irrigidimento in piatto metallico verniciato sp. 10 mm saldato ai tubolari/stiffening made of 100 mm thick metal plate welded to the tubing 8. Concio speciale sagomato 12,9x12,5x60/12.9x12.5x60 special profiled stone 9. Rivestimento zoccolo in lastre di pietra locale scura spicconata sp. 3 cm/Cladding block made of 3 cm thick sheets of dark picked local stone. 10. Proiettore stagno incassato al suolo D. 14 cm/14 cm D. sealed projector encased in the ground 11. Vespaio in pietrame calcareo/ crawl space made of calcareous ballast. 12. trave rovescia di fondazione/ reverse foundation beam 13. Lastrico solare sp. 4 cm/ 4 cm thick floor board 14 Massetto a pendio 2% in cls di argilla espansa/2% graded screed made of expanded clay concrete 15. Serramento in alluminio finitura in elettrocolore apertura ad anta e a ribalta/ Aluminium fixture with electro-painted finishing and vertically- and horizontally-hinged opening. 16. Parete in blocchetti di tufo sp.10 cm intonacata/Plastered wall made of 10 cm thick blocks of tuff 17. Pavimentazione in lastre di cls e graniglia sp. 3 cm/Flooring made of 3 cm sheets of concrete and cast stone.
■ Viste
del modello della Stazione Marittima e Capitaneria di Porto. L’edificio, che si pone come prolungamento dei bastioni, è inserito a ridosso di un costone roccioso che scende verso la banchina. La facciata verso il mare, lievemente inclinata, è in
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pietra leccese, mentre quella verso la piazza si alleggerisce in una serie di gradoni che ne rafforzano il carattere pubblico. Il complesso è caratterizzato dallo spigolo dell’edificio di testa proteso come ultimo limite di terra verso il mare.
■ Views
of the model of the Harbour and Harbour Office. The building, designed as an extension to the ramparts, is inserted next to a rocky cliff dipping down to the docks. The gently sloping facade facing the sea is made of Lecce stone, while the
facade facing the square is lightened up by a flight of steps giving it even greater public connotations. The complex is characterised by the corner of the end building that marks the most extreme point of dry land before the sea.
■ Sopra, particolare delle Cave di Santa Cesarea Terme, con le formazioni calcaree che caratterizzano la costa di Otranto e sezione sulla facciata inclinata. Sotto, vista zenitale della
Stazione Marittima e della piazza annessa che verrà pavimentata in pietra calcarea in continuità con la città storica, e piantumata con vegetazione mediterranea.
Above, detail of Santa Cesarea Terme Quarries, showing the limestone formations characterising the Otranto coast and section across the sloping facade. Below, zenith view of the ■
Harbour and adjacent square, which will be paved in limestone to fit in with the old city and landscaped with typical Mediterranean plants.
Credits Project: MCA Mario Cucinella Architects Mario Cucinella, Elizabeth Francis, Edoardo Badano, Francesco Bombardi, Davidi Hirsch, danilo Vespier Model: Glenn O’Brian
Landascaping: James Tynan Engineering: Roberto Calà, Pierpaolo Cariddi, Alfredo Ferramosca, Gianni Ricciardi Client: Comune di Otranto, Unione Europea - Regione Puglia Programma Interreg
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Un frammento di futuro New Fair Area in Brescia
Progetto: KR Studio
Nella pagina a fianco, particolare del “boulevard dei servizi e dell’arte” del Nuovo Polo espositivo unitario e integrato di
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rogettare i centri della città poliP centrica. Motori di sviluppo urbano sempre più diffusi, i quartieri
fieristici sono elementi cerniera fra centro urbano e nuove zone di sviluppo. Il complesso fieristico è dunque luogo fondamentale nella geografia, oggi tendenzialmente policentrica, della città europea, ormai cosi “globalizzata” da condividere fenomenologie con la “città generica” (struttura a espansione ibrida con un’omogenea periferia-provincia senza un preciso ordine urbano), un tempo presente soprattutto in alcune realtà territoriali d’oltreoceano. Con la sua capacità di catalizzatore economico, il centro fieristico è un elemento pulsante in grado di vitalizzare contesti, talvolta a scala regionale, con nuove mescolanze, nuovi spazi con varie e inaspettate possibilità funzionali. Con la sua connotazione di insieme di “piazze” e percorsi di tipo urbano, il nuovo quartiere fieristico di Brescia 12 l’ARCA 144
è un frammento di futuro che anticipa il divenire della città. Il progetto elaborato da Piotrowski del KR Studio mira a creare una tipologia innovativa; ovvero: un polo espositivo in grado di esprimere, in un unico organismo, due diverse realtà come la fiera specializzata e il parco tematico, realizzando una struttura che combina l’estrema funzionalità del centro fieristico con un’effettiva integrazione fra tessuto urbano e vita della città. Innovazione urbana attraverso rivisitazioni del passato. Il nuovo quartiere fieristico è stato concepito non senza gettare uno sguardo sull’evoluzione dell’ambiente urbano, soprattutto in epoca medievale. Il riferimento teorico è in un qualche modo legato a ricerche svolte dello storico Henri Pirenne che, intorno agli anni Venti, ipotizzava la formazione della città moderna quale risultato della combinazione di due diver-
se realtà: quella “istituzionale”, statica, del nucleo formato dal castello e dalla cattedrale, e quella “dinamica”, ricca di energie innovative del borgo abitato dal ceto mercantile, protagonista della rivoluzione capitalistica. Le realtà del nuovo quartiere fieristico bresciano sono identificabili in due diversi ambiti: all’esterno dell’area, i corpi dei servizi che perimetrano la fiera, senza però recintarla, in cui vi sono ristoranti, negozi, banche, teatri, luoghi di culto ecc., disponibili anche per la città e, nella zona interna, i padiglioni espositivi polifunzionali. L’obiettivo è creare condizioni sufficienti per innescare un processo di sviluppo urbano attraverso la combinazione fra strutture di segno opposto: quella statica dei servizi con quella dinamica del centro espositivo vero e proprio, caratterizzato da un insieme di contenitori in grado di mutare, anche radicalmente, la propria configurazione spaziale. I cicli
brevissimi fra una manifestazione e l’altra sono il momento dinamico del quartiere fieristico, in tal senso i padiglioni offrono il massimo di flessibilità dimensionale grazie alla larghezza fissa di sessanta metri, ma con possibilità di poter variare lunghezza e altezza. Il volume del padiglione tipo è completamente libero e le colonne sono rimovibili e possono supportare interpiani mobili. Anche le coperture sono facilmente rimovibili: il padiglione può così trasformarsi in una piazza, in uno spazio in grado di interagire con il resto della città. Prevedendo un impiego diverso dei padiglioni, la parte interna della perimetrazione delle strutture di servizio prospettante sull’area espositiva, è configurata come una vera e propria facciata con aperture solitamente chiuse durante le fiere, ma apribili in altre occasioni, offrendo così un affaccio verso l’interno. Carlo Paganelli
Brescia. In alto, pianta a quota + 0.00 e planimetria generale. Sopra, sezione trasversale.
lanning centers within a policenP tric city. Convention areas are urban development engines-places
that connect the urban center with new developing zones. Therefore the convention complex is a fundamental reference point in today’s generally policentric urban geography; European cities have become “globalized” enough to share traits with the “generic city” (hybrid structure and expansion with homogeneous suburbs and lacking any precise urban order) which was once present only on the other side of the Atlantic. The convention and fair complex with its capacity for economic galvanization is a pulsing life element able to vitalize contexts, occasionally even on a regional scale, with new combinations and new spaces gifted with various unexpected functional possibilities. The new convention area in Brescia with its various “piazzas” and urban pathways is a fragment of the
Opposite page, detail of the New Unified and Integrated Exhibition Centre’s “boulevard of services and art”.
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future which anticipates the destiny of the city. KR Studio-Piotrowski’s project aims to create an innovative typology; more to the point: an expository lodestone capable of expressing, in a single organism, two such diverse realities as the specialized convention area and a thematic park. Piotrowski has managed to create a structure which combines the extreme functionality of a convention center with an effective integration between the urban fabric and the life of the city. Urban innovation through revisiting the past. This new convention and fair area was not conceived without a look at the evolution of the urban environment and the medieval period in particular. The theoretical references are in some ways linked to the research of the historian Henri Pirenne who, in the twenties, theorized a formation of the modern city as a result of the combination of two diverse realities: one “institutional”, static, with a nucleas
Top, plan at height + 0.00 and site plan. Above, cross section.
formed by castle and cathedral, and one “dynamic”, rich in innovative energy from the neighborhood occupied by the mercantile class, heros of the capitalist revolution. The realities of the new Brescian convention and fair area are identifiable in two distinct circles: outside the convention area in the buildings that service the complex without enclosing it (primarily restaurants, shops and stores, banks, theaters, cultural gathering places, etc.) and at the same time service the city itself, and then the multifunctional expository pavilions within the convention center proper. The objective is to create sufficient conditions to spur urban development through the combination of opposing structures: the institutional and static structure of the service buildings and the dynamism of the actual convention center which is characterized by a grouping of host spaces capable of changing, even radically, the spacial configura-
tion. The extremely brief interval between one show and the next is the dynamic moment of the convention center and in that sense the pavilions offer the maximum dimensional flexibility thanks to the fixed 60 meter width with the options of varying both the length and the height as needed. The volume of the pavilions is completely free and the columns can sustain various levels of shelving or can be removed entirely. Even the covers are easily removed: the pavilion can be thereby transformed into a piazza-a space capable of reacting and interacting with the rest of the city. With another different use of the pavilion space in mind, the internal part of the service structure’s perimeter (where the structure looks in on the exposition area) is configured as a genuine facade with openings usually closed during fairs and conventions but open in other occasions and thereby offering a window on the internal structure. l’ARCA 144 13
Credits Project: M. N. Piotrowski - KR Studio, F. Accerenzi, G. Barni, A. Montesi, S. Pellin, M. Rivolta, J. Sokalski, F. Levi Pavilions Structures: Ing. A. Donadio - S.P.S. West Building Structures Ing. F. Garbari, Ing. L. Guerini Plants: TEKNE S.p.A. Coordination and General Program: Ing. F. Garbari Technical Coordination: A. Montesi - TEKNE Logistic: D. Milana e M. Piotrowski Dolmen Italia Client: S.p. A.Immobiliare Fiera di Brescia
Sopra, particolare della tensostruttura. Qui sotto, modello del complesso fieristico. Il sistema bioclimatico per il riscaldamento e condizionamento della Fiera è composto da sistemi tradizionali
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14 l’ARCA 144
integrati da pompe di calore, che sfruttano una parte delle acque del fiume Mella, convogliate nel canale Sorbonella e quindi nel lago del vicino Parco, da dove giungono agli impianti di scambio termico della Fiera.
Above, detail of the tensile structure. Below, model of the Trade Fair. The bioclimatic system for heating and airconditioning the Trade Fair is constructed out of conventional systems backed-up by heat pumps exploiting water from the
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River Mella, which is conveyed into Sorbonella Canal and then the lake in the nearby park, before being sent through to the Trade Fair’s heat exchangers.
Sezione longitudinale dei padiglioni e centro congressi; sezione trasversale della hall e centro affari.
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Longitudinal section of the pavilions and conference centre; cross section of the hall and business centre.
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l’ARCA 144 15
Per i climi estremi Atlantis Module in the Antarctic
l progetto nasce da un’idea di Francesco Stochino Weiss, musicista, Iuomo di teatro, imprenditore teatrale
che, volendo inaugurare il nuovo millennio con un evento-spettacolo multimediale, ha pensato di realizzare un “contenitore” da installare in un luogo emblematico della rinnovata attenzione dell’uomo per la natura e l’ambiente: l’Antartide. La forma di tale “oggetto” - il modulo Atlantis - doveva essere di grande impatto emozionale, per rappresentare il passaggio al terzo millennio, ma con il minimo impatto ambientale. Per questo è stato chiesto alla Pininfarina Extra, società del gruppo Pininfarina, di progettarlo. Gli ingegneri Paolo Pininfarina, responsabile del concept design, e Fabrizio Astrua, responsabile del progetto architettonico, hanno scelto non a caso la forma di un disco, appoggiato su tre bracci radiali, nei quali sono ricavate le scale di accesso. Al fine di non produrre modificazioni all’ambiente non sono previste fondazioni tradizionali o basamenti di appoggio permanenti, bensì è stato concepito un sistema articolato che consente ai sostegni metallici di adattarsi al sito e di utilizzare il materiale presente nel sito stesso come zavorra atta a contrastare le spinte del vento. Molte nazioni, tra cui l’Italia e la Spagna, che da anni possiedono una base estiva sul continente antartico, si sono dimostrate seriamente interes-
16 l’ARCA 144
sate al progetto e hanno collaborato fattivamente con suggerimenti preziosi. In particolare l’Italia, con il P.N.R.A. (Programma Nazionale per le Ricerche Scientifiche in Antartide) dell’Enea, ha fornito dati scientifici sulle condizioni climatiche e informazioni generali particolarmente importanti che hanno consentito di formulare ipotesi progettuali corrette. Il progetto di una struttura del genere, anche per le difficoltà logistiche legate al trasporto e al montaggio del modulo prefabbricato dal luogo di costruzione sino in Antartide (non sarebbe possibile realizzarlo direttamente in loco per le difficoltà ambientali) e delle attrezzature di ricerca ha richiesto la collaborazione di un partner sul posto. Scartata l’ipotesi italiana per difficoltà logistiche, la scelta è caduta sulla Spagna, che ha preso molto a cuore questa realizzazione. Il modulo dunque, con molte probabilità, sarà localizzato in prossimità della esistente base spagnola a Livingstone, posta di fronte alla penisola antartica e a Capo Horn, a cinque ore di elicottero e circa due giorni di nave dalla Terra del Fuoco. Le ricerche delle nazioni impegnate in Antartide sono molteplici: osservazioni astronomiche, osservazioni sul campo magnetico terrestre, sulla storia glaciale antartica e quindi del pianeta, sui meteoriti inglobati nei ghiacci, sul comportamento dei materiali alle bassissime temperature, studi
sull’uomo e il suo adattamento alle condizioni di vita estreme, studi sugli ecosistemi, studi di biologia marina, etc. Il modulo quindi è stato studiato per poter ospitare una comunità di ricercatori di 22 persone che potranno vivere e lavorare anche in inverno in piena autosufficienza, ma è in grado di ospitare sino a 225 persone per sessioni di studio internazionali o per particolari eventi. All’interno il modulo è organizzato su due livelli principali, rispettivamente a quota +5,42 m e a quota +8,25 m. Il primo livello è destinato alle zone di accoglienza e alla zona notte con relativi servizi e lavanderie, con 11 confortevoli camere dotate di due posti letto ciascuna, due armadi e una scrivania. Il secondo livello, più alto, è destinato alla zona giorno, suddivisa in zona di lavoro e zona di svago. Un anello periferico garantisce le connessioni distributive consentendo, nelle ore di pausa dal lavoro, l’attività ginnico-ricreativa. Un terzo livello può essere realizzato a quota +10,50 m solo per attività di osservazione astronomica e attività di lettura. Le partizioni interne sono realizzate con elementi componibili per garantire la massima flessibilità in funzione di mutabili esigenze d’uso. Naturalmente le condizioni ambientali estreme hanno posto un severo vincolo alla progettazione del modulo, che doveva resistere anche al vento catabatico antartico, che soffia con raf-
Progetto: Fabrizio Astrua-Paolo Pininfarina
fiche che raggiungono i 250 Km/h, in un ambiente con temperature dell’ordine dei 40°/50°C sotto lo zero. Per questo la forma è stata studiata e verificata Centro Aerodinamico Aeroacustico della Pininfarina a Grugliasco sotto la direzione dell’ingegner Antonello Cogotti. Per la realizzazione del guscio esterno, che doveva garantire leggerezza, adattabilità alla forma a doppia curvatura, resistenza, divisibilità in parti poco ingombranti per il trasporto in nave, è stata scelta una struttura leggera in materiale composito con fibre di carbonio e Kevlar irrigidita da un telaio in composito e adeguatamente coibentata. Il guscio è composto da 18 spicchi prefabbricati (già finiti e dotati di vetratura, parti della impiantistica di base, ecc.), a loro volta divisibili in tre tronconi, che saranno trasportati via nave e assemblati sul posto; la piastra di base e le zampe per l’ancoraggio a terra sono realizzate in struttura metallica, che verrà protetta da carter in materiale composito. Nello spessore del guscio, una rete di fibre ottiche consente il monitoraggio costante delle condizioni del modulo sotto le sollecitazioni dinamiche esterne. Sulla sommità, gli spicchi terminano in un anello di raccordo in acciaio del diametro di quattro metri, che ospita una semicupola in vetro, apribile, da utilizzare come osservatorio astronomico. Fabrizio Astrua, Francesco Ossola
■ Nella
pagina a fianco, simulazione dell’inserimento ambientale. Sotto, carta geografica del continente antartico. Sotto, a destra, modellazioni al computer: vista prospettica del modulo dall’infinito - si
può vedere la pinna stabilizzatrice posteriore e dal basso con in primo piano le “zampe“ che tengono sollevato il guscio da terra e ospitano le scale di accesso e la grande vetrata continua posta sull’equatore del modulo.
his project is based on an idea T thought-up by Francesco Stochino Weiss, a musician and theatrical
entertainer/entrepreneur, who, to celebrate the new millennium with a multimedia event-show, has designed a “container” to be installed in a place symbolising people’s growing attention to nature and the environment: it is called Antartide. This “object” - the Atlantis module - is supposed to be designed to create great emotional impact to represent our moving into the third millennium while creating as little environmental impact as possible. That is why Pininfarina Extra, a company belonging to the Pininfarina Group, has been asked to design it. The engineers, Paolo Pininfarina, in charge of concept design, and Fabrizio Astrua, in charge of architectural design, have astutely chosen the shape of a disk resting on three radial arms holding the entrance steps. There are no conventional foundations or permanent support bases so as not to alter the environment. An elaborate system has been designed allowing metal supports to nestle on the ground, using material found on the site itself as ballast designed to withstand strong gusts of wind. Lots of countries, including Italy and Spain, which have had summer bases in the Antarctic for years now,
■ Opposite
page, simulation of environmental insertion. Below, geographic map of the Antarctic. Below, right, computer models: perspective view of the module from infinity - the rear stabiliser fin is visible - and from below showing
have shown a real interest in the project, helping out with valuable suggestions. In particular, Italian technicians working for Enea’s P.N.R.A. (National Programme for Scientific Research in the Antarctic) have provided particularly interesting scientific data on the general weather/information conditions, allowing feasible design hypotheses to be formulated. A design for this kind of structure called for an on-the-spot partner, due to logistical problems connected with transporting and assembling the prefabricated module from the building site to the Antarctic (there was no way of constructing on site due to the environmental conditions). Having rejected the Italian idea due to logistical difficulties, the choice fell on Spain, that has really taken this project to hear. It is highly likely that this module will be located near the old Spanish base in Livingstone opposite the Antarctic peninsula and Cape Horn, a five-hour helicopter flight or roughly two-day sail from Tierra del Fuego. The nations involved in the Antarctic programme carry out all kinds of research: astronomical observations, observations into the earth’s magnetic field, into the glacial history of the Antarctic and, hence, entire planet, into meteorites buried in the ice and the behavioural properties of materials at extremely low tempera-
a close-up of the “clamps” holding the shell above ground level and holding the entrance steps and large curtain glass window on the module’s equator.
tures, as well as studies into human behaviour and how people adapt to extreme living conditions, studies into ecosystems, studies into marine biology etc. A module has been designed to cater for a community of 22 research workers, who will be able to live and work self-sufficiently even in winter; the module is also capable of accommodating up to 225 people for international study sessions or special events. On the inside the module is arranged over two main levels, respectively at +5.42 m and +8.25 m. The first level is designed to host the reception area and nighttime quarters, including the laundry and other facilities; it is equipped with 11 comfortable bedrooms, each with two double beds, two wardrobes and a desk. The second upper level holds the living quarters divided into a work area and leisure area. A peripheral ring serves to link together the different areas, also catering for recreation/physical exercise during work breaks. A third level can be constructed at +10.50 m just for astronomical observation and reading activities. The internal partitions are made out of modular sections to allow maximum flexibility to cater for changing functional requirements. Of course, the extreme environmental conditions have placed severe restrictions on the “module” design, which also has to resist the catabat-
ic Antarctic wind blowing at gusts of up to 250 km/h in an environment with temperatures of 40°/50° C below zero. For these reasons, its design was studied and tested out at the Pininfarina Aerodynamic Aeroacoustic Centre in Grugliasco under the supervision of Engineer Antonello Cogotti. A light-weight structure (made of a composite material with carbon fibres and Kevlar stiffened by a suitably insulated composite frame) forms the outside shell, guaranteeing lightness, adaptability to a doublecurved form, resistance, and divisibility into non-bulky parts for transport by sea. The shell is made of 18 reinforced gores (already finished and fitted with windows, basic plant-engineering components etc.), in turn divided into three sections to be transported by sea and assembled on site; the base plate and clamps for fixing it to the ground are made of a metal structure protected by carters made of a composite material. The thickness of the shell leaves room for a web of optic fibres allowing the conditions in the module to be constantly monitored in the presence of dynamic stress from the outside. The gores on top of the shell terminate in a steel connecting ring with a fourmetre diameter holding a glass semidome that opens up to be used as an astronomic observatory.
l’ARCA 144 17
■ In alto, simulazione
numerica del campo aerodinamico del modulo. L’immagine mostra la distribuzione delle pressioni sulla superficie della struttura vista di lato: si nota la depressione (colore blu) a valle del modulo in corrispondenza della finestratura e della copertura. Sopra, simulazione numerica del campo aerodinamico del modulo sotto l’azione del vento catabatico proveniente da direzione prestabilita. L’immagine mostra la distribuzione delle pressioni sulla superficie della struttura vista di tre quarti: il colore rosso indica la pressione massima. Sotto, particolare costruttivo dell’aggancio a terra: le zampe in acciaio sono annegate nel terreno senza uso di basamenti di calcestruzzo.
■ Sopra,
a sinistra, modellazioni al computer dello spaccato del guscio a quota +8,25 m e a quota +5,42 m. A sinistra, sezione verticale sulla pinna stabilizzatrice - si può notare il montacarichi di forma circolare che collega tutti i livelli operativi al suolo - e sezione verticale sulla scala - si può notare che i letti delle camerette sono posizionati a quote diverse, a causa della curvatura del guscio; ai letti più alti si accede attraverso una scaletta di tre scalini. Sopra, dal basso in alto, struttura portante delle zampe e della piastra di base in acciaio; pianta del piano a quota + 5,42 m; pianta del piano a quota + 8,25 m.
18 l’ARCA 144
■ Top,
left, computer models of a cutaway of the shell at height +8.25 and height +5.42 m. Left, vertical section of the stabiliser pin - note the circular-shaped hoist connecting the various operating levels to the ground - and vertical section of the stairs - note the beds in the bedrooms are placed at different heights due to the curved shaped of the shell; the top beds can be reached up a small three-runged ladder. Above, from bottom up, bearing structure of the clamps and steel base plate; plan at height +5.42 m; plan of level at height +8.25 m.
■ Top of page, numerical
simulation of the module’s aerodynamic field. This picture shows the pressure distribution across the structure’s surface viewed from the side: note the dip (blue colour) in the module near the windows and roof. Above, numerical simulation of the module’s aerodynamic field under the effects of a catabatic wind blowing from a set direction. The picture shows the pressure distribution over the structure’s surface when three-quarters visible: the colour red corresponds to maximum pressure. Below, construction detail of the ground clamp: the steel clamps fit into the ground without the use of concrete bases.
Le caratteristiche dimensionali generali dell’oggetto sono le seguenti: il diametro massimo del modulo è di 26,80 m e l’altezza è di 9,86 m per un volume complessivo di circa 4200 mc. L’altezza da terra del modulo è di 3,96 m e tutta la struttura raggiunge l’altezza di 13,82 m. La progettazione delle parti portanti in acciaio ha richiesto la predisposizione di modelli matematici per la verifica del comportamento statico e dinamico del modulo sotto l’azione impulsiva dei venti catabatici spiranti a circa 250 km/ora, sotto diverse condizioni di impiego e sotto l’azione del sisma (zona sismica di 2^ categoria). Il calcolo aerodinamico è stato impostato con condizioni di temperatura ambiente di -20°C, velocità del vento a 60 m/s (216 Km/h), direzione del vento allineata con il sostegno principale della struttura, profilo del vento uniforme. Il problema dell’impianto di riscaldamento e umidificazione è stato studiato in base alle diverse condizioni di impiego e al numero di persone ospitate (da 22, a regime, a 250 per gli eventi estivi internazionali). L’aria immessa in ambiente tramite tre canalizzazioni correnti lungo le gambe di sostegno sarà silenziata e trattata. L’aria confluisce in un serbatoio nella parte bassa della stazione. Una serie di bocchette a pavimento fanno passare l’aria all’ambiente. La distribuzione avviene in modo uniforme a bassissima velocità e lambisce in ascesa i serramenti per evitare l’appannamento. La ripresa dall’ambiente avviene dall’alto in corrispondenza del cupolotto centrale. Le parti vetrate del guscio sono costituite da vetro curvo stratificato, temperato termicamente, dello spessore complessivo di 13/14 mm, composto con un vetro colorato in pasta (azzurro o verde) e trattato sulla faccia interna con uno speciale coating metallico conduttivo e un sistema di riscaldamento per consentire di evitare condensa e ghiaccio. Il pannello è unito in camera con gas Argon nell’intercapedine a un secondo strato tensionato composto di vetro low-e per ridurre la dispersione di calore.
The object’s basic dimensions are as follows: maximum module diameter 26.80 m and height 9.86 m for a total volume of about 4200 cubic metres. The module is 3.96 m above ground level, and the entire structure reaches a height of 13.82 m. The design of the steel bearing parts called for mathematical models to be set up to test the static and dynamic properties of the module under pressure from catabatic winds gusting at about 250 km/h, under various operating conditions and during seismic activity (2nd class seismic zone). The aerodynamic calculation was set up at an ambient temperature of 20°C, wind speed of 60 m/s (216 km/h), wind direction gauged to the structure’s main support, and uniform wind profile. The heating and humidifying system was studied in relation to different operating conditions with different numbers of people inside (from a standard number of 22 up to 250 for international summer events). The air injected through three channels running along the support legs will be specially treated and sound-insulated. The air flows into a tank in the lower part of the station. A set of ducts in the floor let air inside. The air is evenly distributed at a very slow rate and skims the fixtures to prevent misting. The air flows out from above through the small central dome. The glass parts of the shell are made of heat-treated stratified curved glass with an overall thickness of 13/14 mm, mixed with a coloured glass in paste form (light-blue or green) and treated with a special conductive metal coating on the inner face and a heating system to prevent ice or condensation from forming. The panel with Argon gas in its cavity is combined with a second tensioned layer of low-e glass designed to reduce heat loss.
Credits Concept Design: Paolo Pininfarina (Pininfarina Extra) Project: Fabrizio Astrua (Politecnico di Torino) Engineering: Francesco Ossola (Politecnico di Torino)
Shell Structure Consultants: Ciro Fernandes, Filippo Berti (IDET) Plants Project: Luciano Agostini Event Scenography: Pier Luigi Pizzi, Fabrizio Astrua Models: Pininfarina Studi e Ricerche, Pininfarina Deutschland Project and Design Coordination: Francesco Lovo (Pininfarina Extra) Design Collaborator: Luca Biselli (Studio Astrua) Wind Gallery Tests: Antonello Cogotti (C.R.A.A. Pininfarina) Materials Certifications: Politecnico di Torino, Istituto Italiano della Saldatura Composite Material: Tencara S.p.A. Steel Structures: Rating S.r.l. Exterior Glass: SPS S.p.A. Construction Supervisors: Francesco Ossola (Politecnico di Torino), Fabrizio Astrua (Politecnico di Torino), Luciano Agostini Technical Consultants: ENEA PNRA (Progetto Nazionale Ricerche In Antartide) Idea and Production: Francesco Stochino Weiss, Fabrizia Pons
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Camminare sulla storia Mosaics under Glass n questo lavoro progettuale di Ottavio Di Blasi ci troviamo di Ifronte a una singolare emergenza:
salvare una bellezza archeologica italiana, e una bellezza non da poco. Si tratta di qualcosa che è parte del Patrimonio dell’Umanità, come certificato dall’Unesco. Una sfida per il progetto moderno: riuscire a far partecipare i contemporanei di una bellezza antica, senza rinunciare al segno della modernità. Sforzo di grande libertà progettuale: rispettare, servire il proprio tema, senza esserne schiavi, ma testimoniando il proprio tempo. Così il team progettuale di Ottavio di Blasi ha riguardato il problema del mosaico della Basilica di Aquileia con occhio duplice: capire la testimonianza storica del passato, ma leggendola nel presente, per gli uomini di oggi. Un po’ di storia, allora. Protagonisti involontari due plotoni di eserciti, quello austriaco prima e quello italiano poi, durante la prima guerra mondiale, che furono distaccati per i lavori di quello che si preannunciava
come il più importante ritrovamento archeologico del secolo. I pavimenti riscoperti della Basilica, trattati a mosaico in modo mirabile, costituirono (e costituiscono) qualcosa di troppo importante, al punto che gli eventi bellici, legati all’occupazione austriaca di Aquileia, poterono fare a meno di un manipolo di uomini. Ci piace pensare a queste truppe unite, se pur da fronti opposti, che trovano un legante pacifico nella bellezza dell’arte. Ma oggi la costruzione in calcestruzzo destinata a copertura del mosaico, realizzata dall’esercito italiano, si è trovata in gravi problemi di dissesto. Quindi il dovere primario per i progettisti di fornire una più adeguata protezione dalle intemperie. Ma ancora e più avanti, ecco la sfida del progetto: non chiudere la visione del pavimento musivo, riservandola a pochi eletti studiosi, ma continuare a farla visitare a tutti, offrirla alla contemplazione, ma senza correre più il rischio che il calpestìo sposti le tessere e provochi l’usura della superficie. Si parla di
oltre 300.000 persone attirate ogni anno da questo fenomeno di bellezza : una tale eccezionalità di evento di fede e cultura ha imposto una soluzione ardita quanto semplice ai progettisti. Così l’equipe di Ottavio Di Blasi progetta un “volo” sul mosaico: appende il camminamento direttamente al soffitto, approfittando della necessità del rifacimento del manto di copertura. L’idea vincente consiste in una serie di percorsi totalmente trasparenti, in cristallo. Proprio perché il segno del progetto sta nell’essere al servizio della visione, così nulla deve essere nascosto. Il progetto sfrutta le capacità strutturali del cristallo, sostenuto da una sottile struttura in acciaio inossidabile. Così tutto il percorso è aereo e la sensazione è di camminare, quasi levitare a pochi centimetri dal suolo: poter vedere, ma non danneggiare. Il problema di un possibile “ondeggiamento” del carico sospeso è stato risolto con angolature di lastre in vetro temperato, a creare
Progetto: Ottavio Di Blasi Associati
un irrigidimento della struttura. Con la stessa accortezza e tensione alla perfetta visibilità, i progettisti hanno pensato al corrimano, anch’esso in vetro. Rimaneva i problema dell’usura del vetro, sottoposto alla continua abrasione da parte del calpestìo dei fedeli. Anche qui un’idea: la lastra “di consumo” superficiale spessa 6 mm può essere sostituita ogni due anni, come fosse un tappeto. Ancora: la soffittatura è un intreccio di pietra d’Istria e di tubi fluorescenti incrociati, materia dura e vibrazione immateriale incastonati uno nell’altro. Il tutto sostenuto da una struttura cellulare in alluminio. La pietra richiama il materiale primo della basilica e la luce diffusa permette una visione omogenea e senza ombre. Che dire oltre, se non dell’assoluta semplicità e appropriatezza del progetto, senza una sbavatura, senza complicazioni: una architettura che ci parla con il pensiero, con la leggerezza della materialità, con l’intelligenza. Stefano Pavarini
ttavio Di Blasi’s project is designed to deal with a very O special emergency: to save a beau-
tiful work of Italian archeology, a real gem. Something which has been certified by Unesco as part of the Heritage of Mankind. A challenge for modern planning: an attempt to bring a beautiful work from the past into contact with modern-day man without abandoning modernity. A test of great freedom in planning: cater for the project theme without bending to it, at the same time representing the age in which we live. Ottavio di Blasi’s design team took, it might be said, a “double-look” at the problem of the mosaic in Aquileia Basilica: viewing the past but as it appears to us in the present. In other words, a bit of history. Unknown to them, two platoons, belonging first to the Austrian and then the Italian Army during the Ist World War, were momentarily detached from their units to work on what looked like being the most important archeolog-
■ Nella
pagina a fianco, prospettiva e, sopra, prospetto e sezioni dell'intervento per la realizzazione di passerelle in vetro che allo stesso tempo proteggono e permettono di vedere, i pavimenti musivi dell'aula nord della Basilica di Aquileia.
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ical find this century. The uncovered floors of the Basilica, covered with wonderful mosaics, were (and still are) so important that even the events of the war (connected with the occupation of Aquileia) could temporarily do without a handful of men. We would like to think of these troops as bound together, even though on opposite sides, by pacific faith in the beauty of art. The concrete construction built by the Italian Army to cover the mosaic was discovered to be in a severely unstable state. This meant that the architects first task was to provide adequate protection against the environmental conditions. Then, later on, the challenge facing the project was to make sure the mosaic floor was not only visible to just a small number of experts and scholars but open to everyone, but without running the risk that the tesseras might be moved or even worn out by being walked on. After all this work of art allegedly attracts over 300,000 visitors every year:
such an exceptional testimony of culture and faith called for a bold but rather obvious solution as far as its designers were concerned. Ottavio Di Blasi’s team decided to design a “flight” over the mosaic by hanging a walkway from the ceiling, taking advantage of the fact that the roof surface needed repairing. The key to the entire problem is the construction of a series of totally transparent, glass walkways. Nothing is to be hidden from view because the whole purpose of the project is to make things visible. The design exploits the structural properties of glass, held up by a slender stainless steel frame. This raises the entire walkway above the ground, creating a feeling of walking, or almost levitating, a few inches above the ground: seeing without damaging. The danger of a potential “wavering” of the suspended load has been catered for by strengthening the frame through sheets of reinforced glass placed at different angles. The glass banister has also been
designed with the same skill and attention to visibility requirements. The only remaining problem was the wear-and-tear of the glass, which would inevitably be gradually scraped away by visitors’ feet. Another clever idea was thoughtup: a 6 mm-thick “consumer” surface sheet of glass could be replaced every two years, as if it were a carpet. The ceiling is also a criss-cross combination of Istria stone and fluorescent tubes, the knitting-together of a tough material and immaterial vibration. The whole thing is then held up by a cellular structure made of aluminium. The stone alludes to the Basilica’s original building material, while diffused light allows a smooth overall view, without interfering shadows. What else can we say, except to point out the great simplicity of this custom-made design, with no extra complications: architecture which communicates through intelligence, immaterial lightness, and thoughtful precision.
■ Opposite
page, perspective view and, above, elevation and sections of the project to construct glass walkways, which simultaneously protect and let people see the museum floors in the north room of Aquileia Basilica.
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Gianni Berengo Gardin ■ Viste
dei nuovi percorsi vetrati all'interno della basilica per la cui progettazione si sono seguiti come principi fondamentali la non intrusività e il minimo impatto fisico e visivo possibile. Il soffitto è stato realizzato con lastre (120x120 cm) di pietra
22 l’ARCA 144
di'Istria, montate su un supporto a nido d'ape d'alluminio e resina epossidica. Per l'illuminazione, omogenea e senza ombre, è stato scelto un sistema di tubi fluorescenti a 90° alloggiati negli spazi vuoti tra le lastre del soffitto.
■ Views
of the new glass walkways through the inside of the basilica, whose design guidelines were unobtrusiveness and the mitigating of visualphysical impact. The ceiling is made of slabs of Istria stone (120x120 cm) mounted on an aluminium and epoxy resin
honeycomb support. The smooth lighting, casting no shadows, is made of a system of flourescent right-angled tubes nestling in the gaps between the ceiling slabs.
■ Particolari
delle passerelle vetrate, costituite da tre lastre (250x120 cm) accoppiate di cristallo extra-chiaro da 12 mm di spessore. L'insieme è sostenuto da una piccola struttura in acciaio che regge il piano di calpestio e il corrimano, Per ovviare al pericolo di
effetto pendolo della struttura, sono stati creati agli angoli dei percorsi dei punti rigidi costituiti da una coppia di lastre verticali in vetro temperato e lo spigolo così creato è connesso ai piani di calpestio per mezzo di barre tese sul piano orizzontale.
■ Details
of the glass walkways made of a set of three sheets of 12 mm thick extra-clear glass (250x120 cm). The whole thing is held up by a steel frame supporting the walkway and hand rails. To avoid any risk of excessive swinging, the corners of the walkways
are fitted with pairs of sheets of vertical reinforced glass placed at right-angles. The corner this creates is connected to the walkways by horizontal bars.
Credits Project: Ottavio Di Blasi Associati Design Team: Ottavio Di Blasi, Paolo Simonetti, Daniela Tortello, Stefano Grioni, Mauricio Cardenas, Marzia Roncoroni, Anna Fabro Structures: Favero & Milan Ingegneria
Lighting Design: Piero Castiglioni General Contractor: Intergroup-Parma (Paolo Giampietri) Client: Arcidiocesi di Gorizia
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Temerarietà e provocazione A Service Pavilion utto è nato da un compleanno, il primo mezzo secolo della C.F. T Gomma di Passirano, provincia di
Brescia, 35.000 metri quadri di stabilimento, 650 dipendenti. Il committente aveva in animo di realizzare una sorta di scultura commemorativa che, al di là delle buone intenzioni di tutti, portava in sé il germe maligno di quei brutti e inutili orpelli che si scoprono dopo averli avvolti in un telo, tra fanfare e fasce tricolori. Un qualcosa, dunque, che poteva assumere tutti i connotati di un monumento, termine che oggi ha assunto (non è questa la sede per analizzare se a ragione o a torto) una connotazione negativa nell’immaginario collettivo degli architetti. Dante Benini ha intuito il possibile trabocchetto e, grazie a quella che lui stesso definisce una politica “dei piccoli passi” ha convinto il committente a cambiare registro, attraverso “conquiste successive”, un suo “coinvolgimento sempre più attivo” e infine una nascente “passione” dello stesso nei confronti del nuovo programma d’intervento. Anche questo è un ruolo - e quanto importante - che spetta all’architetto. Dall’idea del monumento si è quindi giunti a quella della creazione di una nuova portineria della fabbrica e da questa, via via, con pazienza, alla consapevolezza da parte del cliente della necessità di rinnovare gli spogliatoi, creare sale riunioni dalla dignitosa accoglienza, un’infermeria e comodi e funzionali uffici direzionali. Insomma di dover inventare un’architettura, sviluppatasi su un semplice piastrone di copertura di uno spogliatoio per il personale (1200 metri quadri). Benini colloca il nuovo edificio all’angolo opposto rispetto alla fabbrica esistente. Il che, oltre a sottolinearne il ruolo di isolata novità, trasforma il manufatto in un “punto di vita e di luce anche la notte”. Un manufatto diviso, per usare il termine del progettista, in tre “fasce”: la prima è una sorta di portico le cui colonne non sono scevre da nostalgie classiche e che riveste il ruolo di filtro tra esterno e interno; la seconda, totalmente interna, racchiude atrio, reception, infermeria e, un piano sopra, la sala riunioni; la terza è un’area protetta da un corpo curvilineo in mattoni e ospita uffici di direzione e del personale. Ciò che “fa” l’architettura nel suo complesso è però l’assemblaggio delle varie “fasce” realizzato attraverso innesti, coesioni e spazi interstiziali e che porta la mente del lettore a suggestioni tipiche di Frank O.Gehry. Il tutto si colloca lungo due direttrici principali rispetto all’accesso, la prima delle quali si concretizza attraverso una parete vetrata che scava la terra fino a 3 metri, dove hanno sede gli spogliatoi, la seconda conduce all’atrio di ingresso e al banco portineria. I materiali, com’è ovvio, giocano un ruolo
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fondamentale, soprattutto nel sottolineare l’ossimoro architettonico movimento-staticità ovvero ascesi-ancoraggio terreno: ecco infatti la lamiera leggera in acciaio e il vetro posti a confronto con il mattone che, per altro, si assume l’onere di avvolgere, “incartare” il tutto, fornendo all’edificio una sorta di alveo materno e protettivo che si spinge, grazie a un’acuta invenzione strutturale, sino alle coperture, segnando una pensilina sospesa. Il progettista ha infine voluto “tautologizzare”, attraverso una curiosa simbologia che riporta comunque al concetto iniziale, l’idea della fabbrica che fa da tramite fra ciò che produce la terra e una sorta di aspirazione ascensionale del manufatto e, per estensione, di chi lo abita: “Al lavoratore che esce dall’officina”, fa notare Benini, “si presenta così una composizione di volumi vetrati che si slanciano sul cielo ma che partono dal corpo di mattoni ritmato, sagomato, tessuto, quasi come un pezzo antico di costruzione”. Il ciclo degli elementi primordiali, quasi archetipi, si chiude con l’acqua: tra la fabbrica vera e propria e l’edificio Benini ha realizzato un giardino d’acqua a cielo aperto che ha sì una propria, intrinseca funzione simbolica complementare alla filosofia dell’architettura ma ne ha anche una strettamente funzionale, quella di contenere 660 metri cubi di liquido richiesti dalla normativa antincendio (“La presenza di questa tanica trasformata in giardino”, dice Benini, “diventa il simbolo stesso del progettare: per l’architettura non esistono problemi ma solo risorse, le esigenze sono i materiali da cui partire, sono i dati da trasformare in volontà di forma”). Il Service Pavilion della C.F. Gomma - questa la denominazione completa dell’opera - si inserisce coerentemente nelle analisi e nelle ricerche formali di Benini (pensiamo in particolare a CPC Inox Offices di Basiano e Agorà di Olbia) puntate sulla temerarietà e sulla provocazione che non sono comunque mai fini a se stesse: affondando le proprie radici nella cultura architettonica modernista, Benini non dimentica l’importanza di essere tanto inventore fantasioso quanto uomo concreto. Per dirla con Richard Meier, “Dante Benini è un architetto pragmatico nel miglior senso del termine perché capisce che per realizzare i propri sogni deve trattare creativamente tanto i parametri (quali sito, programma, funzione, budget, tecnologia disponibile, materiali adeguati, normative edilizie, limiti costruttivi e aspettative prestazionali), quanto le condizioni, molteplici e contraddittorie del nostro tempo”. Ai posteri valutare se si tratti, per un architetto, di un vizio o di una virtù. Con buona pace di Charles Fourier. Michele Bazan Giordano
verything began with a birthday, the fiftieth anniversary of the E C.F.Gomma company in Passirano
in the province of Brescia: 35,000 square metres of factory space and 650 members of staff. The client wanted to create a sort of commemorative sculpture which, despite everybody’s best intentions, would inevitably carried within it the evil seed of those ugly and useless pieces of “tinsel” that suddenly reappear after being wrapped up in a cloth in the midst of fanfares and banners bearing the Italian national colours. Something that might have looked to all extents and purposes like a monument, an expression which, nowadays, has taken on negative connotations (this is not the place to analyse whether this is right or wrong) in the collective psyche of architects. Benini saw the possible trap and, thanks to what he himself described as “taking one small step at a time”, he persuaded the client to change his approach, gradually “winning over his attention” and “getting him more and more directly involved” until he himself felt a real “passion” for the new project brief. This is another - not less significant - aspect of the work of architects. The idea of creating a monument was gradually replaced by the idea of constructing a new porter’s lodge or manager’s building for the factory, patiently persuading the client that the locker rooms needed modernising and that a sufficiently respectable meeting room also ought to be constructed, as well as a new sick bay and comfortable, practical executive offices. In other words, a work of architecture had to be erected around a simple roof over staff locker rooms (1200 square metres). Benini has constructed the new building at the opposite corner to the old building. As well as emphasising its role as an isolated new landmark, this also transforms it into a “source of nighttime life and light”. In the designer’s own words, the building is divided into three “sections”: the first part a sort of portico whose columns have a touch of classical nostalgia and which acts as a filter between the inside and outside; the second allinterior section includes the lobby, reception, sick bay and, a floor above, the meeting room; the third section is sheltered behind a curved brick construction and holds the staff and executive offices. What “makes” the architecture though is the assembly of the various “sections” by means of joints, connections and cavities, inevitably calling to mind the kind of works designed by Frank O.Gehry. The entire project is constructed along two main axes, the first of which taking the physical form of a glass wall digging down to a depth of three metres below the ground, where the locker rooms are located, and the second leading through
Progetto: Dante O. Benini & Partners Architects
to the entrance and reception desk. The materials, of course, play a key role, particularly in underlining the architectural oxymoron of motionstaticity or upward movement and anchorage to the ground: light-weight steel sheets and glass contrast with brick, which, incidentally, serves the purpose of enveloping or “wrapping up” the entire complex, providing the building with a sort of protective maternal “womb” drawing on a clever structural device to project out towards the roofs and creating a hanging canopy. Finally, Benini decided to create a series of “tautologies” using a system of symbols taking us back to the initial concept or the idea of a building that acts as a sort of intermediary between the fruits of the earth and the building’s (and with it all those inside it) yearning to thrust upwards (still an aspiration for the remnants of the working class): as Benini points out, “workers leaving the factory are faced with a pattern of glass structures thrusting up into the sky from a base of bricks designed, shaped and woven together like an old piece of building”. The cycle of primeval elements, almost archetypes, draws to a close with water: Benini has designed an open-air water garden between the factory and building, serving both its own intrinsic symbolic function in line with the design philosophy of the rest of the architecture and also the strictly functional purpose of holding 660 cubic metres of liquid required by fire regulations (“the presence of this tank converted into a garden”, so Benini tells us, “symbolises design itself: for architecture there are no problems just resources, the only constraints are the materials used and the information to be changed into form”). The C.F.Gomma Service Pavilion this is full name of the project - fits in neatly with the rest of Benini’s stylistic experimentation and analysis (such as, for instance, the CPC Inox Offices in Basiano and Agorà in Olbia) focusing on recklessness and provocation, which, however, are never treated as ends in themselves: their roots are deeply entrenched in modernist architecture, so Benini never forgets that it is just as important to be an imaginative inventor as a practical person. To quote Richard Meier, “Dante Benini is a pragmatic architect in the true sense of the word, because he realise that to make his dreams come true he must adopt a creative approach to both the parameters (such as site, programme, function, budget, available technology, proper materials, building constraints and functional properties) and all the contradictory circumstances of the age in which we live”. We will leave it to others to decide whether this is a virtue or a vice for an architect. Whatever Charles Fourier might have thought.
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Sotto, viste generale e nella pagina a fianco, particolare del nuovo padiglione di ingresso della CF Gomma a Passirano (BS). Con questo edificio la CF Gomma ha voluto celebrare, attraverso un gesto architettonico
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rappresentativo, i cinquanta anni di attività. Al centro, a sinistra, planimetria generale e, a destra, pianta delle coperture. In basso, a destra, pianta del piano terra e, a sinistra, sezione longitudinale.
Below, general view and, opposite page, detail of the new entrance pavilion to CF Gomma in Passirano (Brescia). CF Gomma intends this building to architecturally commemorate fifty years in business. Centre page, left, site plan
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and, right, plan of the roofs. Bottom, right, ground floor plan and, left, longitudinal section.
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Viste della facciata est, realizzata con lastre di vetro appese che, con un effetto portico, funge da filtro tra esterno e interno e segna l’accesso agli spogliatoi per i dipendenti.
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Views of the east facade made out of hanging sheets of glass which, creating a portico effect, act as a filter between the interior and exterior and mark the entrance to the staff locker rooms.
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Particolare dell’innesto tra la parte rettilinea e quella curva - in acciaio e vetro con solai in lamierino, che contiene l’atrio di ingresso, la reception, l’infermeria e, al piano superiore, una sala riunioni. In basso, particolare dell’interno con la struttura in acciaio verniciato a vista.
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Detail of how the straight part fits into the curved part - made of steel and glass with sheet metal floor - holding the entrance lobby, reception, sick bay and, on the upper floor, a meeting room. Bottom of page, detail of the interior showing the painted exposed steel structure.
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Credits Project: Dante O. Benini & Partners Architects Architect-in-Charge: Dante Benini Project Director: Andrea Livio Volpato Metal Structures, Roofing and Frameworks: Lorenzon Brick Roofing: RDB
Interior Flooring: Marazzi Tecnica Gypsum Works: Fenaroli Interior Lighting: iGuzzini Exterior Lighting: iGuzzini, Orlandi Client: CF Gomma
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Bianco lucente Portarossa Complex, Cuneo
zato in questi ultimi anni l’azione programmatica nella riorganizzazione dell’economia e del territorio della provincia di Cuneo. Essa era generata dalla consapevolezza delle notevoli potenzialità e delle innumerevoli risorse che questa vasta area del sud del Piemonte poteva offrire, grazie alla bellezza dei suoi paesaggi e delle sue vallate alpine, e alla sua localizzazione come cerniera fra due nazioni, fra il territorio delle Langhe e quello della Costa Azzurra. Il complesso di Portarossa è situato all’ingresso della città di Cuneo, e sorge sul limitare di un campo da golf di recente impianto. Esso è composto da un albergo di ottantaquattro camere, un residence con una cinquantina di appartamenti e un centro commerciale con servizi. Lo scenario paesaggistico è notevole, essendo questo un luogo da cui si può cogliere la visione completa di tutto l’arco alpino del basso Piemonte e l’altopiano su cui sorge il capoluogo con il quale questa iniziativa turisticoricettiva è interrelato. Da quest’area, oltre il fiume Stura, il vicino centro storico della città di Cuneo (su un altopiano alla confluenza di due fiumi), appare come la prua di una nave rivolta verso la pianura sottostante. Questa immagine è stata una delle forme ispiratrici del linguaggio architettonico di tutto il progetto. Dalla strada statale che porta verso il confine francese si coglie innanzitutto la forte presenza della struttura alberghiera e dell’attiguo spazio commerciale, entrambi realizzati in cemento prefabbricato, di colore bianco, con lastre pre-lucidate che riflettono le sfumature tonali del colore dell’ambiente circostante. In questa parte del complesso il problema fondamentale sul piano architettonico era quello di utilizzare un materiale opaco (e “pesante”), espressione tipica del mondo della prefabbricazione, con l’intento di “alleggerirlo” il più possibile, e al tempo stesso dimostrarne la flessibilità dei vari componenti, dando vita a nuove soluzioni estetiche, e aprendo, in un campo troppo spesso caratterizzato da una scarsa creatività, nuovi orizzonti, nuove possibilità creative. L’edificio alberghiero viene così a
essere connotato da due “fogli” curvilinei che racchiudono lo spazio destinato alla ricettività, caratterizzati da nastri di finestre continue che richiamano vagamente il ponte principale di una nave da crociera, mentre il fabbricato attiguo costituisce la prua di tutto il complesso, nel quale gli elementi prefabbricati dialogano con la leggerezza delle vetrate degli spazi commerciali ed espositivi. L’interno, per assoluto contrasto, è stato pensato in acciaio e cristallo, non solo per aumentare gli effetti di uno spazio immateriale, quasi metafisico, ma anche per costruire, con la complicità di gradinate, pareti specchianti e collettori impiantistici, volutamente evidenziati, nuove scenografie tecnologiche, siano esse destinate allo shoppingcenter che alla zona ristorante o ai locali espositivi. L’edificio riservato a residence costituisce invece l’ideale antitesi al resto del complesso, sostituendo all’opacità della struttura prefabbricata la trasparenza delle superfici in cristallo e alluminio. La pianta, anch’essa di forma lenticolare, sembra disegnata dal vento e la leggerezza trova in ogni dettaglio la sua applicazione linguistica. La copertura metallica è a carena di nave rovesciata e la sua lucentezza, nelle ore diurne, conferisce a tutto l’edificio, col suo richiamo a forme aerospaziali, quel voluto effetto di smaterializzazione e di trasparenza che ne costituiscono il tema dominante. Si definisce così un rapporto dialogico e dialettico fra i corpi di fabbrica che, pur nella loro individualità, esprimono, attraverso le loro forme, l’appartenenza a un unico pensiero che ha voluto esprimere contemporaneamente, con due diverse tecnologie, quei due linguaggi, che hanno caratterizzato in epoche diverse, l’evolversi storico dell’architettura dalla sua nascita, e cioè la linea e il volume. Particolarmente suggestiva è l’immagine notturna del complesso: mentre la luce interna dell’edificio destinato a residence esplode all’esterno rendendo impercettibili le dimensioni geometriche dei volumi, il “peso” delle pareti in cemento prefabbricato viene annullato da migliaia di fibre ottiche che ne annientano la presenza tridimensionale. Le fibre ottiche vengono così utilizzate, per la prima volta, per conferire una nuova possibilità “architettonica” alla prefabbricazione. G.A.
elaunching the Alpi del Mare tourist resort has been one of R the key themes in the programm-
atic reorganisation of the economy and territory of the province of Cuneo over recent years. This has been developed with a keen awareness of the great potential and considerable resources that this vast area to the south of Piedmont had to offer, thanks to the beauty of its landscapes and Alpine valleys and its position on the border between two countries: the Langhe region and French Riviera. The Portarossa complex physically embodies its design programme: it is located at the entrance to the city of Cuneo, on the outskirts of a recently built golf course. It is composed of an 84-room hotel, a residence holding about fifty apartments, and a well-furbished shopping mall. This picturesque setting offers a full view across the entire lower Piedmont Alpine chain, as well as the highlands where the provincial capital stands, also directly involved in this tourist-accommodation project. From this area beyond the River Stura, the nearby city centre of Cuneo (built on a highland plain where two rivers run together) looks like a ship’s bow facing towards the plain below. The architectural vocabulary of the entire project was partly inspired by this image. The hotel facility and nearby shopping mall, both made of white prefabricated concrete with prepolished sheets mirroring the colours of the surrounding landscape, can clearly be seen from the local highway heading towards the French border. The main architectural problem in this part of the complex was how to “lighten up” the kind of opaque (and “heavy”) material associated with prefabricated building and, at the same time, show how flexible the various components are, presenting new aesthetic features and opening up new creative horizons in a field often rather lacking in artistry. This hotel building features two curved “sheets” enclosing the space
designed for accommodation purposes which is fitted with strips of curtain windows vaguely evoking the main bridge of an ocean liner. The adjacent building represents the hull of the entire complex, whose prefabricated sections interact with the lightness of the glass windows of the shopping-exhibition facilities. In absolute contrast, the interior is constructed out of steel and glass, both to create an almost metaphysical sense of immaterial space and to construct a new technological setting for the shopping centre, restaurant area, and exhibition rooms, with the help of steps, reflective walls, and plant-engineering equipment. On the other hand, the residence building is an ideal antithesis of the rest of the complex, replacing the opacity of the prefabricated structure with the transparency of glass and aluminium surfaces. The lenticular plan seems to be shaped by the wind, and lightness is actually a stylistic leit-motif in every detail of the complex. The metal roof is a inverted ship’s keel and the way it shines during the daytime gives the entire building, designed along aerospace lines, that sense of immateriality and transparency that constitutes its underlying theme. This creates dialogical-dialectical interaction between the buildings, whose singularity nevertheless expresses the idea of belonging to a single train of thought, drawing on two types of technology to embody those two key features which, at different times, have characterised the development of architecture since it was first invented: the line and volume. The complex is particularly striking at nighttime: as the residence building’s interior light blasts out to blur the geometric dimensions of the structures, the “weight” of the reinforced concrete walls is cancelled out by thousands of optic fibres wiping out its three-dimensionality. Optic fibres are used for the first time to give new “architectural” possibilities to prefabrication.
Nella pagina a fianco, il complesso Portarossa a Cuneo, visto di lontano, ricorda vagamente una nave: l’edificio destinato ad albergo, in cemento prefabbricato, racchiude mediante due “fogli” curvilinei, lo spazio destinato alla ricettività. Sotto, planimetria generale.
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G.M. Cerato, P. Carrieri
rilancio turistico del territorio delle del Mare è stato uno dei temi IpiùlAlpi significativi che hanno caratteriz-
Progetto: Gianni Arnaudo
Opposite page, the Portarossa complex in Cuneo, viewed from afar, is vaguely reminiscent of a ship: the hotel building is made of reinforced concrete and the accommodation facilities are wrapped in two curved “sheets. Below, site plan.
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Nella pagina a fianco, viste del residence che, in antitesi all’opacità della struttura prefabbricata dell’albergo antistante, si impone con la trasparenza delle superfici in cristallo e alluminio. La pianta a forma lenticolare degli edifici principali sembra disegnata dal vento e la leggerezza trova, in ogni dettaglio, la sua applicazione linguistica. Visti insieme gli edifici richiamano il perenne contrasto dialettico che caratterizza la storia dell’architettura e cioè la linea e il volume. A sinistra, pianta del piano terra e pianta di un piano tipo. Lo “shopping centre” è stato pensato in acciaio e cristallo, per creare gli effetti di uno spazio immateriale: i collettori delle utilities diventano parte integrante di una grande scenografia tecnologica. ■ Opposite page, views of the residence which, in contrast to the opacity of the prefabricated structure of the hotel in front, features transparent glass and aluminium surfaces.”. The lens-shaped plan of the main buildings seems to be shaped by the wind, drawing in every detail on the idea of lightness. Viewed together, the buildings evoke that ageold dialectical contrast between lines and volumes that has run right through the history of architecture. Left, plan of the ground floor and plan of a typical floor. The shopping mall is made of steel and glass to create a sense of substanceless space: the collectors belonging to the utilities are an integral part of the big technological show. ■
Credits Project: G. Arnaudo - A. Bodino - A. Lavagna Prefabricated Elements: Cemental Roofing: Unimetal Flooring: Mondo Rubber Lighting and Special Effects: Ambiente Lighting: iGuzzini Bathroom Furniture: Idrocentro
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Nel rispetto della luce Sports Arena in Palermo
Progetto: Manfredi Nicoletti
Simulazione al computer della fronte sud-ovest del Palazzo dello Sport di Palermo di notte. Il nuovo impianto sportivo è ubicato nella zona sportiva adiacente al Parco della Favorita ed è collegato al centro città da una nuova superstrada urbana. ■
Computer simulation of the south-west front of the Palermo Sports Centre at nighttime. The new sports facility is built on a sports ground by Favorita Park and is connected to the city centre by a new urban highway. ■
a cosa più sorprendente di questo L nuovissimo palermitano Palazzo dello Sport è il garbo compositivo sot-
tile, la preziosità raffinata che Manfredi Nicoletti riesce a declinare e a mantenere senza nessuna caduta in un edificio appartenente a una famiglia per natura, vocazione e destinazioni d’uso specifiche, propensa a una certa complessiva ampollosità, non importa se celebrativa, strutturale, tecnologica o altro. In questo caso, invece, l’architettura pur non rinunziando a nulla in termini di minuziosità di funzionamento, di materiali e dispositivi avanzati, se non sofisticati addirittura, di consapevolezza energetica, e neanche però di rappresentatività e di scala, fa venire piuttosto in mente i motivi leggiadri e gli sfondi enigmatici, le tracce ambigue e fascinose che segnano la vera vena originale e strana di quella città, via via nei secoli; poi troncata, in qualche modo dal declino e la morte dell’art nouveau. Visto così in pianta, il layout della macchina sportiva ha nitore esemplare. Cinquemila spettatori non sono pochi, più tutto l’andirivieni di quelli che giocano, arrivano, partono, si spogliano, si lavano, si rivestono, si fanno male e vengono curati; di quelli che li assistono; dei fornitori; dei manutentori; dei tecnici necessari ai vari funzionamenti, alle riprese, alle emissioni di varia specie. Formicolii grandi quando ci sono gli incontri. Piccoli formicolii quotidiani, magari molto verso sera, quando si smette di lavorare: palestre, di nuovo spogliatoi e docce; le riunioni delle società sportive; quelle (più pompose?) del CONI; tutti posti comunque a disposizione, con una loro vocazione a usi diversi e compositi. Dare forme adatte a degli intrecci; ospitare bene storie diverse permettendone lo svolgimento. In ambienti well-tempered: se no, come si potrebbe? Nessuna retorica da grande stadio, nessuna distesa immensa dove per qualche motivo, anche quando non c’è nessuno, dovrebbe risuonare, invece di una normale desolazione, l’eco di folle deliranti. Ma neanche la ripetizione stucchevole del medesimo elemento strutturale, di per sé magari brillantissimo, ma quasi sempre incapace di generare per conto proprio spazi di un qualche interesse e di una qualche consistenza formale e non soltanto quantitativa. Nel bel mezzo di un pezzo di Italia dove la terra sul più bello trema con effetti rovinosi, Nicoletti affonda questo suo attento layout, anzi meglio questo articolato supporto di architettura, per un paio di metri nel terreno, quasi seguendo naturalmente il destino del peso grande del basamento di fondazione. Nessuna tentazione ipogea, nessun fascino ctonio; è un’operazione ragionevole, però ricca di conseguenze tutt’altro che irrilevanti. Percorsi ridotti, minori dislivelli delle risa-
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lite e così via; ma soprattutto quello che ne viene fuori è un maggior senso di intimità, se si può usare questo termine per spazi così estesi. La luce che viene da fuori piove solo dalle testate, modulata per di più come poi vedremo, dando consistenza a un luogo molto interno, dove è gradevole stare; mentre si decontrae, si stempera, insomma ritorna al suo giusto posto, che è quello di non esagerare, di non sopraffare tutto il resto, l’effetto della tensostruttura d’acciaio di copertura di tutto l’insieme, con tutti i suoi annessi e connessi, che abbraccia una portata davvero di tutto rispetto. E poi c’è questo altro aspetto, che quasi sempre passa inosservato o è trascurato: interrare un poco vuol dire maggiore inerzia termica, cioè meno caldo quando fa caldo e meno freddo quando fa freddo. Effetto tana: bella architettura, anche intelligente sotto il profilo del comportamento energetico. Guardando le piante, poi, è difficile non rimanere incuriositi da un non so che di esotico; come fa questo impianto svolto all’insegna di un understatement deliberatamente minuzioso ad assumere nei disegni sembianze del tutto inaspettate, palesando memorie esotiche di lanterne smisurate, un po’ criptiche, iniziatiche, da triade? Bisogna, per capire le cose, passare ora dal dentro al fuori; seguire cioè un percorso di avvicinamento, arrivando da lontano. Nasce questa architettura, dall’intersezione un po’ lautréamontiana dell’impianto molto cool da corpo sportivo, di cui finora si è detto, con un fascio di bastoncini del gioco dello shanghai, colto nell’attimo del suo sgranarsi, immediatamente seguente alla torsione che gli si imprime per poter iniziare la partita. Vediamo come. Considerando la copertura insellata come un enorme coppo leggerissimo, smaterializzato, ma ugualmente capace di raccogliere e convogliare enormi quantità d’acqua, lo si è fatto sbalzare da un lato, a doccione, sopra una grande vasca di ardesia che, ricevendo l’acqua, riflette il fronte della costruzione, offrendone a chi vi si avvicina un’immagine speculare. Dall’altro lato le acque scorrono verso terra costrette da un condotto. I bastoncini dello shanghai, così diversamente mozzati, danno luogo a due superfici svirgolate e fra di loro alla rovescia. Sono tubi di acciaio inox, del diametro di ottanta centimetri, che danno luogo a due spazi esterni e racchiusi, opposti sui due fronti, l’uno il negativo dell’altro, di geometria complessa. Protesi ambigue nella loro relativa indipendenza, la luce e i raggi del sole non certo deboli a quella latitudine scivolano su di essi; e tutto quanto, ombre proprie e portate e ciò che via via filtra all’interno sul campo e sugli spalti addolcisce configurazioni incessantemente mutevoli. Maurizio Vogliazzo
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■ Nella pagina a fianco, dal basso in alto, piante dei livelli +880 e +130, sezione trasversale, sezione longitudinale. Sopra, il fronte sud-ovest durante i lavori di realizzazione. Sotto, la fronte nord-est. La forma del Palasport è guidata da un concetto
strutturale adatto all’alta sismicità della zona: il basamento è in cemento armato, parzialmente affondato nel suolo nel punto su cui si imposta una leggera tensostruttura di acciaio a tenda a doppia curvatura prefabbricata, determinata da 15 coppie di colonne di
acciaio distanziate di 60 cm. Queste sostengono ciascuna un cavo controventato le cui estremità sono ancorate con tiranti a piloni triangolari in cemento armato precompresso.
■ Opposite
page, from bottom up, plan at height +880, plan at height +130, cross section, longitudinal section. Above, the south-west front during building work. Below, the north-east front. The Sports Arena is designed along special
anti-seismic lines for this trouble spot: the basement is made of reinforced concrete, partly sunk in the ground where a prefabricated doublecurved tent-style lightweight tensile structure stands. The structure is made of 15 pairs of steel columns placed at 60-cm
intervals. Each column holds up a windbraced cable, whose ends are fixed by tie-rods to triangular piers made of precompressed reinforced concrete.
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he most surprising thing about this brand-new Sports Arena in T Palermo is the subtle stylistic ele-
g a n ce a n d r ef i n e d i n t r i c a c y t h a t Manfredi Nicoletti has created and held onto, without slightest sign of wavering, in a building which, by its very nature, vocation and specific uses, tends towards a certain pompousness - it matters little whether in commemorative, structural or technological terms etc. In this case, however, without losing anything in terms of the meticulous precision (or at times even sophistication) of its functional features, materials and cutting-edge technical mechanisms or of its building scale and design, the building calls to mind the pretty patterns, enigmatic backgrounds, and intriguingly ambiguous traces of the true origins of this strange city as it has developed down the ages; a city whose fate seems in some way to have been marked by the twilight and death of art nouveau. Examining the building plan, the layout of this sports machine is exemplary in terms of clarity and precision. Five thousand spectators make a big crowd, then add to this all the comings and goings of those taking part in the sports events, arriving at the arena, leaving, getting changed, washed and then dressed again; some of them even getting hurt and requiring medical treatment for their injuries; then there are the stewards, suppliers, maintenance men, technicians for servicing all the plant-engineering, film crews etc. Small swarms of people, gradually growing in size in the evening, after work: gyms, more locker rooms and showers; meetings of the sports clubs and (perhaps more ceremonial?) of the Italian Olympic Committee; seats for everyone, designed for specific purposes or a combination of uses. The idea was to create the right forms for these multi-purpose facilities; allow all these sporting narratives to unfold in just the right surroundings. None of rhetorical pomp of those huge stadiums surrounded by massive clearings, which, for some reason or other, are supposed to echo with the ring of cheering crowds even when they are deserted. There is also none of the boring repetition of one single structural element, often quite brilliant in itself but almost never capable of creating interesting spaces of genuine stylistic quality as well as quantity. Right in the middle of an area where the earth can suddenly start trembling at any moment with disastrous effects, Nicoletti has sunk this carefully-designed building, or rather intricate architectural support, a couple of metres into the ground, as if he were just letting the huge weight of the foundations base nestle down naturally. He has resisted the enticing temptation to furrow underground; this is certainly a reasonable approach with certain
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■ Nella pagina a fianco, dal basso in alto, particolari costruttivi della vasca di raccolta delle acque meteoriche, particolari costruttivi dell’attacco della copertura sul lato sudovest, particolari costruttivi delle finiture
del carter di colmo, dei coperchi laterali e delle pensiline sui lati nordovest e sud-est. Sopra, particolare delle colonne in acciaio sulla fronte sud-est. Sotto, particolare dell’attacco delle colonne al suolo.
Opposite page, from bottom up, construction details of the rain-water collection tank, construction details of the roof connection over on the south-west side, construction details of the finishes on the overflow carter, side lids, and
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cantilevers over on the north-west and south-east sides. Above, detail of the steel columns on the south-east front. Below, detail of how the columns are connected to the ground.
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Il campo di gioco con le tribune per circa 5000 posti a sedere. Gli interni contengono due palestre, tutti i servizi per gli atleti e gli spettatori, due servizi di pronto soccorso, caffetterie, bar, sale rtiunioni, due gruppi di uffici, sale e postazioni stampa e telecomunicazioni. ■
The playing field showing the stands seating about 5000. Inside there are two gyms, all the facilities for the sportsmen and spectators, two first-aid units, cafeterias, bars, meeting rooms, two blocks of offices, and press/telecommunications rooms and stations. ■
Credits Project: Manfredi Nicoletti Structures: Antonino Rizzo Services: M.Bonafede, S.Guercio, S.Romano Quantity Surveyor: Edmondo Gentilucci Collaborators: Luisa Campagna, Cristiano
Tavani, Roberto Perris General Work Supervision: Manfredi Nicoletti, Antonino Rizzo Assistant: Edmondo Gentilucci Structural Works: Costruzioni Generali CGP External Aluminium Cladding And Stainless Steel Works: Tecnomeccanica Costruzioni Internal Finishing and Water
Ponds: Eredi Aiello Thermohydraulics and Air Conditioning: Thermosud Technical Coordination: Defendino Corbo Assistant: Loredana Tarallo
notable implications, such as a reduction in the size of the paths and corridors, lower heights to deal with, and so forth; but the most striking thing of all is the great sense of intimacy it creates, if we can use this expression in relation to such huge spaces. All the light from outside floods down from above (we shall see how later on), creating a distinctly interior place which is nice to be in; as space is contracted, it softens, returning to its rightful place, no excesses that might stifle all the rest: this is the effect of the steel tensile structure roof over the entire structure, with all its joints and connections covering quite a notable span. Then there is another aspect that seems to have gone almost unnoticed: furrowing just a few metres underground means greater heat inertia or, in other words, less heat when it is hot, less cold when it is cold. A den or burrow effect: beautiful architecture which is also smart in energy efficiency terms. But the surprises do not finish here. Examining the building plans, something genuinely exotic inevitably catches the eye; how can something designed in the name of a deliberate sense of meticulous understatement take on such unexpected appearances, exotically evoking those huge, mysterious lanterns used in the initiation ceremonies of triads? The only way of really coming to terms with all this is to leave the inside of the arena and go outside; in other words, approach the building from a distance. This work of architecture actually derives from the rather Lautréamont-style intersection of a very cool sports complex (illustrated above) and a bundle of pick-up-sticks caught in the act of being tossed into the air at the start of a game. Let’s see how then. The roof, that looks like a huge substanceless ultra-light bent-tile capable of holding and conveying huge amounts of water, has been tipped on its side like a spout over a large slate tank, which, as the water flows in, reflects the front of the building offering a mirror-image to anyone approaching the building. On the other side, the water runs down to the ground along a pipe. The pick-up-sticks, cut to all different sizes, create two reciprocally inverted projecting surfaces. These are actually stainless steel pipes, measuring eighty centimetres in diameter, creating two closed outside spaces on two opposite fronts, the one being the negation of the other; light and sunlight (certainly not weak at this latitude) slide over these geometrically intricate spaces, ambiguous in their relative independence. And all this, including all the various shadows and everything gradually filtering down onto the playing filed and into the stands, plays down the constantly changing configurations. Maurizio Vogliazzo
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Materia e contrasto Multi-Functional Building in Perugia innegabile come il tempo e lo E’ spazio, o perlomeno la percezione ultima che di questi concetti
abbiamo, stiano subendo una rivoluzione copernicana. Il primo, intimamente legato alla tecnologia e all’innovazione (che, per definizione, lo precorre), sta uscendo dalle regole in cui era rimasto ingabbiato per secoli. Bauds e bit parlano di una simultaneità che la rete sta diffondendo velocemente. Contemporaneità vs. memoria, internet time, con la sua ora universale indipendente dalla latitudine, contro fusi orari e fasi lunari. Il secondo addirittura sta per essere fagocitato da un suo epigono dal nome strampalato: cyberspazio. Assenza di scala nella visione digitale, non corrispondenza tra siti e luoghi, azzeramento delle distanze: ecco come si è rivoltato su se stesso quello che, tra i tanti valori, seppur disputato tra una miriade di pretendenti al titolo di unica unità di misura atta a rappresentarlo, aveva mantenuto una sua solida dignità, legata alla terra, tangibile con mano. Quanto è vero tutto ciò nell’Italia centrale oggi per chi si disponga a osservare il paesaggio intorno a Perugia? Qui il tempo ha stratificato una specificità considerevole: l’unicità che deriva dalla compressione di tanta storia in relativamente poco spazio, dalla quale emergono capolavori e meraviglie, ma anche un’urbanizzazione feroce, talvolta di scarsa qualità, ferite evidenti in un contesto meraviglioso che raccontano il trascorrere di tempi più o meno felici. Qui dunque diventa difficile pensare a un’architettura i cui concetti ispiratori siano completamente svincolati dal tempo, inteso come passato con il quale confrontarsi, e quindi questo è il posto in cui la tentazione vernacolare può essere forte. Ecco quindi la difficoltà di porsi davanti a tempo e luogo in un contesto simile, e Signorini Associati la affrontano con rigore, con in mano le uniche luci disponibili per rischiarare correttamente l’impostazione di questo progetto: ragione e sensibilità colta nei confronti del luogo. Il prodotto è un edificio polifunzionale di circa 18.000 metri cubi destinati a uffici, tra i quali la sede dell’Ordine degli Ingegneri e Architetti della Provincia di Perugia, posto ai piedi della collina, quasi una specie di oggetto-base allo scenario percepibile dalla strada a scorrimento veloce. Piante, sezioni e prospetti parlano di razionalismo, di controllo nella composizione, di un indiscuti-
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Progetto: Signorini Associati
■ Nella pagina a fianco, schizzi preliminari e, sotto, vista dell’edificio polifunzionale realizzato a Perugia da Bruno Signorini.
Opposite page, preliminary sketches and, below, view of the multipurpose building designed by Bruno Signorini in Perugia. ■
bile i m p r i n ti n g della ragione sull’architettura, con una definizione dello spazio interno a pianta libera, ottenuta tramite una struttura in cemento armato a maglia larga, e una articolazione rigorosa dei prospetti. Siamo però lontani anni luce da villa Savoy, da un’architettura autosufficiente che ostenta quasi distacco dal luogo. La voglia di confrontarsi e dialogare con il contesto si avverte soprattutto nella scelta delle finiture. Materiali e dettagli affermano una forte attenzione nei riguardi del genius loci. La “toscanità” dei paramenti in mattoni per i quali è stata posta parecchia attenzione al tono cromatico, con l’intento di omogeneizzarlo allo scenario circostante, è forse il più evidente degli sforzi. Il rivestimento in lastre di rame, che qui si ossidano di un bruno tutto particolare, permettendo di evitare l’abusato verdolino, si riferisce direttamente alla vicina cupola della cattedrale di San Ruffino. Per creare invece un significativo contrasto viene adottato invece un linguaggio decisamente moderno nella creazione di aggetti che movimentano la facciata e uno spigolo e nell’uso di elementi smaltati a fuoco rosso cromo e verde olivo imbullonati, quasi l’intento fosse quello di sottolineare la contemporaneità dell’edificio con materiali e lavorazioni attuali. L’architetto però non si nasconde dietro una semplice dialettica tra i componenti, ma fa i conti con il passato affrontando un dettaglio e riprogettandolo totalmente, fino a farne il tratto saliente dell’intero progetto. Si riappropria della gronda, elemento una volta determinante che con il tempo ha maturato un lessico fatto di cornici, zampini, pianelle e grondaie quasi completamente cancellato oggi, e la ripensa sia formalmente che tecnologicamente, distaccandola dalla facciata e adottando un materiale moderno come il legno lamellare e importanti puntoni in legno massello. Insieme agli aggetti colorati questo diventa il vero segno distintivo dell’edificio, uno di quegli “attrattori” destinati a farlo riconoscere anche al colpo d’occhio di chi passa velocemente in auto. Benedetto Quaquaro
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■ Planimetria generale e pianta di un piano tipo.
■ Site plan and plan of a standard floor.
ime and space, or at least our T latest conception of these ideas, is undergoing an undeniably Coper-
nican revolution. The first, intimately linked with technology and innovation (which preceded it by definition) is coming out of the rule structure of which it has remained prisoner for centuries. Bauds and bits represent a simultaneity which the net is quickly rendering widespread. C o n t e m p o r a n e it y v s . m e m o r y , i n t e r n e t ti m e w it h it s un i ve r s a l hour independent of latitude, jetlag a n d l un a r c y c l e s . T h e s eco n d i s a c t u a ll y o n t h e ve r ge of be i n g absorbed by one of its whimsicallynamed epigones: cyber-space. Abscence of visual scale. Lack of balance between sites and places. A resetting of distances: this is how a t h i n g h a s r ebe ll e d a g a i n s t it s e l f t h a t h a d un til n ow ( eve n a m o n g many measures and values, even disputed among a myriad of contenders for the crown of single and absolute measurement unit to represent it) maintained a solid dignity. It stayed connected with the e a r t h , t a c til e a n d t a n g i b l e i n t h e hand. And how much of this is true in central Italy today for people who e x a m i n e t h e co un t r y s i d e a r o un d Perugia? Here time has considerable spec i f i c s t r a ti f i c a ti o n : t h e un it y d e r i ve d f r o m t h e co m p r e ss i o n of many stories in a relatively short time, from which emerge masterworks and marvels but also a ferocious and often qualitatively poor urbanization. Such things are open wounds in a n o t h e r w i s e m a r ve l o u s co n t e x t that tells the story of time flowing ove r m illi o n s of i n d i v i d u a l moments. Therefore it becomes difficult to imagine an architecture whose inspirational concepts are released from the bonds of a past which must be confronted and interacted with and for which the temptation to compromise can be quite strong. These are some of the difficulties that must be faced in a time and p l a ce li k e t h i s , a n d S i g n o r i n i Associates have done so rigorously; indeed, they have in hand the only c a r d s a v a il a b l e t o co rr ec tl y r i s k taking on this project: reason and sensibility with respect for the site. The product will be a multifuncti o n a l off i ce b u il d i n g w h i c h w ill a l s o s e r ve a s h o m e off i ce t o t h e Order of Perugian Engineers and Architects. T h e b u il d i n g w ill be a r o un d 18,000 cubic meters and will sit at the foot of a hill, almost a kind of focal point for the quick glimpse a ffo r d e d t h e a r e a f r o m a n e a r b y
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Particolare del porticato che segna l’ingresso dell’edificio. I materiali principali utilizzati laterizio, pietra grigiorosata e rame riprendono il cromatismo dello scenario circostante. ■
Detail of the colonnade marking the building entrance. The main materials used - brick, grey-pink stone, and copper - are reminiscent of the colours found in the natural surroundings. ■
high-speed road. Plans, sections and perspectives reveal a rationali s m , co m p o s iti o n a l co n t r o l , a n i n d i s p u t a b l e s t a m p of r e a s o n o n the architecture with a definition of t h e f r ee- p l a n i n t e r n a l s p a ce ob t a i n e d t h r o u g h a r e i n fo r ce d ce m e n t s t r u c t u r e a n d a r i go r o u s articulation of the perspectives. We are however light years away from Savoy villa, from an autosufficient architecture that shows off in a way almost unrelated to the place. The desire to interact and establish a dialogue with the context is ev i d e n t a bove a ll i n t h e c a r ef u l choice of finishing materials and details concerning the genius loci. Perhaps the most evident signs of the planning effort entailed is visi b l e i n t h e “ T u s c a n y n e ss ” of t h e brick exterior which was carefully colored to homogenize the building with its environs. The copper sheets which cover the building (which here oxidize to a particular dark brown avoiding the overused and abused copper-green) are a direct reference to the nearby dome on the San Ruffino cathedral. Meanwhile a decisively modern language has been used in order to create signifigant contrast. There are projections which animate the f a c a d e a n d a co r n e r , e l e m e n t s of f i r e- r e d c h r o m e a n d o li ve-g r ee n almost as if the intention were to underline the contemporaneity of the building with modern materials and construction. Nevertheless, the architect doesn’t h i d e h i m s e l f be h i n d a d i a l ec ti c between the components. He deals directly with the past confronting a detail and replanning it completely, working attentively until he has transformed it into a sensible part of the entire project. He reclaims the eaves-once determining architectural features which time has matured into a lexicon of frames, legs, slippers and overhangs almost always ignored today-and rethinks them both formally and t ec h n o l og i c a ll y , s e p e r a ti n g t h e m from the facade and adopting modern materials like laminated wood and important points in heavy heartwood. Together with the colored projections this becomes a truely distinctive sign of the building, one of those “attractions” destined to make the edifice recognizable even in the brief glimpse afforded a passenger zipping by in a car. Benedetto Quaquaro
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Particolare dell’aggetto in copertura che si pone come segno distintivo dell’edificio. Sotto, la facciata principale, caratterizzata da un paramento prevalentemente in ■
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laterizio in cui si inseriscono segmenti metallici e lastre di rame, infissi in alluminio preverniciato per le zone direzionali e in legno per la parte destinata alle residenze.
Detail of the roof overhang characterising the building. Below, the main facade featuring a mainly brick facing fitted with metal segments and sheets of copper, prepainted aluminium fixtures
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for the management areas, and wood for the part used for residential purposes.
■ Particolari della facciata sud e dell’angolo sudovest, caratterizzato dall’aggetto che segnala l’edificio verso la strada a scorrimento veloce che gli passa davanti.
Details of the south facade and south-west angle featuring an overhang marking the building facing onto the fast-running road.
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Credits Project and Site Management: Signorini Associati-Bruno signorini Structures: Paolo Anderlini Structure Tests: C.A.Beffa Thermal and Air-Conditioning Plants: Cicogna-Lucarelli
Electrical Plants: Guclielmo Zepparelli General Contractor: SEA Metal Frameworks and Cladding: Metalmontaggi Brickwork: Fornaci Briziarelli Marsciano
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on la recente inaugurazione del C Centro Donato Menichella giunge a compimento un progetto di
insediamento di uffici, che per dimensioni e complessità si situa tra i più rilevanti a livello italiano ed europeo, di grande importanza organizzativa e logistica per la Banca d’Italia. Il Centro è costruito secondo i più avanzati criteri di funzionalità e sicurezza. Ubicato sul prolungamento della via Nazionale-via Tuscolana, l’insediamento si pone in coerenza agli indirizzi urbanistici per il decentramento nell’area sud-est di Roma e rappresenta un concreto contributo al decongestionamento della città e al riequilibrio del rapporto tra centro e periferia. Il complesso si inserisce in un territorio nel quale sono presenti l’Università di Tor Vergata, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente, l’Agenzia Spaziale Europea e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare Per comprendere il senso di questo intervento architettonico e progettuale è necessario dimenticare l’immagine idilliaca, e oramai forse solo letteraria, dell’agro romano e dei suoi castelli - territorio incantato e cosparso di memorie storiche - così come quello meno confortante dei sobborghi tentacolari e alienanti della capitale, cercando invece di immaginare la possibile, e necessaria, costituzione di un vasto comparto urbanistico votato alla risoluzione coerente delle questioni legate al decentramento urbano, e portato a compimento attraverso solidi interventi mirati, nel rispetto della qualità progettuale e dell’ambiente, sia naturale che storico. Questo progetto appare come una delle rappresentazioni concrete del cambiamento della città: l’urbe, è cambiata; sono ormai definitivamente superati i confini del comune più esteso d’Italia - così come lo aveva voluto Mussolini - tale da abbracciare vasta parte di un territorio dedicato allora all’agricoltura e all’allevamento, dal mare alle pendici delle colline laziali. Grandi investimenti infrastrutturali permettono oggi di immaginare una città-regione, caratterizzata dalla presenza dei gangli portanti del sistema organizzativo nazionale. La progettazione parte dal tentativo riuscito di compiere un definitivo scollamento tra forma e funzione, ricercando invece nella ricomposizione e nella connessione col territorio la propria ragione di essere, rifuggendo al contempo qualsiasi tipo di mimetismo di maniera. I nuovi insediamenti della Banca d’Italia non sorgono soli, ma si pongono in stretta relazione con gli altri edifici istituzionali poco distanti, con
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i tratti evidenti dell’urbanizzazione esistente, oltre al disegno naturale del territorio, caratterizzato dalla presenza di distesi uliveti e dal rilievi delle colline del Lazio. Da qui la necessità di portare a compimento un processo progettuale in grado di integrare con coerenza la massa degli edifici della Banca d’Italia: corpi di fabbrica sviluppati orizzontalmente, impiego consistente di superfici trasparenti, scelta attenta per i colori, ripetizione costante del medesimo modulo compositivo: un portale rivestito di travertino, memoria storica, che conclude un’ampia vetratura di trama regolare, richiamo invece alla modernità. La connessione al territorio circostante non è solo visiva: una convenzione con il Comune di Frascati ha consentito la realizzazione, nelle vicinanze più immediate, anche di strutture a uso pubblico - una scuola materna e un edificio sportivo polifunzionale. Gli spostamenti sono assicurati da un complesso organismo, collocato nel piano seminterrato, costituito dalla presenza di una rete distributiva all’interno di un piano basamentale continuo. Il modulo cruciforme consente inoltre un’organizzazione coerente degli spazi interni, tale da prevedere diverse e molteplici soluzioni nell’organizzazione logistica degli uffici e dei servizi collettivi, nel tema più vasto della flessibilità progettuale. La progettazione architettonica ricorre all’immagine, suggestiva ma possibile, di una struttura metropolitana efficiente, civile, tecnicistica e organizzata, coerente con l’aspetto che l’istituzione vuole suggerire di sé. L’edificio assume volutamente quindi l’aspetto di un complesso che è luogo del lavoro collettivo, della produzione, della qualità, senza ostentazioni monumentalistiche o citazioni fuori luogo. Le dimensioni dell’intervento sono tali da definire un vero e proprio comparto urbanistico, corredato dei sistemi necessari alla presenza costante di personale e impiegati. Grande attenzione è quindi riservata alla definizione e alla cura degli spazi interni, immaginati in una reale scala umana, alla segnaletica, alla progettazione degli spazi verdi e alle aree destinate alla vita collettiva: una vasta piazza, la cui forma è scandita da una gradinata di sapore monumentale, caratterizza il cuore del complesso architettonico. E’ infine necessario menzionare l’impiego di tecnologie, avanzate nel panorama nazionale, in grado di controllare la climatizzazione interna, di rispondere alle più disparate sollecitazioni ambientali, di organizzare la raccolta dei rifiuti e delle polveri. Filippo Beltrami Gadola
■ Prospettiva e, sotto, particolare di una delle facciate in travertino e vetro della nuova sede della Banca d’Italia, realizzata su un’area totale di 370.000 mq nel Comune di Frascati, vicino a Roma.
■ Perspective view and, below, detail of one of the travertine and glass facades of the new headquarters of Banca d’Italia, built over a total area of 370,000 square metres in the Town of Frascati area, near Rome.
Matteo Piazza
Un organismo mediterraneo New Banca d’Italia
Progetto: Studio Valle Progettazione - Studio Chiarini
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Sotto, il portale di ingresso del complesso. In basso, particolari della grande piazza centrale, articolata su diversi livelli raccordati da piani inclinati, pensata come spazio pubblico e di interazione sociale. ■
he recent opening of the Donato T Menichella Centre marks the completion of an office design pro-
ject which, in terms of size and complexity, is one of the important in Italy and the whole of Europe. It is also extremely significant from an organisational-logistical point of view for the Bank of Italy. The Centre is designed up to the h i g h e s t s a fe t y a n d f un c ti o n a lit y standards. Located along an extension to via Nazionale-via Tuscolana, the n ew co n s t r u c ti o n f it s i n w it h t h e general town-planning guidelines to decentralise the south-east area of Rome and is a real contribution to unblocking the city and creating a better balance between the city centre and suburbs. The complex is in t h e s a m e n e i g h bo u r h oo d a s T o r Vergata University, the National Research Centre, the Association for New Technology, Energy and the Environment, the European S p a ce A ge n c y , a n d t h e N a ti o n a l Institute of Nuclear Physics. T o r e a ll y un d e r s t a n d t h e t r u e meaning of this architectural-design project, we need to forget that idyllic and perhaps now only literary image of the Roman plain and its castles - charming lands brimming with recollections of the past - as well as that much less reassuring i m a ge of t h e c a p it a l ’ s s p r a w li n g, alienating suburbs; and in its place we ought to try and imagine a huge t ow n - p l a nn i n g a r e a w h i c h co u l d a n d i n d ee d m u s t be d e d i c a t e d t o finding practical solutions to urban decentralisation problems; a project c a rr i e d o u t t h r o u g h s p ec i f i c p r ojects of great design quality payi n g d u e a tt e n ti o n t o t h e n a t u r a l historical environment. This project seems to physically r e p r e s e n t t h e c h a n ge of t h e c it y : Rome itself has changed; the boundaries of the biggest metropolitan borough in Italy have finally been broken - as Mussolini had always hoped - to embrace a huge part of land once used for farming and cattle-rearing purposes stretching from the sea to the slopes of the Latium hillside. Major investments in infrastructures now make it possible to imagine a city-region where the nerve centres of the nation and its entire organisation are located. This kind of planning is based on a successful attempt to finally s e p a r a t e fo r m a n d f un c ti o n o n ce and for all, at the same time rejecting any kind of mannerist camouflaging. The new headquarters of the Bank of Italy are not isolated, they are actually closely interrelated with the new university buildings nearby (existing signs of urbanisation)
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■ Below, the entrance portal to the complex. Bottom, details of the large central plaza, constructed over various levels connected together by sloping planes, designed to be a public space for socialising.
Particolare della meridiana nella piazza centrale che ha la funzione di fulcro del complesso. La realizzazione di una tipologia aggregativa basata su un modulo cruciforme consente di concentrare servizi e circolazione nei punti di intersezione dei bracci destinati agli spazi operativi. ■
Detail of the meridian in the central plaza, acting as the hub of the entire complex that is designed to be assembled together based on a cross-shaped module, with the utilities and circulation facilities concentrated in the intersection points of the arms used as work spaces. ■
and, no less significantly, with the n a t u r a l s u rr o un d i n g s fo r m e d b y olive woods and hills. This explains why the project had to focus on smoothly inserting this n ew b u il d i n g b l oc k h o l d i n g t h e Bank of Italy: working around horizontal structures with large glass surfaces, carefully chosen colours, and the same basic reiterated design module (a portal with a travertine stone of great historical force at the end of a regular pattern of glass windows evoking, in contrast, mode r n it y ) . T h e li n k s w it h t h e s u r rounding territory are not just visual: an agreement arranged with the Frascati City Council has also allowed public facilities to be constructed in the immediate vicinity - a primary school and multi-purpose sports facility. Moving around inside the building is guaranteed by a complicated distributional mechanism running right through the basement. The c r o ss - s h a p e d m o d u l e a ll ow s t h e i n t e r i o r s t o be a rr a n ge d s o a s t o provide various logistical layouts for the offices and communal facilities, all geared to the underlying theme of design flexibility. The architectural design draws on the evocative yet feasible image of an efficient, civilised, technicall y - a d v a n ce d , a n d we ll -o r g a n i s e d metropolitan structure in line with the image the bank wants to proj ec t . T h e b u il d i n g i s d e li be r a t e l y designed to look like a composite complex, a place of communal work, p r o d u c ti o n a n d q u a lit y , w it h o u t resorting to monumental forms or c it a ti o n s w h i c h wo u l d be o u t of place. The scale of the project makes it a real piece of the urban landscape, f u r b i s h e d w it h a ll t h e f a c iliti e s required to cater for the constant presence of staff and workers. This is why considerable attention has been paid to constructing and maintaining the user-friendly interior spaces, signposting, landscaping, and construction of comm un a l f a c iliti e s : a l a r ge ce n t r a l plaza designed around a flight of steps of monumental proportions forms the heart of the entire architectural complex. L a s tl y , it i s wo r t h m e n ti o n i n g t h e u s e of t h e l a t e s t t ec h n o l og y available in Italy, capable of controlling the inside climate, coping w it h a ll k i n d s of e n v i r o n m e n t a l demands, and handling waste and dust collection. Filippo Beltrami Gadola
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Sotto, l’ingresso con il controllo meccanizzato. In basso, uno dei saloni di rappresentanza con la grande scultura di Arnaldo Pomodoro. ■
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■ Below, the entrance showing the mechanical control mechanism. Bottom, one of the reception rooms holding a large statue by Arnaldo Pomodoro.
■ Particolari degli spazi pubblici di rappresentanza interni dove sono stati utilizzati materiali di altissima qualità.
Details of the inside public reception spaces constructed out of extremely high-quality materials.
■
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Particolari degli esterni, caratterizzati dall’uso combinato del travertino, in omaggio alla tradizione locale, e vetro che rimanda alla contemporaneità e agli elevati standard tecnologici adottati all’interno. Nella pagina a fianco, ■
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particolari di una delle sale impianti, del foyer, di uno dei percorsi pedonali meccanizzati e dell’auditorium. Sono stati impiegati oltre 100.000 mq di pavimenti galleggianti per garantire la totale accessibilità per la manutenzione degli impianti con diverse
tipologie di materiali a seconda delle destinazioni d’uso: lineoleum per gli uffici ; marmo per foyer e area VIP; moquette per l’auditorium; mosaico vetroso a disegno per la mensa; gres porcellanato per i percorsi pedonali meccanizzati.
Details of the exteriors drawing on a combination of travertine, as a homage to local tradition, and glass, evoking cuttingedge design and the high technological standards used inside. Opposite, details of one of the utilities rooms, foyer, one of the mechanised ■
pedestrian paths, and the auditorium. Over 100,000 square metres of floating floors have been used to allow complete access for plant-engineering maintenance using different types of materials according to uses: linoleum for the offices; marble for the
foyer and VIP area; carpets for the auditorium; decorative glass mosaic for the canteen; stoneware for the mechanised pedestrian paths.
Credits Project: Studio Valle Progettazioni: Gilberto Valle, Tommaso Valle Civil Architecture: Tommaso Valle, Gilberto Valle with Grazia De Rosa Worksite Office: Camilla Valle, Massimo Guidi, Guido Pellarin, Claudio Faraglia, Studio Chiarini: Carlo Chiarini, Italo Melanesi Executive Project of the Functional Organism of Offices: Claudio Briganti
Engineering: Vittorio De Benedetti, Giovanni Sebastiani Site Management: Lorenzo Porcari, Alessandro Guerrini, Giancarlo Bianco, Giovanni Battista Genghi General Contractor: Seifra Società Consortile (Condotte -Garboli-Conicos) Metalworks: Cerasi, GSM, BIT, Collet Facade Systems: Consorzio P.O.I. (ISA, Permasteelisa)
Glasses: Flachglass, Pilkington Steel Frameworks: GSM Wall Painting: Beraud, Plastewerke Travertine Cladding: F.lli Pacifici Lighting: iGuzzini, Philips Lighting Exterior Flooring: La Nuova Serpentino Interior Flooring: Graniti Fiandre, Cogemar, Bisazza, Marazzi
False Ceilings: Sadi, Vagnozzi Floating Floors: Hiross, Nesite Doors and Partition Walls: Consorzio P.O.I. Lifts and Mechanical Transports: Otis Air Conditioning: Alpi (Aster, Lossa, Progeco) Cogeneration Plant: Fisia Italimpianti Fireproofing Plant: Eusebi Impianti
Special Plants: Project Automation Electrical Plants: Alcatel, Rampasi Furniture Systems: Estel Wooden Furniture: Celi, Nobili, Boresti Waterproofing and Insulation: Bartoli Client: Banca d’Italia
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a nuova sede del Gruppo Lucchini, progettata dallo Studio L Von Wurster, sorge in un’area pre-
cedentemente utilizzata a scopi produttivi dalla stessa azienda. L’edificio per uffici, destinato a segnalare la persistenza in quel luogo delle attività del gruppo industriale, si confronta oggi con un contesto residenziale sviluppatosi in maniera disordinata e vagamente spontanea. Una serie di vincoli hanno condotto il progettista, l’ingegnere Carlo Alberto Maria von Wunster, alla scelta di un modello edilizio alto e articolato in pochi volumi. Il lotto, di dimensioni relativamente ridotte, e il requisito di appropriati spazi di parcheggio per le auto del personale hanno favorito questa configurazione di base, in conformità anche a un ulteriore ma non meno importante requisito di riconoscibilità espresso dalla azienda committente. Come sempre avviene nella realizzazione di un quartier generale aziendale, la percezione esterna e interna che viene offerta dell’edificio che lo costituisce è cruciale per il contributo all’immagine aziendale. L’immagine messa a punto da Von Wunster per la Lucchini attraverso il centro direzionale è quella rassicurante di una organizzazione basata sulla tradizione e sulla moderazione.
La rigida volumetria, insieme alle poche, mirate scelte tecnologiche, hanno portato alla costruzione di un complesso funzionale e rappresentativo. Le facciate in vetro riflettente costituiscono l’elemento tettonico e tecnologico di maggior spicco della costruzione. Esse suggeriscono l’attitudine introversa e autonoma dell’edificio, che, piuttosto che misurarsi con il frammentato contesto circostante, con probabile sofferenza del preciso meccanismo distributivo interno, ne riflettono le forme e i colori. In tal modo, la strategia architettonica del progetto è conforme al ricorrente “sogno” riflettente di autori tardo-modernisti come Kenzo Tange, ma ricorrente in una grossa fetta dell’edilizia direzionale dagli anni sessanta ai nostri giorni. Tecnologicamente, le facciate, del tipo ventilato, costituiscono un dispositivo prezioso per la limitazione del consumo energetico, e rappresentano l’estrema contuinuità logica e prestazionale nel rapporto fra costruzione e impianti. Al piano terra, la superficie riflettente continua è interrotta per dar luogo a un atrio completamente trasparente, aperto sul verde circostante e costituente il giunto per l’attacco a terra delle masse in elevazione.
Palazzo Lucchini è rappresentativo di un genere funzionale, quello del direzionale individuale, che trova in Italia poche variazioni. L’estetica prevalente, in genere, è determinata dal forte rapporto con la fiorente industria della componentistica edilizia. Quest’ultima, infatti, è in grado, con un unico gesto, un singolo prodotto, di offrire una “pelle” tanto efficiente energicamente quanto completa e definitiva sul piano estetico. La totale coincidenza tra offerta prestazionale ed estetica di questi elementi tettonici, affranca in un certo senso committente e progettista dalla responsabilità dell’impatto visuale dell’opera, escludendo naturalmente le responsabilità relative all’identificazione e verifica di congruità del prodotto e delle sue modalità costruttive. Come spesso accade nel nostro paese, l’industria segna il nostro territorio con i propri manieri direzionali, diffondendo nell’ambiente circostante i simboli positivi e rassicuranti della crescita economica. L’edificio Lucchini è destinato a divenire un landmark di quartiere e a costituire uno dei cardini della riconoscibilità della zona, nonché, a fornire ausilio all’orientamento, come è tipico dei corpi voluminosi in ambiti residenziali. Alessandro Gubitosi
Funzionalmente rassicurante Office Building, Brescia
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he headquarters of the LucchiT ni Group, designed by the Von W un s t e r F i r m , s t a n d i n a n a r e a
previously used by the company for m a nu f a c t u r i n g p u r p o s e s . T h e b u il d i n g, w h i c h i s s u pp o s e d t o evoke the industrial group’s former activities on this site, is now forced t o i n t e r a c t w it h a r a t h e r d i s h eve ll e d h o u s i n g e s t a t e t h a t h a s sprung up in a vaguely spontaneous manner. A number of building constraints have forced the designer-engineer Carlo Alberto Maria von Wunster to opt for a high-rise construction model involving just a few structures. The relatively small-size lot and the need to provide parking spaces for staff cars pointed towards this basic layout, in accordance with a f u r t h e r b u t n o l e ss i m p o r t a n t requirement stipulated by the clientfirm or, in other words, the creation of a recognisable landmark. As is inevitably the case when a business headquarters is being built, both the outside and inside image of the building in question is vital for the company’s image. T h e m a n a ge m e n t co m p l e x d e s i g n e d b y vo n W un s t e r fo r t h e Lucchini Group projects the reass u r i n g i m a ge of a n o r g a n i s a ti o n based on tradition and moderation. The rigid structural engineering
Progetto: Carlo Alberto Von Wunster
a n d s m a ll nu m be r of c a r ef u ll y gauged technological features have led to the construction of a functional complex creating notable visual impact. The facades are the most outstanding tectonic-technological feature of the entire building. They evoke a certain introverted, autonomous attitude of a building which, instead of facing up to the fragmented surroundings, proba b l y t o t h e d e t r i m e n t of it s ow n interior layout, mirrors their shapes and colours. I n t h i s w a y , t h e a r c h it ec t u r a l strategy of this design conforms to the recurring reflective “dream” of late-modernist architects like Kenzo Tange, recurring in a large slice of the business facilities from the nineteen-sixties through to the present day. T ec h n o l og i c a ll y s p e a k i n g, t h e ventilated-style facades are a precious means of keeping down energy consumption, representing the ultimate logical/functional sense of continuity between buildings and plant-engineering. The reflective curtain surface is interrupted to leave room for a highl y t r a n s p a r e n t l obb y o p e n i n g u p o n t o t h e s u rr o un d i n g l a n d s c a p e a n d fo r m i n g t h e m a i n j o i n t co n necting the building elevations to the ground. ■ Nella pagina a fianco, vista area del nuovo quartier generale della Società Lucchini a Brescia.
The Lucchini headquarters building is an example of a certain functional theme (the design of mana ge m e n t h e a d q u a r t e r s ) fo un d i n only a very small number of variations in Italy. Its design aesthetics are, generally speaking, determined by its tight bonds with the boo m i n g b u il d i n g co m p o n e n t s industry. This industry is in fact capable, in one fell swoop or one single product, of providing a “skin” which is as energy-efficient as aesthetically self-contained and complete. In a sense, the way the functional efficiency and aesthetic value of these tectonic features totally coincide frees both client and architect of the responsibility for the visual i m p a c t of t h e wo r k , n a t u r a ll y excluding other responsibilities connected with identifying and assessing the congruity of a product and how it is built. As often happens in this country, industry marks the land with its own executive mansions, constructing positive and reassuring symbols of economic growth. The Lucchini headquarters building is destined to become a landmark in its neighbourhood, a cardinal point in the area helping people find their bearings: a familiar feature of tall buildings on housing estates.
■ In questa pagina, viste delle facciate in vetro riflettente e piante del piano terra e di un piano tipo. ■ This page, views of the reflecting glass facades and plans of the ground floor and of a typical floor.
■ Opposite page, aerial view of the new headquarters building of Lucchini Company in Brescia.
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■ Nella pagina a fianco, vista generali del nuovo centro direzionale Palazzo Lucchini nell’area nord di Brescia. A sinistra, particolari degli interni. Le facciate dell’intero edificio sono realizzate per permettere la ventilazione utilizzando telai di acciaio inox 3x3 m da appendere con intercapedine di circa 5 m dalla facciata isolata e portanti a incastro; il rivestimento è in pietra San Gottardo trattata posteriormente con resine epossidiche e fibre di vetro. ■ Opposite page, general view of the new Palazzo Lucchini Business Centre in north Brescia. Left, details of the interiors. The entire building’s facades are designed to favour ventilation using 3x3 m stainless steel frames to be suspended at a distance of approximately 5 m from the insulated facade and jointed together; the cladding is made of San Gottardo stone posttreated with poxy resins and glass fibres.
Ugo Allegri
Credits Project: Carlo Alberto Von Wunster Main Contractor: F.lli Paterlini Costruzioni Suppliers: Acerbis di G.Acerbis & C., Roncoroni (carpentry); Groli Gianfranco (hydraulics); GCT Italia (pneumatic mail); Hiross Nesite (floating floor); Hormann Italia (air conditioning); Ninz Firedoors di K.Ninz & C. (fireproof doors); Otis (lifts); Raedil (asphalt); Castiglioni legnami (wood floor); Colpani F.lli; Carlo Comana (marble works); Emmegi (security doors); Diesse Electra (electrical plants); Sanitermica Alberti (hydraulic plants); Soc.Tel.Lomb (telephone plants); Steel Benetton (basement facade); Spazio Verde (garden); Termo Pareti (gypsum false ceiling); Tempini (cladding); Vin Wunsten Allegri Antifurto (fireproofing and security); Hermann Miller (furniture); Baumann (courtains); Flos (lighting) Client: Gruppo Lucchini
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La forma come immagine TV Production Offices Progetto: Muratori & Zanon li architetti della giovane generazione, ogni qual volta misurano la G loro capacità nella progettazione di un
nuovo edificio, si devono scontrare con la logica della critica contemporanea. Questa trova le sue radici nella critica letteraria o, più in generale, in quel pensiero filosofico che definisce l’attuale campo di motivazioni dei giudizi riferite, in genere, all’analisi dell’arte contemporanea. E’ il caso dello Studio di Progettazione Architettonica Muratori & Zanon di Padova che ha realizzato l’edificio per la società “Linea s.p.a”, destinato a un centro di produzione radiotelevisivo per Telepadova. Il complesso sorge nella zona industriale di Padova, nelle vicinanze di una antica villa veneta circondata da pioppi secolari americani, che il progetto ha rispettato. L’opera è senza dubbio degna di ogni rispetto ma, anch’essa, si presenta alla critica in modo tale da richiedere più di un chiarimento, non tanto sull’opera specifica, ma sulla metodologia di “giudizio” del progetto. E’ chiaro che il “linguaggio” usato da Giulio Muratori e da Pierino Zanon risente della loro formazione scolastica razionalista che, proprio in merito al giudizio critico, fa tornare alla mente, l’attenzione sul linguaggio del progetto, fa apparire il suo “prodursi da sé”. Si estromettono, in questo modo di vedere, gli architetti e, con loro, l’ingombrante “strategia” progettuale. E’ un modo per far scomparire l’autore dagli orizzonti teorici. Solo Cesare Segre ha ricominciato a parlare dell’autore nel campo letterario, ma solo come “garante di senso” del testo; ciò sta a significare che, per un architetto, essere autore di un dato progetto vuol dire essere garante di un “appiglio” della linguistica usata. Una volta, per lo “statuto” dell’architettura bastavano i “generi”: l’hightech, il post-modernismo, il postrazionalismo, ecc. ecc. E’ in questo modo che la Cappella di Ronchamp, per i contemporanei, è arte; non tanto perché incarna il valore estetico del bello, né perché l’ha fatta Le Corbusier, ma solo in quanto opera di vera forma architettonica, con i suoi relativi contenuti. Oggi sembra che tali generi non bastino più. Non c’è niente che, in via definitiva, ci dica che cosa faccia del suo contenuto un’opera architettonica. E’ finita l’epoca in cui la critica architettonica era affidata a pochi personaggi di parrocchia o “internaziona-
L’ingresso della nuova sede di Telepadova che comprende una zona uffici, la zona operativa per l’emissione dei programmi, gli studi di posa e gli spazi funzionali e tecnologici.
■
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li”. Da quando, poi, abbiamo capito che l’opera critica si deve svolgere attraverso una “scuola di critica”, in un confronto di opinioni ma, sempre, nella profonda lettura dell’opera dei giovani, e dei meno giovani, che sanno cosa significa l’innovazione e l’evoluzione. Queste problematiche sembrano avulse dall’opera di Muratori e di Zanon; non lo sono perché fanno apparire meglio, in termini di libero giudizio, lo sforzo progettuale per una realizzazione così complessa e articolata. In effetti mancano, nel mondo dell’architettura, critici come Roland Barthes, Cesare Segre, Gianfranco Contini, Gyorgy Lukacs, Michel Foucault, Saque Lacan, Roman Jakobson solo per citare alcuni grossi nomi che si sono dedicati alla critica letteraria e filosofica facendola diventare un “sapere”, in continuo aggiornamento, nel divenire degli eventi. I giovani come Muratori e Zanon, per il significativo progetto fatto per la società “Linea” di Padova, sono proprio quelli che più risentono di questa mancanza, in quanto non è possibile fare emergere, in modo ampio e da più parti, un confronto critico costruttivo capace di generare delle riflessioni a tutto campo. Ecco, allora, il vero significato di una rivista d’architettura come l’Arca, perchè l’esame attento deve apparire nel rapporto con altri autori e altri progettisti. Ecco, allora, come il lavoro di Muratori e Zanon si confronta di più con quel “ a u c t o r a u geo” che significa accrescere, dare origine perchè a loro viene spontaneo affidare di più il concetto di essere stati capaci di una idea creativa piuttosto che di un addio, di una eliminazione dell’autore, come ha voluto, in un recente passato, la critica dell’arte architettonica. L’architetto è rimasto ma, in troppi casi, il suo modo di operare si è modificato; non è più generatore di innovazioni ma, non potendo più aggiungere nulla di nuovo all’architettura razionalista e a quella post-modernista, è ridotto a essere un eterno “copista”, un rimaneggiatore del già progettato, un trovarobe nella “càsba” dell’architettura. Ed ecco infine chi si comporta come i “generali” di Carlo Emilio Gadda che, mentre il cannone brilla nel cielo, loro lo perseguono: sono gli architetti romantici, che non si accorgono che nel frattempo il mondo impertinente continua a girare su se stesso. E’ così che questi generali/architetti perdono le guerre. Mario Antonio Arnaboldi
The entrance to the new headquarters of Telepadova, which includes an office area, broadcasting section, pose studios, and functional-technological facilities. ■
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A destra, planimetria generale, sezione longitudinale e trasversale, piante del primo piano e del piano terra. Nella pagina a fianco, l’esterno della sala riunioni semicircolare e la grande torre delle antenne alta 64 m. ■
Right, site plan, longitudinal and cross sections, plans of first floor and ground floor. Opposite page, the outside of the semi-circular meeting room and huge 64-metre aerial tower. ■
Ttheiharresckhlillaittecsestostn, gewdehnseiengrneveaintirgotanhneofyewtyebsoutuniloudg-t
ing, are inevitably forced to face up to criticism. Contemporary criticism is rooted in literary criticism or, more generally speaking, in the kind of philosophical thought that defines the un d e r l y i n g m o ti v a ti o n s be h i n d judgements aimed, generally speaking, at analysing contemporary art. This is the case with the Muratori & Zanon Architectural Design firm, which designed the “Linea s.p.a.” building holding a radio-television production centre for Telepadova. The building is located in an industrial zone of Padua, near an old Venetian villa surrounded by century-old American poplar trees carefully catered for in the project. This work of architecture is undoubtedly worthy of respect, but, from a critical viewpoint, certain clarifications need to be made, not so much about this specific work in particular as about how to “judge” a design. Giulio Muratori and Pierino Zanon’s “language” is certainly influenced by their rationalist background which, returning to this notion of critical judgement, brings to mind attention to design idiom and shows how it “is actually produced by itself”. This way of viewing things pushes architects out of the picture and with them their bothersome design “strategies”. It is a way of ejecting designers beyond the horizons of design. Cesare Segre seems to be the only person who has started talking about the author of a literary work again, but only as a “guarantor of meaning” of a text; this means that, in the case of an architect, being the author of a project means being a guarantor of the “referent” of a certain linguistic idiom. There was a time when “genres” alone dictated the “by-laws” of architecture: high-tech, post-modernism, post-rationalism etc. This explains why Ronchamp Chapel is art for our contemporaries; not so much because it embodies the aesthetic value of the beautiful, nor because it was designed by Le Corbusier, but simply because it is a work of real architectural form, complete with its relative contents. Nowadays, these genres no longer seem to be enough. There is nothing now to conclusively tell us what a work of architecture does with its contents. The days when architectural criticism was in the hands of just
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a few local or “international” celebrities are over. They have been ever since we realised that criticism ought to be organised into “schools of criticism”, contrasting opinions all aimed at analysing the work of both young and notso-young architects who know what innovation and evolution mean. These problems seem to have no place in Muratori and Zanon’s work; in fact they are there and actually help us analyse the skill and expertise that have gone into designing such an intricate and elaborate work of architecture. The world of architecture really does lack critics of the calibre of R o l a n d B a r t h e s , C e s a r e S eg r e, Gianfranco Contini, Gyorgy Lukas, Michel Foucault, Saque Lacan, and Roman Jakobson, just to mention a few big names, whose dedication to literary and philosophical criticism turn it into “knowledge” constantly developing as events unfold. Young men like Muratori and Zanon, who have designed this import project for the “Linea” firm in Padua, are the first to feel the effects of this lack of critical “weight”, meaning that it is quite impossible to produce any constructive criticism, on a wider scale, capable of simulating all-embracing reactions. This, then, is the real sense of an architecture magazine like l’Arca, which analyses things in relation to other architects and designers. This is how Muratori and Zanon’s work actually confronts that “auctor augeo” that means augment and originate, since in their case it is more natural to talk about creativity than the twilight or death of the author, as recent criticism of the art of architecture has tended to. Architects are still with us, but too often they have changed their way of working; they are no longer sources of innovation but, since they cannot add anything new to rationalist and post-modernist architecture, they are reduced to being relentless copiers, playing around with w h a t h a s a l r e a dy bee n d e s i g n e d , propmen in the “Casbah” of architecture. Then, last of all, there are those w h o be h a ve li k e C a r l o E m ili o Gadda’s “generals”, chasing canon fire as it explodes in the sky: these are those romantic architects who still have not realised that the world has impertinently kept on turning. Of course these generals/architects end up losing their wars. Mario Antonio Arnaboldi
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■ Particolari della facciata dell’elemento longitudinale rivestito in pannelli metallici che contiene la zona operativa. Le diverse funzioni che si svolgono nell’edificio sono identificate dalle diverse forme e materiali dei vari volumi.
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Details of the facade of the longitudinal section clad with metal panels and holding the broadcasting facilities. The various functions carried out in the building are marked by the different forms and materials of the various structures. ■
Credits Project: Studio Muratori & Zanon Engineering: Studio Ing. G.Tranchida Thermomechanical Plants Engineering: Studio Termotecnico Bonsembiante Electrical Plants Engineering: Studio Tecnico Zambonin General Contractor: Impresa Prearo Renato
Thermomechanical Plants: Idrothermos Electrical Plants: CF Impianti Flooring and Cladding: Edilfurlan, Linea Ceramica Soundproofing: Isolcomit Fireproof and Security Doors: 3M Tecnofer Frameworks: Vista Serramenti, Aluglas System
Special Galsses Heat-Mirror: Piave Vetro Floating Floors: Nesite-Hiross Equipped Walls: Estel Metalworks: Cosmet Lighting: Zumtobel Courtains: Abba
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i è, in Italia, un oscuro oggetto di V desiderio di molte pubbliche amministrazioni. Là dove il tradizio-
emerging from the crisis in heavy industry. As in a few rare cases in Italy, Ve n i ce a n d t h e P o r t o M a r g h e r a area are trying to do their bit. T h e q u e s ti o n of t h e d e li c a c y of the lagoon environment, the crisis in the industrial sector and its concentration in this area, the need for new services, the closeness of the M e s t r e U n i ve r s it y f a c iliti e s , a n d its relative ease of access, all make the old Agrimont works an ideal place for experimenting on a scientific-technological centre. The old Cral Building has been chosen for the Innovation Centre. This building, holding the BIC (Business Innovation Centre), CTT (Technology Transfer Centre), management centre, and communicati o n - s e r v i ce s b a c k - u p , i s of s u c h notable symbolic importance in the transformation of this area that it h a s bee n c a ll e d “ t h e I nn ov a ti o n Gate”. This privileged information facility is located on the ground floor near the spaces for displaying the research products and near a number of exhibition offices for each of the local operators. The research and sample-testing laboratories are over on the south and east sides, around the garden. The top floors house the managem e n t off i ce s , t ec h n o l og y t r a n s fe r centre offices, documentation/computer archives centre, and cafeteria. T h e b u il d i n g, w h o s e b a s i c fe a tures have been left intact, has been r ev it a li s e d b y a n ew s t ee l f r a m e s t r e n g t h e n i n g it s s t a b ilit y a n d adapting it to new functions. The centre’s utilities are grouped togethe r i n a co n s t r u c ti o n a t t h e s i d e, b u ilt ove r fo u r l eve l s . I t s s h e ll shaped design holding a staircase creates a central unit which, despite its isolation, interacts with the dustwashing tower, which is the most obvious allusion to the area’s past.
nale settore industriale non ha trovato più ragione di essere, ma anche là, dove non è mai accaduto che l’industria avesse avuto occasione per svilupparsi, si aggira una parola d’ordine che sembra risolutiva: “fare un parco tecnologico”. Gli esempi europei, alcuni dei quali pubblicati su questa rivista come il progetto di Norman Foster a Duisburg e altri interventi nella conurbazione mineraria e industriale della Ruhr, hanno dimostrato che quando privato e pubblico trovano un accordo sul modo di gestire la trasformazione dal mondo della produzione dei beni materiali verso la produzione di know how, allora è possibile pensare ai luoghi che funzionano da incubatori per nuove prospettive sociali ed economiche. Tutto questo presuppone investimenti nel campo della ricerca tecnologica che richiedono tempi medio-lunghi sia per i risultati sia per la formazione dei quadri intellettuali sia, soprattutto, per il cambiamento di mentalità nei confronti della produzione dei beni immateriali. A parole, a tutti piace l’idea di parco tecnologico perché, apparentemente, riassume in sé la chiave risolutrice dei problemi dell’ambiente, dell’occupazione e della produzione di ricchezza senza contraddizioni. Ma, là dove si sono realizzati, essi non hanno nulla di straordinario se non la determinazione di chi ha creduto che la trasformazione di un territorio è tutta dentro a un progetto che riflette sui destini del nostro futuro e ha il coraggio di sperimentare vie possibili. Non è la panacea di tutte le contraddizioni post-industriali ma solo un modo per tentare di recuperare le risorse che si stanno liberando dalla crisi delle grandi cattedrali dell’industria. Come in alcune poche realtà italia-
Modello del Parco scientifico e tecnologico di Porto Marghera, un’area di circa 10 ha in prossimità delle strutture universitarie di Mestre (Venezia), dove è inserito il Centro dell’innovazione chiamato Porta dell’Innovazione. Il Centro è ricavato dalla ristrutturazione dell’ex Agrimont e da un nuovo edificio. ■
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ne, Venezia e l’area di Porto Marghera ci stanno provando. Il problema della delicatezza dell’ambiente lagunare, la crisi del settore industriale e della sua concentrazione, la necessità di nuovi servizi, la vicinanza delle strutture universitarie di Mestre e il buon livello di accessibilità hanno fatto dell’area ex Agrimont un luogo adatto a sperimentare un parco scientifico e tecnologico. In particolare l’edificio dell’ex Cral è destinato alla realizzazione del Centro per l’Innovazione. Esso, che contiene l’incubatore o BIC (Businness Innovation Center ), il Centro di trasferimento della tecnologia o CTT, il centro direzionale e i supporti alla comunicazione e servizi, assume un particolare valore simbolico nel processo di trasformazione dell’area così da essere denominato “la Porta dell’Innovazione”. E’ infatti il luogo privilegiato per l’informazione che è collocata al piano terra in relazione agli spazi espositivi dei prodotti delle ricerche e alla serie di uffici di rappresentanza dei singoli operatori locali. Attorno al giardino, sul lato sud e ovest si articolano i laboratori per la ricerca e quelli per le prove dei campioni. Ai piani superiori vi è la direzione con gli uffici gestionali, gli uffici per il centro trasferimento tecnologie, il centro di documentazione e archivio informatico e caffetteria. L’edificio, che viene mantenuto nei suoi caratteri essenziali è rivitalizzato da un nuovo ordine in acciaio che ne garantisce la stabilità e l’adeguamento alle nuove funzioni. Le tecnologie di servizio del centro sono concentrate in un corpo a lato organizzato su quattro livelli. La sua forma a conchiglia, che ingloba una scala, produce un corpo centrale che, nel suo isolamento entra in relazione con l’esistente torre del lavaggio delle polveri che è la memoria più esplicita dell’antico trascorso dell’area. Remo Dorigati
here is a mysterious object of T desire for lots of public admini s t r a ti o n d e p a r t m e n t s i n I t a l y .
W h e r e t r a d iti o n a l i n d u s t r y n o l o n ge r h a s a n y r e a l r e a s o n fo r being, and even where traditional i n d u s t r y h a s n eve r eve n h a d t h e chance to develop, a strange impera ti ve s ee m s t o be o n eve r y bo dy ’ s li p s : “c r e a t e a t ec h n o l og i c a l ce n tre”. C e r t a i n E u r o p e a n p r ece d e n t s , some of which have been published in this magazine, such as Norman Foster’s project in Duisburg and others in the Ruhr mining-industria l r eg i o n , h a ve s h ow n t h a t w h e n the private and public sectors find a way of working together to convert t h e m a nu f a c t u r i n g of m a t e r i a l goods into the production of knowhow, then there is a real chance of creating places potentially openi n g u p n ew s oc i o-eco n o m i c p r o s pects. All this assumes investments in technological research which will only bear fruits, in terms of professional training and, above all, of changing people’s attitude towards t h e p r o d u c ti o n of i mm a t e r i a l goo d s , i n t h e m e d i u m / l o n g- t e r m . Everybody claims to like the idea of a technological centre, since, apparently, it could solve a whole range of problems connected with the environment, employment, and the creati o n of we a lt h w it h n o s t r i n g s attached. But where these centres have actually been built, nothing extraordinary has happened, except t h e d e t e r m i n a ti o n of t h o s e w h o believe that a territory can be transformed by a project examining how our future might evolve and who have been brave enough to experiment on possible ways of bringing this about. This is not a universal remedy t o a ll t h e co n t r a d i c ti o n s of p o s t industrial society, it is just a way of t r y i n g t o s a l v a ge t h e r e s o u r ce s
Model of the Science and Technology Park in Porto Marghera, an approximately 10-hectare area near Mestre University (Venice), where the so-called Innovation Gate Centre is located. The Centre is a combination of a modernisation of the old Agrimont works and a new building. Above, plan of the technological tower.
Samuele Galeotti
La porta dell’innovazione Technological Centre, Porto Marghera
Progetto: Giovanni Caprioglio, Dario Vatta
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In alto, la torre di nuova costruzione che ospita le centrali tecnologiche di servizio del Centro e a destra, prospetto sud e sezione trasversale dell’edificio che si sviluppa su quattro livelli. Sopra, pianta della torre tecnologica. ■
Top of page, the newly built tower holding the Centre’s technological units and, right, south elevation and cross section of the building constructed over four levels. Above, plan of the technological tower. ■
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■ Sopra, a sinistra, dal basso il alto, pianta del piano rialzato e del primo piano e, a destra, piante del piano ammezzato e delle coperture dell’edificio ristrutturato. Sotto, il giardino dove si apre l’accesso al piano terreno.
A sinistra, dal basso il alto, piante del piano terreno, del primo e del secondo piano della torre tecnologica e a destra particolare dell’edificio in acciaio e mattoni. Sotto, l’edificio ex Agrimont dove sono organizzati la sala di controllo informatico, il ■
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Centro direzionale, il Centro trasferimento tecnologie, i laboratori e le aule destinati alla ricerca, il centro documentazione e gli archivi, la direzione e gli uffici di Veneto Innovazione e spazi destinati all’esposizione delle ricerche del centro.
Left, from bottom up, plans of the ground, first, and second floors of the technological towere and, right, detail of the steel and brick building. Below, the old Agrimont building where the computer control room, management offices, ■
Above, left, from bottom up, plans of the mezzanine and first floors and, right, plans of the entresol and roofs of the modernised building. Below, the garden where the groundfloor entrance opens up. ■
technological-transfer centre, research laboratories and rooms, archives/documentation centre, management and business offices of Veneto Innovazione, and the centre’s research display spaces, are all located.
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Il giardino interno su cui affacciano gli uffici del Centro trasferimento tecnologie e sotto, particolare dello sbarco ascensore. ■
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The intenal garden in front of the technologicaltransfer building and, below, detail of the lift landing platform. ■
Particolari della scala in acciaio e legno che collega i tre piani dell’edificio ■
Details of the steel and wooden stairs connecting together the three floors of the building. ■
Credits Project: Giovanni Caprioglio (General plan), Dario Vatta (Detailed plan) General Engineerin: Zollet Ingegneria General Coordination: Andrea Tennani, Lucio Zollet Structural Engineers: Pietro Sommavilla, Gianpaolo Morsoletto, Angelo Da Ponte
Plan Engineers: Mario Cofente, Stefano Bertoli, Andrea Cassutti Lighting Consultatnt: Domenico Prono Main Project assistant: Miriam Mattana Art Director: Giovanni Caprioglio Project management: Giuseppe Dalle Mulle Main Contractor: Costruzioni Maltauro
Plants: Francesco Campesato Frameworks: Baldan Carpentry: C.M.P. Hight Survelliance: Gianni Cagnin Structural Testing: Enzo Magris Client: Parco Scientifico e Tecnologico di Vnenezia Scarl
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Italia oggi Italian Diversity siste, ed è possibile cogliere ancora ai giorni nostri, una "diversità italiana" anche per ciò che concerne l'architettura, se la E mettiamo a confronto con quella praticata negli altri Paesi europei,
con alcuni effetti positivi, ma anche altri - e molti - certamente negativi. L'origine del fenomeno si può far risalire all'Alto Medioevo, quando si diffonde il Gotico che nasce in Francia e rapidamente trasmigra in Inghilterra, in Spagna e in Portogallo, in Germania e persino nei Balcani, ma trova da noi una forte resistenza, che possiede ampie motivazioni, fino a condurre a una significativa variazione dei modelli. Dopo la lunga stagione che dal Rinascimento giunge al Barocco in cui l'arte nasce e si diffonde essenzialmente dal Bel Paese, inanellando l'una dietro l'altra star che ci hanno permesso di vivere di rendita e attrarre frotte di turisti, la specificità italiana riappare agli inizi del nostro secolo con quel Liberty che certamente da noi raggiunge un tono minore, rispetto a quello stesso stile diffuso altrove, in particolare in Belgio, con Victor Horta e nell'Austria Felix, con Joseph Olbrich prematuramente scomparso. Si riconferma persino con l'architettura razionale, che dell'internazionalismo ha fatto una bandiera, quando il Gruppo 7 e certamente non per opportunismo, non rinuncia al patrimonio nazionale. Riappare nelle vicende degli anni Trenta e Quaranta - quelli del fascismo -, in cui un documentato studio di Sandro Scardocchia, pubblicato di recente da Skira, pone in rilievo quanto sia distante l'architettura di Albert Speer da quella di Marcello Piacentini: l'una prettamente neoclassica e ispirata alla Grecia, l'altra di un modernismo con echi romani che prende le distanze dalle "follie" delle avanguardie. Potremmo andare avanti nel confronto soffermandoci sull'eredità dei maestri della seconda generazione che spaziano da Moretti a Libera, da Ridolfi a Scarpa, da Rogers a Gardella, a Ponti per giungere a una figura come Aldo Rossi, ponendola a confronto con le emblematiche presenze che popolano il nostro continente, ma ci interessa maggiormente soffermarci sull'oggi provando a ragionare su ciò che ci aspetta dopo il disastro a Foggia, purtroppo uno dei tanti e non di certo l'eccezione, quando molti giornali hanno titolato la prima pagina: "L'Italia è a pezzi". Com'è davvero il nostro Paese ? Quello reale non si può comprendere dagli interventi dei ministri né dell'Ambiente, né dei Beni Culturali, né tanto meno dei Lavori Pubblici che in giro per l'Italia parlano soltanto di direttissime che non si riescono a fare (e quelle fatte si fermano al primo temporale), per non parlare del terremoto che a due anni di distanza costringe la gente a trascorrere un altro inverno nelle baracche, o di una rituale tutela del patrimonio culturale, sovente in mano delle Sovrintendenze che tranne rare eccezioni, come a Napoli con l'intervento di Mendini per la Villa Comunale, hanno svolto solamente un ruolo censorio, inappellabile - è sufficiente pensare a Roma - nei confronti della progettualità contemporanea. Ciò ha finito per far crescere il gap che ci separa dal resto dell'Europa. Chi si reca anche per pochi giorni a Londra, a Parigi, a Berlino o a Barcellona, ma anche a Lisbona o a Praga, si rende conto di persona come si viva meglio in queste capitali, dove l'architettura dei giorni nostri ha svolto un'azione miracolosa: ne ha mutato il volto, rifacendole belle - pensiamo a La Villette prima dell'intervento, quando a Roma sono trent'anni che si parla del Mattatoio - e accresciuto la qualità dell'esistenza. A tale atteggiamento - che tranne rarissime eccezioni coinvolge tutta la classe politica (che pure sovente è all'estero), poco sensibile all'architettura si aggiunge un apparato industriale troppo legato alla tradizione e raramente in grado di misurarsi con le nuove tecnologie, quelle che hanno mutato l'organizzazione del cantiere. Nonostante il nostro sia il Paese di Renzo Piano, che soprattutto altrove ha realizzato "macchine" eccezionali tanto da ottenere dal Presidente Clinton il famoso Pritzker, il Nobel dell'architettura, in Italia non ha neppure una cattedra, messa invece a disposizione di molti che non hanno alzato neppure un muro. Il rischio che si può intravedere è il rimanere ai margini di un mercato che altrove è in espansione e quindi fra non molto saranno le imprese straniere che verranno a costruire da noi, soprattutto quei progetti così complessi (Zaha Hadid a Roma) che difficilmente riusciremo a seguirne la realizzazione e a calcolarne le strutture. Già oggi, con Internet, molti studi internazionali, a iniziare dai più noti, impiegano manodopera intellettuale disseminata nei Paesi più diversi.
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A ciò si somma un sistema balordo, come quello previsto dalla Merloni, che non favorisce il ricambio generazionale perché nella distribuzione degli incarichi premia solamente chi si è già fatto il curriculum, e quindi i sessantenni, finendo per incrementare una rendita di posizione difficilissima da scalzare che impedisce ai giovani di accedere in prima persona alla progettazione. In Francia invece a meno di trent'anni Dominique Perrault ha vinto un concorso per centinaia di miliardi e a meno di quaranta, con la Grande Biblioteca Nazionale, era il titolare dell'opera più importante del Paese. Quanto poi alla riforma del sistema universitario più che discutere se siano necessari tre o cinque anni per formare un architetto varrebbe la pena ragionare su quali programmi realizzare la formazione, dove incentivare e dove invece tagliare nettamente e destinare quelle risorse per incrementare ciò che serve davvero. Su questo scenario Vittorio Gregotti, dimenticando l'antico detto che recita errare umanum est, con quel che segue, propone di demolire per ricostruire così come è lo Zen a Palermo, che è come dire di demolire per ricostruire il Corviale di Mario Fiorentino o soltanto ricostruire le Vele a Secondigliano, Napoli, progettate da Francesco Di Salvo e finalmente abbattute, oppure il Pruitt-lgoe, a St. Louis, nel Missouri, di Minoru Yamasaki, l'autore delle torri gemelle del Word Trade Center a New York, che è andato a terra con una memorabile esplosione il 15 luglio del 1972, annunciando la fine del moderno. Ma pochi se ne sono accorti, e hanno aperto gli occhi. Ernesto Galli della Loggia in un articolo che risale a pochi mesi orsono sviluppa il seguente ragionamento: "Il massimo problema culturale del nostro Paese consiste nella conservazione del proprio volto, nella preservazione dell'effigie della propria identità storica. In nessun ambito forse come in quello della scena urbano-paesistica è dato di leggere (...) gli esiti quasi sempre distruttivi che l'avvento del moderno ha prodotto in Italia: quanto sia stato difficile metabolizzare il moderno da parte di una civiltà così profondamente (e gloriosamente) segnata e strutturata dal retaggio di tutto quanto si colloca cronologicamente prima di esso. Il volto così rovinato dell'Italia attuale è uno specchio di tutte queste difficoltà e contraddizioni. Ed è insieme un grande problema della nostra cultura". In realtà in alcune isole felici il moderno riesce a convivere con l'antico. Ma è sufficiente prendere il treno da Napoli a Reggio Calabria e osservare dal finestrino ciò che scorre sotto gli occhi, nelle città poi le nostre metropolitane non raggiungono la raffinatezza della linea Jubilee di Londra, le cui stazioni vedono la firma di Michael Hopkins, di Norman Foster, di Alsop & Störmer e di altri illustri progettisti, né sono previste operazioni come a Parigi dove in 12 minuti si collega un tratto sotterraneo dalla rive droite alla gauche che va dalla Madeleine alla nuova Biblioteca. Né sono ancora progettate (ma lo saranno mai?) operazioni simili a quella che l'IBA ha realizzato nel vecchio bacino della Ruhr, chiamando a nuova vita una vasta area dove si torna a respirare. Anzi possiamo dire che la marea avanza e i danni di un sistema sballato che crede ancora nell'urbanistica non tarderanno ad avvertirsi. Piccoli segnali incoraggianti sono che si inizia a demolire le ville abusive dell'Olgiata, a Roma; le costruzioni nella valle dei Templi, a Siracusa e quelle dello scempio a Catania, per non citare il mostruoso albergo sulla costiera amalfitana. Tutto ciò finirà per produrre frutti spingendo a quella legalità che altrove è la normalità e soprattutto incoraggiando chi imperterrito resiste. Potremmo fare i nomi di giovani e meno giovani progettisti che si oppongono al degrado che monta fino al parossismo e sembra davvero un'inarrestabile marea che consuma il suolo e provoca disastri; che resistono ai tragici sradicamenti che muovono cose e persone riducendole prive di certezze; ai continui soprusi che una generazione "tolta di mezzo" è stata costretta a subire, a iniziare dall'Università che dovrebbe favorire l'andata in cattedra dei migliori, e invece premia gli ignoranti; alle pesanti dimenticanze che progressivamente inducono al silenzio, alla rinuncia, all'abbandono. Anzi varrebbe la pena dedicargli un numero della nostra rivista. Non sono pochi coloro che con il loro lavoro dischiudono le porte a un Paese che disperatamente cerca di avvicinarsi all'Europa, resistendo soprattutto a una cultura stracciona e priva di valori che si lascia abbagliare dalle più banali, volgari spinte al consumismo. Mario Pisani
ven nowadays a certain “Italian diversity” can still be detected even in the field of architecture, compared to how it is practised in other E European countries. This diversity has certain pros but also lots of cons.The cause of this peculiarity dates back to the Dark Ages when the Gothic Movement first originated in France and soon spread to England, Spain, Portugal, Germany and even the Balkans, but met with considerable resistance here in Italy, for a number of reasons, resulting in notable variations on the basic Gothic theme. After a lengthy period stretching from the Renaissance through to the Baroque period, when art came into being and blossomed above all in Italy, producing a series of “superstars” who have let us “live off the interest” ever since and attracting hoards of tourists, the peculiarity of the situation in Italy re-emerges again early this century through the Liberty Movement, which certainly develops in a much lower key here than, say, in Belgium with Victor Horta, or Austria with Joseph Olbrich, who died so young. This is further underlined in rationalist architecture, when internationalism was all the rage, as epitomised by Gruppo 7’s refusal (and not just to take the easy way out) to break with the national heritage. It also crops up again during Fascism in the 1930s and 1940s; a carefully-documented study by Sandro Scardocchia, recently published by Skira, points out just how different Albert Speer’s architecture is from Marcello Piacentini’s: the former being fundamentally neo-classical and inspired by Greece, the latter featuring a vaguely Roman-style modernism that refuses to be part of the avant-garde “madness”. We could carry on with these comparisons, examining the legacy of the second generation masters ranging from the likes of Moretti, Libera, Ridolfi, Scarpa, Rogers, Gardella, and Ponti, right down to a figure like Aldo Rossi, comparing them to the most emblematic exponents of our continent, but we would actually rather concentrate on today, analysing what is still left after the Foggia disaster (unfortunately just one of a long line and certainly no exception) when several newspapers opened with the headline: “Italy is falling to pieces”. So just what is the situation in our country? There is no way of judging it from what the Minister of the Environment, the Minister of Culture or, even less so, the Minister of Public Works have said as they travel around Italy talking about direct train lines which are never actually built (or ground to a halt as soon as there is a storm, if they are ever built), not to mention the recent earthquake which, now two years on, is still forcing some people to spend another winter in mobile homes, or ritual measures for safeguarding our cultural heritage, often in the hands of Monuments and Fine Arts Services, which, except for rare cases like Mendini’s project for the Town Hall in Naples, seem to be more interested in exercising their powers of censorship - Rome is emblematic in this respect against modern-day planning and architectural design. This has ended up widening the gap between us and the rest of Europe. Anyone who spends even a couple of days in London, Paris, Berlin or Barcelona, or even Lisbon and Prague, can see for themselves that these capitals are better places to live, thanks also to the miraculous effects of modern-day architecture: they have literally been given face lifts - remember for instance, what La Villette looked like before the project was carried out, in contrast people have been talking about the Mattatoio project in Rome for thirty years now without anything actually being done - and raising the standards of living. This approach which, except in a few very rare cases, involves all the political parties (whose politicians incidentally, spend plenty of time abroad), indifferent to architecture, unlike Fascism which actually recognised itself in architecture, and also because the time it takes to transform the architectural landscape makes it a relatively ineffective tool in election campaigns - moves hand in hand with industrial structures too closely tied to tradition and rarely capable of measuring up to the kind of advanced technology that has transformed the building process. Despite the fact that Italy can boast an architect like Renzo Piano, who has designed most of his wonderful “machines” in other countries and even received the famous Pritzker Award from President Clinton, a sort of Nobel Prize for architecture, he has not even been given a university chair in Italy, while many others who have not built a single wall have. There is a real danger we will be left out of a market that is booming elsewhere, which will inevitably mean that foreign firms will come over to Italy to build their projects, particularly those that are so intricate and complex (Zaha Hadid in Rome) that we will inevitably struggle to carry them out or even work out the calculations underpinning their structures. Already today, thanks to the Internet, lots of international firms, notably the most well-known, use “brains” from all over the
world. “Brains”, for example, can be found in India, where they cost a lot less, while in Italy there is an objective lack of minds capable of carrying out the appropriate structural calculations. Add to all this an outmoded system, like the kind referred to in the Merloni law, that does not help the up-and-coming generations, since tenders are inevitably only awarded to those who already have an impression curriculum (i.e. sixty-year-olds) ending up even further reinforcing their position and preventing younger exponents from testing out their architectural design skills in person. In France, on the other hand, Dominique Perrault won a competition worth hundreds of billions of lira before he was thirty, and by the time he was forty he had designed the Bibliothèque Nationale, the nation’s most prestigious work of architecture. As regards the reforming of the university system, rather than argue over whether it takes three or five years to train an architect, it might be more interesting to take a closer look at the basic academic curriculum, deciding where to invest and where to make cuts, allocating resources where they are most needed. In this state of affairs, Vittorio Gregotti, forgetting the old saying that errare umanum est (and what follows), has suggested knocking down the Zen in Palermo and then rebuilding it as it is, which amounts to knocking down Mario Fiorentino’s Coviale for the sake of rebuilding it, or just simply rebuilding the Vele in Secondigliano, Naples, designed by Francesco Di Salvo and eventually knocked down, or the Pruitt-Igoe in St. Louis, Missouri, designed by Minoru Yamasaki (who also built the twin towers of the World Trade Center in New York), which was demolished with a memorable bang on 15th July 1972, marking the end of modernity. But hardly anyone took any notice and opened up their eyes. In an article he wrote a few months ago, Ernesto Galli della Loggia expressed his thoughts as follows: “The main cultural issue confronting our nation is the need to hold onto its own image and not lose its historical identity. In this realm and, perhaps, also on the urban-landscape scene, we can judge (....) the almost always destructive results of modernity in Italy: how difficult modernity has been to digest for a civilisation so profoundly (and jealously) marked and structured by the legacy of everything that chronologically came before it. Italy’s scarred face mirrors all these difficulties and contradictions. And, generally speaking, this is a big problem for the whole of our culture”. In actual fact, modernity does manage to co-exist with the old in a few happy cases. But taking the train from Naples to Reggio Calabria, you can see by just looking out of the window that what passes by beneath your eyes in the cities and metropolises of this part of Italy is not as elegantly refined as on the London Jubilee line, whose stations are designed by Michael Hopkins, Norman Foster, Alsop & Störmer, and other illustrious names. Neither are there any plans for projects like those in Paris, where a 12-minute stretch of underground line connects together the right and left banks, starting from Madeleine and terminating at the new library. There are not even plans (and will there ever be?) for anything like IBM’s project in the old Ruhr basin, bringing back to life a huge area where people can finally breathe again. In fact we might say that the tide is coming in and the damage caused by such an unbalanced system, that still has faith in town-planning, will soon be felt. There are, however, some small encouraging signs like the fact that the illegally-constructed houses in Olgiate, Rome, are starting to be knocked down; as are the buildings in the Valley of Temples in Syracuse and the horrendous constructions in Catania, not to mention the monstrous hotel along the Amalfi Coast. All this will eventually bear fruits, leading to the kind of rule of law that is the norm elsewhere, and, most significantly, encouraging those brave souls who have continued to battle on undaunted. We could name those young and not-so-young architects who are fighting against the dilapidation and decay which is rising like a relentless tide, literally eating up the ground, and causing disasters; architects who are battling against an uprooting of people and things that leaves them totally insecure, and against the continual bullying a generation which has quite literally been “shoved aside” has had to put up with, starting with our universities which ought to allocate posts to the most deserving instead of rewarding the ignorant; these architects are determined not to give up, resign themselves, or quite simply just keep quiet. In fact, it would be well worth dedicating an issue of our magazine to them. There is actually no lack of people striving to open up the doors of a country desperately trying to become more European, battling above all against a shoddy cultural scene completely lacking in values, that lets itself be blinded by the blandest and most vulgar of consumer products.
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Semplicità colta A New Square assenza di identità è uno degli L’ aspetti più peculiari che caratterizzano le periferie industrializzate
delle nostre città, risultati di un’urbanizzazione selvaggia, investite da devastanti speculazioni sorde a qualsiasi logica di programma, sviluppatesi solo in funzione del potenziamento di un’offerta di “posti letto” capace di supportare solo a livello quantitativo un pressante incremento di domanda. Molta letteratura si è spesa su questo argomento, restano comunque i nodi ancora fortemente irrisolti che furono scatenati dai meccanismi perversi di queste urbanizzazioni scellerate: aree prive di qualsiasi connotazione urbana, povere se non prive di servizi, di strutture pubbliche, di verde e soprattutto di quella qualità di vita indispensabile al benessere del cittadino. Un segno positivo di come molti di questi centri si stanno muovendo verso una ridefinizione qualitativa dell’identità del loro tessuto è sicuramente il concorso bandito per la riprogettazione di Piazza Gramsci a Cinisello Balsamo, un comune della periferia milanese che rappresenta un caso limite di sviluppo non pianificato, tra i più colpiti dai disequilibri legati alla forza polarizzante della metropoli lombarda. Il programma concorsuale si inserisce in una più ampia politica comunale di riqualificazione del centro urbano che vede nella formalizzazione del Piano Particolareggiato “Centro Città” e nella futura realizzazione di una metrotranvia gli strumenti privilegiati. E’ quindi la piazza, con le sue caratteristiche morfologiche e funzionali, l’elemento su cui si concentrano le energie rivitalizzatrici di una nuova centralità, nonché della ridefinizione di un tessuto storico per lo più negato dalle vicende speculative degli anni Settanta e di cui rimane qualche debole traccia. Un concorso di idee che però ha avuto tra i punti forti delle valutazioni finali la compatibilità dei progetti con una realizzazione effettiva. “Semplice, flessibile e realizzabile” sono i principi alla base della proposta di Dominique Perrault (capogruppo) e Luca Bergo che hanno conquistato i favori della giuria aggiudicandosi il primo premio. Il progetto è in effetti una soluzione che fa della semplicità e dell’immediatezza di lettura, i suoi punti forti. Semplice, flessibile e realizzabile è la piazza ridisegnata da un manto in cemento grigio chiaro, posato in grandi lastre trattate a effetto legno, su cui si individuano due polarità: la chiesa di Sant’Ambrogio e il suo sagrato, da un lato, e un’oasi di verde su quello opposto. Ora la mano di Perrault è riconoscibile proprio nella raffinatezza e nella poesia di questa macchia di alberi (pini marittimi o roveri) che, come in altri importanti interventi - dal bosco incassato della Grande
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Bibliothèque a Parigi al “meleto” del velodromo di Berlino - crea una piacevole parentesi paesaggistica a coronamento dello spazio pubblico. La piazza, realizzabile in tempi brevi e con costi sostenibili, si inserisce in un progetto di evoluzioni future con un margine di flessibilità capace di modificarsi nel tempo integrandosi agli altri interventi previsti per il centro cittadino. La parziale pedonalizzazione dell’area, come previsto dal bando, è tradotta da una piastra sopraelevata rispetto al piano stradale sulla quale si evidenziano le due isole costruite in pietra bianca del sagrato e della macchia di verde. Semplici e calibrati gli elementi di arredo: alcune panche dello stesso materiale della pavimentazione, pali cilindrici d’alluminio naturale per l’illuminazione che viene integrata da bassissimi fasci di luce che fanno risaltare la texture della pavimentazione e da proiettori incassati nel suolo che illuminano i rami degli alberi. La chiesa e il campanile vengono invece inscritti nel paesaggio notturno da fasci di luce provenienti da proiettori posti sugli edifici limitrofi. Secondo classificato il progetto del gruppo milanese formato da Osvaldo Pogliani (capogruppo), Luciano Crespi, Marino Crespi, Riccardo Dell’Osso e Fabio Reinhart. Qui la ricostruzione dell’identità della piazza è descritta attraverso una reintepretazione delle sue matrici storiche che trova nell’architettura il suo punto di forza. Pochi segni definiti con precisione individuano un nuovo disegno che traduce il ruolo centrale della piazza. Un’ellisse alberata, che riprende il tracciato dell’impianto ottocentesco del sito, ne definisce lo spazio centrale mentre un lungo muro porticato, sorta di loggia, sul lato sud scherma l’edificazione retrostante indirizzando i flussi pedonali e accogliendo i momenti di sosta come gli eventi vivacizzanti la vita pubblica. Il porfido grigio è il materiale privilegiato, utilizzato in grandi lastre sia per la pavimentazione che per il portico. Un progetto di ambienti è invece quello del gruppo romano Ricci, Aymonino, Ciorra e Spaini che identifica uno spazio unitario capace di contenere percorsi, elementi, edifici e differenti quote di imposta. Momenti focali dell’insieme sono un grande ovale pavimentato, vero spazio della piazza, che va a intaccare il perimetro di un’ampia superficie d’acqua mossa da getti verticali e attraversata in quota da barre di verde, ghiaia, pavimentazioni e tracciati luminosi. Anche qui, come viene evidenziato dal giudizio della giuria, si legge una rivisitazione delle tracce della storia attraverso un “disegno leggero” che traduce in chiave contemporanea un’idea di spazio pubblico continuo e della sua presenza nella città. Elena Cardani
a c k of i d e n tit y i s o n e of t h e L strangest aspects of the industrial suburbs of our cities, generally
resulting from an uncontrolled process of urbanisation. This devastating speculation has no underlying logic to it except the idea of providing more “beds” to cater in exclus i ve l y q u a n tit a ti ve t e r m s fo r t h e growing demand. Plenty has been written on this subject, yet the key issues triggered off by the perverse mechanisms of this terrible urbanisation process are still far from solved: areas totally lacking in any urban connotations furbished with very few if any services or public facilities, landscaping and, above all, totally bereft of the kind of qualit y of li fe r eq u i r e d fo r t h e i r inhabitants’ well-being. The competition launched to redesign Piazza Gramsci in Cinisello Balsamo, a municipality in the suburbs of Milan which is an extreme case of unplanned growth hit very badly by the imbalances caused by the polarising force of the city of M il a n , i s un q u e s ti o n a b l y a p o s i tive sign of how lots of these towns are trying to raise the standard of their urban identity. The competition is part of a much wider munici p a l p r og r a mm e t o r e d eve l o p t h e town centre, whose main tools are a Detailed “City Centre” Plan and t h e co n s t r u c ti o n of a n ew p u b li c t r a n s p o r t n e t wo r k ( un d e r g r o un d line, trams and buses). T h e t ow n s q u a r e ’ s m o r pho l og i cal-functional features provide the energy required for a new notion of centrality, involving the knitting back together of the old urban fabric, something that was basically ignored by speculation in the 1970s of w h i c h t h e r e i s s till t h e o dd remaining trace. An ideas competition which, however, was also judged in terms of how feasible it would actually be to construct the projects. “Simplicity, flexibility and buildability” are the principles underpinn i n g D o m i n i q u e P e rr a u lt ( t e a m leader) and Luca Bergo’s design, which was awarded first prize by the jury. The strong points of this project were simplicity and ease of interpretation. T h e r e d e s i g n e d s q u a r e, w it h a new surface of clear-grey concrete laid in large slabs designed to look like wood, works around two key fe a t u r e s : S a n t ’ A m b r og i o C h u r c h a n d it s c h u r c h - y a r d o n o n e s i d e, and an oasis of green landscaping over on the other. Perrault’s touch is clearly visible in the elegant artistry of this p a t c h of t r ee s ( c l u s t e r p i n e s a n d oaks) which, as in other important projects - from the woods encased in the Grande Bibliothèque in Paris to
t h e “ a pp l e o r c h a r d ” a t t h e C y c l e T r a c k i n B e r li n - c r e a t e s a n i ce piece of landscaping as a finishing touch to the public space. The square, which could be built in a short space of time and at reasonable costs, is part of a project for f u t u r e d eve l o p m e n t s , f l e x i b l e e n o u g h t o a d a p t i n ti m e t o f it i n with other projects designed for the city centre. The partial conversion of the area i n t o a p e d e s t r i a n zo n e h a s t a k e n the form of a platform raised above t h e g r o un d t o d r a w a tt e n ti o n t o these two “islands”: the white stone church-yard and green landscaping. The furbishing is simple and carefully-gauged: benches made of the same material as the paving, c y li n d r i c a l n a t u r a l a l u m i n i u m lampposts supplemented with low bands of light to highlight the texture of the paving, and spotlights in the ground to light up the branches of the trees. The church and bell tower, on the other hand, are projected into nightscape by strips of light shining out from spotlights on the surrounding buildings. Second prize was awarded to the project designed by the Milan team formed by Osvaldo Pogliani (team leader), Luciano Crespi, Marino C r e s p i , R i cc a r d o D e ll ’ O ss o a n d Fabio Reinhart. In this case the square’s identity was reinterpreted along the line of it s h i s t o r i c a l m a t r i x e s , d r a w i n g mainly on the artistic force of architecture. A few carefully designed s i g n s b r i n g o u t t h e s q u a r e ’ s ce n tral role on the cityscape. A tree-lined ellipse, evoking the n i n e t ee n -ce n t u r y l a y o u t of t h e s q u a r e, d ef i n e s it s ce n t r a l s p a ce, while a long porticoed wall over on the south side, a sort of loggia, shelters the building behind it, directing pedestrians and using moments of rest or breaks as events injecting life into the community. Grey porphyry is the main material used for the large slabs characterising both the paving and portico. T h e R o m e t e a m co m p o s e d of R i cc i , A y m o n i n o, C i o rr a a n d Spaini has designed a unitary space capable of holding pathways, buildings, and a series of different levels. The focal point of the overall design i s a l a r ge p a ve d ov a l ( t h e r e a l square) bordering on the edge of a large pool of water set in motion b y ve r ti c a l j e t s a n d c r o ss e d a t a higher level by shafts of greenery, gravel, paving, and paths of light. As the jury pointed out, history has bee n r ev i s it e d t h r o u g h a “ge n tl e d e s i g n ” p r ov i d i n g a n u p - t o- d a t e r e a d i n g of a p u b li c s p a ce a n d of how it is incorporated in the city.
Il vincitore The Winner Dominique Perrault
Credits Project: Dominique Perrault (Team Leader), Luca Bergo Collaborators: Gaëlle Lauriot-Prevost, Jerome Thibault, Reto Jmur, Patrizia Peracchio, Genc Barbulluschi, Alessandro Maggioni Cosultant: Gustavo Zani
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Secondo classificato Second Prize Osvaldo Pogliani
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Credits Project: Osvaldo Pogliani (Team Leader), Luciano Crespi, Marino Crespi, Riccardo dell’Osso, Fabio Reinhart Collaborators: Enrica Lavezzari, Nicoletta Silva
Terzo classificato Third Prize
Credits Project: Mosé Ricci (Team Leader), Aldo Aymonino, Pippo Ciorra, Filippo Spaini
Mosé Ricci
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Semplicità colta A New Square assenza di identità è uno degli L’ aspetti più peculiari che caratterizzano le periferie industrializzate
delle nostre città, risultati di un’urbanizzazione selvaggia, investite da devastanti speculazioni sorde a qualsiasi logica di programma, sviluppatesi solo in funzione del potenziamento di un’offerta di “posti letto” capace di supportare solo a livello quantitativo un pressante incremento di domanda. Molta letteratura si è spesa su questo argomento, restano comunque i nodi ancora fortemente irrisolti che furono scatenati dai meccanismi perversi di queste urbanizzazioni scellerate: aree prive di qualsiasi connotazione urbana, povere se non prive di servizi, di strutture pubbliche, di verde e soprattutto di quella qualità di vita indispensabile al benessere del cittadino. Un segno positivo di come molti di questi centri si stanno muovendo verso una ridefinizione qualitativa dell’identità del loro tessuto è sicuramente il concorso bandito per la riprogettazione di Piazza Gramsci a Cinisello Balsamo, un comune della periferia milanese che rappresenta un caso limite di sviluppo non pianificato, tra i più colpiti dai disequilibri legati alla forza polarizzante della metropoli lombarda. Il programma concorsuale si inserisce in una più ampia politica comunale di riqualificazione del centro urbano che vede nella formalizzazione del Piano Particolareggiato “Centro Città” e nella futura realizzazione di una metrotranvia gli strumenti privilegiati. E’ quindi la piazza, con le sue caratteristiche morfologiche e funzionali, l’elemento su cui si concentrano le energie rivitalizzatrici di una nuova centralità, nonché della ridefinizione di un tessuto storico per lo più negato dalle vicende speculative degli anni Settanta e di cui rimane qualche debole traccia. Un concorso di idee che però ha avuto tra i punti forti delle valutazioni finali la compatibilità dei progetti con una realizzazione effettiva. “Semplice, flessibile e realizzabile” sono i principi alla base della proposta di Dominique Perrault (capogruppo) e Luca Bergo che hanno conquistato i favori della giuria aggiudicandosi il primo premio. Il progetto è in effetti una soluzione che fa della semplicità e dell’immediatezza di lettura, i suoi punti forti. Semplice, flessibile e realizzabile è la piazza ridisegnata da un manto in cemento grigio chiaro, posato in grandi lastre trattate a effetto legno, su cui si individuano due polarità: la chiesa di Sant’Ambrogio e il suo sagrato, da un lato, e un’oasi di verde su quello opposto. Ora la mano di Perrault è riconoscibile proprio nella raffinatezza e nella poesia di questa macchia di alberi (pini marittimi o roveri) che, come in altri importanti interventi - dal bosco incassato della Grande
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Bibliothèque a Parigi al “meleto” del velodromo di Berlino - crea una piacevole parentesi paesaggistica a coronamento dello spazio pubblico. La piazza, realizzabile in tempi brevi e con costi sostenibili, si inserisce in un progetto di evoluzioni future con un margine di flessibilità capace di modificarsi nel tempo integrandosi agli altri interventi previsti per il centro cittadino. La parziale pedonalizzazione dell’area, come previsto dal bando, è tradotta da una piastra sopraelevata rispetto al piano stradale sulla quale si evidenziano le due isole costruite in pietra bianca del sagrato e della macchia di verde. Semplici e calibrati gli elementi di arredo: alcune panche dello stesso materiale della pavimentazione, pali cilindrici d’alluminio naturale per l’illuminazione che viene integrata da bassissimi fasci di luce che fanno risaltare la texture della pavimentazione e da proiettori incassati nel suolo che illuminano i rami degli alberi. La chiesa e il campanile vengono invece inscritti nel paesaggio notturno da fasci di luce provenienti da proiettori posti sugli edifici limitrofi. Secondo classificato il progetto del gruppo milanese formato da Osvaldo Pogliani (capogruppo), Luciano Crespi, Marino Crespi, Riccardo Dell’Osso e Fabio Reinhart. Qui la ricostruzione dell’identità della piazza è descritta attraverso una reintepretazione delle sue matrici storiche che trova nell’architettura il suo punto di forza. Pochi segni definiti con precisione individuano un nuovo disegno che traduce il ruolo centrale della piazza. Un’ellisse alberata, che riprende il tracciato dell’impianto ottocentesco del sito, ne definisce lo spazio centrale mentre un lungo muro porticato, sorta di loggia, sul lato sud scherma l’edificazione retrostante indirizzando i flussi pedonali e accogliendo i momenti di sosta come gli eventi vivacizzanti la vita pubblica. Il porfido grigio è il materiale privilegiato, utilizzato in grandi lastre sia per la pavimentazione che per il portico. Un progetto di ambienti è invece quello del gruppo romano Ricci, Aymonino, Ciorra e Spaini che identifica uno spazio unitario capace di contenere percorsi, elementi, edifici e differenti quote di imposta. Momenti focali dell’insieme sono un grande ovale pavimentato, vero spazio della piazza, che va a intaccare il perimetro di un’ampia superficie d’acqua mossa da getti verticali e attraversata in quota da barre di verde, ghiaia, pavimentazioni e tracciati luminosi. Anche qui, come viene evidenziato dal giudizio della giuria, si legge una rivisitazione delle tracce della storia attraverso un “disegno leggero” che traduce in chiave contemporanea un’idea di spazio pubblico continuo e della sua presenza nella città. Elena Cardani
a c k of i d e n tit y i s o n e of t h e L strangest aspects of the industrial suburbs of our cities, generally
resulting from an uncontrolled process of urbanisation. This devastating speculation has no underlying logic to it except the idea of providing more “beds” to cater in exclus i ve l y q u a n tit a ti ve t e r m s fo r t h e growing demand. Plenty has been written on this subject, yet the key issues triggered off by the perverse mechanisms of this terrible urbanisation process are still far from solved: areas totally lacking in any urban connotations furbished with very few if any services or public facilities, landscaping and, above all, totally bereft of the kind of qualit y of li fe r eq u i r e d fo r t h e i r inhabitants’ well-being. The competition launched to redesign Piazza Gramsci in Cinisello Balsamo, a municipality in the suburbs of Milan which is an extreme case of unplanned growth hit very badly by the imbalances caused by the polarising force of the city of M il a n , i s un q u e s ti o n a b l y a p o s i tive sign of how lots of these towns are trying to raise the standard of their urban identity. The competition is part of a much wider munici p a l p r og r a mm e t o r e d eve l o p t h e town centre, whose main tools are a Detailed “City Centre” Plan and t h e co n s t r u c ti o n of a n ew p u b li c t r a n s p o r t n e t wo r k ( un d e r g r o un d line, trams and buses). T h e t ow n s q u a r e ’ s m o r pho l og i cal-functional features provide the energy required for a new notion of centrality, involving the knitting back together of the old urban fabric, something that was basically ignored by speculation in the 1970s of w h i c h t h e r e i s s till t h e o dd remaining trace. An ideas competition which, however, was also judged in terms of how feasible it would actually be to construct the projects. “Simplicity, flexibility and buildability” are the principles underpinn i n g D o m i n i q u e P e rr a u lt ( t e a m leader) and Luca Bergo’s design, which was awarded first prize by the jury. The strong points of this project were simplicity and ease of interpretation. T h e r e d e s i g n e d s q u a r e, w it h a new surface of clear-grey concrete laid in large slabs designed to look like wood, works around two key fe a t u r e s : S a n t ’ A m b r og i o C h u r c h a n d it s c h u r c h - y a r d o n o n e s i d e, and an oasis of green landscaping over on the other. Perrault’s touch is clearly visible in the elegant artistry of this p a t c h of t r ee s ( c l u s t e r p i n e s a n d oaks) which, as in other important projects - from the woods encased in the Grande Bibliothèque in Paris to
t h e “ a pp l e o r c h a r d ” a t t h e C y c l e T r a c k i n B e r li n - c r e a t e s a n i ce piece of landscaping as a finishing touch to the public space. The square, which could be built in a short space of time and at reasonable costs, is part of a project for f u t u r e d eve l o p m e n t s , f l e x i b l e e n o u g h t o a d a p t i n ti m e t o f it i n with other projects designed for the city centre. The partial conversion of the area i n t o a p e d e s t r i a n zo n e h a s t a k e n the form of a platform raised above t h e g r o un d t o d r a w a tt e n ti o n t o these two “islands”: the white stone church-yard and green landscaping. The furbishing is simple and carefully-gauged: benches made of the same material as the paving, c y li n d r i c a l n a t u r a l a l u m i n i u m lampposts supplemented with low bands of light to highlight the texture of the paving, and spotlights in the ground to light up the branches of the trees. The church and bell tower, on the other hand, are projected into nightscape by strips of light shining out from spotlights on the surrounding buildings. Second prize was awarded to the project designed by the Milan team formed by Osvaldo Pogliani (team leader), Luciano Crespi, Marino C r e s p i , R i cc a r d o D e ll ’ O ss o a n d Fabio Reinhart. In this case the square’s identity was reinterpreted along the line of it s h i s t o r i c a l m a t r i x e s , d r a w i n g mainly on the artistic force of architecture. A few carefully designed s i g n s b r i n g o u t t h e s q u a r e ’ s ce n tral role on the cityscape. A tree-lined ellipse, evoking the n i n e t ee n -ce n t u r y l a y o u t of t h e s q u a r e, d ef i n e s it s ce n t r a l s p a ce, while a long porticoed wall over on the south side, a sort of loggia, shelters the building behind it, directing pedestrians and using moments of rest or breaks as events injecting life into the community. Grey porphyry is the main material used for the large slabs characterising both the paving and portico. T h e R o m e t e a m co m p o s e d of R i cc i , A y m o n i n o, C i o rr a a n d Spaini has designed a unitary space capable of holding pathways, buildings, and a series of different levels. The focal point of the overall design i s a l a r ge p a ve d ov a l ( t h e r e a l square) bordering on the edge of a large pool of water set in motion b y ve r ti c a l j e t s a n d c r o ss e d a t a higher level by shafts of greenery, gravel, paving, and paths of light. As the jury pointed out, history has bee n r ev i s it e d t h r o u g h a “ge n tl e d e s i g n ” p r ov i d i n g a n u p - t o- d a t e r e a d i n g of a p u b li c s p a ce a n d of how it is incorporated in the city.
Il vincitore The Winner Dominique Perrault
Credits Project: Dominique Perrault (Team Leader), Luca Bergo Collaborators: Gaëlle Lauriot-Prevost, Jerome Thibault, Reto Jmur, Patrizia Peracchio, Genc Barbulluschi, Alessandro Maggioni Cosultant: Gustavo Zani
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Secondo classificato Second Prize Osvaldo Pogliani
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Credits Project: Osvaldo Pogliani (Team Leader), Luciano Crespi, Marino Crespi, Riccardo dell’Osso, Fabio Reinhart Collaborators: Enrica Lavezzari, Nicoletta Silva
Terzo classificato Third Prize
Credits Project: Mosé Ricci (Team Leader), Aldo Aymonino, Pippo Ciorra, Filippo Spaini
Mosé Ricci
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1. Stazione Marittima/ Harbour Office 2. Piazza annessa/Adjacent square 3.Nuovo molo turistico e rampa d’alaggio/New tourist pier and landing ra mp
“Il nuovo edificio” For Otranto Harbour rindisi, Otranto da un lato; B dall’altro, Igoumenitza, Patrasso, Corfù La storia del Mediter-
raneo irrompe da questi nomi con il brusio indaffarato degli innumerevoli commerci, il mitico fulgore degli eroi sepolti sotto una greve coltre d’acqua, il suono metallico delle armi o lo schiocco delle bandiere che vi si risuona come un’eco confusa; e si deposita nell’arido presente con una nuova sigla “Interreg II Italia-Grecia”, che nella fredda funzionalità dei trattati moderni indica un programma di finanziamento varato dall’Europa unita per rendere meno periferiche le regioni frontaliere dei due suoi Stati membri. A quei porti è stato assegnato un ruolo strategico nello sviluppo degli scambi commerciali del Mediterraneo orientale; e all’architettura, come sempre, è toccato il compito di dare forma e spazio a questa nuova pagina di storia. A Otranto, dunque, accanto alla viva testimonianza d’una serena arcaicità greca e romana, d’un severo Medio Evo e di secoli sanguinosi ed eroici - testimonianza architettonica anch’essa, con la stupenda cattedrale del XII secolo, l’arcigna fortezza del XVI le case del paese ancora ornate delle palle di cannone con le quali i turchi conquistarono, nel 1485, la città - le estreme propaggini della modernità faranno
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sorgere edifici destinati alla nuova stazione marittima e alla capitaneria di porto, con la relativa sistemazione delle aree esterne e la riqualificazione della banchina antistante. “Il nuovo edificio”, dice Mario Cucinella, il cui progetto è risultato vincitore del concorso bandito per la realizzazione di queste opere, “è inserito in un contesto dalle forti connotazioni ambientali e paesaggistiche, nelle quali la sua struttura architettonica si propone come ultimo prolungamento della linea dei bastioni. La sua sagoma, definita dalla facciata principale in pietra leccese che si proietta verso l’orizzonte marino, conferisce all’insieme, con la sua inclinazione, un marcato dinamismo”. La scelta della pietra leccese, quantunque quasi obbligata data la natura fisico-storica dei luoghi, riflette l’essenzialità del gesto architettonico, e stabilisce anche il punto di congiunzione tra un prestigioso passato e un ottimistico futuro. “La grande massa muraria così ottenuta”, spiega Cucinella, “appare pronunciata e imponente verso il mare, ma si sfrangia e alleggerisce verso la piazza, dove il volume architettonico si trasforma in una gradonata e si apre alla città e alla fruizione collettiva”. Questa particolare attenzione al contesto naturale e storico dei luo-
4. Parcheggio/Car park 5. Prolungamento Molo San Nicola/ Extension to San Nicola Pier
Progetto: Mario Cucinella Architects
ghi caratterizza, come è noto, l’architettura di Mario Cucinella fin dagli inizi. Il concetto di continuità tra architettura e ambiente ne resta il tratto più peculiare o, meglio, il dato programmatico più significativo; e anche a Otranto la sua teoria dell’inserimento dell’architettura nel corpo vivo dell’ambiente per svilupparlo a un livello superiore trova un’applicazione in certo modo esemplare, soprattutto grazie alla cura posta nell’equiparazione, sul piano della luce, della temperatura e della vivibilità, tra esterno e interno. “L’effetto del ‘volume pieno’ generato dal prospetto principale”, egli osserva, “è reso dall’arretramento della linea delle finestre e dalla continuità del filo esterno, garantita da un sistema di frangisole che regola l’ingresso della luce diretta nelle ore più calde. Anche il disegno della pavimentazione esterna, in pietra locale, e la piantumazione di alberi tipici della macchia mediterranea definiscono un paesaggio nuovo, ma idealmente legato a quello naturale”. Toccherà invece all’illuminazione artificiale esterna il compito di rendere evidente il movimento storico, la novità introdotta nell’ambiente. “Parte integrante del progetto”, dice ancora Cucinella, “è il sistema
di illuminazione, che oltre a garantire un adeguato livello di luce nelle zone pubbliche, valorizzerà l’architettura della stazione e le prevalenze naturali. L’illuminazione dell’edificio avverrà dal basso, per alleggerire il blocco costruito, mentre una serie di corpi illuminanti getterà luce radente sul costone roccioso, in modo da sottolineare la contrapposizione tra architettura e natura”. C’è dunque da ritenere che questo contrastato rapporto tra storia, futuro e ambiente impedirà che la suggestione del passato, così fortemente radicato nel luogo, si riduca a mero esotismo estetizzante, e sappia invece produrre il giusto effetto di “trascinamento”, grazie al quale le forza vive della storia possono essere portate all’altezza del presente e delle sue proiezioni sul futuro. Come afferma infatti, in conclusione, lo stesso Cucinella, “tutto questo progetto è un tentativo di coniugare la necessità di integrazione col contesto e l’esigenza di esprimere in maniera contemporanea nuove funzioni”. Certo, il Mediterraneo è sempre quello; ma gli uomini che esso accoglie nel suo grembo immortale hanno aggiunto nuovi miti accanto a quelli antichi, cui l’architettura, come sempre, dà corpo. Maurizio Vitta
■ Nella pagina a fianco, schizzo preliminare e planimetria generale del progetto per la nuova Stazione Marittima, Capitaneria di Porto, risistemazione della banchina, realizzazione della piazza annessa e
connessione alle mura di Otranto. Sopra, pianta dell’intervento. In alto, la sequenza di modelli in legno realizzati per lo studio delle formazioni calcaree.
r i n d i s i a n d O t r a n t o ove r o n B one side; Igoumenitza, Patras and Corfu on the other. These
n a m e s i n ev it a b l y co n j u r e u p t h e history of the Mediterranean with it s o l d b u zz of b u s y t r a d i n g, t h e glittering legends of heroes buried beneath a heavy blanket of water, t h e c l a n g i n g of we a p o n s o r t h e s o un d of f l a g s f l u tt e r i n g li k e strange echoes in the wind; and all t h i s h a s bee n p r o j ec t e d i n t o t h e present under the rather arid title of “ I n t e rr eg II I t a li a -G r ec i a ”, r efe rr i n g, w it h a ll t h e coo l p r ec i sion of modern times, to a financing programme launched by Unit e d E u r o p e t o m a k e t h e r eg i o n a l borders of its Member States less p e r i ph e r a l . T h e p o r t s m e n ti o n e d above have been given a strategic r o l e i n d eve l o p i n g t r a d i n g i n t h e E a s t M e d it e rr a n e a n ; a n d , a s a l w a y s , a r c h it ec t u r e h a s bee n given the job of giving shape and s p a ti a l fo r m t o t h i s n ew p a ge i n history. Alongside Otranto’s living testim o n y t o t h o s e p e a cef u l a n c i e n t Greek and Roman times, the harsh M i dd l e A ge s , a n d b l oo dy , h e r o i c centuries that followed - architecturally represented by a wonderful X II t h -ce n t u r y c a t h e d r a l , t h e rugged-looking XVIth-century fortress, and town houses still decorated with the cannon balls fired by the
■ Opposite
page, peliminary sketch and site plan of the project for a new Harbour, Harbour Office, dockland redevelopment scheme, and construction of a square alongside and connection to the Otranto
Turks when they conquered the city i n 1485 - t h e l a s t d e s ce n d a n t s of modernity have designed buildings for the new sea port and harbour off i ce, r e a rrr a n g i n g t h e o u t s i d e areas and redeveloping the docklands in front. “The new building”, according to Mario Cucinella, whose project won t h e co m p e titi o n t o d e s i g n t h e s e works, “is incorporated in a context with powerful environmentall a n d s c a p e co nn o t a ti o n s , u s i n g architectural structure as a final extension to the line of ramparts. Its outline, defined by the main facade m a d e of L ecce s t o n e p r o j ec ti n g towards the sea, injects the entire co m p l e x w it h a m a r k e d s e n s e of dy n a m i s m t h r o u g h it s s l o p i n g design”. T h e d ec i s i o n t o u s e s t o n e f r o m Lecce, almost obligatory given the phy s i c a l - h i s t o r i c a l n a t u r e of t h e locations, reflects the simplicity of the architectural design, also marking where a glorious past meets an optimistic future. “The huge wall mass this creates”, Cucinella points o u t , “ i s p a r ti c u l a r l y a cce n t u a t e d and imposing towards the sea, but it gradually frays and lightens up by the square, where the architectural structure turns into a flight of steps and opens up to the city and its community”. This attention to the natural-his-
city walls. Above, project plan. Top, the sequence of wooden models designed to study the limestone formations.
torical context of the site location has, as we well know, always been a c h a r a c t e r i s ti c fe a t u r e of Cucinella’s architecture. The idea of continuity between architecture and the environment is still the most notable feature (or rather programm a ti c f a c t ) a bo u t h i s wo r k ; a n d here, too, in Otranto, his theory of how architecture ought to be incorporated in the living landscape to enhance its quality has been applied in exemplary fashion, particularly in the way light, temperature, and user-friendliness, have been exploited to set up relations between the inside and outside. “The ‘full volume’ effect created by the main elevation”, he notes, “derives from the way the window line has been set back and by the continuity of the outside line created by a system of shutters controlling incoming direct light during the hottest part of the day. Even the design of the outside f l oo r i n g m a d e of l oc a l s t o n e a n d t h e p l a n ti n g of t yp i c a l M e d it e r ranean species of trees create a new landscape, ideally linked to the natural surroundings”. The artificial outside lighting is expected to create a sense of historical motion, inserting new parts into the surroundings. Mario Cucinella also tells us that “the lighting system is an integral part of the design, not only ensur-
ing an appropriate level of lighti n g i n t h e p u b li c a r e a s , b u t a l s o enhancing the harbour architecture and natural landscaping. The building lighting will be from below to lighten up the built block, while a set of spotlights will cast radiant light on the rocky ridge to bring out the contrast between architecture and nature”. Everything indicates that the conflicting relations between history, t h e f u t u r e, a n d t h e e n v i r o n m e n t , w ill p r eve n t t h e p l a ce ’ s d ee p l y ingrained historical connotations f r o m l a p s i n g i n t o m e r e a e s t h e ti c e x o ti c i s m , a c t u a ll y c r e a ti n g t h e right kind of “dragging along” effect which will allow the living forces of history to be brought into the present and projected into the future. As Cucinella himself concludes, “this entire project is an attempt to combine the need to blend into the context while, at the same time, expressing new functions in an up-to-date manner”. Of course, the Mediterranean has not changed; but the people in its immortal lap have added new legends to the ancient myths, as usual u s i n g a r c h it ec t u r e t o phy s i c a ll y embody them.
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Jean de Calan
Francesco Bombardi
1. Parete inclinata in c.a. sp.20 cm/ 20 cm thick sloping concrete wall 2. Conci rivestimento 12,9x8 cm a correre in pietra di Cursi trattata, incollati con resine/12.9x8 treated Cursi stone cladding glued together with resin 3. Tufo sciolto sp. 4 cm/ 4 cm thick loose tuff 4. Travedi bordo in spessore 80x30 cm/ 80x30 cm edge beams 5. isolante sp. 4 cmcon barriera al vapore sulla faccia interna/ 4 cm thick unsulation with steam block on the inside face 6. Brise soleil in pietra su tubolare in acciaio 40x60x1 rivestito da concio a C/Stone shutter on 40x60x1 steel tubing coated with dressed stone 7. Irrigidimento in piatto metallico verniciato sp. 10 mm saldato ai tubolari/stiffening made of 100 mm thick metal plate welded to the tubing 8. Concio speciale sagomato 12,9x12,5x60/12.9x12.5x60 special profiled stone 9. Rivestimento zoccolo in lastre di pietra locale scura spicconata sp. 3 cm/Cladding block made of 3 cm thick sheets of dark picked local stone. 10. Proiettore stagno incassato al suolo D. 14 cm/14 cm D. sealed projector encased in the ground 11. Vespaio in pietrame calcareo/ crawl space made of calcareous ballast. 12. trave rovescia di fondazione/ reverse foundation beam 13. Lastrico solare sp. 4 cm/ 4 cm thick floor board 14 Massetto a pendio 2% in cls di argilla espansa/2% graded screed made of expanded clay concrete 15. Serramento in alluminio finitura in elettrocolore apertura ad anta e a ribalta/ Aluminium fixture with electro-painted finishing and vertically- and horizontally-hinged opening. 16. Parete in blocchetti di tufo sp.10 cm intonacata/Plastered wall made of 10 cm thick blocks of tuff 17. Pavimentazione in lastre di cls e graniglia sp. 3 cm/Flooring made of 3 cm sheets of concrete and cast stone.
■ Viste
del modello della Stazione Marittima e Capitaneria di Porto. L’edificio, che si pone come prolungamento dei bastioni, è inserito a ridosso di un costone roccioso che scende verso la banchina. La facciata verso il mare, lievemente inclinata, è in
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pietra leccese, mentre quella verso la piazza si alleggerisce in una serie di gradoni che ne rafforzano il carattere pubblico. Il complesso è caratterizzato dallo spigolo dell’edificio di testa proteso come ultimo limite di terra verso il mare.
■ Views
of the model of the Harbour and Harbour Office. The building, designed as an extension to the ramparts, is inserted next to a rocky cliff dipping down to the docks. The gently sloping facade facing the sea is made of Lecce stone, while the
facade facing the square is lightened up by a flight of steps giving it even greater public connotations. The complex is characterised by the corner of the end building that marks the most extreme point of dry land before the sea.
■ Sopra, particolare delle Cave di Santa Cesarea Terme, con le formazioni calcaree che caratterizzano la costa di Otranto e sezione sulla facciata inclinata. Sotto, vista zenitale della
Stazione Marittima e della piazza annessa che verrà pavimentata in pietra calcarea in continuità con la città storica, e piantumata con vegetazione mediterranea.
Above, detail of Santa Cesarea Terme Quarries, showing the limestone formations characterising the Otranto coast and section across the sloping facade. Below, zenith view of the ■
Harbour and adjacent square, which will be paved in limestone to fit in with the old city and landscaped with typical Mediterranean plants.
Credits Project: MCA Mario Cucinella Architects Mario Cucinella, Elizabeth Francis, Edoardo Badano, Francesco Bombardi, Davidi Hirsch, danilo Vespier Model: Glenn O’Brian
Landascaping: James Tynan Engineering: Roberto Calà, Pierpaolo Cariddi, Alfredo Ferramosca, Gianni Ricciardi Client: Comune di Otranto, Unione Europea - Regione Puglia Programma Interreg
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Un frammento di futuro New Fair Area in Brescia
Progetto: KR Studio
Nella pagina a fianco, particolare del “boulevard dei servizi e dell’arte” del Nuovo Polo espositivo unitario e integrato di
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rogettare i centri della città poliP centrica. Motori di sviluppo urbano sempre più diffusi, i quartieri
fieristici sono elementi cerniera fra centro urbano e nuove zone di sviluppo. Il complesso fieristico è dunque luogo fondamentale nella geografia, oggi tendenzialmente policentrica, della città europea, ormai cosi “globalizzata” da condividere fenomenologie con la “città generica” (struttura a espansione ibrida con un’omogenea periferia-provincia senza un preciso ordine urbano), un tempo presente soprattutto in alcune realtà territoriali d’oltreoceano. Con la sua capacità di catalizzatore economico, il centro fieristico è un elemento pulsante in grado di vitalizzare contesti, talvolta a scala regionale, con nuove mescolanze, nuovi spazi con varie e inaspettate possibilità funzionali. Con la sua connotazione di insieme di “piazze” e percorsi di tipo urbano, il nuovo quartiere fieristico di Brescia 12 l’ARCA 144
è un frammento di futuro che anticipa il divenire della città. Il progetto elaborato da Piotrowski del KR Studio mira a creare una tipologia innovativa; ovvero: un polo espositivo in grado di esprimere, in un unico organismo, due diverse realtà come la fiera specializzata e il parco tematico, realizzando una struttura che combina l’estrema funzionalità del centro fieristico con un’effettiva integrazione fra tessuto urbano e vita della città. Innovazione urbana attraverso rivisitazioni del passato. Il nuovo quartiere fieristico è stato concepito non senza gettare uno sguardo sull’evoluzione dell’ambiente urbano, soprattutto in epoca medievale. Il riferimento teorico è in un qualche modo legato a ricerche svolte dello storico Henri Pirenne che, intorno agli anni Venti, ipotizzava la formazione della città moderna quale risultato della combinazione di due diver-
se realtà: quella “istituzionale”, statica, del nucleo formato dal castello e dalla cattedrale, e quella “dinamica”, ricca di energie innovative del borgo abitato dal ceto mercantile, protagonista della rivoluzione capitalistica. Le realtà del nuovo quartiere fieristico bresciano sono identificabili in due diversi ambiti: all’esterno dell’area, i corpi dei servizi che perimetrano la fiera, senza però recintarla, in cui vi sono ristoranti, negozi, banche, teatri, luoghi di culto ecc., disponibili anche per la città e, nella zona interna, i padiglioni espositivi polifunzionali. L’obiettivo è creare condizioni sufficienti per innescare un processo di sviluppo urbano attraverso la combinazione fra strutture di segno opposto: quella statica dei servizi con quella dinamica del centro espositivo vero e proprio, caratterizzato da un insieme di contenitori in grado di mutare, anche radicalmente, la propria configurazione spaziale. I cicli
brevissimi fra una manifestazione e l’altra sono il momento dinamico del quartiere fieristico, in tal senso i padiglioni offrono il massimo di flessibilità dimensionale grazie alla larghezza fissa di sessanta metri, ma con possibilità di poter variare lunghezza e altezza. Il volume del padiglione tipo è completamente libero e le colonne sono rimovibili e possono supportare interpiani mobili. Anche le coperture sono facilmente rimovibili: il padiglione può così trasformarsi in una piazza, in uno spazio in grado di interagire con il resto della città. Prevedendo un impiego diverso dei padiglioni, la parte interna della perimetrazione delle strutture di servizio prospettante sull’area espositiva, è configurata come una vera e propria facciata con aperture solitamente chiuse durante le fiere, ma apribili in altre occasioni, offrendo così un affaccio verso l’interno. Carlo Paganelli
Brescia. In alto, pianta a quota + 0.00 e planimetria generale. Sopra, sezione trasversale.
lanning centers within a policenP tric city. Convention areas are urban development engines-places
that connect the urban center with new developing zones. Therefore the convention complex is a fundamental reference point in today’s generally policentric urban geography; European cities have become “globalized” enough to share traits with the “generic city” (hybrid structure and expansion with homogeneous suburbs and lacking any precise urban order) which was once present only on the other side of the Atlantic. The convention and fair complex with its capacity for economic galvanization is a pulsing life element able to vitalize contexts, occasionally even on a regional scale, with new combinations and new spaces gifted with various unexpected functional possibilities. The new convention area in Brescia with its various “piazzas” and urban pathways is a fragment of the
Opposite page, detail of the New Unified and Integrated Exhibition Centre’s “boulevard of services and art”.
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future which anticipates the destiny of the city. KR Studio-Piotrowski’s project aims to create an innovative typology; more to the point: an expository lodestone capable of expressing, in a single organism, two such diverse realities as the specialized convention area and a thematic park. Piotrowski has managed to create a structure which combines the extreme functionality of a convention center with an effective integration between the urban fabric and the life of the city. Urban innovation through revisiting the past. This new convention and fair area was not conceived without a look at the evolution of the urban environment and the medieval period in particular. The theoretical references are in some ways linked to the research of the historian Henri Pirenne who, in the twenties, theorized a formation of the modern city as a result of the combination of two diverse realities: one “institutional”, static, with a nucleas
Top, plan at height + 0.00 and site plan. Above, cross section.
formed by castle and cathedral, and one “dynamic”, rich in innovative energy from the neighborhood occupied by the mercantile class, heros of the capitalist revolution. The realities of the new Brescian convention and fair area are identifiable in two distinct circles: outside the convention area in the buildings that service the complex without enclosing it (primarily restaurants, shops and stores, banks, theaters, cultural gathering places, etc.) and at the same time service the city itself, and then the multifunctional expository pavilions within the convention center proper. The objective is to create sufficient conditions to spur urban development through the combination of opposing structures: the institutional and static structure of the service buildings and the dynamism of the actual convention center which is characterized by a grouping of host spaces capable of changing, even radically, the spacial configura-
tion. The extremely brief interval between one show and the next is the dynamic moment of the convention center and in that sense the pavilions offer the maximum dimensional flexibility thanks to the fixed 60 meter width with the options of varying both the length and the height as needed. The volume of the pavilions is completely free and the columns can sustain various levels of shelving or can be removed entirely. Even the covers are easily removed: the pavilion can be thereby transformed into a piazza-a space capable of reacting and interacting with the rest of the city. With another different use of the pavilion space in mind, the internal part of the service structure’s perimeter (where the structure looks in on the exposition area) is configured as a genuine facade with openings usually closed during fairs and conventions but open in other occasions and thereby offering a window on the internal structure. l’ARCA 144 13
Credits Project: M. N. Piotrowski - KR Studio, F. Accerenzi, G. Barni, A. Montesi, S. Pellin, M. Rivolta, J. Sokalski, F. Levi Pavilions Structures: Ing. A. Donadio - S.P.S. West Building Structures Ing. F. Garbari, Ing. L. Guerini Plants: TEKNE S.p.A. Coordination and General Program: Ing. F. Garbari Technical Coordination: A. Montesi - TEKNE Logistic: D. Milana e M. Piotrowski Dolmen Italia Client: S.p. A.Immobiliare Fiera di Brescia
Sopra, particolare della tensostruttura. Qui sotto, modello del complesso fieristico. Il sistema bioclimatico per il riscaldamento e condizionamento della Fiera è composto da sistemi tradizionali
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14 l’ARCA 144
integrati da pompe di calore, che sfruttano una parte delle acque del fiume Mella, convogliate nel canale Sorbonella e quindi nel lago del vicino Parco, da dove giungono agli impianti di scambio termico della Fiera.
Above, detail of the tensile structure. Below, model of the Trade Fair. The bioclimatic system for heating and airconditioning the Trade Fair is constructed out of conventional systems backed-up by heat pumps exploiting water from the
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River Mella, which is conveyed into Sorbonella Canal and then the lake in the nearby park, before being sent through to the Trade Fair’s heat exchangers.
Sezione longitudinale dei padiglioni e centro congressi; sezione trasversale della hall e centro affari.
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Longitudinal section of the pavilions and conference centre; cross section of the hall and business centre.
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l’ARCA 144 15
Per i climi estremi Atlantis Module in the Antarctic
l progetto nasce da un’idea di Francesco Stochino Weiss, musicista, Iuomo di teatro, imprenditore teatrale
che, volendo inaugurare il nuovo millennio con un evento-spettacolo multimediale, ha pensato di realizzare un “contenitore” da installare in un luogo emblematico della rinnovata attenzione dell’uomo per la natura e l’ambiente: l’Antartide. La forma di tale “oggetto” - il modulo Atlantis - doveva essere di grande impatto emozionale, per rappresentare il passaggio al terzo millennio, ma con il minimo impatto ambientale. Per questo è stato chiesto alla Pininfarina Extra, società del gruppo Pininfarina, di progettarlo. Gli ingegneri Paolo Pininfarina, responsabile del concept design, e Fabrizio Astrua, responsabile del progetto architettonico, hanno scelto non a caso la forma di un disco, appoggiato su tre bracci radiali, nei quali sono ricavate le scale di accesso. Al fine di non produrre modificazioni all’ambiente non sono previste fondazioni tradizionali o basamenti di appoggio permanenti, bensì è stato concepito un sistema articolato che consente ai sostegni metallici di adattarsi al sito e di utilizzare il materiale presente nel sito stesso come zavorra atta a contrastare le spinte del vento. Molte nazioni, tra cui l’Italia e la Spagna, che da anni possiedono una base estiva sul continente antartico, si sono dimostrate seriamente interes-
16 l’ARCA 144
sate al progetto e hanno collaborato fattivamente con suggerimenti preziosi. In particolare l’Italia, con il P.N.R.A. (Programma Nazionale per le Ricerche Scientifiche in Antartide) dell’Enea, ha fornito dati scientifici sulle condizioni climatiche e informazioni generali particolarmente importanti che hanno consentito di formulare ipotesi progettuali corrette. Il progetto di una struttura del genere, anche per le difficoltà logistiche legate al trasporto e al montaggio del modulo prefabbricato dal luogo di costruzione sino in Antartide (non sarebbe possibile realizzarlo direttamente in loco per le difficoltà ambientali) e delle attrezzature di ricerca ha richiesto la collaborazione di un partner sul posto. Scartata l’ipotesi italiana per difficoltà logistiche, la scelta è caduta sulla Spagna, che ha preso molto a cuore questa realizzazione. Il modulo dunque, con molte probabilità, sarà localizzato in prossimità della esistente base spagnola a Livingstone, posta di fronte alla penisola antartica e a Capo Horn, a cinque ore di elicottero e circa due giorni di nave dalla Terra del Fuoco. Le ricerche delle nazioni impegnate in Antartide sono molteplici: osservazioni astronomiche, osservazioni sul campo magnetico terrestre, sulla storia glaciale antartica e quindi del pianeta, sui meteoriti inglobati nei ghiacci, sul comportamento dei materiali alle bassissime temperature, studi
sull’uomo e il suo adattamento alle condizioni di vita estreme, studi sugli ecosistemi, studi di biologia marina, etc. Il modulo quindi è stato studiato per poter ospitare una comunità di ricercatori di 22 persone che potranno vivere e lavorare anche in inverno in piena autosufficienza, ma è in grado di ospitare sino a 225 persone per sessioni di studio internazionali o per particolari eventi. All’interno il modulo è organizzato su due livelli principali, rispettivamente a quota +5,42 m e a quota +8,25 m. Il primo livello è destinato alle zone di accoglienza e alla zona notte con relativi servizi e lavanderie, con 11 confortevoli camere dotate di due posti letto ciascuna, due armadi e una scrivania. Il secondo livello, più alto, è destinato alla zona giorno, suddivisa in zona di lavoro e zona di svago. Un anello periferico garantisce le connessioni distributive consentendo, nelle ore di pausa dal lavoro, l’attività ginnico-ricreativa. Un terzo livello può essere realizzato a quota +10,50 m solo per attività di osservazione astronomica e attività di lettura. Le partizioni interne sono realizzate con elementi componibili per garantire la massima flessibilità in funzione di mutabili esigenze d’uso. Naturalmente le condizioni ambientali estreme hanno posto un severo vincolo alla progettazione del modulo, che doveva resistere anche al vento catabatico antartico, che soffia con raf-
Progetto: Fabrizio Astrua-Paolo Pininfarina
fiche che raggiungono i 250 Km/h, in un ambiente con temperature dell’ordine dei 40°/50°C sotto lo zero. Per questo la forma è stata studiata e verificata Centro Aerodinamico Aeroacustico della Pininfarina a Grugliasco sotto la direzione dell’ingegner Antonello Cogotti. Per la realizzazione del guscio esterno, che doveva garantire leggerezza, adattabilità alla forma a doppia curvatura, resistenza, divisibilità in parti poco ingombranti per il trasporto in nave, è stata scelta una struttura leggera in materiale composito con fibre di carbonio e Kevlar irrigidita da un telaio in composito e adeguatamente coibentata. Il guscio è composto da 18 spicchi prefabbricati (già finiti e dotati di vetratura, parti della impiantistica di base, ecc.), a loro volta divisibili in tre tronconi, che saranno trasportati via nave e assemblati sul posto; la piastra di base e le zampe per l’ancoraggio a terra sono realizzate in struttura metallica, che verrà protetta da carter in materiale composito. Nello spessore del guscio, una rete di fibre ottiche consente il monitoraggio costante delle condizioni del modulo sotto le sollecitazioni dinamiche esterne. Sulla sommità, gli spicchi terminano in un anello di raccordo in acciaio del diametro di quattro metri, che ospita una semicupola in vetro, apribile, da utilizzare come osservatorio astronomico. Fabrizio Astrua, Francesco Ossola
■ Nella
pagina a fianco, simulazione dell’inserimento ambientale. Sotto, carta geografica del continente antartico. Sotto, a destra, modellazioni al computer: vista prospettica del modulo dall’infinito - si
può vedere la pinna stabilizzatrice posteriore e dal basso con in primo piano le “zampe“ che tengono sollevato il guscio da terra e ospitano le scale di accesso e la grande vetrata continua posta sull’equatore del modulo.
his project is based on an idea T thought-up by Francesco Stochino Weiss, a musician and theatrical
entertainer/entrepreneur, who, to celebrate the new millennium with a multimedia event-show, has designed a “container” to be installed in a place symbolising people’s growing attention to nature and the environment: it is called Antartide. This “object” - the Atlantis module - is supposed to be designed to create great emotional impact to represent our moving into the third millennium while creating as little environmental impact as possible. That is why Pininfarina Extra, a company belonging to the Pininfarina Group, has been asked to design it. The engineers, Paolo Pininfarina, in charge of concept design, and Fabrizio Astrua, in charge of architectural design, have astutely chosen the shape of a disk resting on three radial arms holding the entrance steps. There are no conventional foundations or permanent support bases so as not to alter the environment. An elaborate system has been designed allowing metal supports to nestle on the ground, using material found on the site itself as ballast designed to withstand strong gusts of wind. Lots of countries, including Italy and Spain, which have had summer bases in the Antarctic for years now,
■ Opposite
page, simulation of environmental insertion. Below, geographic map of the Antarctic. Below, right, computer models: perspective view of the module from infinity - the rear stabiliser fin is visible - and from below showing
have shown a real interest in the project, helping out with valuable suggestions. In particular, Italian technicians working for Enea’s P.N.R.A. (National Programme for Scientific Research in the Antarctic) have provided particularly interesting scientific data on the general weather/information conditions, allowing feasible design hypotheses to be formulated. A design for this kind of structure called for an on-the-spot partner, due to logistical problems connected with transporting and assembling the prefabricated module from the building site to the Antarctic (there was no way of constructing on site due to the environmental conditions). Having rejected the Italian idea due to logistical difficulties, the choice fell on Spain, that has really taken this project to hear. It is highly likely that this module will be located near the old Spanish base in Livingstone opposite the Antarctic peninsula and Cape Horn, a five-hour helicopter flight or roughly two-day sail from Tierra del Fuego. The nations involved in the Antarctic programme carry out all kinds of research: astronomical observations, observations into the earth’s magnetic field, into the glacial history of the Antarctic and, hence, entire planet, into meteorites buried in the ice and the behavioural properties of materials at extremely low tempera-
a close-up of the “clamps” holding the shell above ground level and holding the entrance steps and large curtain glass window on the module’s equator.
tures, as well as studies into human behaviour and how people adapt to extreme living conditions, studies into ecosystems, studies into marine biology etc. A module has been designed to cater for a community of 22 research workers, who will be able to live and work self-sufficiently even in winter; the module is also capable of accommodating up to 225 people for international study sessions or special events. On the inside the module is arranged over two main levels, respectively at +5.42 m and +8.25 m. The first level is designed to host the reception area and nighttime quarters, including the laundry and other facilities; it is equipped with 11 comfortable bedrooms, each with two double beds, two wardrobes and a desk. The second upper level holds the living quarters divided into a work area and leisure area. A peripheral ring serves to link together the different areas, also catering for recreation/physical exercise during work breaks. A third level can be constructed at +10.50 m just for astronomical observation and reading activities. The internal partitions are made out of modular sections to allow maximum flexibility to cater for changing functional requirements. Of course, the extreme environmental conditions have placed severe restrictions on the “module” design, which also has to resist the catabat-
ic Antarctic wind blowing at gusts of up to 250 km/h in an environment with temperatures of 40°/50° C below zero. For these reasons, its design was studied and tested out at the Pininfarina Aerodynamic Aeroacoustic Centre in Grugliasco under the supervision of Engineer Antonello Cogotti. A light-weight structure (made of a composite material with carbon fibres and Kevlar stiffened by a suitably insulated composite frame) forms the outside shell, guaranteeing lightness, adaptability to a doublecurved form, resistance, and divisibility into non-bulky parts for transport by sea. The shell is made of 18 reinforced gores (already finished and fitted with windows, basic plant-engineering components etc.), in turn divided into three sections to be transported by sea and assembled on site; the base plate and clamps for fixing it to the ground are made of a metal structure protected by carters made of a composite material. The thickness of the shell leaves room for a web of optic fibres allowing the conditions in the module to be constantly monitored in the presence of dynamic stress from the outside. The gores on top of the shell terminate in a steel connecting ring with a fourmetre diameter holding a glass semidome that opens up to be used as an astronomic observatory.
l’ARCA 144 17
■ In alto, simulazione
numerica del campo aerodinamico del modulo. L’immagine mostra la distribuzione delle pressioni sulla superficie della struttura vista di lato: si nota la depressione (colore blu) a valle del modulo in corrispondenza della finestratura e della copertura. Sopra, simulazione numerica del campo aerodinamico del modulo sotto l’azione del vento catabatico proveniente da direzione prestabilita. L’immagine mostra la distribuzione delle pressioni sulla superficie della struttura vista di tre quarti: il colore rosso indica la pressione massima. Sotto, particolare costruttivo dell’aggancio a terra: le zampe in acciaio sono annegate nel terreno senza uso di basamenti di calcestruzzo.
■ Sopra,
a sinistra, modellazioni al computer dello spaccato del guscio a quota +8,25 m e a quota +5,42 m. A sinistra, sezione verticale sulla pinna stabilizzatrice - si può notare il montacarichi di forma circolare che collega tutti i livelli operativi al suolo - e sezione verticale sulla scala - si può notare che i letti delle camerette sono posizionati a quote diverse, a causa della curvatura del guscio; ai letti più alti si accede attraverso una scaletta di tre scalini. Sopra, dal basso in alto, struttura portante delle zampe e della piastra di base in acciaio; pianta del piano a quota + 5,42 m; pianta del piano a quota + 8,25 m.
18 l’ARCA 144
■ Top,
left, computer models of a cutaway of the shell at height +8.25 and height +5.42 m. Left, vertical section of the stabiliser pin - note the circular-shaped hoist connecting the various operating levels to the ground - and vertical section of the stairs - note the beds in the bedrooms are placed at different heights due to the curved shaped of the shell; the top beds can be reached up a small three-runged ladder. Above, from bottom up, bearing structure of the clamps and steel base plate; plan at height +5.42 m; plan of level at height +8.25 m.
■ Top of page, numerical
simulation of the module’s aerodynamic field. This picture shows the pressure distribution across the structure’s surface viewed from the side: note the dip (blue colour) in the module near the windows and roof. Above, numerical simulation of the module’s aerodynamic field under the effects of a catabatic wind blowing from a set direction. The picture shows the pressure distribution over the structure’s surface when three-quarters visible: the colour red corresponds to maximum pressure. Below, construction detail of the ground clamp: the steel clamps fit into the ground without the use of concrete bases.
Le caratteristiche dimensionali generali dell’oggetto sono le seguenti: il diametro massimo del modulo è di 26,80 m e l’altezza è di 9,86 m per un volume complessivo di circa 4200 mc. L’altezza da terra del modulo è di 3,96 m e tutta la struttura raggiunge l’altezza di 13,82 m. La progettazione delle parti portanti in acciaio ha richiesto la predisposizione di modelli matematici per la verifica del comportamento statico e dinamico del modulo sotto l’azione impulsiva dei venti catabatici spiranti a circa 250 km/ora, sotto diverse condizioni di impiego e sotto l’azione del sisma (zona sismica di 2^ categoria). Il calcolo aerodinamico è stato impostato con condizioni di temperatura ambiente di -20°C, velocità del vento a 60 m/s (216 Km/h), direzione del vento allineata con il sostegno principale della struttura, profilo del vento uniforme. Il problema dell’impianto di riscaldamento e umidificazione è stato studiato in base alle diverse condizioni di impiego e al numero di persone ospitate (da 22, a regime, a 250 per gli eventi estivi internazionali). L’aria immessa in ambiente tramite tre canalizzazioni correnti lungo le gambe di sostegno sarà silenziata e trattata. L’aria confluisce in un serbatoio nella parte bassa della stazione. Una serie di bocchette a pavimento fanno passare l’aria all’ambiente. La distribuzione avviene in modo uniforme a bassissima velocità e lambisce in ascesa i serramenti per evitare l’appannamento. La ripresa dall’ambiente avviene dall’alto in corrispondenza del cupolotto centrale. Le parti vetrate del guscio sono costituite da vetro curvo stratificato, temperato termicamente, dello spessore complessivo di 13/14 mm, composto con un vetro colorato in pasta (azzurro o verde) e trattato sulla faccia interna con uno speciale coating metallico conduttivo e un sistema di riscaldamento per consentire di evitare condensa e ghiaccio. Il pannello è unito in camera con gas Argon nell’intercapedine a un secondo strato tensionato composto di vetro low-e per ridurre la dispersione di calore.
The object’s basic dimensions are as follows: maximum module diameter 26.80 m and height 9.86 m for a total volume of about 4200 cubic metres. The module is 3.96 m above ground level, and the entire structure reaches a height of 13.82 m. The design of the steel bearing parts called for mathematical models to be set up to test the static and dynamic properties of the module under pressure from catabatic winds gusting at about 250 km/h, under various operating conditions and during seismic activity (2nd class seismic zone). The aerodynamic calculation was set up at an ambient temperature of 20°C, wind speed of 60 m/s (216 km/h), wind direction gauged to the structure’s main support, and uniform wind profile. The heating and humidifying system was studied in relation to different operating conditions with different numbers of people inside (from a standard number of 22 up to 250 for international summer events). The air injected through three channels running along the support legs will be specially treated and sound-insulated. The air flows into a tank in the lower part of the station. A set of ducts in the floor let air inside. The air is evenly distributed at a very slow rate and skims the fixtures to prevent misting. The air flows out from above through the small central dome. The glass parts of the shell are made of heat-treated stratified curved glass with an overall thickness of 13/14 mm, mixed with a coloured glass in paste form (light-blue or green) and treated with a special conductive metal coating on the inner face and a heating system to prevent ice or condensation from forming. The panel with Argon gas in its cavity is combined with a second tensioned layer of low-e glass designed to reduce heat loss.
Credits Concept Design: Paolo Pininfarina (Pininfarina Extra) Project: Fabrizio Astrua (Politecnico di Torino) Engineering: Francesco Ossola (Politecnico di Torino)
Shell Structure Consultants: Ciro Fernandes, Filippo Berti (IDET) Plants Project: Luciano Agostini Event Scenography: Pier Luigi Pizzi, Fabrizio Astrua Models: Pininfarina Studi e Ricerche, Pininfarina Deutschland Project and Design Coordination: Francesco Lovo (Pininfarina Extra) Design Collaborator: Luca Biselli (Studio Astrua) Wind Gallery Tests: Antonello Cogotti (C.R.A.A. Pininfarina) Materials Certifications: Politecnico di Torino, Istituto Italiano della Saldatura Composite Material: Tencara S.p.A. Steel Structures: Rating S.r.l. Exterior Glass: SPS S.p.A. Construction Supervisors: Francesco Ossola (Politecnico di Torino), Fabrizio Astrua (Politecnico di Torino), Luciano Agostini Technical Consultants: ENEA PNRA (Progetto Nazionale Ricerche In Antartide) Idea and Production: Francesco Stochino Weiss, Fabrizia Pons
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Camminare sulla storia Mosaics under Glass n questo lavoro progettuale di Ottavio Di Blasi ci troviamo di Ifronte a una singolare emergenza:
salvare una bellezza archeologica italiana, e una bellezza non da poco. Si tratta di qualcosa che è parte del Patrimonio dell’Umanità, come certificato dall’Unesco. Una sfida per il progetto moderno: riuscire a far partecipare i contemporanei di una bellezza antica, senza rinunciare al segno della modernità. Sforzo di grande libertà progettuale: rispettare, servire il proprio tema, senza esserne schiavi, ma testimoniando il proprio tempo. Così il team progettuale di Ottavio di Blasi ha riguardato il problema del mosaico della Basilica di Aquileia con occhio duplice: capire la testimonianza storica del passato, ma leggendola nel presente, per gli uomini di oggi. Un po’ di storia, allora. Protagonisti involontari due plotoni di eserciti, quello austriaco prima e quello italiano poi, durante la prima guerra mondiale, che furono distaccati per i lavori di quello che si preannunciava
come il più importante ritrovamento archeologico del secolo. I pavimenti riscoperti della Basilica, trattati a mosaico in modo mirabile, costituirono (e costituiscono) qualcosa di troppo importante, al punto che gli eventi bellici, legati all’occupazione austriaca di Aquileia, poterono fare a meno di un manipolo di uomini. Ci piace pensare a queste truppe unite, se pur da fronti opposti, che trovano un legante pacifico nella bellezza dell’arte. Ma oggi la costruzione in calcestruzzo destinata a copertura del mosaico, realizzata dall’esercito italiano, si è trovata in gravi problemi di dissesto. Quindi il dovere primario per i progettisti di fornire una più adeguata protezione dalle intemperie. Ma ancora e più avanti, ecco la sfida del progetto: non chiudere la visione del pavimento musivo, riservandola a pochi eletti studiosi, ma continuare a farla visitare a tutti, offrirla alla contemplazione, ma senza correre più il rischio che il calpestìo sposti le tessere e provochi l’usura della superficie. Si parla di
oltre 300.000 persone attirate ogni anno da questo fenomeno di bellezza : una tale eccezionalità di evento di fede e cultura ha imposto una soluzione ardita quanto semplice ai progettisti. Così l’equipe di Ottavio Di Blasi progetta un “volo” sul mosaico: appende il camminamento direttamente al soffitto, approfittando della necessità del rifacimento del manto di copertura. L’idea vincente consiste in una serie di percorsi totalmente trasparenti, in cristallo. Proprio perché il segno del progetto sta nell’essere al servizio della visione, così nulla deve essere nascosto. Il progetto sfrutta le capacità strutturali del cristallo, sostenuto da una sottile struttura in acciaio inossidabile. Così tutto il percorso è aereo e la sensazione è di camminare, quasi levitare a pochi centimetri dal suolo: poter vedere, ma non danneggiare. Il problema di un possibile “ondeggiamento” del carico sospeso è stato risolto con angolature di lastre in vetro temperato, a creare
Progetto: Ottavio Di Blasi Associati
un irrigidimento della struttura. Con la stessa accortezza e tensione alla perfetta visibilità, i progettisti hanno pensato al corrimano, anch’esso in vetro. Rimaneva i problema dell’usura del vetro, sottoposto alla continua abrasione da parte del calpestìo dei fedeli. Anche qui un’idea: la lastra “di consumo” superficiale spessa 6 mm può essere sostituita ogni due anni, come fosse un tappeto. Ancora: la soffittatura è un intreccio di pietra d’Istria e di tubi fluorescenti incrociati, materia dura e vibrazione immateriale incastonati uno nell’altro. Il tutto sostenuto da una struttura cellulare in alluminio. La pietra richiama il materiale primo della basilica e la luce diffusa permette una visione omogenea e senza ombre. Che dire oltre, se non dell’assoluta semplicità e appropriatezza del progetto, senza una sbavatura, senza complicazioni: una architettura che ci parla con il pensiero, con la leggerezza della materialità, con l’intelligenza. Stefano Pavarini
ttavio Di Blasi’s project is designed to deal with a very O special emergency: to save a beau-
tiful work of Italian archeology, a real gem. Something which has been certified by Unesco as part of the Heritage of Mankind. A challenge for modern planning: an attempt to bring a beautiful work from the past into contact with modern-day man without abandoning modernity. A test of great freedom in planning: cater for the project theme without bending to it, at the same time representing the age in which we live. Ottavio di Blasi’s design team took, it might be said, a “double-look” at the problem of the mosaic in Aquileia Basilica: viewing the past but as it appears to us in the present. In other words, a bit of history. Unknown to them, two platoons, belonging first to the Austrian and then the Italian Army during the Ist World War, were momentarily detached from their units to work on what looked like being the most important archeolog-
■ Nella
pagina a fianco, prospettiva e, sopra, prospetto e sezioni dell'intervento per la realizzazione di passerelle in vetro che allo stesso tempo proteggono e permettono di vedere, i pavimenti musivi dell'aula nord della Basilica di Aquileia.
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ical find this century. The uncovered floors of the Basilica, covered with wonderful mosaics, were (and still are) so important that even the events of the war (connected with the occupation of Aquileia) could temporarily do without a handful of men. We would like to think of these troops as bound together, even though on opposite sides, by pacific faith in the beauty of art. The concrete construction built by the Italian Army to cover the mosaic was discovered to be in a severely unstable state. This meant that the architects first task was to provide adequate protection against the environmental conditions. Then, later on, the challenge facing the project was to make sure the mosaic floor was not only visible to just a small number of experts and scholars but open to everyone, but without running the risk that the tesseras might be moved or even worn out by being walked on. After all this work of art allegedly attracts over 300,000 visitors every year:
such an exceptional testimony of culture and faith called for a bold but rather obvious solution as far as its designers were concerned. Ottavio Di Blasi’s team decided to design a “flight” over the mosaic by hanging a walkway from the ceiling, taking advantage of the fact that the roof surface needed repairing. The key to the entire problem is the construction of a series of totally transparent, glass walkways. Nothing is to be hidden from view because the whole purpose of the project is to make things visible. The design exploits the structural properties of glass, held up by a slender stainless steel frame. This raises the entire walkway above the ground, creating a feeling of walking, or almost levitating, a few inches above the ground: seeing without damaging. The danger of a potential “wavering” of the suspended load has been catered for by strengthening the frame through sheets of reinforced glass placed at different angles. The glass banister has also been
designed with the same skill and attention to visibility requirements. The only remaining problem was the wear-and-tear of the glass, which would inevitably be gradually scraped away by visitors’ feet. Another clever idea was thoughtup: a 6 mm-thick “consumer” surface sheet of glass could be replaced every two years, as if it were a carpet. The ceiling is also a criss-cross combination of Istria stone and fluorescent tubes, the knitting-together of a tough material and immaterial vibration. The whole thing is then held up by a cellular structure made of aluminium. The stone alludes to the Basilica’s original building material, while diffused light allows a smooth overall view, without interfering shadows. What else can we say, except to point out the great simplicity of this custom-made design, with no extra complications: architecture which communicates through intelligence, immaterial lightness, and thoughtful precision.
■ Opposite
page, perspective view and, above, elevation and sections of the project to construct glass walkways, which simultaneously protect and let people see the museum floors in the north room of Aquileia Basilica.
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Gianni Berengo Gardin ■ Viste
dei nuovi percorsi vetrati all'interno della basilica per la cui progettazione si sono seguiti come principi fondamentali la non intrusività e il minimo impatto fisico e visivo possibile. Il soffitto è stato realizzato con lastre (120x120 cm) di pietra
22 l’ARCA 144
di'Istria, montate su un supporto a nido d'ape d'alluminio e resina epossidica. Per l'illuminazione, omogenea e senza ombre, è stato scelto un sistema di tubi fluorescenti a 90° alloggiati negli spazi vuoti tra le lastre del soffitto.
■ Views
of the new glass walkways through the inside of the basilica, whose design guidelines were unobtrusiveness and the mitigating of visualphysical impact. The ceiling is made of slabs of Istria stone (120x120 cm) mounted on an aluminium and epoxy resin
honeycomb support. The smooth lighting, casting no shadows, is made of a system of flourescent right-angled tubes nestling in the gaps between the ceiling slabs.
■ Particolari
delle passerelle vetrate, costituite da tre lastre (250x120 cm) accoppiate di cristallo extra-chiaro da 12 mm di spessore. L'insieme è sostenuto da una piccola struttura in acciaio che regge il piano di calpestio e il corrimano, Per ovviare al pericolo di
effetto pendolo della struttura, sono stati creati agli angoli dei percorsi dei punti rigidi costituiti da una coppia di lastre verticali in vetro temperato e lo spigolo così creato è connesso ai piani di calpestio per mezzo di barre tese sul piano orizzontale.
■ Details
of the glass walkways made of a set of three sheets of 12 mm thick extra-clear glass (250x120 cm). The whole thing is held up by a steel frame supporting the walkway and hand rails. To avoid any risk of excessive swinging, the corners of the walkways
are fitted with pairs of sheets of vertical reinforced glass placed at right-angles. The corner this creates is connected to the walkways by horizontal bars.
Credits Project: Ottavio Di Blasi Associati Design Team: Ottavio Di Blasi, Paolo Simonetti, Daniela Tortello, Stefano Grioni, Mauricio Cardenas, Marzia Roncoroni, Anna Fabro Structures: Favero & Milan Ingegneria
Lighting Design: Piero Castiglioni General Contractor: Intergroup-Parma (Paolo Giampietri) Client: Arcidiocesi di Gorizia
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Temerarietà e provocazione A Service Pavilion utto è nato da un compleanno, il primo mezzo secolo della C.F. T Gomma di Passirano, provincia di
Brescia, 35.000 metri quadri di stabilimento, 650 dipendenti. Il committente aveva in animo di realizzare una sorta di scultura commemorativa che, al di là delle buone intenzioni di tutti, portava in sé il germe maligno di quei brutti e inutili orpelli che si scoprono dopo averli avvolti in un telo, tra fanfare e fasce tricolori. Un qualcosa, dunque, che poteva assumere tutti i connotati di un monumento, termine che oggi ha assunto (non è questa la sede per analizzare se a ragione o a torto) una connotazione negativa nell’immaginario collettivo degli architetti. Dante Benini ha intuito il possibile trabocchetto e, grazie a quella che lui stesso definisce una politica “dei piccoli passi” ha convinto il committente a cambiare registro, attraverso “conquiste successive”, un suo “coinvolgimento sempre più attivo” e infine una nascente “passione” dello stesso nei confronti del nuovo programma d’intervento. Anche questo è un ruolo - e quanto importante - che spetta all’architetto. Dall’idea del monumento si è quindi giunti a quella della creazione di una nuova portineria della fabbrica e da questa, via via, con pazienza, alla consapevolezza da parte del cliente della necessità di rinnovare gli spogliatoi, creare sale riunioni dalla dignitosa accoglienza, un’infermeria e comodi e funzionali uffici direzionali. Insomma di dover inventare un’architettura, sviluppatasi su un semplice piastrone di copertura di uno spogliatoio per il personale (1200 metri quadri). Benini colloca il nuovo edificio all’angolo opposto rispetto alla fabbrica esistente. Il che, oltre a sottolinearne il ruolo di isolata novità, trasforma il manufatto in un “punto di vita e di luce anche la notte”. Un manufatto diviso, per usare il termine del progettista, in tre “fasce”: la prima è una sorta di portico le cui colonne non sono scevre da nostalgie classiche e che riveste il ruolo di filtro tra esterno e interno; la seconda, totalmente interna, racchiude atrio, reception, infermeria e, un piano sopra, la sala riunioni; la terza è un’area protetta da un corpo curvilineo in mattoni e ospita uffici di direzione e del personale. Ciò che “fa” l’architettura nel suo complesso è però l’assemblaggio delle varie “fasce” realizzato attraverso innesti, coesioni e spazi interstiziali e che porta la mente del lettore a suggestioni tipiche di Frank O.Gehry. Il tutto si colloca lungo due direttrici principali rispetto all’accesso, la prima delle quali si concretizza attraverso una parete vetrata che scava la terra fino a 3 metri, dove hanno sede gli spogliatoi, la seconda conduce all’atrio di ingresso e al banco portineria. I materiali, com’è ovvio, giocano un ruolo
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fondamentale, soprattutto nel sottolineare l’ossimoro architettonico movimento-staticità ovvero ascesi-ancoraggio terreno: ecco infatti la lamiera leggera in acciaio e il vetro posti a confronto con il mattone che, per altro, si assume l’onere di avvolgere, “incartare” il tutto, fornendo all’edificio una sorta di alveo materno e protettivo che si spinge, grazie a un’acuta invenzione strutturale, sino alle coperture, segnando una pensilina sospesa. Il progettista ha infine voluto “tautologizzare”, attraverso una curiosa simbologia che riporta comunque al concetto iniziale, l’idea della fabbrica che fa da tramite fra ciò che produce la terra e una sorta di aspirazione ascensionale del manufatto e, per estensione, di chi lo abita: “Al lavoratore che esce dall’officina”, fa notare Benini, “si presenta così una composizione di volumi vetrati che si slanciano sul cielo ma che partono dal corpo di mattoni ritmato, sagomato, tessuto, quasi come un pezzo antico di costruzione”. Il ciclo degli elementi primordiali, quasi archetipi, si chiude con l’acqua: tra la fabbrica vera e propria e l’edificio Benini ha realizzato un giardino d’acqua a cielo aperto che ha sì una propria, intrinseca funzione simbolica complementare alla filosofia dell’architettura ma ne ha anche una strettamente funzionale, quella di contenere 660 metri cubi di liquido richiesti dalla normativa antincendio (“La presenza di questa tanica trasformata in giardino”, dice Benini, “diventa il simbolo stesso del progettare: per l’architettura non esistono problemi ma solo risorse, le esigenze sono i materiali da cui partire, sono i dati da trasformare in volontà di forma”). Il Service Pavilion della C.F. Gomma - questa la denominazione completa dell’opera - si inserisce coerentemente nelle analisi e nelle ricerche formali di Benini (pensiamo in particolare a CPC Inox Offices di Basiano e Agorà di Olbia) puntate sulla temerarietà e sulla provocazione che non sono comunque mai fini a se stesse: affondando le proprie radici nella cultura architettonica modernista, Benini non dimentica l’importanza di essere tanto inventore fantasioso quanto uomo concreto. Per dirla con Richard Meier, “Dante Benini è un architetto pragmatico nel miglior senso del termine perché capisce che per realizzare i propri sogni deve trattare creativamente tanto i parametri (quali sito, programma, funzione, budget, tecnologia disponibile, materiali adeguati, normative edilizie, limiti costruttivi e aspettative prestazionali), quanto le condizioni, molteplici e contraddittorie del nostro tempo”. Ai posteri valutare se si tratti, per un architetto, di un vizio o di una virtù. Con buona pace di Charles Fourier. Michele Bazan Giordano
verything began with a birthday, the fiftieth anniversary of the E C.F.Gomma company in Passirano
in the province of Brescia: 35,000 square metres of factory space and 650 members of staff. The client wanted to create a sort of commemorative sculpture which, despite everybody’s best intentions, would inevitably carried within it the evil seed of those ugly and useless pieces of “tinsel” that suddenly reappear after being wrapped up in a cloth in the midst of fanfares and banners bearing the Italian national colours. Something that might have looked to all extents and purposes like a monument, an expression which, nowadays, has taken on negative connotations (this is not the place to analyse whether this is right or wrong) in the collective psyche of architects. Benini saw the possible trap and, thanks to what he himself described as “taking one small step at a time”, he persuaded the client to change his approach, gradually “winning over his attention” and “getting him more and more directly involved” until he himself felt a real “passion” for the new project brief. This is another - not less significant - aspect of the work of architects. The idea of creating a monument was gradually replaced by the idea of constructing a new porter’s lodge or manager’s building for the factory, patiently persuading the client that the locker rooms needed modernising and that a sufficiently respectable meeting room also ought to be constructed, as well as a new sick bay and comfortable, practical executive offices. In other words, a work of architecture had to be erected around a simple roof over staff locker rooms (1200 square metres). Benini has constructed the new building at the opposite corner to the old building. As well as emphasising its role as an isolated new landmark, this also transforms it into a “source of nighttime life and light”. In the designer’s own words, the building is divided into three “sections”: the first part a sort of portico whose columns have a touch of classical nostalgia and which acts as a filter between the inside and outside; the second allinterior section includes the lobby, reception, sick bay and, a floor above, the meeting room; the third section is sheltered behind a curved brick construction and holds the staff and executive offices. What “makes” the architecture though is the assembly of the various “sections” by means of joints, connections and cavities, inevitably calling to mind the kind of works designed by Frank O.Gehry. The entire project is constructed along two main axes, the first of which taking the physical form of a glass wall digging down to a depth of three metres below the ground, where the locker rooms are located, and the second leading through
Progetto: Dante O. Benini & Partners Architects
to the entrance and reception desk. The materials, of course, play a key role, particularly in underlining the architectural oxymoron of motionstaticity or upward movement and anchorage to the ground: light-weight steel sheets and glass contrast with brick, which, incidentally, serves the purpose of enveloping or “wrapping up” the entire complex, providing the building with a sort of protective maternal “womb” drawing on a clever structural device to project out towards the roofs and creating a hanging canopy. Finally, Benini decided to create a series of “tautologies” using a system of symbols taking us back to the initial concept or the idea of a building that acts as a sort of intermediary between the fruits of the earth and the building’s (and with it all those inside it) yearning to thrust upwards (still an aspiration for the remnants of the working class): as Benini points out, “workers leaving the factory are faced with a pattern of glass structures thrusting up into the sky from a base of bricks designed, shaped and woven together like an old piece of building”. The cycle of primeval elements, almost archetypes, draws to a close with water: Benini has designed an open-air water garden between the factory and building, serving both its own intrinsic symbolic function in line with the design philosophy of the rest of the architecture and also the strictly functional purpose of holding 660 cubic metres of liquid required by fire regulations (“the presence of this tank converted into a garden”, so Benini tells us, “symbolises design itself: for architecture there are no problems just resources, the only constraints are the materials used and the information to be changed into form”). The C.F.Gomma Service Pavilion this is full name of the project - fits in neatly with the rest of Benini’s stylistic experimentation and analysis (such as, for instance, the CPC Inox Offices in Basiano and Agorà in Olbia) focusing on recklessness and provocation, which, however, are never treated as ends in themselves: their roots are deeply entrenched in modernist architecture, so Benini never forgets that it is just as important to be an imaginative inventor as a practical person. To quote Richard Meier, “Dante Benini is a pragmatic architect in the true sense of the word, because he realise that to make his dreams come true he must adopt a creative approach to both the parameters (such as site, programme, function, budget, available technology, proper materials, building constraints and functional properties) and all the contradictory circumstances of the age in which we live”. We will leave it to others to decide whether this is a virtue or a vice for an architect. Whatever Charles Fourier might have thought.
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Sotto, viste generale e nella pagina a fianco, particolare del nuovo padiglione di ingresso della CF Gomma a Passirano (BS). Con questo edificio la CF Gomma ha voluto celebrare, attraverso un gesto architettonico
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rappresentativo, i cinquanta anni di attività. Al centro, a sinistra, planimetria generale e, a destra, pianta delle coperture. In basso, a destra, pianta del piano terra e, a sinistra, sezione longitudinale.
Below, general view and, opposite page, detail of the new entrance pavilion to CF Gomma in Passirano (Brescia). CF Gomma intends this building to architecturally commemorate fifty years in business. Centre page, left, site plan
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and, right, plan of the roofs. Bottom, right, ground floor plan and, left, longitudinal section.
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Viste della facciata est, realizzata con lastre di vetro appese che, con un effetto portico, funge da filtro tra esterno e interno e segna l’accesso agli spogliatoi per i dipendenti.
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Views of the east facade made out of hanging sheets of glass which, creating a portico effect, act as a filter between the interior and exterior and mark the entrance to the staff locker rooms.
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Particolare dell’innesto tra la parte rettilinea e quella curva - in acciaio e vetro con solai in lamierino, che contiene l’atrio di ingresso, la reception, l’infermeria e, al piano superiore, una sala riunioni. In basso, particolare dell’interno con la struttura in acciaio verniciato a vista.
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Detail of how the straight part fits into the curved part - made of steel and glass with sheet metal floor - holding the entrance lobby, reception, sick bay and, on the upper floor, a meeting room. Bottom of page, detail of the interior showing the painted exposed steel structure.
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Credits Project: Dante O. Benini & Partners Architects Architect-in-Charge: Dante Benini Project Director: Andrea Livio Volpato Metal Structures, Roofing and Frameworks: Lorenzon Brick Roofing: RDB
Interior Flooring: Marazzi Tecnica Gypsum Works: Fenaroli Interior Lighting: iGuzzini Exterior Lighting: iGuzzini, Orlandi Client: CF Gomma
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Bianco lucente Portarossa Complex, Cuneo
zato in questi ultimi anni l’azione programmatica nella riorganizzazione dell’economia e del territorio della provincia di Cuneo. Essa era generata dalla consapevolezza delle notevoli potenzialità e delle innumerevoli risorse che questa vasta area del sud del Piemonte poteva offrire, grazie alla bellezza dei suoi paesaggi e delle sue vallate alpine, e alla sua localizzazione come cerniera fra due nazioni, fra il territorio delle Langhe e quello della Costa Azzurra. Il complesso di Portarossa è situato all’ingresso della città di Cuneo, e sorge sul limitare di un campo da golf di recente impianto. Esso è composto da un albergo di ottantaquattro camere, un residence con una cinquantina di appartamenti e un centro commerciale con servizi. Lo scenario paesaggistico è notevole, essendo questo un luogo da cui si può cogliere la visione completa di tutto l’arco alpino del basso Piemonte e l’altopiano su cui sorge il capoluogo con il quale questa iniziativa turisticoricettiva è interrelato. Da quest’area, oltre il fiume Stura, il vicino centro storico della città di Cuneo (su un altopiano alla confluenza di due fiumi), appare come la prua di una nave rivolta verso la pianura sottostante. Questa immagine è stata una delle forme ispiratrici del linguaggio architettonico di tutto il progetto. Dalla strada statale che porta verso il confine francese si coglie innanzitutto la forte presenza della struttura alberghiera e dell’attiguo spazio commerciale, entrambi realizzati in cemento prefabbricato, di colore bianco, con lastre pre-lucidate che riflettono le sfumature tonali del colore dell’ambiente circostante. In questa parte del complesso il problema fondamentale sul piano architettonico era quello di utilizzare un materiale opaco (e “pesante”), espressione tipica del mondo della prefabbricazione, con l’intento di “alleggerirlo” il più possibile, e al tempo stesso dimostrarne la flessibilità dei vari componenti, dando vita a nuove soluzioni estetiche, e aprendo, in un campo troppo spesso caratterizzato da una scarsa creatività, nuovi orizzonti, nuove possibilità creative. L’edificio alberghiero viene così a
essere connotato da due “fogli” curvilinei che racchiudono lo spazio destinato alla ricettività, caratterizzati da nastri di finestre continue che richiamano vagamente il ponte principale di una nave da crociera, mentre il fabbricato attiguo costituisce la prua di tutto il complesso, nel quale gli elementi prefabbricati dialogano con la leggerezza delle vetrate degli spazi commerciali ed espositivi. L’interno, per assoluto contrasto, è stato pensato in acciaio e cristallo, non solo per aumentare gli effetti di uno spazio immateriale, quasi metafisico, ma anche per costruire, con la complicità di gradinate, pareti specchianti e collettori impiantistici, volutamente evidenziati, nuove scenografie tecnologiche, siano esse destinate allo shoppingcenter che alla zona ristorante o ai locali espositivi. L’edificio riservato a residence costituisce invece l’ideale antitesi al resto del complesso, sostituendo all’opacità della struttura prefabbricata la trasparenza delle superfici in cristallo e alluminio. La pianta, anch’essa di forma lenticolare, sembra disegnata dal vento e la leggerezza trova in ogni dettaglio la sua applicazione linguistica. La copertura metallica è a carena di nave rovesciata e la sua lucentezza, nelle ore diurne, conferisce a tutto l’edificio, col suo richiamo a forme aerospaziali, quel voluto effetto di smaterializzazione e di trasparenza che ne costituiscono il tema dominante. Si definisce così un rapporto dialogico e dialettico fra i corpi di fabbrica che, pur nella loro individualità, esprimono, attraverso le loro forme, l’appartenenza a un unico pensiero che ha voluto esprimere contemporaneamente, con due diverse tecnologie, quei due linguaggi, che hanno caratterizzato in epoche diverse, l’evolversi storico dell’architettura dalla sua nascita, e cioè la linea e il volume. Particolarmente suggestiva è l’immagine notturna del complesso: mentre la luce interna dell’edificio destinato a residence esplode all’esterno rendendo impercettibili le dimensioni geometriche dei volumi, il “peso” delle pareti in cemento prefabbricato viene annullato da migliaia di fibre ottiche che ne annientano la presenza tridimensionale. Le fibre ottiche vengono così utilizzate, per la prima volta, per conferire una nuova possibilità “architettonica” alla prefabbricazione. G.A.
elaunching the Alpi del Mare tourist resort has been one of R the key themes in the programm-
atic reorganisation of the economy and territory of the province of Cuneo over recent years. This has been developed with a keen awareness of the great potential and considerable resources that this vast area to the south of Piedmont had to offer, thanks to the beauty of its landscapes and Alpine valleys and its position on the border between two countries: the Langhe region and French Riviera. The Portarossa complex physically embodies its design programme: it is located at the entrance to the city of Cuneo, on the outskirts of a recently built golf course. It is composed of an 84-room hotel, a residence holding about fifty apartments, and a well-furbished shopping mall. This picturesque setting offers a full view across the entire lower Piedmont Alpine chain, as well as the highlands where the provincial capital stands, also directly involved in this tourist-accommodation project. From this area beyond the River Stura, the nearby city centre of Cuneo (built on a highland plain where two rivers run together) looks like a ship’s bow facing towards the plain below. The architectural vocabulary of the entire project was partly inspired by this image. The hotel facility and nearby shopping mall, both made of white prefabricated concrete with prepolished sheets mirroring the colours of the surrounding landscape, can clearly be seen from the local highway heading towards the French border. The main architectural problem in this part of the complex was how to “lighten up” the kind of opaque (and “heavy”) material associated with prefabricated building and, at the same time, show how flexible the various components are, presenting new aesthetic features and opening up new creative horizons in a field often rather lacking in artistry. This hotel building features two curved “sheets” enclosing the space
designed for accommodation purposes which is fitted with strips of curtain windows vaguely evoking the main bridge of an ocean liner. The adjacent building represents the hull of the entire complex, whose prefabricated sections interact with the lightness of the glass windows of the shopping-exhibition facilities. In absolute contrast, the interior is constructed out of steel and glass, both to create an almost metaphysical sense of immaterial space and to construct a new technological setting for the shopping centre, restaurant area, and exhibition rooms, with the help of steps, reflective walls, and plant-engineering equipment. On the other hand, the residence building is an ideal antithesis of the rest of the complex, replacing the opacity of the prefabricated structure with the transparency of glass and aluminium surfaces. The lenticular plan seems to be shaped by the wind, and lightness is actually a stylistic leit-motif in every detail of the complex. The metal roof is a inverted ship’s keel and the way it shines during the daytime gives the entire building, designed along aerospace lines, that sense of immateriality and transparency that constitutes its underlying theme. This creates dialogical-dialectical interaction between the buildings, whose singularity nevertheless expresses the idea of belonging to a single train of thought, drawing on two types of technology to embody those two key features which, at different times, have characterised the development of architecture since it was first invented: the line and volume. The complex is particularly striking at nighttime: as the residence building’s interior light blasts out to blur the geometric dimensions of the structures, the “weight” of the reinforced concrete walls is cancelled out by thousands of optic fibres wiping out its three-dimensionality. Optic fibres are used for the first time to give new “architectural” possibilities to prefabrication.
Nella pagina a fianco, il complesso Portarossa a Cuneo, visto di lontano, ricorda vagamente una nave: l’edificio destinato ad albergo, in cemento prefabbricato, racchiude mediante due “fogli” curvilinei, lo spazio destinato alla ricettività. Sotto, planimetria generale.
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G.M. Cerato, P. Carrieri
rilancio turistico del territorio delle del Mare è stato uno dei temi IpiùlAlpi significativi che hanno caratteriz-
Progetto: Gianni Arnaudo
Opposite page, the Portarossa complex in Cuneo, viewed from afar, is vaguely reminiscent of a ship: the hotel building is made of reinforced concrete and the accommodation facilities are wrapped in two curved “sheets. Below, site plan.
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Nella pagina a fianco, viste del residence che, in antitesi all’opacità della struttura prefabbricata dell’albergo antistante, si impone con la trasparenza delle superfici in cristallo e alluminio. La pianta a forma lenticolare degli edifici principali sembra disegnata dal vento e la leggerezza trova, in ogni dettaglio, la sua applicazione linguistica. Visti insieme gli edifici richiamano il perenne contrasto dialettico che caratterizza la storia dell’architettura e cioè la linea e il volume. A sinistra, pianta del piano terra e pianta di un piano tipo. Lo “shopping centre” è stato pensato in acciaio e cristallo, per creare gli effetti di uno spazio immateriale: i collettori delle utilities diventano parte integrante di una grande scenografia tecnologica. ■ Opposite page, views of the residence which, in contrast to the opacity of the prefabricated structure of the hotel in front, features transparent glass and aluminium surfaces.”. The lens-shaped plan of the main buildings seems to be shaped by the wind, drawing in every detail on the idea of lightness. Viewed together, the buildings evoke that ageold dialectical contrast between lines and volumes that has run right through the history of architecture. Left, plan of the ground floor and plan of a typical floor. The shopping mall is made of steel and glass to create a sense of substanceless space: the collectors belonging to the utilities are an integral part of the big technological show. ■
Credits Project: G. Arnaudo - A. Bodino - A. Lavagna Prefabricated Elements: Cemental Roofing: Unimetal Flooring: Mondo Rubber Lighting and Special Effects: Ambiente Lighting: iGuzzini Bathroom Furniture: Idrocentro
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Nel rispetto della luce Sports Arena in Palermo
Progetto: Manfredi Nicoletti
Simulazione al computer della fronte sud-ovest del Palazzo dello Sport di Palermo di notte. Il nuovo impianto sportivo è ubicato nella zona sportiva adiacente al Parco della Favorita ed è collegato al centro città da una nuova superstrada urbana. ■
Computer simulation of the south-west front of the Palermo Sports Centre at nighttime. The new sports facility is built on a sports ground by Favorita Park and is connected to the city centre by a new urban highway. ■
a cosa più sorprendente di questo L nuovissimo palermitano Palazzo dello Sport è il garbo compositivo sot-
tile, la preziosità raffinata che Manfredi Nicoletti riesce a declinare e a mantenere senza nessuna caduta in un edificio appartenente a una famiglia per natura, vocazione e destinazioni d’uso specifiche, propensa a una certa complessiva ampollosità, non importa se celebrativa, strutturale, tecnologica o altro. In questo caso, invece, l’architettura pur non rinunziando a nulla in termini di minuziosità di funzionamento, di materiali e dispositivi avanzati, se non sofisticati addirittura, di consapevolezza energetica, e neanche però di rappresentatività e di scala, fa venire piuttosto in mente i motivi leggiadri e gli sfondi enigmatici, le tracce ambigue e fascinose che segnano la vera vena originale e strana di quella città, via via nei secoli; poi troncata, in qualche modo dal declino e la morte dell’art nouveau. Visto così in pianta, il layout della macchina sportiva ha nitore esemplare. Cinquemila spettatori non sono pochi, più tutto l’andirivieni di quelli che giocano, arrivano, partono, si spogliano, si lavano, si rivestono, si fanno male e vengono curati; di quelli che li assistono; dei fornitori; dei manutentori; dei tecnici necessari ai vari funzionamenti, alle riprese, alle emissioni di varia specie. Formicolii grandi quando ci sono gli incontri. Piccoli formicolii quotidiani, magari molto verso sera, quando si smette di lavorare: palestre, di nuovo spogliatoi e docce; le riunioni delle società sportive; quelle (più pompose?) del CONI; tutti posti comunque a disposizione, con una loro vocazione a usi diversi e compositi. Dare forme adatte a degli intrecci; ospitare bene storie diverse permettendone lo svolgimento. In ambienti well-tempered: se no, come si potrebbe? Nessuna retorica da grande stadio, nessuna distesa immensa dove per qualche motivo, anche quando non c’è nessuno, dovrebbe risuonare, invece di una normale desolazione, l’eco di folle deliranti. Ma neanche la ripetizione stucchevole del medesimo elemento strutturale, di per sé magari brillantissimo, ma quasi sempre incapace di generare per conto proprio spazi di un qualche interesse e di una qualche consistenza formale e non soltanto quantitativa. Nel bel mezzo di un pezzo di Italia dove la terra sul più bello trema con effetti rovinosi, Nicoletti affonda questo suo attento layout, anzi meglio questo articolato supporto di architettura, per un paio di metri nel terreno, quasi seguendo naturalmente il destino del peso grande del basamento di fondazione. Nessuna tentazione ipogea, nessun fascino ctonio; è un’operazione ragionevole, però ricca di conseguenze tutt’altro che irrilevanti. Percorsi ridotti, minori dislivelli delle risa-
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lite e così via; ma soprattutto quello che ne viene fuori è un maggior senso di intimità, se si può usare questo termine per spazi così estesi. La luce che viene da fuori piove solo dalle testate, modulata per di più come poi vedremo, dando consistenza a un luogo molto interno, dove è gradevole stare; mentre si decontrae, si stempera, insomma ritorna al suo giusto posto, che è quello di non esagerare, di non sopraffare tutto il resto, l’effetto della tensostruttura d’acciaio di copertura di tutto l’insieme, con tutti i suoi annessi e connessi, che abbraccia una portata davvero di tutto rispetto. E poi c’è questo altro aspetto, che quasi sempre passa inosservato o è trascurato: interrare un poco vuol dire maggiore inerzia termica, cioè meno caldo quando fa caldo e meno freddo quando fa freddo. Effetto tana: bella architettura, anche intelligente sotto il profilo del comportamento energetico. Guardando le piante, poi, è difficile non rimanere incuriositi da un non so che di esotico; come fa questo impianto svolto all’insegna di un understatement deliberatamente minuzioso ad assumere nei disegni sembianze del tutto inaspettate, palesando memorie esotiche di lanterne smisurate, un po’ criptiche, iniziatiche, da triade? Bisogna, per capire le cose, passare ora dal dentro al fuori; seguire cioè un percorso di avvicinamento, arrivando da lontano. Nasce questa architettura, dall’intersezione un po’ lautréamontiana dell’impianto molto cool da corpo sportivo, di cui finora si è detto, con un fascio di bastoncini del gioco dello shanghai, colto nell’attimo del suo sgranarsi, immediatamente seguente alla torsione che gli si imprime per poter iniziare la partita. Vediamo come. Considerando la copertura insellata come un enorme coppo leggerissimo, smaterializzato, ma ugualmente capace di raccogliere e convogliare enormi quantità d’acqua, lo si è fatto sbalzare da un lato, a doccione, sopra una grande vasca di ardesia che, ricevendo l’acqua, riflette il fronte della costruzione, offrendone a chi vi si avvicina un’immagine speculare. Dall’altro lato le acque scorrono verso terra costrette da un condotto. I bastoncini dello shanghai, così diversamente mozzati, danno luogo a due superfici svirgolate e fra di loro alla rovescia. Sono tubi di acciaio inox, del diametro di ottanta centimetri, che danno luogo a due spazi esterni e racchiusi, opposti sui due fronti, l’uno il negativo dell’altro, di geometria complessa. Protesi ambigue nella loro relativa indipendenza, la luce e i raggi del sole non certo deboli a quella latitudine scivolano su di essi; e tutto quanto, ombre proprie e portate e ciò che via via filtra all’interno sul campo e sugli spalti addolcisce configurazioni incessantemente mutevoli. Maurizio Vogliazzo
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■ Nella pagina a fianco, dal basso in alto, piante dei livelli +880 e +130, sezione trasversale, sezione longitudinale. Sopra, il fronte sud-ovest durante i lavori di realizzazione. Sotto, la fronte nord-est. La forma del Palasport è guidata da un concetto
strutturale adatto all’alta sismicità della zona: il basamento è in cemento armato, parzialmente affondato nel suolo nel punto su cui si imposta una leggera tensostruttura di acciaio a tenda a doppia curvatura prefabbricata, determinata da 15 coppie di colonne di
acciaio distanziate di 60 cm. Queste sostengono ciascuna un cavo controventato le cui estremità sono ancorate con tiranti a piloni triangolari in cemento armato precompresso.
■ Opposite
page, from bottom up, plan at height +880, plan at height +130, cross section, longitudinal section. Above, the south-west front during building work. Below, the north-east front. The Sports Arena is designed along special
anti-seismic lines for this trouble spot: the basement is made of reinforced concrete, partly sunk in the ground where a prefabricated doublecurved tent-style lightweight tensile structure stands. The structure is made of 15 pairs of steel columns placed at 60-cm
intervals. Each column holds up a windbraced cable, whose ends are fixed by tie-rods to triangular piers made of precompressed reinforced concrete.
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he most surprising thing about this brand-new Sports Arena in T Palermo is the subtle stylistic ele-
g a n ce a n d r ef i n e d i n t r i c a c y t h a t Manfredi Nicoletti has created and held onto, without slightest sign of wavering, in a building which, by its very nature, vocation and specific uses, tends towards a certain pompousness - it matters little whether in commemorative, structural or technological terms etc. In this case, however, without losing anything in terms of the meticulous precision (or at times even sophistication) of its functional features, materials and cutting-edge technical mechanisms or of its building scale and design, the building calls to mind the pretty patterns, enigmatic backgrounds, and intriguingly ambiguous traces of the true origins of this strange city as it has developed down the ages; a city whose fate seems in some way to have been marked by the twilight and death of art nouveau. Examining the building plan, the layout of this sports machine is exemplary in terms of clarity and precision. Five thousand spectators make a big crowd, then add to this all the comings and goings of those taking part in the sports events, arriving at the arena, leaving, getting changed, washed and then dressed again; some of them even getting hurt and requiring medical treatment for their injuries; then there are the stewards, suppliers, maintenance men, technicians for servicing all the plant-engineering, film crews etc. Small swarms of people, gradually growing in size in the evening, after work: gyms, more locker rooms and showers; meetings of the sports clubs and (perhaps more ceremonial?) of the Italian Olympic Committee; seats for everyone, designed for specific purposes or a combination of uses. The idea was to create the right forms for these multi-purpose facilities; allow all these sporting narratives to unfold in just the right surroundings. None of rhetorical pomp of those huge stadiums surrounded by massive clearings, which, for some reason or other, are supposed to echo with the ring of cheering crowds even when they are deserted. There is also none of the boring repetition of one single structural element, often quite brilliant in itself but almost never capable of creating interesting spaces of genuine stylistic quality as well as quantity. Right in the middle of an area where the earth can suddenly start trembling at any moment with disastrous effects, Nicoletti has sunk this carefully-designed building, or rather intricate architectural support, a couple of metres into the ground, as if he were just letting the huge weight of the foundations base nestle down naturally. He has resisted the enticing temptation to furrow underground; this is certainly a reasonable approach with certain
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■ Nella pagina a fianco, dal basso in alto, particolari costruttivi della vasca di raccolta delle acque meteoriche, particolari costruttivi dell’attacco della copertura sul lato sudovest, particolari costruttivi delle finiture
del carter di colmo, dei coperchi laterali e delle pensiline sui lati nordovest e sud-est. Sopra, particolare delle colonne in acciaio sulla fronte sud-est. Sotto, particolare dell’attacco delle colonne al suolo.
Opposite page, from bottom up, construction details of the rain-water collection tank, construction details of the roof connection over on the south-west side, construction details of the finishes on the overflow carter, side lids, and
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cantilevers over on the north-west and south-east sides. Above, detail of the steel columns on the south-east front. Below, detail of how the columns are connected to the ground.
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Il campo di gioco con le tribune per circa 5000 posti a sedere. Gli interni contengono due palestre, tutti i servizi per gli atleti e gli spettatori, due servizi di pronto soccorso, caffetterie, bar, sale rtiunioni, due gruppi di uffici, sale e postazioni stampa e telecomunicazioni. ■
The playing field showing the stands seating about 5000. Inside there are two gyms, all the facilities for the sportsmen and spectators, two first-aid units, cafeterias, bars, meeting rooms, two blocks of offices, and press/telecommunications rooms and stations. ■
Credits Project: Manfredi Nicoletti Structures: Antonino Rizzo Services: M.Bonafede, S.Guercio, S.Romano Quantity Surveyor: Edmondo Gentilucci Collaborators: Luisa Campagna, Cristiano
Tavani, Roberto Perris General Work Supervision: Manfredi Nicoletti, Antonino Rizzo Assistant: Edmondo Gentilucci Structural Works: Costruzioni Generali CGP External Aluminium Cladding And Stainless Steel Works: Tecnomeccanica Costruzioni Internal Finishing and Water
Ponds: Eredi Aiello Thermohydraulics and Air Conditioning: Thermosud Technical Coordination: Defendino Corbo Assistant: Loredana Tarallo
notable implications, such as a reduction in the size of the paths and corridors, lower heights to deal with, and so forth; but the most striking thing of all is the great sense of intimacy it creates, if we can use this expression in relation to such huge spaces. All the light from outside floods down from above (we shall see how later on), creating a distinctly interior place which is nice to be in; as space is contracted, it softens, returning to its rightful place, no excesses that might stifle all the rest: this is the effect of the steel tensile structure roof over the entire structure, with all its joints and connections covering quite a notable span. Then there is another aspect that seems to have gone almost unnoticed: furrowing just a few metres underground means greater heat inertia or, in other words, less heat when it is hot, less cold when it is cold. A den or burrow effect: beautiful architecture which is also smart in energy efficiency terms. But the surprises do not finish here. Examining the building plans, something genuinely exotic inevitably catches the eye; how can something designed in the name of a deliberate sense of meticulous understatement take on such unexpected appearances, exotically evoking those huge, mysterious lanterns used in the initiation ceremonies of triads? The only way of really coming to terms with all this is to leave the inside of the arena and go outside; in other words, approach the building from a distance. This work of architecture actually derives from the rather Lautréamont-style intersection of a very cool sports complex (illustrated above) and a bundle of pick-up-sticks caught in the act of being tossed into the air at the start of a game. Let’s see how then. The roof, that looks like a huge substanceless ultra-light bent-tile capable of holding and conveying huge amounts of water, has been tipped on its side like a spout over a large slate tank, which, as the water flows in, reflects the front of the building offering a mirror-image to anyone approaching the building. On the other side, the water runs down to the ground along a pipe. The pick-up-sticks, cut to all different sizes, create two reciprocally inverted projecting surfaces. These are actually stainless steel pipes, measuring eighty centimetres in diameter, creating two closed outside spaces on two opposite fronts, the one being the negation of the other; light and sunlight (certainly not weak at this latitude) slide over these geometrically intricate spaces, ambiguous in their relative independence. And all this, including all the various shadows and everything gradually filtering down onto the playing filed and into the stands, plays down the constantly changing configurations. Maurizio Vogliazzo
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Materia e contrasto Multi-Functional Building in Perugia innegabile come il tempo e lo E’ spazio, o perlomeno la percezione ultima che di questi concetti
abbiamo, stiano subendo una rivoluzione copernicana. Il primo, intimamente legato alla tecnologia e all’innovazione (che, per definizione, lo precorre), sta uscendo dalle regole in cui era rimasto ingabbiato per secoli. Bauds e bit parlano di una simultaneità che la rete sta diffondendo velocemente. Contemporaneità vs. memoria, internet time, con la sua ora universale indipendente dalla latitudine, contro fusi orari e fasi lunari. Il secondo addirittura sta per essere fagocitato da un suo epigono dal nome strampalato: cyberspazio. Assenza di scala nella visione digitale, non corrispondenza tra siti e luoghi, azzeramento delle distanze: ecco come si è rivoltato su se stesso quello che, tra i tanti valori, seppur disputato tra una miriade di pretendenti al titolo di unica unità di misura atta a rappresentarlo, aveva mantenuto una sua solida dignità, legata alla terra, tangibile con mano. Quanto è vero tutto ciò nell’Italia centrale oggi per chi si disponga a osservare il paesaggio intorno a Perugia? Qui il tempo ha stratificato una specificità considerevole: l’unicità che deriva dalla compressione di tanta storia in relativamente poco spazio, dalla quale emergono capolavori e meraviglie, ma anche un’urbanizzazione feroce, talvolta di scarsa qualità, ferite evidenti in un contesto meraviglioso che raccontano il trascorrere di tempi più o meno felici. Qui dunque diventa difficile pensare a un’architettura i cui concetti ispiratori siano completamente svincolati dal tempo, inteso come passato con il quale confrontarsi, e quindi questo è il posto in cui la tentazione vernacolare può essere forte. Ecco quindi la difficoltà di porsi davanti a tempo e luogo in un contesto simile, e Signorini Associati la affrontano con rigore, con in mano le uniche luci disponibili per rischiarare correttamente l’impostazione di questo progetto: ragione e sensibilità colta nei confronti del luogo. Il prodotto è un edificio polifunzionale di circa 18.000 metri cubi destinati a uffici, tra i quali la sede dell’Ordine degli Ingegneri e Architetti della Provincia di Perugia, posto ai piedi della collina, quasi una specie di oggetto-base allo scenario percepibile dalla strada a scorrimento veloce. Piante, sezioni e prospetti parlano di razionalismo, di controllo nella composizione, di un indiscuti-
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Progetto: Signorini Associati
■ Nella pagina a fianco, schizzi preliminari e, sotto, vista dell’edificio polifunzionale realizzato a Perugia da Bruno Signorini.
Opposite page, preliminary sketches and, below, view of the multipurpose building designed by Bruno Signorini in Perugia. ■
bile i m p r i n ti n g della ragione sull’architettura, con una definizione dello spazio interno a pianta libera, ottenuta tramite una struttura in cemento armato a maglia larga, e una articolazione rigorosa dei prospetti. Siamo però lontani anni luce da villa Savoy, da un’architettura autosufficiente che ostenta quasi distacco dal luogo. La voglia di confrontarsi e dialogare con il contesto si avverte soprattutto nella scelta delle finiture. Materiali e dettagli affermano una forte attenzione nei riguardi del genius loci. La “toscanità” dei paramenti in mattoni per i quali è stata posta parecchia attenzione al tono cromatico, con l’intento di omogeneizzarlo allo scenario circostante, è forse il più evidente degli sforzi. Il rivestimento in lastre di rame, che qui si ossidano di un bruno tutto particolare, permettendo di evitare l’abusato verdolino, si riferisce direttamente alla vicina cupola della cattedrale di San Ruffino. Per creare invece un significativo contrasto viene adottato invece un linguaggio decisamente moderno nella creazione di aggetti che movimentano la facciata e uno spigolo e nell’uso di elementi smaltati a fuoco rosso cromo e verde olivo imbullonati, quasi l’intento fosse quello di sottolineare la contemporaneità dell’edificio con materiali e lavorazioni attuali. L’architetto però non si nasconde dietro una semplice dialettica tra i componenti, ma fa i conti con il passato affrontando un dettaglio e riprogettandolo totalmente, fino a farne il tratto saliente dell’intero progetto. Si riappropria della gronda, elemento una volta determinante che con il tempo ha maturato un lessico fatto di cornici, zampini, pianelle e grondaie quasi completamente cancellato oggi, e la ripensa sia formalmente che tecnologicamente, distaccandola dalla facciata e adottando un materiale moderno come il legno lamellare e importanti puntoni in legno massello. Insieme agli aggetti colorati questo diventa il vero segno distintivo dell’edificio, uno di quegli “attrattori” destinati a farlo riconoscere anche al colpo d’occhio di chi passa velocemente in auto. Benedetto Quaquaro
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■ Planimetria generale e pianta di un piano tipo.
■ Site plan and plan of a standard floor.
ime and space, or at least our T latest conception of these ideas, is undergoing an undeniably Coper-
nican revolution. The first, intimately linked with technology and innovation (which preceded it by definition) is coming out of the rule structure of which it has remained prisoner for centuries. Bauds and bits represent a simultaneity which the net is quickly rendering widespread. C o n t e m p o r a n e it y v s . m e m o r y , i n t e r n e t ti m e w it h it s un i ve r s a l hour independent of latitude, jetlag a n d l un a r c y c l e s . T h e s eco n d i s a c t u a ll y o n t h e ve r ge of be i n g absorbed by one of its whimsicallynamed epigones: cyber-space. Abscence of visual scale. Lack of balance between sites and places. A resetting of distances: this is how a t h i n g h a s r ebe ll e d a g a i n s t it s e l f t h a t h a d un til n ow ( eve n a m o n g many measures and values, even disputed among a myriad of contenders for the crown of single and absolute measurement unit to represent it) maintained a solid dignity. It stayed connected with the e a r t h , t a c til e a n d t a n g i b l e i n t h e hand. And how much of this is true in central Italy today for people who e x a m i n e t h e co un t r y s i d e a r o un d Perugia? Here time has considerable spec i f i c s t r a ti f i c a ti o n : t h e un it y d e r i ve d f r o m t h e co m p r e ss i o n of many stories in a relatively short time, from which emerge masterworks and marvels but also a ferocious and often qualitatively poor urbanization. Such things are open wounds in a n o t h e r w i s e m a r ve l o u s co n t e x t that tells the story of time flowing ove r m illi o n s of i n d i v i d u a l moments. Therefore it becomes difficult to imagine an architecture whose inspirational concepts are released from the bonds of a past which must be confronted and interacted with and for which the temptation to compromise can be quite strong. These are some of the difficulties that must be faced in a time and p l a ce li k e t h i s , a n d S i g n o r i n i Associates have done so rigorously; indeed, they have in hand the only c a r d s a v a il a b l e t o co rr ec tl y r i s k taking on this project: reason and sensibility with respect for the site. The product will be a multifuncti o n a l off i ce b u il d i n g w h i c h w ill a l s o s e r ve a s h o m e off i ce t o t h e Order of Perugian Engineers and Architects. T h e b u il d i n g w ill be a r o un d 18,000 cubic meters and will sit at the foot of a hill, almost a kind of focal point for the quick glimpse a ffo r d e d t h e a r e a f r o m a n e a r b y
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Particolare del porticato che segna l’ingresso dell’edificio. I materiali principali utilizzati laterizio, pietra grigiorosata e rame riprendono il cromatismo dello scenario circostante. ■
Detail of the colonnade marking the building entrance. The main materials used - brick, grey-pink stone, and copper - are reminiscent of the colours found in the natural surroundings. ■
high-speed road. Plans, sections and perspectives reveal a rationali s m , co m p o s iti o n a l co n t r o l , a n i n d i s p u t a b l e s t a m p of r e a s o n o n the architecture with a definition of t h e f r ee- p l a n i n t e r n a l s p a ce ob t a i n e d t h r o u g h a r e i n fo r ce d ce m e n t s t r u c t u r e a n d a r i go r o u s articulation of the perspectives. We are however light years away from Savoy villa, from an autosufficient architecture that shows off in a way almost unrelated to the place. The desire to interact and establish a dialogue with the context is ev i d e n t a bove a ll i n t h e c a r ef u l choice of finishing materials and details concerning the genius loci. Perhaps the most evident signs of the planning effort entailed is visi b l e i n t h e “ T u s c a n y n e ss ” of t h e brick exterior which was carefully colored to homogenize the building with its environs. The copper sheets which cover the building (which here oxidize to a particular dark brown avoiding the overused and abused copper-green) are a direct reference to the nearby dome on the San Ruffino cathedral. Meanwhile a decisively modern language has been used in order to create signifigant contrast. There are projections which animate the f a c a d e a n d a co r n e r , e l e m e n t s of f i r e- r e d c h r o m e a n d o li ve-g r ee n almost as if the intention were to underline the contemporaneity of the building with modern materials and construction. Nevertheless, the architect doesn’t h i d e h i m s e l f be h i n d a d i a l ec ti c between the components. He deals directly with the past confronting a detail and replanning it completely, working attentively until he has transformed it into a sensible part of the entire project. He reclaims the eaves-once determining architectural features which time has matured into a lexicon of frames, legs, slippers and overhangs almost always ignored today-and rethinks them both formally and t ec h n o l og i c a ll y , s e p e r a ti n g t h e m from the facade and adopting modern materials like laminated wood and important points in heavy heartwood. Together with the colored projections this becomes a truely distinctive sign of the building, one of those “attractions” destined to make the edifice recognizable even in the brief glimpse afforded a passenger zipping by in a car. Benedetto Quaquaro
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Particolare dell’aggetto in copertura che si pone come segno distintivo dell’edificio. Sotto, la facciata principale, caratterizzata da un paramento prevalentemente in ■
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laterizio in cui si inseriscono segmenti metallici e lastre di rame, infissi in alluminio preverniciato per le zone direzionali e in legno per la parte destinata alle residenze.
Detail of the roof overhang characterising the building. Below, the main facade featuring a mainly brick facing fitted with metal segments and sheets of copper, prepainted aluminium fixtures
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for the management areas, and wood for the part used for residential purposes.
■ Particolari della facciata sud e dell’angolo sudovest, caratterizzato dall’aggetto che segnala l’edificio verso la strada a scorrimento veloce che gli passa davanti.
Details of the south facade and south-west angle featuring an overhang marking the building facing onto the fast-running road.
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Credits Project and Site Management: Signorini Associati-Bruno signorini Structures: Paolo Anderlini Structure Tests: C.A.Beffa Thermal and Air-Conditioning Plants: Cicogna-Lucarelli
Electrical Plants: Guclielmo Zepparelli General Contractor: SEA Metal Frameworks and Cladding: Metalmontaggi Brickwork: Fornaci Briziarelli Marsciano
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on la recente inaugurazione del C Centro Donato Menichella giunge a compimento un progetto di
insediamento di uffici, che per dimensioni e complessità si situa tra i più rilevanti a livello italiano ed europeo, di grande importanza organizzativa e logistica per la Banca d’Italia. Il Centro è costruito secondo i più avanzati criteri di funzionalità e sicurezza. Ubicato sul prolungamento della via Nazionale-via Tuscolana, l’insediamento si pone in coerenza agli indirizzi urbanistici per il decentramento nell’area sud-est di Roma e rappresenta un concreto contributo al decongestionamento della città e al riequilibrio del rapporto tra centro e periferia. Il complesso si inserisce in un territorio nel quale sono presenti l’Università di Tor Vergata, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente, l’Agenzia Spaziale Europea e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare Per comprendere il senso di questo intervento architettonico e progettuale è necessario dimenticare l’immagine idilliaca, e oramai forse solo letteraria, dell’agro romano e dei suoi castelli - territorio incantato e cosparso di memorie storiche - così come quello meno confortante dei sobborghi tentacolari e alienanti della capitale, cercando invece di immaginare la possibile, e necessaria, costituzione di un vasto comparto urbanistico votato alla risoluzione coerente delle questioni legate al decentramento urbano, e portato a compimento attraverso solidi interventi mirati, nel rispetto della qualità progettuale e dell’ambiente, sia naturale che storico. Questo progetto appare come una delle rappresentazioni concrete del cambiamento della città: l’urbe, è cambiata; sono ormai definitivamente superati i confini del comune più esteso d’Italia - così come lo aveva voluto Mussolini - tale da abbracciare vasta parte di un territorio dedicato allora all’agricoltura e all’allevamento, dal mare alle pendici delle colline laziali. Grandi investimenti infrastrutturali permettono oggi di immaginare una città-regione, caratterizzata dalla presenza dei gangli portanti del sistema organizzativo nazionale. La progettazione parte dal tentativo riuscito di compiere un definitivo scollamento tra forma e funzione, ricercando invece nella ricomposizione e nella connessione col territorio la propria ragione di essere, rifuggendo al contempo qualsiasi tipo di mimetismo di maniera. I nuovi insediamenti della Banca d’Italia non sorgono soli, ma si pongono in stretta relazione con gli altri edifici istituzionali poco distanti, con
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i tratti evidenti dell’urbanizzazione esistente, oltre al disegno naturale del territorio, caratterizzato dalla presenza di distesi uliveti e dal rilievi delle colline del Lazio. Da qui la necessità di portare a compimento un processo progettuale in grado di integrare con coerenza la massa degli edifici della Banca d’Italia: corpi di fabbrica sviluppati orizzontalmente, impiego consistente di superfici trasparenti, scelta attenta per i colori, ripetizione costante del medesimo modulo compositivo: un portale rivestito di travertino, memoria storica, che conclude un’ampia vetratura di trama regolare, richiamo invece alla modernità. La connessione al territorio circostante non è solo visiva: una convenzione con il Comune di Frascati ha consentito la realizzazione, nelle vicinanze più immediate, anche di strutture a uso pubblico - una scuola materna e un edificio sportivo polifunzionale. Gli spostamenti sono assicurati da un complesso organismo, collocato nel piano seminterrato, costituito dalla presenza di una rete distributiva all’interno di un piano basamentale continuo. Il modulo cruciforme consente inoltre un’organizzazione coerente degli spazi interni, tale da prevedere diverse e molteplici soluzioni nell’organizzazione logistica degli uffici e dei servizi collettivi, nel tema più vasto della flessibilità progettuale. La progettazione architettonica ricorre all’immagine, suggestiva ma possibile, di una struttura metropolitana efficiente, civile, tecnicistica e organizzata, coerente con l’aspetto che l’istituzione vuole suggerire di sé. L’edificio assume volutamente quindi l’aspetto di un complesso che è luogo del lavoro collettivo, della produzione, della qualità, senza ostentazioni monumentalistiche o citazioni fuori luogo. Le dimensioni dell’intervento sono tali da definire un vero e proprio comparto urbanistico, corredato dei sistemi necessari alla presenza costante di personale e impiegati. Grande attenzione è quindi riservata alla definizione e alla cura degli spazi interni, immaginati in una reale scala umana, alla segnaletica, alla progettazione degli spazi verdi e alle aree destinate alla vita collettiva: una vasta piazza, la cui forma è scandita da una gradinata di sapore monumentale, caratterizza il cuore del complesso architettonico. E’ infine necessario menzionare l’impiego di tecnologie, avanzate nel panorama nazionale, in grado di controllare la climatizzazione interna, di rispondere alle più disparate sollecitazioni ambientali, di organizzare la raccolta dei rifiuti e delle polveri. Filippo Beltrami Gadola
■ Prospettiva e, sotto, particolare di una delle facciate in travertino e vetro della nuova sede della Banca d’Italia, realizzata su un’area totale di 370.000 mq nel Comune di Frascati, vicino a Roma.
■ Perspective view and, below, detail of one of the travertine and glass facades of the new headquarters of Banca d’Italia, built over a total area of 370,000 square metres in the Town of Frascati area, near Rome.
Matteo Piazza
Un organismo mediterraneo New Banca d’Italia
Progetto: Studio Valle Progettazione - Studio Chiarini
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Sotto, il portale di ingresso del complesso. In basso, particolari della grande piazza centrale, articolata su diversi livelli raccordati da piani inclinati, pensata come spazio pubblico e di interazione sociale. ■
he recent opening of the Donato T Menichella Centre marks the completion of an office design pro-
ject which, in terms of size and complexity, is one of the important in Italy and the whole of Europe. It is also extremely significant from an organisational-logistical point of view for the Bank of Italy. The Centre is designed up to the h i g h e s t s a fe t y a n d f un c ti o n a lit y standards. Located along an extension to via Nazionale-via Tuscolana, the n ew co n s t r u c ti o n f it s i n w it h t h e general town-planning guidelines to decentralise the south-east area of Rome and is a real contribution to unblocking the city and creating a better balance between the city centre and suburbs. The complex is in t h e s a m e n e i g h bo u r h oo d a s T o r Vergata University, the National Research Centre, the Association for New Technology, Energy and the Environment, the European S p a ce A ge n c y , a n d t h e N a ti o n a l Institute of Nuclear Physics. T o r e a ll y un d e r s t a n d t h e t r u e meaning of this architectural-design project, we need to forget that idyllic and perhaps now only literary image of the Roman plain and its castles - charming lands brimming with recollections of the past - as well as that much less reassuring i m a ge of t h e c a p it a l ’ s s p r a w li n g, alienating suburbs; and in its place we ought to try and imagine a huge t ow n - p l a nn i n g a r e a w h i c h co u l d a n d i n d ee d m u s t be d e d i c a t e d t o finding practical solutions to urban decentralisation problems; a project c a rr i e d o u t t h r o u g h s p ec i f i c p r ojects of great design quality payi n g d u e a tt e n ti o n t o t h e n a t u r a l historical environment. This project seems to physically r e p r e s e n t t h e c h a n ge of t h e c it y : Rome itself has changed; the boundaries of the biggest metropolitan borough in Italy have finally been broken - as Mussolini had always hoped - to embrace a huge part of land once used for farming and cattle-rearing purposes stretching from the sea to the slopes of the Latium hillside. Major investments in infrastructures now make it possible to imagine a city-region where the nerve centres of the nation and its entire organisation are located. This kind of planning is based on a successful attempt to finally s e p a r a t e fo r m a n d f un c ti o n o n ce and for all, at the same time rejecting any kind of mannerist camouflaging. The new headquarters of the Bank of Italy are not isolated, they are actually closely interrelated with the new university buildings nearby (existing signs of urbanisation)
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■ Below, the entrance portal to the complex. Bottom, details of the large central plaza, constructed over various levels connected together by sloping planes, designed to be a public space for socialising.
Particolare della meridiana nella piazza centrale che ha la funzione di fulcro del complesso. La realizzazione di una tipologia aggregativa basata su un modulo cruciforme consente di concentrare servizi e circolazione nei punti di intersezione dei bracci destinati agli spazi operativi. ■
Detail of the meridian in the central plaza, acting as the hub of the entire complex that is designed to be assembled together based on a cross-shaped module, with the utilities and circulation facilities concentrated in the intersection points of the arms used as work spaces. ■
and, no less significantly, with the n a t u r a l s u rr o un d i n g s fo r m e d b y olive woods and hills. This explains why the project had to focus on smoothly inserting this n ew b u il d i n g b l oc k h o l d i n g t h e Bank of Italy: working around horizontal structures with large glass surfaces, carefully chosen colours, and the same basic reiterated design module (a portal with a travertine stone of great historical force at the end of a regular pattern of glass windows evoking, in contrast, mode r n it y ) . T h e li n k s w it h t h e s u r rounding territory are not just visual: an agreement arranged with the Frascati City Council has also allowed public facilities to be constructed in the immediate vicinity - a primary school and multi-purpose sports facility. Moving around inside the building is guaranteed by a complicated distributional mechanism running right through the basement. The c r o ss - s h a p e d m o d u l e a ll ow s t h e i n t e r i o r s t o be a rr a n ge d s o a s t o provide various logistical layouts for the offices and communal facilities, all geared to the underlying theme of design flexibility. The architectural design draws on the evocative yet feasible image of an efficient, civilised, technicall y - a d v a n ce d , a n d we ll -o r g a n i s e d metropolitan structure in line with the image the bank wants to proj ec t . T h e b u il d i n g i s d e li be r a t e l y designed to look like a composite complex, a place of communal work, p r o d u c ti o n a n d q u a lit y , w it h o u t resorting to monumental forms or c it a ti o n s w h i c h wo u l d be o u t of place. The scale of the project makes it a real piece of the urban landscape, f u r b i s h e d w it h a ll t h e f a c iliti e s required to cater for the constant presence of staff and workers. This is why considerable attention has been paid to constructing and maintaining the user-friendly interior spaces, signposting, landscaping, and construction of comm un a l f a c iliti e s : a l a r ge ce n t r a l plaza designed around a flight of steps of monumental proportions forms the heart of the entire architectural complex. L a s tl y , it i s wo r t h m e n ti o n i n g t h e u s e of t h e l a t e s t t ec h n o l og y available in Italy, capable of controlling the inside climate, coping w it h a ll k i n d s of e n v i r o n m e n t a l demands, and handling waste and dust collection. Filippo Beltrami Gadola
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Sotto, l’ingresso con il controllo meccanizzato. In basso, uno dei saloni di rappresentanza con la grande scultura di Arnaldo Pomodoro. ■
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■ Below, the entrance showing the mechanical control mechanism. Bottom, one of the reception rooms holding a large statue by Arnaldo Pomodoro.
■ Particolari degli spazi pubblici di rappresentanza interni dove sono stati utilizzati materiali di altissima qualità.
Details of the inside public reception spaces constructed out of extremely high-quality materials.
■
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Particolari degli esterni, caratterizzati dall’uso combinato del travertino, in omaggio alla tradizione locale, e vetro che rimanda alla contemporaneità e agli elevati standard tecnologici adottati all’interno. Nella pagina a fianco, ■
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particolari di una delle sale impianti, del foyer, di uno dei percorsi pedonali meccanizzati e dell’auditorium. Sono stati impiegati oltre 100.000 mq di pavimenti galleggianti per garantire la totale accessibilità per la manutenzione degli impianti con diverse
tipologie di materiali a seconda delle destinazioni d’uso: lineoleum per gli uffici ; marmo per foyer e area VIP; moquette per l’auditorium; mosaico vetroso a disegno per la mensa; gres porcellanato per i percorsi pedonali meccanizzati.
Details of the exteriors drawing on a combination of travertine, as a homage to local tradition, and glass, evoking cuttingedge design and the high technological standards used inside. Opposite, details of one of the utilities rooms, foyer, one of the mechanised ■
pedestrian paths, and the auditorium. Over 100,000 square metres of floating floors have been used to allow complete access for plant-engineering maintenance using different types of materials according to uses: linoleum for the offices; marble for the
foyer and VIP area; carpets for the auditorium; decorative glass mosaic for the canteen; stoneware for the mechanised pedestrian paths.
Credits Project: Studio Valle Progettazioni: Gilberto Valle, Tommaso Valle Civil Architecture: Tommaso Valle, Gilberto Valle with Grazia De Rosa Worksite Office: Camilla Valle, Massimo Guidi, Guido Pellarin, Claudio Faraglia, Studio Chiarini: Carlo Chiarini, Italo Melanesi Executive Project of the Functional Organism of Offices: Claudio Briganti
Engineering: Vittorio De Benedetti, Giovanni Sebastiani Site Management: Lorenzo Porcari, Alessandro Guerrini, Giancarlo Bianco, Giovanni Battista Genghi General Contractor: Seifra Società Consortile (Condotte -Garboli-Conicos) Metalworks: Cerasi, GSM, BIT, Collet Facade Systems: Consorzio P.O.I. (ISA, Permasteelisa)
Glasses: Flachglass, Pilkington Steel Frameworks: GSM Wall Painting: Beraud, Plastewerke Travertine Cladding: F.lli Pacifici Lighting: iGuzzini, Philips Lighting Exterior Flooring: La Nuova Serpentino Interior Flooring: Graniti Fiandre, Cogemar, Bisazza, Marazzi
False Ceilings: Sadi, Vagnozzi Floating Floors: Hiross, Nesite Doors and Partition Walls: Consorzio P.O.I. Lifts and Mechanical Transports: Otis Air Conditioning: Alpi (Aster, Lossa, Progeco) Cogeneration Plant: Fisia Italimpianti Fireproofing Plant: Eusebi Impianti
Special Plants: Project Automation Electrical Plants: Alcatel, Rampasi Furniture Systems: Estel Wooden Furniture: Celi, Nobili, Boresti Waterproofing and Insulation: Bartoli Client: Banca d’Italia
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a nuova sede del Gruppo Lucchini, progettata dallo Studio L Von Wurster, sorge in un’area pre-
cedentemente utilizzata a scopi produttivi dalla stessa azienda. L’edificio per uffici, destinato a segnalare la persistenza in quel luogo delle attività del gruppo industriale, si confronta oggi con un contesto residenziale sviluppatosi in maniera disordinata e vagamente spontanea. Una serie di vincoli hanno condotto il progettista, l’ingegnere Carlo Alberto Maria von Wunster, alla scelta di un modello edilizio alto e articolato in pochi volumi. Il lotto, di dimensioni relativamente ridotte, e il requisito di appropriati spazi di parcheggio per le auto del personale hanno favorito questa configurazione di base, in conformità anche a un ulteriore ma non meno importante requisito di riconoscibilità espresso dalla azienda committente. Come sempre avviene nella realizzazione di un quartier generale aziendale, la percezione esterna e interna che viene offerta dell’edificio che lo costituisce è cruciale per il contributo all’immagine aziendale. L’immagine messa a punto da Von Wunster per la Lucchini attraverso il centro direzionale è quella rassicurante di una organizzazione basata sulla tradizione e sulla moderazione.
La rigida volumetria, insieme alle poche, mirate scelte tecnologiche, hanno portato alla costruzione di un complesso funzionale e rappresentativo. Le facciate in vetro riflettente costituiscono l’elemento tettonico e tecnologico di maggior spicco della costruzione. Esse suggeriscono l’attitudine introversa e autonoma dell’edificio, che, piuttosto che misurarsi con il frammentato contesto circostante, con probabile sofferenza del preciso meccanismo distributivo interno, ne riflettono le forme e i colori. In tal modo, la strategia architettonica del progetto è conforme al ricorrente “sogno” riflettente di autori tardo-modernisti come Kenzo Tange, ma ricorrente in una grossa fetta dell’edilizia direzionale dagli anni sessanta ai nostri giorni. Tecnologicamente, le facciate, del tipo ventilato, costituiscono un dispositivo prezioso per la limitazione del consumo energetico, e rappresentano l’estrema contuinuità logica e prestazionale nel rapporto fra costruzione e impianti. Al piano terra, la superficie riflettente continua è interrotta per dar luogo a un atrio completamente trasparente, aperto sul verde circostante e costituente il giunto per l’attacco a terra delle masse in elevazione.
Palazzo Lucchini è rappresentativo di un genere funzionale, quello del direzionale individuale, che trova in Italia poche variazioni. L’estetica prevalente, in genere, è determinata dal forte rapporto con la fiorente industria della componentistica edilizia. Quest’ultima, infatti, è in grado, con un unico gesto, un singolo prodotto, di offrire una “pelle” tanto efficiente energicamente quanto completa e definitiva sul piano estetico. La totale coincidenza tra offerta prestazionale ed estetica di questi elementi tettonici, affranca in un certo senso committente e progettista dalla responsabilità dell’impatto visuale dell’opera, escludendo naturalmente le responsabilità relative all’identificazione e verifica di congruità del prodotto e delle sue modalità costruttive. Come spesso accade nel nostro paese, l’industria segna il nostro territorio con i propri manieri direzionali, diffondendo nell’ambiente circostante i simboli positivi e rassicuranti della crescita economica. L’edificio Lucchini è destinato a divenire un landmark di quartiere e a costituire uno dei cardini della riconoscibilità della zona, nonché, a fornire ausilio all’orientamento, come è tipico dei corpi voluminosi in ambiti residenziali. Alessandro Gubitosi
Funzionalmente rassicurante Office Building, Brescia
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he headquarters of the LucchiT ni Group, designed by the Von W un s t e r F i r m , s t a n d i n a n a r e a
previously used by the company for m a nu f a c t u r i n g p u r p o s e s . T h e b u il d i n g, w h i c h i s s u pp o s e d t o evoke the industrial group’s former activities on this site, is now forced t o i n t e r a c t w it h a r a t h e r d i s h eve ll e d h o u s i n g e s t a t e t h a t h a s sprung up in a vaguely spontaneous manner. A number of building constraints have forced the designer-engineer Carlo Alberto Maria von Wunster to opt for a high-rise construction model involving just a few structures. The relatively small-size lot and the need to provide parking spaces for staff cars pointed towards this basic layout, in accordance with a f u r t h e r b u t n o l e ss i m p o r t a n t requirement stipulated by the clientfirm or, in other words, the creation of a recognisable landmark. As is inevitably the case when a business headquarters is being built, both the outside and inside image of the building in question is vital for the company’s image. T h e m a n a ge m e n t co m p l e x d e s i g n e d b y vo n W un s t e r fo r t h e Lucchini Group projects the reass u r i n g i m a ge of a n o r g a n i s a ti o n based on tradition and moderation. The rigid structural engineering
Progetto: Carlo Alberto Von Wunster
a n d s m a ll nu m be r of c a r ef u ll y gauged technological features have led to the construction of a functional complex creating notable visual impact. The facades are the most outstanding tectonic-technological feature of the entire building. They evoke a certain introverted, autonomous attitude of a building which, instead of facing up to the fragmented surroundings, proba b l y t o t h e d e t r i m e n t of it s ow n interior layout, mirrors their shapes and colours. I n t h i s w a y , t h e a r c h it ec t u r a l strategy of this design conforms to the recurring reflective “dream” of late-modernist architects like Kenzo Tange, recurring in a large slice of the business facilities from the nineteen-sixties through to the present day. T ec h n o l og i c a ll y s p e a k i n g, t h e ventilated-style facades are a precious means of keeping down energy consumption, representing the ultimate logical/functional sense of continuity between buildings and plant-engineering. The reflective curtain surface is interrupted to leave room for a highl y t r a n s p a r e n t l obb y o p e n i n g u p o n t o t h e s u rr o un d i n g l a n d s c a p e a n d fo r m i n g t h e m a i n j o i n t co n necting the building elevations to the ground. ■ Nella pagina a fianco, vista area del nuovo quartier generale della Società Lucchini a Brescia.
The Lucchini headquarters building is an example of a certain functional theme (the design of mana ge m e n t h e a d q u a r t e r s ) fo un d i n only a very small number of variations in Italy. Its design aesthetics are, generally speaking, determined by its tight bonds with the boo m i n g b u il d i n g co m p o n e n t s industry. This industry is in fact capable, in one fell swoop or one single product, of providing a “skin” which is as energy-efficient as aesthetically self-contained and complete. In a sense, the way the functional efficiency and aesthetic value of these tectonic features totally coincide frees both client and architect of the responsibility for the visual i m p a c t of t h e wo r k , n a t u r a ll y excluding other responsibilities connected with identifying and assessing the congruity of a product and how it is built. As often happens in this country, industry marks the land with its own executive mansions, constructing positive and reassuring symbols of economic growth. The Lucchini headquarters building is destined to become a landmark in its neighbourhood, a cardinal point in the area helping people find their bearings: a familiar feature of tall buildings on housing estates.
■ In questa pagina, viste delle facciate in vetro riflettente e piante del piano terra e di un piano tipo. ■ This page, views of the reflecting glass facades and plans of the ground floor and of a typical floor.
■ Opposite page, aerial view of the new headquarters building of Lucchini Company in Brescia.
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■ Nella pagina a fianco, vista generali del nuovo centro direzionale Palazzo Lucchini nell’area nord di Brescia. A sinistra, particolari degli interni. Le facciate dell’intero edificio sono realizzate per permettere la ventilazione utilizzando telai di acciaio inox 3x3 m da appendere con intercapedine di circa 5 m dalla facciata isolata e portanti a incastro; il rivestimento è in pietra San Gottardo trattata posteriormente con resine epossidiche e fibre di vetro. ■ Opposite page, general view of the new Palazzo Lucchini Business Centre in north Brescia. Left, details of the interiors. The entire building’s facades are designed to favour ventilation using 3x3 m stainless steel frames to be suspended at a distance of approximately 5 m from the insulated facade and jointed together; the cladding is made of San Gottardo stone posttreated with poxy resins and glass fibres.
Ugo Allegri
Credits Project: Carlo Alberto Von Wunster Main Contractor: F.lli Paterlini Costruzioni Suppliers: Acerbis di G.Acerbis & C., Roncoroni (carpentry); Groli Gianfranco (hydraulics); GCT Italia (pneumatic mail); Hiross Nesite (floating floor); Hormann Italia (air conditioning); Ninz Firedoors di K.Ninz & C. (fireproof doors); Otis (lifts); Raedil (asphalt); Castiglioni legnami (wood floor); Colpani F.lli; Carlo Comana (marble works); Emmegi (security doors); Diesse Electra (electrical plants); Sanitermica Alberti (hydraulic plants); Soc.Tel.Lomb (telephone plants); Steel Benetton (basement facade); Spazio Verde (garden); Termo Pareti (gypsum false ceiling); Tempini (cladding); Vin Wunsten Allegri Antifurto (fireproofing and security); Hermann Miller (furniture); Baumann (courtains); Flos (lighting) Client: Gruppo Lucchini
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La forma come immagine TV Production Offices Progetto: Muratori & Zanon li architetti della giovane generazione, ogni qual volta misurano la G loro capacità nella progettazione di un
nuovo edificio, si devono scontrare con la logica della critica contemporanea. Questa trova le sue radici nella critica letteraria o, più in generale, in quel pensiero filosofico che definisce l’attuale campo di motivazioni dei giudizi riferite, in genere, all’analisi dell’arte contemporanea. E’ il caso dello Studio di Progettazione Architettonica Muratori & Zanon di Padova che ha realizzato l’edificio per la società “Linea s.p.a”, destinato a un centro di produzione radiotelevisivo per Telepadova. Il complesso sorge nella zona industriale di Padova, nelle vicinanze di una antica villa veneta circondata da pioppi secolari americani, che il progetto ha rispettato. L’opera è senza dubbio degna di ogni rispetto ma, anch’essa, si presenta alla critica in modo tale da richiedere più di un chiarimento, non tanto sull’opera specifica, ma sulla metodologia di “giudizio” del progetto. E’ chiaro che il “linguaggio” usato da Giulio Muratori e da Pierino Zanon risente della loro formazione scolastica razionalista che, proprio in merito al giudizio critico, fa tornare alla mente, l’attenzione sul linguaggio del progetto, fa apparire il suo “prodursi da sé”. Si estromettono, in questo modo di vedere, gli architetti e, con loro, l’ingombrante “strategia” progettuale. E’ un modo per far scomparire l’autore dagli orizzonti teorici. Solo Cesare Segre ha ricominciato a parlare dell’autore nel campo letterario, ma solo come “garante di senso” del testo; ciò sta a significare che, per un architetto, essere autore di un dato progetto vuol dire essere garante di un “appiglio” della linguistica usata. Una volta, per lo “statuto” dell’architettura bastavano i “generi”: l’hightech, il post-modernismo, il postrazionalismo, ecc. ecc. E’ in questo modo che la Cappella di Ronchamp, per i contemporanei, è arte; non tanto perché incarna il valore estetico del bello, né perché l’ha fatta Le Corbusier, ma solo in quanto opera di vera forma architettonica, con i suoi relativi contenuti. Oggi sembra che tali generi non bastino più. Non c’è niente che, in via definitiva, ci dica che cosa faccia del suo contenuto un’opera architettonica. E’ finita l’epoca in cui la critica architettonica era affidata a pochi personaggi di parrocchia o “internaziona-
L’ingresso della nuova sede di Telepadova che comprende una zona uffici, la zona operativa per l’emissione dei programmi, gli studi di posa e gli spazi funzionali e tecnologici.
■
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li”. Da quando, poi, abbiamo capito che l’opera critica si deve svolgere attraverso una “scuola di critica”, in un confronto di opinioni ma, sempre, nella profonda lettura dell’opera dei giovani, e dei meno giovani, che sanno cosa significa l’innovazione e l’evoluzione. Queste problematiche sembrano avulse dall’opera di Muratori e di Zanon; non lo sono perché fanno apparire meglio, in termini di libero giudizio, lo sforzo progettuale per una realizzazione così complessa e articolata. In effetti mancano, nel mondo dell’architettura, critici come Roland Barthes, Cesare Segre, Gianfranco Contini, Gyorgy Lukacs, Michel Foucault, Saque Lacan, Roman Jakobson solo per citare alcuni grossi nomi che si sono dedicati alla critica letteraria e filosofica facendola diventare un “sapere”, in continuo aggiornamento, nel divenire degli eventi. I giovani come Muratori e Zanon, per il significativo progetto fatto per la società “Linea” di Padova, sono proprio quelli che più risentono di questa mancanza, in quanto non è possibile fare emergere, in modo ampio e da più parti, un confronto critico costruttivo capace di generare delle riflessioni a tutto campo. Ecco, allora, il vero significato di una rivista d’architettura come l’Arca, perchè l’esame attento deve apparire nel rapporto con altri autori e altri progettisti. Ecco, allora, come il lavoro di Muratori e Zanon si confronta di più con quel “ a u c t o r a u geo” che significa accrescere, dare origine perchè a loro viene spontaneo affidare di più il concetto di essere stati capaci di una idea creativa piuttosto che di un addio, di una eliminazione dell’autore, come ha voluto, in un recente passato, la critica dell’arte architettonica. L’architetto è rimasto ma, in troppi casi, il suo modo di operare si è modificato; non è più generatore di innovazioni ma, non potendo più aggiungere nulla di nuovo all’architettura razionalista e a quella post-modernista, è ridotto a essere un eterno “copista”, un rimaneggiatore del già progettato, un trovarobe nella “càsba” dell’architettura. Ed ecco infine chi si comporta come i “generali” di Carlo Emilio Gadda che, mentre il cannone brilla nel cielo, loro lo perseguono: sono gli architetti romantici, che non si accorgono che nel frattempo il mondo impertinente continua a girare su se stesso. E’ così che questi generali/architetti perdono le guerre. Mario Antonio Arnaboldi
The entrance to the new headquarters of Telepadova, which includes an office area, broadcasting section, pose studios, and functional-technological facilities. ■
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A destra, planimetria generale, sezione longitudinale e trasversale, piante del primo piano e del piano terra. Nella pagina a fianco, l’esterno della sala riunioni semicircolare e la grande torre delle antenne alta 64 m. ■
Right, site plan, longitudinal and cross sections, plans of first floor and ground floor. Opposite page, the outside of the semi-circular meeting room and huge 64-metre aerial tower. ■
Ttheiharresckhlillaittecsestostn, gewdehnseiengrneveaintirgotanhneofyewtyebsoutuniloudg-t
ing, are inevitably forced to face up to criticism. Contemporary criticism is rooted in literary criticism or, more generally speaking, in the kind of philosophical thought that defines the un d e r l y i n g m o ti v a ti o n s be h i n d judgements aimed, generally speaking, at analysing contemporary art. This is the case with the Muratori & Zanon Architectural Design firm, which designed the “Linea s.p.a.” building holding a radio-television production centre for Telepadova. The building is located in an industrial zone of Padua, near an old Venetian villa surrounded by century-old American poplar trees carefully catered for in the project. This work of architecture is undoubtedly worthy of respect, but, from a critical viewpoint, certain clarifications need to be made, not so much about this specific work in particular as about how to “judge” a design. Giulio Muratori and Pierino Zanon’s “language” is certainly influenced by their rationalist background which, returning to this notion of critical judgement, brings to mind attention to design idiom and shows how it “is actually produced by itself”. This way of viewing things pushes architects out of the picture and with them their bothersome design “strategies”. It is a way of ejecting designers beyond the horizons of design. Cesare Segre seems to be the only person who has started talking about the author of a literary work again, but only as a “guarantor of meaning” of a text; this means that, in the case of an architect, being the author of a project means being a guarantor of the “referent” of a certain linguistic idiom. There was a time when “genres” alone dictated the “by-laws” of architecture: high-tech, post-modernism, post-rationalism etc. This explains why Ronchamp Chapel is art for our contemporaries; not so much because it embodies the aesthetic value of the beautiful, nor because it was designed by Le Corbusier, but simply because it is a work of real architectural form, complete with its relative contents. Nowadays, these genres no longer seem to be enough. There is nothing now to conclusively tell us what a work of architecture does with its contents. The days when architectural criticism was in the hands of just
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a few local or “international” celebrities are over. They have been ever since we realised that criticism ought to be organised into “schools of criticism”, contrasting opinions all aimed at analysing the work of both young and notso-young architects who know what innovation and evolution mean. These problems seem to have no place in Muratori and Zanon’s work; in fact they are there and actually help us analyse the skill and expertise that have gone into designing such an intricate and elaborate work of architecture. The world of architecture really does lack critics of the calibre of R o l a n d B a r t h e s , C e s a r e S eg r e, Gianfranco Contini, Gyorgy Lukas, Michel Foucault, Saque Lacan, and Roman Jakobson, just to mention a few big names, whose dedication to literary and philosophical criticism turn it into “knowledge” constantly developing as events unfold. Young men like Muratori and Zanon, who have designed this import project for the “Linea” firm in Padua, are the first to feel the effects of this lack of critical “weight”, meaning that it is quite impossible to produce any constructive criticism, on a wider scale, capable of simulating all-embracing reactions. This, then, is the real sense of an architecture magazine like l’Arca, which analyses things in relation to other architects and designers. This is how Muratori and Zanon’s work actually confronts that “auctor augeo” that means augment and originate, since in their case it is more natural to talk about creativity than the twilight or death of the author, as recent criticism of the art of architecture has tended to. Architects are still with us, but too often they have changed their way of working; they are no longer sources of innovation but, since they cannot add anything new to rationalist and post-modernist architecture, they are reduced to being relentless copiers, playing around with w h a t h a s a l r e a dy bee n d e s i g n e d , propmen in the “Casbah” of architecture. Then, last of all, there are those w h o be h a ve li k e C a r l o E m ili o Gadda’s “generals”, chasing canon fire as it explodes in the sky: these are those romantic architects who still have not realised that the world has impertinently kept on turning. Of course these generals/architects end up losing their wars. Mario Antonio Arnaboldi
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■ Particolari della facciata dell’elemento longitudinale rivestito in pannelli metallici che contiene la zona operativa. Le diverse funzioni che si svolgono nell’edificio sono identificate dalle diverse forme e materiali dei vari volumi.
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Details of the facade of the longitudinal section clad with metal panels and holding the broadcasting facilities. The various functions carried out in the building are marked by the different forms and materials of the various structures. ■
Credits Project: Studio Muratori & Zanon Engineering: Studio Ing. G.Tranchida Thermomechanical Plants Engineering: Studio Termotecnico Bonsembiante Electrical Plants Engineering: Studio Tecnico Zambonin General Contractor: Impresa Prearo Renato
Thermomechanical Plants: Idrothermos Electrical Plants: CF Impianti Flooring and Cladding: Edilfurlan, Linea Ceramica Soundproofing: Isolcomit Fireproof and Security Doors: 3M Tecnofer Frameworks: Vista Serramenti, Aluglas System
Special Galsses Heat-Mirror: Piave Vetro Floating Floors: Nesite-Hiross Equipped Walls: Estel Metalworks: Cosmet Lighting: Zumtobel Courtains: Abba
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i è, in Italia, un oscuro oggetto di V desiderio di molte pubbliche amministrazioni. Là dove il tradizio-
emerging from the crisis in heavy industry. As in a few rare cases in Italy, Ve n i ce a n d t h e P o r t o M a r g h e r a area are trying to do their bit. T h e q u e s ti o n of t h e d e li c a c y of the lagoon environment, the crisis in the industrial sector and its concentration in this area, the need for new services, the closeness of the M e s t r e U n i ve r s it y f a c iliti e s , a n d its relative ease of access, all make the old Agrimont works an ideal place for experimenting on a scientific-technological centre. The old Cral Building has been chosen for the Innovation Centre. This building, holding the BIC (Business Innovation Centre), CTT (Technology Transfer Centre), management centre, and communicati o n - s e r v i ce s b a c k - u p , i s of s u c h notable symbolic importance in the transformation of this area that it h a s bee n c a ll e d “ t h e I nn ov a ti o n Gate”. This privileged information facility is located on the ground floor near the spaces for displaying the research products and near a number of exhibition offices for each of the local operators. The research and sample-testing laboratories are over on the south and east sides, around the garden. The top floors house the managem e n t off i ce s , t ec h n o l og y t r a n s fe r centre offices, documentation/computer archives centre, and cafeteria. T h e b u il d i n g, w h o s e b a s i c fe a tures have been left intact, has been r ev it a li s e d b y a n ew s t ee l f r a m e s t r e n g t h e n i n g it s s t a b ilit y a n d adapting it to new functions. The centre’s utilities are grouped togethe r i n a co n s t r u c ti o n a t t h e s i d e, b u ilt ove r fo u r l eve l s . I t s s h e ll shaped design holding a staircase creates a central unit which, despite its isolation, interacts with the dustwashing tower, which is the most obvious allusion to the area’s past.
nale settore industriale non ha trovato più ragione di essere, ma anche là, dove non è mai accaduto che l’industria avesse avuto occasione per svilupparsi, si aggira una parola d’ordine che sembra risolutiva: “fare un parco tecnologico”. Gli esempi europei, alcuni dei quali pubblicati su questa rivista come il progetto di Norman Foster a Duisburg e altri interventi nella conurbazione mineraria e industriale della Ruhr, hanno dimostrato che quando privato e pubblico trovano un accordo sul modo di gestire la trasformazione dal mondo della produzione dei beni materiali verso la produzione di know how, allora è possibile pensare ai luoghi che funzionano da incubatori per nuove prospettive sociali ed economiche. Tutto questo presuppone investimenti nel campo della ricerca tecnologica che richiedono tempi medio-lunghi sia per i risultati sia per la formazione dei quadri intellettuali sia, soprattutto, per il cambiamento di mentalità nei confronti della produzione dei beni immateriali. A parole, a tutti piace l’idea di parco tecnologico perché, apparentemente, riassume in sé la chiave risolutrice dei problemi dell’ambiente, dell’occupazione e della produzione di ricchezza senza contraddizioni. Ma, là dove si sono realizzati, essi non hanno nulla di straordinario se non la determinazione di chi ha creduto che la trasformazione di un territorio è tutta dentro a un progetto che riflette sui destini del nostro futuro e ha il coraggio di sperimentare vie possibili. Non è la panacea di tutte le contraddizioni post-industriali ma solo un modo per tentare di recuperare le risorse che si stanno liberando dalla crisi delle grandi cattedrali dell’industria. Come in alcune poche realtà italia-
Modello del Parco scientifico e tecnologico di Porto Marghera, un’area di circa 10 ha in prossimità delle strutture universitarie di Mestre (Venezia), dove è inserito il Centro dell’innovazione chiamato Porta dell’Innovazione. Il Centro è ricavato dalla ristrutturazione dell’ex Agrimont e da un nuovo edificio. ■
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ne, Venezia e l’area di Porto Marghera ci stanno provando. Il problema della delicatezza dell’ambiente lagunare, la crisi del settore industriale e della sua concentrazione, la necessità di nuovi servizi, la vicinanza delle strutture universitarie di Mestre e il buon livello di accessibilità hanno fatto dell’area ex Agrimont un luogo adatto a sperimentare un parco scientifico e tecnologico. In particolare l’edificio dell’ex Cral è destinato alla realizzazione del Centro per l’Innovazione. Esso, che contiene l’incubatore o BIC (Businness Innovation Center ), il Centro di trasferimento della tecnologia o CTT, il centro direzionale e i supporti alla comunicazione e servizi, assume un particolare valore simbolico nel processo di trasformazione dell’area così da essere denominato “la Porta dell’Innovazione”. E’ infatti il luogo privilegiato per l’informazione che è collocata al piano terra in relazione agli spazi espositivi dei prodotti delle ricerche e alla serie di uffici di rappresentanza dei singoli operatori locali. Attorno al giardino, sul lato sud e ovest si articolano i laboratori per la ricerca e quelli per le prove dei campioni. Ai piani superiori vi è la direzione con gli uffici gestionali, gli uffici per il centro trasferimento tecnologie, il centro di documentazione e archivio informatico e caffetteria. L’edificio, che viene mantenuto nei suoi caratteri essenziali è rivitalizzato da un nuovo ordine in acciaio che ne garantisce la stabilità e l’adeguamento alle nuove funzioni. Le tecnologie di servizio del centro sono concentrate in un corpo a lato organizzato su quattro livelli. La sua forma a conchiglia, che ingloba una scala, produce un corpo centrale che, nel suo isolamento entra in relazione con l’esistente torre del lavaggio delle polveri che è la memoria più esplicita dell’antico trascorso dell’area. Remo Dorigati
here is a mysterious object of T desire for lots of public admini s t r a ti o n d e p a r t m e n t s i n I t a l y .
W h e r e t r a d iti o n a l i n d u s t r y n o l o n ge r h a s a n y r e a l r e a s o n fo r being, and even where traditional i n d u s t r y h a s n eve r eve n h a d t h e chance to develop, a strange impera ti ve s ee m s t o be o n eve r y bo dy ’ s li p s : “c r e a t e a t ec h n o l og i c a l ce n tre”. C e r t a i n E u r o p e a n p r ece d e n t s , some of which have been published in this magazine, such as Norman Foster’s project in Duisburg and others in the Ruhr mining-industria l r eg i o n , h a ve s h ow n t h a t w h e n the private and public sectors find a way of working together to convert t h e m a nu f a c t u r i n g of m a t e r i a l goods into the production of knowhow, then there is a real chance of creating places potentially openi n g u p n ew s oc i o-eco n o m i c p r o s pects. All this assumes investments in technological research which will only bear fruits, in terms of professional training and, above all, of changing people’s attitude towards t h e p r o d u c ti o n of i mm a t e r i a l goo d s , i n t h e m e d i u m / l o n g- t e r m . Everybody claims to like the idea of a technological centre, since, apparently, it could solve a whole range of problems connected with the environment, employment, and the creati o n of we a lt h w it h n o s t r i n g s attached. But where these centres have actually been built, nothing extraordinary has happened, except t h e d e t e r m i n a ti o n of t h o s e w h o believe that a territory can be transformed by a project examining how our future might evolve and who have been brave enough to experiment on possible ways of bringing this about. This is not a universal remedy t o a ll t h e co n t r a d i c ti o n s of p o s t industrial society, it is just a way of t r y i n g t o s a l v a ge t h e r e s o u r ce s
Model of the Science and Technology Park in Porto Marghera, an approximately 10-hectare area near Mestre University (Venice), where the so-called Innovation Gate Centre is located. The Centre is a combination of a modernisation of the old Agrimont works and a new building. Above, plan of the technological tower.
Samuele Galeotti
La porta dell’innovazione Technological Centre, Porto Marghera
Progetto: Giovanni Caprioglio, Dario Vatta
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In alto, la torre di nuova costruzione che ospita le centrali tecnologiche di servizio del Centro e a destra, prospetto sud e sezione trasversale dell’edificio che si sviluppa su quattro livelli. Sopra, pianta della torre tecnologica. ■
Top of page, the newly built tower holding the Centre’s technological units and, right, south elevation and cross section of the building constructed over four levels. Above, plan of the technological tower. ■
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■ Sopra, a sinistra, dal basso il alto, pianta del piano rialzato e del primo piano e, a destra, piante del piano ammezzato e delle coperture dell’edificio ristrutturato. Sotto, il giardino dove si apre l’accesso al piano terreno.
A sinistra, dal basso il alto, piante del piano terreno, del primo e del secondo piano della torre tecnologica e a destra particolare dell’edificio in acciaio e mattoni. Sotto, l’edificio ex Agrimont dove sono organizzati la sala di controllo informatico, il ■
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Centro direzionale, il Centro trasferimento tecnologie, i laboratori e le aule destinati alla ricerca, il centro documentazione e gli archivi, la direzione e gli uffici di Veneto Innovazione e spazi destinati all’esposizione delle ricerche del centro.
Left, from bottom up, plans of the ground, first, and second floors of the technological towere and, right, detail of the steel and brick building. Below, the old Agrimont building where the computer control room, management offices, ■
Above, left, from bottom up, plans of the mezzanine and first floors and, right, plans of the entresol and roofs of the modernised building. Below, the garden where the groundfloor entrance opens up. ■
technological-transfer centre, research laboratories and rooms, archives/documentation centre, management and business offices of Veneto Innovazione, and the centre’s research display spaces, are all located.
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Il giardino interno su cui affacciano gli uffici del Centro trasferimento tecnologie e sotto, particolare dello sbarco ascensore. ■
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The intenal garden in front of the technologicaltransfer building and, below, detail of the lift landing platform. ■
Particolari della scala in acciaio e legno che collega i tre piani dell’edificio ■
Details of the steel and wooden stairs connecting together the three floors of the building. ■
Credits Project: Giovanni Caprioglio (General plan), Dario Vatta (Detailed plan) General Engineerin: Zollet Ingegneria General Coordination: Andrea Tennani, Lucio Zollet Structural Engineers: Pietro Sommavilla, Gianpaolo Morsoletto, Angelo Da Ponte
Plan Engineers: Mario Cofente, Stefano Bertoli, Andrea Cassutti Lighting Consultatnt: Domenico Prono Main Project assistant: Miriam Mattana Art Director: Giovanni Caprioglio Project management: Giuseppe Dalle Mulle Main Contractor: Costruzioni Maltauro
Plants: Francesco Campesato Frameworks: Baldan Carpentry: C.M.P. Hight Survelliance: Gianni Cagnin Structural Testing: Enzo Magris Client: Parco Scientifico e Tecnologico di Vnenezia Scarl
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