text english
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http://www.arcadata.com
giugno june
2002
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Periodico mensile - Spedizione in abbonamento postale 45% pubblicitĂ ART.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Milano
In Italia E 9,00 Iva assolta dall’editore
Sarà possibile?/Is this likely to happen? Cesare Maria Casati
N
elle settimane scorse un piccolo aeroplano da turismo si è schiantato contro la Torre Pirelli di Milano causando vittime e notevoli danni all’edificio. E’ stato un avvenimento tragico, che nella sua drammaticità è riuscito a far prendere coscienza alla città di possedere anche un patrimonio di beni architettonici contemporanei. Patrimonio che occorrerebbe in ogni caso conoscere, far conoscere, tutelare e, nei casi di danni e distruzioni, recuperare alle condizioni originali. Il nome di Gio Ponti, uno dei grandi maestri del nostro secolo, ha trovato, assieme a quello di Pierluigi Nervi e degli altri loro associati, finalmente spazio mediatico, anche se sempre riferito alla paternità del progetto del grattacielo Pirelli e mai affiancato, tipico malcostume italico, ad analisi critiche sul suo valore internazionale, e quindi delle sue opere, in modo da riuscire a inquadrare correttamente il valore culturale della torre danneggiata. Torre che, da quando è stata abbandonata dai suoi inquilini originari e acquisita dalla Regione Lombardia, ha dovuto subire l’incuria tipica delle pubbliche amministrazioni, ristrutturazioni devastanti al suo interno e la perdita della sua pelle originale che rivestiva completamente le “prue” in cemento laterali alla facciata in alluminio e vetro. Io c’ero quando fu costruita, ero uno dei tanti giovani collaboratori di Gio Ponti e ho avuto la fortuna di conoscere la genesi delle scelte architettoniche e delle finiture. Tutte le superfici interne calpestabili erano in gomma “fantastico Ponti”; così fu chiamata per la meraviglia delle sue mescole di colore ottenute con intuizioni geniali da Ponti. Ogni dettaglio era stato curato e disegnato: dalle pareti mobili ai profili di alluminio della facciata. Facciata che originariamente avrebbe dovuto essere completamente trasparente per poi essere realizzata con i pannelli dei parapetti opachi per volontà del committente. Anche prima dello schianto dell’aereo i danni dell’incuria e del non rispetto erano gravi e notevoli. Si lasciava al degrado perché, fu detto, che non era più possibile rivestire le parti con “gresite” dato che la fabbrica non esiste più: erano piccole piastrelle sottili di 2x2 cm, con superficie grigia e lucida a buccia d’arancio, per riflettere la luce in modo particolare. Rivestimento questo che potrebbe essere riprodotto, sempre non manchi la volontà e la cultura che normalmente si dedicano al restauro dei monumenti antichi. I pavimenti e le partizioni interne originali erano stati tutti rimossi e sostituiti con prodotti che nulla hanno a che fare con il linguaggio pontiano. Ora che danno si è sovrapposto a danno, spero che la città di Milano non continui la sua tradizionale superficialità e disamore verso i “beni” del nostro secolo e si impegni a recuperare la Torre alle condizioni iniziali di progetto. Se non ci sono più i profili di alluminio originali si fanno rifare le trafile, come pure i rivestimenti e per tutti gli altri particolari vandalizzati dal tempo e dall’incuria. Ricordo agli amministratori di Milano e della Regione che questa città è conosciuta nel mondo, otre che per i suoi monumenti storici e per la sua ricchezza, anche per l’eccezionale contributo dato nel secolo scorso alla cultura internazionale dell’architettura e del design. Beni e qualità che vanno tutelati con passione, e non continuando a “sopportare” la loro presenza con indifferenza e con disinteresse. Ricordo nuovamente ai lettori che Milano negli anni scorsi ha demolito un Teatro di Burri al Parco, ha “dimenticato”, sempre al parco, la “piscina” di De Chirico e la “tribuna” di Arman, ha demolito le facciate del Corriere della Sera, sempre di Gio Ponti e Alberto Rosselli, e attualmente sta demolendo il “segno luminoso” di Ian Ritchie prima ancora di finirne la costruzione. Operazioni tutte sollecitate dai soliti “anziani” artisti locali benpensanti che con visioni “personali” continuano a ostacolare ogni intento di progresso di cultura e di respiro internazionale. Tutti segni pericolosi di imbarbarimento e di provincialità. Per la Torre Pirelli occorrerebbe solo procedere come ha fatto la città di New York per il famosissimo Seagram Building, dove tutto è stato restaurato nel rispetto totale dell’opera originale e una commissione preparata, culturalmente e scientificamente, tutela che nessuno apporti modifiche. Sarà possibile?
A
few weeks ago a small plane crashed into the Pirelli Tower in Milan, killing three people and causing considerable damage to the building. The dramatic nature of this tragic event suddenly made the city aware that it has its own heritage of modern-day architectural assets. A heritage that people ought to know about, boast about and protect, and in the case of damage or destruction restore to its original state. The name Gio Ponti, one of the great 20th-century masters, together with Pierluigi Nervi and their associates, finally found its way into the news, but only as the architect who designed the Pirelli skyscraper and not (a typical case of bad Italian practice) alongside critical reviews of Gio Ponti’s international status and the quality of his works, in order to provide a proper picture of the cultural worth of the damaged tower. A tower which, ever since its original tenants left and it was taken over by the Lombardy Regional Council, has been given the usual treatment from public administrations, devastating modernisation work on the inside and the loss of its original skin that used to completely cover the concrete “hulls” at the sides of the glass and aluminium facade. I was there when it was originally built, I was one of Gio Ponti’s numerous young assistants and was lucky enough to witness how the architectural design and finishing touches gradually took shape. All the inside surfaces for walking on were made of “fantastic Ponti” rubber. This was the name given to the wonderful mixtures of colour that he so brilliantly devised. Every detail was carefully developed and designed from the mobile walls to the aluminium facade panels. A facade that was originally supposed to be completely transparent only to eventually be made of panels with opaque parapets as commissioned by the client. Even before the plane crash there was plenty of serious damage due to negligence and neglect. The building was left to go to ruin because it was claimed that it could not be clad with “gresite” because the factory had closed down: these were small tiles measuring only 2x2 cm with shiny grey orange-peel surfaces to reflect the light in a special way. A cladding that could be reproduced if there was the right determination and cultural awareness required to restore an old monument. The original interior partitions and floors were all removed to be replaced with products that are quite alien to Ponti’s own stylistic idiom. After all this damage, I hope that the Milan City Council will stop being so superficial and unaffectionate towards 20th-century “assets” and finally commit itself to restoring the Tower to its original design state. If the original aluminium sections are missing, then the dies can be remade, and the same goes for the claddings and all the other features vandalised by the passage of time and lack of care. I would like to remind the city and regional councillors that this city is world famous not only for its historical monuments and wealth, but also for its remarkable contribution to the 20th-century international architectural and design scene. Assets and qualities that need to be safeguarded with real passion and not just “put up with” quite indifferently and with a total lack of real interest. I would also like to remind readers once again that over recent years Milan has knocked down a Theatre designed by Burri in the park, “forgotten” all about De Chirico’s “water pool” and Arman’s “tribune” again in the park, demolished the facades of the Corriere della Sera building also designed by Gio Ponti and Alberto Rosselli, and is currently in the process of knocking down the “luminous sign” designed by Ian Ritchie even before it has finished being built. All commissioned by the same “old” conservative local artists whose “personal” visions keep on preventing any attempts at cultural progress on an international level. All worrying signs of a real lack of culture and provincial way of thinking. In the case of the Pirelli Tower, we need only follow the example set by the city of New York for its famous Seagram Building, where everything was restored to its original status and a culturally/scientifically competent commission made sure no serious alterations were made. Is this likely to happen?
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V
erso l’i-(m)possibile
nostro destino è conciliare l’inconciliabile.” - W. Goethe. “I lFaust Origine ed evoluzione della specie digitale: ENIAC e il display definitivo Anno 1944. Da un progetto collaborativo dell’Università della Pennsylvania coordinato da John Mauchly e J. Presper Eckert jr. nasce il calcolatore elettronico digitale capace di elaborare dati a velocità incomparabilmente maggiori di qualunque altro congegno meccanico fino ad allora concepito. Prima dell’avvento dell’Electronic Numerical Integrator and Computer per sapere se un proiettile a lunga gittata avrebbe o no raggiunto l’obiettivo, si cercavano nelle tabelle di tiro i dati con la migliore approssimazione al peso del missile, alla forza a esso applicata e alle condizioni atmosferiche attraverso le quali avrebbe viaggiato. Per ottenere una traiettoria di 60 secondi servivano tra due e quattromila operazioni, una persona con un calcolatore meccanico da tavolo impiegava non meno di 20 ore: ENIAC risolveva lo stesso problema in soli 30 secondi; pesava 30 tonnellate, la sua velocità era di 0,1 MHz (100.000 pulsazioni per secondo) contro gli 800 MHz dei personal computer attuali. Fino agli anni Sessanta i movimenti di un aeromobile venivano riprodotti mediante dispositivi pneumatici che imitavano il volo ma non riuscivano a simularlo. La simulazione implica la risoluzione di algoritmi, ovvero di quei procedimenti matematici compiuti senza ricorrere a immaginazione o creatività; il calcolatore incamera i dati, li elabora ed emette il risultato sotto forma di impulsi elettrici poi trasformati in informazioni grafiche e suoni. Nel 1965 Ivan Sutherland, considerato il padre della realtà virtuale, teorizza il display definitivo, “una stanza entro la quale si può controllare l’esistenza della materia”: la cui applicazione e perfezionamento successivo include la dimensione tattile e cinestetica: il primo simulatore di volo con sistema di controllo della forza per muovere la cloche, i pedali e operare la riproduzione del paesaggio.
Campi naturali: onde, vortici, flussi All’inizio del Novecento Jules Henri Poincaré approfondisce gli studi sulle relazioni di tipo qualitativo attraverso la topologia, una matematica visuale che consente lo sviluppo della teoria dei sistemi dinamici, fornendo gli strumenti per descrivere i fenomeni non lineari che portano ordine nel caos. Negli anni Sessanta le sue ricerche pongono le basi per la nascita della matematica della complessità, con ricadute straordinarie per gli studi sulla forma e quindi anche nello specifico dell’architettura. La visualizzazione di algoritmi attraverso il display ha rivelato forme altrimenti impercettibili come l’insieme di Mandelbrot, il più complesso oggetto matematico mai inventato, generato dall’iterazione di poche e semplici regole. Autosimilarità, varietà e complessità straordinarie si ritrovano ingrandendo l’oggetto frattale fino a 100 milioni di volte. Nello stesso periodo arte programmatica, body art, happening, performance e installazioni in Europa, minimalismo e postminimalismo in America anticipano il passaggio da oggetto a campo. Robert Morris, Dan Flavin e Donald Judd superano le consuete variazioni formali e compositive per far interagire lo spazio della galleria con il corpo del visitatore. Keith Sonnier, Eva Hesse e Barry Le Va perseguono invece il passaggio dalla forma al processo creativo, la cui realizzazione non è più una figura che si stacca da un fondo stabile ma è un effetto che emerge da una serie di elementi regolari e ripetitivi quali picchi, vallate, onde, vortici, flussi. Nel 1963 il filosofo Paul Virilio fonda con l’architetto Claude Parent, il pittore Michel Carrade e lo scultore Morice Lipsi “Architecture Principe”. Lo sforzo teorico del gruppo si orienta “verso la topologia o per lo meno la non-ortogonalità” viste attraverso l’obliquo, che, definendo piani inclinati percorribili, elimina le separazioni verticali dei muri resi inaccessibili dalla gravità. Merito di Virilio è il ripensamento della secolare dualità fronte-retro attraverso l’impostazione di una nuova dualità sopra-sotto caratteristica dell’obliquo. Nonostante diagrammi teorici, modelli, installazioni e progetti realizzati a supporto della visione obliqua gli strumenti in loro possesso non erano ancora adeguati per supportare la complessità sottesa all’intuizione: il gruppo si scioglie nel 1970. Dagli anni Ottanta gli studi matematici sulla modellazione di superfici come le membrane saponate, le superfici non orientabili e i buchi, danno impulso alla programmazione di software sempre più sofisticati che consentono la costruzione e la manipolazione di algoritmi e forme complesse: il primo esempio di applicazione per la progettazione architettonica è il famoso “FormZ”. Nel progetto del 1990 per un hotel ad Agadir, Rem Koolhaas propone una strategia che innova il programma funzionale attraverso la modellazione plastica di una duna artificiale: è la superficie singola differenziata. Egli abbandona presto questa tecnica perché non interessato alle implicazioni formali e perché presuppone il controllo attraverso gli strumenti della modellazione digitale a lui non congeniali. Alejandro Zaera-Polo e Farshid Moussawi, ex OMA, vincono nel 1995 il concorso per il Ferry Terminal di Yokohama evolvendo una strategia analoga a quella di Koolhaas. Il progetto trae spunto dai diagrammi matematici di biforcazione per attuare il programma innovativo da cui deriva il disegno delle superfici conti2 l’ARCA 171
di Luigi Centola
nue; la struttura integra ed evolve l’idea architettonica controllata digitalmente. Il risultato è l’articolazione continua di un terreno artificiale ondulato e sempre percorribile ottenuto per sezioni approssimate sempre più ravvicinate. Un parco urbano, che si solleva dolcemente dal piano stradale per articolarsi in fluide rampe che collegano gli spazi interni ed esterni a quote diverse. A distanza di trent’anni si realizza la dualità sopra-sotto teorizzata da Virilio; Zaera-Polo e Moussawi costruiscono i loro progetti più interessanti seguendo tutt’oggi questa linea programmatico-spaziale. Nel progetto del 1997 per la casa virtuale, Peter Eisenman demanda la genesi della forma a un processo regolato da un software di animazione che fa interagire campi e flussi tra due punti, questi si articolano indifferentemente sopra e sotto la linea di terra. Concettualmente il progetto influenzerà molti lavori successivi: la chiesa del 2000 a Roma, il teminal di Staten Island e il Centro Culturale di Santiago de Compostela che sembrano proprio nascere e interagire con il terreno. Diversamente da Zaera-Polo e Moussawi le superfici esterne non sono quasi mai percorribili, le esigenze estetico-formali sono dissociate dal programma e dall’uso. Sempre nel 1997 Zaha Hadid, a partire dal Padiglione LF One a Weil am Rhein in Germania, passa da volumi semplicemente appoggiati al terreno a morbidi cunei che si sollevano gradualmente da esso, da oggetti che si stagliano in modo austero nel paesaggio a un paesaggio manipolato come estensione artificiale del terreno. Fluide appendici della natura prendono il posto di oggetti-monumento simbolo di potenza e autocompiacimento. Flussi e network sostituiscono le forme, l’obliquo e la continuità si articolano dalle faglie di un terreno modellato e aperto alla fruizione collettiva. Il gruppo Urban Future Organization vince nel 1999 il concorso per la Concert Hall di Sarajevo evolvendo alcune tra le strategie della Hadid. Un vortice urbano inviluppa lo spazio informe del parco incanalando una serie di flussi e percorsi verso gli ingressi del nuovo complesso quasi completamente interrato; parte del vortice si alza dal terreno per far penetrare la luce e per dare continuità ai percorsi inclinati verso l’interno. La copertura è una superficie articolata che diventa naturale prosecuzione e punto focale del parco urbano e della nuova piazza. Progetto paesaggistico e auditorium si fondono indissolubilmente nel vortice che riordina l’assetto di un intero quartiere di Sarajevo. E’ in fase di ultimazione il progetto del museo presso Berna che ospiterà la Collezione Paul Klee. Renzo Piano interviene alterando lievemente la topografia di un angolo di paesaggio naturale. Tre dossi contengono gli spazi principali del museo, la struttura portante in costole curve all’esterno si fonde con il paesaggio, mentre all’interno sprofonda sotto la linea di terra. La copertura diventa allo stesso tempo sostegno strutturale e calpestio. Molti edifici di Piano si originano dal rapporto con il suolo: il museo delle scienze di Amsterdam, il centro commerciale di Nola, la proposta per l’Arena Saitama in Giappone, ma, a Berna, per la prima volta copertura, struttura e superficie si fondano in un unico organismo coerente. Campi digitali: sensori, interattività, emozione Nel 1970 il matematico inglese John Conway scrive il programma “Vita”, un universo miniaturizzato in continua evoluzione. Sul display una griglia bidimensionale con quadratini neri e quadratini bianchi, la cui configurazione iniziale è arbitraria. Una volta iniziato il gioco i quadratini vivono o muoiono secondo alcune semplici regole di vicinanza che sembrano rappresentare una forma primordiale di esistenza digitale. Trent’anni fa il progredire del gioco stupì per la vitalità delle sequenze di evoluzione e di auto-organizzazione. Sin dagli anni Sessanta il medico e biologo Humberto Maturana concepisce tutti i sistemi viventi attraverso il processo che li realizza e non in rapporto al loro ambiente. Nel 1974 insieme a Francisco Varela e allo scienziato informatico Ricardo Uribe ispirati dal programma “vita” e partendo da alcune regole locali, simulano al computer la teoria delle reti autopoietiche (dal greco autos=sé, poiesis=creazione). L’autopoiesi è la caratteristica fondamentale dei sistemi viventi che posseggono una struttura organizzata in grado di mantenere e rigenerare nel tempo la propria unità e la propria autonomia rispetto alle variazioni dell’ambiente circostante, attraverso la creazione delle proprie parti costituenti, che a loro volta contribuiscono alla generazione dell’intero sistema. Il biologo evoluzionista Stuart Kauffman e il gruppo di lavoro del Santa Fe Institute nel New Mexico sviluppano schemi a rete dei sistemi viventi. Gli Uccelloidi di Craig Reynolds del 1987 sono creature virtuali nate dall’evoluzione algoritmica. Lo stormo si auto-regola attraverso indicazioni riferite al singolo e agli immediati vicini, mentre forma e movimento del gruppo sono incontrollati; niente impone la sua formazione, eppure emerge. Inizialmente gli uccelloidi sono disseminati a caso sul display, successivamente si riuniscono in una organizzazione in grado di aggirare gli ostacoli deviando, separandosi e ricongiungendosi come se la soluzione fosse stata pianificata globalmente. Nel 1989 Tim Berners-Lee, dallo sviluppo di un programma retiforme e dal collegamento di ipertesto e internet, realizza il world wide web, la rete delle reti, ultima di una serie di invenzioni che hanno rivoluzionato gli strumenti della comunicazione. Il web ha sovvertito il rapporto uno a uno oppure uno a tutti, divenendo
■ In
basso/bottom David Raponi/HOV, study for Glossity.
in pochi anni il mezzo per la creazione di un nuovo universo non gerarchico, uno strumento per l’interazione in tempo reale, “un’utopia che ci regala una libertà mai vista prima” e che favorisce la crescita decentrata e organica di idee, una crescita esponenziale resa possibile dalla crescente velocità dei processi. Tra il 1993 e il 1997 Lars Spuybroek realizza il progetto del padiglione Fresh H2O Expo. Il risultato è il primo spazio che integra le tecnologie del virtuale all’interno dei processi di progettazione, esecuzione e fruizione. Non solo un esercizio formale: computer, sensori, proiezioni, sistemi sonori, interattività e algoritmi di controllo entrano completamente a far parte dello spazio. Il tema del museo dell’acqua si rivela stimolante per le sperimentazioni sull’interno liquido e sull’obliquo anche se i risultati dell’interno non esprimono la stessa tensione all’esterno risolto in un guscio deformato senza alcuna risposta al contesto. Nel 2002 Sonia Cillari realizza una installazione immersiva in collaborazione con Bert Bongers per il progetto dei sensori e Yolande Harris per il suono. Neutro è un ambiente interattivo che esplora le complessità spaziali con la generazione di processi dinamici, utilizzando un sofisticato sistema di sensori di locazione che trasformano luce e suono al suo interno. I sensori sono attrattori, analizzatori di variabilità caotica: zona di tempo e spazio di dimensioni minime intorno a cui si verifica l’imprevedibile fenomeno dinamico. Sono connessi ai gradi di libertà che il movimento dei partecipanti può avere nei vari piani dello spazio. Gli “human performers” interagiscono con l’intorno allo scopo di analizzare le informazioni in esso contenute. Mark Goulthorpe, alla guida di un team multidisciplinare, realizza già dal 1998 alcuni prototipi funzionanti di Hyposuperficie, una fitta serie di pistoni controllati elettronicamente collegati a una superficie composta di elementi triangolari indipendenti e orientabili. La struttura, ideata in principio come pezzo artistico per trasferire interattivamente movimenti, suoni e sensazioni, presenta alcuni interessanti sviluppi come la possibilità di costituire una pelle modificabile per un controllo ottimale del microclima e della luce. Nel 2001 S-Tuff e Antonella Mari utilizzano le potenzialità di dilatazione di un metallo liquido per trasformare le superfici della Casa di Mercurio. Una pelle esterna, sottile strato di new-merc inglobato tra due lastre di vetro sottovuoto, testa un modello di interattività spontanea incontrollata. La casa di mercurio ha la capacità di aumentare il suo livello di chiusura al crescere della temperatura per creare situazioni visive e spaziali inaspettate, in continua trasformazione. Il sottile strato traslucente di new-merc, preparato sintetico, non tossico, funziona sia come schermo bioclimatico, che come immagine della casa che riflette e deforma l’ambiente esterno e le diverse condizioni di luce. Anno 2002. Kas Oosterhuis descrive Towards an E-motive Architecture, proposta per la ricostruzione dell’area del world trade center dopo il disastro dell’11 Settembre. Il movimento e la trasformazione sia del sistema strutturale che della superficie esterna si adattano a diverse situazioni temporali, per lo più simboliche e commemorative, che si susseguono nel corso dell’anno. Anche il Noord Holland Pavilion per Floriade ‘02 è un edificio strumentale capace di dare di più della passiva contemplazione multimediale. Oosterhuis concepisce la struttura come uno strumento che può essere suonato dai suoi utenti, un corpo sensibile dal comportamento responsivo e dalle configurazioni multiple, statiche o dinamiche, che aspetta l’attivazione indotta dal corpo umano. David Raponi inizia nel 1998 lo studio di Glossity, sperimentazione astratta di città che immagina un dominio di insediamenti auto-referenziali basati su un modello sociale governato da moti di intelligenza collettiva dove ogni azione apparentemente rivolta all’ambiente esterno è compiuta per la conservazione della coerenza interna del sistema vivente. Il programma funzionale sviluppa gli interessi, i desideri e le necessità degli uomini di oggi interrogati con un preciso questionario simile a un test psicologico. L’aspetto emozionale si esprime nella ricerca sulla forma statica o in movimento e nella risposta sensibile della pelle degli edifici progettati: centro di riproduzione intensiva, campo di isolamento riflessivo, museo dell’emozione. Marcos Novak è protagonista insieme a John Frazer e pochi altri architetti programmatori dei progressi della ricerca e degli ultimi vent’anni di sperimentazione: algoritmi, modelli matematici auto-evolutivi e feedback applicati alla morfogenesi e al design di spazi virtuali interattivi e multisensoriali. E’ del 2001 l’installazione Eduction, che ha l’ambizioso programma di rappresentare lo spazio mentale nello spazio digitale con un approccio multisensoriale. Novak sviluppa progressivamente uno spazio in VRML che acquisisce informazioni dalle successive esperienze di navigazione degli utenti in un processo di feedback continuo. Il sistema sonoro immersivo con una serie casse che circondano l’utente è generato da un software che si evolve con l’uso. I progetti di campi naturali presentano differenze ascrivibili soprattutto alla metodologia e alla geometria, un denominatore comune risulta l’attenzione alla sostenibilità e la capacità di pensare l’inserimento nel paesaggio, naturale o antropizzato, attraverso una sensibilità scientifica che non è organica né minimalista. La rinnovata coscienza ecocompatibile indica l’unica linea di ricerca possibile. L’artificialità è dichiarata dalle forme e dai materiali usati, la continuità interna ed esterna si legge nell’articolazione delle superfici singole, nella spazialità e nei
materiali, sopra e sotto la linea di terra. Lo sviluppo costante della tecnica e dei software aiuta a controllare in tempo reale tutti i parametri progettuali seguendo un’evoluzione lenta ma progressiva. I progetti di campi digitali richiedono la capacità di aggregare competenze eterogenee, distanti dal tradizionale modo di operare. Nuovi rapporti professionali dovrebbero intercorrere tra ingegneri elettronici, programmatori, matematici, fisici, biologi e artisti digitali per realizzare progetti integrati di suono, immagine, luce, materiali sperimentali e tool digitali che grazie all’interattività e all’autoorganizzazione possono intensificare l’esperienza della realtà. L’evoluzione non è lineare, siamo in un territorio nuovo, con sperimentazioni appena all’inizio che promettono di avvicinare l’architettura ai risultati di altre discipline riportando l’uomo, il corpo e la mente al centro dell’attenzione. Nella rete della vita descritta da Fritjof Capra come nuova visione della natura e della scienza, l’architettura era assente. Anche l’architetto ha bisogno di pensare sempre più in maniera sistemica, spostando l’attenzione dalle forme alle relazioni e ai processi. Una visione per troppo tempo frammentata ci ha allontanato dalla natura e dai nostri simili, la “trama della vita” suggerisce una riconnessione indispensabile dove il mondo naturale e il mondo digitale convergono sempre più: questa convergenza è probabilmente uno degli avvenimenti culturali più importanti della nostra epoca. Bibliografia/Bibliography Piergiorgio Odifreddi, La Matematica del Novecento, dagli insiemi alla complessità, Einaudi Torino 2001 Tim Berners-Lee, L’Architettura del nuovo web, Feltrinelli Interzone - Milano 2001 - v.o. 1999 AA VV, The Function of the Oblique, “The architecture of Claude Parent & Paul Virilio”, AA Publications - London 1996 Fritjof Capra, La rete della vita, Superbur Biblioteca Universale Rizzoli - Milano 2001 - v.o. 1996 Stuart Kauffman, A casa nell’universo, le leggi del caos e della complessità, Editori Riuniti, Roma 2001 - v.o. 1995 Roberto Casati / Achille Varzi, Buchi e altre superficialità, Garzanti Elefanti, Milano 2002 - v.o. 1994 Morris Mitchell Waldrop, Complessità, Instar Libri, Torino 1996 - v.o. 1992 Benjamin Woolley, Mondi virtuali, Bollati Boringhieri, Torino 1993 - v.o. 1992 Benoit Mandelbrot, Gli oggetti frattali, Einaudi Paperbacks Scienza, Torino 1987 - v.o. 1975
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■ Nella
pagina a fianco, a sinistra dal basso: Kas Oosterhuis, rendering per il Noord Holland Pavilion a Floriade 2002; Paul Virilio, schema per Habitable Stasis-Habitable Circulation; Francisco Varela, simulazione al computer di una rete autopoietica; schema dello spostamento figurasfondo dagli oggetti alle relazioni. Nella pagina a fianco, a destra, dal basso in alto: David Raponi/HOV, rendering per Glossity; Urban Future Organization, modello per la Concert Hall di Sarajevo; S-Tuff , studio per Casa di Mercurio. In alto, Marcos Novak, rendering di ie4D. Sopra, Lars Spuybroek, interno del padiglione Fresh H2O Expo. A sinistra, modello per il nuovo museo della Collezione Paul Klee a Berna e, sotto, Mark Goulthorpe/Decoi, Hyposuperficie.
■ Opposite
page, left, from bottom: Kas Oosterhuis, rendering for the Noord Holland Pavilion in Floriade 2002; Paul Virilio, diagram for Habitable Statis-Habitable Circulation; Francisco Varela, computer simulation of an autopoietic web; diagram showing the shift in relations between figurebackground. Opposite page, right, from bottom up: David Raponi/HOV, rendering for Glossity; Urban Future Organisation, model for the Sarajevo Concert Hall; S-Tuff, study for Mercury House. Top, Marcus Novak, rendering of ie4D. Above, Lars Spuybroek, interior of the Fresh H20 Expo pavilion. Left, model for the new museum housing the Paul Klee Collection in Berne, and below, Mark Goulthorpe/Decoi, Hyposurfaces.
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-(m)possible architecture
I
fate is to reconcile the irreconcilable.” - W. Goethe. “O urFaust Origin and Evolution of the Digital Species: ENIAC and the Definitive Display 1944. A University of Pennsylvania joint-venture co-ordinated by John Mauchly and J. Presper Eckert jr. resulted in the invention of a digital electronic computer capable of processing data at speeds incomparably higher than any other previously devised mechanical device. Prior to the invention of the Electronic Numerical Integrator and Computer, the only way of working out whether a long-range missile would hit its target was to consult the trajectory tables based on the closest approximation of the missile’s weight, the force applied to it, and the atmospheric conditions it would be flying through. It took a person using a table-top mechanical calculator no less than 20 hours to perform between two and four thousand calculations to work out a 60-second trajectory: ENIAC could solve the same problem in just 30 seconds; it weighed 30 tons and operated at a speed of 0.1 Mhz (100,000 pulses per second) compared to the 800 Mhz of modernday personal computers. Until the 1960s the movements of an aeroplane were reproduced using pneumatic devices that imitated flight without actually simulating it. Simulation involves solving algorithms, or in other words those mathematical procedures calculated without using the imagination or creativity; the computer takes in the data, processes it and gives out the result in the form of electric impulses converted into graphic information and sounds. In 1965 Ivan Sutherland, considered the father of virtual reality, described the definitive display as “a room in which you can control the existence of matter”, eventually developed and applied to encompass touch and motion: the first flight simulator with a power control system to move the joy-stick and pedals and reproduce the landscape. Natural Fields: Waves, Vortexes, Flows In the early 20th century Jules Henri Poincaré carried out in-depth studies into qualitative relations by means of topology, a form of visual mathematics developing the theory of dynamic systems and providing the means of describing non-linear phenomena bringing order to chaos. In the 1960s his research laid the foundations for the development of the mathematics of complexity with its incredible implications for studies into form and hence for architecture in particular. The visualising of algorithms on monitors revealed otherwise imperceptible forms like the Mandelbrot set, the most complicated mathematical object ever invented, created by repeating a few simple rules. Self-similarity, variety and incredible complexity are found by enlarging the fractal object up to 100 million times. During this same period, programmatic art, body art, happenings, performance art and installations in Europe, and minimalism and post-minimalism in America anticipated the transition from object to field. Roert Morris, Dan Flavin and Donald Judd moved beyond the usual stylistic/formal variations to bring together the gallery space and visitor’s body. Keith Sonnier, Eva Hesse and Barry Le Va concentrated on the transition from form to creative process, which was no longer just a figure against a stable background, but an effect emerging from a series of regular, repetitive elements like peaks, troughs, waves, vortexes and flows. In 1963 the philosopher Paul Virilio set up “Architecture Principe” in conjunction with the architect Claude Parent, the painter Michel Carrade and the sculptor Morice Lipsi. The group’s theorising focused “on topology or at least non-orthogonality” seen obliquely, which, by setting up sloping planes that can be moved along, removes the vertical separations of walls that gravity has placed out of reach. Virilio deserves credit for re-thinking the age-old dualism between front and back by setting up a new form of dualism between above and below characteristic of obliques. Despite all the theoretical diagrams, models, installations and projects carried out to back-up oblique vision, the means at their disposal were not yet capable of handling the complexity underlying intuition: the group split up in 1970. 1980s’ mathematical studies into the shaping of surfaces like soapy membranes, undirectable surfaces and holes providing input for programming increasingly sophisticated software allowing the construction and manipulation of complex forms and algorithms: the first example of an application in architectural design was the famous “FormZ”. Rem Koolhaas’s 1990 project for a hotel in Agadir sets out to update the functional programme by sculpting an artificial dune: this is the single differentiated surface. He soon abandoned this technique due to a lack of interest in its stylistic implications and also because it assumes control by means of digital shaping tools that do not really suit him. Alejandro Zaera-Polo and Farshid Moussawi, formerly with OMA, 6 l’ARCA 171
by Luigi Centola
won the 1995 competition for the Yokohama Ferry Terminal drawing on a similar approach to Koolhaas. The design draws inspiration from mathematical biforcation diagrams to implement an innovative programme for designing the curtain surfaces; the structure supplements and develops a digitally controlled architectural idea. The result is the setting out of an undulating artificial terrain (constantly accessible) created by means of increasingly close approximate sections. A city park rising gently up from the road level to form a series of smooth ramps connecting together the inside and outside spaces at different levels. Thirty years on, Virilio’s theory of above-below dualism was finally brought into act; Zaera-Polo and Moussawi still design their most interesting projects along these programmatic-spatial lines. Peter Eisenman’s 1997 project for a virtual house designs form around a process controlled by a software animation programme that makes fields and flows interact between two points, both above and below the ground line. The project influenced plenty of other subsequent works on a conceptual level: the church of the year 2000 in Rome, the Staten Island Terminal and the Santiago de Compostela Cultural Centre, that all appear to emerge from and interact with the ground. In contrast with Zaera-Polo and Moussawi, the outside surfaces can hardly ever be accessed and aesthetic-stylistic demands are kept separate from the building’s programme and how it is used. Once again in 1977, Zaha Hadid (starting with her LF One Pavilion in Weil am Rhein in Germany) moved on from structures simply resting on the ground to soft wedges slowly rising off it, from objects standing out austerely from the landscape to a landscape treated like an artificial extension of the ground. Smooth slopes of nature replace monumental objects symbolising power and smugness. Flows and networks replace forms, obliques and curtain surfaces emerge from the faults in carefully shaped land open to the entire community. The Urban Future Organization team won a 1999 competition to design a Concert Hall in Sarajevo, working on some of Hadid’s strategies. An urban vortex envelops the park, channelling a series of flows and paths towards the entrances to the new complex, which is almost totally underground; part of the vortex rises up from the ground to let in light and give a sense of continuity to the inward-sloping paths. The roof is an intricate surface that turns into a natural continuation and focal point of the city park and new square. The landscape design and auditorium are woven inseparably together in the vortex, rearranging the layout of an entire neighbourhood of Sarajevo. The project to design a new museum for holding the Paul Klee Collection in Berne is currently being completed. Renzo Piano has slightly altered the topography of a corner of natural landscape. Three mounds hold the main museum spaces, the bearing structure made of curved ribs on the outside knits into the landscape, while plunging below grade level on the inside. The roof is simultaneously a structural support and walkway. Lots of Piano’s buildings derive from a relationship with the ground: the Science Museum in Amsterdam, the Shopping Mall in Nola, and the design for the Saitama Arena in Japan, but the Berne project is the first time the roof, structure and surface have been combined to form one single coherent organism. Digital Fields: Sensors, Interactivity, Emotion The English mathematician John Conway wrote the “Life” programme in 1970, a miniature universe in constant evolution. The monitor shows a two-dimensional grid of black and white squares, initially arranged in a quite random way. Once the game begins, the squares live or die according to some simple rules of vicinity that seem to embody a primeval form of digital life. Thirty years ago this game was astounding for the vitality of its sequences of evolution and self-organisation. Back in the 1960s, the biologist Humberto Maturana treated all living systems in terms of the process that created them and not their relations to the environment. In 1974, working with Francisco Varela and the computer scientist Ricardo Uribe, inspired by the “life” programme and drawing on some local rules, he carried out a computer simulation of auto-poietic networks (from the greek autos=self, poiesis=creation). Self-creation is the distinctive feature of living systems possessing an organised structure capable of maintaining their unity and independence through time as the surrounding environment changes by creating their own constituent parts, which in turn help generate the entire system. The evolutionary biologist Stuart Kauffman and the team from the Santa Fe Institute in New Mexico developed network diagrams for living organisms. Craig Reynold’s Boids from 1987 are virtual creatures devised out of algorithms. The flock self-adjusts based on information regarding an individual bird and those in its immediate vicinity, while the flock’s form and motion are uncontrolled; nothing forces it to take form, but it does. The
■ In
basso/bottom Mark Goulthorpe/Decoi, Hyposurfaces.
virtual birds are initially spread randomly over the monitor, subsequently combining into an organisation capable of negotiating obstacles, diverting, separating and then coming back together as if the solution had been planned on a group level. Working on a web-like programme and hypertext/Internet connection, Tim Berners-Lee created the world wide web in 1989, the network of all networks, the latest in a series of inventions that revolutionised means of communication. The web turned the one/one or one/all relationship on its head, soon becoming the means of creating a new non-hierarchical world, a means of real-time interaction, “a utopia offering previously unheardof freedom” favouring the structural, decentralised development of ideas, exponential growth made possible by the increasing speed of processes. Lars Spuybroek designed the Fresh H2O Expo Pavilion from 1993-1997. The result is the first space incorporating virtual technology in processes of design, construction and usage. This is not just an exercise in style: computer, sensors, projections, sound systems, interactivity and control algorithms form an integral part of space. A water museum turns out to be an interesting way of experimenting on liquid contents and obliques, even though the internal contents do not display the same tension on the outside, merely forming a misshapen shell that fails to relate to its context. In 2002 Sonia Cillari designed an immersive installation in conjunction with Bert Bongers for the sensors design and Yolande Harris for the sound system. Neutro is an interactive environment exploring spatial complexity by generating dynamic processes using an elaborate system of tracking sensors transforming light and sound inside it. The sensors attract and analyse chaotic variations: a spatio-temporal zone of minimum size around which unpredictable dynamic phenomena unfold. The sensors are connected to the varying degrees of freedom the performer display in the various spatial planes. The “human performers” interact with the surrounding environment in order to analyse the information it contains. Mark Goulthorpe, heading a multi-disciplinary team, designed a number of working prototypes of Hyposurfaces back in 1998, a dense pack of electronically controlled pistons connected to a surface of independent, adjustable triangular elements. The structure, initially designed as an art piece to interactively transfer movements, sounds and sensations, can be developed along interesting lines, such as the possibility of constructing a skin that can be altered to control the micro-climate and light as effectively as possible. In 2001, S-Tuff and Antonella Mari exploited the dilating properties of a liquid metal to transform the surfaces of Casa di Mercurio. An outside skin, a thin layer of new-merc sandwiched between two sheets of glass in a vacuum, tests out a model of spontaneously controlled interactivity. The mercury home can increase its level of closure as the temperature rises to create unexpected, constantly changing visual/spatial situations. The thin translucent layer of new-merc, a non-toxic synthetic substance, acts as both a bio-climatic shield and image of the house reflecting and deforming the outside environment and varying the lighting conditions. Year 2002. Kas Oosterhuis describes his Towards an E-motive Architecture as an idea for transforming the area where the World Trade Center used to stand prior to the tragic events of 11th September. The moving and transforming of both the structural system and outside surface can be adapted to different weather conditions (mainly symbolic and commemorative) as the year goes by. The Noord Holland Pavilion for Floriade ‘02 is also designed to provide for more than just passive multi-media contemplation. Oosterhuis has designed the structure like an instrument that users can play, a sensitive body that reacts and responds and can be placed in multiple static of dynamic settings ready to be activated by the human body. David Raponi began his work on Glossity in 1998, an abstract experimental city envisaging self-referential settlements based on a social model controlled by collective thought-waves, in which action apparently directed at the outside environment is actually calculated to preserve the internal coherence of its system of life. The functional programme develops the interests, desires and needs of modern-day people, who are asked to complete a questionnaire similar to a psychological test. Its emotional side is expressed through research into static form or form in motion and sensitive reactions to the skill of designer buildings: an intensive reproduction centre, reflexive insulation field, museum of emotion. Marcos Novak , together with John Frazer and a few other architects, has been programming the last twenty years or so of progress and experimentation: algorithms, self-evolving mathematical models and feedback applied to morphogenesis and the design of multi-sensory/interactive virtual spaces. The Education installation dates back to 2001 and set itself the ambitious task of representing mental space in digital space through a multisensory approach. Novak has gradually developed a VRML space acqui-
ring information from users’ successive experiences surfing through a constant feedback process. The immersive sound system, featuring a series of speakers surrounding the user, is generated by a software programme that evolves as it is used. The differences in projects involving natural fields are mainly due to method and geometric form, but one common denominator is attention to sustainability and the ability to think of incorporation in the (natural or anthropised) landscape in terms of a form of scientific awareness that is neither organic nor minimalist. A new form of eco-compatible awareness points to the only line of research possible. Its artificial nature is openly avowed in the forms and materials used, internal and external continuity can be read in the layout of individual surfaces, spatial forms and materials, both above and below ground level. Continuing progress in technology and software ensures real-time control of all the design parameters in a slow but gradual progression. Projects for digital fields call for an ability to combine a variety of different skills, poles apart from the usual way of working. New professional relations ought to be set up between electronics engineers, programmers, mathematicians, physicists, biologists and digital artists to design projects combining sound, image, light, experimental materials and digital tools, whose interactivity and self-organisational properties can heighten our experience of reality. This is no linear progression, we are in unknown territory at the start of experimentation that promises to bring architecture in line with other disciples and place man, both mind and body, back at the centre of attention. There was no room for architecture in Fritjof Capra’s description of the web of life as a new vision of nature and science. But architects, too, must think systematically, shifting attention from forms to relations and processes. An over-fragmentary vision has taken us away from nature and our fellow man, the “web of life” calls for reconnection, as the natural and digital worlds tend to converge: this convergence is probably one of the most important cultural events of the age in which we live.
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Peter Mauss/ESTO
Tracce dinamiche Intermodal Station in Lausanne
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Progetto: Bernard Tschumi Architects
Credits Project: Bernard Tschumi Architects Bernard Tschumi, Luca Merlini, Emmanuel ventura Design team: Joel rutten, Robert Holton, Gregory Merryweather, Kevin Coolins, Rhett Russo, Peter Cornell, Véronique Descharrières, Domenico Carenato, Didier Castelli,
Laure Hofmann, Pierre-Alain Mottier, Fabienne zanolin Facade and Bridge Consultant: Hugh Dutto Associates with Attilio Lavezzari Structural and Civil Engineers: Piguet et Associés, CSDMonod Electrical: Eleco Electro-conseils
HVAC: Alvazzi, Jean Monod Acoustical Consultant: Gilbert Monay Landscape: Jean-Jacques Borgeaud Client: Compagnie de chemin de fer LEB (Lausanne-EchallensBercher)
■ Vista
della nuova stazione intermodale Flon nel centro della Place de l’Europe a Losanna. La nuova infrastruttura è la prima realizzazione di un ampio programma di collegamento della rete dei trasporti pubblici che legheranno Losanna alla sua periferia.
■ View
of the new Flon intermodal station in the middle of Place de l’Europe in Lausanne. The new infrastructure is the first construction in extensive plans to link together the public transport systems connecting Lausanne to its suburbs.
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■ Pianta
e sezione dell’intervento. La stazione copre una superficie di circa 9.000 mq sopra il livello stradale e 3.500 mq sottoterra con distanza verticale tra i due livelli di circa 30 m e un nuovo tunnel di accesso ai treni di 450 m. ■ Plan and section of the project. The station covers a surface area of approximately 9,000 square metres above road level and 3,500 square metres underground with a vertical distance between the two levels of approximately 30 m and a new 450-metre entrance tunnel for trains.
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na delle sensazioni che suggerisce l’osservazione della prima ne of the first feelings you get when studying the first compleU parte del progetto completato da Bernard Tschumi per l’inseO ted part of Tschumi’s project to knit the new LEB (inner-city rimento della nuova stazione del LEB (ferrovia urbana) nella valle railway) station into Flon Valley is of actually watching a demondel Flon a Losanna, è quella di assistere in diretta alla dimostrazione di un video didattico sull’attualizzazione del concetto di interfaccia dei trasporti urbani. La valle del Flon (7 ettari) nel suo insieme può essere assimilata al grosso cratere industriale spento e al suo interno appare un sistema di “vettori di supporto” al movimento. E’ come se le passerelle, gli ascensori, gli spazi commerciali e di servizio si mettessero anche loro in un movimento virtuale. Questo tipo di schema funzionale e spaziale era già alla base del concorso per l’intera valle del Flon, vinto da Tschumi nel 1989 con un progetto chiamato “Losanna, Città-Ponte”. Era costituito da un impianto basato su quattro strutture-ponte abitabili, che raccordavano le sponde tra di loro e con il fondovalle. In quel caso il programma di trasformazione prendeva spunto anche dalla tipica conformazione topografica di Losanna, dove in molti edifici si entra a un livello e si esce a un altro e si spingeva a fare della tipologia a ponte il nuovo motore di trasformazione urbanistica. Oltre una decina di anni dopo, la città ha dovuto accontentarsi di una sola interfaccia, ma anche in questa occasione il progetto non si è rivelato solo una composizione di oggetti volumetrici statici, ma l’espressione di un costante dinamismo. Gli obblighi funzionali dettati al progetto erano centrati sulla realizzazione della nuova stazione sotterranea del LEB (sviluppata in curva in 100 metri per 18); sul mantenimento e completamento della stazione già esistente per le altre linee; sulla riorganizzazione della circolazione automobilistica in superficie; sul collegamento pedonale tra la valle del Flon, la stazione e il Grand-Pont, una massiccia struttura alta 23 metri dal fondovalle che definisce, dal secolo scorso, uno dei lati della vallata. La soluzione proposta si basa sulla coabitazione visibile dei differenti sistemi di trasporto (treni, automobili e pedoni) e sulla sovrapposizione delle diverse geometrie imposte dai vincoli funzionali e topografici. Tre sono gli assi principali: quello est-ovest, quello nord-sud creato dalla nuova passerella e quello verticale espresso dalla gabbia degli ascensori. Ciascuno di essi è esplicitamente sottolineato da un trattamento a colore rosso, che di fatto definisce l’ambito spaziale della nuova piazza. La passerella è di fatto una grande trave reticolare, mentre gli elementi di collegamento verticali sono delle scatole di vetro. Anche se ciascun elemento è strutturalmente indipendente tutti si arricchiscono del contributo offerto dalla parte adiacente, sfruttandolo per sbalzi ed innesti. Il risultato, che si inizia a delineare con la fruibilità delle parti già terminate del progetto, è qualcosa di più di una semplice infrastruttura di collegamento: si tratta dell’inizio di un sistema di relazioni urbane che, senza l’affanno della densificazione immediata e forzata, può supportare un ulteriore sviluppo e le vocazioni delle differenti aree in questione. Jacopo della Fontana
stration of an educational video on how to set up an inner-city transport interface. Plenty of projects have referred to junction “nodes”, taking them as means of organisation: huge more or less square craters into which flows from various sources pour and mix. In these cases the basic concept is still that of an “exchanger” object. You feel as if you are using a powerful digital zoom lens when studying the system for the LEB station. The Flon Valley as a whole might be compared to a huge extinguished industrial crater containing a system of “support vectors” to motion. It is as if the walkways, lifts, and retail/service spaces had also been set in virtual motion. This type of functional/spatial scheme already underpinned the competition for the entire Flon Valley that Tschumi won in 1989 with a project called “Lausanne, Bridge-City”. Its plan is based around four bridge-structures which can be inhabited, connecting the banks to each other and to the valley itself. In this case the conversion programme was inspired by the typical topographic conformation of Lausanne, in which plenty of buildings are entered on one level and exited on another, and the bridge design was taken as a new driving force behind urban transformation. Over ten years later, the city has had to settle for one single interface, but once again the design is more than just a composition of static structural objects, it is actually a way of expressing constant dynamism. The functional constraints deriving from the project were focused on the construction of a new LEB underground station (built around a bend over an area of 100 metres by 18), on maintaining and completing the old station to cater for other lines, on reorganising road traffic above ground, and on designing a pedestrian link between Flon Valley, the station and the Grand-Pont, a huge 23-metre-tall mass down in the valley that has marked one of the sides of the valley ever since last century. The proposed design is based on the visual co-existence of different transport systems (trains, cars and pedestrians) and on the overlapping of different geometric patterns imposed by functional/topographic restrictions. There are three main axes: a main east-west axis, a north-south axis created by a new walkway, and a vertical axis embodied in the lifts. Each lift is explicitly underlined by red-colouring that marks the space of the new square. The walkway is actually a huge reticular beam, while the vertical links are glass boxes. Even though each element is structurally independent, they are all embellished by their adjacent parts, exploiting overhangs and joints. The final result, now emerging from the finished parts of the project, is more than just a simple connection infrastructure: it is the start of a system of urban relations which, without rushing to immediately densify everything in a forced way, can be further developed to take advantage of the various vocations of the areas involved.
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■ Vista
notturna dell’esterno della stazione in cui confluiscono quattro diverse linee di trasporti per pendolari inglobate in una struttura di acciaio e vetro trasparente e a pannelli serigrafati in rosso.
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■ Nighttime
view of the station from the outside, where four different commuter transport lines come together in a structure made of transparent glass and steel and red serigraphed panels.
■ Particolare
della scatola vetrata che contiene i sistemi di trasporto verticali fuori terra. Le varie parti della struttura sono multivalenti: i ponti sono sia passaggi che aree di partenza; le piattaforme dei treni fungono anche da strade di passaggio; la piazza pubblica è attrezzata come parco urbano.
■ Detail
of the glass box holding the overground vertical transport systems. The various parts of the structure serve different purposes: the bridges are both passage ways and departure areas; the train platforms also act as passage ways; the public square is furbished like an inner-city park.
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Esercizi di stile Houses at Sagaponac ■ Planimetria
generale dell’insediamento residenziale di Sagaponac. Promosso da Coco Brown, presidente di The Coco Brown Companies, Inc., in associazione con Richard Meier, le 34 case di Sagaponac saranno realizzate in una tranquilla area boschiva a Southampton, Long Island, New York. Il progetto prevede la costituzione di una comunità di case contemporanee realizzate da 34 noti architetti. Tutte le case sono progettate con lo scopo di creare unità monofamiliari semplici e funzionali dai 200 ai 400 mq circa che siano attente all’ambiente ed esprimano una visione artistica di questa tipologia edilizia utilizzando materiali tradizionale di questa zona in modo contemporaneo e dinamico. Ulteriori informazioni al sito
www.housesatsagaponac.com.
Nelle pagine successive presentiamo i progetti di: Richard Rogers Partnership, lotto 3; Hariri & Hariri, lotto 43; Henry Cobb, lotto 24; RoTo Architects, lotto 7.4; Kanner Architects, lotto 3; Moss Architects, lotto 22; Anthony Ames, lotto da definire; Lindy Roy, lotto 7.2; Field Operations, lotto 7.3; Marwan Al-Sayed, lotto 39. ■ Site plan of Sagaponac residential development. Initiated by Coco Brown, president of The Brown Companies Inc., in association with architect Richard Meier, The Houses at Sagaponac is a residential development of 34 homes on tranquil, wooded sites in Southampton, Long Island, New York. The project envisions a community of contemporary houses by 34 prominent modern architects. The houses themselves are all designed to create modest, functional, singlefamily living spaces from 200 to 400 sq.m that are environmentally conscious without compromising artistic vision, using traditional materials from the region, but in a modern way, which is visually entertaining and dynamic. Further information at the website www.housesatsagaponac.com.
In the following pages we present the following projects: Richard Rogers Partnership, parcel 3; Hariri & Hariri, parcel 43; Henry Cobb, parcel 24; RoTo Architects, parcel 7.4; Kanner Architects, parcel 3; Moss Architects, parcel 22; Anthony Ames, parcel to be assigned; Lindy Roy, parcel 7.2; Field Operations, parcel 7.3; Marwan Al-Sayed, parcel 39.
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osa ci può essere di più stimolante per un architetto professionale che essere coinvolto in un progetto come questo? Entrare C nella rosa di fortunati che può progettare le Houses at Sagaponac! L’occasione è ghiotta. Una meravigliosa località immersa nel verde a Long Island, l’ideale luogo per trascorrere vacanze piacevoli e rilassanti e weekend ritempranti. Insomma essere uno dei 34 selezionati da Richard Meier per condurre in porto un esperimento tipicamente razionalmodernista. Prendi un terreno, un paesaggio unico, metti insieme le menti e le matite migliori che offre il mercato delle firme di architettura (anche giovani promettenti!) e offri al cliente una casa intelligente, segnata con un certo intellettualismo, a poche miglia dal mare. Dimensioni contenute, prezzi regolari, sempre rispetto agli standard del luogo. Si tratta di un esperimento forse un poco déjà-vu, pensiamo solo al Weissenhof, per citare qualcosa di storicizzato e di fortemente marchiato di cultura a suo tempo. Ma non è forse la pratica usuale di ogni generazione di progettisti: darsi convegno con i propri simili, annusarsi, misurarsi su un’arena, metter a catalogo le proprie visioni e dirsi “bravo” a vicenda. Insomma si tratta di una sorta di processo di auto-legittimazione, di riconoscimento di branco, favorita anche dalla grande firma immobiliare, Coco Brown. Nell’intervento dei 34 famosi architetti si può veder una sorta di passaporto per dare un surplus estetico a ciò che potrebbe apparire altrimenti la solita speculazione immobiliare. Invece la voglia di eccellenza nel design, l’attenzione al progetto paesaggistico, rappresentano in qualche modo una sorta di giustificazione morale, un modo per salvarsi l’anima, una sorta di reazione creativa alle belle case in serie (McVille - ovvero case globalizzate come le farebbe Mc Donald’s o i villaggi protetti alla Disney per reclusioni di lusso). Insomma queste case a Sagaponac vogliono reagire alla arroganza dell’immobilismo immobiliare, con la sensibilità per la natura e un progetto di paesaggio attento, ritornare all’arte del costruire con una modestia protestante, non esibire status in modo volgare, insomma offrire “spazi creati da e per gente pensante”. E’ insomma un marketing evoluto per una nicchia di mercato particolarmente conscio, che vuole la casa per sé senza cadere nella massificazione della casa fast food. L’ambizione modernista è comunque sempre dietro l’angolo, a livello di metodo: dare un segnale di eccellenza e un paradigma di civilizzazione, segnare il punto nuovo a cui tutti dovrebbero guardare, essere i fari che illuminano la notte buia del kitsch, questo è il modernismo. Contro le convenzioni, contro la ripetizione senza fine, contro le case da catalogo, il designer ripropone le sue scatole vetrate: e magari anche il gesto singolare, eccentrico, per dare un po’ di sapore a una pietanza riscaldata. Queste case di Sagaponac non corrono forse il rischio di creare un’altra enclave di separazione tra gli intelligenti, i pensanti e il resto del mondo? Va bene, ma non andiamo troppo per il sottile. Certo, dando uno sguardo sommario ai progetti, non si può certo pensare a un “manifesto” o a qualcosa che vada oltre un prodotto di qualità (che non è poco, intendiamoci), però già ampiamente digerito nelle linee di una modernità bloccata. C’è qualche voce fuori dal coro, come fosse una stecca di Pavarotti al Metropolitan, che però ci rende ancora più simpatico il personaggio: pensiamo al progetto di Philip Johnson, altro “grande vecchio”, che non poteva non volere stupire ancora: viene riproposta una versione multipla del Pantheon a Roma, come una sorta di filiazione, clonazione di tanti micro-pantheon. Si tratta di un approccio spaesato al tema della casa di campagna: prendere un grande edificio pubblico del passato e proiettarlo al di fuori completamente della sua storia e funzione per adeguarlo a tutt’altre esigenze. Siamo all’assurdo talmente sfacciato che rasenta il genio. All’accusa di recuperare il suo stesso approccio post-moderno del 1980 , dopo averlo lui stesso rinnegato in favore del decostruttivismo, Johnson sembra
Coordinamento: Richard Meier
replicare che prima venivano usati elementi storici assemblati per creare nuovi edifici, mentre oggi vengono replicati gli edifici per creare attraverso la ripetizione un annullamento della storia stessa:...siamo al post del post? O forse è l’estremo segnale della deriva di non-creatività di un sistema basato sulle mode effimere che cannibalizza se stesso? Forse solo una birichinata d’autore, un sasso in uno stagno troppo calmo. Tra gli altri partecipanti si staglia Eric Owen Moss che riesce a recuperare un segno fortemente espressionista, con una superficie avvolgente che copre il vano scale in modo da volere quasi “strizzare” la costruzione. Almeno è un segnale di una forma in movimento. Che dire poi del progetto di Richard Rogers: molto lineare, semplice high-tech, quasi aeroportuale.... Ma cosa c’è di nuovo? Molte “boxy” houses, linearità, semplicità. Sembrano tutte variazioni sul tema, esercizi di stile sul medesimo canone della casa nella prateria. Splendide, moderne, con enormi vetrate, con belle piscine, ma insomma...perché non ci accontentiamo mai? Stefano Pavarini
hat could be a more exciting challenge for a professional architect than being involved in a project like this? W Being one of those chosen to design the Houses at Sagaponac! A truly golden opportunity. This is a wonderful resort immersed in the Long Island landscape, the ideal place to spend enjoyable, relaxing holidays or invigorating week-ends. Richard Meier has chosen 34 architects to carry out this typically rational-modernist experiment. Take a plot of land, landscape that is unique of its kind, pool the intellectual resources and design skills of the best architects the market has to offer (even promising young designers!) and provide clients with smart houses designed with a certain intellectual slant, just a few miles from the sea. Relatively small in size and reasonably priced for this area. This is perhaps a rather passé experiment, we need only mention the Weissenhof as an example of something historicised and shot through with culture for its time. But is not it the usual practice for every generation of architects to meet up with their counterparts and measure up to a challenge, cataloguing their own visions and patting each other on the back? In other words, a sort of self-recognition process, a way of acknowledging the rest of the pack with the help of the backing of a major real-estate agent, Coco Brown. The work of these 34 famous architects looks like a sort of passport for giving a little
extra aesthetic input to what would otherwise look like any other piece of real-estate speculation. The desire to achieve excellence in design and the care taken over the landscaping act as some sort of moral vindication, a way of saving its soul and of creatively relating to pretty mass-produced
homes (McVille or the kind of globalised houses McDonald’s would make or Disney’s protected villages for hiding away in luxury). In a word, these houses at Sagaponac are designed to react to sloppy real-estate development through a creative awareness of nature and careful landscape design. A modest way of
reverting to the art of building without showing off one’s status, just offering “spaces created by and for people who think”. In other words, this is cutting-edge marketing for a particularly conscientious niche of the market looking for houses of its own that do not fall into the “fast food ethic” trap. Nevertheless, modernist ambition is just around the corner in terms of method: create something of high quality and a paradigm of civilisation, set the new standards that everybody will look to, be a beacon that lights up the dark night of kitsch, that’s modernism. Against the mainstream, against endless repetition, and against catalogued housing, the architectural designer is back with his glass boxes again: though perhaps with a singular, eccentric gesture designed to give a bit of flavour to the same old soup heated-up again. But is not there a danger that these houses at Sagaponac might create a sort of enclave separating the smart and brainy members of society from the rest of the world? Ok, but let’s not get carried away. Of course, just from a quick glance at these projects, we can tell this is no “manifesto” or anything more than just a quality product (which is no mean thing in itself, make no mistake), carefully encompassed within the lines of carefully gauged modernity. It is as if somebody in the choir is singing out of tune, like Pavarotti hitting a wrong note at the Metropolitan, which, however, makes him more likeable: take, for instance, the project designed by Philip Johnson, another “great oldtimer”, who was bound to be out to stun us again: his is a sort of multiple version of the Pantheon in Rome, a kind of cloning of lots of mini-pantheons. This approach is quite out of tune with the theme of a house in the country: take a grand old building from the past and project it completely out of its historical context and function so that it can adapt to other purposes. This is such brazen madness, it has an air of genius about it. In response to the accusation of reverting back to the 1980s post-modern approach he himself rejected in favour of deconstructivism, Johnson seems to be saying that, whereas once historical elements were put together to create new buildings, buildings themselves are now being copied to cancel out history itself through repetition.....is this what we might call post-post? Or perhaps it is just a final sign of a non-creative drift in a system based on fleeting trends that actually feeds off itself? Or perhaps it just a
piece of “designer” mischief, a stone thrown into a pool that is just far too still. Other outstanding contributions come from Eric Owen Moss, who has managed to create a highly expressionist sign out of an enveloping surface covering the stair well so as to almost “squeeze” the building. At least it is a sign of a form in motion. And then what can we say about Richard Rogers’ project: extremely linear and high-tech, almost airport like.... . They all seem to be variations on a theme, exercises in style based on the same old idea of a house in the prairies. Wonderfully modern with huge glass windows and lovely swimming pools but....why are we never satisfied?
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Richard Rogers Partnership ■ Il
progetto è caratterizzato da due elementi principali che si incrociano ortogonalmente determinando all’esterno quattro aree distinte: un ingresso semi-privato, un cortile per ricevere ospiti, uno spazio di servizio per le auto, un giardino privato. Questi due elementi saranno realizzati in legno e pietra e avranno altezza, larghezza e opacità variabili. All’interno le due spine si incrociano nel salone dove è realizzato il caminetto. Lo spazio del salone presenta pochi elementi strutturali ed è molto flessibile; in estate, l’ampia vetrata che lo delimita può essere completamente aperta verso la piscina. La copertura flottante in legno aggetta da tutti i lati della casa; gli aggetti sono dotati di elementi regolabili per dosare l’ingresso dei raggi solari a seconda della stagione. ■ The project features two main elements crossing over at right angles to create four separate areas on the outside: a semi-private entrance, a courtyard for welcoming guests, a service space for cars, and a private garden. These two features will be made of wood and stone and will vary in terms of height, width and opacity. On the inside the two backbones cross over in the lounge where the chimney is located. The lounge has very few structural features and is extremely flexible; in summer the wide glass perimeter partition can be fully opened up towards the swimming pool. The floating wooden roof overhangs on every side of the house; the overhangs are fitted with adjustable elements to control the sunlight according to the time of year. Credits Project: Richard Rogers Partnership Project Team: Laurie Abbott, Mimi Hawley, Dennis Ho, Richard Rogers Model Shop: Mike Fairbrass, Tim Mason 3D Images: Melon Studio Client: Coco Brown Companies
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Hariri & Hariri ■ Ispirata
alla scultura di Giacometti Figura in una scatola tra due scatole che sono case, questa casa è una struttura minimalista collocata su una piattaforma. Il centro vitale della casa, composta da due semplici volumi rettangolari disposti a L, è lo spazio
“pubblico” con la piscina, terrazze multi-livello e portico coperto con doccia, che è interpretato come palcoscenico della vita degli occupanti. Le linee pulite del progetto sono un invito ai suoi abitanti far risaltare la propria personalità all’interno dell’abitazione.
■ Inspired
by a sculpture designed by Giacometti Figura in a box between two other boxes that are houses, this house is a minimalist structure placed on a platform. The hub of the house, composed of two simple rectangular structures placed in an “L”-shape, is
a “public” space with a pool, multi-level terraces and covered portico with a shower that is treated as the stage on which the occupants lives unfold. The clean-cut lines of the design invite its inhabitants to bring out their own personalities inside the house.
Credits Project: Hariri & Hariri: Gisue Hariri, Mojgan Hariri Client: Coco Brown Companies
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Pei Cobb Freed & Partners ■ La
casa racchiude un grande giardino con alberi disposti circolarmente a corona della porzione principale del salone. Un percorso chiuso a quadrilatero collega i vari ambienti dell’abitazione con le aperture principali rivolte verso il giardino interno. La struttura, le pareti e i soffitti sono interamente in assi di cedro verniciate verso l’interno e trattate con un isolante trasparente verso l’esterno. I pavimenti sono diversificati a seconda delle aree interne: spazi principali e studio in ardesia, spazi privati in quercia o piastrelle, portici esterni in teak.
Credits Project: Pei Cobb Freed & Partners Project Architect: Henry Cobb Client: Coco Brown Companies
18 l’ARCA 171
■ The
house surrounds a large garden with trees placed in circles crowning the main section of the lounge. A closed quadrilateral path connects the various rooms of the house to the main openings facing the internal garden. The structure, walls and ceilings are made entirely of cedar-wood boards painted on the inside and treated with a transparent insulating agent on the outside. The floors vary in the different inside areas: main quarters and studio made of slate, private quarters made of oak or tile, outside porticoes made of teak.
RoTo Architects, Inc. ■ Suddivisi
in due parti principale, questa casa di circa 300 mq può ospitare una coppia o una famiglia. E’ pensata come una struttura di scatole cinesi: la porzione più interna è costituita da pareti vetrate, trasparenti e opache, e quella esterna da lame verticali di legno che lasciano filtrare la luce all’interno. La piscina, cui si accede
con una lieve discesa dal lato nord, ha l’apparenza di un bacino scavato in una cava di roccia. Un ponticello collega le due porzioni, mentre scale sia interne che esterne costituiscono il collegamento verticale: verso l’ampio portico al piano terra e verso il tetto terrazza sopra il salone principale.
■ This
approximately 330square-metre house is divided into two main parts and can cater for a couple or family. It is designed like a series of Chinese boxes: the innermost section is made of glass, transparent or opaque walls, and there is an outside section of vertical wooden blades that let light flood in. The swimming pool, which can
be reached down a gentle slope over on the north side, looks like a basin carved into a mound of rock. A small bridge connects the two sections, while stairways on both the inside and outside form the vertical connection: towards the spacious ground-floor portico and towards the terrace roof above the main lounge.
Credits Project: RoTo Architects, Inc.: Michael Rotondi, Clark Stevens Client: Coco Brown Companies
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Kanner Architects ■ La
casa è sollevata di circa 60 cm dal suolo, grazie a un podio di legno. L’impianto è basato su un doppio rettangolo largo circa 6 m, le cui due porzioni sono connesse da un atrio/cortile vetrato. La casa si sviluppa su due piani, prevalentemente vetrati sui lati lunghi e riparati sui lati corti e sulla copertura da un guscio di assi di cedro rossiccio. Tutti gli spazi conviviali al piano terra si aprono con porte vetrate scorrevoli sul “ponte” di legno che circonda la casa. L’accesso al secondo piano può avvenire sia dalle scale scultorie che avvolgono attorno al caminetto a doppia altezza del salone sia da una scala a chiocciola secondaria. Le tre camere al secondo piano hanno ampi balconi. Il progetto, di carattere minimalista, vuole essere una sorta di specchio per la foresta circostante, che riflette la natura senza interromperne la vista.
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■ The
house is raised about 60 cm above the ground, thanks to a wooden podium. The building plan is based on a double rectangle about 6 metres wide, whose two sections are connected by a glass lobby/courtyard. The house extends over two levels, mainly glazed along the long sides and sheltered along the short sides and over the roof by a shell of red-coloured planks of cedar-wood. All the ground-floor living quarters open up through sliding glass doors onto a wooden “bridge” surrounding the house. Access to the second floor can be by either the sculptural stairways winding round the doubleheight fire place in the lounge or the secondary spiral staircase. The three second-floor rooms have large balconies. This minimalist design is supposed to be a sort of mirror for the surrounding forest, reflecting nature without spoiling the view.
Credits Project: Kanner Architects Design Principal/Project Designer: Stephen H.Kanner Project Designer/Renderings: David Ellien Project Architect: Alex Dunn Client: Coco Brown Companies
Moss Architects ■ La
casa è costituita da un blocco principale a doppia altezza, contenente il salone, il mezzanino, la camera principale e un grande corpo scale che sembra essere spremuto fuori dall’elemento sottostante. A questi due elementi è annesso un rettangolo con il garage, il magazzino, una suite, la
cucina e un ampio portico aperto sulla piscina. La galleria contenente le scale e che avvolge la struttura principale è interamente vetrata e si allarga all’altezza del mezzanino che può godere di un’ampia vista panoramica e può essere utilizzato come studio o biblioteca.
■ The
house is formed of a double-height main block holding the lounge, the mezzanine, main bedroom and large staircase that seems to be squeezed out of the element below. A rectangle holding the garage, storeroom, a suite, kitchen and wide portico facing onto the pool are all connected to
these two elements. The gallery holding the stairways and wrapping round the main structure is made entirely of glass and widens at mezzanine level to offer picturesque views; it can also be used as a study or library.
Credits Project: Moss Architects: Eric Owen Moss Client: Coco Brown Companies
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Antohony Ames Architects ■ La
casa è un quadrilatero a un solo piano con gli spazi principali organizzati attorno a una piccola corte vetrata. Oltre metà del perimetro è realizzato con vetrate a tutta altezza. La restante porzione del perimetro è rivestita con assi di legno verticali. Due sono le camere principali, una più chiusa e una più aperta, e sono collocate, adiacenti una all’altra, in una porzione quadrata della pianta, raddoppiata da un secondo piano che contiene le camere dei bambini. Il progetto vuole creare l’esperienza di un’ininterrotta sequenza visiva di apertura e chiusura in un flusso continuo di spazio.
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■ This
house is a singlestorey quadrilateral with the spaces organised around a small glass courtyard. Over half the perimeter is made of fullheight glass. The remaining section of the perimeter is clad with vertical strips of wood. There are two main bedrooms, one more closed and the other more open, and are placed next to each other in a square section of the building plan, doubled up by a second floor holding the children’s bedrooms. The project is designed to create a sense of an unbroken visual sequence of aperture and closure through smoothly flowing space.
Roy ■ Con
l’informalità e la piacevolezza di una casa estiva, questa Poolhouse si apre verso il paesaggio circostante, incorporando parzialmente la piscine al proprio interno e sfumando così la divisione tra interno ed esterno. La casa presenta una pianta aperta molto semplice al piano terra, con le tre camere da letto (di cui due con terrazza), i due bagni e una piccola biblioteca distribuiti ai piani superiori. Il piano terra si apre verso il giardino con grandi porte girevoli. Un guscio continuo di frangisole di legno regolabili segue la curva del perimetro esterno verso i piani superiori.
■ As
relaxed and pleasant as a summer house, this Poolhouse opens up to the surrounding landscape, partly incorporating the swimming pool inside it and thereby breaking down any clear-cut division between inside and outside. The house has a very simple open plan on the ground floor with the three bedrooms (two with balconies), two bathrooms and a small library spread over the other floors. The ground floor opens up to the garden through large revolving doors. A smooth shell of adjustable wooden shutters tracing the curved outline on the outside up towards the higher levels.
Credits Project: Roy Principal: Lindy Roy Project Team: Mark Kroeckel, Jason Lee, Barbara Ludscher, Gernot Riether, Monica Tiulesco, Louise Vrou Structural Engineers: Robert Silman Associates Client: Coco Brown Companies
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Field Operations ■ Tra
gli obiettivi di questo progetto c’è il tentativo di “allacciare” l’ambiente naturale a quello artificiale attraverso una sorta di “corrugamento” del terreno nelle forme della casa. Questo viene raggiunto attraverso una sequenza di spazi vuoti attivi ed elementi solidi che hanno la funzione di agire da filtri e da confini permeabili. Attento l’utilizzo dei materiali naturali che vengono proposti con relazioni attualizzate in cui le reminiscenze vernacolari recuperano il valore della domesticità senza cadere nel nostalgico.
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■ One
of the purposes of this design is an attempt to “connect” the natural environment to the artificial environment through a sort of “corrugating” of the ground in the form of a house. This is achieved through a sequence of active empty spaces and solid structures designed to act as filters and permeable boundaries. Careful use of natural materials placed in special relations in which vernacular reminiscences recover a sense of homeliness without resorting to nostalgia.
Credits Project: Field Operations: Stan Allen, James Corner Client: Coco Brown Companies
Marwan Al-Sayed Architects ■ Il
lotto è occupato da un fitto bosco attraverso il quale il progettista ha disegnato un viale di ingresso che curva tra gli alberi. Lo spazio destinato alla costruzione è un largo ovale con l’asse principale orientato a sud con intenti di connessione agli elementi cosmici: sole, cielo, luna. La massa degli alberi è “scolpita” e utilizzata per definire una corte interna che apre il lotto ala vista del cielo. La struttura rettangolare che si allunga sull’asse principale dell’ovale costituita da una serie di scatole di legno nero e vetro. L’ingresso è segnato da una pietra dalla quale si accede a uno spazio vetrato su cui si innestano i volumi di legno verniciato di nero.
■ The
lot designed for this house is an area of woodlands that the architectural designer has used to create a long entrance way winding through the trees. The building space is shaped like a wide oval with the main axis facing south with a view to connecting up with cosmic elements: the sun, sky and moon. The trees are “sculpted” and used to create an internal courtyard opening up the lot to the heavens. The rectangular structure extends along the main axis of the oval formed out of a series of boxes made of black wood and glass. The entrance to the house is marked by a large stone leading through to a glass space connected to the wooden structures that have been painted black.
Credits Project: Marwan Al-Sayed Architects Principal: Marwan Al-Sayed Project Architect (Schematic Design): Amit Upadhye Collaborator: Thomas Hartman Partner and Artist (Concept Design): Mies Grybaitis Renderings: Thomas Hartman, Marianna Athanasiodou Structural Engineers: Robert Silman & Associates Mechanical Engineers: Otterbein Engineering Client: Coco Brown Companies
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Una scatola magica In Louvain
Progetto: Philippe Samyn Associés
edificio dell’Aula Magna per l’Università Cattolica di Lovanio he building holding the Main Hall of the Catholic University si iscrive nel più ampio progetto urbanistico di Louvain-laof Louvain is part of a more extensive town-planning project L’ T Neuve, ville nouvelle che con l’università e un grande parco scienfor Louvain-la-Neuve, a new town which, together with the university
Credits Project: Samyn Associés: Ph. Samyn, R. Kim, A. Charon, B. Vleurick Engineering: Bureau BEG: Ch. Lhoest, R. Greisch Special Techniques: Samyn et Associés, FTI: J. De Caluwe, J. Michiels, Ph. Samyn Client: Université Catholique de Louvain
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tifico è destinata ad estendersi per accogliere una popolazione di 28.000 abitanti rispetto ai circa 15.000 attuali. La costruzione dell’Aula Magna, nella zona ovest della città rappresenta il principale elemento del programma urbano e universitario che prevede inoltre la prossima realizzazione di un complesso cinematografico, alloggi per circa 1.500 persone, un museo, un ampliamento dell’ateneo, un albergo e un parcheggio per 500 posti auto. Un edificio pubblico inserito in un contesto urbano di prestigio, il cui scopo è quello di contenere e gestire le attività collettive di un numero elevato di persone. Da un lato quindi la progettazione si pone come compito quello di organizzare percorsi, spazi e servizi i più disparati all’interno di un singolo complesso edile, dall’altro quello di connettere il nuovo edificio alla città circostante, aprendosi al grande pubblico, normalmente non coinvolto dalle quotidiane attività dell’accademia. L’edificio si inserisce in un contesto all’apparenza piuttosto anonimo e si propone immediatamente come punto di riferimento obbligato, un landmark ottenuto attraverso la scelta dei materiali e dei rivestimenti esterni. Un contenitore che cela e, contemporaneamente, rivela ad arte, con eleganza e attenzione alle proporzioni, parti definite del proprio interno, senza tuttavia suggerire esplicitamente nulla riguardo le proprie funzioni, che come vedremo più avanti sono molteplici, e fra loro differenti. Il vetro e il metallo sono i reali protagonisti di questa realizzazione, che spicca per il proprio rigore compositivo e per la serenità delle facciate, costituite da pannelli continui di grandi dimesioni. L’azzurro e le sfumature che digradano verso il bianco sono scelte per comunicare il messaggio di un manufatto tecnico capace di mostrarsi rassicurante e invitante verso i propri possibili utilizzatori. Un’architettura asciutta, in grado di rappresentarsi senza enfasi, attraverso scelte progettuali improntate sull’efficienza volta al funzionamento coerente di una macchina in questo caso piuttosto complessa. L’uso estensivo di superfici trasparenti e riflettenti suggerisce una grande attenzione nei confronti della necessità di comunicare il senso della lievità di un’architettura rivolta verso gli spazi aperti del cielo, permeabile al clima circostante, e attenta alle tematiche ambientali. La progettazione non dimentica, e sottolinea, la propria cura nei confronti del risparmio delle risorse naturali, sia in termini di produzione di energia per il funzionamento dell’edificio, sia per la manutenzione ordinaria dello stesso. Le scelte progettuali sembrano orientate verso la realizzazione di un complesso architettonico costituito da una sorta di “scatola magica” tecnologica, capace di modificare il proprio aspetto col passare delle ore e nell’alternanza tra il giorno e la notte. L’Aula Magna, principale addizione del complesso universitario belga di Lovanio, si pone l’obiettivo funzionale di contenere soprattutto grandi eventi collettivi per poco più di un migliaio di persone. L’ambizione della committenza è quella tuttavia di costituire un polo ricettivo in grado di gestire manifestazioni pubbliche a scala cittadina e provinciale, e di costituire quindi una connessione diretta tra le attività dell’università e quelle delle amministrazioni pubbliche locali. L’edificio è quindi immaginato e progettato atraverso criteri di grande flessibilità d’uso, per poter organizzare conferenze, concerti, grandi esposizioni, eventi commerciali, tali da rendere necessarie la realizzazione di strutture di supporto adeguate, come per esempio il parcheggio sotterraneo o la zona per lo scarico e la gestione coerente delle merci in arrivo. Il piano terra dell’Aula Magna è limitato, verso l’esterno, da una pannellatura trasparente che percorre l’edificio lungo tutto il suo perimetro, consentendo una immediata comprensione delle reali dimensioni dell’edificio, sorretto da una selva regolare di pilastri immacolati, la cui prospettiva visuale è interrotta unicamente dalla geometria inclinata dei grandi corpi scala che conducono ai piani superiori, e il cui andamento è ripetuto da analoghi percorsi collocati a mensola sulle facciate esterne. I piani superiori ritultano invece parzialmente nascosti, a contenere soprattutto la grande sala centrale, cuore simbolico e reale dell’intero edificio; lo scheletro metallico, liberato dalla massa compatta delle facciate, si conclude all’ultimo piano attraverso un coronamento aggettante il cui ritmo e le cui dimensioni appaiono capaci di conferire all’edificio proporzioni di sapore aulico, in tema tuttavia con le ambizioni concrete e reali del complesso architettonico. Filippo Beltrami Godola
and large science park, is designed, in line with some of the latest trends in European architecture, to encompass a population of 28,000 inhabitants (the existing population is of 15,000). The Main Hall construction over on the west side of the city is the main feature of an urban/university programme involving the forthcoming construction of a film complex, accommodation facilities for 1,500 people, a museum, extension to the university, hotel, and car park with 500 spaces. In this case we are dealing with one of the most frequently arising issues affecting (both now and in the past) the development of city centres in the West, or in other words an extension to the buildings/facilities of a city university. A public building knitted into a prestigious urban setting, designed to cater for and manage the communal activities of a large number of people. On one hand, the design is aimed at organising the widest possible range of pathways, spaces and services inside one single building, on the other it is supposed to connect the new building to the surrounding city, opening up to the public at large, who do not usually get involved in the academy’s day-to-day activities. The Main Hall inevitably ends up representing the university as a whole, the heart and soul of an institution deeply entrenched in the history and ambitions of the surrounding city. What do the pictures shown here tell us about the general impression we get of the new structure? The building fits into an apparently rather bland context and instantly stands out as a landmark due to the choice of materials and outside cladding. A container that both conceals and artfully reveals, to just the right extent and measure, certain parts of its own insides, without openly avowing anything about its own functions, which, as we shall see later on, are manifold and all quite different. Glass and metal are the main attractions of a design that stands out for its stylistic precision and serenely designed facades made of large seamless panels. The colour scheme of sky-blue and paler shades through to white are chosen to give the feel of a technological construction capable of coolly representing itself through design features geared to the functional efficiency of what is in fact a rather elaborate piece of machinery. The extensive use of reflective, transparent surfaces suggests careful attention to the need to transmit the sense of playful joviality of a work of architecture opening up to the skies, permeable to the outside climate, and carefully attentive to environmental issues. The design actually focuses on both energy generation for running the building and its everyday maintenance costs. The stylistic features seem to be aimed at designing an architectural complex built out of a sort of “magic box” of technology, capable of altering its form as time passes by and day turns into night. The Main Hall turns into a casket of light in the darkness of the surrounding city, while it actually reflects the sky as it shimmers in the sunlight. As the latest addition to the Belgian University complex in Louvain, the Main Hall is functionally designed to host major communal events for just over one thousand people. The client’s aim is to create one single facility capable of handling city/province-scale public events and to form a sort of direct connection between the activities of the university and local public administrations. The building is therefore devised and designed along the lines of high flexibility to organise conferences, concerts, major exhibitions and commercial events, so that suitable support structures need building, such as an underground car park or the unloading bay and smooth handling of incoming goods. The ground floor of the Main Hall is bordered near the outside by transparent panelling running along its entire perimeter, instantly revealing the building’s real dimensions and held up by a regular maze of immaculate columns, whose visual perspective is interrupted only by the sloping geometric pattern of large stairways leading to the upper floors, and whose layout is reiterated in similar paths hinged onto the outside facades. The upper floors are actually partly concealed, mainly to hold the grand central hall, the real and symbolic hub of the entire building; the metal skeleton, freed of the compact mass of facades, terminates on the top floor in a crowning overhang, whose rhythm and size give the building a rather grand dimension in line with the real ambitions of this architectural complex.
■ Le
tre fasi di sviluppo del piano urbanistico della zona ovest di Louvain-laNeuve con l’integrazione dell’Aula Magna che mantiene inalterato il
rapporto con il lago descritto da un’ampia terrazza su cui affaccia il ristorante e dalla continuità con la passeggiata lungolago.
■ The
three stages of development in the townplanning scheme for the west area of Louvain-laNeuve, incorporating the Main Hall that maintain
the relation with the lake thanks to a wide terrace with a restaurant facing onto it and a knitting in with the pathway along the lakefront.
l’ARCA 171 27
28 l’ARCA 171
Ch. Bastin & J. Evrard, Philippe Molitor, Clair-obscur, Daylight
■ Il
volume che caratterizza l’edificio dell’Aula Magna è una struttura in acciaio e vetro con pannelli continui di grandi dimensioni che degradano dall’azzurro al bianco. Nella pagina a fianco, in basso a sinistra, piante del secondo e primo livello sotterranei e, a destra, piante del piano terreno e del primo piano. In questa pagina, in basso a sinistra, piante del terzo e quarto piano e, a destra, pianta del piano coperture e sezioni trasversali.
■ The
Main Hall building features a glass and steel structure with large curtain panels ranging in colour from sky-blue to white. Opposite page, bottom left, plans of the second and first underground levels and, right, plans of the ground floor and first floor. This page, bottom left, plans of the third and fourth floors and, right, plan of the roofs level and cross sections.
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■ L’uso
estensivo di superfici trasparenti si riflette nella levità degli spazi interni che si aprono verso il cielo e l’ambiente circostante, permeabili al clima e alla luce.
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■ The
extensive use of transparent surfaces is reflected in the lightness of the interiors that open up towards the skies and surrounding environment to embrace the climate and light.
■ L’Aula
Magna oltre a integrare le funzioni di accoglienza di eventi e manifestazioni culturali per l’università di Lovanio si pone anche come polo ricettivo per la città e la provincia offrendo spazi flessibili e facilmente adattabili a un uso polivalente.
■ As
well as supplementing the reception functions for cultural events and shows at the University of Louvain, the Main Hall is also designed to be a reception facility for the city and province providing flexible spaces easy to adapt to various uses.
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Il futuro non ha memoria Sail Tower, Haifa
Progetto: Dina Ammar, Avraham Curiel
razie al porto, Haifa è una delle città più attive e vitali di G Israele. Ciò si riflette anche nel
look like a mysteriously intriguing object, a spaceship arriving from some distant galaxy light years from Earth. Comparing a work of architecture to a spaceship used to mean the building had no connection to its surroundings and hence was alien to its context. Nowadays, however, talking about spaceships is a compliment, because the latest trend is for new works of architecture with their own distinctive features creating the spirit of a place. Sail Tower’s extraneousness to its context gives it its identity, its ability to create a place where previously there was nothing to give a certain urban location its own powerful presence. As the architects searched for their own exclusive features, they decided to opt for a special finishing touch for the façades in the form of aluminium panels treated with a special pigment supplied by P.P.G., a firm specialising in chemical compounds for applying to metal surfaces. Technology has, therefore, provided a real helping hand in the design of Sail Tower. The structural complexity of the two double-curved structures called for the help of a firm specialising in curved curtain facades, such as Seralwall, an Italian firm internationally famous for its cutting-edge building technology that enabled the construction of an authentic technological “skin” wrapping round the building and embracing the curves and connections to perfection. Architecture is a collective art: it is not enough to design striking buildings or breathtaking structures. You need to be able to count on the expertise of construction companies and technological developments in the building industry. Modern-day architecture is increasingly directed at intricate structures in which the quality of the details is the first sign of the overall quality of the construction. Without attention to detail, perfect connections between the glass and curtain façade structure, a building like Sail Tower would lose its status as an architectural object. Modern-day architecture consists of sophisticated objects, almost macro-objects of industrial design in which a well-made construction detail is a key part of the design idiom. In other words, a modernday building communicates through engineering perfection, its cultural background, and its identity as a work of architecture projecting into the future.
suo veloce ricambio edilizio. Ad Haifa si costruisce molto, tuttavia il paesaggio urbano non ha particolari emergenze architettoniche contemporanee. L’aspetto generale della città è comunque variegato, poiché risente di un melting pot estremamente composito per la presenza di una popolazione proveniente da tutte le parti del mondo. In tal senso va analizzata la Sail Tower. In essa sono ravvisabili influenze occidentali di matrice modernista, ibridate da richiami d’origine mediorientale. La sua forma geometricamente complessa lascia intravedere frammenti di culture antiche: è presente la memoria della cupola della moschea, rilevabile nei due volumi verticali a doppia curvatura, incastonati fra i due corpi semicilindrici. Attorniata da edifici di edilizia corrente, costruiti senza andare troppo per il sottile, la Sail Tower spicca per originalità compositiva. E’ un segno forte al centro di un tessuto urbano composto di volumi elementari, realizzati con tecnologie non sofisticate. Ovunque emerge il grigio del cemento, mentre sono del tutto assenti strutture metalliche complesse. Skyline caratterizzati da grandi strutture in vetro e acciaio sono del tutto assenti. La ragione sta forse nella permanenza di una cultura poco incline ad abbandonare radicalmente il passato per entrare nella modernità. Ciò contrasta con la realtà produttiva israeliana, nota per le sue avanzate tecnologie, soprattutto quelle informatiche e da una new economy ormai radicata e in continuo sviluppo. Evidentemente, il mix socioeconomico israeliano stenta a tradurre in un’architettura avanzata le potenzialità economiche del suo sistema produttivo. Tuttavia, la complessità compositiva della Sail Tower sembra suggerire un’inversione di tendenza. E’ infatti innegabile che la particolare disposizione dei volumi richiami certe configurazioni prodotte attraverso sofisticati sistemi CAD. Anche se alla torre manca la fluidità spaziale delle architetture di Kas Oosterhuis o di Marcos Novak i suoi incastri volumetrici, le sue connessioni complesse, fanno pensare a futuri sviluppi verso esperienze di transarchitettura. Svettante sul paesaggio marino, la Sail Tower è come un faro, un elemento di forte identità destinato a segnalare ai naviganti la presenza di una città di mare. Non è difficile immaginare come il buio della notte possa essere il momento di più forte spettacolarità della
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torre. Una volta illuminata, essa apparirà come un oggetto misterioso e affascinante, un’astronave proveniente da qualche galassia lontana anni luce dalla Terra. Un tempo, definire un’architettura “astronave” era affermare che l’edificio non aveva nessun legame con il suo intorno, quindi estraneo al contesto. Oggi invece parlare di astronave è un apprezzamento, poiché la tendenza in atto vuole sia una nuova architettura con proprie caratteristiche, a creare lo spirito del luogo. L’estraneità al contesto della Sail Tower rappresenta dunque la sua identità, la sua capacità di creare un luogo là dove prima non c’era nulla che potesse connotare con un segno forte la presenza di un particolare luogo urbano. Alla ricerca di segni esclusivi, i progettisti hanno voluto una particolare finitura delle facciate attraverso pannelli in alluminio trattati con uno speciale pigmento, fornito da P.P.G., un’azienda specializzata in trattamenti chimici da realizzare su superfici metalliche. La tecnologia ha quindi contribuito a dare un forte contributo alla realizzazione della Sail Tower. La complessità strutturale dei due volumi a doppia curvatura ha richiesto l’opera di un’azienda specializzata in facciate continue curve come Seralwall, azienda italiana conosciuta internazionalmente per la sua avanzata tecnologia costruttiva, che ha permesso di realizzare una vera e propria “pelle” tecnologica in grado di avvolgere l’edificio modulandosi perfettamente su curve e raccordi. L’architettura è un’arte collettiva: non basta progettare edifici eclatanti, strutture mozzafiato. E’ necessario poter contare sia sulla professionalità delle imprese costruttrici sia sull’evoluzione tecnologica dell’industria delle costruzioni. Il progetto contemporaneo è sempre più orientato verso strutture volumetricamente complesse dove la qualità del dettaglio è il primo segno della qualità generale del manufatto. Senza la cura del dettaglio, della perfetta connessione fra vetro e struttura della facciata continua, un edificio come la Sail Tower perderebbe il suo status di oggetto architettonico. L’architettura più recente è composta di prodotti sofisticati, quasi dei macro-oggetti di industrial design, dove il particolare costruttivo ben fatto fa parte del linguaggio progettuale. Insomma, l’edificio contemporaneo comunica attraverso la perfezione esecutiva la sua appartenenza culturale, la sua identità di architettura proiettata verso il futuro. Carlo Paganelli
hanks to its port, Haifa is one of the busiest and liveliest T cities in Israel. This is also reflected in the rate at which buildings get replaced. Despite all the building work, the cityscape does not have any notable modern building features. Nevertheless, it looks fairly varied thanks to a melting pot of different nationalities from all over the world. This is the light in which we need to look at Sail Tower. It shows signs of modernist western influences mixed with Middle Eastern features. Its geometrically complex form affords glimpses of ancient cultures: the two double-curving vertical structures, slotted in between two semi-circular sections, are reminiscent of the dome of a mosque. Surrounded by modern-day buildings built rather heavy-handedly, the Sail Tower stands out for its stylistic originality. It is a landmark in the middle of an urban fabric constructed out of simple structures designed using unsophisticated technology. There is grey concrete everywhere and a total lack of intricate metal structures. The skyline has absolutely no steel and glass structures on it. The reason for this lies, perhaps, in an enduring culture that refuses to radically break with its past to enter modernity. This conflicts with Israel’s manufacturing facilities, renowned for their cuttingedge technology (particularly computer technology), and a deeply-rooted and constantly evolving new economy. Evidently the Israeli socio-economic mix does not find it easy to translate the economic potential of its manufacturing system into architecture. Nevertheless, the stylistic complexity of Sail Tower seems to suggest an inversion in trend. There can be no doubt that the special layout of structures evokes certain configurations of sophisticated CAD systems. Even though the tower lacks the spatial fluidity of the architectural designs of Kas Oosterhuis or Marcos Novak, its structural niceties and intricate connections call to mind future developments in transarchitectural experimentation. Sail Tower looms up over the seascape like a lighthouse, a highly distinctive feature designed to point out this seaside city’s presence to shipfarers. It is easy to imagine that the darkness of night might be the time when the tower looks most spectacular. Once lit up, it will
Credits Project: Dina Ammar, Avraham Curiel Project Team: Ben Avraham Yaakov, Saks Avigail Structural EngineerS: S. Ben- Abraham Engineers, Ballas Rami (Eng. in Charge) Project Management: Ganor Yoram - Ashtrom properties LTD. Project Site Manager: Lazar Yossi - Ashtrom Group
General Contractor: Partnership: Ashtrum Engineering & Construction LTD. Sollel Bone LTD. Israel Courtain Wall Contractor: Seralwall - Italy Client: Joint Venture of: Ashmoret Tichona LTD. - Israel (founded by Ashtrom Properties LTD. And Secom - Israel LTD:), Industrial Buildings Corporation LTD.
■ La
Sail Tower ad Haifa (Israele). L’edificio sorge in una zona portuale della città connotata da preesistenze storiche e da un’edilizia destinata a funzioni mercantili e amministrative.
■ Sail
Tower in Haifa (Israel). The building stands in a port area of the city holding historical old buildings and constructions designed to serve trade/administration purposes.
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â– Nella
pagina a fianco, planimetria generale, pianta del piano di ingresso del complesso e pianta del piano tipo; in questa pagina, in alto, sezioni generali e, in basso, dettagli tecnici della facciata continua realizzata da Seralwall. â– Opposite page, site plan, standard floor plan and plan of the entrance level to the complex; this page, top, main sections and, bottom, technical details of the curtain facade designed by Seralwall.
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■ In
questa pagina, l’ambiente urbano in cui sorge la Sail Tower. Il luogo è racchiuso fra il Monte Carmel e la costa del Mediterraneo.
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■ This
page, urban environment where Sail Tower stands. The place is enclosed between Mount Carmel and the Mediterranean coast.
■ Alcuni
dettagli della Sail Tower, caratterizzata da un sistema integrato di facciata continua ideato e realizzato da Seralwall attraverso una tecnologia in grado di assicurare la perfetta tenuta all’acqua e all’aria.
■ Details
of Sail Tower featuring an integrated curtain facade system designed and constructed by Seralwall using technology capable of guaranteeing perfect water/airtightness.
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N
el tracciare quell’aperçu che tutt’oggi manca, e del quale invece
ci sarebbe più che mai bisogno, delle vicende dell’architettura degli ultimi trenta o
Dreams and Visions
quaranta anni, non si potranno certo evitare molti, forse moltissimi episodi e personaggi ora ignorati o circumnavigati da quella critica che, pur perdendo sempre più colpi, va ancora per la maggiore (autopromozione, amici degli amici, eccetera). Contribuendo tra l’altro non poco a nascondere fatti e corroborare misfatti che certo non giovano allo stato dell’arte e
Ian Ritchie
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tanto meno alla salute dell’ambiente e alla qualità della vita di noi che ci viviamo; per non parlare del sostanzioso apporto dato invece all’erosione quotidiana degli standard del gusto e più generalmente culturali. Anche se, ovviamente, le intenzioni dichiarate sono esattamente l’opposto: come si conviene a ogni opera di disinformazione che davvero possa ambire a definirsi tale. Di questo sgradevole procedimento si possono fare moltissimi esempi. Alcuni macroscopici come il caso di Richard Buckminster Fuller, al quale molto semplicemente i più negano diritto di cittadinanza, attribuendogli non più di una maniacalità ingegneresca moderatamente geniale (sgarbo tra i peggiori che gli si possano fare). Altre volte, anche per via di debiti formativi fondamentali da molti francamente dichiarati, si mettono a punto con cura nicchie ovattate marginali e innocue: si veda la delicatezza usata nei confronti di Jean Prouvé, ricordato sì più volte in anni abbastanza recenti, però sempre più che altro come instancabile bricoleur, con basco blu e mégot, immagine giustissima e positiva soltanto per noi e pochi altri. Non è peraltro possibile dimenticarsi di come Frampton abbia, apparentemente celebrandolo, per sempre liquidato Chareau; sommergendo la generosità di Richard Rogers e di una Domus pontiana con un insopportabile birignao della peggior specie west coast anni Settanta. Storiacce. D’altra parte non si venga a dire che il Centre Pompidou è stato davvero mandato giù (a dir la verità senza appunto Prouvé, e Johnson, nella giuria del relativo concorso, non sarebbe neppure stato costruito); e il Piano di cui oggi si può parlare è quello molto più apaisant della professionalità sicura. Di Fuksas oggi molti dicono un gran bene, ma fino a ieri se avesse suonato alla porta neppure gli avrebbero aperto il cancello. Né si può proprio sorvolare sulla maltrattenuta intolleranza riservata a Gehry, bersaglio di ricorrenti malignità salameleccato solo per ragioni mercantili per non uscire da quel giro al quale dopo tutto si tiene più di ogni altra cosa. O sulla totale distrazione riservata ai catalani migliori, tipo Viaplana e Pinon, tanto per intendersi, preferendo far spazio a loro conterranei assai meno interessanti. E così via, perché i casi sono un’infinità. Ma tutto questo in fondo è comprensibile: il razionalfunzionalismo di matrice tedesca ha saputo, nel tempo, dar luogo a una costruzione potentissima e fagocitare senza troppo sforzo ideologie su ideologie. Con corazzate del genere è dura avere a che fare: manutenute con oculatezza nel tempo e rappezzate all’occorrenza con spregiudicatezza, imbarcano di tanto in tanto strategicamente qualche odiato, anche con gran feste pur di rimanere a galla e mantenere il controllo di consistenti fette di mercato. Non è forse in corso proprio ora un’operazione di questo genere nei confronti di Koolhaas, la cui palese eterodossia, con tutte le ovvie conseguenze in termini di antagonismo, di alternativa radicale, viene con pazienza arrotondata, limata, resa compatibile anche se non lo è per niente, insomma fagocitata? Ventitre anni dopo da noi in Italia viene perfino tradotto Delirious New York (d’altra parte come era andata, prima, al povero Venturi?); e non c’è verso di non sentire parlare ovunque di città o metropoli generica, non importa a che proposito e se a sproposito. L’operazione non è del tutto indolore: qualcuno, ancora sul ponte di comando, stenta a trattenere un certo fastidio. Mentre non sono le serpentine svergole di Zaha Hadid a creare problemi, e tanto meno i relativi - invero debolissimi - epigoni. La sostanziale diversità di Le Corbusier dagli altri è stata per esempio rimossa e occultata tributandogli fama sfolgorante e onori, che certo, e più che giustamente, non gli sono mai dispiaciuti; ma, sempre in Italia, Vers une architecture è stato tradotto, e neanche tanto bene, quaranta anni dopo; mentre, tanto per prendere un altro suo libro potente, fra i tanti che lo sono, La ville radieuse tradotto non lo è stato mai. E oggi il francese non lo studia quasi più nessuno. Con Gio
Ponti, personaggio più solare e di gran garbo, la cosa ha richiesto molto meno sforzo, e soprattutto si è potuta fare dietro le quinte, trasformandolo più che altro in un décorateur: un peccato, perché così si è rimosso quanto di più profondamente originale ha dato il nostro Paese alla cultura architettonica contemporanea. Ma allora se questo è tutt’ora l’andazzo che brutta fine rischia di fare fin da subito questo Hawking Space Time Center, progetto in queste pagine sotto i nostri occhi, di Ian Ritchie Architects, uscito da non molto tempo dalla fucina operosa di 110 Three Colt Street, London. Un colpo d’occhio strictly orthodox lo relegherà istantaneamente nel disprezzato mondo delle illustrazioni pulp e naif che quasi sempre accompagnano la letteratura di fantascienza. Sul versante invece dei più arrapati fans delle realtà virtuali non si potranno nascondere moti di cocente delusione, perché molti disegni sono persino a mano libera, perciò grossier, ridicolmente antidiluviani a fronte di un eccitante universo parallelo fatto di fantastiliardi di pixel. Ovvio: si tratta di tavole di architettura, nulla di più e nulla di meno. Mediante le quali si indaga attorno alla possibilità di dare consistenza a spazi e forme con tutto quanto ciò comporta in termini di fruibilità, gradevolezza, emozione in risposta a un programma costituito dal pensiero di Stephen William Hawking. Buchi neri e repentini incontri con punti a densità infinita. Quando capitano casi del genere abitualmente si dispiegano allestimenti più o meno sofisticati e intelligenti, dotati di un loro grado di autonomia anche quando si cerca di perseguire una speciale prossimità, una stretta affinità con quanto viene esposto. Cioè la situazione è in genere la seguente: a) c’è già un contenitore al cui interno si deve operare; b) si costruisce un contenitore e poi si lavora sulla installazione interna (piccolo riscontro linguistico: si chiamano musei e non centri). Rimandando la sovrapposizione massima, il desiderio di interpenetrazione, se così si può dire, fra dispositivo dell’esposizione e ciò che viene esposto a pochi episodi puntiformi (stanze interattive, simulatori e altre diavolerie sovente al limite del videogame che cerca il 3-D). Ritchie, giustamente convinto che l’ignoranza, la paura e l’incapacità di correre dei rischi siano gli ingredienti fissi di un ambiente non creativo, cerca e affronta qui invece una sfida veramente piuttosto al limite: trasformare in spazio un pensiero, per di più un pensiero di spazio (e di tempo). Non è un gioco di parole. Per mezzo di un’architettura costruibile. Va da sé che la composizione non risulta molto convenzionale e per davvero rischiosa, e certamente pone moltissimi problemi di controllo, in buona misura ancora da risolvere. Tredici fra sfere e semisfere, dieci delle quali semisepolte, ospitano al loro interno luoghi atti in vario modo alla comunicazione multimediale delle vicende delle diverse teorie astronomiche attuali e di quelle succedutesi nei secoli; fuori, attorno ai loro involucri, si sviluppa un paesaggio piuttosto arcano, percorribile, fatto di fibre metalliche tese, sovrastato da un grande sferiscopio centrale, con anello esterno percorribile, e da due simmetrici controcanti laterali mozzati. Anche questi grossi volumi sono imbozzolati, in analogia rovescia con il nuovo terreno; ne deriva, anche grazie allo scivolare della luce variamente filtrata e alla drammatizzazione indotta da suoi improvvisi scoppi programmati, multicolori, e da un incessante susseguirsi di traslucidità, di ingrigimenti improvvisi, di opacità che si disciolgono e si raggrumano, uno spazio non proprio euclideo, certamente spaesante, piuttosto magico. Assolutamente interstiziale. Una situazione: una sorta di total in-between. Non più differenze, nei limiti del possibile, fra programma e sua forma fisica. Naturalmente non è tutto: come si può assurgere veramente alla condizione di bozzolo senza che vi siano dei dentro? Ecco qui che accanto alla decina di sale endosferiche, viene riproposta e perfezionata una vecchia (del 1987) invenzione di Ritchie, lo sferiscopio appunto, generatore di costanti esperienze sferiche a 360°, con gli spettatori-attori galleggianti su di un plateau di vetro, trenta metri di diametro, esattamente la sfera (non) segata in due metà, avvolti sopra e sotto da proiezioni, ologrammi e così via: è un’illusione, s’intende, ma ci si muove proprio attraverso lo spazio. Stephen Hawking, esigentissimo, è parso soddisfatto. Fa piacere. A noi ancor di più il fatto che questo progetto, ancora una volta se ce ne fosse bisogno, dimostra quanto sia cretino e surrettiziamente tranquillante cercare sempre di affibbiare caselle critiche definitive anche a ricerche invece vitali, in pieno svolgimento. Per Ian Ritchie era stata confezionata, in tempi recenti quella della tecnoecologia, o ecotecnologia che dir si voglia. Come se si trattasse di battezzare un nuovo motore a combustione interna con bassi livelli di emissione di gas inquinanti; o un nuovo genere di sound trendy. Maurizio Vogliazzo
T
o paint a true picture of the last thirty or forty years of architectural design,
something we do not have at the moment but which is badly needed now more than ever, there
can be no avoiding a number (possibly even a very large number) of people and events still ignored, discarded or just skirted around by critics, who, despite gradually losing much of their credibility as their ratings plummet, are still basically on the crest of a wave (thanks to self-promotion, friends of friends etc.). Incidentally, contributing in no small measure to hide certain facts and corroborate certain misdemeanours that certainly do not help the state of the art, healthiness of the environment or quality of life of we who live in it; not to mention the notable helping hand these critics do indeed give to a daily lowering of standards of taste and culture in general. Even though, of course, setting out to do quite the opposite: just like any process of misinformation worthy of such a name. There are plenty of examples of this most unpleasant practice. Some quite striking, such as the case of Richard Buckminster Fuller, relegating him to the realms of moderately talented engineering-mania (the most discourteous way you could possible treat him). On other occasions, due to some sort of obligation from the past that many are quite willing to admit, cosy and quite harmless niches are meticulously set up in the wings: take, for instance, the delicate treatment Jean Prouvé receives, frequently referred to over recent years, but more often than not as a tireless potterer dressed in a blue beret with a cigarette stub in his mouth, a positive and proper image only for a few of us. It is hard to forget how Frampton buried Chareau once and for all as he apparently sang his praises, using the worst 1970s west coast drawl to smother Richard Rogers’ and Ponti’s great architectural generosity. A nasty business. And let’s not pretend that the Pompidou Centre was ever really accepted (to tell the truth without Prouvé and Johnson on the competition jury it would never have even been built); and even Piano’s work, which is now so in vogue, is much more professionally assured and less daring these days. People now have a lot of nice things to say about Fuksas, but until recently if he had come knocking on their doors, nobody would have been at home. And we can’t ignore the bad treatment Gehry used to receive, often the target of plenty of nasty comments, all the bowing and scraping was just for purely commercial reasons, the least possible to keep in with the “in crowd”, which, after all, is the most important thing. Not forgetting the way the best of Catalan architects, such as Viaplana and Pinon, have been totally ignored in favour of some of their much less interesting fellow countrymen. And so on, because there are endless examples. But all this is quite understandable in the end: German-style rational-functionalism has gradually constructed a hugely powerful framework absorbing ideology after ideology. It is hard to fight against battalions like this: carefully conserved down the years and patched up if need be with a sort of boldness that looks quite casual but is actually very carefully thoughtout, the odd hated outsider is occasionally let into the ranks, if need be, to keep the ship afloat so the ramming can continue, carefully keeping tabs on huge slices of the market. Is not this kind of treatment currently being reserved for Koolhaas, whose blatant heterodoxy (and all the obvious consequences in terms of radical antagonism) is patiently being toned down and smoothed out to make it more digestible, even though it does not really fit in at all? Twenty-three years on, even Delirious New York has been translated into Italian (after all, look how poor old Venturi was treated?); and everywhere you go, all you ever hear is talk of the generic metropolis or city, regardless of whether it makes any sense or not. This certainly is not a painless operation: somebody up their on the control bridge is finding it hard to hide their displeasure. But of course Zaha Hadid’s winding curves are not the problem, and needless to say neither are those of her (frankly rather weak) followers. And where would we be without some sort of Kufi-style suprematism? The borderline of irreducability is extremely thin; and there are all kinds of ways of getting round it. The substantial difference between Le Corbusier and the rest has been blurred or even hidden away, singing his praises in a way that he quite rightly enjoyed; but, here again in Italy, Vers une architecture was only (rather badly) translated forty years after it was first written; and another of his most striking books, La ville radieuse, still has not been translated at all. And, of course, hardly anybody studies French any more. It was all much easier with such a bright and charming character like Gio Ponti, and, most significantly, it all went on behind
the scenes, turning him into little more than a decorator: a real pity, because he provided the most deeply original contribution to modern-day Italian architectural design. But if this is still the current state of affairs, what an awful end is likely to await the Hawking Space Time Centre designed by Ian Ritchie Architects and illustrated here in this article, another project to recently emerge from the busy workshop at number 110, Three Colt Street, London. Viewed with a strictly orthodox eye, it would instantly be relegated to the frowned-upon world of pulp and naïf sketches inevitably associated with science fiction. Anyone fond of cartoon strips (the strictly orthodox never are, and this is certainly nothing to boast about) would probably treat it as a rather dubious transcription of E.P.Jacobs (even though, alongside certain graphic difficulties, there is no Professor Mortimer, no Captain Black and no Colonel Olrik). As regards genuine virtual reality fans, there can be no hiding a certain disappointment because some of the sketches are hand-drawn and hence rather rough and old-fashioned-looking. Of course: these are architectural tables, nothing more and nothing less. Drawings designed to investigate whether or not it is possible to give a certain substance to the spaces and forms (with all that this entails in terms of usability, pleasantness and emotion, all the most physical of things) of an apparently ungraspable design brief: viz., a thought, a cluster of the incredibly elegant and unattainable thoughts produced by Stephen William Hawking’s mind. Black holes and sudden encounters with points of infinite density. In cases like this, there is inevitably a tendency to revert to more or less smart and sophisticated installations (depending on who designs them) with their own special independence, even when attempting to move into some sort of intimate contact or close affinity with what is being displayed; just like in various other instances such as the Museum of Science, Technology and Industry at Parc de la Villette in Paris or the Ecology Gallery at the Natural History Museum in London (both worthy examples designed by Ritchie). The situation is usually as follows: a) there is a container that needs filling; b) a container is constructed and then work begins on its internal installation (minor linguistic note: they are called museums not centres). Reserving any complete overlap, desire for interpenetration, so to speak, between the exhibitor and what is exhibited, to just a few specific points (interactive rooms, simulators and other devilish devices verging on video games based on 3-D graphics). Ritchie, rightly convinced that ignorance, fear and an unwillingness to take risks are the set ingredients of a non-creative environment, looks for and takes up a real cutting-edge challenge: to turn a thought into space, moreover a thought about space (and time). This is no mere play on words. Actually drawing on buildable architecture. It might just be feasible; or, at least, there will have been an attempt to move beyond Hercules’ Columns. It goes without saying that this is not a very conventional design; it is extremely bold and certainly poses a number of problems relating to control, most of which are still waiting to be solved. Thirteen spheres and hemispheres, ten of which half-buried, hold inside them places designed to serve various multi-media means of communicating a range of theories of astronomy from the past and present; outside, their shells are surrounded by a rather old landscape (that can be walked about), made of stretched metal fibres beneath a huge central spheriscope with an outside ring (that can also be walked around) and two symmetrical lateral counter-melodies. These huge structures are also set in cocoons, in a sort of inverted analogy with the new terrain; thanks also to slithering light filtered through in various ways and the dramatic effects of sudden carefully-programmed multi-coloured explosions and an endless succession of translucidity, sudden darkenings and opacities dissolving away and then reforming, this creates a space which is not exactly Euclidean but is certainly disorienting and rather magical. Absolutely interstitial. A situation: a sort of total in-between. No more difference, as far as possible, between the programme and its physical form. Of course this is not all: how can we create a sort of cocoon without any insides? Here then, alongside the dozens of endospherical rooms, there is also a new and better version of an old Ritchie invention (from 1987), a spheriscope generating constant 360-degree experiences with the spectators-actors floating on a glass plateau measuring thirty metres in diameter, more precisely the sphere (not) cut in two, wrapped above and below in projections and holograms etc.: of course, it is an illusion but you actually feel as if you are moving through space. Hawking, who is extremely demanding, seemed pleased. So much the better. But we are even more pleased about the fact that this project proves once again, if there was any need to, how stupid and surreptitiously reassuring it is to keep on trying to pigeonhole experiments into definite critical categories, when they are really still just research projects in progress. In Ritchie’s case, he had recently been put in the category of techno-ecology or ecotechnology, whatever it is called. As if we needed to find a name for a new internal combustion engine with low-level emissions of polluting gas; or a new kind of trendy sound.
Dreams and Visions
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■ Schizzo
di Ian Ritchie per l’Hawking Spacetime Centre, ispirato al libro del professor Stephen Hawking A Brief History of Time e commissionato nel 1999 dal Warwick Charlton of Spacetime Centre Ltd Questo progetto riprende l’idea dello stesso Ritchie del 1987: lo sferiscopio, un teatro che offriva un’esperienza a 360° con gli spettatori che fluttuavano su un pavimento di vetro al centro di una sfera di 30 m di diametro, mentre guardavano immagini coordinate proiettate sulle superfici delle semisfere. Questa invenzione è stata ora sviluppata e inclusa nel teatro di questo Centro che comprenderà anche ristoranti, aree espositive, studi e laboratori interattivi e negozi. ■ Ian Ritchie’s sketch for the Hawking Spacetime Centre inspired by the book by Professor Stephen Hawking entitled A Brief History of Time and commissioned to be built by Warwick Charlton of Spacetime Centre Ltd in 1999. The project is designed around an idea devised by Ritchie in 1987: the spheriscope, a theatre offering a 360° experience to spectators fluttering over a glass floor in the middle of a sphere with a 30 m diameter as they watch co-ordinated images projected on surfaces of the hemispheres. This invention has been developed and included in the theatre belonging to the Centre that will also be furbished with restaurants, exhibition areas, interactive laboratories and study rooms, and shops.
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Nella pagina a fianco, dall’alto in basso: sezione 3-3, sezione 2-2, sezione 1-1. ■ Opposite page, from top down: 3-3 section, 2-2 section, 1-1 section. ■
Sopra a sinistra, pianta livello +5.00. Sopra, pianta livello +15.00. Sotto, pianta livello +10.00. Sotto, a sinistra, pianta livello +0.00
■
Above left, plan at level +5.00. Above, plan at level +15.00. Below, plan at level +10.00. Below, left, plan at level +0.00.
■
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■ Rendering
del piano terra dove i visitatori sono accolti da sette navi spaziali che li accompagneranno in un viaggio virtuale nell’universo e incontreranno le immagini audiomendroniche di Hawking, Galileo, Newton e Einstein che presenteranno i propri concetti astronomici. Il concetto architettonico è basato su una serie di sfere e semisfere sopra e sotto il livello del terreno che contengono teatri in cui le imprese astronomiche del passato, del presente e del futuro sono ricreate da un combinazione di sofisticate simulazioni al computer e tecniche multimediali. ■ Rendering of the ground floor where visitors are accommodated in seven spaceships taking them on a virtual trip through the universe to encounter audio-mendronic images of Hawking, Galileo, Newton and Einstein, who present their own astronomy theories. The architectural design is based around a series of spheres and hemispheres above and below ground level containing theatres in which astronomical achievements of the past, present and future are recreated through a combination of elaborate computer simulations and multi-media techniques.
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■ Rendering
del livello +15.00. Le relazioni spaziali tra i teatri all’interno del Centro sono espresse fisicamente da un tessuto metallico distorto e teso tra la sfera più in alto e il perimetro dell’edificio. La superficie di questo tessuto è resa viva in tutte le direzioni da un’illuminazione scenografica e dinamica. La copertura è di tessuto opaco. ■ Rendering of level +15.00. The spatial relations between the theatres inside the Centre are physically embodied in a distorted metal fabric stretched between the highest sphere and the edge of the building. The surface of this fabric is brightened up in all directions by dynamic set lighting. The roof is made of an opaque fabric.
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Tre generazioni Bank of China HQ, Beijing a lunga storia della Bank of China, conosciuta fino al 1912 L come Bank of Great Qing, si arricchisce di un nuovo elemento: una sede nuova di zecca a Beijing. L’edificio, imponente e, allo stesso tempo, docile alle esigenze urbanistiche della sempre più espansa Beijing, è frutto della storica collaborazione tra la famiglia Pei e l’istituto di credito: una relazione che attraversa tre generazioni e due continenti. A partire da Tsuyee Pei, che fu governatore del consiglio di amministrazione della banca a suo figlio I.M.Pei, progettista per la Banca della Cina della Torre che domina il waterfront di Hong Kong (1989), e attualmente titolare dello studio Pei Partnership Architects
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(www.ppa-ny.com), con sede a New York e branche a Los Angeles e Beijing, all’interno del quale i suoi figli Chien Chung Pei e Li Chung Pei hanno progettato questo nuovo edificio. Le grandi dimensioni e i grandi numeri sono d’obbligo quando si parla di edifici istituzionali cinesi. La nuova sede occupa un lotto d’angolo in un’area centrale della capitale cinese delimitata da due grandi viali e in particolare sul lato sud dall’arteria a quattordici corsie del Changanije Boulevard. L’edificio ha una superficie complessiva di 175.000 metri quadrati, entro i quali lavorano 2.550 impiegati. All’interno, oltre agli uffici sono stati realizzati un auditorium
per 2.000 persone, servizi di ristoro per i dipendenti, un parcheggio per 500 auto e 2.000 biciclette e, soprattutto, un enorme salone di ingresso che, con i suoi circa 3.000 metri quadrati, costituisce l’elemento più rappresentativo del progetto. Questa grande area è pensata come un vero e proprio spazio pubblico, posto all’intersezione delle due ali dell’edificio e illuminato generosamente da una copertura e una facciata di ingresso, alta 45 metri, interamente vetrate. Al suo interno, giochi di luce, prodotti dai raggi del sole che incontrano la struttura di travi tridimensionali, arricchiscono e vivacizzano l’atmosfera quieta e rilassante prodotta dalla regolarità ortogonale
Progetto: Pei Partnership Architects
del pavimento in travertino e dal grande giardino di rocce e bamboo realizzato in uno specchio d’acqua artificiale. Le grandi rocce, provenienti da un Parco nazionale della Provincia dello Yunnan, pesano ciascuna dalle 5 alle 10 tonnellate e sono state posizionate in modo da corrispondere alle sottostanti travi portanti che costituiscono la struttura dell’auditorium del piano interrato. In fondo all’atrio si aprono, su due livelli, le grandi sale destinate all’utenza pubblica della banca. Anch’esse sono illuminate dal lucernario centrale e connesse tra loro da una grande pozzo di luce circolare sul quale è appeso a cavi di acciaio un grande anello scultoreo
■ Nella
pagina a fianco, planimetria generale e pianta del piano terra; a destra dal basso in alto, piante del secondo livello interrato, del secondo piano e di un piano tipo della nuova sede della Bank of China a Beijing.
■ Opposite
page, site plan and plan of the first floor; right, from bottom up, plans of the second basement level, second floor and a standard floor of the new headquarters of the Bank of China in Beijing.
che contiene il sistema di illuminazione artificiale. All’ariosità e vivacità di questo enorme spazio, corrisponde all’esterno una facciata continua in vetro cui si attaccano su entrambi i lati le imponenti facciate regolari e geometriche interamente rivestite (come anche tutti gli interni) in travertino romano: oltre 50.000 metri quadrati di lastre tagliate da una singola cava di Tivoli. Questa unità materica conferisce all’edificio, che occupa un intero isolato, una forte coerenza e coesione espressiva, facendolo apparire quasi come una enorme scultura ricavata da un singolo blocco di pietra. L’operazione portata avanti dallo studio Pei Partneship Architects con
questo progetto riflette la situazione in cui versa la cultura cinese contemporanea che si sta destreggiando tra il mantenimento della tradizione più antica, dei principi sociali, economici e politici del Maoismo e la scommessa di rinnovamento e apertura verso l’Occidente. Una via di ricerca che è ribadita anche nella “missione” che la stessa Banca della Cina (www.bankofchina.com) si propone di perseguire: “migliorare il proprio spirito di solidarietà, dedizione e imprenditorialità, preparandosi adeguatamente a fronteggiare i veloci cambiamenti e le sfide poste dal mercato globale, e lottare per un progressivo avanzamento nel nuovo millennio”. Elena Tomei
he long history of the Bank of T China, known as the Bank of Great Qing until 1912, has a further
enliven the quiet and relaxing atmosphere deriving from the orthogonal regularity of the travertine floor and large garden of rocks and bamboo shoots created in an artificial pool of water. The large rocks from the National Park in the Province of Yunnan each weigh between 5-10 tons and have been carefully placed to match the bearing beams below that form the main structure of the basement auditorium. The large bank premises open up over two levels at the back of the hall. They are also lit by the central skylight and interconnected by a large circular well of light from which a large sculptural, circular ring holding the artificial lighting is suspended. The bright and lively atmosphere in this huge space is matched on the outside by a glass curtain façade whose imposing, regular, geometrically-designed facades are clad entirely with Roman travertine (just like the rest of the interiors) attached along both sides: there are over 50,000 square metres of travertine cut from one single quarry in Tivoli. The fact that the building (occupying an isolated site) is all made of the same material make it stylistically smooth and coherent, almost as if it were a huge sculpture cut out of one single block of stone. The design created by Pei Partnership Architects reflects modern-day Chinese culture as it now wavers between holding onto its oldest traditions, the socio-economic and political principles of Maoism, and a bold attempt to modernise and open up to the West. A line of experimentation that is exemplified in the Bank of China’s (www.bankofchina.com) own “mission” to: “improve its own spirit of solidarity, dedication and business enterprise to be ready to face up to the high-speed changes and challenges coming from the global market, and fight to gradually progress through the new millennium”.
addition to its annals: a brand new headquarters in Beijing. This huge building gently complying to the town-planning requirements of the rapidly expanding city of Beijing is the result of long-term cooperation between the Pei family and the bank itself: relations that stretch across three generations and two continents. Starting with Tsuyee Pei, who was the chairman of the bank’s board of directors, and then his son I.M.Pei, who designed the Tower Bank of China that looms over the Hong Kong waterfront (1989) and is now the head of Pei Partnership Architects (www.ppa-ny.com) based in New York which also has branches in Los Angeles and Beijing, where his sons Chien Chung Pei and Li Chung Pei jointly designed this new building. The facts and figures are inevitably mighty impressive when dealing with official Chinese buildings. The new headquarters stands on a corner lot in the downtown district of the capital of China and is bordered by two large avenues, notably 14-lane Changanije Boulevard along the south side. The building covers an overall surface area of 175,000 square metres, where 2,550 workers are employed. In addition to the offices, the inside of the building also holds a 2,000-seat auditorium, staff refreshment facilities, a car park with 500 spaces for cars and 2,000 for bicycles and, most impressively, a huge entrance hall whose approximately 3,000 square metres are the most distinctive feature of the entire design. This is an authentic public space at the intersection of the building’s two wings and generously lit through the roof and 45-metre all-glass entrance façade. Inside, lighting effects caused by the sunlight striking the three-dimensional beam structure brighten up and
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■ Vista
generale dell’edificio che occupa un lotto d’angolo delimitato da due grandi viali e in particolare sul lato sud dall’arteria a quattordici corsie del Changanije Boulevard. L’edificio ha una superficie complessiva di 175.000 mq, entro i quali lavorano 2.550 impiegati. All’interno, oltre agli uffici sono stati realizzati un auditorium per 2.000 persone, servizi di ristoro per i dipendenti, un parcheggio per 500 auto e 2.000 biciclette e, soprattutto, un enorme salone di ingresso che, con i suoi circa 3.000 metri quadrati, costituisce l’elemento più rappresentativo del progetto. Sopra, particolare costruttivo per la definizione dei pavimenti e delle linee visuali.
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■ General
view of the building standing on a corner lot of a central area of the capital of China bordered by two large avenues and, in particular, by fourteenlane Changanije Boulevarde over on the south side. The building covers a total area of 175,000 square metres, where 2,550 employees go about their business. Inside, in addition to the offices, there is an auditorium with a capacity of 2,000, staff refreshment facilities, a car park with room for 500 cars and 2,000 bicycles and, most importantly, a huge entrance lounge whose 3,000 square metres are the most distinctive feature of the project. Above, construction detail for defining the floors and visual lines.
■ Viste
del grande atrio di ingresso. Al suo interno, giochi di luce, prodotti dai raggi del sole che incontrano la struttura di travi tridimensionali, arricchiscono e vivacizzano l’atmosfera quieta e rilassante prodotta dalla regolarità ortogonale del pavimento in travertino e dal grande giardino di rocce e bamboo realizzato in uno specchio d’acqua artificiale. ■ Views of the large entrance lobby. Inside, lighting effects caused by the sunlight striking the three-dimensional beam structure brighten up and enliven the quiet and relaxing atmosphere created by the orthogonal regularity of the travertine floor and huge garden of rocks and bamboo shoots constructed in an artificial pool of water.
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■ Nella
pagina a fianco, una delle due grandi sale pubbliche della banca. Le grandi sale della banca, illuminate dal lucernario centrale e connesse tra loro da una grande pozzo di luce circolare sul quale è appeso a cavi di acciaio un grande anello circolare e scultoreo che contiene l’illuminazione artificiale. A sinistra, sezioni e particolari costruttivi della scultura/lampadario della sala pubblica e, sopra, vista del lucernario dal pozzo di luce della sala attraverso la scultura circolare. ■ Opposite page, one of the bank’s two large public halls. The main bank halls, lit through the central skylight and interconnected by a huge circular pool of light with a large circular, sculptural ring holding the artificial lighting hanging from it. Left, constructions details and sections of the sculpture/lamp in the public hall and, above, view of the skylight from the hall’s well of light seen through the circular sculpture.
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Credits Pei Partnership Architects Partners-in-charge: Chien Chung Pei, Li Chung Pei Design Architect: Ralph Heisel Project Manager: Gerald Szeto Resident Architect: Mo Ping Design Team: Jennifer Adler, David Black, Perry Chin, Guy Evans, Kazuaki Iwamoto, Samantah Lee, James Pertusi, Lita Riddock, Howard Roman, Jeff Stumacher, Shaun Shih, Hajime Tanimura, Toh Tsun Lim, Michael Vissichelli, Paul Yen, Chaim Zeitz Design Consultant: I.M.Pei Consulting Structural Engineer: Weidlinger Associates Consulting Mechanical Engineer: Jaros, Baum & Bolles Design Institute: China Academy of Building Research Consultants: P.Y.Chin Architect (curtain wall and stonework), George C.T.Woo & Partners (interior design), Kugler Tilloston Associates (lighting), Shen Milsom & Wilke (audio-visual & acoustics), Davis Langdon Shea (quantity surveyor), Ove Arup & Partners Hong Kong (communication, information technology and PBAX), Travers Associates (traffic), Raymond Searby (specifications), Tracy Turner Design (graphics, signage), Independent Stone Consulting (stone inspection), Infact Consulting (tading room) General Contractor: China State Engineering & Construction Co. Ltd. Exterior & Interior Travertine: Mariotti Carlo & Figli Curtainwall/Skylight: Philipp Holtzmann/Josef Gartner Steelwork: Lavis Bauvelt Elevators: Hitachi Elevator Engineering Escalators: Schindler Lifts & Escalators Interior Stone: Furrer Lighting: William Artists International Client: Beijing Bank of China Building Co. Ltd.
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L’orma del mammut Oriental Arts Centre, Shanghai ■ Nella
pagina a fianco, pianta della sala principale (1.979 posti) del Oriental Arts Centre che verrà realizzato entro il 2004 in Century Avenue a Shanghai. ■ Opposite page, plan of the main hall (1,979 seats) of the Oriental Arts Centre planned to be built by the year 2004 in Century Avenue in Shanghai.
Credits Project: Paul Andreu, ADPi and ECADI Project Management: Felipe Starling (ADPi) Assistants: Graciella Torre, Michel Adment, Hervé Langlais Engineering: ECADI, S.Baghery/Coyne et Bellier (special structures), R.Peltier (facade) Scenography: M.Rioualec, BSEDI Acoustics: M.Vian (CSTB), Xu Acoustique Illustrations: AXYZ, Antoine Buonomo, Bernerd Dragon, Hervé Langlais Publications Manager: Michèle Marsallon Chinese Team: M.Jin (Project Manager); M.He (Chief Architect); M.Wang (Chief Structure Engineer) Client: Shanghai Pudong new area culture broadcast television bureau
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Progetto: Paul Andreu, ADPi, ECADI
n luogo per l’arte, per le esposizioni, per il teatro e per la musihome for art, exhibitions, drama and music in a park in the ca a Shanghai, proprio di fronte alla Town Hall, in un parco. city of Shanghai, right opposite the Town Hall. Once again U A Ancora una volta l’abilità progettuale di Paul Andreu, si esprime su Paul Andreu has shown his design expertise, in conjunction with un territorio che sta programmando il suo inserimento nel nuovo millennio e, soprattutto, vuole confrontarsi con le società consumistiche mondiali. Nel nuovo complesso sono stati previsti 1.054 posti a sedere per il teatro lirico, 330 posti a sedere per la sala da concerti per la musica sinfonica, oltre, ben inteso, alle sale per le mostre, i negozi, la libreria, le sale destinate alla multimedialità, i ristoranti e i training centre, insomma una città progettata sul modello della piazza medioevale del mercato, dove la merce diventa scambio e contemporaneamente fonte di informazioni. In questo progetto di Paul Andreu per Shanghai appaiono subito evidenti due temi fondamentali, l’uso del linguaggio contemporaneo dell’architettura, in grado di esprimere al meglio ogni tipo di funzione moderna, e il desiderio di trasformare questi imponenti impianti pubblici, tipici delle società dei consumi, da non luoghi in luoghi nevralgici per diventare parte di quegli elementi fondativi di una comunità che tende al divenire della sua aggregazione. Marc Augé, antropologo docente dell’École des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, sottolinea il pericolo di un appiattimento totale delle personalità all’interno di questi grandi vuoti cittadini: i supermercati che annullano la nostra mediazione con gli altri e ci riducono, alla fine, al semplice numero della nostra carta di credito, così come gli aeroporti, o le anonime catene alberghiere. Ecco i non luoghi che, nella loro diffusione planetaria e nella sbalorditiva invarianza, rappresentano uno dei più forti connotati tribali del villaggio globale. Ecco come appare la possibilità di un’ipotesi di trasformazione in questo progetto; creare una sorta di poesia, come se dalle varie componenti dell’edificio si potesse trarre la sensazione che qualcosa stia sempre per accadere. E’ come riuscire a coltivare la religione dell’attesa nel vestibolo della tragedia classica, dove tutti si incontrano ma nessuno esiste se non nel pensiero dell’altro. Purtroppo diventano o troppo vuoti o troppo pieni, sono spazi determinati dalla loro funzione: e quest’escursione dal pieno al vuoto la si può controllare facilmente motivandola nell’interesse di un servizio affascinante: una nota, un pezzo d’arte, un canto. Martin Heidegger, sostiene che l’arte, come in genere ogni forma di espressione artistica è l’origine del sapere. Basta pensare come il tramonto della società colta e della sua estetica, siglato dalla rivoluzione francese, dava vita a prospettive di cui l’Oriente si era già invaghito, periodicamente, in passato. Ecco i contenuti spirituali e formali del progetto per l’Art Center di Paul Andreu, che riportano ai valori che generano i mutamenti delle comunità e che trovano, proprio attraverso l’arte dell’architettura, il modo di fondere spazio e tempo alla conquista del sapere trasformante. Andreu, nel racconto della sua architettura che prende l’avvio dalla forma tridimensionale polifonica del quadrifoglio e si impianta sull’idea dell’orma di un mammut, ci porta alle riflessioni e all’attenzione dell’urto con cui l’espressione dell’arte ci investe. Ci fa sapere che soltanto nell’essere eterno come lo è la pietra è possibile trovare il senso vero e definitivo delle cose in mutamento. E’ come se confermasse, attraverso l’aggregazione delle forme di questo nuovo complesso cinese, l’atemporalità propria dell’architettura e l’universalità dell’uomo. Nella critica del giudizio rimane il concetto di intuizione che rivaluta l’aspetto visivo e la struttura temporale: per questo siamo indotti a credere che tra la caducità del mondo e la realizzazione dell’attimo le espressioni artistiche promettono a noi tutti che qualcosa si può trattenere, proprio nell’attimo della percezione. Forse in una terra che appare colma di tradizioni ma desolata nella nostra contemporaneità, tanto che neppure avverte di esserlo, Paul Andreu, quale architetto, cerca di generare una speranza all’indolore solitudine a cui tutti sembriamo condannati. I non luoghi della nostra quotidianità, dovranno essere risolti proprio dall’architetto, abile a restituirli a una promessa o a una esigenza di incontro, sarà proprio lui a riaccendere la fiammella della coscienza. In questo progetto appare chiara l’intensità con cui Paul Andreu esprime l’architettura che, non a caso, si basa su immagini dirette e metaforiche, proprio nell’intento di ottenere un’immediatezza nella trasmissione attiva delle funzioni alle quali è destinato l’intero organismo e il nostro quotidiano. Mario Antonio Arnaboldi
the ADP team from Paris, in a place that is carefully planning its entry into the new millennium and, most significantly, coming to terms with global consumer society. Culture, or in other words an openness to all art forms, is one of the basic ingredients in a nation’s growth, development and general system of information, a way of enhancing its basic knowledge and knowhow. The new facility will have an opera house with a seating capacity of 1,054, a symphony concert hall with 330 seats, as well as exhibition rooms, shops, a book store, multi-media facilities, restaurants and training centres. In a word, a city designed along the lines of a Medieval market square, where goods come in the form of information. Paul Andreu’s Shanghai project clearly focuses on two key themes, the use of a modern-day architectural idiom capable of expressing every type of modern function in the most effective way and a desire to convert the kind of huge public facilities typical of consumer society from non-places into key locations forming part of the very foundations of a gradually evolving community. Marc Augé, an anthropologist teaching at the ‘Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales in Paris, has warned us of the danger of a complete flattening out of personality inside these huge empty spaces in the city: supermarkets that stop us interacting with others and end up reducing us to the number on our credit card, just like airports or faceless hotel chains. These are those non-places, all the same right across the globe, that are one of the most distinctive tribal features of the global village. This project for Shanghai offers a possibility of change by creating a sort of poetry, as if the feeling that something is about to happen can be detected in the various components of a building. It is like learning that great art of waiting embodied in the vestibule of classical tragedy, where everybody meets but nobody exists except in other people’s minds. Unfortunately they end up either too full or too empty, spaces shaped by their function: this transition from solid to space can easily be controlled by alluding to the intriguing function it serves: a note, a piece of art, a song. Martin Heidegger claims that art, like every other form of artistic expression, is the origin of knowledge. Remember how the twilight of cultivated society and its aesthetics, sealed by the French revolution, opened up fresh prospects that had already spread through the East from time to time. These are the spiritual/stylistic contents of Paul Andreu’s project for an Art Center, contents alluding to the values that trigger off changes in communities and, through the art of architecture, find a way of melding space and time to produce the kind of knowledge that transforms society. Andreu’s architecture, taking shape around the three-dimensional polyphonic form of a four-leafed clover and grounded in the idea of a footprint of a mammoth, makes us think and focuses our attention on the shock associated with artistic expression. It tells us that only something eternal like stone can give us a real sense of how things change. It is as if the aggregation of forms in this new Chinese complex confirmed the timeless nature of architecture with the universality of man. The critique of judgement still contains an idea of intuition recovering a sense of vision and temporal structure: this makes us think that, somewhere between the transience of the world and a fleeting moment, works of art promise us the possibility of holding onto something through the act of perception. Perhaps in this land brimming with tradition but lacking in modernity (so much so that it does not even know it exists), Paul Andeu has attempted to use his architectural expertise to bring hope to the painless solitude in which we all seem to be condemned to live. The non-places of daily life must be placed in the architect’s hands, so that he can give us fresh hope and the chance to share our experiences by rekindling the flame of consciousness. This seems to be the real meaning behind a project in which Paul Andreu has deliberately drawn on architecture based on direct, immediate and metaphorical images in search of a instant active transmission of the functions characterising our entire organism and everyday life.
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■ Nella
pagina a fianco, planimetria generale e, sotto, rendering del complesso che copre una superficie di 36.694 mq e dispone di tre sale: la Sala per orchestre filarmoniche, 1.979 posti; il Teatro Lirico, 1.054 posti; la la Sala per la musica da camera, 330 posti. Il piano terra del complesso comprende oltre al grande atrio pubblico, sale per incontri, gli spazi di circolazione e aree espositive e, grazie alla sua trasparenza ha la funzione di legare i tre auditori alla città.
■ Opposite
page, site plan and, below, rendering of the complex covering a surface area of 36,694 square metres and furbished with three halls: the philharmonic orchestra hall (1,979 seats), Opera House (1,054 seats) and chamber music hall (330 seats). In addition to large public lobby, the ground floor of the complex also holds meeting rooms, circulation spaces and exhibition facilities and, thanks to its transparency, is also designed to link the three auditoriums to the city.
■ Pianta del terzo livello. ■ Third-floor plan.
■ Pianta
del secondo livello. ■ Second-floor plan.
■ Pianta del piano terra. ■ Ground-floor plan.
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■ Rendering
del Oriental Arts Centre costituito da tre corpi di sette piani ciascuno che saranno rivestiti di materiali diversi, mantenendo però in comune ampie porzioni vetrate e in ceramica smaltata. La composizione dei tre volumi appare come un’enorme scultura luminosa e trasparente tra gli alberi.
■ Renderings
of the Oriental Arts Centre formed out of three sevenstorey constructions, each of which to be clad with various materials while sharing extensive glass and enamelled ceramic sections. The three structures looks like a huge transparent and luminous sculpture amidst the trees.
Intermodale e “cristallina” Gare du Nord in Paris n cast d’eccezione per il nuovo Espace Transilien della Gare du U Nord, inaugurato il settembre scorso
SNCF Ap-Arep/Stéphan Lucas
a Parigi. Jean-Marie Duthilleul, Etienne Tricaud e Daniel Claris dell’Agence des Gares con Arep (Aménagement, Recherche, Pôles d’échanges), una sinergia confluita in risultati prestigiosi di cui le stazioni di Valence, Avignon e Aix en Provence della linea TGV Mediterranée sono tra gli esempi più rappresentativi, hanno dato l’ennesima prova di grande professionalità risolvendo con eleganza un programma funzionalmente e volumetricamente complesso. La ristrutturazione di un padiglione esistente affiancato alla facciata monumentale della Gare du Nord viene completata dal nuovo padiglione a doppia campata completamente trasparente che si iscrive nella continuità della struttura storica di Hitorff, progettata nella seconda metà dell’Ottocento, e ne reinterpreta altezze, alli-
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neamenti e trama di sviluppo ricorrendo a un vocabolario contemporaneo. Si tratta del principale intervento messo in atto da Transalien, un programma promosso da SNCF, società che gestisce le ferrovie francesi, e RATP, a cui fanno capo i trasporti pubblici parigini, sostenuti dal Sindacato dei Trasporti e dalla Regione Ilede-France, con l’obiettivo di modificare radicalmente l’ambiente delle stazioni e dei treni francesi per potenziarne il livello di confort, accoglienza e facilità di utilizzo La tecnologia dell’acciaio e del vetro viene così declinata in sintonia con l’architettura dell’edificio esistente ricostituendo l’originale rapporto tra la facciata monumentale della stazione e il contesto urbano. La trasparenza della struttura dichiara nella sua leggibilità e nella luminosità degli ambienti le ambizioni del programma ergendosi a simbolo di un nuovo concetto di stazione intermodale basato
sulla qualità e la sicurezza dei servizi e degli spazi fruiti dai viaggiatori. La riconfigurazione della Gare du Nord, che con oltre 500.000 passeggeri al giorno è la prima d’Europa e la terza nel mondo, riordina in un rapporto più fluido e funzionale il sistema di scambio e interconnessione tra le diverse reti di trasporto: metropolitana, RER, TGV Nord Europe, Eurostar e Thalys che fanno di questo polo uno dei principali nodi di collegamento tra Parigi e tutto il nord Europa. La semplicità del padiglione vetrato che si affaccia sulla città offrendosi al pubblico con estrema naturalezza, racchiude quindi una complessa strategia di progetto: la grande piattaforma centrale s’inabissa per cinque livelli sovrapposti mettendo in comunicazione con i differenti sistemi di trasporto. Essa diviene un vero e proprio pozzo di luce per portare luminosità e aria anche nei piani più profondi dove un sistema di scale e passerelle assicura i
Progetto: Jean Marie Duthilleul, Etienne Tricaud, Daniel Claris, Arep
collegamenti verticali e orizzontali. La leggibilità degli spazi e dei percorsi è inoltre sottolineata dalla scelta dei materiali di rivestimento: piastrellatura alle pareti per l’accesso alla metropolitana, travi e pilastri in intonaco rosso per l’ingresso al mezzanino RER, pannellature acustiche in legno per la RER E, cemento e pavimentazioni in pietra, tutti di tonalità chiara, per alleggerire gli ambienti comuni rischiarati dalle superfici vetrate delle facciate e della copertura serigrafata per filtrare la luce naturale. Rientra in questo concetto di nuova generazione, la distribuzione degli spazi tecnici, torre antincendio, locali di evacuazione dei fumi e postazioni per il controllo dei sistemi elettronici, la cui collocazione pressoché nascosta al pubblico consente di non intralciare la libera circolazione ed eventuali future trasformazioni degli ambienti pubblici. E.C.
Credits Project: Agence des Gares ; JeanMarie Duthilleul, Etienne Tricaud, Daniel Claris Engineering and design departement: Arep (Joelle Deson, representative), OTH, Nicolas
Green (glass work), Observatoire 1 (lighting) Direction of works: SNCF - EVEN, Paris Nord Client: SNCF, Stations Branch, Ilede-France Division Delegated client: SNCF - Paris Nord Division
n exceptional cast for the new A Espace Transilien at the Gare du Nord that opened in Paris last September. Jean-Marie Duthilleul, Etienne Tricaud and Daniel Claris the bedrock of the Agence des Gares in conjunction with Arep (Aménagement, Recherche, Pôles d’échanges), a joint-venture producing such prestigious results as the three stations in Valence, Avignon and Aix en Provence on the Mediterranée TGV line (one of the finest examples of this synergy), have shown once again just how they can handle a functionally and stylistically complex design brief with dazzling expertise and elegance. The modernisation of an old pavilion standing alongside the monumental facade of the Gare du Nord is completed by a new totally transparent twin-span pavilion slotting neatly into the old Hitorff structure designed during the latter half of the nineteenth-century and reinterpre-
■ Nella
pagina a fianco, il padiglione a doppia campata del nuovo spazio Transilien della Gare du Nord a Parigi. La struttura in acciaio e vetro racchiude una grande piattaforma che si inabissa per cinque livelli
ting its heights, alignments and patterns in a modern-day vocabulary. This is the most important part of the Transilien project, a programme set up the SNCF, the firm running the French railways, and RATP, which handles Paris’s public transport system, with the backing of the Transport Union and Ile-de-France Regional Council, with a view to radically altering French trains and stations by making them more comfortable, welcoming and easier to use. Steel and glass technology smoothly caters for the building’s architecture, restoring the original relations between the station’s monumental facade and urban setting. The brightness and intelligibility of the transparent facilities epitomise an ambitious programme to create a new kind of intermodal station based on the quality and safety of the services and spaces used by passengers.
mettendo in comunicazione con i diversi sistemi di trasporto. In questa pagina, vista dell’atrio della stazione intermodale in cui è largamente privilegiata la presenza della luce naturale.
■ Opposite
page, the twinspanned pavilion of the Transilien space in the Gare du Nord in Paris. The glass and steel structure encloses a large platform dipping down five levels to bring together various transport systems.
The layout of the Gare du Nord, whose 500,000 passenger-a-day make it the biggest in Europe and third biggest in the world, provides a smoothly functional way of reorganising the system of connections and links between different transport networks: underground, RER, TGV Nord Europe, Eurostar and Thalys, making this junction one of the main connections between Paris and the whole of northern Europe. The simplicity of the glass pavilion facing onto the city and opening up to the general public with absolute naturalness encloses an intricate design strategy: the huge central platform dips down over five overlapping levels to interact with different transport systems. It also turns into an authentic well of light to bring brightness and air to the deeper levels where a system of stairs and walkways guarantees horizontal and vertical links. The clarity of the spaces and
This page, view of the intermodal station lobby predominantly filled with natural light.
pathways is also underlined by the choice of cladding materials (a common denominator in the various station designs developed by the team composed of Arep and Agence des Gares): tiles on the walls leading into the underground station, red plaster beams and columns for the entrance to the RER mezzanine, wooden acoustic panels for the RER E, and concrete and stone floors, all in clear colours, to lighten up the communal areas brightened up even more by the glass surfaces of the facades and roof specially serigraphed to let in natural light. This new generation concept also encompasses the layout of technical spaces, fire tower, smoke dispersal rooms and control units for the electronic systems, whose location practically hidden away from the public ensures smooth circulation and allows future transformations of the public places.
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â– Nella
pagina a fianco, il sistema di scale e passerelle che distribuiscono gli accessi e i collegamenti ai diversi sistemi di trasporto organizzati nei cinque livelli sotterranei che prendono luce dalla copertura vetrata opportunamente serigrafata per evitare fenomeni di
abbagliamento. In basso, sezione sulla rampa di collegamento alla stazione dei bus. In questa pagina, pianta del piano terreno del nuovo spazio Transilien e sezione est-ovest sui livelli di distribuzione del sistema intermodale metropolitano, ferroviario e stradale.
â– Opposite
page, system of stairs and walkways setting out the entrances and links to the various transport systems spread over five underground levels that take in light from the glass roof specially serigraphed to prevent glittering. Bottom, section across the connection ramp to
the bus station. This page, ground-floor plan of the Transilien space and east-west section over the distribution levels of the underground, railway and road intermodal junction.
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Design per Autogrill An Icon Building ■ Nella
pagina a fianco, viste delle torri con il logo Autogrill che segnano la facciata principale dell’edificio lungo la Strada 7 Milanofiori Assago (Milano). Le torri, alte 30 m, assolvono la funzione di richiamo, mentre l’andamento più ritmico e orizzontale dei corpi vetrati ne attenua l’impatto ed equilibra la tensione visiva dell’insieme. ■ Opposite page, views of the towers with the Autogrill logo marking the building’s main facade along Strada 7 Milanofiori Assago (Milan). The 30metre-tall towers are landmarks, while the more rhythmic and horizontal patterns of the glass structures lessens the impact and balances out the overall visual tension.
Credits Project: Jacobs Italia Project Manager: Marco Schiavi Architect: Paolo Mantero Metalwork: Carpenterie Bergamasche Padane Facade Systems, Gass, Frameworks: Costruzioni Serramenti in Alluminio Lighting: Guzzini, Artemide Floors: Sercos Servizi Costruzioni, Crespi, DLW False Ceilings: Sercos Partition Walls, Doors: Universal Selecta Lifts: Otis Air Conditioning: Tecnoconfort Electrical Plants: Elettroimpianti Furniture: Faram, Tecno, ICF Coordination for the Client: Build Consult Client: Autogrill
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architettura contemporanea si trova spesso a fare i conti odern-day architecture often has to come to terms with con edifici la cui funzione risiede non tanto nella modellabuildings whose basic purpose is not so much to carefulL’ M zione calcolata degli spazi e dei percorsi, quanto nella messa a ly shape spaces and pathways as to develop a communication punto di un sistema di comunicazione che risolve la prassi della fruizione in una serie di eventi rituali e di immagini codificate in un linguaggio coerente. Non si tratta, beninteso, di una novità assoluta, dal momento che anche l’architettura del passato ha spesso affrontato tematiche del genere. Solo che, un tempo, esse rientravano nella dimensione dell’eccezionale - dell’insolito oppure del mistico - e segnavano la misura di un potere elitario. La festa rinascimentale, il trionfo imperiale, le grandi cerimonie ecclesiastiche o l’aggraziata frivolezza sans souci delle dimore di campagna settecentesche chiudevano l’architettura in un cerchio magico, la cui immagine era destinata a concludersi in un’autoreferenzialità che rendeva unico e isolato ciascun episodio. La società di massa di oggi ha fatto propri quei rituali, ma li ha trasferiti sul piano di un comportamento collettivo in certo modo laico, che ne ha moltiplicato le potenzialità, ma ne ha uniformato le motivazioni di partenza. Nella vasta classificazione che se ne ricava, il viaggio in automobile, particolarmente in autostrada, costituisce una voce tra le più corpose; e al suo interno, la sosta, il ristoro, lo svago intermittente e la ricorrente cura di sé rappresentano altrettanti nodi culturali che, trasformati in servizio, presuppongono una organizzazione spaziale, una comunicazione visiva e una sequenza di ambienti e funzioni perfettamente attrezzati. In pratica, esso esige un sistema destinato a reiterarsi lungo il viaggio in modo che il viaggiatore - e la massa di cui egli è parte - possano trovare ogni volta, nella diversità delle soluzioni formali e delle situazioni ambientali, gli stessi segnali, la stessa accoglienza, gli stessi percorsi, le stesse immagini, sempre sospesi in un’atmosfera confortevole e incantata, piena di sollecitudine e di confortevolezza. Siamo dunque dinanzi al tema architettonico dell’autogrill paroletta magica composta da “auto”, nel senso abbreviato di “automobile”, e dalla contrazione di “grillroom”, che in inglese sta all’incirca per “rosticceria”. Struttura di servizio e insieme edificio in certo modo effimero, spazio rigorosamente efficiente e immagine fugace, sistema tecnico e linguistico complesso, calcolato però per risolversi in una fruizione piana, fluida, agevole, l’autogrill rappresenta, per dirla banalmente, ma con efficacia, una icona del nostro tempo, una figurazione ricorrente nel nostro immaginario culturale, una presenza stabile nel panorama sociale in cui siamo quotidianamente immersi. Posto di fronte al compito di progettare il palazzo della sede della società Autogrill alle porte di Milano, Paolo Mantero, per la Jacobs Italia spa, ha istintivamente riassunto tutti questi elementi, per sintetizzarli in un’architettura che, mantenendosi accuratamente lontana da ogni tentazione mimetica o pop, richiama implicitamente i contenuti dell’attività che in quella sede ha la propria direzione, e ne ripropone non certo l’immagine stereotipa, ma, per così dire, la filosofia ispiratrice. Compito non facile, a ben vedere, giacché se era agevole sottrarsi agli allettamenti dei richiami più platealmente espressionistici, non lo era affatto sfuggire a quella, altrettanto pericolosa, di un rigorismo anonimo e arcigno, che avrebbe dissolto l’edificio nello sbiadito panorama della periferia milanese. La soluzione è stata, in generale, quella di scandire la presenza dell’edificio in una sequenza perfettamente calcolata di volumi geometrici - le torri e i corpi principali - giocando sul contrasto tra le superfici vetrate di questi e il rivestimento metallico di quelle, in modo da creare un dinamismo nel quale la vitalità dell’azienda può rispecchiarsi. Inoltre le torri, alte trenta metri, assolvono una funzione di richiamo, non solo, come è ovvio, grazie all’innesto del logo aziendale, ma anche con la loro stessa emergenza spaziale; mentre l’andamento più quieto e solennemente ritmato dei corpi vetrati ne attenua l’impatto e ne equilibra la tensione visiva. A partire da questa configurazione d’insieme, il palazzo si snoda in una serie di episodi che si avvicendano negli ambienti interni, dove il modello progettuale si rinnova nel rivestimento delle pareti, nella trasparenza dei divisori, nella sobria eleganza degli arredi; e che trovano infine la loro sintesi nel grande ingresso vetrato che si pone come segno funzionale e simbolico, adeguato alla richiesta di enfatizzazione del messaggio di comunicazione. L’architettura esprime dunque allusivamente, per accenni, la natura dell’attività cui l’edificio è destinato; e conclude il suo sapiente discorso ellittico distendendo intorno alla struttura una fitta macchia di verde, richiamo anch’essa all’idea di oasi, refrigerio, ristoro che gli autogrill ci trasmettono in autostrada con la loro fuggevole e invitante presenza. Maurizio Vitta
system designed to provide the right idiom for a series of codified rituals and images. Of course this is not something absolutely new in that architecture often had to cope with similar problems in the past. The difference being that it used to be something exceptional unusual or mystical - and was a sign of elite power. The Renaissance feast, imperial triumph, major religious festivals or gracious care-free frivolity of an eighteenth-century country home enclosed architecture in a magic circle, whose image inevitably turned into a self-referential event, unique of its kind. Modern-day mass society has taken on these rituals for itself, shifting them onto the plane of what is in certain respects a secular form of collective behaviour that has multiplied their potential but tended to remove any underlying differences in their basic reason for being. Car journeys account for a healthy slice of this category; rest, refreshment, the odd moment of fun and plenty of attention to well-being are all cultural nodes which, transformed into services, call for spatial organisation, visual communication and a set of perfectly-furbished functions and facilities. In practical terms, this requires a system designed to be repeated along the journey so that, despite the different stylistic features and environmental situations, people out travelling on the road are sure to find the same signals, the same welcome and the same pathways and images suspended in the same highly comfortable and warmly welcoming atmosphere. We are, of course, talking about service stations, whose Italian counterpart, the “autogrill” contains abbreviations of the words “automobile” and “grillroom”. A service facility and also transient building, a highly efficient space with a fleeting image and intricate technical/linguistic system designed to provide a smoothly flat and fluid system that might rightly be described, rather blandly but effectively, as an icon of the age in which we live, a leit-motif in our collective cultural psyche and ever-present part of our daily lives. Faced with the task of designing the building for holding the headquarters of the Autogrill company at the gates of Milan, Paolo Mantero from Jacobs Italia spa instinctively drew in all these features, shaping them into a work of architecture which, while keeping a safe distance from the tempting allure of camouflaging or the pop style, implicitly evokes the services the headquarters is designed to manage. Rather than exploiting any sort of stereotyped image, it has, so to speak, drawn on its underlying philosophy. No easy task on the face of it. Even though it was not too difficult to steer clear of overtly expressionistic solutions, it was a lot harder to avoid the equally risky temptation of resorting to rather gloomy, faceless precision, which would inevitably result in the building fading into the dull and uninspiring backdrop of the suburbs of Milan. In the end it was decided to make the building’s presence felt through a perfectly gauged sequence of geometric structures - the main towers and blocks - playing on the contrast between the glass surfaces and metal claddings, so as to create a sense of dynamism in which the firm’s own vitality is reflected. The thirty-metre-tall towers also act as landmarks, not just thanks to the insertion of the company logo (needless to say) but also through their own special presence; on the other hand, the calmer more solemn rhythmic pattern of glass structures lessens the impact and balances out the visual tension. Working on this overall configuration, the building winds through a sequence of episodes running through the interiors, where the design theme is reiterated in the wall coating, transparency of the partitions, and austere elegance of the furnishing; finally, they are all neatly embodied in the large glazed entrance, which represents a functional/symbolic sign serving to underline the communication message. This means the architecture quietly alludes to the nature of the activity the building is designed to serve. Its clever elliptical discourse concludes by extending around the structure of thick greenery, another allusion to the idea of a cooling, refreshing haven that motorway service stations pass on through their fleetingly enticing presence.
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Campata tipo L 7,50 metri Standard bay L 7.50 metri
Campata tipo L 7,50 metri Standard bay L 7.50 metri
Campata tipo L 7,50 metri Standard bay L 7.50 metri
■ Sopra
e sotto, sezioni parziali sugli uffici. ■ Above and below, partial sections of the offices.
Corpi scala principali Main stairways
Spazio di lavoro Work space
Circolazione Circulation
Spazi di supporto Support spaces
Circolazione Circulation
Spazio di lavoro Work space
Scale di emergenza Fire escapes
■A
Parete cieca/Blank wall Parete vetrata/Glass wall Area postazione disponibile/Available works station space
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sinistra, pianta standard di un ufficio di 25.7 mq e, a fianco di uno di 17.1 mq. Sotto, da sinistra piante standard di postazioni di lavoro open space di 7.5 mq, 4.3 mq, 7 mq, e uffici per impiegati non stanziali di 2.25 mq. ■ Left, standard plan of an office measuring 25.7 sq.m and, opposite, another measuring 17.1 sq.m. Below, from left, standard plans of open space work stations measuring 7.5 sq.m, 4.3 sq.m and 7 sq.m, and offices for temporary staff measuring 2.25 sq.m.
■ Pianta del quinto ■ Fifth-floor plan.
piano.
■ Pianta del primo ■ First-floor plan.
piano.
■ Nelle
pagine successive, particolari degli esterni, dell’atrio di ingresso e degli uffici e spazi di circolazione interni. ■ Following pages, details of the exteriors, entrance lobby and offices, and interior circulation spaces.
■ Pianta del piano terra. ■ Ground-floor plan.
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68 l’ARCA 171
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Struttura di luce Dialectical Relations 70 l’ARCA 171
Convergence, ADC Lobby, Eden Prairie, Minesota
elle ultime realizzazioni di Ed Carpenter assistiamo a una prod Carpenter’s latest works seem to be gradually bringing gressiva integrazione tra scultura e architettura, che apre together sculpture and architecture to open up unexpected N E inattesi e interessanti orizzonti nella riflessione sullo stato attuale and interesting prospects for the modern-day art and design della cultura artistica e progettuale. Partiamo dalla descrizione di alcuni casi. In “Convergence” lo spazio architettonico della sede centrale di ADC Telecom a Eden Prairie, nel Minnesota, è attraversato da un segno che, composto degli stessi materiali di cui sono costituiti i prodotti dell’azienda, forma un’immagine saettante e carica di energia, nella quale è vagamente simboleggiato il poderoso flusso di informazioni che caratterizza la nostra età. In “Light Wings”, realizzato nel George Bush International Airport di Houston, nel Texas, il grande lucernario è tagliato da una struttura che avvolge lo spazio interno in un movimento reso dinamico e variegato dalla luce: quella diurna, che riflette sui segmenti vetrati i suoi raggi, e quella notturna, che accende la figurazione di vivaci effetti luminosi. “Light Veil” è invece una grande installazione, realizzata nella Shelby County Library di Memphis, nel Tennessee, che si proietta nell’ampio vuoto dell’atrio in una fitta composizione di elementi lineari in vetro, nei quali la luce crea un ricco intreccio di trasparenze, luci e ombre destinato a comporsi nell’immagine di un’aerea e luminosa velatura. Che cosa hanno in comune queste opere? In primo luogo un rapporto intrinsecamente architettonico con lo spazio, grazie al quale le strutture delle costruzioni moltiplicano la loro qualità rappresentativa e funzionale. I lavori di Carpenter prolungano, per così dire, le competenze dell’architettura: essi non si sovrappongono a essa, ma ne completano il percorso concettuale, la concludono là dove il suo immediato darsi alla funzione lascia in sospeso il suo discorso logico. In altre parole, se l’architettura si distende nello spazio, la scultura di Carpenter si distende nello spazio dell’architettura; ed è in questa decisiva contromossa che il momento progettuale si intreccia organicamente con quello artistico. Ma si può anche invertire il percorso, e partire da una pura concezione formale, da un’idea di forma librata sull’artefatto architettonico, pronta a calarsi in esso nel punto in cui il contatto, come in un amplesso, si fa intimo e definitivo. Questo è sempre stato il momento del trionfo della scultura nel suo confronto con l’architettura: trionfo che non segna una conquista dell’una sull’altra, ma il riconoscimento della comune matrice, che resta quella della modellazione dello spazio e della sua significazione. In queste opere, la scultura nasce là dove essa era chiamata prima ancora di concepirla, prima, cioè, che se ne avvertisse l’assenza. E’ il caso, per esempio, della struttura metallica che completa la sommità di una torre per uffici a San Francisco, dove un giardino pensile si conclude con una forma cupolare che deve anzitutto spiccare da un grande sfiatatoio, per annullarne l’ingombro di puro servizio, legittimandone in certo modo la presenza sulla piattaforma della copertura, e deve inoltre definire, nella sua aerea forma, lo spazio del giardino. Il territorio di frontiera che Ed Carpenter esplora ormai da tempo si rivela dunque non tanto la sottile linea di incerto equilibrio che separa due discipline contigue, ma comunque separate, come la scultura e l’architettura, quanto il luogo nel quale gli sfrangiati margini dell’una sfumano e si ricompongono in quelli dell’altra, in una continuità che deve far riflettere sulla cultura del nostro tempo, lontana dalla modernità, ma non ancora composta in un disegno omogeneo e coerente. In effetti l’architettura moderna si è dimostrata, per tutto il XX secolo, incline ad assorbire le qualità estetiche e simboliche della scultura, mentre quest’ultima ha mostrato di voler restare chiusa nell’arcigno isolamento - spaziale, non certo culturale - cui la dimensione monumentale che aveva assunto dal XVII secolo in poi l’aveva relegata. Ciò ha consentito a molte opere architettoniche, anche recenti, di fare apertamente propria la natura plastica e intrinsecamente formale della scultura, rendendo così monumentale la stessa architettura. Il vero problema della nostra epoca è quello di evitare identificazioni totali, e di far riaffiorare invece la comune sostanza che in altri tempi queste due arti “maggiori” avevano sempre rivendicato. La tendenza attuale, che Carpenter rappresenta, apre quindi una interessante prospettiva: nella possibilità di una rinnovata integrazione fra scultura e architettura non troviamo, infatti, una impossibile assimilazione dell’una nell’altra, con la conseguente perdita di identità di entrambe, ma la sottolineatura di una differenza che si esalta nella continuità e nel reciproco rapporto dialettico. Maurizio Vitta
scene. Let’s begin by taking a look at a number of examples. In “Convergence” the architectural space of the headquarters of ADC Telecom in Eden Prairie in Minnesota is shot through by a sign which, constructed out of the same materials that the company products are made of, creates a striking image bursting with energy that vaguely symbolises the relentless flow of information characterising the age in which we live. In “Light Wings” built in George Bush International Airport in Houston, Texas, the giant skylight is cut through by a structure wrapping round the interior space in a movement injected with varying dynamism by the light: daylight reflected in the glass sections, and nighttime light creating bright lighting effects. “Light Veil” is a huge installation in the Shelby County Library in Memphis, Tennessee, projecting into the open lobby space in a densely-knit composition of linear glass elements in which light creates a rich web of transparency, light and shadow designed to form a bright and airy sense of veiling. So what do all these works have in common? Firstly, an intrinsically architectural relation to space, thanks to which building structures multiply their representational/functional qualities. Carpenter’s works might be described as extending the jurisdiction of architecture: rather than overlapping with architecture, they actually further its conceptual boundaries, filling the gap that pure function fails to complete. In other words, whereas architecture extends through space, Carpenter’s sculptures extends through architectural space; and this is the trick that weaves design into artistry. But the process can be turned on its head and pure formalism can be taken as the starting point, an idea of form projected onto the architectural construct, ready to sink into it just when the contact becomes more intimate and definitive, as if it were some kind of embrace. This has always been the moment when sculpture triumphs over architecture: a victory which is not a sign of having conquered the other but an acknowledging of a common matrix in the shaping of space and its meaning. In these works, sculpture emerges from the place where it was called up even before it was conceived, viz., before its absence was noted. This is the case, for instance, with the metal structure at the top of an office block in San Francisco, where a hanging garden terminates in a dome-shaped form looming above a huge air vent that makes the vent seem more than just a utility and vindicates its presence on the roof platform, actually defining the garden space through its airy form. Carpenter has designed an open trussed tubular structure arching above the large terrace in great style, free from functional requirements and gently resting down on the architecture as if it were returning to its natural home. The cutting-edge realms that Ed Carpenter has been exploring for some time now are not so much evident in the thin line of uncertain balance separating two similar but distinct disciplines like sculpture and architecture, as in the place where the edges of one fade into the other, creating a sense of continuity that tells us a lot about the present cultural scene, a far cry from modernity but still without out its own clear-cut design. Throughout the entire 20th century, modern architecture tended to absorb the aesthetic/symbolic qualities of sculpture, while sculpture strove to hang on to its age-old independence - spatial not cultural - deriving form the monumentality it took on from the 17th century onwards. This allowed plenty of even recent works of architecture to take on the sculptural and intrinsically stylistic nature of sculpture, thereby giving even architecture its own monumentalism. The real problem characterising the age in which we live is the need to avoid any form of total identification, working instead to bring out that common substance that these two “main” art forms always shared in days gone by. The current trend, embodied in Carpenter’s work, opens up interesting prospects: the possibility of bringing sculpture and architecture back together does not mean they can be assimilated into each other with the resulting loss of identity on both sides; it merely underlines a difference brought out through a sense of continuity and reciprocal dialectical relations.
■ La
scultura, 20x3 m, “Convergence” è stata installata nel Campus annesso alla sede centrale della ADC Telecom, nei pressi di Minneapolis. ■ ”Convergence”, a 20x3 m sculpture, is installed on the Campus alongside the headquarters of ADC Telecom, near Minneapolis.
Credits Project: Ed Carpenter Project Assistant: Oanh Tran Metal Fabrication: Albina Pipe, Bending and John Rogers Studio Glass Fabrication: Haefker O’Neill Studio Building Architect: HGA Client: ADC Telecomunnications
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■ La
scultura si incunea nell’architettura e utilizza i materiali propri dei prodotti della ADC Telecom: vetro, rame alluminio e luce. In basso, piante e sezioni di “Convergence”.
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■ The
sculpture slots into the architecture and uses the same materials as ADC Telecom products: glass, aluminium copper and light. Bottom, plans and sections of “Convergence”.
â– La
grande scultura punta verso il banco della ricezione e si innalza al di sopra delle scale, come seguendo il movimento dei visitatori del Campus e offrendo a essi lungo il percorso diverse e dinamiche prospettive della propria struttura.
â– The
large sculpture points towards the reception desk and rises up above the stairs, as if it were following the movements of visitors to the Campus and offering them various dynamic views of its own structure along the way.
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Light Wings, George Bush International Airport, Houston, Texas
■ La
scultura “Light Wings”, 27x13x5 metri, realizzata in vetro laminato dicroico, cavi e montanti in acciaio inossidabile e luce computerizzata, è appesa al lucernario centrale del Terminal A-North dell’Aeroporto Internazionale di Houston. ■ The sculpture “Light Wings”, made of dichroic laminated glass, stainless steel cables and stanchions and computerised light, hangs from the central skylight of Terminal A-North of Houston International Airport. It measures 27x13x5 metres.
Credits Project: Ed Carpenter Building Architect: Gensler Lighting Design: Bos Lighting Design General Contractor: Caddell Client: Department of Aviation Houston TX
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■ Particolare
e, in basso, sezione dell’installazione. Durante il giorno la scultura proietta i raggi del sole provenienti dall’alto sul pavimento e sulle pareti del Terminal, mentre di notte le luci programmate al computer creano dipinti luminosi cinetici.
■ Detail
and, bottom, section of the installation. During the daytime the sculpture projects sunlight from above onto the Terminal’s floor and walls, while at nighttime the computerprogrammed lights create luminous kinetic paintings.
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Light Veil, Shelby County Library, Memphis, Tennessee
■ Realizzata
con vetri laminati dicroici, cavi e montanti di acciaio inossidabile e armature di alluminio, “Light Veil” domina con i suoi quasi 30 m il grande atrio della nuova biblioteca centrale di Memphis. ■ Made of dichroic laminated glass, stainless steel cables and aluminium frames, “Light Veil”, which is almost 30 m high, dominates the main lobby of the new central library in Memphis.
Credits Project: Ed Carpenter Project Assistant: Oanh Tran Building Architect: Looney Ricks Kiss Architects Engineer: Grant Davis Client: Foundation for the Library, Memphis, TN
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■ Particolari
della scultura, che appare come un grande velo di vetro luminoso. I suoi strati sovrapposti di lamine dicroiche creano una ricca trama di riflessi,
trasparenze, ombre e colori che si trasmettono in configurazioni geometriche sempre mutevoli sulle pareti in gran parte vetrate dell’atrio.
■ Details
of the structure that looks like a huge luminous glass veil. Its overlapping layers of dichroic laminas create a rich pattern of reflections, transparencies, shadows
and colours transmitted in the form of constantly changing geometric configurations on the mainly glass walls of the large lobby.
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Elogio allo sgabello In praise of the milking stool
na trentina di designer internazionalmente riconosciuti sono U stati invitati da Pierre Keller, ex direttore dell’Ecal (Ecole cantonale d’art) di Losanna a riflettere su un oggetto singolare o quantomeno curioso la cui funzione non è propriamente ascrivibile nelle comuni abitudini delle società metropolitane. Lo sgabello dei mungitori di vacche (botte-cul è il termine proprio della Svizzera romanda che ha dato il nome anche alla mostra organizzata durante la passata edizione del Salone del Mobile di Milano) è diventato così da oggetto esclusivamente funzionale, oltre che profondamente territoriale, un tema di progetto di interesse e ampiezza internazionali che, travalicando i confini del regionalismo e dello spirito e delle pratiche rurali, ha offerto uno spunto originale e “trasversale” ai tradizionali campi di ricerca oggi cavalcati dal mondo del disegno industriale. Non manca in tutta l’operazione una vena di humor nonché di sottile provocazione: tutti i designer, selezionati tra i professori chiamati per tenere cicli di lezioni all’Ecal, sono stati infatti “omaggiati” di un vero e proprio “botte-cul” originale quasi per sottolineare la singolarità funzionale e di fattura e l’origine nazionale dello “strumento” , anche se il fine dichiarato del promotore era quello di “dimostrare che non esiste alcun campo di ricerca che sfugga alla curiosità del design industriale”. Comunque sia, il risultato è stato di sicuro effetto e di particolare interesse, offrendo una pausa veramente alternativa alla grande kermesse della settimana del Salone. Interpretazioni poetiche, tecnologiche, minimaliste, pop e pulp ma comunque di un estremo rigore funzionale, con una ricerca linguistica e dei materiali di rara raffinatezza. Bravi i trentaquattro designer, compresa la ristretta selezione dei studenti del Dipartimento di disegno industriale di Losanna, che hanno apprezzato e interpretato con ingegno e una giusta dose di divertimento lo sgabello del mungitore del XXI secolo e bravi anche gli altri studenti dell’Ecal che hanno realizzato i bellissimi prototipi esposti nella mostra che si potrà rivedere a Losanna dal 11 giugno al 1 settembre al Musée de design et d’art appliqués contemporains. Elena Cardani
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bout thirty internationally renowned designers have been A invited by Pierre Keller, former director of Ecal (Ecole cantonale d’art) in Lausanne to reflect on a strange or at least curious object, whose usage is not exactly commonplace in big cities. The cow milking stool (botte-cul is the expression used in French-speaking Switzerland and it also lends its name to the exhibition organised during the last edition of the Furniture Show in Milan) is no longer just an exclusively practical object deeply entrenched in its context of use, it is now a design theme of international standing which, by breaking the boundaries of regionalism and of rural life and habits, has provided an original “across-the-board” input to traditional fields of research currently in vogue in the world of industrial design. Of course, there is a subtle vein of provocation and humour running right through this entire project: all the designers chosen from the professors commissioned to hold lecture courses at Ecal have been given an authentic, original “botte-cul” as a “gift”, almost as if to emphasise the singularity on a practical and stylistic level and in terms of national origin of this “instrument”, even though the promoter of the enterprise officially claimed it was really designed to “show that no field of experimentation escapes the interest of industrial design”. In any case the results were certainly interesting and highly effective, offering a real interlude during the hectic business of show week. Poetic, technological and minimalist interpretations, pop and pulp designs of great functional precision featuring close attention to stylistic experimentation and research into materials of rare beauty. The thirty-four designers all performed well, including the small group of students from the Department of Industrial Design in Lausanne, who appreciated and skilfully and playfully worked on the their own versions of the 19th-century milking stool. Praise must also go to the students from Ecal, who designed the magnificent prototypes on display at the exhibition, which can be seen again in Lausanne from 11 June-1st September at the Musée de design et d’art appliqués contemporains.
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Pierre Fantys
I designer che hanno partecipato alla mostra/The designers who took part in the exhibition: François Bauchet, Yves Béhar/Fuseproject (23), Sebastian Bergne (26), Bibi Gutjahr, Ronan & Erwan Bouroullec (13), Fernando & Humberto Campana (2), Matali Crasset (20), Florence Doleac/Radi designers (16), Pierre-Yves Dubois (4), Alexis Georgacopoulos, Konstantin Grcic (22), Martí Guixé (21), Richard Hutten (25), Fulguro (14), Rémy Jacquet/Multiple-design, Eric Jourdan (5), Pierre Keller, Axel Kufus (3), Frédéric Lambert (8), Luke Pearson-Tom Lloyd/PearsonLloyd (24), Ross Lovegrove, Christophe Marchand, Jean-Marie Massaud (11), Christophe Moinat (7), Marcello Morandini (9), Jörg Boner/N2 (17), Atelier Oï (15), Ora-Ïto, Kuno Prey (10), Denis Santachiara (12), Olivier Sidet/Radi designers (6), Marco Sousa Santos (19), Francisco Torres (1), Evangelos Vasileiou & Pierre Gonalons, zed/Hannes Wettstein (18).
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Filo Bertone Elegance and Innovation 80 l’ARCA 171
ra i grandi designer italiani di auto, Bertone ha più di altri dimoT strato una vocazione per l’innovazione, fondata sull’architettura dell’auto e sulla tecnologia. Si pensi alla Lamborghini Miura, mirabile invenzione di una nuova idea di auto sportiva per un produttore praticamente esordiente, oppure all’Alfa Romeo Carabo, straordinario esercizio di soluzioni innovative e di derivato stile, oppure oggi alla coraggiosa auto-moto BMW C1. L’ultimo prodotto di questa filiera è la Filo (da cui deriva la Novanta, più seduttiva versione presentata al Salone di Ginevra 2002 per il novantesimo anniversario). La Filo è una showcar all’apparenza discreta, in realtà rivoluzionaria, frutto di una precisa volontà di cambiamento, attribuibile a Roberto Piatti, direttore del Centro Stile Bertone. L’obiettivo di Piatti, raccolto in una lunga chiacchierata a Caprie, elegante e ritirata sede del Centro Stile, era di ripensare l’auto in modo davvero nuovo, partendo da una sostanziale evoluzione della sua architettura. Molti prototipi sono soprattutto esercizi di stile, dream car costruite intorno a super motori, vestite di forme eccitanti, arricchite da materiali preziosi. La Filo è diversa: è un’auto dal design apparentemente semplice, costruita intorno a una meccanica normale. La diversità sta tutta nella nuova concezione dello spazio interno, derivante da un radicale ripensamento del sistema di comando dell’auto. Come in architettura i grandi cambiamenti storici non nascono quasi mai dagli esercizi di design o di stile ma dalle innovazioni industriali e tecnologiche, così per la Filo l’evoluzione deriva dall’appli-
ogni tipo con i comandi elettronici dei diversi giochi elettronici, avrà ancora bisogno di un volante?). L’azione dello sterzo è quindi comandata con un normale movimento rotatorio della consolle (che in realtà è l’essenza di un normale volante correttamente impugnato, secondo la regola delle “nove e un quarto”). L’accelerazione si ottiene ruotando sul suo asse una delle due manopole, in analogia con il comando di una motocicletta. La frenata è più innovativa, facendosi con un’istintiva azione dei momenti di reazione emotiva, e cioè lo stringere delle mani. Il cambio è semplice, giocato sul sistema dei bottoni per salire o scendere di marcia, già portato nel mondo dell’auto da Marelli prima per la Ferrari in F1, poi per Alfa Romeo con il sistema Selespeed. Particolare attenzione è stata data dalla SKF al realismo dei comandi, che devono permettere il controllo dell’intensità delle azioni (una frenata potente!) e trasmettere la sensibilità delle relative reazioni (qui entrano in gioco le tecnologie aeronautiche). A questo punto l’innovazione, quella vera, diventa un facile programma: al posto dei sedili anteriori, che normalmente sono corpi singoli, separati (salvo in certe americane del secolo scorso), che qualche volta possono anche essere avveniristici, ultracomodi, figli di un gesto di superdesign, per chi sale sulla Filo diventano un solo ampio sofà, sul quale comodamente sistemarsi, un pezzo unico senza discontinuità (salvo il grande morbido bracciolo centrale) dove si possono allungare le gambe in ogni direzione, come su un vero divano, trovando tutto lo spazio libero dagli ingombri dei
cazione di un sistema elettronico avanzato. Per questo il progetto è sviluppato insieme a partner tecnologici come SKF e Nokia. Giustamente interessato all’ideazione dell’abitacolo, oggi vera frontiera di ricerca nel mondo dell’automobile, Piatti capisce che nulla si può davvero cambiare senza un importante mutamento delle regole del gioco, che nell’auto sono immancabilmente dettate dalla tecnica di guida e dai relativi dispositivi. Ecco il punto di partenza: l’interno della Filo vede scomparire tutti i vincoli tradizionali: pedali, volante, cambio e connessi strumenti disposti sul cruscotto. Ogni leva, ogni ingombro che normalmente occupa il cruscotto e il pianale è integralmente sostituito dalla tecnologia by wire (con comandi via “filo” appunto). Gli strumenti di controllo sono quindi concentrati in una protesi elettromeccanica, innervata nel bracciolo del divano anteriore. E’ una sorprendente consolle tecnologica, equilibrato prodotto di ergonomia e design, a prima vista una via di mezzo tra una Playstation e il manubrio di uno scooter d’avanguardia. Il coinvolgimento di SKF come partner tecnologico fornisce il sistema, già applicato in aeronautica, fondato sul controllo sostanzialmente elettromeccanico dei comandi che quindi svincola gli elementi del sistema dalle posizioni tradizionali. Ogni azione è controllata con una qualsiasi delle due mani, con comandi gestibili in modo piuttosto intuitivo, come richiede il buon senso di voler assecondare le abitudini tradizionali di guida (ma mio figlio Edoardo, che a 9 anni padroneggia a ogni velocità veicoli di
comandi. Al posto del cruscotto, liberato dai comandi e dai pulsanti, resta una morbida forma unitaria, nella quale una apertura, come una palpebra, rivela alcuni superstiti strumenti. In generale Filo non cerca di colpire con lo stile. L’esterno non è particolarmente interessante: segno dei tempi, della concentrazione della ricerca e dell’attenzione sull’abitacolo, sull’idea di autocasa. La maggiore peculiarità del corpo vettura è l’altezza, in particolare della parte posteriore, che unita alla posizione estremamente bassa dei divani liberati dalla relazione ergonomica con la pedaliera, di nuovo rivela una sostanziale innovazione, cioè la straordinaria abitabilità dell’interno. La Filo infatti regala ai passeggeri (anche i più alti) un eccezionale respiro spaziale, che permette anche di collocare il divano posteriore in posizione rialzata su quello anteriore, così da permettere al passeggero seduto dietro un’inusuale e piacevole visione del percorso stradale. Lo stesso interno, pur così innovativo, non è “bello” ma funzionale, minimalista. Uno slogan della Filo è “forget ornament”: l’interno rincorre un’idea di pulizia. Piatti ha lavorato sui materiali: evitando gli inserti in legno, sostituendo la pelle con i tessuti di lana. Infine, un dettaglio meno interessante per lo spazio dell’auto ma sicuramente innovativo per le abitudini connesse: al centro del volante-consolle sta piantato un particolarmente evoluto telefono estraibile/portatile sviluppato da Nokia, vero e proprio strumento di controllo del viaggio anche dall’esterno dell’auto. Benedetto Camerana
Take, for instance, Lamborghini Miura, a wonderful invention of a new kind of sports car by a manufacturer virtually making its debut, the Alfa Romeo Carabo, a marvellous exercise in innovation and style, or more recently the daring BMW C1 carmotorbike. The company’s latest design is the Filo (and the closely related Novanta, a more seductive version presented at the 2002 Motor Show in Geneva to celebrate its ninetieth anniversary). The Filo is a seemingly discrete but actually revolutionary show-car resulting from a real desire to change on the part of Roberto Piatti, the director of the Bertone Style Centre. Piatti’s aim, expressed during a long chat at Caprie, the Style Centre’s elegant and austere headquarters, was to really re-think the car working from a real development in its architectural design. Many prototypes are above all exercises in style, dream cars built around super-engines dressed up in exciting forms embellished with fancy materials. The Filo is different: it apparently has a simple design working around ordinary mechanics. The difference lies entirely in a new approach to interior space deriving from a radical re-thinking of the car’s control system. Just as in architecture great historical changes never come from
ventional driving (but will my son Edoardo, who at the age of nine can control all kinds of vehicles at any speed using the electronic controls of various electronic games, still need a steering wheel?). The steering wheel is still controlled in the usual way by turning the control unit (which is actually just like an ordinary steering wheel held in the proper “a quarter to nine” position). The car accelerates by twisting one of the two handles just like a motorbike. Braking is more innovative, using an instinctive reaction in emotional situations, i.e. by squeezing your hands. The gears are changed by a system of buttons to move up or down; a technique Marelli has already introduced into the world of cars, first for the Ferrari in Formula 1 racing, then the Alfa Romeo’s Selespeed system. SKF has also paid special attention to the controls, which are supposed to be able to alter in intensity (sudden braking!) and let you feel the relative reactions (this is where aeronautical technology comes into play). Innovation, real innovation, actually takes the form of an easy programme: the front seats, usually separate, individual units (except in certain American cars from last century), which can sometimes be extremely futuristic and super-comfortable in design, have been replaced by a simple sofa design in the Filo, where you can stretch your legs in all directions just like on an ordinary sofa thanks to all the space freed from cumbersome controls. The dashboard with all its buttons and controls is now just
exercises in design or style but technological/industrial innovations, so the Filo’s evolutionary force derives from the application of a cutting-edge electronic system. This is why the project has been developed in conjunction with technological partners like SKF and Nokia. Rightly concerned about cockpit design, now the real frontier in the world of cars, Piatti realises that there can be no real change without notably adapting the rules of the game which, in the case of cars, are inevitably dictated by how they are driven and what their controls are like. The starting point is the way the interior of the Filo has been cleared of all the conventional gear: pedals, steering wheel, gear stick, and other instruments on the dashboard. Each lever, each instrument usually taking up room on the dashboard and panel has been replaced by wire technology (viz., using “wire” controls). This means the control instruments are concentrated on a technological prosthesis slotted in the armrest of the front seat. This is a startlingly well-balanced technological combination of ergonomics and design, at first sight something between a Playstation and the handle bars of a fancy new scooter. SKF’s technological contribution takes the form of a system (already used in the aeronautical industry) based on a largely electromechanical control system that does not adopt all the usual positions. Everything is controlled by one of the driver’s hands in a rather intuitive way so as not to break too drastically with con-
a soft unitary form where an opening, like an eyelid, reveals the odd control still left. Generally speaking, the Filo does not have a flashy design. The outside is not particularly interesting: a sign of the times, of research’s tendency to focus on the inside and the idea of a carhome. Its most distinctive feature is its height, particularly at the rear, which together with the extremely low position of the seats finally freed from any ergonomic constraints connected with the pedals features another notable innovation: the user-friendliness and comfort on the inside. The Filo provides passengers (even the tallest) with plenty of room to breathe, also allowing the rear seat to be raised above the front seat so that passengers in the back get an unusual and pleasant view of the road. Despite its innovation, the insides are more minimalist and practical than “beautiful”. One of the Filo’s slogans is “forget ornament”: the inside works around an idea of cleanness. Piatti has focused on materials: avoiding wood inserts, replacing leather with woollen fabrics. Style is marginal, design is essential: the seats are not very fancy, just clear-cut, simple and leaving nothing to elegance. Finally, a detail that is less interesting in terms of the car space but certainly innovative for related habits: the latest removable/mobile Nokia phone has been fitted right in the middle of the steering wheel-unit, a real control instrument out on the road, even when you are out of the car.
ertone, one of the great Italian car designers, has, more than B others, shown a real vocation for innovation based on the architectural structure and technological features of its cars.
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■ In
queste pagine particolari del motore e degli interni della Filo Bertone, la show car messa a punto dal Centro Stile Bertone, con una spiccata attenzione all’innovazione tecnologica. In particolare, tutta la strumentazione normalmente contenuta nel cruscotto è raggruppata in una protesi elettro-meccanica dotata di tecnologia by wire (a filo) innervata nel bracciolo del divano anteriore.
■ In
■ Gli
■ The
interni sono minimalisti e pratici con un design essenziale imperniato sull’idea di pulizia e funzionalità. Tra le caratteristiche innovative: il sedile anteriore è costituito da un unico “divano”; i sedili posteriori possono essere rialzati offrendo ai passeggeri un’insolita vista della strada.
these pages, details of the engine and interiors of Filo Bertone, the show car designed by Centro Stile Bertone, which puts particular attention on technological innovation. The main evident characteristic is that all instruments usually taking up room on the dashboard and panel are here concentrated on a technological prothesis (utilizing by wire control technology) slotted in the armrest of the front seat.
interiors are minimalist and practical with an essential design based on the idea of cleanness and functionality. Among the innovations: the front seat is a unique and simple “sofa”; the rear seats can be raised so that passengers in the back gat an unusual view of the road.
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La spiritualità circolante Circulating spirituality 84 l’ARCA 171
tilitarianism isn’t an economic philosophy anymore. tilitarismo. Non è più un pensiero dell’economia. E’ By now it is a mere, total, unrestrainable, relentless U ormai una mera, totale, inarrestabile, accanita corsa al U race for money. Nothing new, just what happens to all denaro. Non è una novità, come d’altra parte accade per tutte le cose umane. Ma la novità c’è, ed è nelle dimensioni del fenomeno e nel suo impero totale in ogni latitudine geografica, in qualsiasi società, in ogni strato sociale. “Another day, another dollar”, no? Ma questo motto statunitense tutto sommato potrebbe essere una nota di pragmatismo esasperato, ancora al di qua del gretto utilitarismo. I soldi piacciono o servono. Sul secondo punto nessuno dissente. Sul primo, qualcuno potrebbe manifestare un po’ di indifferenza. E mi permetto mettermi in questo manipolo. Con ciò non voglio scoraggiare quel tale che ha pensato di donarmi una piccola parte della sua ingente fortuna. Sappia che io so, e me ne rendo conto ogni giorno, che i soldi servono. Servono a me. Ma non sono interessato a servire “loro”, a mettermi al servizio del dio denaro. Intendo continuare a essere ateo. E’ atea, l’arte? Manco per sogno. Eppure qualche decennio fa c’era chi aveva paura che la propria arte potesse essere contaminata o condizionata dalla “dittatura” del mercato, o chi ignorava addirittura il problema. Il divertimento e l’“egotismo” espressivo avevano diritto di cittadinanza nella repubblica dell’arte. Oggi c’è chi del principio o della processualità sfacciatamente e pesantemente utilitaristici fa la propria bandiera ideologica. E confonde i valori. Ad esempio, il rampante Mark Kostabi si è ricordato che negli anni ‘60/’70 è apparsa l’arte moltiplicata e paramoltiplicata. Nulla si toglieva all’“aura” (almeno i più “aperti” così pensavano) se uno scultore affidava la realizzazione materiale-manuale di una sua opera alle maestranze o a degli esecutori sulla base di un proprio disegno dettagliato nelle forme, nella struttura complessiva, nei colori ecc. Insomma, con una procedura lontana dalla modellazione a opera del proprio pollice, come insegnava Medardo Rosso, o Rodin. Ma ecco un esempio più vicino. Quando il vivace Ugo Nespolo nel proprio asettico studio torinese realizza le sue opere “a mosaico” con il contributo sostanziale, sul piano manuale, dei propri assistenti, rispetta l’“aura”. (Questo concetto è inflazionato, ma ci fa comodo). Tuttavia, la sua processualità, e, prima ancora, la natura della propria arte sono ben diverse da quelle dell’americano. Quest’ultimo “dipinge” in regime di assoluta unicità del pezzo. Si vuol dire che nel suo lavoro vale, o dovrebbe valere, la singola pennellata. Salvo a voler onorare un altro dio, parente del dio denaro, ossia il cinismo. Il cinismo è anche nel paradosso, se quest’ultimo è offensivo, e non autentico. Quest’attitudine qualche volta è chiamata provocazione. Ma c’è provocazione e provocazione. C’è la provocazione-proposta (basterà pensare al formalismo otto-novecentesco); c’è la provocazione dell’arte esteticamente e socialmente impegnata; e c’è la provocazione-paradosso-cinismo che peraltro, quando comincia a perdere colpi, fa il salto definitivo. Quale? Si autoqualifica ideologia. Della debolezza naturale e sostanziale fa una bandiera floscia e millantata, basata soltanto sul “tanto, chi se ne frega!” e su un’efficiente organizzazione esterna. Ho voluto approfittare di Mark Kostabi solo per offrire un esempio della spiritualità imperante. Ancora una volta vengono in aiuto i Paesi poveri, o comunque non profondamente toccati dai comportamenti occidentali. Quando, nel ‘90, nella mostra “Il sud del mondo” presentai artisti di ogni parte di quell’emisfero, sottolineavo il valore “energetico” di quelle aree geografiche, ancora salubri ( a dispetto di situazioni di indigenza) e ricche di colori e sapori, aree capaci di dare ormai lontane le antiche forme di colonizzazione - un contributo di vitalità e di creatività al “nord del mondo”. Ecco, lì, c’era e c’è una diversa e più profonda spiritualità. L’artista che assuma la coscienza di tale spiritualità non rinuncia a costruire i suoi sogni di un floridissimo mercato. Semmai, ove cominciasse subito a esprimere questa sua nuova coscienza, risulterebbe pioniere della svolta. Si allude alla svolta contro le esagerazioni e le impennate senza senso nel mercato dell’arte contemporanea. Dunque, è un problema di nuovo approccio. E dopo il “day after”, gli USA senza Twin Towers, gli USA del recupero, gli USA del “ground zero” che si rimboccano le maniche stanno vivendo il senso del ricominciamento e della ricostruzione (quasi come una di quelle avviatesi, in Europa, non appena finita la seconda guerra mondiale). Ora è facile che i nuovi USA diranno “Another day, another day” e poi magari aggiungeranno: “I hope also for another dollar”. Carmelo Strano
human things. But what is new is the dimensions of the phenomenon, its total dominion in every geographical latitude, in any society, on any social level. “Another day, another dollar”, right? But this American motto may only be a sign of exasperated pragmatism, and may still be far from petty utilitarianism. We like money and we need it. Everyone knows that money is necessary. But lots of us might show some indifference when asked if we really do like it. And I’m one of the latter. By saying this I don’t mean to discourage whoever might want to leave me a small part of his/her vast fortune. He/she must know that every day I realize how necessary money is. I need it. But I’m not interested in serving “it”, in putting myself at the money-god’s disposal. I mean to go on being and atheist. Is art atheist? Not at all. Yet, a few decades ago, some artists were afraid that their own art could be contaminated or conditioned by the “dictatorship” of the market, or, on the other hand, some of them totally ignored the problem. Expressive enjoyment and “egotism” had the right of citizenship in the republic of art. Today, there are artists who make the shameless, heavily utilitarian principle or processes their own ideological banner. And they mix up their values. For instance, the go-getting Mark Kostabi recalled that in the 1960s and 70s a multiplied and paramultiplied art appeared. Nothing was taken away from the artistic “aura” (or, at least, the most open-minded thought so) if a sculptor entrusted the material-manual realization of one of his works to skilled workers. He only needed to present them with his own detailed design, the precise forms, overall structure and colours to be used, etc. In other words, with a procedure that was far from modelling with his own thumb, like Medardo Rosso or Rodin taught us. But here’s a closer example. When, in his aseptic studio in Turin, the lively Ugo Nespolo creates his “mosaic” works with substantial help from his assistants, he respects the “aura”. At any rate, his way of working and the very nature of his art are very different from those of the American. The latter “paints” in line with the absolute uniqueness of his piece. What is supposed to emerge is that in his work, the single brushstroke is worth a lot, or should be worth a lot. Unless another god - related to the money-god - is honored, and that is cynicism. Cynicism is in the paradox, too, if the latter is offensive and not genuine. This kind of attitude is sometimes called challenge. But challenge has different faces. There are challenges that contain a proposal (for instance, nineteenth and twentieth-century formalism); there are the challenges of aesthetically and socially committed art; there are paradoxical-cynical challenges that start faltering and then take the final step. What step? They define themselves as ideology. They make a flabby, fraudulent banner out of their own natural weakness, which is only based on “Who cares, anyway!” and on an efficient outside organization. I have only referred to Mark Kostabi so as to give an example of prevailing spirituality. Again, the poor countries come to the rescue, those that are not deeply touched by Western behavior. When in the exhibition “The south of the world” (1990) I presented artists from every part of that hemisphere, I highlighted the “energetic” value of those geographical areas, which are still healthy (despite the destitution), colorful, full of flavor. They are areas that are capable of giving vitality and creativity to the “north of the world”, since by now the old forms of settlement have been overcome. In the south of the world there was and still is a different and deeper kind of spirituality. Artists who are aware of this spirituality don’t need to relinquish building up their dreams of a thriving market. If anything, if they start expressing this awareness right away, they could turn out to be the pioneers of this turning point. We’re alluding to a turning point in the exaggerations and sudden flares that don’t make sense in the contemporary art market. Therefore, the problem must be approached in a new way. And after the “day after”, the USA without its Twin Towers, the USA which is recovering, the USA with its “ground zero”, tucking up its shirt sleeves, is experiencing a sense of a new start and of reconstruction (similar to the reconstruction in Europe just after World War II). Now, the USA may say “Another day, another day”, and then it just might add: “I also hope for another dollar”.
Sopra/above, Sami Burhan,Versetto Coranico, tecnica mista su tela/mixed technique on canvas, 150x110 cm. Sopra a destra/below right, Kicka, Mandala for Peace, installazione, dipinto e mani di vari materiali (bronzo, titanio
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ecc.)/installation, painting and hands made of different materials (bronze, titanium etc.), 100x200x200 cm, 2001. Sotto/below, Lefteris Olympios, Holy Trinity, olio su tela/oil on canvas, 70x200 cm, 1997.
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■ Valerio
Adami, Calvario (W.B.Yeats), acrilico su tela/acrylic on canvas, 198x147 cm, 1995.
■ Samia
Allaw, Peace, installazione/instalation, 2001.
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■A
sinistra e sotto, particolari dell’installazione di/left and below, details of the installation by Jawad AlMalhi. In basso/below, Bee, Cena Cosmica 7 (Cosmic Dinner 7), tecnica mista/mixed technique, 67x150 cm.
Jawad Al-Malhi, Senza titolo, installazione, dipinto su masonite, elementi plastici, terra “santa”, carta ecc./painting on masonite, plastic elements, “holy” earth, paper etc.; sotto, particolare/below, detail.
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di/by Carmelo Strano
MI FACCIA IL PIACERE FOR GODNESS’ SAKE
Questioni di paura A question of fear
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I
l disastro totale, se il creativo ha paura di dire. Chi è il creativo? Che ha da dire? L’art director e il graphic designer non hanno ragione di aver paura. Puntano al miglior risultato visivo-verbale (messaggio efficace) assecondando pienamente le coordinate e gli obiettivi del committente. Ne escono quasi sempre indenni, professione indolore, atarassica, per così dire, grazie anche al clima di generale disimpegno. Che cosa hanno da dire un architetto o uno scultore o un pittore? Un po’ di più. A loro è affidato il “modo” di trasmettere il messaggio. Quel “modo” è il loro, quel modo, qualunque esso sia, non contrasterà con le coordinate del committente, qualora questo ci fosse. Ciò perché l’autore, assunto il messaggio, avendolo metabolizzato, non avrà remore né impedimenti nei confronti della sua libera espressività. Tutt’al più avrà da subito rinunciato all’incarico se questo comportava un attacco alle sue vedute morali o etiche. Con la rilevata distinzione tra il campo creativo del pubblicitario e quello dell’artista, non si vuole fare differenza di importanza tra i due ambiti operativi. Il “creativo” in senso stretto realizza scampoli di arte di pari dignità rispetto al quadro o al palazzo. Dunque, si vuole solo mettere in evidenza il fatto che il “creativo” dal punto di vista etico e sentimentale è più asciutto, più distaccato. O per lo meno egli è meno o per nulla coinvolto sul piano emotivo. Si allude all’emotività connessa con i contenuti, ovviamente. Infatti, quella relativa all’inventiva formale ce l’ha e la coltiva come gli pare. Vogliamo parlare di godimento? Bene, è probabile che il “creativo” goda un po’ meno, ma niente di più. Ma qui è il punto. Mentre il “creativo” per le ragioni dette difficilmente (ma non assolutamente) ha occasioni di nutrire reticenze, al contrario l’architetto o l’artista vivono frequentemente momenti di tabù, di blocco, di “questo non devo dirlo, questo non posso dirlo, guai se lo dico, ecc.”. Pare chiaro che tanto più alto è il grado di libertà espressiva, sentimentale ed emotiva, tanto più agisce il tabù. Dopo tutto, nel suo edificio l’architetto realizza delle forme e delle strutture che in sé non sono messaggio esplicito. Tra l’altro non accade oggi di poter dire: quel palazzo è d stile fascista, bolliamolo, oppure esaltiamolo. L’attraversamento è nel “DNA” di ognuno ormai e ben difficilmente un autore è stilisticamente monocorde. Ora, in un certo senso, l’architetto, come accade all’artista astratto, è poco esposto sul piano etico a causa della mancanza di una “iconicità” o figurazione esplicita e diretta. Salvo che non intervenga con motivi ornamentali di inequivocabile significato che a questo punto costituiscono un messaggio esplicito nella direzione voluta. Andiamo allora a mettere il becco nel grado di libertà più alto. Si tratta degli artisti “neoiconoduli” o neo figurativi. La qualcosa non vuol dire che si tratta di artisti figurativi tout court. Ciò, sempre per la ragione degli attraversamenti e del multiculturalismo. Che stavolta attengono al campo poetico e non solo stilistico. Hanno tutti paura di dire qualcosa che possa ricadere negativamente su di loro, qualcosa che solo lontanamente, un giorno, forse, se per caso, possa suonare di attaccco, magari indiretto, a qualcuno o a qualche situazione. Tutte brave educande, questi artisti. Non c’è un campo di concentramento (si fa per dire) da cui possano uscire toccati da qualcosa in cui credere e per la quale sfoderare le armi della propria arte? Intanto la verità, quella di ciascuno di loro, di noi, è bendata.
I
f creatives are afraid of creating, then we’ve come to total disaster. Who are creatives? What do they have to say? Art directors and graphic designers don’t need to be afraid. They look for the best visual-verbal results (effective message), fully complying with the coordinates and objectives of their assignment. They always come out unharmed, a painless, ataractic profession, also thanks to the general carefree atmosphere. What do architects, sculptors or painters have to say? A bit more. They are entrusted with the “way” the message is transmitted. That “way” is theirs, and however it may be, it won’t clash with the coordinates of the committer, if the latter exists. This is because when an author has a message to give and has metabolized it, he/she will have no qualms nor impediments in relation to his/her free expressivity. If the commission constitutes an attack on his/her own moral and ethical ideas, the author will abandon the task. With the above-mentioned distinction between the creative field of advertising and that of artists, there is no intention of setting one of the two spheres at a higher level than the other. “Creatives” in the real meaning of the word produce oddments of art that are just as dignified as paintings or buildings. So we only want to highlight the fact that from an ethical and sentimental point of view, “creatives” are drier and more detached. Or at any rate, they’re less involved on an emotional level, if they are at all. We’re obviously alluding to the sensibility linked with content. In fact, creatives are endowed with the sensibility involved in formal inventiveness (creativity) and cultivate it in any way they please. Shall we speak about enjoyment? Well, probably “creatives” enjoy their results a bit less, but that’s all. But this is the point. While for the abovementioned reasons “creatives” are usually very forthcoming (but sometimes not totally) in their work, on the other hand architects and artists often experience moments of taboo, of block: “I mustn’t say this, I can’t say this, woe betide me if I say it”, etc. It appears that the higher the level of expressive, sentimental and emotional freedom, the higher the influence of taboos is. After all, in their buildings, architects create forms and structures that do not necessarily contain explicit messages. Furthermore, comments such as: “That building is in fascist style, let’s brand it”, or else “Let’s exalt it” are not so common today. By now, crossing through styles is in everyone’s DNA, and authors do not usually follow a single style. So in a certain sense, due to a lack of “iconicity”, or of explicit or direct representation, architects - and abstract artists - are not totally exposed from an ethical angle. Unless they come up with ornamental motifs that have an unmistakable meaning, and that therefore constitute an explicit message in the right direction. At this point, let’s take a look at the highest level of freedom. We’re dealing with “neo-iconoduly” or neofigurative artists. This doesn’t simply mean that the latter are figurative artists. Again, this is due to their wide range of experience and multiculturalism. Let them finally draw from the poetic sphere, and not only from stylistic elements. To say the truth, I think that they’re all afraid of saying something that can get back at them some day, something that might somehow be interpreted as a direct or indirect attack on someone or something. These artists are all well-mannered. Isn’t there any concentration camp (so to say) from which they can come away feeling touched by something in which to believe and for which they can take up the arms of their own art? Their truth, the truth within each one of them, is blind.
Un quartiere da vivere Aqua Project
Rubriche e articoli sul mondo della progettazione, della produzione e della ricerca. Design, production and research.
Progetto: DPZ et al.
panorami immensi di case tutte uguali e desiderabili. Qui l’identità delle forme è sostituita dall’uniformità di stile, ma il fine è il medesimo: la piacevolezza dell’abitare.
Inizia questo mese la costruzione del nuovo insediamento residenziale progettato dai Neo Urbanisti Andres Duany ed Elizabeth Plater-Zyberg (DPZ), già autori alla fine degli anni Novanta di Seaside (Florida) che offrì il set della “città ideale” protagonista del film The Truman Show. Anche questa operazione viene realizzata in Florida ad Allison Island (Miami Beach), su commissione della locale agenzia immobiliare Dacra, e si chiamerà Aqua (www.aqua.net). Noti come i genitori del movimento Neo Urbanista, DPZ, dopo aver pianificato la sistemazione urbanistica dell’area e progettato tre delle unità residenziali hanno affidato i progetti degli altri edifici a una serie di architetti dalla mano modernista: Hariri & Hariri, Walter Chatam, Alex Gorlin, Emanuella Frattini Magnusson, Brown and Demandt, Alison Spear, Suzanne Martino, Albaisa
Musulmano, Alan T.Shulman. Aqua è costituita da tre edifici di media altezza e da 46 case unifamiliari allineate lungo la costa su un’area di 8.5 acri. L’operazione tende a recuperare una qualità di vita su scala più umana rispetto alle lunghe schiere di grattacieli che si allineano lungo Miami Beach. Il progetto, che dovrebbe essere ultimato nel 2003, prevede inoltre la realizzazione di un grande parcheggio, un centro benessere, asili, uffici, e aree verdi. Si tratta, oltre che di un’operazione commerciale e naturalmente di un interessante esercizio di stile, anche del recupero, dal punto di vista sociale (anche se qui i destinatari saranno, visti i prezzi dai 400.000 US$ ai 3 milioni di US$, per lo più rappresentanti di una borghesia medio-alta), di un recupero e di una rivisitazione del sogno americano che aveva offerto all’immaginario comune
This month marks the start o building work on the housing estate designed by the new urban developers Andres Duany and Elizabeth Plater-Zyberg (DPZ), who already designed Seaside (Florida) back in the late-1990s, providing the set for the “ideal city” in the film The Truman Show. This project is also locates in Florida, on Allison Island (Miami Beach), and was commissioned by the local real estate agency Dacra. It will be known as Aqua (www.aqua.net). DPZ, famous for setting up the Neo Urbanism movement, first took care of the town-planning and designed three of the housing units before commissioning the projects for the other buildings to an array of modernist-style architects: Hariri & Hariri, Walter Chatam, Alex Gorlin, Emanuella Frattini Magnusson, Brown and Demandt, Alison Spear, Suzanne Martino, Albaisa Musulmano, and Alan T.Shulman. Aqua is formed of three medium-height buildings and 46 detached houses along the coast covering an area of 8.5 acres. The idea is create a more person-friendly environment than the rows of skyscrapers towering up along Miami Beach. The project, which ought to be finished by 2003, also involves the construction of a large car park, a health centre, gardens and offices. As well as being a commercial venture and interesting exercise in style, it is also supposed to be a social enterprise (even though the inhabitants are bound to come mainly from the middleupper classes, seeing as the prices range from 400,000 to 3 million US$) aimed at reviving and re-elaborating the American dream that used to conjure up the idea of vast expanses of nice houses, all the same, in the collective psyche. Here identity of form is replaced by uniformity of style, but the end result is the same: the pleasure of dwelling.
In alto, prospettiva del nuovo insediamento residenziale ad Allison Island (Miami Beach). A sinistra, vista della palazzina progettata da Alexander Gorlin; sotto, il progetto di Walter Chatam; a destra il progetto di Alison Spear.
Top, perspective view of the new residential block at Allison Island (Miami Beach). Left, mid-rise building designed by Alexander Gorlin; Below, the project by Walter Chatam; right, the project by Alison Spear.
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Energia dal vento
La qualità del paesaggio e la definizione di un modello di sviluppo sostenibile sono obiettivi fondamentali per ogni trasformazione che riguardi il territorio. A tale riguardo, Erga (Gruppo Enel) e Legambiente hanno promosso un concorso di idee - “Paesaggi nel vento” – con l’obiettivo di coinvolgere il mondo dell’architettura in una delle sfide più difficili data dal paesaggio italiano. L’inserimento di infrastrutture sul territorio per la produzione di energia da fonti rinnovabili rappresenta, infatti, una delle priorità strategiche della nostra epoca per ridefinire un corretto rapporto tra uomo e ambiente e uno sviluppo equilibrato del territorio. Nella progettazione, inoltre, si è dovuto tenere conto di alcuni aspetti quali quello acustico, quello visivo e quello delle interferenze con la fauna (specie i volatili) e con gli impianti di comunicazione. I luoghi scelti per la realizzazione dei due impianti proposti dal concorso sono stati Cinisi (Palermo) e Pescopagano (Potenza). Per l’area di Cinisi, ha vinto il progetto “Ombre del vento” del gruppo guidato da Pierre Vanderquand e composto da Andràs Jàmbor, Cecile Mermier e Valentina Serafini. Per l’area di Pescopagano, il primo premio è stato assegnato al progetto intitolato “Traccia” del capogruppo Daniela Moderini con Laura Zampieri, Giovanni Alessandro Selano, Giulia Vanenti, Nicola Paltrinieri, Giuseppe Cimino. In generale, la partecipazione è stata ampia e di alta qualità, con risposte diverse e interessanti a un tema tanto delicato quanto poco affrontato sul suolo italiano.
Sopra, tavola di concorso del progetto vincitore per l’area di Cinisi (PA) "Ombre nel vento" del gruppo guidato da Pierre Vanderquant. Sotto, tavola del progetto "Vento a Cinisi" del gruppo guidato da Michele e Giuliano Piccini. Sotto a sinistra, rendering per "Albero a vento" dello Studio Enginius.
Above, competition table of the winning project for Cinisi (Palermo) "Ombre nel vento" by Pierre Vanderquant (team leader). Below, table of the project "Vento a Cinisi" by Michele e Giuliano Piccini (team leders). Below left, rendering of "Albero a vento" project by Studio Enginius.
Sopra, tavole del progetto vincitore per l’area di Pescopagano (PZ) "Traccia" del gruppo guidato da Daniela Molderini.
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Above, competition tables of the winning project for Pescopagano (Potenza) "Traccia" by Daniela Molderini (team leader).
I bambini hanno una città
Planimetria generale, prospetti principali e prospettive della Città dei Bambini a Novi Ligure.
Progetto: Studio Ciarlo Romano
Il concorso per il progetto della Città dei bambini da realizzare a Novi Ligure, in provincia di Alessandria, ha premiato tre
studi con la seguente classifica: Studio Ciarlo Romano, Studio Morselli e Studio Beta. Il progetto elaborato da Ciarlo
Romano punta su due elementi fondanti: l’edificio Campo Base, da ristrutturare nel rispetto dei suoi caratteri architettonici, e la grande area verde intorno a esso, che viene attrezzata per le attività dei bambini. Questa fase di progettazione conferma sostanzialmente i temi del progetto definitivo e la sua impostazione spaziale. Propone una nuova possibile lettura compositiva dell’area: realizzare una Città dei Bambini capace di funzionare durante tutto l’anno, in grado di accogliere persone di tutte le età, organizzandone i diversi interessi. Sono stati introdotti temi progettuali capaci da un lato di rendere un maggiore equilibrio compositivo al progetto, e quindi di creare nuovi spazi, nuovi percorsi, nuove possibilità di fruizione, poiché i bambini, e non solo loro, possano trovare un ambiente quanto più possibile interessante, razionale, ricco di possibilità. I volumi in progetto utilizzano materiali leggeri e naturali, come il vetro e il legno, hanno forme lineari, funzionali ed evitano un rapporto di conflitto con l’architettura in mattoni, molto connotata del Campo Base. A terra, nelle pavimentazioni, vengono ancora utilizzati materiali naturali e diversi come pietra, erba ecc.
Site plan, main elevations, and perspective views of the Children City at Novi Ligure.
L’edificio del Campo Base viene ricompreso nella progettazione complessiva come “ricontestualizzato” dai due percorsi/matrice, che lo raggiungono e dai volumi dell’edificio di ingresso che si sviluppano perpendicolari a esso.
La natura come contesto Progetto: Alberto Ottavi, Remo Di Carlo
Nella Prefettura di Gunma ad Azuma Village (Giappone) è attivo da circa dieci anni un museo dedicato all’opera dell’artista Tomihiro Hoshino e alla particolare tecnica espressiva da lui impiegata denominata SHI-GA, si tratta in sostanza di composizioni di poesie e disegni ad acquarello. Per ampliare il vecchio museo, l’anno scorso è stato bandito un concorso internazionale, fra i partecipanti erano presenti gli architetti Alberto Ottavi e Remo Di Carlo, di cui pubblichiamo il progetto. Esso si articola sostanzialmente sulla giustapposizione di due volumi rispettivamente a pianta triangolare con una copertura
convessa e a pianta semiellittica con copertura piana inclinata. Il museo si articola su tre livelli: due piani fuori terra, dove sono ubicati gli spazi, di circa 3000 metri quadrati, e un piano interrato destinato a parcheggio. La fluidità dello spazio di connessione fra le diverse zone funzionali permette la formazione di piccole aree raccolte destinate alla lettura, alla consultazione della documentazione esposta, alla visione di performance musicali. L’impianto volumetrico è caratterizzato da un rivestimento in legno, che rende l’insieme perfettamente integrabile con un intorno dove prevalgono valori naturalistici.
Planimetria generale e rendering per l’ampliamento del Museo Tomihiro Hoshino ad Azuma, Giappone. Site plan and renderings for the Tomihiro Hoshino Museum extension at Azuma, Japan.
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Topiaria industrializzata Progetto: Patrizia Pozzi
Il divano Hedge Couch (250x97x90 cm) e la poltrona Hedge Throne (80x80x200 cm) della serie Landscape Furniture di Patrizia Pozzi. Hedge Couch sofa (250x97x90 cm) and Hedge Throne armchair (80x80x200 cm), Landscape Furniture series by Patrizia Pozzi.
In occasione dello scorso Salone del Mobile a Milano, aperto dal 10 al 15 aprile, Patrizia Pozzi, landscape designer, ha presentato negli eventi “Fuori Salone” la mostra “Landscape Furniture”, una serie di mobili interamente realizzati impiegando un tappeto di siepe in plastica, denominato fake. Patrizia Pozzi appartiene a quella generazione di landscape designer che sta mettendo in discussione la nozione di giardino tradizionale: quello costituito da una relazione
compositivamente gerarchica fra edificio, bacino d’acqua, sentiero, pergolato, elementi ornamentali ecc. e i cui materiali privilegiati restano comunque la pietra e il legno, oltre alle piante, ovviamente. La novità è che la dimensione naturale è percepita in modo disincantato. Ovvero, perde inesorabilmente la sua accezione di elemento incontaminato e “al naturale”. Il punto di partenza è la consapevolezza di un paesaggio sensibilmente antropizzato.
Da fabbrica a polo culturale
Quello del recupero dei vecchi insediamenti industriali è un tema che sempre più affascina i progettisti. Il desiderio di poter più o meno liberamente reinterpretare e dare nuova vita a questi spazi, spesso dalle dimensioni imponenti e a metà strada tra quella che fu avanguardia industriale e quella che è forza evocativa dell’abbandono, sta in questi tempi portando molte amministrazioni a indire concorsi per il riutilizzo di questi vecchi edifici. Così è successo nel comune del piacentino Ponte dell’Olio,
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caratterizzato dal grande edificio delle ex Fornaci Cementirossi le cui due torri svettano proprio al centro dell’abitato. Il concorso nazionale prevedeva la stesura di un progetto di polo culturale che oltre alle ex fornaci comprendesse anche l’ex cinema Astra. Vincitore è risultato lo studio veneziano di Piero Faraguna, che si inserisce all’interno delle vecchie torri in mattoni con una dinamica rampa a base ellittica conferendo una rinnovata vitalità agli spazi. Secondo classificato il progetto di Sabrina Pollinelli di Alseno (Piacenza) e terzo Antonio Gianfelice di Campobasso.
Sotto, il progetto vincitore dello/below, the winning project by Studio Pietro Faraguna. In basso a sinistra, il progetto
di/bottom left, the project by Antonio Gianfelice e, a destra, il progetto di/right, the project by Sabrina Pollinelli.
Rinnovare l’Università
La Facoltà di Architettura “Valle Giulia” di Roma sta attraversando una fase di rinnovamento, non solo dei propri spazi e strutture, ma anche del modo di impostare il rapporto tra studenti, docenti e istituzione. In questo ambito, è stato organizzato il primo Concorso Valle Giulia “Idee per l’Università”, volto a coinvolgere direttamente studenti e docenti nella definizione degli spazi di cui fruiscono. Si richiedeva la progettazione di una piazza coperta con una capienza di circa ottanta persone che gli studenti possono gestire autonomamente per attività ricreative, studio,
informazione. L’iniziativa è nata da un gruppo di studenti in accordo con la Commissione Cultura della Facoltà di Architettura e con l’ausilio di alcuni docenti e delle strutture universitarie. Il luogo scelto per il progetto è stato l’attuale Sala Studenti, adiacente alla nuova mensa universitaria. Oltre alle funzioni sopra descritte, il bando richiedeva che il progetto comunicasse in modo chiaro, sia agli operatori della struttura universitaria sia al mondo imprenditoriale, che quello è il luogo “dove nascono la creatività, l’innovazione e la qualità”. La giuria, composta da Angelo
Balducci, Cesare Casati, Donatella Scatena, Benedetto Todaro, Carlo Maggini, Mario Marrocchi, Gaia Mussi, Marco Pezzetti e Federica Letti, ha giudicato vincitore il progetto “Alterazioni Interazioni” (Lorenzo Latrofa, capogruppo,
Arturo Leone, Pasquale Onorato, Emanuela Moscatelli), in alto a sinistra. Secondo classificato il progetto “Immersione” (Adriano Pernazza, capogruppo, e Paolo Marzullo, in alto; terzo il progetto “Synapse” di Claudio Ampolo, sopra.
immagini e informazioni sul tema degli “spazi interstiziali equipaggiati”, fra cui anche il sistema di automazione domestica My Home, realizzato da BTicino. Figura fondamentale nel panorama internazionale dell’architettura contemporanea, Bernard Tschumi è il progettista del Parc de La Villette a Parigi, opera di grande modernità, dove l’oggetto architettonico segue regole compositive e relazionali del tutto innovative rispetto una teoria diffusa dove tutto s’incentra sul rapporto fra una nuova architettura e il contesto in cui sorge.
Tschumi punta invece sulle relazioni fra utente e architettura là dove l’architettura non è più un luogo fisso ma una zona collegata con il resto del mondo attraverso le nuove tecnologie telematiche. L’intervento attuato a Milano ne è un esemplare anticipazione. La stazione realizzata alle Colonne di San Lorenzo più che un esempio configura un modello teorico di riferimento destinato a codificare nuovi scenari in cui la città del futuro avrà probabilmente una configurazione non più statica ma mobile e interattiva. Carlo Paganelli
La città sarà mobile e interattiva Progetto: Bernard Tschumi
Durante l’ultimo Salone del Mobile, Milano è stata teatro di microarchitetture d’autore: piccoli ma significativi interventi sparsi in luoghi centrali della città. “Interni d’autore in piazza” è il titolo dell’iniziativa organizzata dalla rivista Interni, che ha visto la partecipazione di architetti di fama internazionale come Bernard Tschumi, Peter Eisenman, Massimiliano Fuksas, Oscar Tusquets Blanca e Lèon Krier. L’intervento di Tschumi, alle Colonne di San Lorenzo, è forse quello che più mirava a suggerire possibili scenari
urbani del futuro. Il progetto voleva definire un luogo in cui sostare e acquisire informazioni attraverso schermi collegati in rete. Puntando su una forma di immediata riconoscibilità, Tschumi ha creato una sorta di stazione caratterizzata da un involucro a doppio strato in cui era collocato un impianto telematico multimediale e interattivo. Composta interamente da lame metalliche e pannelli di legno modulari (prodotti da PMA Group Arcilor), la stazione era un punto di diffusione di
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Keaton, primo architetto decostruttivista Influences and Relations geometricamente le deformazioni, si nota che alcuni elementi della facciata hanno punti di fuga in comune. Ciò dimostra che si è cercato di dare un ordine compositivo all’insieme, proprio come un progetto d’architettura. Carlo Paganelli
Che fra architettura e cinema siano sempre esistite interazioni, reciprocità e simmetrie è cosa nota. Agli albori del cinema, gli architetti guardarono con grande interesse la nascente “settima arte”. Molti architetti collaboravano con registi e produttori progettando scenografie e costumi. Robert Mallet-Stevens, per la regia di Marcel L’Herbier, realizzò alcune scenografie de l’Inhumaine, film cubo-futurista con straordinarie architetture protorazionaliste. Ciò che stupisce è scoprire come un cineasta “popolare” come Buster Keaton abbia potuto anticipare cinquant’anni prima un linguaggio molto simile all’architettura decostruita, i cui primi esempi risalgono agli anni Ottanta-Novanta. Keaton verso il 1920 aveva già creato il suo personaggio di maschera
tragicomica dal viso impenetrabile, da cui non traspare mai nessuna emozione. In quegli anni, la sua notorietà gli permise di realizzare film indipendenti come One Week, primo cortometraggio in cui fu autore e attore. Si tratta di un film di 24 minuti, che racconta i primi sette giorni di matrimonio di Buster e Sybil quando cercano di costruirsi la loro prima dimora. La casa è mostrata durante le fasi sconclusionate della sua costruzione/decostruzione. Una volta ultimata, il personaggio osserva stupito il risultato: una casa sbilenca, con la copertura ruotata rispetto la posizione prevista e, soprattutto, una finestra deformata sulla diagonale che punta verso l’angolo superiore della costruzione. Ciò che stupisce è che analizzando
We all know that there are plenty of similarities, reciprocal influences and interactive relations between film and architecture. In the early days of the film industry, architects showed a keen interest in the birth of the “seventh art”. Plenty of architects worked with directors and producers on designing sets and costumes. Robert Mallet-Stevens designed some of the sets for l’Inhumaine directed by Marcel L’Herbier, a cubist-futurist film featuring incredible proto-rationalist works of architecture. The surprising thing is to discover that a “popular” film director like Buster Keaton was actually fifty years ahead of his time in designing a similar language to deconstructivist architecture, whose first instances date back to the 1980s-90s. Keaton invented his own stony-faced tragic-comic character showing absolutely no emotion around 1920. Back in those days he was already famous enough to make his own independent films like One Week, the first short film which he both starred in and directed. This is a 24-minute film telling the story of the first seven days of marriage between Buster and Sybil as they try and set up their own home. The house is shown during the
various inconclusive phases in its construction/deconstruction. Once completed, the main character looks on in astonishment at the end result: a skew-whiff house whose roof is rotated round in relation to its normal position and, most significantly, a deformed window placed diagonally that points up at the top corner of the building. It is astonishing to note upon examining the deformations geometrically that certain façade elements have a number of common vanishing points. This proves that there was a real attempt to create an overall sense of stylistic order along the lines of an architectural design.
Omaggio a Bruno Sacco
Bruno Sacco, il designer che dal 1975 al 1999, in qualità di direttore del Centro Stile Mercedes, ha consolidato l’immagine della casa automobilistica di Stoccarda, è il primo di una serie di figure professionali di Udine cui la città friulana renderà omaggio a
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partire da quest’anno con riconoscimenti e manifestazioni. In questa occasione, Sacco, cui è stata dedicata un’ampia rassegna grafica sui progetti e le immagini da lui realizzati per Mercedes, è stato insignito della laurea ad honorem in Ingegneria meccanica dal Rettore
dell’Università di Udine. La filosofia progettuale di Sacco si fonda su un rigoroso rispetto, nella concezione dei nuovi prototipi, dei valori alla base della corporate identity Mercedes: tecnologia, sicurezza, affidabilità, confort ed eleganza. Una formula perseguita con
coerenza che ha fatto sì che le auto da lui progettate siano riconosciute anche a distanza di anni come “classici” senza tempo. Le armi concettuali usate da Sacco nel suo design si possono riassumere nella cosiddetta “affinità verticale”, per cui ogni veicolo deve essere sviluppato coerentemente da una generazione di modelli alla successiva, e nella “omogeneità orizzontale”, per cui le serie prodotte nello stesso arco di tempo devono avere elementi formali comuni riconoscibili e significativi. Un concetto di design che non solo segue l’innovazione tecnologica ma si integra con essa, esprimendone le esigenze di contemporaneità e sensibilità nella scelta dei materiali, delle forme e dei volumi e nell’attenzione ai temi della sicurezza e della tecnologia.
Roma fra Neorelismo e Cinecittà The Way Rome Was
Maurizio Fagiolo dell’Arco e Claudia Terenzi (a cura di) Roma 1948-1959. Arte, cronaca e cultura dal neorealismo alla dolce vita Skira Editore, Milano 2002, 479 pp Dieci anni di vita culturale di una città come Roma possono stare in quattrocentottanta pagine? Maurizio Fagiolo dell’Arco e Claudia Terenzi ci hanno provato, dando prova di buona memoria, capacità di sintesi e voglia di un passato capace di migliorare il presente. Il “come eravamo” del decennio della ricostruzione è riuscito ma, come tutte le riesumazioni, non sempre ciò che si ri-trova si è mantenuto ben conservato. Insomma, alcune opere di architettura, come il palazzo in via San Valentino, progettato da Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, poteva rimanere sepolto nelle brume del tempo e lasciare spazio a qualche altra opera di maggior interesse. Per esempio, la quasi sconosciuta, ma bellissima, Villa Angiolillo, di Attilio La Padula, in via Appia Antica, cui si poteva dare maggior spazio, magari pubblicando anche una pianta e una sezione. Il libro/catalogo della mostra “Roma 19481959”, conclusasi al Palazzo delle Esposizioni il maggio scorso, percorre in velocità tutti i settori culturali della Roma alle soglie del boom economico, documentando attraverso immagini in bianco e nero le atmosfere della Roma a cavallo fra cupo neorealismo e fresche anticipazioni degli anni Sessanta. L’ultima immagine è infatti quella di una prorompente Anita Ekberg, nel film di Fellini La dolce vita, sulle scale interne del Cupolone, un attimo prima di affacciarsi su una Roma che andava sempre più internazionalizzandosi ma senz’altro ormai privata della sua età dell’innocenza. Carlo Paganelli
Can ten years of cultural life in a city like Rome be condensed into four-hundred and eighty pages? Maurizio dell’Arco and Claudia Terenzi have tried to do just this, showing remarkable memories, great skill at summarising the facts, and a desire to make the past count in the present. The “way we were” in the decade of reconstruction is well written, but like all reflections
Rassegna d’informazione sull’editoria dell’architettura, del design e della comunicazione visiva. Information about publications in the architecture, design and visual communication fields.
on the past, not everything that crops us again is particularly well conserved. In other words, certain works of architecture like, for instance, the building in Via San Valentino designed by Vincenzo Monaco and Amedeo Luccichenti, could have been left buried in the mists of time to allow more room for other more interesting works. Like the little know but extremely beautiful Villa Angiolillo in Via Appia Antica, designed by Attilio La Padula, that could have been allocated more space. The book/catalogue of the “Rome 1948-1959” exhibition, on display in Palazzo delle Esposizioni from 30th January-27th May 2002, provides a quick survey of every aspect of cultural life in Rome on the threshold of the great economic boom, using black and white photographs to provide an account of the atmosphere in Rome at the time of the twilight of neo-realism and dawning of the 1960s. The last picture actually shows Anita Ekberg in Fellini’s La dolce vita on the inside steps of the Cupolone, just before opening up to Rome as it grew more cosmopolitan but also lost all its innocence.
In alto/top, Attilio La Padula, Villa Angiolillo in Via Appia Antica, 1955. Sopra/above, Yannis
Kounellis, Senza titolo, 1958. A sinistra/left, Fabio Mauri, La collina della fine, 1959.
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Segnalazioni
Ian Abley, James Heartfield Sustaining Architecture in the Anti-Machine Age Wiley Academy, Chichester 2001, 240 pp In un’epoca in cui, come altre professioni, l’architettura è chiamata a rispondere sempre più a linee guida legali e normative e a destreggiarsi con le richieste economiche di sostenibilità ambientale e sociale sviluppando allo stesso tempo un effettivo progresso sociale, questo libro cerca di illustrare le vie intraprese per conciliare tali necessità. Saggi e casi di studio sono ampiamente illustrati. Chiesa Dives in Misericordia, Roma- Progetto: Richard Meier Italcementi Group, Milano 2001, 96 pp Dal concorso all’inaugurazione, si ripercorre con molte fotografie in bianco e nero tutto il percorso della realizzazione della ormai nota chiesa con le tre vele di cemento progettata da Richard Meier per Roma in occasione del Giubileo. Francesco Palpacelli. Romanticismo organico A cura di Mirco Falconi e Valentina Piscitelli Ordine degli Architetti di Roma e Provincia/Prospettive, Roma 2001, 48 pp Catalogo della mostra svoltasi presso Sala 1 di Roma nell’inverno 2001, il libro illustra alcuni dei progetti più significativi dell’architetto recentemente scomparso. Si mette in evidenza l’originalità e l’attenzione al nuovo di Palpacelli, progettista schivo e solitario, attento agli sviluppi della tecologia e sempre alla ricerca di spazialità complesse e di un uso sapiente dei materiali. La pittura americana A cura di Francesca Castria Marchetti Electa, Milano 2002, 400 ill. a colori e b/n, 304 pp Dai maestri dell’epoca dell’Indipendenza fino alle tendenze degli ultimi anni, un volume dedicato allo sviluppo della pittura americana corredato da quattrocento immagini di cui molte di opere poco note al pubblico. Jacques Lucan Architecture en France (19402000). Histoire et théories Editions du Moniteur, Parigi 2001, ill. b/n, 376 pp Il volume raccoglie e racconta tutto quello che si è costruito in Francia da parte di architetti francesi o stranieri. Non solo una storia di edifici ma anche di teorie e dottrine sottese alle varie realizzazioni. Luigi Pellegrin. Il mestiere dell’architetto Ordine degli Architetti di Roma e Provincia, Roma 2001, 206 pp Con una presentazione di Amedeo Schiattarella, Presidente
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Visual Design svizzero
dell’Ordine degli architetti di Roma e Provincia, un’introduzione di Luca Zevi, un saggio di Luigi Prestinenza Pugliesi e altri apporti critici, il volume è un omaggio all’opera di Luigi Pellegrin. Con numerose fotografie e disegni illustra i progetti e il percorso culturale e professionale di Luigi Pellegrin, intenso ricercatore del vero senso del mestiere dell’architetto nell’accezione più vasta del termine. Marcello D’Olivo Architetto A cura di Ferruccio Luppi e Paolo Nicoloso Mazzotta Editore, Milano 2002, 210 pp Nel panorama dell’architettura architettonica italiano del secondo dopoguerra, Marcello D’Olivo si impone come figura “irregolare” e appartata, che sfugge agli schemi e non può essere inserito in ua precisa etichetta stilistica. Questo volume ricco di immagini, ne ripercorre il percorso progettuale. Marcello D’Olivo. Architettura e Arte A cura di Isabella Reale Edizioni Mazzotta, Milano 2002, 118 pp Catalogo dell’omonima mostra aperta presso la Chiesa di San Francesco a Udine fino al 18 aprile, il libro illustra con numerose riproduzioni a colori l’opera pittorica dell’architetto friulano. Una sezione è dedicata all’album fotografico con immagini di D’Olivo dagli anni Cinquanta ai Novanta. Rosario Pavia Babele Meltemi Editore, Roma 2002, 120 pp Uno studio sulla condizione della città contemporanea e sulla sua mancanza di regole urbanistiche e strutturali. Una sfida per i progettisti a decifrare e interpretare il caos, magari partendo dalle periferie dalle quali possono emergere nuove regole e strategie. Hans Dieter Schaal. Stage Designs Edition Axel Menges, Stuttgart 2002, 250 ill. a colori e b/n, 240 pp Introdotto da Gottfried Knapp e con un’intervista di Frank R.Werner, questa monografia illustra le realizzazioni per opere e teatro progettate per i maggiori palcoscenici d’Europa da Schaal. Jade Tabet Beyrouth, Portrait de Ville IFA, Parigi 2001, 64 pp Ritratto di una città ricca di storia e di stimoli. Beyrouth è da molti anni palcoscenico di architetture importanti e si distingue per la sua forte identità che fa della diversità culturale il suo punto di forza. Il libro propone un percorso architettonico attraverso la città con mappe e immagini.
Ruedi Baur... intégral... and partners Lars Müller Publishers, Baden, Svizzera 2001, ill. b/n e col., 480 pp Ruedi Baur, visual designer di formazione francese e svizzera, protagonista delle più rigorose ricerche nel campo del progetto della comunicazione visiva, raccoglie in questo volume il suo lavoro di molti anni: immagini coordinate, sistemi segnaletici, identità visive per esposizioni, progetti di comunicazione urbana. Dietro questa intensa attività si cela naturalmente una filosofia
personale, fondata sui concetti primari di interdisciplinarietà, minimalismo accortamente calcolato, continuità della tradizione moderna del segno inteso come espressione sintetica di un senso perfettamente circoscritto. Il volume è dunque prezioso, sia per la ricca documentazione, sia per l’analisi puntuale del lavoro di Baur, il che ne farebbe un testo addirittura didattico se proprio la grafica editoriale, inutilmente complicata, ne rendesse la lettura (la comunicazione!) alquanto ardua. M.V.
Chiese d’oggi
Sandro Benedetti, L’Architettura delle Chiese Contemporanee - Il caso italiano Jaka Book, Milano 2000, p. 265 con numerose illustrazioni in b/n, 265 pp L’autore, ordinario di Storia dell’Architettura Moderna nella Facoltà di Architettura di Roma “La Sapienza” e progettista di numerose chiese tra le quali la Basilica di San Francesco a Paola (nella foto) e del restauro della facciata di San Pietro in Vaticano, torna su un argomento già affrontato in Architettura Sacra oggi, aggiornando con saggi di sicuro spessore teorico, i momenti più significativi nella costruzione delle chiese nel nostro Paese. Il volume, che sviluppa l’esperienza religiosa nell’architettura degli ultimi cinquant’anni, affronta la situazione italiana dalla ricostruzione agli anni del Vaticano II, visto come un vero e proprio spartiacque tra un prima e un dopo, con il superamento del funzionalismo e l’apertura ontologica dell’architettura, per concludersi con una densa appendice fotografica che passa in rassegna il vasto patrimonio di edifici troppo spesso trascurati – tranne i casi più emblematici, a tutti noti - nelle storie dell’architettura italiana. Prima del Vaticano II vale la pena
segnalare la riflessione di Saverio Muratori sulla libertà dell’arte e di Luigi Moretti sulla necessità dell’arte di comunicare, ma anche di Giò Ponti che a proposito di questa architettura ritiene che debba essere animata dal sentiment du sacré. Nella seconda parte ci sembra particolarmente centrata la definizione di Norberg-Schultz che ispirandosi a Heidegger sostiene che tutti gli altri edifici “si riportano ad aspetti parziali della vita, rappresentano quindi ordini parziali, aprono mondi parziali, la Chiesa appartiene all’ordine generale. E’ il luogo dell’incontro totale, deve sensibilizzare perciò lo spazio della creazione nella sua struttura fondamentale. Ossia deve dimostrare il rapporto tra la terra e il cielo in quanto tale”. Là dove l’architettura è riuscita a raggiungere l’incontro totale si avverte la presenza del sacro. Mario Pisani
Tutto Pollock In Venice and Mestre
Padre dell’Action Painting e dell’Espressionismo astratto, figura emblematica dell’arte americana del secondo novecento, James Pollock (19121956) è al centro di un ampio progetto espositivo che coinvolge le sedi di Palazzo Correr a Venezia e del Centro Culturale Candiani a Mestre. Fino a fine mese le due città propongono un articolato percorso espositivo attraverso la cultura artistica americana abbracciando il periodo dalla fine degli anni Trenta alla metà degli anni Cinquanta. Al Correr di Venezia sono riunite oltre cinquanta opere dell’artista californiano affiancate a una parte della storica esposizione che nel 1950 (anno in cui l’artista firma la protesta degli Irascibili ed espone al padiglione americano alla XXV Biennale di Venezia) Peggy Guggenheim gli organizza sempre nello stesso museo. Dagli esordi d’impianto figurativo, che comunque già lasciano intuire l’interesse di Pollock per il segno e l’automatismo, fino alle espressione più estreme del dripping e dell’Action painting, in cui viene coinvolto tutto il
Notizie sui principali avvenimenti in Italia e nel Mondo. Reports on current events in Italy and abroad.
corpo dell’artista e il segno è governato dalla gestualità del braccio, la mostra veneziana offre una testimonianza ad ampio raggio dell’esperienza artistica di Pollock. A Mestre negli spazi da poco inaugurati del Centro Culturale Candiani sono invece presentati gli artisti che vissero e lavorarono con Pollock negli anni del secondo dopoguerra, protagonisti della Scuola di New York e noti anche come il Gruppo degli Irascibili. Da Mark Rothko a Lee Krasner (moglie di Pollock che non fu certo ininfluente della carriera dell’artista) fino a Willem de Kooning e molti altri, oltre quaranta opere, affiancate da fotografie, lettere e documenti provenienti dall’archivio della fondazione Krasner-Pollock, restituiscono una rara e interessante testimonianza della vivacità culturale della New York di quegli anni. Un approfondito catalogo edito da Skira, in sintonia con le dimensioni e l’estensione del progetto espositivo, costituisce un significativo momento di approfondimento critico. Elena Cardani
The father of Action Painting and Abstract Expressionism and the key figure in American art in the latter 20th-century, James Pollock (1912-1956) is the focus of an extensive exhibition being held at Palazzo Correr in Venice and the Candiani Cultural Centre in Mestre. The two cities will be hosting a wide-ranging review of American artistry stretching from the lat-1930s to the mid1950s. The Correr in Venice will be hosting over fifty works by the Californian artist alongside part of its historical exhibition which Peggy Guggenheim organised in the same museum in 1950 (the year when the artist signed the protest by the Irascibles and displayed his work at the 25th Biennial in Venice). From his early works of figurative art, already providing glimpses of Pollock’s interest in symbols and automatism, to his boldest expressions of dripping and Action Painting involving the artist’s entire body and letting his hand and arm take control, the Venice exhibition provides an extensive insight into Pollock’s artistic experimentation. The new spaces recently opened at the Candiani Cultural Centre in Mestre will, on the other hand, be displaying artists who lived and worked with Pollock just after the 2nd World War, leading exponents of the New York scene and also known as the Irascible Group. From Mark Rothko and Lee Krasner (Pollock’s wife, who certainly had no small influence on his career) to Willem de Kooning and numerous others, there are over fifty works on display, together with photographs, letters and papers from the archives of the Krasner-Pollock Foundation providing a rare and interesting picture of the liveliness of the New York cultural scene back in those days. A well-documented catalogue edited by Skira, in line with the scope and scale of the exhibition itself, provides a notable critical insight into the exhibition.
In alto, Jackson Pollock nello studio di Fireplace Road con "Alchemy" sul pavimento/Jackson Pollock in the Fireplace Road studio with "Alchemy" on the floor (1947), (Photo by Wilfred Zogbaum Courtesy Jackson
Pollock Papers). A fianco/left, Number 23, smalto, gesso su carta/enamel, chalk on paper, 57,5 x 78,4 cm, 1948 A sinistra/far left, Gottlieb Adolf, Column, olio su tela/oil on canvas, 25,5 x 35.5 cm, 1948.
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Decorazioni e ornamenti
Architettura come passaggio Architecture in Context
E’ curioso e intrigante visitare a nostri giorni, nell’età delle più sofisticate miniaturizzazioni e delle grandi economie di risorse e di materiali, la mostra in corso fino all’8 luglio alle Galeries Nationales du Grand Palais di Parigi che offre una rara e completa testimonianza di uno dei periodi più ricchi ed "esuberanti" delle arti decorative, quello del regno di Luigi XIII e Anna d’Austria. Un periodo storicamente travagliato, diviso da conflitti religiosi e indebolito dalla Guerra dei Trent’anni e dalla Fronda che però vide una vita intellettuale e artistica particolarmente attiva, dalla fondazione dell’Accadémie Française nel 1635 a quella
SITE, Four Continents Bridge, Hiroshima.
dell’Accadémie de la peinture et de la sculpture nel 1648. Ma è soprattutto in questo periodo, ancor più che durante il Rinascimento, che si manifestarono con maggior evidenza e ostentazione le arti decorative: dalla stampa ornamentale, al ricamo alle decorazioni delle armi fino all’oggettistica, ai mobili, alle ceramiche, ai vetri, e all’orificeria, l’ornamento assume un’importanza predominante nella vita artistica e culturale del tempo. “Un temps d’exuberance”, questo il titolo della mostra, attraverso un totale di 350 opere presenta uno dei più ampi e articolati inventari delle arti decorative francesi in Francia agli inizi del XVII secolo. Verre à jambe, prima metà del XVII secolo/first half 17th century.
Protagonisti e grandi progetti
Un secolo di militante scuola politecnica milanese che ha laureato ingegneri e architetti il cui contributo è stato fondamentale per il progresso tecnico e scientifico del nostro Paese è finalmente oggetto di un’interessante esposizione itinerante che dopo Milano, tocca Cremona presso la sede del palazzo Comunale (dal 12 al 25 del mese), Piacenza, al Politecnico (dal 21 settembre al 3 ottobre) e poi Lecco (tutto ottobre) e Mantova (novembre). Promossa dall’Associazione Laureati del
The FRAC in Orléans in France will be showing an extensive review of the work of James Wines/SITE entitled “Architecture in Context” through to 20th July. The exhibition, based around a collection of drawings, sketches, models and photographs, is divided into two sections. The first section traces back through the early years of Wines’ work, notably the environmental art projects designed between 19601965. The second explores the designs and theories this New York-based firm developed between 1968-2001. Wines and the SITE firm have always been deeply interested in architecture’s relations to the environment and art. The spaces and structures he designs often look like filters between human constructions and nature that penetrates in from the outside to maintain a very important balance. Wines’ theories focus strongly on the idea of architecture as “landscape” in a vision of design as something inclusive, changing, evolving and indeterminate in its relations with the environment.
Africa a Milano
Politecnico di Milano, la mostra “Ingegneria, architettura, design: Dal Politecnico di Milano protagonisti e grandi progetti” propone un articolato itinerario che attraverso foto originali, disegni e modelli di edifici ormai storici nella cultura architettonica e ingegneristica non solo milanese (dal grattacielo Pirelli alla Torre Velasca) rende una ricca testimonianza di una scuola e di una tradizione che influì in modo determinante sulla storia economica e imprenditoriale dell’Italia del XX secolo. Gli architetti dello/the architects of Studio BBPR.
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Il FRAC di Orléans in Francia presenta fino al 20 luglio un’ampia retrospettiva del lavoro di James Wines/SITE, col titolo “Architecture in Context” La mostra costruita attorno a una serie di disegni, schizzi, modelli e fotografie, è divisa in due sezioni. La prima ripercorre i primi anni di attività di Wines con i progetti di arte ambientale realizzati tra il 1960 e il 1965. La seconda esplora le realizzazioni e le teorie dello studio di New York dal 1968 al 2001. Da sempre al centro dell’interesse di Wines e del suo studio SITE è il rapporto dell’architettura con l’ambiente e con l’arte. Spesso gli spazi e i volumi da lui progettati appaiono come zone filtro tra il manufatto utilizzato dall’uomo e la natura che dall’esterno vi penetra mantenendo un’importante funzione equilibratrice. Forte, nelle teorie di Wines, è il concetto di architettura come “passaggio”, in una visione del progetto come elemento inclusivo, mutevole, evolutivo e indeterminato nel suo rapporto con l’ambiente.
L’Africa vista dagli africani è al centro della mostra “Made in Africa”, aperta allo Spazio Oberdan di Milano fino al 25 luglio. In mostra oltre cento immagini provenienti dalla Biennale di Fotografia Africana di Bamako (capitale del Mali) scattate da diciotto artisti (tra cui sei donne) provenienti da ogni regione del continente. Le foto esposte sono divise in tre
sezioni: una Internazionale che offre una panoramica delle tendenze fotografiche panafricane e presenta le foto che hanno vinto la IV Biennale di Bamako; una sezione dedicata a tre talenti emergenti del Marocco; infine, la sezione Nigeria con i lavori di tre artisti che con le loro foto a colori illustrano con poetica originalità la tragica situazione in cui versa il loro Paese. Una foto di Alessandro Russotti scattata alla Biennale della Fotografia Africana svoltasi in Mali alla fine dello scorso anno. A photo taken by Alessandro Russotti at last year Biennial of African Photography, held in Mali.
Internet sites
www.envipark.com Environment Park rappresenta un’esperienza originale nel panorama dei Parchi Scientifici e Tecnologici in Europa che coniuga innovazione tecnologica ed ecoefficienza, accogliendo al suo interno aziende ed Enti di ricerca appartenenti ai settori dell’Ambiente e dell’ICT. Particolare attenzione è dedicata alle nuove imprese interessate a sviluppare progetti caratterizzati da un alto contenuto tecnologico. Nel sito molte informazioni su tutto ciò che riguarda questo settore. www.mcarchitects.it Lo studio MCA, Mario Cucinella Architects, aperto nel 1992, è divenuto oggi una società di progettazione con solida esperienza in architettura, ricerca e disegno industriale. L'attività di MCA si svolge a Parigi e nella nuova sede di Bologna. Dalla sua fondazione lo studio MCA ha messo a punto una strategia di lavoro basata sulla formazione di gruppi multidisciplinari in cui l'integrazione delle diverse conoscenze consente un approccio integrato alla progettazione. www.306090.org 306090 è nato dall’iniziativa di due studenti della Princeton University School of Architecture nel 2001. 306090 presenta le opere di studenti promettenti e di
giovani professionisti i cui progetti interdisciplinari, le idee, gli edifici e altre opere realizzate con media diversi propongono direzioni innovative per la crescita dell’architettura. 306090 offre un panorama ideologicamente e geograficamente diversificato del lavoro di molti giovani professionisti all’inizio della loro carriera. www.viafarini.org/italianarea In questo sito si trova un’ampia selezione del database "Opere", che contiene circa 6.000 immagini di oltre 300 artisti attivi in Italia negli ultimi dieci anni. In questo archivio è possibile eseguire ricerche secondo diversi criteri, tra cui l'autore, la tecnica ed i materiali, oppure una parola chiave. Il database è parte dell’Archivio Care of — Viafarini di Milano, che raccoglie documentazione sugli artisti giovani ed emergenti e conta circa 1.300 portfolio, a disposizione per la consultazione presso la sede di Viafarini. www.gumdesign.it Sito dello studio di giovani designer di Viareggio Gum Design che presenta i loro lavori nei settori dell’arredamento, della comunicazione e dell’architettura. Segnalate i vostri siti, le vostre scoperte, le vostre idee al nostro E-mail: red.arca@tin.it
Lo spirito della vetta
Fino a fine giugno, presso la Banca di Trento e Bolzano a Trento e on line al sito www.mountainfilmfestival.trento.i t è possibile vistare la mostra “Everest. L’orizzonte curvo della fantasia. La rassegna interattiva, organizzata in occasione dell’anno internazionale della montagna e del cinquantenario del “Film Festival internazionale della Montagna e dell’Esplorazione Città di Trento”, è articolata in un percorso che parte dalla seconda metà del XVIII secolo per arrivare a cogliere gli aspetti più sperimentali della ricerca artistica, attraverso una selezione di opere di oltre settanta artisti
www.envipark.com Environment Park gathers hightech enterprises for which environment is their business; leader companies of the sector beside small enterprises and Research Bodies make Environment Park the suitable place where innovative initiatives and networking activities are developed; special care is dedicated to new-born enterprises interested in implementing projects characterised by a high technological content. In its website there a lot of information concerning these sectors of activity. www.mcarchitects.it MCA Mario Cucinella Architects, founded in 1992, is a company with a solid experience at the forefront of contemporary design and research. MCA has an integrated approach to design work based on close collaboration with multi-disciplinary consultants to create innovative and appropriate design response for every project and clients requirements. In their offices in Paris and in Bologna they develop projects at different scales, from building design to product design, from environmental and technological research to largescale urban projects. www.306090.org 306090 was the brainchild of two
Princeton University School of Architecture students in 2001. 306090 introduces the work of promising students and young professionals whose crossdisciplinary projects, ideas, buildings, and other media offer innovative directions for the growth of architecture. 306090 presents ideologically and geographically diverse work from a wide range of practitioners at early stages of their careers. www.viafarini.org/italianarea In this site there is a wide selection of “Opere” database containing around 6.000 images of works by over 300 artists active in Italy in the last ten years. Here you can find works of art according to different search criteria, such as artist, material, or a key word. The database is part of the Care of — Viafarini Archive in Milan, which collects documentation about young and up-coming artists in 1.3000 portfolios available for consultation in Viafarini. www.gumdesign.it Website of the firm of the young Viareggio-based designers Gum Design. In the site all their works of furniture, communication and architecture are presented. Send your site addresses, your discoveries, and your ideas to our e-mail address: red.arca@tin.it.
Parma in posa
internazionali. Una prima sezione è dedicata all’evoluzione storica e ai cambiamenti della visione del paesaggio montano in artisti come Turner, Friedrich o Koch, mentre la seconda sezione accoglie opere contemporanee, alcune delle quali create appositamente per questa occasione. Il titolo dedicato all’Everest vuole racchiudere tutta la simbologia legata all’idea di vetta e così la mostra propone un percorso culturale ed evocativo suggerito dal desiderio sempre insito nell’uomo di nuove avventure, alla ricerca di spiritualità e di unione con la natura.
Due grandi fotografi dedicano ed espongono a Parma le loro opere. Fino al 30 giugno, infatti, Palazzo Pigorini propone la mostra “Sebastiao Salgado: Gente di Parma” con 51 fotografie in bianco e nero realizzate in giro per la città e scattate ai suoi abitanti in occasione delle celebrazioni verdiane. L’altro fotografo è l’americano Bob Sacha, noto per i suoi
reportage pubblicati sul “National Geographic”, che propone una proiezione di circa 100 diapositive a colori anch’esse scattate a Parma durante l’anno dedicato a Verdi. Queste immagini pongono l’accento sul paesaggio e sull’architettura della città, ripresa sia nei suoi monumenti più celebri sia negli scorci dei vicoli e dei borghi meno conosciuti.
A fianco/left, Luigi Ontani, The Moll of Mamma’s mountain, olio su tavola/oil on board, cm 80 diam., 1987. A sinistra/far left, Fabrizio Passerella, Il tuo amore è la mia solo cura, acrilico su tela/acrylic on canvas, 100x80 cm, 1993. A destra/right, Sebastiao Salgado, Teatro Regio: audizione "Verdi Opera Studio" diretto da Renata Scotto e Bruno Cagli/audition at Teatro Regio for "Verdi Opera Studio" directed by Renata Scotto and Bruno Cagli.
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Pittura-scultura e teoria
La Galleria Blu di Milano presenta fino al 13 luglio col titolo “Sensorialità e astrazione” un excursus storico sintetico dell’opera di Agostino Bonalumi. L’opera di Bonalumi si è sviluppata dagli anni Cinquanta, dopo una breve stagione informale, in un’organizzazione formale tesa alla tridimensionalità attraverso una tecnica di introflessione ed estroflessione dei materiali utilizzati al limite tra pittura e scultura. Sempre al confine tra sensorialità e astrazione, dato e apparenza,
Arte italiana tra le due guerre
mutevolezza e rigore, Bonalumi, nel corso del proprio itinerario artistico, ha accompagnato le sue opere alle elaborazioni teoriche del proprio pensiero. Nella mostra della Galleria Blu, le opere esposte partono dal 1957 ( con i polimaterici Rosso, Nero, Grigio) per approdare agli esiti più attuali di Rosso-Geometria perturbata del 2002. Alla Galleria è possibile anche vedere alcuni dei saggi di Bonalumi come Oggetto Scultura Azzurra del 1966, Contenitore Spaziale Nero del 1968 o Rapporti del 1981-2002).
A Palazzo Sarcinelli di Conegliano (Treviso), fino al 30 giugno, è aperta la mostra “Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte italiana 1919-1945 dalle collezioni private”. La mostra ripercorre attraverso circa 120 opere il percorso degli anni difficili e febbrili dal punto di vista artistico del periodo tra le due guerre partendo dal ruolo del gruppo veneziano di Ca’ Pesaro, guidato da Gino Rossi e Arturo Martini, passando per Morandi, De Chirico, Savinio e i gruppi fondamentali quali il Realismo Magico, la Scuola Romana, l’Astrazione. L’esposizione si chiude con una breve serie di paesaggi di guerra di Morandi, dipinti durante l’esilio di Grizzana, sull’Appennino bolognese, nei primi anni Quaranta.
Agostino Bonalumi, Grigio, tela estroflessa/extroflex canvas, 130x162 cm. Sotto/below, Sara Rossi, Nessuno, stampa lambda/print, 100x140 cm, 2002.
Ricerca non figurativa
La mostra “Dal Futurismo all’Astrattismo”, aperta fino al 7 luglio al Museo del Corso di Roma, propone un’attenta analisi di un importante percorso dell’arte italiana: quello che si evolve dalle molte proposte non figurative dall’inizio degli Dieci fino alla fine degli anni Cinquanta del Novecento. La mostra, curata da Enrico Crispolti in collaborazione con Marco Tonelli, presenta circa ottanta opere, tra pitture e sculture, a partire da tre sezioni dedicate al Futurismo, con Boccioni, Balla, Severini, Depero, Prampolini, per
Arte nel territorio
Si chiama “Quattro Venti” il progetto artistico che impegna fino al 20 luglio il comune toscano di Manciano (Grosseto) e le vicine frazioni di Montemerano e Saturnia. L’evento guida, curato da Letizia Ragaglia, consiste in una esposizione internazionale di arte contemporanea in cui gli autori presenti (Perino & Vele, Sara Rossi,
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Peter de Cupree, Hans Winkler, Rute Rosas, Alberto Zanazzo, Paul Thuile, Filo Art, Sejla Kameric, Paola De Pietri, Hubert Duprat, Pia Stadtbäumer e Leonardo Pivi) si misurano con un contesto diverso da quello museale attraverso un’indagine delle peculiarità del territorio che li ospita con apposite installazioni e performance.
Alberto Viani, Torso, 1948. Sopra/above, Giorgio De Chirico, La mia camera nell’Olimpo, 1927-28.
proseguire poi col Concretismo negli anni Trenta (Licini, Soldati, Reggiani, Melotti, Fontana ecc.), e poi la ricca stagione tra gli anni Quaranta e Cinquanta con la scultura, l’Arte Concreta, lo Spazialismo, l’Astrattismo, l’Informale, con tanti nomi presenti (Burri, Dorazio, Tancredi, Veronesi, Vedova, Munari, Mirko, per citarne solo alcuni). Una mostra ricca, dunque, che ripercorre quella tensione verso l’innovazione che accomuna la ricerca d’avanguardia italiana, pur con protagonisti tanto diversi tra loro, attraversandola per tutto il secolo.
Cinque secoli di disegno
Nuove restituzioni
“La Passione del disegno”, con questa mostra il Museo Jacquemart André di Parigi offre fino al 30 giungo una rara testimonianza dell’importanza che ebbe, e tuttora riveste, il disegno della creazione di un’opera d’arte. L’esposizione è costruita sulla ricca e preziosa collezione di Jean e Marie-Anne KrugierPoniatowski, collezionisti da oltre trent’anni di disegni non molto conosciuti di grandi artisti, da Carpaccio al Guercino fino a Gauguin e Picasso, che risultano ugualmente particolarmente significativi nella storia dell’arte occidentale. Ed è sorprendente la selezione delle opere esposte che viene presentata privilegiando i legami stilistici e le tecniche che legano gli artisti, indipendentemente dall’epoca di appartenenza. Così si incontreranno nella prima sala, i maestri del Rinascimento italiano a confronto con disegni di Picasso, nella seconda Dürer e Rembrant
E’ giunta all’undicesima edizione l’iniziativa delle banche del Gruppo IntesaBci tesa al restauro di opere selezionate da un qualificato comitato scientifico coordinato da Carlo Bertelli. Presso Palazzo Leoni Montanari di Vicenza sono esposte, col titolo “Restituzioni 2002”, fino al 30 giugno, una quarantina di opere prese in cura dall’Istituto. Sono ormai trecento i pezzi restituiti dopo il restauro e definiscono una sorta di museo virtuale che abbraccia un lungo lasso temporale da antichi reperti archeologici a opere e oggetti del XIX secolo. Tra i pezzi forti di questa edizione spiccano otto tele
sono affiancati a Hubert Robert e Liotard e così si procede ai Corot, Delacroix fino ai Degas, Manet, Van Gogh per passare a Legér, Kandinsky, Klee e arrivare a Picasso e Giacometti. Questi sono solo alcuni degli nomi in mostra che danno comunque un’idea della spettacolare raccolta KrugierPoniatowski.
Arte e carità
Fino al 14 luglio la Basilica Palladiana di Vicenza presenta la mostra “I luoghi della carità” che raccoglie 130 opere, tra dipinti, oggetti artistici, sacri e storici che fanno parte del patrimonio dei Servizi Assistenziali di Vicenza. Si tratta di opere rimaste a lungo a chiuse all’interno degli edifici che a partire dal XIV secolo con la nascita delle prime istituzioni confluite poi nel 1807 nella
Congregazione della Carità - sono stati adibiti a luoghi dove offrire carità e assistenza ad anziani e bisognosi. Tra le opere in mostra, dipinti cinquecenteschi di Alessandro Maganza e seicenteschi tra cui un Tintoretto e un Francesco Vecellio. Tutte le opere esposte sono state catalogate e restaurate grazie alla collaborazione dell’Ipab e delle soprintendenze ed enti locali.
di Giambattista Tiepolo provenienti dalla Scuola Grande dei Carmini di Venezia e una serie di manufatti di oreficeria (nella foto, Navicella con nielli, 14601466) di scuola padovana del XIV e XV secolo.
Paesaggi veri
Il paesaggio dal vero è il protagonista delle opere esposte fino al 21 luglio a Palazzo Cavour di Torino nella mostra “Dal vero. Il paesaggismo napoletano da Gigante e De Nittis”. La curatrice, Mariantonietta Picone, attraverso una selezione di decine di dipinti, esplora il tema della rappresentazione del paesaggio nell’opera dei pittori napoletani tra il 1820 e il 1880, nel periodo in cui, ancora sotto
l’influenza degli artisti e scrittori che soggiornavano nell’Italia del Grand Tour, gli italiani trovavano fonte di ispirazione e confronto. La mostra è divisa in tre sezioni cronologiche: 1820-1850 col paesaggismo storico; 1850-1860 e l’indagine sulla luce; 18601880 con lo sviluppo della pittura dal vero verso una visione sintetica a macchia, mutuato da forti scambi con i macchiaioli toscani.
e urbano a quello virtuale, culturale e politico, che quest’anno Archilab ha posto al centro delle riflessioni dei progettisti invitati. Localizzazione e mondializzazione, strutturazione dello spazio ed economia delle risorse disponibili, strategie di intervento, standardizzazione e accelerazione dei processi di
trasformazione, innovazione tecnologica e globalità degli interventi, sono solo alcuni dei temi che i diversi architetti selezionati hanno sviluppato nelle loro proposte confermando un atteggiamento aperto e sensibile alle problematiche che investono oggi in maniera sempre più pressante la qualità di vita della comunità planetaria.
Sopra/above, Parmigianino, Ritratto della vergine, 1524-27. A sinistra/left, Domenico Tintoretto, Incontro sul cammino di Emmaus, olio su tela/oil on canvas, 89,5x130 cm. A destra/right, Giacinto Gigante, Il vecchio mandracchio a Santa Maria di Porto Salvo.
Economia della terra a Archilab
Per il quarto anno consecutivo, Archilalab si ripresenta sulla scena degli avvenimenti più attesi del mondo dell’architettura contemporanea arricchito e rinnovato nel suo programma di incontri. Orléans come di consueto è ospite fino al 14 luglio di una mostraevento che riunisce le proposte di circa trenta équipe internazionali
affiancata da una serie di tavole rotonde e, novità di quest’anno, da un simposio internazionale della critica d’architettura dove una ventina di critici riconosciuti internazionalmente si sono confrontati sulla situazione e sulle possibilità della critica attuale. E’ invece la problematica ambientale nella sua accezione più ampia, dall’ambiente naturale
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Realtà a confronto
Una lunga storia
Ha un taglio particolare la mostra “Africa Nera. Arte e cultura” aperta al Museo Civico Archeologico di Bologna fino al 30 giugno. Infatti si ruota attorno alla collezione di oggetti e sculture africane dei territori subshariani di Ezio Bassani (curatore insieme a Cristiana Morigi Govi della
mostra), prendendo in esame le influenze che l’arte di questa area ebbe sugli europei già a partire dalle prime esplorazioni nel 1300. Interessante la ricostruzione storica delle esplorazioni, incentivate allora soprattutto dalle attività commerciali, da cui per esempio si ricava che nel 1375 l’Atlante di Carlo V riportava con precisione le posizioni di Goa e Timbuctu; un secolo dopo, agenti commerciali dei Portinari e dei Medici, come Benedetto Dei, si spingono lungo il bacino del Niger, mentre i genovesi scoprono Canarie e Azzorre. Da loro giungono i primi esempi di arte africana che divengono moda culturale per i signori del tempo che commissionano anche oggetti in avorio riservati appositamente al mercato europeo. In mostra anche una serie di disegni inediti di padre Giovanni Antonio Gavazzi da Montecuccolo, missionario cappuccino in Congo e Angola che illustravano il suo Istorica Descrizione (1687) in cui descriveva i popoli con cui era venuto in contatto.
Arte francese e arte africana a confronto nella mostra allestita all’Espace Croisé di Roubaix fino al 13 luglio. Protagonisti il trentaquattrenne Fabien Rigobert, originario di Calais, e i due artisti congolesi Moke e Cheri Samba. Kinshasa, che dà il titolo alla mostra, è la città del Congo in cui Rigobert ha realizzato la propria istallazione Kin service, un lavoro tra reale e ricostruzione realizzato filmando scene di vita e personaggi nella loro realtà quotidiana e sovrapponendoli a una traduzione di sfondo dei loro linguaggi. in occasione della
mostra, questa versione della realtà viene affiancata alle grandi tele di Moke, tra i principali rappresentanti dell’arte congolese, vissuto a Kinshasa e scomparso lo scorso anno a soli 50 anni, della serie Sapeurs (una realtà sociale nata con piccola borghesia urbana particolarmente ingolosita dalle grandi firme della moda europea) e ai dipinti coloratissimi di Cheri Samba (1956), l’artista forse più conosciuto a livello internazionale soprattutto per la su arte intrisa di un forte realismo popolare.
Cheri Samba, L’Afrique restait une pensée, 1987.
Un importante collezionista Ceroli di carta La figura del collezionista svizzero Han Coray è al centro della mostra “Arte africana dalla Collezione Han Coray 1916-1928” aperta fino al 30 giugno a Museo Cantonale d’Arte di Lugano. Infatti è esposta una selezione di circa 200 pezzi di scultura africana tradizionale, provenienti soprattutto dallo Zaire, che Coray acquistò durante la prima metà degli Venti, divenendo uno dei maggiori esperti, critici e divulgatori di questa arte che tanto influenzò gli artisti dell’epoca. Nella mostra viene
inoltre proposto un ritratto di Coray come collezionista di opere contemporanee che lo resero uno dei più importanti galleristi nella cerchia che annoverava i pittori francesi (Renoir, Ricasso, Gauguin, van Gogh, Redon), gli artisti delle avanguardie (Kandinsky, Klee, Jawlensky, Feininger) e i dadaisti. Di questa importante sua attività sono esposte una sessantina di opere attraverso le quali si ripercorrono le tappe dei suoi interessi culturali e artistici a partire dagli anni Dieci.
A destra/right, Mario Ceroli, La moda, grafite, carbone e pastelli blu e rosso su cartoncino Fabriano/graphite, charcoal and blu and red pencil on Fabriano paper,100x120 cm.
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L’Istituto Nazionale per la Grafica-Calcografia di Roma presenta fino al 30 giugno una serie di opere di Mario Ceroli realizzate non col suo materiale usuale, il legno, bensì con la carta. Per la prima volta si ha la possibilità di vedere riuniti molti suoi disegni preparatori, mettendo così a fuoco il costante contrappunto tra legno, carta, figura bidimensionale,
monumentalizzazione del disegno e graficizzazione della scultura. Ceroli è stato coinvolto in prima persona sia nella scelta delle opere in mostra che nel loro allestimento nelle sale dell’Istituto. In concomitanza con la mostra, sono esposte, nella Sala Dante del Palazzo Fontana di Trevi la scultura in legni policromi La Rissa e i fogli del ciclo Un anno d’amore.
Barriere antirumore
Con una trasparenza simile a quella del vetro, e con caratteristiche straordinarie in termini di autoestinguenza e di infrangibilità, le lastre Lexan Margard sono ottime come “finestre” per barriere antirumore installate nei percorsi autostradali, come dimostrato dalla scelta fatta dal Ministro dei Trasporti e del Lavori Pubblici Olandesi per vari tratti dell’autostrada che collega Rotterdam alla città belga di Anversa. La scelta è stata fatta dopo una pericolosa esperienza precedente, verificatasi lungo la
Esperienza e tecnologia
stessa autostrada, che ha interessato l’incendio accidentale di una barriera antirumore, con rischi di propagazione delle fiamme al vicino abitato e la fusione di parte dell’asfalto. Sono state richieste, per l’occasione, le lastre Lexan Margard poiché presentano i requisiti di sicurezza antincendio, resistenza all’urto, facilità di manutenzione e resistenza chimica nei confronti di detergenti, vernici e adesivi, nonché per il trattamento superficiale relativo a uno speciale rivestimento studiato contro graffi e graffiti.
Presente nel mercato della climatizzazione da oltre quarant’anni, la Galletti si è sempre distinta per capacità produttiva, innovazione tecnologica e organizzazione commerciale e di immagine. Attualmente impegnata in un programma mirato a sviluppare e potenziare attività produttive diversificate, in merito al settore del condizionamento residenziale e terziario, la Galletti persegue come finalità un piano di rinnovamento in
Con vetro autopulente
Internorm, nel piano aziendale di sviluppo e innovazione tecnica e produttiva, ha incluso l’impiego del vetro Pilkington Activ TM per la realizzazione dei propri serramenti. Vetro autopulente, Pilkington Activ TM dispone di una superficie esterna che, sottoposta a un trattamento particolare, si attiva sotto l’influsso dei raggi UV producendo una reazione chimica sulla superficie in grado di determinare la decomposizione delle particelle organiche che sporcano il vetro. Queste, alla prima poggia, o con una semplice spruzzata d’acqua, si staccano, con un effetto autopulente che si
attiva già dopo circa cinque giorni dall’installazione del serramento. Il sistema autopulente è costantemente attivo, poiché sono sufficienti deboli raggi UV, come quelli notturni, o di giornate piovose, per provocare la reazione chimica. Le applicazioni dei vetri Pilkinton sono particolarmente interessanti per i vetri esterni di serramenti e giardini d’inverno, nonché per vetraggi verticali, anche in posizioni difficili da raggiungere, poiché le operazioni di pulizia sono estremamente facilitate. I vetri Pilkinton si adattano a tutti i serramenti Internorm.
A due fili
Il nuovo sistema videocitofonico “due fili” Terraneo, impiegando esclusivamente proprio due fili non polarizzati, consente una notevole riduzione di possibilità di errore nei collegamenti, con una chiara riduzione dei tempi e dei costi di installazione soprattutto in situazioni di ristrutturazione. Queste le caratteristiche tecniche: sempre e solo due fili dai monitor alla
serratura; monitor senza alimentazione locale; alimentazione unica per l’intero impianto; un semplice doppino non polarizzato per impianti sino a 26 posti interni video e/o audio; sino a due pulsantiere in scambio automatico. Sono nove le versioni estetiche delle pulsantiere Sfera, mentre, relativamente al videocitofono, sono a loro volta numerose le funzioni previste.
termini di ampliamento delle proprie gamme produttive, di ricerca tecnologica, di rinnovamento dell’immagine nonché del potenziamento del servizio commerciale. L’azienda, che punta a nuove nicchie di mercato ad alto contenuto tecnologico nel settore del condizionamento, guarda con interesse le aree relative al: Condizionamento di processi per l’industria (a marchio HIREF); Condizionamento di precisione (Musei, Centrali Telefoniche, Centri Elaborazione dati, a marchio HIREF); Condizionamento per commesse specifiche (come refrigerazione per il condizionamento di mezzi di trasporto).
Sicurezza e automazione
L’undicesima edizione di Sicurezza, mostra internazionale dedicata alla sicurezza e all’automazione degli edifici, presente dal 20 al 23 novembre 2002 a Fiera Milano, evidenzierà particolarmente la tematica
concernente la videosorveglianza e, tra le nuove iniziative proposte, si distinguerà Hi.T Selection: una selezione tra le novità di prodotto presente on line in Product News fin dal mese di aprile.
Evoluzione continua
Inteo, di Somfy, è una gamma in continua evoluzione, completa di punti di comando e automatismi coerente con gli standard internazionali relativi all’apertura e chiusura di tende e tapparelle. I nuovi prodotti presentano sempre tutte le funzioni più articolate e complesse integrate all’interno dei dispositivi semplici e veloci da installare e intuitivi da usare,
già perfettamente collaudati. La gamma attuale, che comprende una grande varietà di prodotti disponibili nelle tre diverse tecnologie Uno, IB e RIS, consente a ogni progettista e installatore la realizzazione di qualsiasi impianto in ambito architettonico, residenziale, commerciale o industriale, sia in edifici nuovi sia in situazioni di ristrutturazioni.
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Maniglioni antipanico
Difesa attiva-passiva
I maniglioni antipanico NewEuropa di CISA, sono stati studiati in funzione di un design inteso sia formalmente sia in relazione a dimensioni e peso ottimali. Semplice e rapido da installare su porte in legno, ferro e alluminio, grazie a speciali accorgimenti costruttivi, il maniglione è stato realizzato con materiali di qualità e con semplici
Gardesa, azienda leader di mercato nella produzione di porte blindate e sistemi per la protezione di casa e ufficio, ha realizzato, con l’innovativo sistema Biptronic, uno scudo protettivo contro le intrusioni. Biptronic, che integra difesa passiva e attiva, è concentrato nella sola porta blindata con un sistema d’allarme senza fili. La porta non ha fori per la chiave, e l’apertura si effettua con un piccolo telecomando a tre tasti
meccanismi di funzionamento per garantirne efficienza e durata. Al modello base di NewEuropa sono abbinabili prolunghe di chiusura alto-basso e laterale per porte a una o due ante, con battuta o a ventola e comandi esterni specifici. Le medesime prolunghe di chiusura e comandi esterni possono essere utilizzate anche sui maniglioni “Touch-Bar”.
che attiva e disattiva anche l’impianto antifurto. Il sistema è costituito da una centralina elettronica (inserita all’interno della porta e protetta dalla lamiera d’acciaio), da sensori perimetrali e volumetrici, da un parzializzatore per selezionare le aree da proteggere in casa e da un sofisticato combinatore modem Gsm che segnala a distanza, sul vostro cellulare, e ad altri tre numeri telefonici, eventuali tentativi di intrusione.
Praticamente invisibile
Maestra la natura
PL, del Gruppo Abet, realizzando Parqcolor Fiber concretizza un eccezionale lavoro di ricerca tecnologica e di progettualità legato armonicamente a segni e riscontri recepibili in natura. Questo laminato ad alta pressione, è infatti composto anche di piccole fibre, ricavate dai sacchi riciclati di
juta di caffè, che vengono incluse nella superficie. Il risultato è una piacevole forma decorativa tattile, che vive di una costante e piacevole casualità nel gioco di combinazioni delle fibre. Di notevole resistenza, Parqcolor Fiber è particolarmente indicato per grandi spazi commerciali, alberghi, negozi, aree di transito di aeroporti e stazioni. Antistatico, ottimo isolante termico e resistente a urti, macchie di vernici, inchiostri o caffè, questo laminato è facilmente pulibile, ed essendo inattaccabile da microrganismi è, per questa speciale caratteristica in termini di igiene, adatto in ambiti sanitari come ospedali e cliniche, o per asili, centri termali e altro. Il prodotto è omologato nella Classe 1 di resistenza al fuoco dal Ministero dell’Interno.
Nicchio by L’Invisibile, di PortArredo, è un sistema brevettato studiato per consentire aperture apparentemente invisibili, di ogni dimensione e in qualsiasi tipo di pareti interne sia in muro che in cartongesso. Nicchio dispone di una struttura Nucleo in lega di alluminio estruso 6060 T5 (Anticorodal 063) da murare, che sostituisce il cassonetto (imbotte-stipite)
consentendo al pannello/porta di allinearsi a filo dell’intonaco, eliminando le cornici coprifilo. Robusta e adattabile a tutti gli spessori di muro, questa struttura è munita di panchette perimetrali che ne facilitano il posizionamento in parete, mentre la particolare sagoma in alluminio assicura una perfetta continuità superficiale a tutti i tipi di intonaco.
Dal progetto al prodotto
Confalonieri, specializzato in accessori e complementi d’arredo, è particolarmente
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impegnato a sviluppare in modo integrato e metodico le fasi che portano dall’idea di design al prodotto finito intervenendo in modo globale. La conoscenza del mercato e delle tendenze e tecnologie domina la gestione delle varie fasi di sviluppo comprese, tra l’ingegnerizzazione e la produzione, coprendo l’intero processo produttivo. La ricerca condotta da Confalonieri sulle materie prime e sulle diverse tecnologie produttive ha contribuito a creare una gamma estremamente ampia, relativa l’intera produzione, che si continua ad arricchire annualmente di novità.
Incapsulata in acciaio
La serie GW incapsulato, di Gasparini, consiste in una lastra per pavimento sopraelevato incapsulata in acciaio, con tipologia coperta da brevetto internazionale, composta da disegno e accoppiamento tra le due vaschette in acciaio che racchiudono l’anima strutturale (agglomerato di legno o solfato di calcio). Una speciale pressopiegatura raddoppia i bordi chiudendo perfettamente il pannello e, unitamente all’incollaggio delle superfici con
la lamiera, realizza una struttura particolarmente dotata. Il doppio risvolto rientrante delle lamiere e la superficie laterale perfettamente planare assicurano i seguenti vantaggi: riduzione dell’attrito tra i pannelli, facilità di riposizionamento; semplicità di bordatura perimetrale per la protezione dei rivestimenti incollati; assenza di saldature a salvaguardia dall’ossidazione; maggiore rigidità e resistenza ai carichi a parità di materiali impiegati.
Nuovo marchio
Con il marchio Bottega d’Arte, Iris Ceramica arricchisce e completa il suo notevole repertorio di collezioni di piastrelle con un’iniziativa che sviluppa la ricerca e le attività, intraprese da oltre trent’anni dalla propria piccola ma organizzata e creativa bottegalaboratorio; autentica e storica fucine di idee e sperimentazioni esclusive. Proprio da questo laboratorio sono nate e si sono sviluppate iniziative relative a nuovi e originali aspetti formali del prodotto, a nuovi utilizzi di smalti e colori e a nuove ricerche legate alle più attuali tendenze e valori culturali. La
Oltre l’illuminazione
Bottega d’Arte, inserita nella sede centrale di Iris Ceramica a Fiorano, già luogo di sperimentazione di numerosi artisti e designer, dispone ora di una equipe di giovani preparati e organizzati che sperimentano, ricercano e sviluppano idee innovative.
World Light Show 2003, rassegna internazionale biennale, sviluppata in termini di scienza, tecnologia e design della luce, sarà presente a Milano dal 20 al 24 maggio 2003, mostrando al mondo quanto di meglio concerne: gli apparecchi di illuminazione per interni (residenziale, terziario, industriale); gli apparecchi di illuminazione per applicazioni speciali; gli apparecchi di illuminazioni di emergenza; gli apparecchi di illuminazione per
Dalla fonderia alla spedizione Rubinetterie Teorema, azienda Bresciana, esordisce nel lontano 1905 come la Metallurgica Bonomi specializzata nella lavorazione dei metalli, e, dopo un iter produttivo intenso e attento alle esigenze dei tempi, assume, nel 1970, l’attuale denominazione ed è tra le prime aziende ad introdurre nel mercato di settore un
miscelatore. Nel 1995 l’azienda completa la grande sede di Flero (Bs) che si sviluppa su una superficie di 26.000 metri quadrati e comprende un sistema produttivo completo che spazia dalla fonderia alla spedizione. Nel 2001 Teorema attiva inoltre la prima isola completamente robotizzata dedicata alla fusione dell’ottone, che consente la produzione quotidiana di un numero molto elevato di pezzi senza esporre il personale ai danni di fumi e fonti di calore. Il catalogo dei prodotti presenta una vasta serie di proposte con numerosissime collezioni di rubinetterie che uniscono al design la massima funzionalità.
esterni (illuminazione stradale, sportiva, arredo urbano, grandi aree); le sorgenti luminose; i componenti attivi e passivi; gli accessori per apparecchi di illuminazione. L’evento segnerà lo sviluppo costante dell’intero comparto proponendosi anche come spazio stimolante e qualificato per evidenziare e mettere a confronto con idee e opinioni avanzate, le più sofisticate professionalità internazionali. Saranno numerosissimi gli incontri, i convegni, i seminari che affronteranno il tema della luce in termini di esperienze e testimonianze portate da esperti qualificati. Verrà inoltre presentato per la prima volta in Italia, lo Spazio Leonardo: luogo d’incontro riservato a chi opera nel settore dell’illuminaione, che ospiterà incontri e dibattiti con i più importanti esperti della “luce”.
Acciaio e gres
Nuova piastrella in acciaio inox 1810 con supporto in gres porcellanato, Inoxtile, prodotta dalla Artinox di Conegliano (TV), è
Pannello Sandwich
stata studiata per dare un’alternativa particolare e brillante in utilizzi progettuali come il rivestimento di banconi per locali pubblici, schienali per cucine, pareti di bagni, pavimenti di saloni espositivi, battiscopa per complessi commerciali e per numerose e originali soluzioni creative e arredative. Realizzata in vari formati e dimensioni con una notevole gamma di finiture e un rigoroso ed elegante impatto estetico, la collezione Inoxtile garantisce una straordinaria resistenza all’usura, alla facilità di pulizia e all’antistaticità.
Per rivestimento murale ZeroKlass Wall, di RW Panel, è un pannello sandwich isolante da parete, monolitico, coibentato e autoportante, costituito da due supporti metallici che accolgono uno strato isolante in lana di roccia ad alta densità. La speciale configurazione delle fibre isolanti aumenta le caratteristiche meccaniche del pannello poiché i materiali utilizzati garantiscono una
eccezionale resa di fonoisolamento e fonoassorbimento e una reazione al fuoco classificata MO (zero). I pannelli, date le caratteristiche, sono particolarmente utilizzati nell’edilizia civile e industriale in merito a compartimentazioni di sicurezza, pareti tagliafuoco, vie di fuga, vani ascensore, vani scala antincendio e ambienti protetti in genere.
E’ composta da caolini, argille bianche, feldspati e carbonati, la nuova linea di piastrelle da rivestimento murale di Emilceramica “Terra Bianca” che
si distingue per l’esclusiva selezione delle materie prime e per il sofisticato processo di formatura e cottura. La linea dispone di pezzi di grande precisione dimensionale anche nei grandi formati, brillantezza di smalti e colori, modularità e coordinamento con i pavimenti Emilceramica e facilità di posa. Nella famiglia Terra Bianca è compresa la serie Faiance che, come termine riferito alla maiolica, intende riallacciarsi in chiave attualissima all’antica tradizione del materiale ceramico smaltato dal supporto poroso, che distinse fin dal Rinascimento la ceramica faentina. Il formato delle piastrelle è di cm 20x20 e sono oltre 60 i decori e i pezzi speciali. Sono disponibili sette colori per il rivestimento e quattro colori per il pavimento coordinato.
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Riservato al rame
Il concorso Tecu®Architecture Award 2002, si conclude anche quest’anno con la premiazione di quei progetti e quelle costruzioni realizzati in Europa, a partire dal 2000, che, ritenuti particolarmente interessanti, hanno impiegato il materiale Tecu o sono stati pensati in funzione all’utilizzo del rame. Il concorso, promosso da KME, che ha
Istantanee europee
registrato un grande interessamento da parte del mondo della progettazione, ha esordito nel 2000, e avrà in futuro uno sviluppo continuativo biennale. La Giuria attuale è composta da personalità del mondo della progettazione europea come: Jean Michel Wilmotte, Francine Houben, Alberto Cecchetto, Dolf Schnebli e Otfried Weis. Coordinatore del concorso sarà Peter Davey, editore di Architectural Review. I progetti dovranno riguardare la categoria Costruzioni realizzate (con premio speciale per costruzioni abitative)e la categoria Progettazione per gli studenti. La documentazione per la partecipazione al concorso, e i relativi dati sono disponibili consultando il sito www.tecu.com.
Il decennale del Concorso “Sistema d’Autore”, organizzato da Metra e celebrato quest’anno, avrà una speciale edizione che assegnerà, attraverso una Giuria qualificata, un riconoscimento speciale ai lavori più significativi tra quelli premiati nelle scorse edizioni del Concorso dedicato alla progettazione volta alla tecnologia dei serramenti e delle finiture per l’edilizia. L’iniziativa prevede quindi una nuova selezione effettuata sulle precedenti realizzazioni premiate come le più significative appartenenti a
Per campi da golf
ciascuna delle cinque sezioni riguardanti: Porte e Finestre; Facciate Continue; Persiane, Altre realizzazioni, Esteri. Il risultato della nuova super selezione sarà comunicato il prossimo mese di settembre nel corso di un Evento Speciale. Il Concorso Sistema d’Autore è la testimonianza di come si sviluppa l’evolversi della tecnologia attraverso l’ideazione di nuovi Sistemi che contemplano, oltre ai valori funzionali, formali ed estetici, anche l’accoppiamento all’alluminio di altri materiali come il legno, il bronzo e il cotto. Elemento dominante del Concorso resta comunque la funzione indicativa e informativa, nei confronti del mondo della moderna progettazione architettonica, relativa all’utilizzo dell’alluminio in riferimento alle direttive ecologiche, alle certificazioni, al risparmio energetico, all’abbattimento acustico, alla qualità formale e a molto altro.
Recupero e consolidamento Rubner, da oltre settant’anni leader nel settore delle costruzioni in legno, ha dedicato esperienza e competenza anche alla costruzione di impianti per campi da golf, studiati singolarmente, riguardanti Club Hause, spogliatoi, bar e ristoranti impostati secondo la serie Residenz in legno e muratura, e soprattutto mirati al Diving Range. Le strutture in legno Blockhause Rubner, pensate per chi inizia questo sport e vuole allenarsi, offrono protezione e sicurezza in caso di pioggia e vento. Questa serie, in legno di abete massiccio o lamellare, comprende varie strutture per campi da golf differenziate, sulla
base dello spessore e di soluzioni con o senza isolamento termoacustico, per tipologie diverse. Strettamente impegnato e attento a rispettare i valori ambientali ed ecologici, Rubner segue l’intera fase del progetto partendo dalla consulenza e proseguendo con la produzione e il montaggio.
Premio internazionale
Il premio internazionale “L’Architettura Automatica”, promosso da Ditec, azienda leader nel settore e specialista degli ingressi automatici e da Faenza Editore, mira a incentivare l’uso di componenti e di sistemi automatici relativi alla progettazione architettonica. Essenzialmente il premio intende segnalare e premiare le migliori architetture che comprendono ingressi automatici o automatismi per aperture, controllo della luce naturale o altre automazioni intelligenti nella gestione di facciate e serramenti. Il premio si articola in due sezioni. La prima è riservata ad architetti, designer e progettisti vari, iscritti agli ordini professionali o ad associazioni di categoria, che propongano architetture realizzate o in fase
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di progettazione entro la scadenza del bando. La seconda sezione è rivolta a studenti, scuole, istituti o università di architettura e disegno industriale, che vengono invitati a presentare tesi, ricerche ed esercitazioni elaborate in sede di studio. Queste devono riguardare proposte di architetture che integrino sistemi di automazione relativi a costruzioni residenziali, commerciali, terziarie o industriali. L’iscrizione al premio è gratuita e si protrarrà sino alla scadenza del bando prevista per il 16 dicembre 2002. Dovrà essere compilato il modulo rintracciabile con il bando sui siti www.ditec.it., www.faenza.com, www.fabriziobianchetti.com.
Con il titolo “Le Pietre e l’Eterno” si è svolto lo scorso marzo a Roma il sesto Congresso Internazionale Assirco (Associazione Italiana Recupero e Consolidamento Costruzioni) rivolto alle tematiche riguardanti le “Architetture Religiose: Costruzioni e Restauro”. L’evento ha visto la partecipazione della Fornace Laterizi Vardanega Isidoro quale sponsor ufficiale. L’azienda, impegnata a sviluppare soluzioni innovative riguardanti le problematiche del costruire e del restaurare, ha presentato nel corso dell’incontro alcuni prodotti particolarmente idonei in interventi di restauro anche relativi a edifici di culto. Il convegno, svoltosi presso il complesso monumentale del San Michele, ha visto la partecipazione di relatori e invitati di spicco, esperti nelle questioni inerenti il restauro nazionale e
internazionale. Le quattro giornate dedicate ai lavori hanno compreso le tematiche dedicate alle caratteristiche architettoniche viste attraverso i vari credo religiosi, evidenziando le singolari forme e particolarità. Si sono affrontate anche le problematiche di gestione e riqualificazione dello spazio urbano in rapporto all’evoluzione liturgica post Concilio Vaticano II, nonché quelle riguardanti i concetti e la pratica del restauro relativi ai diversi credo religiosi. Molti gli interventi importanti segnalati come esemplari quale a esempio la Basilica Superiore dì Assisi dopo il terremoto, e le problematiche e le scoperte emerse nel corso dei restauri della facciata della Basilica di San Pietro, del Ciclo dei Quattrocentisti e degli affreschi di Michelangelo della Cappella Sistina.
Domotica attuale
Nata nel 2000 da una joint venture tra Olivetti Tecnost e Vemer-Siber, DomusTech è un’azienda impegnata esclusivamente nel mercato della Domotica, che accoglie e accomuna le tecnologie specifiche prodotte da: Olivetti Tecnost in merito all’informatica; VemerSiber per il settore elettrico; TIM per le comunicazioni mobili. Ogni azienda, attraverso il proprio specifico know-how, ha collaborato a creare il progetto DomusTech dando vita a un
sistema integrato di controllo pensato appositamente per le abitazioni. Semplice, flessibile e affidabile, questo sistema intelligente implica funzioni relative alla: Sicurezza delle cose e delle persone; Termoregolazione e Illuminazione; Automazione di porte, finestre, cancelli, tende, e tapparelle; Gestione dei carichi elettrici. Molti e sofisticati gli elementi che contraddistinguono e rendono esclusivo il sistema DomusTech.
Agenda Concorsi di architettura e design Architecture and design competitions
Austria Linz Future Vision Leisure Concorso internazionale di idee aperto ai nati dopo il 31/7/1967 per il progetto di nuove strategie nel settore dell’architettura per l’intrattenimento/International ideas competition open to young professionals born after 31/7/1967 for the project of new strategies on the theme Future Vision LeisureStaging Scadenza/Deadline: 31/7 Monte premi/Total prize money: 16.000 Euro Giuria/Jury: Odile Decq, Hans Frei, Rainer Pirker, Stella Rollig, Margit Ulama Per informazioni: Nemetschek Company C/a Herbert Brabdauer Tel. ++43 662 434800 Internet: www.nemetschek.at E-mail: hbradauer@nemetschek.at Architekturforum Bernaschekplatz 8 A-4040 Linz Tel./fax ++43 732 711701 Internet: http://fvl.architekturforum-ooe.at E-mail: fvl@fvl.architekturforum-ooe.at
Danimarca/Denmark Copenhagen
Tokyo
New Urban District in Lisbjerg Concorso internazionale per lo sviluppo urbanistico di Lisbjerg nei pressi di Aarhus/International competition for the urban development of Lisbjerg area near Aarhus Scadenza/Deadline: 5/7 Monte premi/Total prize money: 1,000,000 DKK
Central Glass International Architectural Design Competition Concorso internazionale di idee per il progetto di un ristorante slow-food in un’area rurale/International ideas competition for the project of a slowfood restaurant in a rural area Scadenza/Deadline: 29/7 Monte premi/Total prize money: 2.400.000 Yen Giuria/Jury: Toyo Ito, Tetsuo Naito, Masaru Okamoto, Itsuko Hasegawa, Riken Yamamoto, Kengo Kuma, Norihisha Yamamoto
Per informazioni: Federation of Danish Architects Konkurrencesekretariatet Strandgade 27A DK-1401 Copenhagen K Tel. ++45 32 836900 Fax ++45 32 836901 Internet: www.dal-aa.dk E-mail: konkurrencer@dal-aa.dk
Francia/France Parigi 11th Ermanno Piano Scholarship Borsa di studio per architetti neolaureati per sei mesi di stage presso il Renzo Piano Building Workshop di Parigi Scholarship for newly graduated architects with a six-month internship at Renzo Piano Building Workshop in Paris Scadenza/Deadline: 30/6 Borsa/Grant: 10.000 Euro Per informazioni: The Architecture Workshop Foundation C/o RPBW 34 Rue des Archives 75004 Paris Internet: www.rpbw.com
Belgio/Belgium Kortrijk Design for Europe Concorso internazionale di architettura di interni/International competition for interior architecture Scadenza/Deadline: 15/7 Monte premi/Total prize money: 30.750 Euro Giuria/Jury: Ronan & Erwan Bouroullec, Bjorn Dahlstrom, Martì Guixé, Richard Hutten, Ross Lovegrove, Danny Venlet Per informazioni: Interieur Foundation Design for Europe/Interieur 2002 Groeningstraat 37 B-8500 Kortrijk Internet: www.interieur.be
Corea del Sud/South Korea Seoul Design beyond East & West Concorso internazionale di design per progetti di interni per famiglie con un figlio International design competition for interiors for one child family Scadenza/Deadline: 17/9 Monte premi/Total prize money: 42,000 US$ Giuria/Jury: Alessandro Mendini, Arata Isozaki, Seok-Chul Kim, Li Chung Pei, Yung Ho Chang Per informazioni: DBEW Competition Committee Hanssem Building, 9th Fl., Bangbae-dong, Seocho-gu Seoul Tel. ++82 2 5903472 Fax ++82 2 5938463 Internet: www.hanssemcompe.com E-mail: compe@hanssem.com
Giappone/Japan
Germania/Germany
Per informazioni: Dept. of Central Glass International Architectural Design Competition 2002 Shinkenchiku-sha Co. 2-31-2 Yushima Bunkyo-ku Tokyo 113-8501 Internet: www.japan-architect.co.jp
Morisawa Award 2002 Concorso internazionale per la progettazione grafica di nuovi caratteri tipografici per alfabeto latino o kanji International competition for the graphic design of new typefaces for Latin or Kanji alphabet Scadenza/Deadline: 31/8 Monte premi/Total prize money: 8.000.000 Yen Giuria/Jury: Fred Brady, Matthew Carter, Alan Chan, Takenobu Igarashi, Mitsuo Katsui, Masahiko Kozuka, Yoshiaki Morisawa, Ikko Tanaka Per informazioni: Office of the Morisawa Awards 2002 International Typeface Design Competition c/o Morisawa & Company Ltd. 2-27, Shimomiyabi-cho, Shinjuku-ku Tokyo 162-0822, Japan Internet: www.morisawa.co.jp/typeface/oubo2002e. html E-mail:compe@morisawa.co.jp
Kronberg Braun Prize 2003 Concorso internazionale di design per prodotti innovativi che utilizzino le più moderne tecnologie, intitolato “Dream Real Products” International design competition for innovative products which utilize updated technologies Scadenza/Deadline: 31/1/2003 Monte premi/Total prize money: 25.000 Euro Giuria/Jury: Peter Schneider, Rainer Silbernagel, Anne Stenros, Alexander Manu Per informazioni: Braun Prize Organization C/a Gerlinde Kress Tel. ++49 6173 302266 Fax ++49 6173 301534 Internet: www.braunprize.com E-mail: info@braunprize.com
Osnabrück Tecu Architecture Award Premio internazionale per progetti che abbiano utilizzato in modo innovativo il rame International award for projects that utilized copper in an innovative way Scadenza/Deadline: 31/10 Giuria/Jury: Francine Houben, Jean Michel Wilmotte, Alberto Cecchetto, Dolf Schnebli, Otfried Weis Per informazioni: KM Europa Metal Tecu Architecture Award 2002 Postfach 3320 49023 Osnabrück Tel. ++49 541 3310 Fax ++49 541 3211366 Internet: www.tecu.com
Italia/Italy Biella Ristrutturazione Biblioteca Civica Concorso internazionale per la ristrutturazione della biblioteca civica e riqualificazione dell’area circostante/International competition for the renovation of the Civic Library and refurbishment of the surrounding area Scadenza/Deadline: 15/7 Monte premi/Total prize money: 12.000 Euro Per informazioni: Biblioteca del Comune di Biella C/a Anna Bosazza Tel. ++39 015 2524499
Cantù (Como) Il materiale legno Concorso internazionale per professionisti e studenti per la progettazione di un arredo destinato alla zona notte della casa che utilizzi e valorizzi il legno massello e multistrato/International competition open to professionals and students for the design of furniture for the home “night area” utilizing wood Scadenza/Deadline: 30/9 Monte premi/Total prize money: 9.000 Euro Giuria/Jury: Maurizio Riva, Davide Riva Per informazioni: Riva R1920 Centre C/a Simone Bellotti Via Borgognone 12 22063 Cantù (CO) Tel. ++39 031 7073353, Fax ++39 031 7073338 Internet: www.riva1920.it E-mail: simone.bellotti@riva1920.it
Civitavecchia (Roma) Porto storico e Waterfront Concorso internazionale per il progetto preliminare di restuaro e valorizzazione del porto storico e del waterfront cittadino/International competition for the preliminary design of restauration and enhancement of historic harbour and urban waterfront Scadenza/Deadline: 20/6 Per informazioni: Autorità Portuale di Civitavecchia Via Prato del Turco 00053 Civitavecchia (Roma) Tel. ++39 0766 366235 Fax ++39 0766 366243
Faenza (Ravenna) 53° Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea Concorso internazionale di oggetti in ceramica finalizzato a stimolare la ricerca, il rinnovamento di tecniche, materiali, forme e modi espressivi/International competition for contemporary ceramic art aimed to enhance the research, the renewal in technics, materials, forms and expressions Iscrizione/Registration: 13/7 Consegna/Submission: 18/1/2003 Monte premi/Total prize money: 26.000 Euro Per informazioni: Museo Internazionale della Ceramica Via Campidori 2 48018 Faenza (RA) Tel. ++39 0546 697315 Fax ++39 0546 27141 Internet: www.micfaenza.org E-mail: d.dalprato@racine.ra.it
L’Architettura Automatica Premio internazionale di architettura per progetti che abbiano impiegato automazioni intelligenti/International architectural award for works which utilize intelligent automatic systems Scadenza/Deadline: 16/12 Monte premi/Total prize money: 13.500 Euro Giuria/Jury: Gabriele Del Mese, Eric Dubosc, Giancarlo Rosa, Marco Imperadori, Fabrizio Bianchetti, Armando Vecchi Per informazioni: Gruppo Editoriale Faenza Editrice C/a Flavia Gaeta Via Pier De Crescenzi 44 48018 Faenza (RA) Tel. ++39 0546 670411 Fax ++39 0546 660440 Internet: www.ditec.it, www.faenza.com, www.fabriziobianchetti.com E-mail: concorso@faenza.com
Milano Premio “Costruire” Mauro Maccolini Concorso internazionale per il progetto di un componente edilizio o attrezzatura che presenti significativi elementi di innovazione/International competition for the design of an architectural component or equipment with a high-grade of innovation Scadenza/Deadline: 15/6 Giuria/Jury: L. Fiori, E. Antonini, G. Boeri, M. Buriani, U. Menicali, G. Raffellini, N. Sinopoli, E. Villani Per informazioni: Costruire Edizioni Segreteria del Concorso Via Monforte 15 20122 Milano Tel. ++39 02 76090 Fax ++39 02 76090303 E-mail: redazione@costruire.it
Premio Macef Design Under 40 Premio internazionale on line per designer under 40
l’ARCA 171 107
International on line award for designers under 40 Scadenza/Deadline: 1/9 Monte premi/Total prize money: 20.000 Euro Per informazioni: Ufficio Stampa Macef Tel. ++39 02 49977875 Internet: www.aedo-to.com
Ravenna Nuovo impianto natatorio Concorso internazionale per un nuovo impianto natatorio polifunzionale/International competition for a new swimming pool multifunctional complex Scadenza/Deadline: 28/6 Per informazioni: Comune di Ravenna Area Infrastrutture Civili Via C. Morigia 8/a Tel. ++39 0544 482748/482747
Roma Punto Parco Concorso nazionale di idee per la riqualificazione dei parchi dell’Eur Scadenza: 12/7 Monte premi: 12.000 Euro Giuria: Raffaele Ranucci, Francesco Innamorati, Angelico Bonuccelli, Carlo Carreras, Luciano Garella Per informazioni: EUR S.p.A. Segreteria Concorso C/a Gea Anastasio Largo Virgilio Testa 23 00144 Roma Tel. 06 54252263, Fax 06 54252220 Internet: www.romaeur.it E-mail: g.anastasio@romaeur.it
Trieste V Concorso Internazionale di Design Trieste Contemporanea Concorso internazionale di design aperto ai progettisti dei paesi dell’Europa Centro-Orientale per la progettazione di oggetti in vetro soffiato/International design competition open to Central-Eastern Europe designers for the project of blown glass objects Scadenza/Deadline: 28/9 Monte premi/Total prize money: 2.500 Euro Per informazioni: Comitato Trieste Contemporanea Tel. ++39 040 639187, Fax ++39 040 367601 Internet: www.tscont.ts.it E-mail: tscont@tin.it
Verolanuova (Brescia) Nuova palazzina RSA Concorso internazionale per una nuova palazzina RSA/International competition for a new RSA building Scadenza/Deadline: 19/7 Monte premi/Total prize money: 15.500 Euro Per informazioni: IPAB Casa di riposo “Gambara-Tavelli” Via Einaudi 1 25028 Verolanuova (BS) Tel ++39 030 931148, Fax ++39 030 9920331 E-mail: gambaratavelli@absol.it
Vicenza Premio Dedalo Minosse alla Committenza di Architettura Premio internazionale per le migliori collaborazioni clienti/progettisti International competition for the best client/architect collaboration Iscrizione/Registration: dal/from 15/4 Consegna/Submission: 20/9 Per informazioni: Segreteria Organizzativa Ala-Assoarchitetti Via Leonardo Da Vinci 14 36100 Vicenza Tel. ++39 0444 914236 , Fax ++39 0444 913358 Internet: www.assoarchitetti.it E-mail: dedalominosse@assoarchitetti.it
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Olanda/Holland
Germania/Germany
Heerenveen
Berlin
Aluminium in Motion Award 20022003 Premio Europeo per prodotti prevalentemente realizzati con alluminio/European award for product mainly realized with aluminium Scadenza/Deadline: 1/7
ICC Berlin UIA Berlin 2002 Convegno internazionale dell’Union Internationale des Architectes/International UIA congress 22/7-26/7
Per informazioni: Secretariat European Aluminium Award P.O. Box 557 8440 AN Heerenveen Tel. ++31 513 610666 Fax ++31 513 650260 E-mail: artsant@euronet.nl
Per informazioni: UIA Berlin 2002 Koepernicker Strasse 48/49 D-10179 Berlin (Mitte) Tel. ++49 30 27873440 Fax ++49 30 27873412 Internet: www.uia-berlin2002.com E-mail: info@uia-berlin2002.com
Frankfurt am Main
Convegni e dibattiti Congresses and conferences
Bund Deutscher Architekten-BDA Resource Cityscape Pre conferenza di/Pre-conference of UIA Berlin 19/7-21/7 Per informazioni: BDA Hessen Manuel Cuadra Internet: www.uia.bda-hessen.de E-mail: landessekretariat@bda-hessen.de
Australia
Gran Bretagna/Great Britain
Riversdale
Dundee
Riversdale Education Centre Glenn Marcutt International Master Class 7/7-21/7
University of Dundee-Concrete Technology Unit Challenges of Concrete Construction 5/9-11/9
Per informazioni: University of Newcastle Tel. ++61 2 49215771 Fax ++61 2 49216913 E-mail: ozetecture@newcastle.edu.au
Cile/Chile
Per informazioni: University of Dundee Concrete Technology Unit-Dept. of Civil Engineering Dundee DD1 4HN Tel. ++44 1382 344347, Fax ++44 1382 345524 Internet: www.dundee.ac.uk E-mail: r.k.dhir@dundee.ac.uk
Santiago Universidad de Chile 51° Congreso Internacional de Americanistas Convegno accademico “Ripensando all’America alle soglie del XXI secolo”/Academic meeting “Rethinking America at the threshold of 21st century” 14/7-18/7 Per informazioni: 51 ICA-Universidad de Chile Diagonal Paraguay 256 1405 Santiago Tel. ++56 2 6782061, Fax ++56 2 678212 Internet : www.arqa.com E-mail : ica51@uchile.cl
Francia/France
Israele/Israel Tel Aviv IFLA 2002 Congresso internazionale del architettura del paesaggio International congress on landscape architecture 7/10-10/10 Per informazioni: Dan Knassim P.O.Box 1931 Ramat Gan 52118 Internet: www.congress.co.il E-mail: team1@congress.co.il
Italia/Italy
Lyon
Biella
Opéra National La restauration monumentale en Europe : Le monument historique en Allemagne, entre protection et restauration. Exemples d’une controverse continue 27/6
Fondazione Pistoletto Cittadellarte Corsi 2002 Corso/Course: 1/7-31/10
Per informazioni: Les Ateliers des Terraux 21 Place des Terraux, 69001 Lyon Tel. ++33 4 72074900
Per informazioni: www.cittadellarte.it/unidee/info
Camerino (Macerata)
IFA/Palais de Chaillot Entretien avec Bruno Fortier 10/6 Manfredo Tafuri à Venise 29/6
Palazzo Ducale Paesaggi dell’architettura mediterranea. Spazi direlazione e di vita sociale XII Seminario e Premio Internazionale di Architetura e Cultura Urbana 12th Workshop and International Award of Architecture and Urban Culture 28/7-1/8
Per informazioni: IFA 6 Rue de Tournon, 75006 Paris Tel. ++33 1 46339036, Fax ++33 1 46330211 Internet: www.archi.fr/IFA-CHAILLOT
Per informazioni: Università di Camerino Giovanni Marucci Internet: web.unicam.it/culturaurbana E-mail: giovanni.marucci@unicam.it
Paris
Casalpusterlengo (Lodi) Inaugurazione Palazzo ComunaleArchitetti Associati Arnaboldi & Partners 20/6 Per informazioni: Architetti Associati Arnaboldi & Partners Internet: www.arcadata.com/space/arnaboldi E-mail: arnaeamm@tin.it
Firenze La Sfacciata Lighting Academy Corso base di Illuminazione di ambienti interni 19/6-22/6, 13/11-16/11 Per informazioni: La Sfacciata Lighting Academy Elisabetta Baldanzi Tel. ++39 055 3791328 Fax ++39 055 3791266 Internet: www.lightingacademy.org E-mail: e.baldanzi@targetti.it
Mestre (Venezia) Centro Culturale Candiani What Next? Conferenze sulla creatività contemporanea/Conferences on contemporary creativity Fino a luglio/through July Per informazioni: Centro Culturale Candiani Piazzale Candiani 7 30174 Mestre (VE) Tel. ++39 041 2386111 Internet: www.whatnext.it E-mail: info@whatnext.it
Milano Accademia Belle Arti Brera Il restauro, il riallestimento e il progetto di allestimento esterno del Museo del Prado 12/6 Per informazioni: Palazzo Brera Via Brera 28 20121 Milano Tel. ++39 02 722631 Fax ++39 02 72001140 E-mail: info@luoghi.net
Fondazione Ordine degli Ingegneri Inceneritori: le moderne tecnologie ecocompatibili 26/9 Per informazioni: Fondazione dell’Ordine degli Ingegneri Corso Venezia 16 20121 Milano Tel. ++39 02 796214 Fax ++39 02 794916 E-mail: fondazione@ordineingegneri.milano.it
Museo Diocesano Paesaggismi Milanesi: Piero Castiglioni, Giovanni Chiaromonte, Giulio Crespi, Guido Vergani 27/6 Per informazioni: AIAPP-Associazione Italiana Architettura del Paesaggio Via Casentino 8 20159 Milano Tel./fax ++39 02 6686185 E-mail: segreteria.insubria@aiapp.net
Varie Sedi Materials & Interior Design Workshops 2002 Laboratori di sperimentazione dei materiali Materiali mediterranei 14/6-23/6 Per informazioni: Progettomateria Via Gaudenzio Ferrari 5 20123 Milano Tel. ++39 02 58114412 Fax ++39 02 36518770 Internet: www.progettomateria.com E-mail: info@progettomateria.com
Parma Ente Scuola Edile Lezioni di Architettura Bioecologica 8/6, 15/6 Per informazioni: Ente Scuola Edile di Parma C/a Maurizio Fanzini Via Nobel 13/a Parma Tel. ++39 0521 607031 Fax ++39 0521 607091 E-mail: esep@interbusiness.it
Roma Acer Il mondo del lavoro e l’università Le figure professionali della Merloni 28/6 Il risparmio energetico negli edifici 19/7 Esperienze pratiche di cantiere 26/7 Per informazioni: Acer Via di Villa Patrizi 11 00161 Roma Tel. ++39 06 44231418
Venezia IUAV Archivio Progetti Giuseppe e Alberto Samonà. Lezioni di architettura 4/7 Per informazioni: IUAV Archivio Progetti Cotonificio Veneziano di S.Marta Dorsoduro 2196 30123 Venezia Internet: http://oberon.iuav.it E-mail: archivioprogetti@iuav.it
Mostre di architettura e design Architecture and design exhibitions
Finlandia Jyväskylä
Aosta
Rotterdam
Alvar Aalto Museum Funzionalismo in Estonia 6/8-15/9
Biblioteca Regionale La “Cogne” e Aosta, storia di un secolo. Architettura, siderurgia, territorio 13/4-30/6
NAI UN Studio 25/5-15/9
Francia/France Lione Les Ateliers des Terreaux L’Hôpital dans la ville 16/6-17/8 Jean Zumbrunnen architecte 4/11-21/12
Orleans Frac ArchiLab 2002 31/5-14/7 Site. Architecture in Context 30/5-14/7 6 Ecoles d’architecture 30/5-15/7 Didier Faustino 16/9-27/12
Parigi VIA Mobi-découverte - Les enfants designers 28/3-16/6 Les Ecoles 4/7-25/8 Le labels 5/9-27/10 Transparences 7/11-19/01/2003 Centre Pompidou Josef Albers - Bauhaus 1919-1933 et Paris 15/5-26/8
Germania/Germany Berlino Aedes East Forum Behnisch, Behnisch & Partner 21/6-25/8
Austria Innsbruck Architekturforum Tirol Eladio Dieste 13/6-19/7
Mürz Kunsthaus Babylon Syndrome and Modern Architetcure 27/4-31/7
Vienna Architektur Zentrum Idea and Phenomena: Steven Holl 11/4-5/8 Ringturm Everyone’s Furniture 17/4-28/6
Canada
Olanda/Holland
Italia/Italy
Stuttgart Architekturgalerie Luigi Snozzi 5/6-26/6 Petra Kahlfeld 3/7-31/7 BKK3 7/8-28/8 Kalhöfer/Korschildgen 4/9-25/9 Hans Kollhoff 2/10-30/10 Leon Krier 6/11-27/11 Oswald Matthias Ungers 4/12-31/12
Chiesa di San Lorenzo Michele De Lucchi dopo Tolomeo 7/6-13/10
Cremona Palazzo Comunale Ingegneria, architettura, design: dal Politecnico di Milano protagonisti e grandi progetti 12/6-25/6
Milano
Manchester Cube Best: Emergent Northwest Architectural Practices 19/6-20/8
Montreal
Londra
CCA Laboratories 18/4-15/9 Lewis Baltz: The New Industrial Parks near Irvine, California 18/4-29/9
Design Museum Ronan & Erwan Bouroullec Fino al/through 16/6 Serpentine Gallery Toyo Ito with Arup 29/5-1/9
Barcelona Collegi d’Arquitectes de Catalunya A+A: Architecture and moving image 20/6-22/6 Varie Sedi Gaudì 2002: Anno internazionale di Gaudì www.gaudi2002.bcn.es
Svizzera/Switzerland
Triennale Cybgus - Possono le macchine pensare? 23/4-28/7 Le città visibili 15/5-1/9 La grafica tra memoria e futuro 22/5-8/9 Gli occhiali presi sul serio 29/5-29/9 Politecnico - 1 Facoltà di Architettura ARiA:ARTEinformaticaARCHITETTURA 27/5 - 21/6 a
Piacenza Politecnico Ingegneria, architettura, design: dal Politecnico di Milano protagonisti e grandi progetti 21/9-3/10
Modena Palazzo Contrari Boncompagni La primavera del Vignola 30/3-7/7
Rivoli (Torino) Castello The Rock Furniture. Il design della Gufram negli anni del Rock, 1967/1976-2001 22/5-1/9
Roma DARC Zaha Hadid, opere e progetti 11/5-11/8
Venezia Gran Bretagna/Great Britain
Spagna/Spain
8. Mostra Biennale Internazionale di Architettura: “Next” 8/9-24/11 IUAV Archivio Progetti Carl Weidemeyer 1882-1976. Artista e architetto tra Worpswede e Ascona 27/9-31/10
Vignola (Modena) Rocca e Palazzo Boncompagni Jacopo Barozzi di Vignola (1507-1573) 30/3-7/7
Mendrisio Accademia di Architettura John Soane e i ponti di legno svizzeri 11/5-30/6
Zurigo ETH Zentrum Meili, Mailand und das Hochhaus. Centro Svizzero 1949-52 30/5-18/7 Europan 2001 6/6-20/6 Eternipreis 2001 13/6-18/7
USA Cambridge Busch-Reisinger Museum Art and Design in Central and Northern Europe 1880 to present 1/1-31/12
Chicago The Art Institute Modern Trains and Splendid Stations. Architecture and Design for the 21st century Fino al/through 28/7
New York Cooper Hewitt National Design Museum Skin: Surface, Substance and Design 23/4-8/9 The Bard Graduate Center for Studies in the Decorative Arts, Design and Culture Utopia & Reality: Modernity in Sweden 1900-1960 14/3-16/6
Los Angeles MAK LA Nobody’s Home. Case d’artista 9/5-15/10
Minneapolis Institute of Art Bridging America with Frank Lloyd Wright 6/4-7/7 The Industrial Design Aesthetic, 1900-1950 Fino al/through 27/9
l’ARCA 171 109
San Diego
Danimarca/Denmark Humlebaek
Museum of Contemporary Art-La Jolla Out of the Ordinary: The Architecture and Design of Robert Venturi, Denise Scott Brown and Associates 2/6-8/9
Louisiana Museum Doug Aitken 19/4-28/7 Per Kirkeby Masonites 1963-1978 17/5-1/9
Washington
Antibes
National Building Museum Making Tracks: The History of Urban Rail Transit in America 15/12/2001-11/8
Pelouses du port Vauban Yves Mikaeloff : Sculptures en Promenade 29/3-30/9F
Mostre d’arte Art Exhibitions
Linz Varie sedi Ars Electronica 7/9-12/9
Vienna MAK Richard Artschwanger. The Hydraulic Doorcheck 27/3-16/6 Ernst Deutsch-Dryden 10/4-14/7 Laura Kikauka - M.A.N.I.A.C.: Marvellous Abundant Neglected Items Arranged Creatively 22/5-11/8 Kunst Haus David Lachapelle. Photographs 6/6-22/9 K-Haus Salon Exhibition 19/6-21/7 Kunstforum Schwitters 14/3-16/6
Belgio/Belgium Bruxelles Atomium Objets retrouvés de l’Expo 58 Fino al/through 31/8
Gent Stedelijk Museum voor Actuele Kunst Jannis Kounellis 20/4-23/6
Canada Montreal Museum of Fine Arts Capolavori italiani da Raffaello a Tiepolo 24/4-4/8
110 l’ARCA 171
Jeu de Paume Georges Mathieu 23/4-16/6 Centre National de la Photographie Bertrand Gadenne 29/5-24/6 Erwin Wurm 29/5-26/8
Belfort
Musée Jacquemart André La passion du dessin 19/3-30/6
Tour 46 Fernand Léger 24/5-22/9
Espace EDF-Electra Melies, magie et cinema 26/4-31/8
Chartres
Espace Croisé Kinshasa, Congo. Fabien Rigobert/Moke, Cheri Samba 17/5-13/7
Centre International du Vitrail Les couleurs du ciel. Vitraux de création au XXe siècle dans les cathédrales de France 13/4-5/1/2003
Austria
Heinz Hajek-Halke (1898-1983) 15/5-26/8 Cher peintre 12/6-2/9 Daniel Buren 26/6-23/9
Lille Palais des Beaux-Arts Berthe Morisot (1841-1895) 10/3-9/6
Villeneuve d’Ascq (Lille) Musée d’art Moderne Jean Smilowski. Rétrospective 1/6-2/9
Nice Musée des Beaux-Arts Œuvres chinoises issues de la donation du Baron Vitta 7/4-23/6 Musée d’art moderne et contemporain Niki de Saint Phalle rétrospective 16/3-27/10 Bloum Cardenas 25/5-8/9 Septembre de la photo 15/9-14/10 Theatre de la photographie et de l’image Les photographes de l’Ouest Américain 13/9-13/10 Galerie des Ponchettes Alberte Garribo: Marges du Silence 6/6-1/8 J.P.Jovanelli : Le conflit 25/10.17/11 Galerie du Chateau La Rahla, Amicale des Sahariens 7/11-28/11 Musée Matisse A la lumière de nos doigts 27/3-24/6
Orleans Frac Yves Duranthon 16/9-15/11
Paris Centre Pompidou La Révolution surréaliste 27/2-24/6 Claude Rutault à l’Atelier BrancusiLa peinture photographe 15/5-25/8
Louvre Les artistes de Pharaon. Deir elMédineh et la Vallée des Rois 19/4-22/7 Les cartons de vitraux d’Ingres 24/5-23/9
Liverpool Biennial 2002 14/9-24/11
Londra National Gallery Baroque Painting in Genoa 13/3-16/6 Tate Modern Eija-Liisa Ahtila 30/4-28/7 Matisse-Picasso 11/5-18/8 Dulwich Gallery Inspired by Italy: Dutch Landscape Painters 16001700 22/5-26/8
Italia/Italy Amalfi (Salerno) Basilica del Crocefisso Quasimodo 21/3-15/6
Aosta Museo Archeologico Regionale Glass way-Le stanze del vetro 15/6-28/10
Panthéon Rebonds par Klaus Pinter 5/4-30/9
Centro Saint Benin Carlo Carrà 21/6-3/11
Grand Palais Un temps d’exubérance. Les arts décoratifs sous Louis XIII et Anne d’Autriche (1610-1661) 11/4-8/7
Bologna
Crypte de Notre-Dame Photographies de Nathalie Darbellay 29/5-29/9 Musée d’Orsay Mondrian de 1892 à 1914. Les chemins de l’Abstraction 27/3-14/7
Museo Civico Archeologico Africa nera. Arte e cultura 26/3-30/6 Galleria d’Arte Moderna Roger Ballen. Outland 8/5-30/6 Rona Pondick 19/4-30/6
Bolzano
Jardins du Palais-Royal Arnaldo Pomodoro 15/4-4/8
Varie sedi Musicaxocchi 13/4-16/6
Saint Denis
Banca di Trento e Bolzano Everest. L’orizzonte curvo della fantasia 26/4-9/6
Musée d’art e d’histoire Prière(s) 22/3-24/6
Frankfurt am Main
Galleria Civica Vittorio Sella. Ascensioni fotografiche. Viaggi nelle Alpi del tirolo 1887-1891-1893 20/6-29/9
Künstlerhaus Mousontrum Manifesta 4 25/5-25/8
Centro storico To Actuality 29/5-31/7
Schirn Kunsthalle The Mysteries of the Celts of Glauberg 24/5-1/9
Certaldo Alta (Firenze)
Germania/Germany
Kiel Stadtgalerie Luce, movimento & programmazione 14/6-11/8
Gran Bretagna/Great Britain Liverpool Tate Remix: Contemporary Art and Pop Music 24/5-26/8
Palazzo Pretorio Tommaso Cascella. Assedio 25/5-26/6
Chieri (Torino) Imbiancheria del Vajro Terza Biennale Internazionale di Fiber art “Trame d’autore” 25/5-7/7
Conegliano (Trevso) Palazzo Sarcinelli Da Ca’ Pesaro a Morandi: Pittura italiana 1900-1945 dalle Collezioni private 7/3-30/6
Dronero (Cuneo) Museo Luigi Mallé Filippo De Pisis-La figura umana 21/4-8/9
Fonte d’Abisso Arte Noi Futuristi 7/3-14/6
Fano (Pesaro)
Fondazione Biblioteca di Via Senato Dall’orrido al sublime, la visione delle Alpi 9/5-27/10
Varie Sedi Michelangelo Galliani: Conserving Sculptures 3/6-18/7
Musei di Porta Romana Grandezza e splendori della Lombardia Spagnola 1535-1701 10/4-16/6
Firenze
Galleria Raffaella Cortese Marcello Maloberti. All’incirca alla caviglia 23/4-5/7
Palazzo Pitti Islam-Specchio d’Oriente 23/4-1/9
Formello (Roma)
Galleria Spirale Arte Valerio Berruti. Sacre rappresentazioni 16/5-30/6
Museo dell’Agro Veientano Opera grafica di Jean Pierre Velly 27/4-30/7
Spazio Oberdan Made in Africa 22/5-25/7
Genova
Mogliano Veneto (Treviso)
Villa Croce The Fluxus Constellation 15/2-13/6
Brolo Laboratorio di scultura europea 9/6-4/8
Manciano (Grosseto)
Montefalco (Perugia)
Nuovo Cinema Moderno e Varie sedi Quattro Venti 16/3-20/7
Chiesa Museo di San Francesco Benozzo Gozzoli 1/6-1/9
Mantova
Monterosso (La Spezia)
Palazzo Te Pom Aria. Vanni Viviani 6/4-30/6 La “Celeste Galeria” dei Gonzaga 2/9-8/12
Centro storico Monterosso 2002-Pittura, scultura, incisione 2/4-15/6
Predappio (Forlì) Casa Natale Mussolini Sportarte. Mito e gesto nell’arte e nello sport in Italia 1900-1950 30/3-20/10
Reggio Emilia Palazzo Magnani e Chiostri di San Domenico Alessandro Tiarini. La grande stagione della pittura del Seicento a Reggio Emilia 24/3-16/6
Rivoli (Torino) Castello Raymond Depardon. Piemonte una definizione fotografica Bruna Esposito 22/5-1/9
Roma Museo del Corso Dal Futurismo all’Astrattismo 20/3-7/7 Palazzo Venezia Giovanni Lanfranco (1582-1647). Un pittore fra Parma, Roma e Napoli 16/3-16/6 Complesso del Vittoriano Paul Cézanne. Il padre dei moderni 7/3-7/7
Torino
Parma
Galleria Sabauda “La buona ventura” di Georges La Tour del Metropolitan Museum of Art di New York e il caravaggismo nordico in Piemonte 19/4-30/6 Palazzo Cavour Dal vero. Il paesaggismo napoletano da Gigante a De Nittis 12/4-21/7
Centro Culturale Candiani Gli “irascibili” e la Scuola di New York 23/3-30/6
Palazzo Pigorini Sebastiao Salgado: Gente di Parma 6/4-30/6 Bob Sacha: Anno Verdiano 6/4-30/6
Galleria civica d’Arte Moderna Tobias Rehberger 4/5-30/6 Giovan Battista Quadrone 7/6-29/9
Milano
Piacenza
Trento
Palazzo Reale Il Neoclassicismo in Italia: da Tiepolo a Canova 27/2-28/7 New York Renaissance 18/3-11/9
Ex Centrale Elettrica Emilia Metlicovitz e Dudovich, due cartellonisti del ‘900 dalla Raccolta Bertarelli 24/4-23/6
Palazzo delle Albere Paesaggi e ambienti di montagna 28/3-29/9
Masnago (Varese) Castello Il ritratto in Lombardia da Moroni a Ceruti (1550-1750) 214-14/7
Mestre (Venezia)
PAC More than Reality. Duane Hanson. Sculptuires of Life 28/5-30/8 Fondazione Stelline About Flowers 28/9-13/10 Judit Rozsas 12/6-28/9
Padova Museo Diocesano I colori del sacro nell’illustrazione per l’infanzia 24/3-16/6
Palazzo Gotico Surrealismo Padano. Da De Chirico a Foppiani, 1915-1986 8/3-23/6 Galleria Braga Agostino Arrivabene. Dipinti 19922002 20/4-23/6
Pistoia
Galleria Viafarini Maja Bajevic 16/5-30/6
Fattoria di Celle Santomato di Pistoia Magnete: Presenze artistiche straniere in Toscana nella seconda metà del XX secolo 3/6-30/9
Photology Pertti Kekarainen. Space Oddity 11/4-15/6
Prato
Galleria Blu Agostino Bonalumi. Sensorialità e astrazione 8/4-13/7
Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci Arte in Toscana 1990-2000, e collezionismo contemporaneo 24/2-9/6
Museo Tridentino di Scienze Naturali Destinazione stelle 20/2-30/6 Palazzo Geremia La magia e la poesia del Trentino nella pittura di Eugenio Prati 18/5-30/6 Castello del Buonconsiglio Il Gotico nelle Alpi 20/7-20/10
Trieste Ex Scuderie del Castello Miramare Le arti di Efesto: Capolavori in metallo della Magna Grecia 2/2-4/7
Venezia Palazzo Grassi Da Puvis de Chavannes a Matisse e Picasso - Verso l’arte moderna 10/2-16/6
Museo Correr Navigare e descrivere. Isolari e portolani del XV-XVIII secolo Fino al/through 30/6 Jackson Pollock 23/3-30/6 Galleria Rossella Junck Anne-Lise Riond Sibony 11/5-10/6 Gioielli di Guido Carbonich 14/6-21/7 Vetrina Vetro 2002 29/9-10/11 Scuola Gande dei Carmini Biennale Internazionale di Calcografia. Il grande formato nell’incisione contemporanea 12/4-30/6 Guggenheim Themes and Variations: Post-war Art from the Guggenheim Collections Fino al/through 4/8
Verona Palazzo Forti Artists of the Ideal. Nuovo Classicismo Nuove acquisizioni Angelo Dall’Oca Bianca. Visioni multiple 19/4-30/6
Vicenza Basilica Palladiana I luoghi della carità 20/4-14/7
Vinci (Firenze) Palazina Uzielli Nam June Paik a Vinci 16/3-16/6
Spagna/Spain Barcellona MACBA Sonic Process 4/5-1/7
Svizzera/Switzerland Ginevra Musée Rath Urs Luthi. Tableaux 1970-2001 5/6-1/9 Musée d’art et d’histoire La Renaissance en Savoie. Les arts au temps du Duc Charles II (15041553) 15/3-25/8 Objets de parure, collection de la baronne Maurice de Rothschild 15/3-22/9 L’ornement est-il toujours un crime ? 23/3-22/9 Les Liotard du Musée 23/5-27/10 Un escabelle pour siège Fino al/through 25/8
Ligornetto Museo Vela A fior di pelle: Il calco dal vero nel secolo XIX 15/9-17/11
Locarno Pinacoteca Casa Rusca Arturo Bonfanti, 1906-1978 24/3-30/6
l’ARCA 171 111
Lugano
Minneapolis
Museo Cantonale d’Arte Arte Africana dalla Collezione Han Coray 1916-1928 16/3-30/6
Institute of Art Times Squared: Photographs by Toby Old 4/5-20/10
Galleria Gottardo Quelli di Bagheria-Ferdinando Scianna 2/5-24/8
New York
Studio d’Arte Dabbene François Morellet 23/4-30/7 Art 33 Basel Fino al/through 17/6
Martigny Fondation Pierre Gianadda Berthe Morisot, retrospettiva 20/6-19/11
Zurigo Galerie Proarta Nam June Paik 17/4-22/6
USA Austin Museum of Art Images from the World Between: The Circus in Twentieth-Century American Art 8/6-18/8 The Circus in Twentieth-Century American Art 8/6-18/8
Boston Museum of Fine Arts The Poetry of Everyday Life: Dutch Paintings in Boston Collections 12/6-15/9 Jasper Johns to Jeff Koons 28/7-20/10
Chicago
Lubalin Study Center Massin in Continuo: A Dictionary 30/10/2001-15/12 MoMA Queens Empo 29/6-9/9 AUTOBodies; speed, sport, transport 29/6-16/9 A walk through Astoria and other places in Queens: Photographs by Rudy Burckhardt 29/6-4/11
Phoenix Phoenix Art Museum Dale Chihuly: Installations 30/3-23/6
San Diego Museum of Art Idol of the Moderns: Pierre Auguste Renoir and American Painting 29/6-15/9 MCA Downtown Language: Form and Function 11/5-17/11 Adi Nes 28/4-14/7
Seattle Art Museum Morris Graves 1/11/2001-20/10
Fiere e saloni specializzati Trade fairs and exhibitions
Chicago Art Institute Modern Trains and Splendid Stations 8/12/2001-28/7 Museum of Contemporary Art Out of Place: Contemporary Art and the Architectural Uncanny 8/6-8/9
Denver Art Museum Metamorphosis: Modernist Photographs by Herbert Bayer and Man Ray 4/5-6/10 An American Century of Photography: From Dryplate to Digital 29/6-29/9
Belgio/Belgium Kortrijk Kortrijk Expo Interieur 2002 Biennale internazionale della creatività del design per interni International Biennial for creative interior design 18/10-27/10 Per informazioni: Fondation Interieur Groeningestraat 37 B-8500 Kortrijk Tel. ++32 56 229522, Fax ++32 56 216077 Internet: www.interieur.be E-mail: interieur@interieur.be
Los Angeles Museum of Contemporary Art Zero to Infinity: Arte Povera 1962-1972 10/3-11/8 Bartolomé Esteban Murrillo (16171682) 14/7-6/10 William Kentridge 21/7-6/10
112 l’ARCA 171
Emirati Arabi Uniti/UAE Dubai Jumeirah Beach Hotel Waterfront & Marina Development Salone e conferenza internazionale International exhibition and conference 3/6-5/6
Per informazioni: Mark Beaumont-Media Generation Events 21 Beechwood Crescent Ampfield, Chandlers Ford Hampshire SO53 5PC, UK Tel./fax ++44 2380 262931 Internet: www.mediageneration.co.uk E-mail: mark.baumont@mediageneration.co.uk
Francia/France Lyon Eurexpo Première Influence Salone internazionale del mobile e della decorazione International trade fair of furniture and decoration 3/6-5/6 Per informazioni: Sepelcom Avenue Louis Blériot BP 87 69683 Chassieu Tel. ++33 4 72223277 Fax ++33 4 72223167 E-mail : indus@sepelcom.com
Per informazioni: Bolognafiere Viale della Fiera,20 40128 Bologna Tel. ++39 051 282111, Fax ++39 051 282332 Internet: http://www.bolognafiere.it/SAIE E-mail: dir.com@bolognafiere.it
Torino Lingotto THT-Turin High-Tech Week Salone dell’alta tecnologia/Fair of high-technology 18/9-20/9 Parchi 2000 Salone delle tecnologie e servizi per l’ambiente/Fair for technologies and services for the environment 10/10-13/10 Restructura Salone internazionale del restauro/International trade fair of restauration 7/11-10/11 Per informazioni: Lingotto Fiere Tel. ++39 011 6644111, Fax ++39 011 6647847 Internet: www.lingottofiere.it E-mail: info@lingottofiere.it
Verona Giappone/Japan Asahikawa Design Gallery IFDA 2002 Salone internazionale di design e arredamento/International furniture design fair 3/7-31/7 Per informazioni: IFDA Ashikawa Furniture Industry Coopreative Office 10-chome, 2-jo, Nagayama Asahikawa, Hokkaido 079-8412 Japan Tel. ++81 166 470655 Fax ++81 166 484749 Internet: www.asahikawa-kagu.or.jp/ifda E-mail: ifda-e@asahikawa-kagu.or.jp
Italia/Italy Bologna Fiera Cersaie Salone internazionale di ceramica, apparecchiature igienico-sanitarie, arredamenti per ambiente bagno, arredoceramica e caminetti International trade fair of ceramic products and equipment, toilet and bathroom furniture, hearth and tiles furniture 1/10-6/10 Per informazioni: EDI.CER Spa Viale Monte Santo, 40 41049 Sassuolo (MO) Tel. ++39 0536 804585 Fax ++39 0536 806510 Internet: http://www.cersaie.com
Saie Salone internazionale dei sistemi edilizi, materiali e manufatti, macchinari e attrezzature per la produzione industriale di componenti edilizi, macchine, attrezzature, tecnologie per il cantiere, strumentazione elettronica, software e computer graphics, strumenti tecnici e attrezzature per prove, controlli e misure/International trade fair of building systems, materials, products, equipment for industrial production of architectural components, electronic devices, software and computer graphics, measurement and tests equipments 16/10-20/10
Fiera Legno & Edilizia Salone internazionale del prodotti in legno per l’edilizia International trade fair of wood products for building 20/6-23/6 Galvitech &Finishing Fiera internazionale della finitura e trattamento della superfici International trade fair of finishings and surface treatment Abitare il tempo Mostra internazionale dell’ambiente domestico/International show of the living space 19/9-23/9 Marmomacc Salone internazionale dei prodotti, tecnologie e macchinari per la lavorazione del marmo e della pietra International trade fair of technology and equipment for the productiona of marble and stone products 3/10-6/10 Ecocoating Mostra convegno sulle vernici, rivestimenti e tecnologie applicative a basso impatto ambientale Show and conference on low environmental impact paints, cladding and applications technologies 17/10-19/10 Per informazioni: PMT Via Tommaseo 15 35131 Padova Tel. ++39 049 8753730 Fax ++39 049 8756113 Internet: www.pmtexpo.it E-mail: info@pmtexpo.it
Spagna/Spain Madrid Feria Matelec Salone internazionale del materiale elettrico ed elettrotecnico International trade fair of electric and electronic equipment 8/10-12/10 Per informazioni: Matelec Parque Ferial Juan Carlos I 28042 Madrid Tel. ++34 91 7225034 Fax ++34 91 7225791 Internet: www.matelec.ifema.es E-mail: matelec@ifema.es