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febbraio february

2003

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Periodico mensile - Spedizione in abbonamento postale 45% pubblicità ART.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Milano

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I controsensi italiani/Italian Contradictions Cesare Maria Casati

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l nostro Paese, nel corso dei secoli, è stato indubbiamente un faro per il progresso artistico, scientifico e sociale e, nello stesso tempo, esprimendo controsensi particolari, è stato propugnatore di soluzioni assai negative. Penso al: Rinascimento-Inquisizione, Galileo-Vaticano, DemocraziaDittatura, Razionalismo-Postmodernismo e alle automobiliinquinamento. E così è anche oggi con tanti altri record, positivi e negativi, che continuano a caratterizzare il nostro sviluppo economico, sociale e culturale privi della particolare attenzione degli intellettuali e del sistema mediatico. La crisi della nostra unica e grande industria automobilistica è stata colta solo come fatto di mercato e di qualità del prodotto, e non come punta estrema di un fenomeno che, credo presto, coinvolgerà tutti i Paesi industrializzati. Fenomeno di inflazione di prodotti che, non riguardando ormai più il solo mondo economico e sindacale, dovrebbe incentivare i politici e il mondo della progettazione a correre ai ripari attivando velocemente ricerca scientifica, creatività e immaginazione. E’ evidente, soprattutto nel nostro Paese, che le città, grandi o piccole che siano, non dispongono più di spazi liberi per accogliere nuove vetture e neppure di aria respirabile. Può darsi che gli italiani preferiscano prodotti di altre marche, invece della Fiat, ma poi non nascerà un rifiuto d’acquisto generalizzato dovuto semplicemente alla condizione di immobilità che mezzi mobili per definizione dovranno subire? Un soluzione potrebbe essere quella di contingentare la crescita di numero delle automobili in proporzione agli spazi e parcheggi urbani disponibili e contemporaneamente convincere industrie automobilistiche, architetti e urbanisti a individuare nuove soluzioni di abitabilità e di movimento che consentano il massimo della libertà individuale per spostamenti all’interno delle città senza far rinunciare al possesso famigliare di mezzi privati per i viaggi extraurbani. All’inizio del secolo, proprio per alleggerire l’intasamento malsano degli spazi liberi tra gli edifici dovuto a cavalli, muli e carretti e consentire a tutti di muovesi nelle grandi metropoli, furono realizzati tram e metropolitane. I nostri nonni capirono subito i grandi e pratici vantaggi “puliti” dell’uso dell’energia elettrica invece di quella animale. Ricordiamo sempre l’esempio di Venezia dove i veneziani possiedono una vettura in Piazzale Roma o al Tronchetto e in città si muovono con altri mezzi e soprattutto a piedi. Ed ecco il controsenso tipico nazionale che affiora. Quando per primi, con grande senso di modernità, avremmo l’occasione di poter anticipare soluzioni a una crisi di trasporti urbani che probabilmente presto vedrà altri Paesi impegnati, nello stesso tempo abbiamo un parlamentare, Vittorio Sgarbi (ex vice ministro dei Beni Culturali), dotato di grande intelligenza e cultura estetica, volta soprattutto alle arti figurative, il quale, conoscendo poco di architettura contemporanea e mischiando politica e cultura, terrorizza le amministrazioni comunali che hanno affidato dei progetti di sistemazione urbana ad architetti di grande talento. Interventi arbitrari, al di fuori di ogni dibattito tra esperti, come nel caso di Cosenza, in cui ha contestato la realizzazione di una piazza, che è stata da noi pubblicata (l’Arca 174) e che ha ottenuto anche un premio internazionale, il Dedalo Minosse, dato al sindaco di Cosenza da una giuria internazionale di professionisti affermati. Il trinomio politica, cultura, consenso ha sempre portato a situazioni di conservatorismo becero e impedito. Quando poi è in gioco lo sviluppo urbano delle città, la soluzione dei problemi viene annullata per mancanza di coraggio e immaginazione.

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taly has certainly been at the forefront of artistic, scientific and social progress down the centuries, just as it has certainly been responsible for some of the worst ideas, highlighting a certain sense of contradiction running through the nation. I am thinking of: the Renaissance-Inquisition, Galileo-the Vatican, Democracy-Dictatorship, Rationalism-Postmodernism and carspollution. And the country is still setting the pace, both negatively and positively, in terms of economic, social and cultural growth, without attracting the attention of either intellectuals or the media. The crisis in Italy’s one major car manufacturer has so far been viewed solely in terms of the market and product quality and not as the tip of an iceberg which, quite soon I am sure, will hit all industrialised nations. A phenomenon involving the inflation of products, which no longer merely affects the economy and unions but ought to encourage politicians and the world of design to take suitable action, instantly investing in scientific research, creativity and imagination. It is quite obvious, particularly in Italy, that cities, whatever their size, are not only now lacking in free spaces for new cars, there is not even any fresh air to breathe. May be Italians would rather buy other makes of car instead of Fiats, but won’t this lead to a general refusal to purchase due to a certain widespread immobility that is bound to affect means of transport by definition? One answer might be to gear the number of new cars to the amount of inner-city spaces and urban car parks available and, at the same time, persuade car manufacturers, architects and townplanners to come up with new places to live in and means of moving around that allow maximum individual freedom to get around the city without having to give up on family cars for trips out of town. Trams and underground railways were invented at the beginning of the 20th century to lighten the load on the free spaces between buildings taken up by horses, mules and carts and to let everybody move around big cities. Our grandparents soon realised the great practical “clean” benefits of using electricity rather than animal power. Let’s not forget the example of Venice, where the locals have all a car in Piazzale Roma or the Tronchetto and then use other means of transport to move around the city, mainly on foot. And so those typically Italian contradictions come to light again, as, faced with the chance to be the first to take action to solve the urban transport crisis that will probably soon see other countries involved, a member of Parliament, Vittorio Sgarbi, an intelligent man with a great sense of aesthetic awareness mainly in the figurative arts (former deputy minister of the Arts and Culture) but with little knowledge of modern-day architecture and a tendency to confuse politics with culture, is terrorising local councils commissioning extremely talented architects to carry out urban redevelopment projects. Arbitrary action taken outside the realms of debate between experts, as in the case of Cosenza, whose new square was published in our magazine (l’Arca 174) and also won the prestigious Dedalo Minosse international prize, awarded to the Mayor of Cosenza by an international jury of well-established experts. The combination of politics, culture and popularity has always led to blind and bigoted conservatism, but when the urban development of the city is in play, any solutions to problems are inevitably cancelled out by a lack of courage and imagination.

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di/by Lab[au]

a definizione di una disciplina

a tecnologia basata sulla trasmissione e il calcolo di informazioni influenza i modelli organizzativi (modi di produzione, lavoro e conoscenza), i proL cessi comunicativi (codice, simbolo), le relazioni sociali e la loro spazializzazione. La ricerca nel campo del progetto informatico si fonda dunque sul tema dei recenti progressi tecnologici e su come essi influenzano la definizione del progetto, i suoi metodi e i suoi fini. Una tecnologia non è un oggetto indipendente o alieno, bensì è un complemento integrato al nostro sistema sensoriale e cognitivo; come medium, condiziona non solo i modi della comunicazione ma anche il modo in cui percepiamo ed elaboriamo il nostro ambiente. Gli sviluppi tecnologici degli ultimi decenni sono alla base del passaggio da una società industriale a una post-industriale informatica, in cui il calcolo e le tecnologie della comunicazione stanno ampliando i nostri “sensi”. Le nozioni di corpo, materia, spazio e tempo vengono sempre più definite dall’unità di informazione; infatti, le sue strutture, i suoi processi e sistemi stanno introducendo nuovi parametri di presenza spazio-temporale, come l’immersione (reale/virtuale) e l’interazione (tempo reale/entropia), e nuovi parametri di materialità (nanotecnologie e materiali a memoria intelligente) o biologia (tecnologie genetiche). La fusione di sofisticati materiali e metodologie industriali, come l’ingegneria genetica o il product design (imagineering) con i media digitali lega l’estetica ai materiali viventi – noi compresi – e alle tecnologie informatiche, aprendo un vasto campo d’esplorazione scientifica e artistica con nuovi codici e nuova semantica. Sulla spinta dei progressi tecnologici, i nuovi codici (semantica) e metodi (pratica) appaiono spesso rivelati dal termine usato per definirli, come per esempio la parola “design” venne fuori all’inizio del secolo scorso seguendo il mutamento dalla società pre-industriale a quella industriale. La nascita del concetto di “design” nel Bauhaus e in particolare con El Lissitzky aveva lo scopo dichiarato di dare una qualifica a temi artistici in relazione ai cambiamenti tecnologici e sociali per reintrodurli nel concetto stesso di arte.

“...il significato di tutti i media è l’esperienza dell’utilizzo di queste estensioni del proprio essere. Il significato non è il ‘contenuto’ ma una relazione attiva” (Marshall McLuhan, 1971) De (dall’inglese “to do”=”fare”) sign (dal latino “signare”) significa fare qualcosa e distinguere questa cosa con un segno, conferendole significato. Ma “significare” indica non solo il significato che qualcosa ha per noi, ma anche la nostra intenzione verso questo qualcosa, colmando lo iato tra il regno della tecnica e la definizione degli impegni e delle discipline. Nel caso del Bauhaus, questo amplia la comprensione degli scopi perseguiti nella definizione di nuovi concetti e metodi in relazione ai continui processi sociali e culturali. Ma lo stesso termine “design” si è evoluto, come anche la tecnologia, in design industriale, design dei sistemi ecc. Per quanto questi termini possano non essere esclusivi e per quanto i loro sviluppi e fini possano essere intrecciati, essi mirano comunque alla definizione di discipline con una propria metodologia, in relazione allo stato attuale della tecnologia. 2 l’ARCA 178

Oggi, le tecnologie di calcolo e comunicazione ci offrono un crescente potenziale in termini di mezzi e controllo che in sé porta alla nascita di nuove discipline, metodi e domande. Gli attuali cambiamenti tecnologici e sociali fanno affermare che il prossimo passo è, potenzialmente, la fusione degli emergenti campi disciplinari trans/inter del design informatico in una disciplina nuova. Ma per comprendere a pieno le questioni che ruotano attorno al design informatico si deve prima capire che non si sta parlando solo dell’uso dei computer nel processo progettuale. Si tratta in realtà di progettare i processi in stretta relazione con le specificità dei media a livello sia tecnico che culturale.

ogni informazione digitale grazie ad attributi semantici (hyperlink) e spaziali (indirizzi “ip:”). Nelle tecnologie informatiche, l’interazione tra informazione e utente rivela ancora di più il design di processi o sistemi aperti che integrano l’interazione degli utenti come parte “attiva” nella struttura stessa dell’informazione – come si presenta nell’ipertesto o in altri sistemi multi-lineari. Di conseguenza, nei media digitali è molto più coerente pensare in termini di processi che in termini di prodotti finiti. Ma le tecnologie informatiche, attraverso nuove forme di organizzazione, immagazzinaggio e processo dei dati sono l’espressione di nuove forme di significato come il pensiero processuale e reticolare.

Meta, il design dei codici e dei processi Nelson descrive l’ipertesto in questi termini: un concetto unificato di idee e dati interconnessi e il modo in cui tali idee e dati possono essere editati sullo schermo di un computer. Come ogni sistema di comunicazione, le tecnologie IC determinano un canale di trasmissione (segnale, mezzo), un messaggio e un codice, ma la loro proprietà peculiare è di operare, su ogni tipo di informazione, una riduzione a forma sequenziale di informazioni elementari codificate in linguaggio binario, 1/0 o bit/secondo. Questa riduzione a un’unità di base comune, il segnale binario, è una condizione necessaria a qualsiasi processo informatico – calcolo, formalizzazione, editing, archiviazione, comunicazione, trasmissione. Questi processi comprendono una manipolazione attiva dei dati attraverso codici in informazione, che può così essere espressa

Dall’Architettura al Meta.Design Una biblioteca pubblica è un luogo per accedere alle informazioni – rappresenta la conoscenza, un valore umano – nelle reti noi rappresentiamo conoscenza accessibile – una conoscenza condivisa, un valore informatico. L’architettura e l’urbanistica sono discipline strutturali e funzionali coinvolte nell’organizzazione spaziale e temporale di... strutture sociali, economiche, politiche, attraverso le quali esse costituiscono anche un sistema semantico di segni e codici. Tutti questi aspetti le definiscono come discipline organizzative che processano, analizzano e strutturano dei dati dotandoli in tal modo di significato specifico. Sono discipline basate su metodi di astrazione e formalizzazione di sistemi spazio-temporali che colmano il vuoto tra livelli di significato “concreti” e manifesti e quelli “astratti” impliciti. Per esempio, il processo di concezione e realizzazione di una forma (edificio) in relazione alle sue funzioni o l’organizzazione di un flusso infrastrutturale, segnaletica e strutture urbane, può far comprendere la complessità tra strutture, sistemi – segno e linguaggio. I flussi di informazione nel processo di calcolo, comunicazione e immagazzinaggio sono forme spaziali e temporali di organizzazioni di dati basate su sistemi e unità semantiche, su linguaggi che ne migliorano la funzionalità e la rappresentazione. Perciò, si può trarre una serie di relazioni tra la pratica e i metodi dell’architettura e quelli del design informatico nella strutturazione e visualizzazione delle informazioni – avviene nello sviluppo di cartografie, diagrammi, mappe, interfaccia grafici per gli utenti e interfaccia hardware come nello sviluppo delle stesse costruzioni spaziali quali le reti e lo spazio elettronico. La comparazione tra modi di comunicazione, strutture (indicizzazione+collegamento) e processi (calcolo+comunicazione) e costruzioni spaziali (architettura e urbanistica) è dunque basata sui principi organizzativi che legano un alto livello di astrazione a specifiche modalità di percezione e cognizione nella costruzione del livello significato-semantica. Il “Meta.Design” porta così alla luce il tema di nuove costruzioni spaziali relative a nuovi flussi e strutture sociali, culturali e spaziali in quanto opera

[dati<> linguaggio/codice <> informazione] Ogni informazione è basata su uno schema (una combinazione strutturata) leggibile e trasmettibile dopo un trattamento di codifica/decodifica ma sempre subordinato a un processo di calcolo: un flusso di dati binari. In tal modo è il medium, attraverso i suoi processi intrinseci, a unificare l’informazione a livello sia strutturale sia semantico. Inoltre, il processo di codifica/decodifica binaria è anche un fattore di trasmissibilità (qualsiasi tipo di informazione usa lo stesso supporto e passa dallo stesso canale). Così, le tecnologie informatiche determinano lo spazio dell’informazione, la rete, come un congegno di trasmissione, tessendo interconnessioni temporali, uno spazio composto e decomposto dai dati e dai flussi che lo trasportano. Essendo la nozione di flusso necessariamente subordinata allo spazio e al tempo, l’informazione può dunque essere descritta come un sistema spazio-temporale il cui stato dinamico è il risultato di processi – ciò definisce l’apparenza di ogni informazione come uno stato temporaneo; è la trasposizione di una “FORMA” stabile in “inFORMAzione”. L’attuale dibattito sul potere del computer aumenta la complessità dei sistemi di codici e segni e sottolinea, allo stesso tempo, un passaggio storico dalle strutture ipertestuali a quelle ipermediali. In realtà, l’ipermedia è la descrizione programmatica della struttura spaziale e temporale tra i dati e qualsiasi tipo di informazione. In breve: ogni informazione ha bisogno di informazione per essere processata – è il meta-livello dell’informazione che descrive le strutture, i processi e i codici – è il passaggio da dati in sequenza grezza a un’informazione strutturata accessibile e leggibile. In filosofia o nelle scienze umanistiche, “meta” significa “ciò che va oltre o ciò che è più comprensivo o fondamentale”. Nella scienza dei computer, “meta” è un prefisso comune che significa “su/riguardante”. Per esempio, “metadata” è il un dato che descrive un altro dato (un dato su un dato). Si potrebbe descrivere una programmazione al computer come un meta-linguaggio per interagire col computer. In generale, parlare di “meta” definisce la semantica del valore dei dati e anche i dati necessari a costruire una qualsiasi rappresentazione. Di conseguenza, la tecnologia porta non solo contenuto, ma anche, attraverso i suoi codici e strutture, un significato specifico. Questo significato specifico è descritto dalla “meta-informazione” che definisce una relazione tra tecnologia, struttura, segno e contenuto. Queste considerazioni sulle specificità delle tecnologie informatiche dimostrano che per quanto riguarda il design bisogna veramente progettare il meta-livello, cioè i codici con cui l’informazione sarà processata dal punto di vista tecnico e rappresentazionale. Questa specificità delle tecnologie digitali fa emergere nuove metodologie di design; rivela l’integrazione del tempo come parametro aperto e attivo in ogni forma di produzione digitale, diventando così esso stesso un processo e un sistema. E’ la concezione di una struttura temporale e spaziale aperta e programmabile, come per esempio quella dell’ipertesto, che, essendo un sistema di indicizzazione, permette di interconnettere in modi multi-lineari

al livello del linguaggio. In questo modo il “Meta.Design” può essere definito come una pratica radicata nella logica intrinseca delle tecnologie di calcolo e comunicazione con capacità di visualizzazione e formalizzazione dei processi inFORMAtivi in rappresentazioni testuali, grafiche, spaziali e multi-dimensionali. Per riassumere, il Meta.Design tratta della definizione e combinazione di codici/linguaggi propri delle scienze della comunicazione e dell’informazione (scienze cognitive), con quelli propri dei metodi di processo, progetto e costruzione (architettura). META| DE| sign - Quando i concetti diventano metodi e processi “L’estetica comincia come schema di riconoscimento”. (Friederich Kittler, Literature, Media, Information Systems, 1997, p.130) Le tecnologie danno forma a nuove strutture semantiche nella comprensione comune delle informazioni, dei loro processi e sistemi - schemi. Il Meta.Design si occupa quindi dei nuovi “sensi” come compenenti del linguaggio, aumentando le nostre capacità cognitive che influenzano lo stato psichico (coscienza), il nostro comportamento emotivo e sociale e in tal modo comprende tanto il progetto individuale quanto quello collettivo. Di conseguenza, nel campo dei nuovi media, è importante capire la relazione che si è stabilita tra la percezione (l’uso dei sensi), il riconoscimento, la comprensione e la rappresentazione (l’estrazione del senso/significato), e l’azione che ne risulta (la produzione di senso/significato). La relazione può essere definita come “dal senso (esthésis) al senso (sémiosis)” – concentrandosi sull’esplorazione delle capacità percettive e cognitive (estrazione di significato) – tra il percettivo e il concettuale, l’analogico e il digitale. Nella determinazione di una disciplina, il Meta.Design è volto alla definizione di segni e codici basati su schemi di riconoscimento tesi definire un approccio intersoggettivo nel campo del lavoro e della pratica artistica, capaci di quantificare e sistematizzare le metodologie e di provare la trasferibilità della propria teoria. Tratta dell’estetica come caratteristica strutturante della conoscenza e della cultura col fine di costruire connettività ed efficienza, un meta-linguaggio.

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eta.Design

echnology based on the transmission and computation of information T influences organization models (modes of production, work and knowledge) and affects the communication process (code, symbol) and the social relations as well as their spatialisation. The investigation in information design is thus based on the question of the recent technological progress and how it influences the definition of design, its methods and purposes. A technology is not an independent or alien object, it complements integrally our sensorial and cognitive system; as a medium, it conditions not only communication modes but also the way we perceive and conceive our environment. The technological developments of the last decades are at the base of the shift from industrial to post-industrial information society, where computation and communication technologies extend our very ‘senses’. The notions of body, matter, space and time are increasingly defined by the unit of information; its structures, processes and systems introducing new parameters of space and time - presence, such as immersion (real/virtual) and interaction (real-time/entropy) as well as new parameters of materiality (nano-technologies and smart memory materials) or biological (gene technologies) ones in its definition. The fusing of sophisticated industrial production methodologies and materials, as genetic engineering, product design (imagineering)...with digital media binds together aesthetics with living materials - us included - and information technologies, opening a huge scientific and artistic field of exploration for new cultural codes and semantics. Triggered by technological advances, new codes (semantics) and methods (practice) appear often revealed by the term that is used to qualify them, as for example the word ‘design’ came up in the beginning of the last century according to the shift of pre-industrial to industrial society ...> 1. The emergence of the concept of ‘design’ around the Bauhaus and particularly El Lissitzky had the intended purpose of qualifying artistic concerns in relation to the technological and social changes in order to reintroduce them in the concept of art itself.

“...the meaning of all media is the experience of using these extensions of yourself. Meaning is not ‘content’ but an active relationship” (1971 Marshall McLuhan) De(to do)sign(from Latin signare) means making something and distinguishing it by a sign, giving it significance. But ‘meaning’ indicates not only the significance of something to us, but also our intention toward it, bridging the gap between the technical realm and the setting of engagements, disciplines. In the case of the Bauhaus this enlarges the understanding of the aims pursued in the definition of new concepts and methods in relation to the ongoing social and cultural processes. But the term of design itself has evolved, as technology did, to industrial design, system design etc. As non-exclusive these terms can be and as interwoven the developments and purposes are, they still target at the definition of disciplines with their own methodology, in relation to the actual technological state. Nowadays computation and communication technologies provide us with an incremental potential in terms of tools and control which itself leads to the raise of new disciplines, methods and questions. The current technological and social changes argue that merging the growing trans/inter disciplinary fields of information design into a new discipline is potentially the next step. But to fully understand the questions around information design one has first to understand that it is not only about the use of computers in the design process. It is actually designing the processes in close relation to the specificities of the media and this on both the technical and the cultural levels. Meta, the design of codes and processes Nelson describes the hypertext in these terms: it is about a unified concept of ideas and inter-connected data, and the ways in which these ideas and these data can be edited on a computer screen. As every communication system, IC technologies determine a transmission channel (signal, medium), a messa4 l’ARCA 178

ge and a code, but their very own property is to operate on any kind of information a reduction in a sequential form of elementary information coded in a binary language, 0/1 or bit/second. This reduction to a basic and common unit, the binary signal, is a necessary condition of any information processes, computation - formalization, editing - storage, communication - transmission. These processes include actively the manipulation of data through codes into information, which could be expressed like: [Data < > language/code < > information] Any information is based on a pattern (a structured combination) legible and transmissible after coding/decoding treatment but always subordinate to a computation process; a binary data flow. In this manner it is the medium through its inherent processes that unifies information as well on the structural level as on the semantic one. Furthermore the process of binary encoding/decoding is also a factor of transmissibility (any type of information using the same support passing through the same channels). In this manner, Information technologies determine the information space, the network, as a transmission device, weaving temporal interconnections, a space composed and decomposed by data and the flows, which transport it. The notion of flow being necessarily subordinated to space and time, information thus can be described as a spatial-temporal system which dynamic state is the result of processes - it defines the appearance of any information as a temporarily state; it is the transposition of all stable ‘ FORM ‘ in ‘ InFORMation ‘. The ongoing augmentation in computational power increases the complexity of codes and signs systems and underlines at the same time an historic passage from hypertextual structures to hypermedia ones. Factually Hypermedia is about the programmatic description of the spatial and temporal structure between data and any kind of information. In short: each information needs information in order to be processed - it is the Meta-level of information describing the structures, the processes and the codes - it is the passage

From Architecture to Meta. Design A public library is a place to access information - it represents knowledge, a humanist value - in networks we represent knowledge to be accessed - it represent shared knowledge, - an informational value. Architecture and Urbanism are structural and functional disciplines involved in the spatial and temporal organization of social, economic, political...structures through which they also constitute a semantic system of signs and codes. All these aspects define them as organizational disciplines that process, analyse and structure data while improving it with a specific significance - meaning. As disciplines they are based on methods of abstraction and formalization of spatio-temporal systems that bridge the gap between the denoted, ‘concrete’ levels of meaning, and the connoted, ‘abstract’ ones. For example the process of conception and realisation of a form (building) in relation to its functions or the organisation of infrastructural flows, signaletics and urban structures, already give an understanding of the complexity between structures, systems - sign and language. Information flows in its processes of computation, communication and storage are spatial and temporal forms of organisations of data based on semantic units and systems, language while improving them with functionality and representation. Therefore a series of relations can be drawn between the practice and methods of architecture and information design in the structuring and visualization of information - like it is present in the development of cartographies, diagrams and maps, graphical user interfaces and hardware interfaces as in the development of the spatial construct itself, like networks and electronic space. The comparison between communication modes, its structures (indexing + linking) and processes (computation + communication) and spatial constructs (architecture and urbanism) is thus based on its organizational principles binding high level of abstraction within specific modalities of perception and cognition in the construct of meaning - semantic level. ‘MetaDesign’ thus displays the theme of new space constructs relative to new social, cultural, spatial structures and flows as much as it operates on the level of language. In this manner Metadesign, can be defined as a practice grounded on the inherent logics of computation and communication technologies in the visualisation and formalisation of inFORMation processes in textual, graphical, spatial and multi-dimensional representations. In summary, MetaDesign is about the setting of codes / language drawn from concepts of communication and information sciences - cognitive science with that of process methods, design and spatial constructs - architecture.

META|DE|sign - when concepts turn into methods and processes “Aesthetics begins as patterns of recognition.” Friedrich Kittler in Literature, media, information systems, (1997 page 130). Technologies shape new semantic structures in the common understanding of information its processes and systems - patterns. MetaDesign thus deals with new ‘senses’ as components of language, while augmenting our cognitive capacities that influence our psychic state (consciousness), our emotional and social behaviour and thus participate as much in the individual project as to the collective. Consequently, in the field of new medias, it is important to understand the relation that is established between perception (the use of senses), recognition, comprehension and the representation (the extraction of sense/meaning), and the action that results from it (production of sense/meaning). This relation can be defined as ‘ from sense (esthésis) to sense (sémiosis) - focusing on the exploration of the perceptive and cognitive (meaning extraction) capacities (abilities) between the perceptual and conceptual, the analogue and the digital. In the determination of a discipline, MetaDesign focuses on the setting of sign and codes based on patterns of recognition in order to define an intersubjective approach in the field of artistic work and practice, able to quantify and systematize its methodologies and to prove the transferability of its theory. It is about aesthetics as a structuring feature of knowledge and culture in order to build up connectivity and efficiency, a meta-language.

from rough sequenced data to structured accessible and legible information. In Philosophy or Human Sciences, Meta means, ‘what goes beyond or what is more comprehensive or fundamental’. In Computer Science, Meta is a common prefix that means ‘about’. For example, metadata is data that describes other data (data about data). One could describe any computer programming as a meta-language for interacting with a computer. Generally speaking ‘meta’ defines the semantics of the data value, as well as the data needed to build any kind of representation. In consequence technology delivers not only content but also through its codes and structures, a specific meaning. This specific meaning is described by the ‘meta information’ defining a relation between technology, structure, sign and content. These considerations and specificities of Information technologies show that as far as design is concerned, one has actually to design the meta-level, i.e. the codes the information will be processed both in technical and representational aspects. This specificity of digital technologies brings up new design methodologies; it reveals the integration of time as an active and open parameter in any form of digital production - becoming a process and system itself. It is the conception of an open - programmable temporal and spatial structure like for example the one of the hypertext, which as an indexing system allows to interconnect in multi-linear ways any digital information due to semantic (hyperlink) and spatial (ip:adress) attributes. In Information technologies the interaction between information and a user even more reveals the design of open processes or systems which integrate the users interaction as an ‘active’ part in the structure of information itself - as it is present in the hypertext or other multi-linear systems. In consequence in digital media it is far more coherent to think in term of process rather than in term of finished products. But information technologies through new forms of organising, storing and processing data are the expression of new forms of meaning like processual and reticular thought. l’ARCA 178 5


ella rigogliosa Sassonia di Carlo Magno, esattamente a N Bitterfeld, l’architetto tedesco

bringing together various schools of architectural design. Yet it is not clear, as regards certain aspects of the Bitterfeld Technical Institute, where Rainer Scholl places these levels of existence within the overall design: in empirical reality or beyond it? One thing for sure is that the event in question is not just an object at the mercy of the changing nature of its site location. On the contrary it governs its surroundings to rise to the level of an exemplary work of architecture. This is architectural metempsychosis, the death of a language of the past which is really just a melting of bonds, although it is true to say that no past style or historical model ever really dies: the combinations and complexities just change all the time. Scholl is worried about finding ethical order, justice instead of chance, within that circle that forces architects to relate to constantly varying styles: in this respect it is all rather reminiscent of the karma in Eastern religions or, in other words, the weight of past works and styles of architecture that cause reincarnation and pain. This is really proof of Giordano Bruno’s naturalistic philosophy with its practical view of magic and, in this particular case, shows that architecture can sense all the bonds between different architectural expressions. So just what is the basic goal of Rainer Scholl’s thinking, other than to design his architecture along perfectly rationalist lines? The Bitterfeld Technical Institute is an event of truly poetic imagination and sophistication shot, through with dynamism: on one hand it strives to create an onthologically coherent framework, on the other it strives to move beyond the laws of nature, weaving the vigour of intellect into the infinite creative force of imagination. It seems to be looking for an inner pathway capable of overcoming man’s inherent limitations, turning a finite human endeavour into an experience of the infinite truth of architecture. All this is rather reminiscent of the doctrines of Avicenna about the eternal nature of matter and uniqueness of the active intellect, denying that any God can know all the details. Glass, transparent blades, the stylistic subtlety of columns, a plan inspired by the agricultural threshing-floor and the composite surfaces of facades give this work of architecture its own place in the constantly evolving history of architectural design.

Rainer Scholl realizza un Istituto Tecnico, aggiudicandosi l’incarico della progettazione attraverso un Concorso Internazionale del 1996. L’edificio è situato nella zona delle industrie chimiche ed è adiacente allo storico Palazzo della Cultura, costruito nel 1953. In questo intorno e con il desiderio di generare un edificio in grado di immergersi in questo contesto naturale e industriale, rispettando una rigorosa economia edificatoria, lo studio Scholl Architekten concretizza l’evento con razionalità e trasparenza, identificandolo con un segno forte di contemporaneità razionalista. Non sembrerebbe necessario aggiungere altro, ma c’è una componente nell’equilibrio del progetto che impone un particolare approfondimento. La sua determinata linguistica razionalista sembrerebbe essere scontata in un’assonanza di linee e di forme in grado di non generare dubbi sulla sua compostezza progettuale. Il segreto rimane nel metodo, cioè nella sequenza razionale con cui Scholl compone l’architettura, esprimendo un profondo atto di fede al razionalismo lecorbusieriano. In fondo le regole del grande maestro sono state, per lungo tempo, il dettato della forma architettonica che ha avviato la nostra modernità ma, in questo lavoro, sembrerebbe più forte il desiderio di usare una specifica metodologia progettuale, piuttosto che una linguistica tout-court. L’Istituto Tecnico di Scholl, espresso secondo le sue regole di funzionalità e supportato da un grande desiderio di luminosità, si predispone a captare il tempo della luce a costi molto bassi, data la sua essenzialità. Ma ciò non basta a nascondere il desiderio di Scholl di esprimere la sua visione ontologica del luogo. Sembra che il progettista voglia affermare che il topos sia un organismo vivente, dove la materia è in continuo mutamento ed è così destinata a sconvolgere ogni ordine e gerarchia. E’ in questo modo che l’architetto padroneggia sulla natura attraverso i suoi progetti e, nello stesso tempo, determina il proprio destino: attraverso un aspro e lungo processo d’innovazione. Il progettista attento si sottrae, così, alla condizione della ripetitività, diventa sapiente o eroe, insomma raggiunge il più alto livello a lui consentito per diventare, in quanto genera, simile agli dèi, ma non a Dio. Insomma il principio spirituale che si muove nell’intimo della materia diventa la forza vitale che può abbattere le gerarchie e mette-

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re in comunicazione le diverse correnti di pensiero progettuale. Rimane non chiaro, per alcuni punti dell’Istituto Tecnico di Bitterfeld, dove Rainer Scholl collochi questi piani dell’esistenza del suo progetto, se nella realtà empirica oppure oltre. Fatto certo è che l’evento generato non è un oggetto in balia della natura mutante del luogo, ma riesce a governarla per elevarsi ad esempio architettonico. E’ la metempsicosi dell’architettura, è la morte di un lessico ormai trascorso che non è altro che una dissoluzione di legami, pur ammettendo che nessuno stile passato o nessun modello storico perisce: c’è solo un continuo mutare di complessioni e di combinazioni. Scholl si preoccupa, però, di individuare un ordine etico, la giustizia al posto del caso, proprio in quell’interno del ciclo che spinge gli architetti a relazionarsi a stili sempre diversi: in ciò è affine al karma delle religioni orientali, cioè al peso delle espressioni delle architetture precedenti, che determinano la reincarnazione e il dolore. Insomma, esce qui la conferma della filosofia naturalistica del pensiero di Giordano Bruno, dove vi è una visione pratica della magia e, come in questo caso, si dimostra che l’architettura può istituire innumerevoli legami fra le diverse espressioni architettoniche. Ma quale è lo scopo di fondo del pensiero espresso da Rainer Scholl, oltre a quello di vincolare l’espressione architettonica del suo progetto a un segno perfettamente razionalista? L’Istituto Tecnico di Bitterfeld diventa un evento di particolare sofisticazione poetica e immaginativa, percorsa da una fortissima tensione: da un lato vuol definire un quadro ontologico coerente, dall’altro una praxis che persegua un risultato fuori dalle leggi della natura, intrecciando il vigore dell’intelletto all’infinita forza creatrice dell’immaginazione. Sembra voglia individuare un itinerario interiore in grado di riscattare la limitatezza dell’uomo, trasformando una vicenda umana finita in un’esperienza dell’infinita verità dell’architettura. Tutto ciò sembra ricordare anche le dottrine di Avicenna sull’eternità della materia e sull’unicità dell’intelletto agente che pongono la negazione della conoscenza dei particolari da parte di un qualunque Dio. Il vetro, le lamelle trasparenti, la sottigliezza espressiva dei pilastri, la pianta ispirata alla storica aia agricola, le composte superfici delle facciate segnano questa architettura assegnandole una posizione di affaccio sul continuo percorso evolutivo del progetto architettonico. Mario Antonio Arnaboldi

ere in the luxuriant Saxony of Charlemagne, more specifiH cally in Bitterfeld, the German architect Rainer Scholl has designed a Technical Institute after winning an international design competition held back in 1996. The building, seen as part of the Sachsen-Anhalt region’s architectural contribution to Expo 2000, is located in the industrial area where all the chemical industries are located, next to the old Arts House built in 1953. In this peculiar setting, Scholl Architekten set out to design a building merging into both the natural and industrial context with absolute building economy. The net result is a powerful landmark to modern-day rationalism designed with great transparency. There would seem to be no need to add anything else, but there is actually an aspect of the overall design balance that ought to be explored in greater depth. His distinctly rationalist idiom seems to be a rather obvious assonance of lines and forms leaving no doubt as to the overall composure of the design. The secret lies in the method, viz., in the rational sequence in which Scholl constructs his architecture, expressing deep faith in Le Corbusier-style rationalism. After all, the great master’s rules were the very dictates of architectural form for a long time, marking the very onset of modernity. But this work seems to express a desire to draw more on a special method of design rather than just a stylistic vocabulary. Scholl’s Technical Institute, designed along the lines of functionalism and backed-up by an ardent desire for brightness and light, sets out to capture light in time at decidedly low costs, thanks mainly to its simplicity. But this does not hide Scholl’s desire to express his own ontological vision of the setting. It is as if our architect were trying to make topos a living organism in which matter is in a constant state of flux and hence destined to shake up all sense of hierarchy and order. This is how Scholl masters nature in his designs and, at the same time, determines his own fate: through a long and complicated process of innovation. With careful acumen, he avoids repetition and shows wisdom or even heroism; in a word he reaches the highest levels possible, so as to turn (in his own way) into a sort of god but not God. It might be said that the spiritual principle moving through the very heart of matter turns into the vital force capable of breaking down boundaries and

Roland Halbe

Un atto di fede Technical Institute, Bitterfeld

Progetto: Scholl Architekten

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■ Sopra,

pianta del piano terra e, in alto, pianta del secondo piano dell’Istituto Tecnico August von Perseval di Bitterfeld. A destra, , vista del cortile interno dal porticato.

■ Above,

ground-floor plan and, top, plan of the second floor of the August von Perseval Technical Institute in Bitterfeld. Right, view of the in inside courtyard from the portico. ■ In

alto a sinistra, schemi per lo sfruttamento dell’energia e della ventilazione naturale in estate e inverno nell’ala nord e, a destra, nell’ala sud. Sopra, vista della facciata monumentale in cemento armato del nuovo Istituto con la facciata dell’adiacente Palazzo della Cultura realizzato nel 1953 e sezione longitudinale. A destra, sezioni della facciata sud con i frangisole e i collettori solari.

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■ Top,

left, diagrams for exploiting energy and natural ventilation in summer and winter in the north wing and, right, south wing. Above, view of the new institute’s monumental reinforced concrete façade and the façade of the neighbouring Palace for the Arts built in 1953 and longitudinal section. Right, sections of the south facade showing the sunscreens and solar collectors.

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■ In

alto, particolare del porticato e, sopra, vista aerea del grande cortile interno su cui si affacciano le tre stecche vetrate che contengono le aule e gli uffici scolastici.

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■ Top,

detail of the portico and, above, aerial view of the large internal courtyard leading to the three glass blocks holding the classrooms and school offices.

■ In

alto, vista della facciata sud che segna l’ingresso al complesso scolastico; sopra, particolare di una delle facciate che con 800 mq di lastre di vetro laminato con collettori solari consentono di catturare,

immagazzinare e riutilizzare l’energia solare. Grazie a scambiatori di calore, inoltre, si può recuperare il 70% dell’energia proveniente dall’aria esausta.

■ Top,

view of the south façade marking the entrance to the school facility: above, detail of one of the facades featuring 800 square metres of laminated glass panels with solar collectors to capture and

store away solar energy. Thanks to heat exchangers, 70% of the energy from used air can also be recovered.

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■ In

queste pagine, viste degli interni della scuola che, grazie alla disposizione intorno al cortile e alle ampie porzioni vetrate, mantengono un forte rapporto con l’ambiente esterno.

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■ These

pages, views of the school interiors which, thanks to the layout around the courtyard and wide sections of glass, maintain close bonds with the outside environment.

Credits Project: Scholl architekten: Scholl, Balbach, Kappei, Walker Project design: Rainer choll Project Team: Wolfgang Balbach (project architect), Michael Walker (façade), Christine Kappei (south, north, west wing), Sandra Schmidt (costs),

Gudrun Ahrens, Christoph Bohsung, Thomas Huber, Sonja Kessler, Michael Martin, Illona Niebel, Nils Roscher Structural Engineering: A.Hempel, Pinkert und Richter Mechanical Engineering: Ebert-ingenieure, Ingenieurbüro Thilo Schmidt, Ingenieurbüro Höhne & Schreckenberger

Fire Consultant: Schreiner & Leonhardt, Ibb ing.-büro f. brand- und explosionsschutz Cladding Consultant: Pbi-planungsbüro für innovative fassadentechnik Client: Landkreis Bitterfeld

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e periferie delle nostre città sono popolate di scatoloni di lamiera L metallica, che vengono periodicamen-

means of moving parcels, and automatic stacking procedures are all visible. Logistics as a spectacle of work in action. Erco’s aim to show itself off is clear: if we can actually make something as arid as moving goods around an industrial plant spectacular, just imagine what we can do with our lights in a theatre or museum! And the glass box really does make light the star attraction: a sign of disconcerting minimal simplicity through which the architects Schneider + Schumacher represent their artistry based on “pragmatic poetry”, “structural clarity”, “seriousness in meeting their design goals”, and “joy in perfect detailing”. All of which is very “architecturally correct”, highly responsible and very pure without conceding anything to decorative weaknesses or deconstructive contorsions. But there is also room for artistry: the sheets of glass are rhythmically patterned by the lighting designer Uwe Belzner, who has staged a sort of installation devoted to the new fetish of modern times, the bar code. The florescent lamps behind the façade light up rhythmically to create an alternating combination of constantly twinkling vertical lines, solids and empty spaces. This represents the disturbing presence in everyday life of this symbol for identifying all kinds of goods (so when will it actually be tattooed on human beings?). Belzner brings light and life to the counterbalance between the movement of goods on the inside and luminous “tattoo” on the building skin. But the light does not stop there and actually invades outside spaces to create a night-time “light park”. It flows over the outside surfaces, redesigns the usual daytime paths and alters the geometric pattern of trees, facades, pathways and shrubs. By the way: the nightscape is an extremely important theme in all major cities, and lighting industries are to the very forefront in the competition to redesign the night-time face of our cities. In any case, this building tells us all about the different facets of light in architecture, light as a global material in which everything - human and natural constructions, architecture and goods, people and things - turns into a spectacular show.

te visitati da grandi autoarticolati. Questi veicoli caricano o scaricano merci, perlopiù ingombranti, poi si mettono in viaggio lungo autostrade interminabili per raggiungere altri depositi, altri centri di interscambio, altre fabbriche, insomma altri scatoloni dove altre merci vengono scambiate, trasportate, pagate. Tutto questo fluire delle merci è alla base di un sistema produttivo dove il deposito di logistica rappresenta uno snodo importante. L’automazione, l’efficienza e la funzionalità sono requisiti di base per simili manufatti. In effetti la maggior parte dei nostri scatoloni “funziona”, ma questi rappresentano occasioni sprecate per l’architettura; oppure nel migliore dei casi si tratta di semplici pareti utilizzate per una comunicazione pubblicitaria lungo le autostrade. Siamo nella tipica situazione dei “non-luoghi”, grandi ricettacoli di flussi, snodi vitali per l’economia, ma privi di identità e di valenze visive. Allora come fare in modo che questo tema di architettura divenga “evento”, divenga “luogo riconoscibile”? Molto dipende dalla qualità del committente, da una cultura di impresa che capisca il valore dell’architettura come strumento di rappresentazione. La Erco Lighting è un committente di questo tipo. Vendendo “luce, non lampade”, come recita la mission aziendale, è naturale e conseguente voler costruire per sé “un’architettura, non solo un edificio”. Quindi l’azienda di Luedenscheid, dovendo provvedere a una propria sede logistica P3, in aggiunta alle sedi produttive P1 e P2, si è affidata a uno studio importante quale Schneider+ Schumacher di Francoforte. In questo edificio domina la materia primaria, la luce e la visibilità, la trasparenza, sono tutto. Invece delle solite lamiere, troviamo vetro dappertutto, un’unica scatola luminosa che segue il pendio e diventa una vera e propria “fabbrica di luce”, visibile a miglia di distanza. L’intenzione è di ribaltare il segno funzionale e produttivo in qualcosa che somigli a una “scultura di luce”. Il movimento delle macchine, il meccanismo dei movimento dei pacchi, l’accatastamento automatico, tutto è visibile. Logistica come spet-

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tacolo del lavoro. La sfida auto-rappresentativa della Erco è chiara: se riusciamo a rendere spettacolare qualcosa di così arido come il movimento delle merci dentro un fabbricato industriale, figuriamoci cosa possiamo fare con le nostre luci in un teatro o in un museo! E in effetti la scatola vetrata rende protagonista la presenza della luce: un segno di una semplicità minimale disarmante, dove Schneider + Schumacher rappresentano la loro poetica, basata su “poesia pragmatica”, “chiarezza strutturale”, “serietà nell’adempiere al tema progettuale”, e “gioia nel perfetto dettaglio”. Tutto molto “architecturally correct”, molto responsabile, molto puro, senza concessioni a debolezze decorative o a contorsioni decostruttive. Ma non si rinuncia al contributo dell’arte : le lastre vetrate sono solcate ritmicamente dall’intervento di Uwe Belzner, lighting designer che ha messo in scena una sorta di installazione dedicata al nuovo feticcio contemporaneo, che è il codice a barre. Le lampade fluorescenti dietro la facciata si illuminano ritmicamente e danno questo effetto di alternanza tra linee verticali, pieni e vuoti sempre cangianti. Così si rappresenta l’inquietante presenza nella vita quotidiana di questo simbolo di identificazione di ogni tipo di merce (a quando verrà tatuato anche sugli umani?). Il gioco di Belzner rende gioioso e vitale il contrappunto tra movimento delle merci all’interno e il “tatuaggio” luminoso della pelle dell’edificio. Ma la luce non si ferma e invade anche gli spazi esterni, creando il “light park” notturno. Si spande sui percorsi esterni, ridisegna i tratti usuali del giorno, modificando le geometrie degli alberi, delle facciate, dei camminamenti, del sottobosco. Tra parentesi: il nightscape è un tema di grandissima importanza in tutte le grandi metropoli e le industrie della luce sono in primo piano nella competizione per ridisegnare il volto notturno delle città. Comunque sia: questa costruzione ci parla dei molti volti della luce nell’architettura, luce come materia globale, in cui tutto, costruzione umana e natura, architettura e merci, persone e cose, tutto diventa spettacolo e visione. Stefano Pavarini

ur cities’ suburbs are full of large metal boxes that are occasionalO ly visited by huge articulated lorries. These vehicles load and unload more or less bulky goods before setting off on journeys along motorways that stretch on for ever until they reach other warehouses, exchange points and factories or, in other words, more big boxes where goods are exchanged, transported and paid for. This entire flow of goods underscores a production system. Its efficiency is measured in terms of its capacity to make goods available as quickly as possible on the markets where they are in demand. A logistics deposit is an important node in the system. An exchange point that owes everything to its location near important roadways. Automation and functionality are basic requisites for constructions like this. Most of our big boxes do actually “work”, but they are still wasted architectural opportunities; or, in the best of cases, they are nothing but plain walls used for advertising purposes along motorways. This is a classic case of “non-places”, huge receptacles for flows, vital hubs of the economy lacking any real identity or visual force. So how can we make this kind of architecture into an “event” or “recognisable place”? A lot depends on the client’s standards, a business awareness of architecture’s value as a means of representation. Erco Lighting is this kind of client. Selling “light, not lamps”, as the company mission states, is a natural consequence of trying to build “architecture, not just a construction”. When this firm based in Luedenscheid decided to build its P3 logistical headquarters to support its P1 and P2 manufacturing plants, it commissioned an important firm like Schnedider+Schumacher from Frankfurt to carry out the work. The raw materials of light, visibility and transparency are everything here. Instead of the usual sheet iron, we have got glass everywhere; one single luminous box following the slope in the land and turning into a real “factory of light” that can be seen from miles away. The idea is to turn a functional/production sign into something more like a “sculpture in light”. The movement of machinery, the

Credits Project: Schneider+Schumacher Light Designer: Uwe Belzner Logistic Concept and Work Supervision: Ves Planungsgesellschaft fü Transport- und Lagersysteme Supporting Framework

Design: Possel Consult Planungsgesellschaft Landscape Gardening: Bernhard Korte Client: Erco Leuchten GmbH

■ Particolare

della facciata/scultura luminosa che caratterizza il nuovo magazzino automatizzato P3 della Erco, realizzato a Ludenscheid e collegato agli esistenti impianti produttivi P1 eP2 da ponti sospesi.

■ Detail

of the facade/lightsculpture characterizing the new P3 Erco automated ware house, realized of Ludenscheid and linked to the existing P1 and P2 production plants through unsupported bridges.

Jörg Hempel Photodesign/www.erco.com

La luce come contenitore Erco Warehouse P3

Progetto: Schneider+Schumacher / light designer Uwe Belzner

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Sotto, vista generale diurna della facciata nord del nuovo edificio di logistica P3 della Erco realizzato a Lüdenscheid. Sopra, la facciata mediatica con le sequenza di segnali luminosi blu-verdi,

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disegnati da Uwe Belzner, basati sul tema dei processi logistici che si svolgono all’interno del magazzino e che riprendono l’immagine dei codici a barre che identificano i prodotti e i pacchi.

Below, general daytime view of the north façade of Erco’s new P3 logistics building in Lüdenscheid. Above, the mediatic façade showing the sequences of brightly-lit blue-green signs designed by Uwe Belzner based on

the theme of logistic processes carried out inside the warehouse. They are actually inspired by the bar codes identifying goods and packages.

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Viste dell’edificio lungo 73 m e alto 23 m. Le facciate longitudinali sono realizzate con lastre di vetro sviluppate appositamente per questo progetto che, insieme al gioco di luci, rendono l’edificio un’opera d’arte luminosa a scala industriale. Questo magazzino automatizzato ha una capacità di 7.000 pallets con sei gru completamente automatiche per lo stoccaggio delle merci. A sinistra, pianta; sopra, sezione trasversale e sezione longitudinale.

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Views of the building which is 73 metres long and 23 metres tall. The longitudinal facades are made of sheets of glass specially designed for this project, which, together with lighting effects, make the building an industrial-scale work of luminous art. This automated warehouse can hold 7,000 pallets and has six fully automated cranes for storing away the goods. Left, plan; above, cross section and longitudinal section.

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Un tessuto tecnologico Dell Computer, Montpellier

Progetto: B.B.A.

i fa spesso uso, e abuso, del termine “contaminazione” che sembra S aver conquistato la cultura dei nostri

micro-perforated aluminium to help air circulation and provide shelter against the sun from the south during daytime, almost totally conceals the openings to create a sort of dazzling object. At night the building is seen in more horizontal terms, as it is injected with life by the bands of illuminated floor levels. Three blocks of two-storey office buildings connected by service spaces, the entrance to the vertical links, meeting rooms, internal gardens, outside patios and paths create a functionally dynamic complex combining technical requirements (comfortable interiors, security, durable systems etc.) with special attention to the staff’s quality of life, allowing them to enjoy a spacious restaurant terrace and brightly-lit, glass-clad premises. The austere, modern materials ranging from white to clear grey are deliberately confined to natural aluminium, metallic or galvanised steel, concrete and glass, leaving only a few parts made of wood to warm up the connection and relaxation spaces. The building shell knits perfectly into the city of Montpellier’s Mediterranean setting. The pace and climate of southern France actually affect the colour of this luminous and deliberately neutral skin that looks yellow in the early hours of the morning, grey during the day, different shades of red at sunset and zebra-coloured at nighttime. The architecture plays on contrasts, as opacity and transparency, curved and straight surfaces that may be either corrugated or smooth, matter and lightness, shadow and light reflect the contradictions and harmonious relations of modernday society.

tempi. Arte, architettura, design, moda sono i settori più coinvolti e, soprattutto, quelli che più facilmente possono essere ricondotti a un’idea di creatività che si alimenta sulla base di legami e interconnessioni più o meno sensati. Il pericolo è sempre quello della superficialità, dell’occasione facile per coniare una nuova formula espressiva che sia principalmente di immediato consumo. D’altronde non si inventa nulla di nuovo, di contaminazione s’è sempre parlato nel corso della storia e il gioco sta proprio nel calibrare il peso delle suggestioni che possono essere scatenate da campi disciplinari diversi. Senza particolare enfasi, ma con un sottile intuito e gusto dell’eleganza, lo studio B.B.A., costituito da Denis Bedeau, Philippe Bonon e Philippe Cervantès, ha tratto ispirazione dall’arte di trattare i tessuti, che ha reso famoso Issey Miyake, per disegnare l’involucro di un nuovo edificio. Le piegature e i movimenti dati dallo stilista ai suoi abiti sono stati interpretati e tradotti in un’architettura di forte presa percettiva, in grado di qualificare l’immagine di una società ad alta tecnologia, Arrivando a Montpellier, non passa infatti inosservata la nuova sede della filiale Dell Computer Europe Sud, disegnata dalla sagoma dinamica di una pelle in alluminio delicatamente ondulata che se per un aspetto lancia un messaggio di forte leggibilità, dall’altro si fa portatrice di una dimensione poetica e di magia, abbastanza inconsueta in un panorama tradizionalmente rigoroso e cartesiano come quello del terziario. Il riferimento alla ricchezza espressiva dei tessuti viene qui dichiarato con coraggio e senza false mediazioni, ■ La

facciata est del complesso che ospita la nuova sede della filiale Dell Computer Europe Sud realizzata a Montpellier. Nella pagina a fianco, particolare del rivestimento in alluminio microforato. ■ The east façade of the complex holding the new headquarters of Dell Computer Europe Sud in Montpellier. Opposite page, detail of the microperforated aluminium cladding.

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la pelle metallica arricchisce la volumetria dell’insieme e contribuisce alla funzionalità del tutto. La protezione in alluminio microforato, che facilita la circolazione dell’aria e fa da schermo al sole del sud durante il giorno, maschera quasi totalmente le aperture disegnando un oggetto scintillante, mentre di notte si anima con le fasce dei piani illuminati che offrono una lettura orizzontale dell’edificio. Tre corpi di due piani adibiti a uffici, e collegati dagli spazi di servizio, dall’ingresso ai collegamenti verticali, sale riunioni, giardini interni, patii esterni e passerelle, articolano un complesso dinamico e funzionale che coniuga alle esigenze tecniche (confort degli ambienti interni, sicurezza, durata degli impianti ecc) un’attenzione particolare alla qualità della vita degli impiegati che possono godere di un’ampia terrazza ristorante e di luminosi spazi vetrati. I materiali, sobri e moderni che sfumano dal bianco al grigio chiaro, sono volontariamente limitati all’alluminio naturale, l’acciaio metallizzato o galvanizzato, il cemento e il vetro, lasciando solo alcune parti in legno per dare una nota di calore agli spazi di collegamento e di relax. L’involucro dell’edificio si integra perfettamente al contesto mediterraneo della città di Montpellier, sono il clima e il ritmi del midi francese che modificano i cromatismi di questa pelle luminescente e volontariamente neutra che si colora di giallo nelle prime ore del mattino, per divenire grigia durante il giorno, assumendo i toni del rosso al tramonto e animarsi di fasce zebrate la notte. Un’architettura giocata sui contrasti in cui opacità e trasparenza, superfici curve e rettilinee, lisce e corrugate riflettono le contraddizioni e le sintonie proprie di un’epoca facendosi interpreti della contemporaneità. Elena Cardani

he word “contamination” is very often used or even abused T in contemporary culture. Art, architecture, design and fashion are the main culprits, all easily linked to that sense of creativity that feeds off links and interconnections of more or less significance. But there is always a danger of being superficial, taking the easy option of coining a new phrase that will catch on easily. After all there is never really anything new and contamination has always been with us right through history. The trick lies in weighing up ideas deriving from various different disciplines. Drawing on a subtle feel and sense of elegance that is never overstated, the B.B.A. firm made up of Denis Bedeau, Philippe Bonon and Philippe Cervantès has drawn inspiration from the art of treating fabrics, that has made Issey Miyake so famous, to design a new building shell. The folds and motions a fashion designer gives his clothes have been interpreted and translated into perceptually striking architecture capable of projecting the image of a high-tech firm. As you enter Montpellier, you cannot fail to notice the new headquarters of Dell Computer Europe Sud, featuring a dynamically designed gently undulating aluminium skin, which is simultaneously a striking landmark and piece of stylistic wizardry that is not usually found in such a conservative and rigorously Cartesian sector as the services industry. There is a clear and openly avowed allusion to materials in this design, the metal skin embellishes the overall structure and makes everything more functional. The outside protection, made of

Credits Project: B.B.A.: Denis Bedeau, Philippe Bonon, Philippe Cervantès SPS: Arteba Quality Surveyor: Socotec Engineering: S.EGE General Contractor: Méridionale de Travaux Client: Dell Computer, RPS

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■ Nella

pagina a fianco, dal basso, pianta del piano terreno, del primo piano e planimetria generale. In questa pagina, le fronti del complesso, costituito da tre blocchi di due piani ciascuno adibiti a uffici, collegati dagli ambienti vetrati delle zone di servizio.

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■ Opposite

page, from bottom, plans of the ground floor and first floor, and site plan. This page, the building fronts composed of three twostorey blocks each serving office purposes and connected to the glass premises of the utilities areas.

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■ Particolari

delle facciate protette da brise-soleil in alluminio microforato e delicatamente ondulato che assume diverse tonalità cromatiche a seconda delle ore del

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giorno. Una terrazza ristorante e spazi ampiamente vetrati favoriscono le condizioni di vivibilità e il confort degli ambienti di lavoro e di pausa.

■ Details

of the facades sheltered behind microperforated aluminium shutters and gently undulating to take on different shades of colour at different times of day.

A restaurant terrace and glass-clad spaces make the work and relaxation areas pleasanter to inhabit.

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Un abbraccio inorganico Flip Technology, Villeurbanne i sarebbe dunque giunti, per ennesima conferma, al cospetto S di un destino imbizzarrito di quel

nata da elementi opposti resi compatibili e simultanei. Una larga banda di gomma nera lucida e a filo facciata corre a mezza altezza lungo il blocco retto, così da sottolineare a prima vista stacco e differenze rispetto al volume fatto di piani curvi. Su entrambi una striscia più sottile nella stessa gomma e con mansioni anche protettive aiuta lo sguardo a separare l’edificio dal suolo. Cemento per la struttura, liscio in facciata al punto da permettere i riflessi e i baleni metallizzati di una vernice da carrozziere. Diverse famiglie di aperture si contendono i prospetti: a est come a ovest, tagli strombati o a scimitarra e buchi; a nord, griglie orizzontali in batteria; sul lato opposto, a sud, sopra la grande porta carraia, una finestra schermata tutta sola ed estesa quanto possibile. A est, dietro a un piano di vetro a doppia altezza si trova l’atrio di ingresso con la scala elicoidale e parte del mezzanino. Ed è il vetro, come rivela in minore la facciata ovest, a risolvere in trasparenza l’incontro tra i due blocchi, sospesi, di giorno, dal contrasto con

Credits Project: Raphaël Pistilli Contractor: Martinez Robert Main Suppliers: Crealu, Sotrim, Ste Favre et Ray, Thevenet Eric, Sarl CTS Dalla Palma J., Scateb, André Meunier, Capellini-Gelay,

il fondo scuro e, di notte, in negativo, dal controluce elettrico. Ai procedimenti che si sono presi tanta cura delle sembianze dell’edificio corrisponde un disegno delle piante e delle sezioni che, forse, per far quadrare il programma o per la natura fatalmente ordinaria degli spazi necessari, non pare ispirato dallo stesso slancio. L’effetto d’insieme di quest’architettura, riuscita nei volumi, concitata nelle facciate, discontinua poi in pianta e sezione, può forse insospettire: l’energia che investe le parti esterne fatica a varcare la soglia e si placa intransitiva negli ambienti interni. Ma, del resto, per non far torto alle sue ragioni, come dimenticare gli ettari di capannoni utilitaristici fino all’autolesionismo che, specie da noi, dominano in lungo e in largo, senza pietà alcuna e con grande strage di spazio, le famigerate zone artigianali? Esisterà un modo diverso di trattare il problema o dovremmo rassegnarci per sempre estatici a The Generic City ? Decio Guardigli

e have indeed finally reached W that weird state of “clever interplay of structures in light”, which Le

Corona Etancheite, Société Thes, Sikkens, PVC/Sika, Rocksol, Sommer/Barisol, Alutechnie, Porcher, Frisquet, Acova, Mico (de chez Artemide Megalit), Osram Softlight, Marlux Client: S.C.I. Techni-Parc

Corbusier drew inspiration from to make his own equally enlightened and unforgettable definition of architecture. Particularly since those harmonious states of peace and quiet transformed by the passing of days, seasons and centuries, that the past masters were so fond of, have been replaced by the Doppler effects of surfaces curved or inclined by forced acceleration. Due to some paradoxical love of those strange dynamics that are supposed to reveal how steady things actually are, once they are caught up in that rather bland sex-appeal that is now so in vogue. And whether or not this is due to an undying sense of futurism, suprematist clairvoyance or who knows what, there can be no denying (particularly when meeting and coming to terms with clients’ demands) a general feeling that motion needs to be injected even into things that really do not need to move; almost as if, as things stand at the moment, everything ought to be designed in a wind

tunnel and be fitted with suitable CXs. But the building designed by the Bureau d’Etude d’Architecture, headed by Raphaël Pistilli and situated near Lyons on the industrial estate of Villeurbanne, holds the offices and workshops of a firm called Flip Technology that specialises in manufacturing electronic equipment for lorries. This building actually embodies the dromological tendencies of the goods world to which it belongs. This is a far cry from any sort of static configuration. It has a flared section, variously inclined perimeter walls setting up acute angles with the ground, and streamlined elevations revealing a huge wedge-like structure that easily dominates the entire design. The overall construction is basically jointed, even conceptually: the building is divided into two quite separate parts in a state of reciprocal tension with the straight block slotting into the curved section. Due to the great logical simplicity of an inorganic enveloping of inanimate things, this layout lets out all the

■ In

queste pagine, il volume degli ampliati uffici della società Flip Technology a Villeurbanne. L’edificio, su due livelli con un mezzanino, comprende uffici, magazzini, atrio, sevizi.

energy enclosed in the conflicting elements that are made compatible and simultaneous. A wide strip of bight black rubber running across the façade half-way up the straight section is designed to bring out the contrast and difference compared to the structure of curved planes. Both are covered with an even thinner strip made of the same rubber, also serving protective purposes, that helps us visually separate the building from the ground. The main structure is made of concrete that is smooth enough across the façade to allow the reflections and metallic flashes of a body-work paint. Various sets of openings contend the elevations: splayed or scimitar cuts and also holes to the east and west; rows of horizontal grilles to the north; one single shielded window that is as big as possible over on the opposite side to the south, above the main gateway. The entrance hall with its spiral staircase and part of the mezzanine are over to the east, behind a full-height sheet of glass. As can be seen to a lesser extent on the west façade, it is light that provides

■ These

pages, the extended offices of Flip Technology in Villeurbanne. The twolevel building with a mezzanine includes offices, warehouses, a lobby and utilities.

transparent interaction between the two blocks, contrasting with the dark background during the daytime and with the electric back lighting at nighttime. The careful procedures taken over the external appearance of the building contrast with the design of the plans and sections which, possibly to meet the budget or due to the rather ordinary nature of the spaces required, does not seem to be quite so inspirational. The overall effect of the architecture (great structures, lively facades and rather broken plans and sections) suggests that the energy put into the outside parts has not really managed to cross the threshold and tends to fade out in the interiors. But in all fairness, let’s not forget the acres and acres of utilitarian warehouses built all over the place, in an almost harmful way, particularly here in Italy, showing no mercy and wrecking havoc through the so-called craft areas. Might there be some alternative way of handling the problem or must we just resign ourselves once and for all to The Generic City?

Pierre Pichon

“gioco sapiente dei volumi sotto la luce” cui Le Corbusier si affidò per l’altrettanto illuminata e inaggirabile definizione dell’architettura. Dato che agli armonici degli stati di quiete, trasfigurati dallo scorrere di giornate, stagioni e secoli, così cari ai maestri trapassati, si sono intanto sostituiti gli effetti doppler di superfici rese curve o inclinate dall’accelerazione forzata. Per paradossale amore della dinamica particolare che dovrebbero rivelare cose comunque ferme, una volta catturate dal sexappeal contundente in voga. E che questo accada per immarcescibile futurismo, chiaroveggenza suprematista o chissà che, si deve riconoscere, per una certa evidenza e specie quando incontra e risponde alle domande di una committenza, il sentimento diffuso da cui deriverebbe la necessità di imprimere il movimento anche a cose a cui muoversi davvero non è dato; come se, coi tempi che corrono, tutto dovesse essere pensato nella galleria del

vento e dotarsi di opportuno CX. Ma l’edificio, opera del Bureau d’Etude d’Architecture di Raphaël Pistilli nei pressi di Lione, nella zona industriale di Villeurbanne, ospita uffici e atelier della Flip Technology, ditta specializzata nella produzione dell’equipaggiamento elettronico per camion. La costruzione manifesterebbe, quindi, le propensioni dromologiche dell’universo merceologico cui appartiene, sottratta alla statica figurativa, in modo da scoprire semmai qualcosa di cui potersi credere la metafora. Sezione svasata, muri perimetrali variamente inclinati a stabilire angoli acuti con il terreno, prospetti streamline lasciano intuire le fattezze di un grande cuneo che si fa posto d’autorità senza tanti complimenti. Volume complessivo ottenuto per incastro anche concettuale: l’edificio è diviso in due parti nettamente distinte e in tensione reciproca con il blocco retto che si innesta sull’altro curvo. Per questo accorgimento, in virtù dell’estrema semplicità logica di un abbraccio inorganico tra cose inanimate, la composizione libera nella costruzione l’energia sprigio-

Progetto: Raphaël Pistilli

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■ La

struttura si caratterizza per l’incastro di due volumi, che combinano superfici curve e superfici piane inclinate, collegati tra loro da un piano in vetro che racchiude l’ingresso

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principale. Le facciate sono segnate da aperture con dimensioni, forme e materiali ciascuno diverso dall’altro. Sotto, sezione AA e piante dei due livelli.

■ The

structure features two intersecting blocks combining curved surfaces and sloping flat planes interconnected by a glass plane encompassing the main entrance. The facades are

marked by openings each with its own characteristic shape, size and materials. Below, AA section and plants of the two levels.

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L’architettura è per commuovere? Porsche Customer Centre, Leipzig

Progetto: gmp-VonGerkan, Marg und Partner

a sempre, un paio di secoli almeno, da parte dell’architetD tura si guarda all’industria e ai suoi

così via; fino a raggiungere una sala concerti che già sborda, seguendo lo sviluppo delle superfici esterne, dal profilo a terra. Questo piano ospita ogni ben di dio, c’è anche una cucina e può trovar posto un’esposizione di auto storiche. O qualunque altra cosa si possa desiderare nel tempo, visto il totale plan libre con parziale sdoppiamento al perimetro delle altezze e conseguentemente dei piani di calpestio. Un bel pò di panorami interni molto variati, trattati in modo raffinato e smorzato, coerente con la filosofia dell’azienda; e un panorama verso il fuori molto interessante, sull’intero complesso, che può così venir percepito come un tutt’uno, malgrado le mani diverse dei progettisti delle differenti parti dell’impianto produttivo. Al di là del consueto magistero del trattamento di spazi e materiali, e dell’ennesima prova di grande professionalità, gmp sembrano qui proporre una ragionevole via d’uscita per l’architettura fra le secche grigie degli edifici per l’industria. Evitando scontri e conflitti, certamente vani, con gli specialisti responsabili dei vari settori produttivi, con i loro layouts, con le loro tecnologie, ricercano una sorta di unità nella diversità, un senso percepibile di processi all’apparenza molto separati, anche come involucri, quando esistono. Rivendicando questo compito all’architettura, scartano ogni soluzione di mera facciata; penetrano, anzi, nel cuore dell’insieme, al medesimo tempo alla ricerca di un riscatto formale e di un mutato rapporto fra esterno e interno, fra clienti e produzione; nei limiti del possibile, s’intende. Se, come tutti speriamo, le fabbriche si continueranno a costruire, questa sembra proprio una via percorribile, su cui riflettere. Maurizio Vogliazzo

edifici con occhi un po’ speciali, generalmente affascinati. A prima vista la cosa può sembrare curiosa, vista la grande distanza, per non dire l’abisso, che in genere separa i due relativi modi di organizzare spazi e produrre forme fisiche. Mentre di qua ci si dibatte spesso nelle paludi e nelle secche delle più diverse ideologie, abitudine che il trascorrere del tempo non sembra avere modificato, di là si è sempre proceduto in maniera spiccia, e senza far tanti complimenti. Per dati di fatto, si può dire; determinando quasi interamente l’assetto dell’ambiente in cui viviamo, urbano e non. Eppure è proprio questa spregiudicatezza, questa violenza nel procedere, questa sovente totale assenza di scrupoli diciamo culturali, che sta alla base di questa attrazione; di questo rapporto che, in un certo senso, potrebbe essere definito di soggezione. Con tutti gli equivoci, anche drammatici del caso; compresa, non ultima, la debolezza diffusa del nostro strato professionale rispetto ad altri: gli ingegneri (che qualcuno in nome di non si sa quale cultura politecnica si ostina a definire cugini, mentre non c’è più traccia di una sia pur minima parentela). Come sempre ci sono le eccezioni: però poche, nel complesso. E poi, naturalmente, ci sono modi e modi di giocarsi e gestirsi questo sottile legame perverso. Limitandoci al secolo appena trascorso, c’è per esempio Le Corbusier, che di complessi di sudditanza certo non ne aveva, e delle ideologie faceva uso strumentale per temporanei sostegni alla sua poetica, che lo padroneggia e lo capovolge, per alimentare la propria visione di un’architettura “come fatto d’arte, fenomeno di emozioni, ben al di là delle questioni costruttive... La Costruzione, è per far stare in piedi; l’Architettura, è per commuovere”: “l’estetica degli ingegneri” viene usata come ariete contro pompiers e storicisti. Che Giacomo Mattè Trucco avesse in mente un qualsiasi gioco sapiente, corretto e magnifico dei volumi sotto la luce è davvero difficile anche soltanto da supporre; la pista sul tetto del Lingotto viene da LC sussunta in un contesto completamente altro: veramente si tratta di due punti di vista privi di seppur minime parentele. Con buona pace delle superfetazioni critiche accumulatesi poi via via negli anni. Più facile allora piuttosto sognare somiglianze ideali tra toit jardin e The Flax Mills, la possente fabbrica di lino fatta costruire a Leeds da John Marshall a Ignatius Bonomi quasi cento anni prima in ammirevoli fogge neoegizie, con il tetto ricoperto di erba per farvi pasco-

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lare i montoni, fra lucernari a cupola e camini a obelisco: senza dubbio non poca cultura in un milieu piuttosto arido; anche se LC non l’ha mai visitata e neanche veduta. Diverso, ma di altrettanto rispetto, il caso dell’architettura, o meglio dell’architetto, che riesce a impadronirsi per un attimo del terreno degli avversari. Non tanto come nel caso di Faguswerke, dove Gropius dà già prova di una sua ragionevole mediocrità, quanto per esempio nel cappellificio Hermann&Co a Luckenwalde, dove Mendelsohn riesce a trovare una chiave di identità espressiva per spazi vasti adibiti alla produzione, di per sé amorfi. Oppure nella impressionante fabbrica di prodotti chimici a Luban, dove Poelzig riesce in un capolavoro potente, condensato in architettura declinata fino ai minimi particolari di molte poetiche parallele allora particolarmente ribollenti. O ancora nella fabbrica di cioccolato e tabacco Van Nelle di Brinkmann e Van der Vlugt, a Rotterdam, che rimane a tutt’oggi uno dei più nitidi distillati compositivi di quegli anni. O nella fabbrica Olivetti a Ivrea di Figini e Pollini. Sembrerebbe tuttavia che queste irruzioni dell’architettura nel campo degli edifici per la produzione, non frequentissime, ma giustamente assai celebrate, anche per una loro particolare sincronia con lo Zeitgeist a loro coevo, con ogni probabilità non particolarmente interessanti per una committenza via via sempre più senza volto, abbiano trovato ben presto battute d’arresto quasi definitive, specialmente a causa del progressivo e rapido abbandono dell’organizzazione multipiano del lavoro. La produzione accampa esigenze di spazi isotropi estensibili possibilmente all’infinito, equiserviti, non dotati di alcuna specificità se non in termini di impiantistica e climatizzazione. Dopotutto, che interesse possono più riscuotere gli architetti? Potrebbero, caso mai, essere di intralcio, suggeriscono subito coloro i quali, pur non avendone nessuna competenza, ne posseggono tuttavia, per privilegio atavico, le medesime potestà giuridiche. Unite, s’intende, a una disponibilità totale, caratteristica sempre molto gradita in ogni senso e in ogni momento. Si diffonde così inesorabilmente un modello fatto di capannoni, dove si produce all’interno di scatole perimetrate da pannellature mano a mano sempre più prefabbricate, da scegliere a catalogo, generalmente deprimenti a vedersi nella loro uniformità; e di antistanti palazzine per uffici, dove si amministra e si ricevono i clienti e nel fare le quali si cerca eventualmente di soddisfare anche le propensioni estetiche dei committenti, immaginarsi quali. Per queste ultime, magari e raramente,

si può pure chiamare un architetto. Non è un granché. Eppure basta nella vecchia Europa percorrere da cima a fondo una delle grandi arterie autostradali che la trafiggono, per poterlo constatare senz’ombra alcuna di dubbio. Le eccezioni che vengono lì per lì alla mente sono poche: talmente poche che non si vedono quasi. Per non andar lontano, e lasciando da parte l’anomalia del caso Olivetti, giunto per altro da tempo a fine corsa, soltanto piccole cose: qui un Gino Valle, lì un Albertini, un Derossi e Ceretti; in scale più impegnative, la Renault di Richard Rogers e poco altro. Stiamo, sia ben chiaro, parlando di fabbriche, dove entrano, o entravano fino a poco tempo fa, quelli con la tuta blu. Un mondo che sta scomparendo per migrare verso paesi lontani dove il lavoro costa meno? Non sembrerebbe, o almeno non proprio del tutto, visto questo recentissimo e decisamente cospicuo per grandezza stabilimento Porsche, nel bel mezzo della terra di Germania, a Leipzig. Il caso è molto interessante. Poco fa lì c’era la DDR con tutto quanto ciò comporta. Ora si costruiscono veicoli nuovissimi, sofisticati, tecnologia non plus ultra, un rilevante allargamento delle linee tradizioneli della ditta, per esempio il veicolo tout terrain Cayenne. Il terreno, vastissimo, è organizzato in maniera non convenzionale. A nord officine e piazzale, a sud le pista di prova, molto estese e articolate. Nel mezzo, a mò di spina dorsale, il Centro Clienti, opera di gmp, cioè von Gerkan, Marg und Partner. Questo fatto, di poter attraversare quello che abitualmente è un sorvegliatissimo recinto segregato, è certamente inconsueto. Nel bel mezzo di questa sorte di asse, e in posizione quasi baricentrica rispetto all’insieme, su di un piedistallo a rampa sdoppiata in parallelo, con le muratura laterali scarpate come si deve, sorge una torre, organismo complesso, costituita da un’anima centrale cilindrica, in calcestruzzo armato, a scomparsa, avviluppata da un semicono rovescio che le si aggrappa per mezzo di travature metalliche sagomate dolcemente seguendo le dimensioni di calcolo. Si tratta di un’architettura pluriuso, in grado di accogliere, nei suoi vari livelli, attività contemporanee e differenti. Mentre nella parte sita alla quota di campagna lo spazio centrale si stempera in un tutt’uno con i locali collocati sotto le rampe, al livello immediatamente superiore tutto diviene una gran piazza, a quattro braccia con portico circolare centrale; e man mano, salendo, nella svasatura progressiva trovano posto sale di riunione, presentazione, meetings e

or at least the last two hundred F years, if not longer, architecture has always had a watchful eye for industry and its special buildings. This might, at first glance, seem rather strange, bearing in mind that these two different ways of organising spaces and producing physical forms are literally poles apart. Whereas architecture has always been bogged down in ideological debate, a tendency that has shown no signs of relenting down the years, industry has always adopted a very down-to-earth and pragmatic approach. Industry might be describing as sticking to the facts and almost exclusively dictating the layout of the environment in which we live, both inside and outside the city. The fascination lies in the bold-

■ Planimetria

generale del nuovo Centro Clienti Porsche realizzato a Lipsia.

ness and aggressiveness of its approach, its almost complete lack of what we might call cultural scruples; the relationship is almost one of submission, with all the often dramatic misunderstandings and confusion this entails; including, not least, the weakness of the exponents of architecture compared to others, such as engineers (who, for some unknown reason connected with polytechnic culture, keep being referred to as “cousins”, despite the fact they are not even distantly related). As usual there are exceptions: but not many overall. And then, of course, there are different ways of handling and playing around with this subtle kinship relation. Confining ourselves to just the 20th century, there is the case of Le Corbusier, who certainly did not suffer from any inferiority complex and exploited ideology to back up his stylistic artistry, harnessing it and turning it on its head, and even using it to feed his own vision of architecture “as an artistic fact, emotional phenomenon, moving well beyond the realms of building issues...Construction work is designed to make things stand up; Architecture is supposed to move us”: “the aesthetics of engineers” is used as a battering-ram against historicists and know-alls. It is hard to even imagine that Giacomo Mattè Trucco might have had any kind of magnificently clever and correct interplay of structures out in the light in mind; LC set the track on the roof of the Lingotto plant in a quite different context: the two points of view are not even vaguely related. All the critical superfetations that built up down the years made no difference. It is actually easier to dream up similarities between a toit jardin (garden roof) and The Flax Mills, the impressive factory Ignatius Bonomi had John Marshall build in Leeds almost a hundred years earlier in a startling neoEgyptian style. The roof is covered with grass to let the sheep graze, and there are dome-shaped skylights and obelisk-style chimneys: certainly no lack of culture in this rather dry setting; although LC never visited or even saw it. The case of architecture or rather architects who manage to venture successfully onto enemy terrain for a while is a quite different but equally respectable matter. Not so much something like the Faguswerke, where Gropius was already showing signs of a reasonable dose of mediocrity, but more poignantly the Hermann&Co Hat Factory in Luckenwalde, where Mendelsohn managed to find a stylish way of reading the vast premises designed for what was a rather bland production process. Or even

the striking chemical plant in Luban, where Poelzig designed a real masterpiece of architecture, whose most minute details are full of the stylistic features then so in vogue. We might also mention the Van Nelle chocolate and tobacco factory designed by Brinkmann and Van der Vlugt in Rotterdam, still one of the most clear-cut examples of the architecture of the day, or Figini and Pollini’s Olivetti factory in Ivrea. These rather infrequent but rightly celebrated eruptions of architecture into the field of buildings serving manufacturing purposes, often in tune with the spirit of the age in which they were built but now increasingly out of favour with clients, as they tend more and more towards bland designs, are now almost completely neglected, mainly due to the gradual but rapid abandoning of the idea of organising work on a multi-storey basis. Production is now looking for isotropic spaces that can be extended almost to infinity, all served in the same way and with no special features in terms of plantengineering and air-conditioning. After all, what interest could there possibly be in architects? If anything they might actually get in the way, as we are told by those who, despite having absolutely no expertise in these matters, seem by some sort of ancestral rights, to be blessed with legal powers. Combine, needless to say, with the kind of complete compliance that is always so appreciated in every respect. This has inevitably led to a relentless spread in the presence of warehouses, where manufacturing goes on inside boxes clad with panels that tend to be increasingly prefabricated (even chosen from catalogues), generally a sorry sight in their endless uniformity; and, in front of them, there are office blocks, where business is taken care of and customers are received; and in the case of these buildings there might even be an attempt to meet the

clients’ aesthetic propensions, goodness knows what they might be. Indeed, an architect might even be commissioned to design these buildings, but not necessarily. Not much to be going on with. But you need only travel along one of the main motorways in Europe to realise that this is indeed the way things stand, without a shadow of a doubt. Very few exceptions come to mind: so few that they are virtually invisible. Leaving aside the rather unusual case of the Olivetti works, now really part of the past, and without venturing too far afield, there is very little to talk about: here a Gino Valle, there an Albertini, a Derossi or a Ceretti; on a more impressive scale, there is Richard Rogers’ Renault plant and little else. Let’s make it quite clear that we are talking about factories where blue-collar workers are employed or used to be employed until quite recently. Is this world disappearing or rather migrating to more distant countries where labour is cheaper? Apparently not or at least not entirely, judging by this very recent and extremely large Porsche factory built right in the heart of Germany in Leipzig. This is an extremely interesting case. Not so long ago we had the DDR and everything that entailed. Now brand new vehicles are being constructed out of the latest cutting-edge technology, a notable widening of the firm’s usual production range, notably with the Cayenne that can drive on all sorts of terrain. These vast premises have a very unconventional layout. The workshops and courtyard are to the north, while the large and highly intricate test tracks are over to the south. The Customer Centre is right in the middle, like a sort of backbone, and designed by gmp, viz. von Gerkan, Marg und Partner. This crossing over what is usually a closely guarded and segregated enclosure is certainly unusual. Right in the middle of this sort of

■ Site

plan of the new Porsche Customer Centre in Leipzig.

axis and in an almost baricentric position in relation to the overall construction, a tower has been erected on a ramped pedestal divided up along parallel lines with suitably banked side walls. This is a complex organism constructed out of a cylindrical central core made of reinforced concrete (hidden away) enveloped by an upturned half-cone attached by means of gently moulded metal beams designed based on careful calculations. This multi-purpose work of architecture can cater for all kinds of different activities at the same time over its various levels. The central space blends in with the rooms beneath the ramps to form one single space in the part at ground level, while in the next level up everything turns into a huge fourarmed plaza with a circular central portico; and as the building gradually flares out there are meeting and presentation rooms etc., eventually terminating in a concert hall that projects out as it traces the shape of the outside surfaces. This level holds everything imaginable, there is even a kitchen and an exhibition of important cars from the past. There is actually room for anything at all, thanks to the open space layout with a partial splitting of heights at the perimeter and hence of the floor levels. The range of different interior views has been treated with low-key elegance in line with the firm’s business philosophy; the view towards the outside is striking right through the complex, which can actually be perceived as a unitary design despite the fact that various architects worked on different parts of production plant. Apart from the usual mastery with which the spaces and materials have been handled and yet another show of great professionalism, gmp seem here to be suggesting a reasonable way out for architecture amidst the current quagmire of industrial buildings. Avoiding pointless clashes or disputes with the experts in charge of the various production departments with their special layouts and technology, they have tried to find a certain unity through diversity, a perceptible sense of processes apparently clearly separated, even in terms of their shells. Asserting architecture’s right to carry out these tasks, they reject the idea of simple facades and delve right into the heart of the complex, striving to focus both on style and new relations between inside and outside, customers and production; at least as far as this is possible, of course. If, as we all hope, factories keep on manufacturing, this appears to be a reasonable approach worth reflecting on.

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■ Viste

notturne dell’edificio e particolari dell’interno. L’edificio, in cemento e acciaio, è realizzato lungo l’asse centrale del complesso industriale Porche a Leipzig e ne rappresenta l’ingresso e il centro pubblico di rappresentanza. ■ Nighttime views of the building and details of the inside. The building, which is made of concrete and steel, is built along the main axis of the Porsche industrial complex in Leipzig and acts as the entrance and public reception centre.

■ Sopra

da sinistra, piante del primo, secondo, terzo e quarto livello del Centro. Sotto, il corpo centrale.

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■ Above,

from left, plans of the first, second and third floors of the Centre. Below, the main block.

Credits Project: Gmp-von gerkan, Marg und Partner Design: Wolkwin Marg, Hubert Nienhoff Project Manager: Markus Pfisterer Client: Porsche Leipzig

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ll’inizio degli anni Settanta, lavorando come artista, cominciai a realizzare sculture abbastanza grandi da poterci

A Dreams and Visions

vivere den tro. Successivamente, queste sculture cominciarono a essere sempre più grandi e sempre più funzionali finché diventarono luoghi quasi confortevoli per viverci. Questo approccio iniziale al progetto delle strutture mi diede la libertà di esplorare, in modo non convenzionale, nuovi tipi di spazi che imparai ad adattare in vari modi ai bisogni di base dell’uomo che necessita non solo di uno spazio stimolante in cui vivere, ma anche di dormire, mangiare, lavorare, lavare ecc. Nello stesso periodo, tuttavia, esploravo idee molto concettuali su come si potesse reinventare l’ambiente costruito; queste idee hanno influenzato direttamente i lavori più orientati alla fisicità. Alcuni di questi progetti concettuali sono stati pensati in modo da richiedere a chi guardava le mie strutture una percezione intellettuale in quanto venivano messi di fronte a un gruppo di simboli che ne suggeriva solo l’esistenza. Continuo ancora a esplorare questo tipo di idee concettuali nella speranza che esse condurranno a luoghi davvero diversi che stimoleranno modi di pensare alternativi.

MICHAEL JANTZEN

Il Wind Shade Roof è una delle molte proposte concettuali che ho progettato ed esplora le possibilità di costruire strutture che producano energia autonomamente sfruttando quella presente nel loro ambiente. In questo caso, ho progettato una grande struttura di copertura interamente rivestita da speciali turbine eoliche. Queste turbine riparano lo spazio sottostante e, allo stesso tempo (fatte girare dal vento) producono energia elettrica. Tale energia può essere immagazzinata, riutilizzata nella griglia energetica esistente o usata direttamente nello spazio interno. Questa particolare copertura è stata sviluppata per coprire e dare energia a grandi piscine, che possono essere collocate in ambienti desertici. La struttura è aperta su entrambi i lati e tra le turbine, altre strutture simili possono essere completamente chiuse da vetro con le turbine montate sulla superficie più esterna. Questo progetto suggerisce anche alcune possibilità interessanti in termini di sviluppo di un’architettura cinetica. Mi interessa molto vedere dove può portare questa idea. Dal punto di vista estetico, credo che sarebbe interessante sperimentare queste strutture, grandi o piccole, che rispondono alle variazioni della velocità del vento. Questo movimento potrebbe essere limitato alla pelle dell’edificio (come nel caso del Wind Shade Roof) oppure il vento potrebbe far muovere interi segmenti della struttura che potrebbero così essere in grado di produrre qualche tipo di energia. Il progetto della Wind Turbine Observation Tower è un esempio di architettura cinetica, anch’esso rispondente alla velocità del vento. In questo caso, ogni segmento dell’intera struttura si muove intorno agli occupanti mentre questi salgono attraverso il suo centro. Questa particolare struttura, realizzata in acciaio e alluminio, dovrebbe avere un diametro di circa 7 metri e un’altezza di circa 20 metri. Il vento incontrerebbe le lamine opposte di ciascuno dei cinque segmenti in cui è suddivisa e farebbe ruotare lentamente quattro di essi in direzioni diverse intorno al perimetro dei piani. Il quinto segmento ruoterebbe intorno al perimetro del culmine della struttura. Delle ruote attaccate alle cornici strutturali dei piani sarebbero guidate intorno alla struttura principale lungo dei binari. Essendo collegate a dei generatori, nel ruotare, produrrebbero elettricità utilizzabile per illuminare l’edificio di notte. Una sottile maglia metallica montata all’interno della superficie di ogni segmento preverrebbe la possibilità degli occupanti di essere feriti dalle lame rotanti. I solai sarebbero coperti da un graticcio aperto, in modo da lasciar visibile ogni segmento. La percezione del paesaggio circostante sarebbe casualmente alterata dalla diversa velocità dei segmenti rotanti. Quando i segmenti sono fermi, il paesaggio è in gran parte nascosto dalle lame, ma più i segmenti si muovono velocemente, più le lame sembrano scomparire. Il Wind Temple è un’altra proposta concettuale, su scala più piccola, progettata per esplorare le potenzialità dell’architettura cinetica. Se costruita, questa struttura sarebbe un quadrato di 4 metri di lato per un’altezza di 8 metri. E’ progettata come un piccolo rifugio dove sperimentare il movimento e i suoni del vento mentre le sue 53 turbine, montate tutto intorno al perimetro della parte terminale del cubo, ruotano. Una scala a spirale conduce in alto attraverso il centro del cubo. Questa scala è avvolta in un guscio di vetro che protegge dalle turbine rotanti. Una volta all’interno tutte le

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turbine eoliche si vedono attraverso la parete di vetro del cubo. Parte di queste vetrate possono essere aperte per favorire la ventilazione interna. Durante il giorno le turbine rotanti proteggono l’interno del tempio e generano l’elettricità necessaria, conservata in batterie, per illuminare la struttura di notte. Quando il vento soffia, le turbine eoliche girano a diverse velocità a seconda della resistenza di ciascun generatore elettrico integrato e della loro posizione su ogni faccia del cubo. Di notte, il Wind Temple è illuminato dall’interno e le lame di ogni turbina gettano ombre all’esterno del cubo in tutte le direzioni nel paesaggio circostante. Molti dei miei lavori esplorano le potenzialità di un’architettura interattiva, modificabile in forma e spazio che risponda ai bisogni e ai desideri mutevoli degli occupanti. Lo Space Time Transformation Bridge è il risultato di una di queste ricerche. E’ una proposta concettuale per un ponte pedonale fatto di vetro e acciaio. Il piano di calpestio del ponte è in vetro chiaro cosicché la gente, passando, possa vedere il terreno attraverso la struttura. Il guscio esterno della porzione di ponte coperta è di vetro con cellule solari integrate che formano una griglia grafica introno alla sua circonferenza e ombreggiano parzialmente il passaggio interno. Queste cellule solari, che convertono la luce in elettricità, producono energia per illuminare la struttura di notte e per muovere il guscio esterno della parte di ponte coperta. Quando la gente attraversa la struttura, questa avverte il loro schema di movimento e risponde modificando di conseguenza la sua forma. La parte coperta di ponte è inizialmente un cilindro orizzontale sezionato che avvolge il piano di calpestio. Ogni segmento ad anello che compone il cilindro è ulteriormente segmentato con cardini in modo da permettere ai cavi integrati alla struttura di tirare il guscio esterno in su e all’infuori in modi diversi. Quando il guscio esterno di ogni anello viene aperto o chiuso in modi diversi e a velocità diverse, rivela viste sempre diverse del paesaggio esterno e, allo stesso tempo produce una forma sempre mutevole del cilindro di partenza. Un altro esempio del mio interesse nel creare ambienti modificabili e interattivi è la struttura tessile Fabric Pavilion/Stage. Questa struttura può modificare non solo la propria forma ma anche il suo colore. E’ un sistema di parti modificabili che può essere usato per creare molti tipi di ambienti diversi. Le componenti di base possono essere usate per sviluppare grandi strutture esterne come padiglioni, o, in scala minore, ambienti di lavoro flessibili, espositori, stand fieristici. Il sistema è costituito da una serie di cornici strutturali che possono essere costruite partendo da un kit iniziale in molte misure e forme diverse. Nelle parti terminali di ciascuna sezione della struttura è montato un rotolo di tessuto o di altri tipi di materiale flessibile. Questi materiali possono essere mossi automaticamente o manualmente attraverso la struttura spostando in dentro o in fuori i montanti che separano i terminali della struttura. Se si utilizzano tessuti di diversi colori, uno può essere collegato a un altro in modo che si possa modificare il colore della struttura quando uno dei rotoli terminali è avvolto e l’altro è aperto e teso attraverso la cornice. Se i materiali flessibili sono collegati su un lato a vari cavi sottili, tutti i materiali possono essere avvolti su un lato lasciando una parte o tutta la struttura a vista. Sono possibili molte altre opzioni tra cui l’uso di grandi immagini e grafiche flessibili che possono essere collegate fra loro attraverso la struttura a diverse velocità. Si possono anche utilizzare schermi opachi o trasparenti per realizzare diversi strati di immagini. Un tipo di ambiente flessibile che ho studiato recentemente è quello chiamato Atmosphere. E’ uno studio concettuale per un particolare tipo di ambiente di incontro fatto di acciaio e vetro. Una volta realizzato potrebbe essere collocato in un grande spazio pubblico come, per esempio, un terminal aeroportuale. Le superfici superiori delle rampe, delle panchine e dei pavimenti sarebbero rivestite con vetro satinato e illuminate dal basso. Piccoli schermi a cristalli liquidi, con immagini con colori brillanti – per esempio pesci che passano da uno schermo all’altro – potrebbero essere incastonati in tutta la struttura. Queste immagini di pesci risponderebbero in vari modi agli occupanti dell’ambiente. Il suono del flusso dell’acqua farebbe parte di questa “atmosfera”. Anche questo tipo di struttura è costituito da un kit di parti montabili e smontabili in molti modi con elementi sia interni che esterni. “Atmosfera” è anche una delle molte strutture che ho progettato durante lo studio per trovare metodi interessanti per integrare media passivi o interattivi nell’ambiente costruito. Il più audace tra questi per ora è il Virtual Reality Interface (l’Arca 175). Qui, suggerisco lo sviluppo di ambienti fondati sui media che possono all’apparenza cambiare forma e colore semplicemente guardandoli attraverso occhiali progettati allo scopo. In generale, penso che i luoghi che abitiamo influenzino i maniera diretta il nostro modo di pensare. Voglio creare luoghi che diventino la via a un più alto livello di pensiero, aiutandoci ad andare verso il futuro in un modo che meglio definisca la nostra esistenza. Michael Jantzen

n the early 1970’s, working as an artist, I began to build sculptures large enough to live in. Soon these sculptures

I

grew in size and also became more and more functional until they were quite comfortable places to inhabit. This early approach to designing structures gave me the freedom to explore, in a very unconventional way, new kinds of spaces which I learnt to adapt in various ways to the basic needs of a human who needs not only a stimulating space in which to live, but also needs to sleep, eat, work, wash, etc. During this same period however, I also continued to explore very conceptual ideas about how the built environment could be reinvented; these ideas directly influenced the more physically oriented work. Some of these conceptual projects were designed in such a way as to require the viewers of my structures to perceive them intellectually after they were presented with a set of symbols that only suggested their existence. I continue to explore these kinds of conceptual ideas today in hopes that they will lead to very different kinds of places in which we will be stimulated to think very different kinds of thoughts. The Wind Shade Roof is one of a number of conceptual proposals I have designed which explore the possibilities of creating structures that produce their own power from the ambient energy in the environment. In this case, I have designed a large shade roof structure which is clad entirely with specially engineered wind turbines. These turbines shade the space below while at the same time (as they are rotated by the wind) produce electrical energy. This energy can be stored, fed back into the existing energy grid, and or used directly to power the space enclosed by the structure. This particular roof was developed to shade and power a large swimming pool, which could be located in a desert environment. The structure is open on both ends and between the wind turbines, other similar structures could be completely enclosed with glass or other materials with the wind turbines mounted over the outer surface. This design also suggests some interesting possibilities which can be directed toward the development of a kinetic architecture. I am very interested in exploring where this idea could lead. Aesthetically, I think it would be very exciting to experience these large, or small structures that respond to variations in wind speed. This movement could be restricted to the skin of the building (as in the case of the Wind Shade Roof) and, or the wind could move entire segments of a structure which could also produce energy of one kind or another. The Wind Turbine Observation Tower design is an example of a kinetic architecture; which is also responsive to wind speed. In this case, each segment of the entire structure moves around the occupants as they climb up through its center. This particular structure would be approximately 7 metres diameter and about 20 metres made of steel and aluminum. The wind would catch the opposing blades of each of the five segments and would slowly rotate each of the four segments in a different direction around the perimeter of the floor decks. The fifth segment would rotate around the perimeter of the structure at the top. Wheels attached to the segment frames would be guided around the structure on tracks. As the wheels rotate, they in turn (attached to generators) would produce electricity that could be used to light the structure at night. A fine wire mesh mounted around the interior of each segment would prevent the occupants from being harmed by the rotating blades. The floor decks would be covered with an open grating so the occupants can see down through each segment. The perception of the surrounding landscape as seen by the occupants would be randomly altered by the varied speed of the moving segments. When the segments are at rest the landscape would be the most obscured by the blades, and as the segments move faster, the blades would start to disappear. The Wind Temple is still another conceptual proposal on a smaller scale that was designed to explore the potentials of a kinetic architecture. If built, this structure would be about 4 square metres and 8 metres tall. It was designed to be a small place to retreat to and experience the movement and sounds of the wind as it rotates 53 wind turbines, which are mounted all around the perimeter of the top cube form. A spiral staircase leads the occupant up through the center of the cube. This staircase is surrounded by a glass shield that protects the occupant from the rotating wind turbines. Once inside all of the wind turbines are seen through a glass wall which covers the entire interior of the cube. Parts of this glass

interior can be opened to allow for ventilation. As the wind turbines rotate during the day, they shade the cube part of the temple and at the same time generate electricity which is stored in batteries and can be used at night to illuminate the entire structure. When the wind blows, the wind turbines would move at different speeds depending on the resistance of each integrated electrical generator, as well as their specific location on each of the six faces of the cube. At night as the Wind Temple is illuminated from the inside, the blades of each turbine would throw shadows out from the cube in all directions onto the surrounding landscape.

Dreams and Visions

Much of my work explores the potentials of an interactive, shape shifting, space altering, architecture that can respond to changing needs and wants. The Space Time Transformation Foot Bridge is evidence of one of these explorations. This is a conceptual design proposal for a pedestrian bridge structure that would be made of glass and steel. The walkway through the bridge would be made of clear glass so people passing over it could see through the support frame to the terrain below. The outer shell of the covered portion of the structure would be made of glass impregnated with translucent solar cells that form a graphic grid around it’s circumference, partially shading the interior walkway. These solar cells which convert light into electricity would produce energy to illuminate the structure at night and to power the movement of the outer shell of the covered portion of the bridge. As people walk through the structure it would sense their motion patterns and respond by changing it’s shape accordingly. The covered portion of the bridge starts out as a pure segmented horizontally positioned cylinder that surrounds the walkway. Each segmented ring that makes up the cylinder is further segmented with hinges in such a way as to allow cables embedded within it’s frame to pull the outer shell up and out in different ways. As the outer shell of each segmented ring is pulled open and closed in different ways and at different speeds, it reveals an ever changing view of the surrounding landscape, and at the same time produces an ever changing shape shifting of the original cylindrical form. Another example of my interest in creating interactive changeable environments is a fabric structure called the Fabric Pavilion/Stage. The structure can not only change its shape, but also it’s color. This system of changeable parts can be used to create many different types of environments. The basic components can be used to develop large exterior structures such as pavilions, or scaled down to create such things as flexible work spaces, retail displays, or trade show exhibits. This system consists of a series of structural support frames which can be constructed from a kit of parts into many different shapes and sizes. At each end of each support frame section is mounted a roll of fabric or other types of flexible materials. These materials can be manually or automatically moved through the frames weaving in an out between the struts separating the edge portion of the frame. If fabrics of different colors are used, one piece can be connected to another so that the color of the structure can be changed as one end is rolled up while the other is unrolled and pulled through the frame. If the flexible materials are connected at one end to several fine cables, all the material can be rolled up at one end leaving part or all of the frame exposed. Many other options are possible including the use of large flexible photo images and graphics which can weave through the structure at different rates of speed. Also the use of scrims and transparent or translucent materials can be very effective as they are woven through the structures in various layers.

MICHAEL JANTZEN

Another type of flexible environment which I have recently explored is represented by the proposal called Atmosphere. This is a concept study for a special kind of lounge area made of glass and steel. If built it would be placed in a large public building such as an airport terminal. The top surfaces of the ramps, benches, and floor, would be covered with frosted glass and illuminated from below. Small LCD screens with images of brightly colored fish swimming from one screen to the next would be mounted throughout the structural frame. These fish images would respond in various ways to the occupants of the space. Sounds of water flowing and bubbles would also be heard as part of the total atmospheric experience. This kind of structure is also made from a kit of parts that can be assembled and disassembled in many different ways for both interior and exterior applications. Atmosphere also represents one of many structures I have designed that explore interesting ways of integrating passive and interactive media into the built environment. The most adventurous of these to date is the Virtual Reality Interface project (l’Arca 175). Here I suggested the development of media based physical environments that can appear to change shape and color simply by looking at them through specially designed eye glasses. In general I think that the places we inhabit influence our thinking very directly. I want to create places that become a conduit to a higher level of thinking that helps us move forward into the future in a way that better defines our existence.

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Wind Shade Roof ■ Studio

concettuale per la costruzione di grandi coperture rivestite da turbine eoliche. Le turbine eoliche ombreggiano lo spazio sottostante e, mentre ruotano, generano energia elettrica che alimenta i sistemi interni ed esterni alla struttura. In queste immagini, il progetto è utilizzato come copertura per una piscina in ambiente desertico e può fornire energia per l’illuminazione notturna, il riciclo dell’acqua, le pompe ecc.

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■ This

is a conceptual study for the construction of large roofs that are clad with wind turbines. The wind turbines shade the space below and at the same time as they rotate, they generate electricity to power whatever is under the roof and or anything around it. This particular roof is shown covering a large swimming pool in a desert environment. It would provide power for night lighting, pool maintenance, water pumping, etc.


Wind Turbine Observation Tower ■A

sinistra, proposta per una torre osservatorio dove le persone possono salire per ammirare il paesaggio circostante, mentre i cinque segmenti che compongono la struttura attivati dalla forza del vento ruotano in diverse direzioni. Nel ruotare, essi producono l’energia necessaria per illuminare l’edificio durante la notte. ■ Left, proposal for an observation tower that people can walk through to view the surrounding landscape, while the five wind activated segments of the structure rotate around them in different directions. While these segments rotate, they also produce electricity which is used to light the structure at night.

Interactive Fabric Pavilion ■ L’Interactive

Fabric Pavilion, un progetto concettuale per una struttura interattiva che può cambiare automaticamente la sua

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forma e colore, poiché la membrana di tessuto può essere tesa attraverso la struttura in modi diversi e a velocità diverse.

■ Interactive

Fabric Pavilion, a conceptual design for an interactive structure that can automatically change its color and shape, as the

fabric weaves through the support frame in different ways, and at different speeds.


Wind Temple ■ Se

costruita, questa struttura sarebbe larga 4 m e alta 8 m. E’ un piccolo rifugio con 53 mulini a vento che ruotano nel perimetro esterno del volume cubico. Una scala a spirale attraversa il centro del cubo, avvolta da una parete vetrata che protegge l’occupante dalle pale rotanti dei

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mulini. Quando i mulini ruotano generano energia elettrica che viene immagazzinata in batterie e utilizzata per illuminare la struttura. ■ If built, this structure would be about 4 m wide and 8 m high. It is a small place to retreat with 53 wind mills rotating all around the perimeter.

A spiral staircase leads the occupant up through the center of the cube, surrounded by a glass shield that protects the occupant from the rotating wind mills. As the wind mills rotate they generate electricity which is stored in batteries and can be used to illuminate structure.

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Space Time Transformation Foot Bridge ■ Lo

Space Time Transformation Foot Bridge è una proposta concettuale per un ponte pedonale in acciaio e vetro. Il piano di calpestio è in vetro. Il guscio esterno della porzione coperta è in lastre di vetro che incorporano celle solari traslucide le quali formano una griglia grafica attorno alla sua circonferenza, ombreggiando parzialmente l’interno. Queste celle solari convertono la luce in elettricità, generando l’energia necessaria a illuminare la struttura di notte e a determinare il movimento delle sezioni del guscio esterno. Quando la gente passa sul ponte, la struttura “sente” il loro movimento e risponde modificando la propria forma. La parte coperta del ponte è inizialmente un cilindro sezionato in orizzontale che avvolge il piano di calpestio. Ogni anello è ulteriormente segmentato con cerniere che permettono ai cavi inseriti nella cornice strutturale di tirare in fuori o spingere in dentro le porzioni del guscio. Questo consente di avere panoramiche sempre mutevoli del paesaggio esterno e, allo stesso tempo, una forma sempre diversa rispetto al cilindro iniziale. ■ The Space Time Transformation Foot Bridge is a conceptual design proposal for a pedestrian bridge structure that would be made of glass and steel. The walkway through the bridge would be made of clear glass. The outer shell of the covered portion of the structure would be made of glass impregnated with translucent solar cells that form a graphic grid around its circumference, partially shading the interior walkway. These solar cells which convert light into electricity, would produce energy to illuminate the structure at night and to power the movement of the outer shell of the covered portion of the bridge. As people walk through the structure it would sense their motion patterns and respond by changing its shape accordingly. The covered portion of the bridge starts out as a pure segmented horizontally positioned cylinder that surrounds the walkway. Each segmented ring that makes up the cylinder is further segmented with hinges in such a way as to allow cables embedded within it’s frame to pull the outer shell up and out in different ways. So it reveals an ever changing view of the surrounding landscape, and at the same time produces an ever changing shape shifting of the original cylindrical form.

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Atmosphere ■ Questo

progetto è una proposta per un tipo speciale di area di attesa in acciaio e vetro. Se costruita, potrebbe essere collocata in grandi edifici pubblici come per esempio un aeroporto. Le superfici delle rampe, delle sedute e del pavimento sarebbero coperte in vetro satinato e illuminate dal basso. Piccoli schermi a cristalli liquidi con immagini di pesci dai colori brillanti “nuoterebbero” da uno schermo all’altro attraverso tutta la struttura. Suoni acquatici avvolgerebbero gli utenti creando una esperienza totale di atmosfera marina.

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■ This

is a proposal for a special kind of lounge area made of glass and steel. If built it would be placed in a large public building such as an airport terminal. The top surfaces of the ramps, benches, and floor, would be covered with frosted glass and illuminated from below. Small LCD screens with images of brightly colored fish swimming from one screen to the next , would be mounted throughout the structural frame. Sounds of water flowing and bubbles would also be heard as part of the total atmospheric experience.

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Credits Project: Frigerio Design Group Design Team: Enrico Frigerio, Riccardo Casalegno, Federico Biassoni, Kirsten Scott, M.Reale, L.Biggi, D.Raimondo, Carlo Castelli Coordination, Engineering, Site Management: IRCI, Riccardo Casalegno, Gioacchino ivona Mechanical Plants Project: Claudio Mosca

Electrical Plants Project: Giuseppe Del Bo Project Manager and Production Lines: Franco Coppo Art Director: Enrico Frigerio Financing Plan: Pierluigi Coppo Main Contractor: CEA-Costruzioni Edili Albesi Alba Coordinator Building Contractor: Studio GI di Girola Enrico e

Gomba Nadia Prefabricated Components: Prelco Roofing: Cop Rem Metalworks: Martino Emanuele & C. Frameworks and Curtain Wall: Consorzio Stupino Cavallo & C. Painting: PI.A.EFFE.GI di Piscitelli Antonio e igli Lighting Systems: Disano Ing. Castaldi (exterior),

iGuzzini, Filippi (interior) Flooring: Record, SAM (exterior), GE Giussani (interior) Sunscreens: Novitalia False Ceilings: Bellaviti Doors and Partitions: GE Giussani Lifts: Otis Mechanical Plants and Air Conditioning: Termigas

Elecrical Plants and Security: Bonfiglio & Bandini Furniture: Unifor, Moroso, Faram Waterproofing and Insulation: Edil Bitumi Client: Sambonet

Matteo Piazza

Tra natura e design New Sambonet Factory

Progetto: Frigerio Design Group

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■ Nella

pagina precedente, la facciata del nuovo stabilimento con uffici della Sambonet realizzato a Orfengo Casalino (Novara). Il progetto è teso a esprimere l’identità dell’azienda di posateria e vasellame e si caratterizza per l’elevata cura del particolare e per la ricerca di equilibrio tra tradizione e innovazione.

■ Previous

page, the facade of the new Sambonet factory and offices in Orfengo Casalino (Novara). The project is designed to project the identity of firm manufacturing cutlery and crockery renowned for its attention to detail and attempt to find a balance between tradition and innovation.

e immagini a cui questo testo fa L riferimento, rappresentano la realizzazione dello stabilimento Sambonet, sorto nel territorio della provincia di Novara, a Orfengo Casalino: una struttura ideata per contenere la produzione e organizzare la vendita dei prodotti di arredamento e design domestico. La “fabbrica” tradizionale, luogo per eccellenza della produzione industriale, si fonde in questo caso con gli spazi per la vendita al pubblico, in un insieme architettonico e compositivo di grande rigore formale, caratterizzato da una altissima qualità edilizia e una particolare attenzione al rapporto con il territorio circostante. L’intero complesso è immaginato, nel suo insieme, quasi come un oggetto di design, a connettere con decisione le caratteristiche specifiche della produzione dello stabilimento, e la corporate image della Sambonet. Il paesaggio, la campagna novarese, da cui muove soprattutto il senso della progettazione architettonica, è quello familiare che si snoda lungo le strade rettilinee di collegamento tra i centri della pianura padana, e che costituisce lo sfondo naturale di molti dei nostri spostamenti quotidiani: grandi spazi aperti, risaie, filari di pioppi tra i quali negli ultimi

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decenni, numerosissime sono sorte strutture per la produzione industriale, la vendita, la grande distribuzione. Raramente questi interventi hanno saputo armonizzare forme e funzioni con l’immagine del territorio circostante, e il nuovo stabilimento Sambonet costituisce in questo senso un’eccezione. Una cultura del territorio, quello circostante lo stabilimento, caratterizzata, per certi aspetti, da grandi contraddizioni: pervasa da un lato dai ritmi della produzione e del commercio, ma dall’altro scandita anche dai riti secolari del mondo agricolo. Un mondo in qui comunque nonostante la convivenza di questi due aspetti, gli spostamenti su gomma sono così importanti da determinare il successo e la funzionalità degli equipaggiamenti produttivi a ogni livello. I nuovi edifici sorgono isolati rispetto agli insediamenti tradizionali, garantendo la possibilità di organizzare razionalmente gli spazi interni ed esterni in relazione alle caratteristiche specifiche della produzione e della vendita al dettaglio, aprendo tuttavia al contempo grandi prospettive per la sperimentazione architettonica, l’uso innovativo dei materiali edilizi, l’espressione compiuta di nuovi linguaggi compositivi. Le caratteristiche del territorio con-

■ In

basso, viste dell’ingresso del nuovo impianto industriale il cui design cerca di integrare armoniosamente l’ambiente naturale circostante e l’immagine tecnologica dell’azienda. Sotto, pianta del piano terra dell’edificio per uffici.

sentono di immaginare complessi che si sviluppano preferibilmente in orizzontale: grandi contenitori dall’aspetto altamente tecnologico le cui facciate assumono spesso la funzione di vero e proprio schermo grigliato, di confine tra gli spazi aperti e il mondo della produzione e della vendita, separati da sottili limiti costituiti dalle pareti vetrate. La campagna del Piemonte più orientale, che qui si confonde e si intreccia con il territorio lombardo, anche solo per cultura e tradizioni, diviene in questo caso elemento ispiratore del progetto architettonico, che nasce dal riconoscimento dei caratteri peculiari e costitutivi del paesaggio naturale circostante: dalla geometria dei tracciati stradali, alla suddivisione degli appezzamenti coltivati, al corso dei canali di irrigazione. L’impianto planimetrico è impostato quindi secondo uno schema cartesiano, che si sviluppa attraverso volumi essenziali nella propria definizione geometrica, conclusi in altezza da coperture piane articolate secondo livelli differenti. Questi volumi digradano e si riducono affacciandosi verso la strada a formare una grande vetrata, lunga un centinaio di metri, protetta da una griglia metallica costituita da grandi “palpebre” realizzate in

■ Bottom,

views of the entrance to the new industrial plant, whose design attempts to smoothly knit the surrounding natural environment into the firm’s high-tech image. Below, ground-floor plan of the office building.

lamiera forata. Questo schermo trasparente proietta, nelle ore di luce, gli spazi destinati agli uffici verso l’esterno, mentre rivela, nelle ore notturne, le attività che si svolgono all’interno. La composizione architettonica individua un modulo geometrico di base, a rappresentare l’impianto “cromosomico” dell’intera struttura – tutto il complesso edilizio è pervaso quindi dalla reiterazione del proprio DNA, attraverso la progettazione di aperture, portoni, griglie che si articolano e sviluppano secondo il proprio modulo base. I volumi che contengono le linee di produzione sono conclusi da semplici pannelli prefabbricati il cui aspetto è trasfigurato attraverso l’impiego di una serie di accorgimenti studiati in dettaglio: i giunti sono mascherati, mentre le superfici assumono l’immagine di grandi doghe la cui consistenza assume l’aspetto di una innovativa tamponatura quasi metallica, attraverso l’utilizzo di una finitura in graniglia di marmo a base di ebano nero e serizzo. Questo progetto di Frigerio Design Group è una sintesi emblematica della filosofia industriale che non lascia spazio al superfluo, ma ottimizza le sue risorse: uno stabilimento tra natura e design. Filippo Beltrami Gadola

■ In

basso, viste della fabbrica e pianta del primo piano. L’impianto planimetrico si sviluppa secondo uno schema cartesiano, con volumi compatti e lineari e tetti piani articolati su vari livelli. Le superfici dei prospetti sono ritmati da geometrie orizzontali che vibrano sotto i raggi del sole.

he pictures referred to in this T article concern the construction of the Sambonet factory in the province of Novara at Orfengo Casalino: a facility designed to accommodate the manufacturing and sales services of furnishing and home design products. In this case, the idea of a conventional “factory” traditionally serving industrial production knits in with public sales facilities to form an architectural/design unit of great stylistic precision featuring extremely high-quality building and special attention to interaction with the surroundings. The entire complex is designed ov rall almost like a design object to be forcibly connected with the specific features of the factory’s production range and Sambonet’s corporate image. The landscape and countryside in the Novara area that inspires this architectural design is that familiar setting of long roads linking together towns and cities in the Po Valley, which provides the natural backdrop for our daily travels: wide open spaces, rice fields and rows of poplars amidst which lots of industrial manufacturing, sales and large-scale distribution facilities have sprung up over the last few decades. These projects have rarely managed to

blend forms and functions in the surrounding landscape, but in this respect the Sambonet factory is an exception. In many ways the countryside around the factory is full of contradictions: the hectic pace of manufacturing and trade contrasts with the gentler rhythms of old-fashioned far life. Nowadays road transport is the crucial factor in the success and practical functioning of all kinds of manufacturing facilities. The new buildings are built away from their traditional settings, so that the interior and exterior spaces can be rationally organised to meet specific production and retailing requirements and, at the same time, to open up notable new prospects for architectural experimentation, the innovative use of building materials and proper expression of new stylistic idioms. The features of the landscape tend to favour horizontal constructions: large containers with a high-tech look whose facades often act as protective grilles, border-lines between opens spaces and the world of manufacturing and sales, separated by nothing but thin glass walls. The most easterly part of the Piedmont countryside, blending and weaving in with Lombardy (even just in terms of culture and traditions),

is here the inspiring force behind the architectural design, that derives from an acknowledgement of the peculiar features of the surrounding landscape: the geometric layout of roads, the dividing up into separate pieces of farm land and the paths of the irrigation canals. This means the site plan has been designed along Cartesian lines, featuring geometrically simple structures covered with flat roofs set at different levels. These structures gradually run down to road level to form a large glass partition measuring about a hundred metres in length and sheltered behind a metal grille formed of large “eyelids” made of perforated metal. This transparent screen projects the office spaces towards the outside during the daytime and reveals what is going on inside at nighttime. The architectural design features a basic geometric unit that represents the “chromosomal” structure of the entire structure - this means the entire building complex is a reiterated pattern of its on DNA in the form of openings, gates and grids, that gradually develop and unfold according to its base unit. The structures holding the production lines are enclosed in simple prefabricated panels, whose

■ Bottom,

views of the factory and first-floor plan. The site plan is designed along Cartesian lines, featuring straight, compact structures and flat roofs set at various levels. The surfaces of the elevations feature horizontal patterns vibrating in the sunlight.

physical appearance is transformed by the use of a number of carefully studied features: the joints are concealed while the surfaces look like huge slats big enough to seem like a new kind of metallic curtain walling thanks to the use of a marble grit made from ebony and serizzo. This project by the Frigerio Design Group sums up an industrial philosophy that leaves no room for anything superfluous and makes the best possible use of resources: a factory blending together nature and design.

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■A

destra, gli stampi per le posaterie. Sotto e nella pagina a fianco, particolari delle facciate protette da frangisole metallici e da uno schermo trasparente in lamiera forata. ■ Right, the moulds for the crockery. Below and opposite page, details of the facades sheltered behind metallic shutters and a transparent screen made of perforated metal.

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Dignità urbana Kennedy Building, Milan

Progetto: Rolando Gantes/Roberto Morisi

omanda: come trasformare un tipico anonimo edificio per uffici, D privo di personalità, di quelli che

turing work easier: the architectural designers found that columns were set out in a pattern that was more congenial for work space, despite the age of the structure (about fifty years old). The staggered structural layout was “almost neurotic”, as Morisi described it, so much so that the architects set about “polishing” or “smoothing” it and covering the two intersecting structures with an acute angle. The glass facade (prismatically designed by Seralwall) features horizontal “bull noses” supporting a decorative sunscreen made out of an extruded aluminium section serving “marking” purposes, as if thin lines had been drawn on the transparent glass with a lapis. Interesting use has been made of Repen stone from the Friuli region, only actually used at the foot of the building and then reappearing a bit higher up as a final allusion to how the building is closely related to the ground. Up above the six overground levels, we have the project’s most “surprising” sign, viz., that powerful yet, at the same time, light twin advertising board mentioned above. As regards the spatial logistics, what was previously the underground level is now the first floor, which can be entered on foot along a corridor. All the utilities have been shifted up higher. The plant-engineering is extremely elegant: Japanese technology has been used for the air-conditioning, so that freon (a highly polluting gas) can be replaced with methane. The use of a special type of outside glass meant the noise levels could also be lowered. Like the prince in Sleeping Beauty, the project, using high technology to send out a visually striking message, has managed to wake up a cumbersome old building that had been asleep for half-a-century, also instilling it with new urban dignity.

ingrigiscono da anni la già grigia Milano, in un manufatto con una propria specifica valenza architettonica, e non soltanto in quanto oggetto in sé, ma anche e soprattutto nel contesto dello skyline metropolitano? Risposta: attraverso un segnale potente, caratterizzante, che renda riconoscibile anche da parte del cittadino più distratto quello specifico edificio la cui memoria strutturale, anche per motivi strettamente economici, debba essere, nel contempo, conservata. È ciò che hanno fatto gli architetti Rolando Gantes e Roberto Morisi con il cosiddetto “edificio Kennedy” (dal nome della via in cui sorge), collocato in una posizione assai visibile anche da chi transita lungo le autostrade del nord milanese. L’emergenza dominante è in questo caso rappresentata da un doppio pannello pubblicitario che consta di due elementi sovrapposti, “riempibile” con cartellonistica o con display elettronici. Ed eccoci di fronte, dunque, a una sorta di “casa sandwich”, con finalità pubblicitarie ovviamente, ma anche di fronte a una particolarissima “antenna”, un simbolo del comunicare messaggi al mondo. Non va sottovalutato, poi, il ruolo di cucitura spaziale, nonché di segnale della presenza di un contenitore tecnologico. L’edificio, costruito nel 1962, è stato sede della Consult, un’azienda di elettrificazione di dighe. Oggi, dopo il recupero ospiterà ancora uffici, anche se il palazzo era nato originariamente come abitativo. Soltanto in fase di ultimazione lavori se ne modificò la destinazione. Il che ha finito, inconsapevolmente, per agevolare la ristrutturazione: i progettisti si sono infatti trovati di fronte a una distribuzione dei pilastri più idonea a spazi per il

lavoro, nonostante il tutto fosse assai datato (circa mezzo secolo). La volumetria era frastagliata, “quasi nevrotica”, dice Morisi, tanto che gli architetti hanno proceduto con una operazione di “lucidatura”, “levigatura”, e hanno ricoperto i due volumi che si intersecano con un angolo acuto. La facciata vetrata (realizzata prismaticamente da Seralwall) propone elementi orizzontali (bull noses) che supportano un frangisole ornamentale realizzato con un profilato estruso di alluminio. Interessante l’uso della pietra, quella friulana di Repen, usata solo alla base dell’edificio e ripresa poco più in alto come ultimo richiamo formale di legame alla terra. E, oltre i sei piani fuori terra, è collocato il segno che potremmo definire “a sorpresa” dell’operazione, ovvero quel potente ma allo stesso tempo leggero doppio pannello pubblicitario di cui s’è detto. Quanto alla logistica degli spazi, quello che era stato il piano interrato diviene il primo piano cui si accede pedonalmente attraverso una passerella. Tutti gli impianti, inoltre, sono stati portati in alto. E si tratta di una tecnologia impiantistica estremamente raffinata: basti pensare che per il condizionamento dell’aria è stata adottata una tecnologia giapponese che consente l’abolizione del freon, gas assai inquinante, e l’adozione, anche per il raffreddamento, del metano. Con l’utilizzo di un idoneo cristallo esterno, infine, si ottegono degli elevati valori di abbattimento acustico. Un’operazione che, ponendo l’alta tecnologia al servizio di un messaggio visivamente forte, è riuscita, come il principe di Biancaneve, a risvegliare da un sonno lungo mezzo secolo, un vecchio mastodonte edilizio. Fornendogli una propria dignità urbana. Michele Bazan Giordano

he question is: how can we transform one of those typically bland T office blocks totally lacking in personality whose dullness has been making Milan look even gloomier down the years, into a construction with its own special architectural qualities? And not just in terms of the building as an object in its own right, but also and most importantly as part of the city skyline. The answer is to turn it into a powerful landmark striking enough to catch the eye of even the most absentminded passer-by. At the same time its structural core must be held onto for strictly economic reasons. This is what the architects Roland Gantes and Roberto Morisi have achieved with their so-called “Kennedy building” (named after the street in which it stands) located in a highly visible position, even to motorists driving along the motorways to the north of Milan. In this case, the striking feature is a double advertising billboard made of two overlapping elements that can be “filled” with posters or electronic monitors. What we have, then, is a sort of “sandwich house” serving (needless to say) advertising purposes, but it is also a very special “aerial” sending out messages to the world. Not forgetting the way it knits spaces together, drawing attention to the presence of a technological container and actually crowning the entire construction. The building, constructed back in 1962, was the home of Consult, a firm specialising in the electrification of dams. Now, after carrying out the renovation work, it will once again house offices even though the building was originally designed for housing purposes. Its function was eventually changed after the work was completed. This inadvertently made the restruc-

Credits Project and Site Manager: PRP-Rolando Gantes Styling: Roberto Morisi Collaborators: Danila Brena, Stefano Reboli, Stefano Napolano Concreteworks Project: Gabriele Gerosa Plants Project: Raoul Cassinelli Landscaping: Giovanni Sala Security: Gennaro Baratta Contractor: Mangiavacchi Ing.R. Structural Facade: Seralwall Electrical and Mechanical Plants: Landi Floating Floors: Edilbeton Perugina Lifts: Kone False Ceilings: AMS-Steiner Joinery: Minotti Consulting Italia Landscape Realisation: Radaelli Stefano snc (Antonio Radaelli) Realisation: Antonello Manuli Finanziaria Owner: TC Sistema

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Paolo Emilio Sfriso ■ Viste

dell’Edificio Kennedy a Milano, attualmente proprietà e sede della TC Sistema. L’edificio è stato oggetto di un profondo adeguamento strutturale, tecnlogico-impiantistico e distributivo che ha sfruttato materiali e soluzioni high-tech, di alta

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qualità e durevolezza per ridefinire la funzionalità nell’uso degli spazi e dell’energia passiva, il confort degli ambienti interni e l’immagine estetica globale. Nella pagina di apertura, planimetria generale, e sezione trasversale.

■ Views

of the Kennedy Building in Milan, currently the home of TC Sistema. The building was radically redeveloped structurally and technologically, updating its layout and plant engineering drawing on durable high-quality hightech materials and

solutions to put the spaces to new uses, install passive energy systems, make the premises more comfortable and revamp its overall image. Opening page, site plan and cross section.

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La grande inclusione Drop House in Hertfordshire udson Featherstone, architetto londinese, nel pensare e nel H disegnare la Drop House, una casa unifamiliare nell’ Hertfordshire, ha tratto senza dubbio la sua ispirazione dai dettami spirituali e più significativi della storia dell’architettura: La main ouvert di Le Corbusier, a Chandigarh, fatta per ricevere le ricchezze del creato e l’impianto razionalista lecorbusieriano della Villa Savoye. Quello che più colpisce l’attenzione è l’aver pensato non solo alla luce tradizionale, come energia che descrive l’architettura, ma anche all’acqua capace anch’essa di segnare e di sottolineare le sue forme. E’ il senso usato da Le Corbusier, è la prerogativa del rapporto che l’architettura deve avere con le ricchezze della natura, è il desiderio di un senso di purificazione delle forme architettoniche quando si bagnano nella fonte battesimale del sapere progettuale. Questa architettura sembra benedetta per percorrere ancora una volta la strada della razionalità. E’ infatti proprio il razionalismo che è diventato la più pura delle espressioni dell’architettura, segnando un’era di profonda rivoluzione di pensiero. E’ su queste tracce che emerge la Drop House come memoria di un modello espressivo. E’, infatti, un’architettura capace di

servirsi, anche se in seconda battuta, della luce, che qui si unisce all’acqua: i due elementi trovano in questo progetto il luogo del loro sposalizio. In questo disegno la natura è dominante anche attraverso le geometrie dei suoi spazi interni, pensati flessibili e modificabili dall’uso delle pareti mobili. Così si dilatano e si rigenerano, nei contesi comportamenti di vita che si sgranano nel loro interno e che diventano le libere recite dei suoi utenti. E’ una voglia e, insieme, il desiderio di rendere lo spazio dell’uomo sempre più adatto al vivere contemporaneo e sempre più consono al desiderio, ormai sfrenato, di partecipazione alla natura. La continuità, che Hudson Featherstone pone in questo progetto, è fortemente legata a un forte desiderio di rigore geometrico e di essenzialità, proprio nel modo in cui l’architettura è stata in grado di esprimersi durante il periodo razionalista. E’ solo quel razionalismo di alta qualità, che ha scrutato il numero della natura e, fra l’altro, ben sapeva che il fenomeno naturale ha scelto per esprimersi valori e numeri molto più complessi, e che diventa irraggiungibile anche se espresso da grandi maestri. Su tutto ciò sarebbe doveroso un dibattito perché vi sono forti motivi per i quali

l’architettura è destinata a evolversi, dialogando proprio con l’uomo e con la natura che lo circonda. Si vede, in questo caso particolare, lo sforzo di una determinata ispirazione al suo intorno naturale; forse, più di ogni altra cosa, questo è stato l’elemento all’origine del progetto. L’Hertfordshire si adagia infatti nella fiorente valle del fiume Lea, dove sono proliferate le fabbriche di malto e di birra a seguito della ricca coltivazione d’orzo della zona. Affascinati dalla serenità di questa natura sono stati anche i Romani di Giulio Cesare, che vi fondarono il municipio di Verulamium, a ricordo di Veroli, una città laziale anch’essa contornata da un simile ambiente. In questo modo, la stabilità delle forme della Drop House preclude al senso della loro dinamica e riesce a colpire, in modo percettivo, l’idea con la quale Hudson Featherstone è giunto a realizzare la sua progettazione. Pare strano, ma la sua forma è così evidente che potrebbe anche essere rilevata dalla geometria delle orbite dei pianeti o dalla formazione della schiuma in un boccale di birra o, ancora, dalle modalità con cui si fissa il confine di un uso linguistico dell’architettura. Questo progetto, con il suo rigore espressivo, si colloca proprio contro l’opinione comune con la quale si

Progetto: Hudson Featherstone

Credits Project Hudson Featherstone: Anthony Hudson, Sarah Featherstone Contractor: Lad Construction Structural Engineering: Techniker

Services Engineering: Mendick Waring Quantity Surveyor: Dobson White Boulcott Styling: Michelle Ogundehin, with furniture selection in collaboration with Twentytwentyone

esaltava il razionalismo come pura matematica da cui traeva la forza delle sue esatte determinazioni formali; queste, oggi, sono incorporate nella potenza degli attuali computer. E’ qui che Hudson Featherstone pensa che nell’acqua sia depositata l’arte dell’interpretazione, paragonabile, per certi versi, al mito e alla profezia. Senza dimenticare, però, che la matematica è sempre una magia che funziona. Ma l’efficacia pratica dell’acqua di per sé non basta. Occorre l’arte edificatoria, la matematica dell’equilibrio delle forme e, insomma, la vera architettura destinata ad aumentare l’intelligibilità. Occorre quindi unire alla verità, propriamente detta, lo spazio: l’interesse. E’ pur certo, come dice René Thom, che quello che limita il vero non è il falso, ma l’insignificante. Ecco, allora, come questo progetto invita al dibattito sull’annoso e continuo evolversi dell’architettura, perché è in questo modo che diventa un modo di essere che non si ferma, che continua a divenire con l’uomo, con le sue necessità e con l’ansia che ha di scoprire i suoi nuovi bisogni. Viene da congedarsi dalla Drop House e da Hudson Featherstone dicendo che l’unico modo in cui l’acqua può riposarsi è quello di muoversi continuamente. Mario Antonio Arnaboldi

udson Featherstone, an archiH tect from London, has evidently drawn inspiration from the most spiritually meaningful dictates in the history of architecture in designing the single-family Drop House in Hertfordshire: Le Corbusier’s “La main ouverte” in Chandigarh designed to take hold of the full richness of nature and also the rationalist site plan of his Ville Savoye. The most striking thing of all is the way he has not just pondered over conventional light as energy used to design architecture, but also water’s ability to mark and emphasise its forms. This is what Le Corbusier was getting at; it represents architecture’s special relationship with the variety of nature and a desire to purify architectural forms when they are dipped in the baptismal font of design know-how. The architecture here seems to be blessed to run once again along the lines of rationalism, which developed into the purest of architectural forms, marking an era of profoundly revolutionary thinking. This is the background against which Drop House emerges as a reminder of a stylistic form. The architecture is capable, if only in second places, of making use of light as it merges with water:

the two elements are perfectly wed in this particular design. Nature takes control partly through the geometric patterns of its interior spaces, which are designed to be flexible and adjustable through the use of mobile walls. These spaces open up and are regenerated in the everyday life that goes on inside them, providing their inhabitants with the means to express themselves. This represents both the will and desire to make the space in which we live more suitable for modern-day life and more closely geared to the pressing need to get involved with nature. The continuity that Hudson Featherstone has injected into this design is closely linked to a powerful desire for geometric precision and simplicity, as epitomised in the architectural design of the rationalist period. More specifically, that high-quality rationalism that scrutinised the numerical side of nature and, amongst other things, was acutely aware that nature has chosen much more complex numbers and values to express itself, placing it out of reach of even the greatest of architectural masters. This is all worth discussing in greater depth, because there are very good reasons for supposing

■ Nella

pagina a fianco, sezione longitudinale della Drop House in Hertfordshire. Sotto, a sinistra piante del piano terra e del mezzanino; a destra, sezione trasversale e pianta del livello superiore.

that architecture is destined to develop through interaction with people and the natural environment surrounding it. In this particular case, we can see just how much effort has been made to draw inspiration from the natural surroundings; this is perhaps the grounding feature behind the entire project. Hertfordshire actually nestles in the luscious valley of the River Lea, where breweries have also flourished from the rich harvests of barley in the area. Julius Caesar’s Roman troops were enchanted by the peacefulness of the natural environment here, founding the town of Verulamium designed like Veroli, a city in the Latium region located in a similar setting. The stability of Drop House’s forms contrasts with their dynamism and we are bound to be struck by the way in which Hudson Featherstone has set about the design. It may seem strange, but its form is as precise as the orbits of the planets or the froth that forms on a pint of beer or even the way in which the boundaries are set on the use of an architectural idiom. The stylistic precision of this design goes against the popular belief that rationalism was a form of pure mathematics from which it drew

■ Opposite

page, longitudinal section of Drop House in Hertfordshire. Below, left, plans of the ground floor and mezzanine; right, cross section and plan of the upper level.

the strength of its precise formal determinations; nowadays, this is all incorporated in the power of modern computers. This is why Hudson Featherstone thinks that water holds the secret of the art of interpretation, comparable in certain respects to myth and prophecy. Without forgetting that mathematics is magic that actually works. But water is not enough on its own. It also takes building skill, the mathematics of forms and, in a word, real architecture designed to make things more intelligible. This means real truth needs to be combined with space: this creates interest. As René Thom rightly claims, the opposite of true is not false but meaningless. This is how this design invites us to take a look at architecture’s struggle to progress, because this is how it turns into a way of being that never stops, but continues to develop with people and all their demands and anxiety to discover new needs. The best way to leave Hudson Featherstone and his Drop House is to point out that the only way water can stand still is to keep moving.

1. Taverna/Undercroft 2. Garage 3. Atrio/Entrance Hall 4. Camera ospiti/Guest Bedroom 1 5. Camera ospiti/Guest Bedroom 1 6. Camera ospiti/Guest Bedroom 2 7. Camera ospiti/Guest Bedroom 2 8. Magazzino/Store 9. Magazzino principale/Main Store 10. Cucina/Kitchen 11. Servizio/Utility 12. Salone/Living Room 13. Studio/Study 14. Terrazza dello studio Study Terrace 15. Stanza AV/AV Room 16. Terrazza della camera Bedroom Terrace 17. Camera principale Main Bedroom 18. Bagno principale Main Bathroom 19. Spogliatoio/Dressing Room 20. WC 21. Sgabuzzino/Store 22. Bagno bambini Children’s Bathroom 23. Camera bambini Children’s Bedroom 1 24. Camera bambini Children’s Bedroom 2 25. Galleria/Gallery

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Tim Brotherton

■ La

Drop House ha una struttura in acciaio e legno ed è caratterizzata dall’inclusione di un volume ovale che contiene tutte le aree di servizio della casa.

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■ Drop

House is made of steel and wood and encloses an oval structure holding all the house’s utility areas.

■ Gli

interni della Drop House sono caratterizzati da una grande flessibilità d’uso e dalla fluidità dei percorsi. Al bianco uniforme dell’esterno, l’interno contrappone l’uso di diversi materiali che, insieme a tappeti colorati e a diversi tipi di illuminazione lo rendono colorato e cangiante.

■ The

interiors of Drop House are highly flexible to use and smoothly set out. In contrast with the all-white exterior, the interior draws on various materials which, together with coloured carpets and different types of lighting, make it bright and sparkling.

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Tecnologia di luce Peninsula House, Breamlea

Progetto: Sean Godsell

estinazione funzionale, scelta dei materiali, rapporto comD mittente progettista e quant’altro

raction between space and structure. Built in Breamlea, a well-known tourist resort on the south-east coast of Australia, Peninsula House is buried in greenery. It blends into the landscaping and actually draws on it for its building material: wood. This exuberant natural setting provides the backdrop for an architectural event playing entirely on the simplicity of a box “designed” by Sean Godsell, who has focused on the fluidity of the living quarters in contrast with the stylistic minimalism of the outside structure, that actually looks like a simple container of spatial functions and emotions. The rooms and corridors run in one single direction, in the sense that the ideal pathway does not follow any particular hierarchy but is simply an invitation to constant discovery, a crossing through various zones as a spatial experience that moves beyond the function of living. Of course, as is usually the case with Australian houses, the veranda is the most frequented part of the house, a privileged place where inside and outside mingle together and people can wander into the surrounding environment without leaving their home. One of the most intriguing optional extras are the wide wooden grilles, which, in addition to providing protection and controlling the sunlight, also seem to be designed like sound instruments sensitive to the sea breeze and capable of vibrating as the wind varies in strength. The area of Breamlea is always windy, something the locals are quite used to and actually make money from by generating cheep wind energy through huge eolic installations.

unctional purpose, choice of materials, the relationship F between architect and client and so forth, are standard and advisable practices, although sometimes alternative means may be sought for. Having moved beyond conventional methods, spaces can be arranged according to a sort of theory of weaving together relations. For instance, an architect might try to focus more on stylistic design. Emphasising, say, how space and image are related. In the case of Peninsula House this can clearly be seen in the concatenation of functional spaces serving domestic purposes and the “abstract” spaces, which can only be noted if you know what the architect had in mind. Indeed, certain architectural procedures call for a certain awareness and co-operation on the part of the user-observer of the architectural space. For example, Peninsula House’s veranda really springs from a reference to Picasso’s and Braque’s Cubism more than the functional side of space. In other words, there are those who are not just interested in placing a roof over their client’s head, but also try to draw on interesting theories, perhaps already used in the past but still of considerable interest from a design viewpoint. Examining, for instance, the work of masters like Robert Mallet-Steven, whose architecture actually refers stylistically to the idioms of early-20th century art. Looking for added value from extensions that move beyond function seems to be part of modernday approaches to design. At least for some stylistic types, such as houses, where there is deeper inte-

E. Carter

sono percorsi canonici e consigliabili ma, a volte, c’è chi ricerca altri orizzonti. Una volta superati i percorsi usuali, si possono organizzare gli spazi attraverso una sorta di teoria dell’intreccio fra più relazioni. Può accadere infatti che il progettista vada alla ricerca di un maggiore approfondimento progettuale. Per esempio quello fra spazio e immagine. Nel caso della Peninsula House ciò appare evidente nella procedura dei concatenamenti fra gli spazi funzionali destinati all’uso domestico e gli spazi “astratti”, ovvero quella dimensione percepibile solo conoscendo l’intenzionalità del progettista. Alcune procedure dell’architettura prevedono, infatti, la collaborazione e la sensibilità dell’osservatore-fruitore dello spazio architettonico. La veranda della Peninsula House, per esempio, nasce come citazione al cubismo di Picasso e di Braque prima ancora che come spazio funzionale. Insomma, c’è chi progetta non solo per dare un tetto al committente ma anche cercando di recuperare interessanti teorie, magari già impiegate in passato ma ancora di notevole interesse progettuale. Per esempio, guardando il lavoro di maestri come Robert Mallet-Steven, che aveva fatto della sua architettura il referente formale dei linguaggi dell’arte dei primi anni del Novecento. La ricerca di valore aggiunto attraverso estensioni oltre la funzione appare dunque far parte di percorsi progettuali contemporanei. Almeno per alcune tipologie come la residenza, dove il rapporto fra spazio e corpo è di più intenso coinvolgimento.

Realizzata a Breamlea, nota località turistica situata sul litorale sudorientale australiano, la Peninsula House sorge in mezzo al verde e con esso si integra, sia per la forma sia per il materiale impiegato, il legno. L’ambiente naturale nella sua più esuberante espressione è dunque lo sfondo di una messinscena architettonica tutta giocata sull’essenzialità della “scatola” ideata da Sean Godsell, che ha privilegiato la fluidità degli spazi abitativi contrapponendola al minimalismo compositivo del volume esterno fino a farne un puro contenitore di funzioni ed emozioni spaziali. Ambienti e percorsi sono sequenziali e omnidirezionali, nel senso che il percorso ideale non ha particolari direzioni gerarchiche ma è un invito alla continua scoperta, all’attraversamento delle varie zone come esperienza spaziale oltre la funzione dell’abitare. Naturalmente, come è d’uso nelle case australiane, la veranda rappresenta il luogo domestico più frequentato dell’abitazione, il luogo privilegiato in cui avviene lo scambio fra esterno e interno, dove ci si può immergere nella natura circostante senza uscire di casa. Tra gli optional di pregio, ampie grigliature di legno che, oltre ad assicurare protezione e controllo della luce solare, sembra siano state pensate anche come particolari strumenti sonori, sensibili alle brezze marine e in grado di vibrare alle diverse intensità del vento. E a Breamlea il vento è una condizione permanente, di cui i suoi abitanti si servono per trarne beneficio economico attraverso giganteschi impianti per la produzione di energia eolica a bassissimo costo. Carlo Paganelli

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Creatività virtuale Technique and Imagination 66 l’ARCA 178

entre l’architettura ingloba nel suo lessico tecnologie rchitecture incorporates consolidated technologies in the M A consolidate nei vari settori della ricerca scientifica e various sectors of scientific research and entertainment, dell’intrattenimento, come provano le abitazioni “intelligenas proved by “intelligent “ housing, which is gaining more ti” che stanno prendendo sempre più piede, seguendo l’esempio di Montgomery Village, in Canada o di Celebration, la città della Disney a Orlando, le architetture immaginarie della scenografia cinematografica trovano una fattibilità concreta anche nei mondi della scienza e della tecnica. Syd Mead, “Visual Futurist Designer” (come egli stesso desiderò essere definito, nei credit di Blade Runner ) ha elaborato negli anni diverse immagini di un futuro che fa proprie tecnologie sofisticate e suggestioni antiche. Dal mitico Blade Runner a Tron, Star Trek, Mars Attack o 2010: l’Odissea continua la progettazione di futuri mondi possibili passa attraverso tecniche di disegno e bozzetto tradizionali, unite a sofisticati software per la creazione di mondi virtuali. Ed è proprio la capacità di coniugare la tradizione con le ultime invenzioni nel campo della tecnica e della computer graphics a rendere i suoi mondi così catartici e “reali”, perché anche le tecnologie più sofisticate hanno bisogno di un’idea di base che le supporti e ne giustifichi l’uso. Se in Blade Runner affiora l’amore per il passato, con le architetture bizantine e gotiche, fino alle più antiche azteche e d egiziane, in Colony Race emerge tutta la sua esperienza nel campo delle tecnologie più avanzate (vedi i rapporti con l’Award Styling Studio della Ford Motion Company o con il Philips Design Centre), creando un ponte tra i mondi di un futuro possibile e quelli concreti dell’architettura e della tecnica ingegneristica. In questo cortometraggio digitale (sintesi virtuale dell’incontro con la 3search di Torino), dove ogni singola macchina ha i requisiti tecnici per essere realizzata, ci muoviamo seguendo un “qualcosa o qualcuno” che, eludendo tutti i sistemi di sicurezza di un inquietante mondo “futuro”, ci mostra la fragilità della sua ostentata sicurezza, fluttuando liberamente tra le sue astronavi dal design sofisticato e innovativo. E’ un interessante sodalizio quello che si crea tra la società di Syd Mead, la Oblagon, e la 3search (che si occupa di transportation design, industrial design, animazione 3D, XSI e Maya dell’Alias Wave-front ), un filo diretto tra Torino e Los Angeles, come testimonia anche la UMU1 (unità mobile urbana) presentata al 68° Salone Internazionale dell’Automobile di Torino. Il veicolo a quattro ruote, con un piccolo motore a combustione interna e uno elettrico con connessioni di tipo reverse charge-back, ideale per il trasporto urbano, ha suscitato grande interesse nel settore, non solo per il design raffinato e confortevole, ma anche per le innovazioni tecnologiche. L’interscambio di competenze tra mondo reale e virtuale trova altri esempi illustri nel campo della fiction cinematografica con la ricerca che da anni porta avanti Scott Anderson, (Special Effect Supervisor, famoso per Babe, vincitore dell’Academy Awards del’95, James and the Giant Peach, Starship Troopers). Nell’ultimo film The Hollow man (L’uomo invisibile, nella versione italiana di Paul Verhoeven) si è avvalso dell’esperienza di medici anatomisti, per ricostruire digitalmente il corpo umano, dandoci una riproduzione, per la prima volta perfetta, del suo movimento, grazie anche a una progettazione, durata due anni, che è partita proprio dalla realtà interna dell’architettura umana, ricostruendo i singoli muscoli, responsabili del movimento degli arti. “Cercare di semplificare il corpo umano vuol dire avere anche dei movimenti semplificati: non ci sono parti del corpo di cui non abbiamo bisogno” dice Scott Anderson ed è per questo che ogni frame ha richiesto dalle 5 alle 25 ore di lavoro, unendo tutti i processi di modellazione, di tecnica facciale e di effetti “invisibili”nella elaborazione di ciascun elemento. Il risultato ha dell’incredibile: nella sparizione graduale del protagonista, in continuo movimento, (prima la pelle, poi le vene, le arterie, i muscoli e infine lo scheletro) appare la perfezione del corpo umano in tutte le sue parti, come mai ci era capitato di vedere. La grossa intuizione di Scott Anderson sta proprio nell’essere partito dalla reale anatomia umana ed essersi mosso come uno “scienziato”, capovolgendo l’idea di movimento perseguita fino a oggi dai vari progettisti virtuali, spostando l’attenzione dall’esterno all’interno di quella macchina complessa che è l’uomo. Le nuove tecnologie sono destinate a modificare sempre più la realtà e il nostro modo di vivere, dandoci nuove possibilità di interazione con ciò che ci circonda, (vedi gli sviluppi dell’interattività nell’arte o nel settore museale); allo stesso modo l’immaginario scenografico di mondi futuri cambierà le nostre aspettative e la nostra capacità di immedesimazione. Esther Musatti

and more ground, following the example of Montgomery Village in Canada or Celebration, the Disney city in Orlando. On the other hand, the imaginary architecture of set designing is actually becoming feasible in the worlds of science and technology. Through the years, Syd Mead, a “Visual Futurist Designer” (as he wished to be defined in the Blade Runner credit list) has elaborated various images of a future that absorbs both sophisiticated technologies and ancient splendor. From the mythical Blade Runner to Tron, Star Trek, Mars Attack or 2010: The Odyssey continues, the design of possible future worlds makes use of both traditional designing and modeling techniques and of sophisticated software for the creation of virtual worlds. And what makes Syd’s worlds so cathartic and “real” is precisely the ability to put tradition together with the latest inventions in the field of technology and computer graphics. Because even the most sophisiticated technologies need a fundamental, supportive philosophy that can justify their use. While in Blade Runner the love for the past emerges with Gothic and Byzantine architecture, going way back, even to Aztec and Egyptian structures, in Colony Race what appears is all of Syd’s experience in the field of more advanced technologies (consider his relationship with the Ford Motion Company’s Award Styling Studio or with the Philips Design Centre). He creates a link between the worlds of a possible future and the concrete worlds of architecture and engineering techniques. What we are experiencing is a digital short (virtual synthesis of the encounter with the 3search of Turin) where every single machine has the necessary technical requirements for its realization. We are following the subjective nature of “something or someone” which or who eludes all of the security measures of a disturbing “future” world. A world that shows us the frailty of its flaunted security, as we freely drift among its sophisticated and innovative spaceships. The alliance created among Syd’s society, the Oblagon and 3search (which deals with transportation design, industrial design 3D animation, XSI and Maya of the Alias Wavefront) is very interesting, a direct link between Turin and Los Angeles, as shown by the UMU1 (urban mobile unit), presented at the 68th International Motor Show in Turin. The fourwheel vehicle, which is supplied with both a small, internal combustion engine and an electric engine with reverse charge-back connections, is ideal for urban transport, and has aroused a great deal of interest in the sector, due not only to its refined and comfortable design, but also to the technological innovations involved in its production. The interchange of competence between the real and virtual world finds other renowned examples in the movie sphere with the research that Scott Anderson (Special Effects Supervisor, famous for Babe, the winner of the 1995 Academy Awards, James and the Giant Peach, Starship Troopers) is still carrying on. In his latest movie, The Hollow Man by Paul Verhoeven, he made use of anatomists and their experience. Thus, thanks to the use of digital techonology, for the first time he managed to reconstruct the human body, giving us a perfect reproduction of its movement. After 2 years of work, that started precisely with the internal reality of human architecture, he pieced together every single muscle responsible for the movement of the limbs. “Simplifying the human body also means simplifying movements: there are no parts of the body we can do without”, says Scott Anderson, and this is why each frame required from 5 to 25 hours of work, putting together all the processes of modeling, facial technique and “invisible” effects in the elaboration of each single element. The result is incredible: within the gradual disappearance of the protagonist, which is continually active (first skin, then veins, arteries, muscles and finally the skeleton), the perfection of the human body in all of its parts appears to us as it has never appeared before. Scott’s deep insight lies precisely in his having started out from human anatomy and having acted as a “scientist”, reversing the idea of movement which had been followed by virtual designers until today and shifting our attention from the exterior to the interior of that complex machine: man. New technologies are ever bound to modify reality and our way of life, offering us new possibilities of interaction with our surroundings (think of the developments of interactivity in art or in the museum sector). In the same way, the imaginary set designing of future worlds will change our expectations and our identification abilities.

■ Il

modulo spaziale LDM, disegnato, come le immagini delle pagine successive, da Syd Mead. ■ The LDM space moduledesigned by Syd Mead, as the images in the following pages.

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■ Nella

pagina a fianco, l’automobile/opposite page, the car Nurb. In questa pagina, in basso/this page, bottom, Copter; al centro/in the middle, Dropship; in alto/top, MarsRover.

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■A

destra, disegno per/right, drawing for Johnny Mnemonic. Sotto e nella pagina a fianco, disegni per/below and opposit page, drawings for Blade Runner.

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■A

destra, l’auto/right, the car Mechplan. Sotto, rendering per il/below, rendering of the Virtual Zoo.

■ Sopra,

l’astronave above, the spaceship Mother. A sinistra/left, citycar UMU (Urban Mobility Unit). Sotto, il veicolo/below, the vehicle Gomo4.

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A

di/by Claudio Chesi

rchitettura e nuovi materiali

un fatto acquisito che l’avvento di nuovi materiali e le raffinate possibilità di controllo di quelli appartenenti alla tradizione ha segnato in modo determiE’ nante lo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni. L’affermazione si applica, in modo particolare, anche al caso dell’architettura e dei materiali da costruzione, dove si è assistito a un eccezionale ampliamento delle possibilità espressive. Come esito di una pluriennale esperienza didattica di ingegnere fra studenti di architettura, mi sono spontaneamente trovato nella necessità di sviluppare una riflessione su questo particolare tema: come la piena libertà d’espressione è fondata sulla conoscenza delle esigenze imposte dalla fisica nell’uso del materiale; in sintesi estrema, le esigenze dell’equilibrio e della resistenza, nelle quali vanno riconosciuti i criteri fondamentali che guidano la distribuzione della materia nel dar forma alla costruzione. Il primo tema, quello dell’equilibrio, mette in luce tutto il suo significato progettuale se lo si riconduce alla funzione della costruzione di fornire ai carichi un percorso verso il terreno: al pari di una rete stradale o di comunicazioni, anche la costruzione deve essere analizzata dal punto di vista dell’efficienza dei percorsi, e cioè dei flussi delle forze che la percorrono. Flusso semplice e diretto significa sistema efficiente; percorso articolato e complesso implica, in una buona progettazione, la necessità di appagare requisiti particolarmente impegnativi. La disciplina che oggi sta acquistando particolare rilievo come formalizzazione di questa particolare tematica, il conceptual design (o concezione strutturale), vede congiungersi gli interessi dell’architetto e dell’ingegnere in una prima concretizzazione del progetto attraverso la definizione dello schema geometrico della struttura, intesa come parte resistente della costruzione. La fisica dunque si traduce in geometria strutturale e quindi nel primo, ineludibile disegno della costruzione. La quale potrà, nel suo esito finale, riprodurre, mascherare o esaltare il disegno della “rete strutturale”; questo ha a che vedere con la libertà d’espressione dell’architetto, ma resta saldo il punto che difficilmente si porta a termine un buon progetto se non si è primariamente concepito lo schema dell’apparato resistente, o ossatura portante, o semplicemente struttura. Individuato lo schema geometrico complessivo della struttura, la piena definizione del disegno richiede la caratterizzazione dimensionale di tutti gli elementi che la compongono. Questo secondo passo si riconduce al problema fisico della verifica della resistenza, il quale, essendo intrinsecamente legato alla specificità del materiale, ci riporta al tema centrale di questa riflessione. Il criterio di non eccedere le risorse di resistenza del materiale si traduce in disegno della struttura attraverso una serie di prescrizioni sulla forma e sulle dimensioni dei suoi elementi. In questo modo di procedere consiste la rivoluzione apportata da Galileo al problema del progetto: non basta, dice Galileo, il ricorso a “forme strutturali” cui la tradizione costruttiva abbia dato credito; occorre anche la corretta definizione delle dimensioni. Si mette così in moto, per merito di Galileo, lo sviluppo dell’apparato di calcolo che consentirà di fare chiarezza su una serie di problemi. Quello dell’arco in pietra, per esempio, che è sicuramente una “forma strutturale valida”, ma che richiede uno spessore tale che la linea delle pressioni sia contenuta nel “terzo medio”; solo così è assicurata la condizione imposta dalla muratura: l’assenza di sforzi di trazione. Di ben maggiore importanza dell’arco, dal punto di vista del numero delle applicazioni, sarà il problema della trave inflessa, in cui, a differenza dell’arco, la trasmissione dei carichi si basa sulla presenza simultanea di stati di sforzo di trazione e compressione. E’ la conoscenza di questo meccanismo che spiega i limiti di impiego di architravi in pietra e di travi in legno e che rivela perché il modello in scala ridotta di una struttura ne falsi, esaltandole, le caratteristiche di resistenza. Ma soprattutto, la conoscenza del meccanismo della flessione apre la strada al progetto della trave, nel senso di poterne determinare il rapporto fra luce e spessore in relazione al materiale prescelto; un problema che, dal punto di vista ingegneristico, ha il significato di poter dimostrare che le risorse di resistenza del materiale sono rispettate, mentre, dal punto di vista dell’architettura, presenta l’interesse di poter definire l’ingombro della trave. Di nuovo, la scelta del materiale si traduce, attraverso un idoneo apparato di calcolo, in disegno della struttura. Un disegno, si deve notare, che non riguarda le sole dimensioni, ma anche la forma. La soluzione del problema della flessione è basata infatti sul valore del momento di inerzia, e quindi sul modo di distribuire il materiale per formare la sezione. Un problema che si legge, in senso fisico, come di minimo peso e massime prestazioni; in senso architettonico, come di scelta di una sagoma. Risiedono qui le motivazioni della sezione articolata piuttosto che piena, della preferenza da accordare a sezioni simmetriche e dell’efficacia di quelle tubolari. L’effetto dirompente del favorevole incontro di nuove conoscenze fisiche e nuovi materiali è testimoniato, nella storia delle costruzioni, dall’avvento dell’acciaio, che segna l’inizio di un’epoca nuova, dal punto di vista sia delle soluzioni tecnologiche sia delle possibilità espressive. Questa doppia rivoluzione legata all’acciaio è radicata in alcuni aspetti del comportamento fisico del materiale: la soglia di resistenza, che si eleva almeno di un ordine di grandezza rispetto ai materiali precedentemente in uso (legno e muratura), e la simmetria di comportamento in trazione e compressione. Già il legno, in verità, era disponibile come materiale resistente a trazione, fortemente penalizzato, peraltro, dai limiti dimensionali degli elementi realizzabili, 74 l’ARCA 178

dalla mancanza di isotropia conseguente alla natura fibrosa, nonché dalle caratteristiche di durabilità nel tempo. Le conseguenze di questa innovazione sul piano della tecnologia degli elementi costruttivi e della costruzione nel suo complesso sono così forti da imporre un nuovo linguaggio all’architettura. In conseguenza delle elevate proprietà di resistenza, la sezione viene scavata e sagomata come la teoria suggerisce: alle sezioni piene, rettangolari e circolari, si aggiungono così quelle a profilo sottile, con le classiche forme a I, a T, a C, a L; sempre in conseguenza delle doti di resistenza, il disegno della trave cambia sostanzialmente, sia per estensione delle luci coperte, sia per rapporto fra luce e spessore dell’elemento. Ma anche la trave viene ora scavata e ridotta all’essenza, riproducendo, con la sua stessa sagoma, il flusso delle forze che la percorrono: alla trave a parete piena si aggiunge la trave reticolare, che introduce un disegno completamente nuovo e, al tempo stesso, la possibilità di spaziare su luci precedentemente impensabili. Ed infine anche nell’involucro dell’edificio si scava, riducendolo ai suoi elementi indispensabili, travi e pilastri: dalla costruzione in muratura portante si passa al telaio, una evoluzione che va letta come passaggio dall’elemento bidimensionale a quello monodimensionale. A proposito del rapporto fra fisica del problema e disegno dell’elemento strutturale: l’avvento dell’acciaio ha portato con sé, insieme alla riduzione estrema della sezione resistente, il problema dell’instabilità degli elementi compressi. In questo caso, più che mai, un’esigenza della statica si traduce in una regola di disegno della struttura: elementi tesi ed elementi compressi vengono a individuare due categorie distinguibili e semplici operazioni geometriche, come il ribaltamento dell’arco nella fune o l’inversione dell’inclinazione di una diagonale all’interno di una trave reticolare, mutano il dimensionamento della sezione dell’elemento. E’ anche merito dell’acciaio se, con l’inizio del Novecento, si apre il nuovo grande capitolo, nel mondo dei materiali da costruzione, del calcestruzzo armato. Anche in questo caso la peculiarità di base del materiale, la plasmabilità, ha direttamente a che vedere con nuove possibilità di disegno della struttura. Si rafforza la concezione della costruzione sorretta da un’ossatura portante, entro cui viaggiano le azioni convogliate verso le fondazioni, con una chiara distinzione di ruoli fra ciò che è portante e ciò che è portato. Il nuovo materiale introduce, dal punto di vista delle proporzioni tipiche richieste a travi e pilastri, nuovi rapporti dimensionali; ma soprattutto, pone in evidenza una differenza di fondo sulla natura e sull’aspetto dei due tipi di telaio, in cemento armato o in acciaio: tipicamente continuo il primo, in quanto originato da un unico getto, e tipicamente disarticolato il secondo, nel quale il problema delle connessioni viene a costituire un aspetto significativo e caratterizzante nel disegno della struttura. La storia degli ultimi decenni, col diffondersi della precompressione e della prefabbricazione, ha introdotto, nell’ambito del calcestruzzo armato, nuove forme e rapporti dimensionali, che sono venuti a porsi come linguaggio spesso ineludibile in tanta edilizia industriale. Nell’esperienza recente, il binomio “nuovo materiale - nuovo disegno” della struttura ha avuto una esemplificazione significativa nel legno lamellare: l’avvento delle resine e delle colle in generale ha riproposto il legno come materiale da costruzione con nuovi parametri fisici di resistenza e, soprattutto, svincolato dai limiti dimensionali imposti dalla natura attraverso il tronco d’albero. In maniera simile al calcestruzzo, anche il legno è divenuto materiale strutturale plasmabile. Così la trave in legno, dopo un plurimillenario servizio nel mondo delle costruzioni edili, oltre a rinnovare l’aspetto delle sue superfici, è venuta a proporsi in ambiti dimensionali prima impensabili, rendendo possibile la copertura di grandi luci. Ed a fianco della trave, si è introdotta la possibilità dell’arco in legno, sagomato secondo la curvatura più consona alle esigenze del progetto. Anche nel caso del legno lamellare va riconosciuto un ruolo non marginale all’acciaio, che, dominando il problema delle connessioni, è venuto a prendere parte al linguaggio dell’opera. L’esperienza più recente mostra come l’evoluzione ininterrotta dei materiali continui a rinnovare le possibilità d’espressione degli elementi strutturali, rendendo sempre più forte l’interazione fra problema fisico ed esito espressivo. E’ il caso, per esempio, dell’impiego combinato di vetro e acciaio nella realizzazione delle facciate. L’abbinamento dei due materiali non è certo nuovo, ma si ripresenta sotto apparenze totalmente diverse. L’acciaio è preferibilmente di tipo inox, mentre il vetro si presenta in lastre di dimensioni assai maggiori che in passato. La struttura diventa decisamente più impegnativa a causa della riduzione estrema delle sezioni resistenti; la fisica del problema diviene dominante sul progetto, sia dal punto di vista di una attenta verifica delle resistenze, sia dal punto di vista della congruenza dei diversi componenti del sistema strutturale; in altre parole: della verifica delle deformazioni dei diversi elementi e quindi della effettiva ripartizione delle azioni fra di essi. Soltanto l’evoluzione estrema delle possibilità di calcolo automatico delle strutture ha reso possibile addentrarsi nella ricerca di soluzioni di questo genere. In conclusione, sembra giustificato ritornare sui concetti di interdisciplinarietà, intesa fra gli ambiti della fisica del materiale e del disegno d’architettura, e di sinergia, intesa fra ingegnere e architetto, come strade necessarie per un pieno controllo del progetto. Per poter cioè trarre dall’impiego dei materiali, vecchi o nuovi che siano, le massime possibilità espressive e il più efficace contributo alla resistenza della costruzione.

A

rchitecture and New Materials

t is a well-known fact that the arrival of new materials and elegant new Iloping means of handling more conventional materials has played a key part in devenew technology over recent decades. This remark applies most notably to architecture and building materials, where we have witnessed an impressive boom in the range of new stylistic possibilities now available. After years teaching engineering to architectural students, I naturally found myself making my own comments on this particular issue: pointing out that complete artistic freedom can only come from knowledge of the demands imposed by the physical laws determining the use of materials; in a word, the need for balance and resilience as the key guidelines for distributing matter to give form to construction work. The question of balance emerges in all its stylistic relevance if it is related to building’s function of providing loads with a means of reaching the ground: just like a road or communications network, building also needs to be analysed in terms of the efficiency of the routes it takes, viz., the flows of forces running through it. A simple, direct flow means an efficient system; an elaborate, intricate path means, in the case of quality design, the need to cater for much more demanding needs. Conceptual design (or structural design) is turning into an important means of formalising this issue. It combines both the architect’s and engineer’s needs in the initial physical realisation of a design by determining the structure’s geometric scheme, taken as the resilient part of the construction. This means physics is turned into structural geometrics and hence into the building’s first real design. The final construction may either reproduce, hide or highlight the design of the “structural network”; this is all related to the architect’s freedom of expression, but this in no way detracts from the fact that there is no way of completing a good project without first designing a resilient frame, bearing structure or simple structure. After determining the structure’s overall geometric scheme, the design is only complete after setting the size and scale of all its constituent parts. This second step leads back to the second physical problem of assessing resilience, which, since it is intrinsically linked to material’s specific characteristics, takes us back to the main issue under discussion. The structural design takes into account the need to keep within the material’s resilience limits through a series of guidelines dictating the shape and size of its elements. This way of acting represents Galileo’s revolutionary approach to the question of design: as Galileo pointed out, it is not enough to revert to “structural forms” associated with building tradition; the right dimensions also need to be set. Thanks to Galileo, a method of computation was set in motion for clarifying a series of problems. For instance, the stone arch, which is certainly a “valid structural form” but needs to be thick enough for the lines of force to be contained within the “third mean”; this is the only way of ensuring the conditions imposed by walling: no tractive forces. A curved beam is much more problematic than an arch in terms of its number of applications; unlike in the case of arch, loads are transmitted through the simultaneous presence of both forces of contraction and compression. Knowledge of how this works explains why there are certain constraints on the use of stone architraves and wooden beams and shows why a smaller scale model of a structure provides an inaccurate picture of its resilience by making it seem more accentuated. An understanding of how flexion works is the main key to designing a girder, in that it sets the ratio between its span and thickness for a given material; a problem which, from an engineering point of view, is a means of showing that a material’s resilience is conformed to, which, from an architectural point of view, provides a way of determining how bulky the beam is. Once again the choice of material is translated into a structural design through a suitable means of computation. It ought to be pointed out that this concerns shape as well as size. The answer to the problem of flexion is based on the value of the moment of inertia and hence on how material is distributed to form the section. A problem physically interpreted in terms of minimum weight and maximum efficiency; architecturally speaking, it is viewed in terms of the choice of section. This accounts for the use of fancy rather than full sections, the preference for symmetrical sections and efficiency of tubular sections. The startling effect of this favourable encounter between new knowledge of physics and new materials is brought out in the history of building through the advent of steel, that marked the beginning of a new age in terms of both technological solutions and stylistic possibilities. This double revolution connected with steel is rooted in certain aspects of the physical behaviour of material: the resilience threshold, which is at least one order of magnitude higher than that of previously used materials (wood and masonry), and the symmetry in behaviour in traction and compression. In actual fact wood was already available as a material resilient to traction, although it was highly penalised by the size limits on wooden elements, a lack of isotropy due to wood’s fibrous nature and its durability over time. The consequences of this innovation in terms of the technological side of con-

structive and construction elements as a whole are so far-reaching as to impose a new architectural idiom. Due to its notable properties of resilience, the section is cut and shaped as theory suggests: the full, rectangular and circular sections combine with the more slender profiles in classical I, T, C and L shapes; likewise owing to questions of resilience, the design of a girder changes considerably both in terms of the spans covered and ratio between the span and thickness of an element. But even girders have now been cut down to their bare bones, reproducing (in the same shape) the flow of forces running along them: as well as solid wall girders, there are also reticular girders introducing a completely new design and, at the same time, managing to cover hitherto unthinkable spans. And, finally, there is even a cutting away of the building shell, reducing it to its bare essentials, girders and columns: bearing walls have been replaced by frames, a development that ought to be seen as a transition from two-dimensional to a one-dimensional elements. A real revolution in terms of structural design. Nineteenth-century architecture and engineering were marked by the emergence of these new possibilities, accompanied and even further enhanced by the use of glass. Steel and glass represent a fresh chapter in building history, setting architects an intriguing problem: if the possibility of using new materials depends on knowing their intrinsic physical properties, who ought to be real driving force behind innovation? Engineers? Surely not, although that is actually what basically happened in the 19th century; what remains is a warning about the importance of synergies and interdisciplinary co-operation at the design phase. As regards how the physics of the problem is related to structural design, the advent of steel brought with it both the extreme honing down of resilient sections and the problem of the instability of compressed elements. In this case, more than ever before, a static requirement is translated into a rule of structural design: tensile and compressed elements form two visually distinct categories, and simple geometric operations (like the overturning of an arch with cables or inverting the angle of a diagonal inside a reticular cable) drastically alter the size of the element’s section. It is also thanks to steel that another great chapter in the history of materials began in the early twentieth century: the advent of reinforced concrete. Once again it was the material’s own peculiar quality of malleability that opened up new horizons in structural design. This reinforced the idea of constructions held up by bearing structures directing forces towards the foundations, thereby making a clear distinction between what holds up and what is held up. From the point of view of the standard proportions required of beams and columns, the new material introduced new dimensional relations; but, above all, it highlighted a fundamental difference between the basic nature and appearance of two types of frame made of reinforced concrete or steel: the former usually a single-cast curtain structure, whereas the latter is generally more disjointed with joints becoming a key feature of the structural design. The growing popularity of precompression and prefabrication over recent decades resulted in the introduction of new forms and dimensional relations in the use of reinforced concrete that are now a vital part of much industrial building. The combination of “new material - new structural design” has recently been perfectly exemplified in laminated wood: the advent of resins and glues in general has given wood new physical parameters of resilience, notably overcoming the size limits imposed by the natural form of tree trunks. Just like concrete, wood may now be considered a malleable material. After thousands of years of loyal service to the building industry, wood does not now just have differentlooking surfaces, it can also be used for hitherto unthinkable purposes, making it possible to span wide bays. Alongside beams, there are now also wooden arches curved to fit in with design specifications. Steel also has a significant part to play with laminated wood, helping solve problems of joints and connections. Most recently, constant progress in materials has continued to open up fresh possibilities in the design of structural elements, creating even closer bonds between physical problems and stylistic results. This is the case, for instance, in the combined use of glass and steel in constructing facades. This combination of materials certainly is not new, but it is now reappearing in a totally different way. The steel is preferably stainless, while the glass appears in much bigger sheets than in the past. The notable reduction in the size of resilient sections means structures are much more complex; the physics of the issue is now the most important aspect of a design both in terms of resilience and the congruency of the various parts of the structural system; in other words: checking for deformation in the various parts and hence assessing how the forces acting between them are shared out. Solutions like this are only possible thanks to incredible progress in automatic calculation procedures. In conclusion, returning to ideas of interdisciplinary interaction seems to be justified, notably between material physics and architectural design and engineers and architects, as a necessary means of fully controlling design. This is the only way of making the best possible use of both old and new materials, so that they can really help make buildings more resilient. l’ARCA 178 75


Realtà urbana New Metro in Copenhagen 76 l’ARCA 178

a città di Copenhagen ha rinnovato le sue linee metropolihe city of Copenhagen has modernised its underground L T tane, e si è dotata di un Metro dalla linea e dalle caratterilines and furbished itself with a tube whose design and techstiche tecniche quanto mai innovative, frutto dell’accordo tra nical features are more innovative than ever, thanks to a l’Ansaldo Trasporti Sistemi Ferroviari e la Ørestad Development Corporation. I nuovi convogli, una volta entrato a pieno regime l’intero sistema, che sarà completamente automatizzato, funzioneranno per ventiquattro ore al giorno, e percorreranno ciascun tratto tra una stazione e l’altra in uno o due minuti. Le tecnologie scelte per rendere pienamente operativo il sistema sono tra le più avanzate, ma si basano per lo più su soluzioni già ampiamente collaudate e offrono pertanto le più alte garanzie di sicurezza e comfort. Per esprimere questa sofisticata qualità tecnica, e fare del Metro un elemento caratterizzante e significativo della realtà urbana della capitale danese, l’Ansaldo e la Ørestadsselskabet hanno deciso di comune accordo di affidare il progetto delle carrozze, compresi tutti i dispositivi funzionali, la segnaletica e il sistema cromatico, a Giugiaro Design. Giugiaro non è nuovo alla progettazione di veicoli su rotaia per uso collettivo: basti pensare agli ETR 460 “Pendolino” e all’ETR 470 “Cisalpino”. Ma un mezzo di trasporto urbano su rotaia, come un convoglio metropolitano, pone al disegno industriale problemi diversi. Per esempio, le dimensioni delle carrozze dovevano essere calcolate in funzione della lunghezza delle stazioni; la struttura delle porte, dei sedili, delle piattaforme di snodo è stata studiata sulla base di ripetute prove sulle effettive condizioni di viaggio; i dispositivi tecnici sono stati raggruppati in moduli dislocati all’esterno delle vetture per una più rapida manutenzione o sostituzione. Una volta affrontati e risolti i problemi strutturali, il design di Giugiaro si è dispiegato nella creazione di un “ambiente”, ovvero di uno spazio culturale complesso, da vivere e fruire sulla base di una multiforme esperienza psicologica e sensoriale. Quello del viaggio, per quanto breve, è pur sempre un momento di sospensione, un intervallo che impone all’esistenza quotidiana una interruzione nel flusso costante della normalità. Nella cultura moderna esso implica non un passaggio dal chiuso all’aperto, come nel passato, ma al contrario il trasferimento in un involucro mobile, sommariamente attrezzato per proporsi come succedaneo dell’architettura domestica. Al di là della sicurezza e della comodità, ciò reclama in primo luogo uno studio particolare della comunicazione visiva: i segnali di orientamento non si esauriscono solo nell’ermetico linguaggio delle immagini, ma possono innervarsi anche nelle forme e nei rapporti cromatici delle strutture. L’interno del Metro di Copenhagen affronta puntigliosamente questo tema. I mancorrenti verticali e orizzontali spiccano con il loro giallo sul verde tenue dell’interno delle carrozze; lo stesso giallo contorna i sedili di fondo per disegnarne in modo ben visibile l’ingombro; il blu dei sedili contrasta efficacemente con quello metallico della loro struttura, il che indica con precisione la presenza di quelli pieghevoli. La stessa sagomatura delle carrozze si fa linguaggio, comunicazione, informazione. Non si segnalano spigoli all’interno delle vetture: i varchi, le piattaforme, le pareti, le colonne che fiancheggiano le porte, comprese le apparecchiature di sicurezza che vi alloggiano, modellano gli spazi con un morbido andamento curvilineo, il cui rigore geometrico è reso plastico dal pluricentrismo della costruzione. Impossibile ignorare la vaga eco Liberty che risuona in queste figurazioni: nulla più che un’allusiva citazione, s’intende, che però marca con forza l’intera concezione progettuale e la definisce vividamente all’interno della nostra cultura contemporanea. In queste soluzioni progettuali appare dunque evidente lo spirito del disegno industriale moderno, con la sua tipica ricerca di un equilibrio, ogni volta miracolosamente raggiunto, tra il peso delle esigenze funzionali e l’impennata inventiva che tende a fissare i connotati dell’oggetto in uno spazio libero e assoluto. Che ciò sia avvertibile anche in un settore dominato da un’arcigna presenza della tecnologia come quello dei trasporti è indicativo. Ma nel lavoro di Giugiaro questo equilibrio appare più inquieto del solito, come se esso tendesse non tanto al suo compimento, quanto al suo superamento, al suo dispiegarsi in una dimensione aperta, nella quale il design, sbarazzatosi della ingombrante livrea novecentesca del “problem solving”, possa porsi come elemento propositivo, capace di sprigionare un’energia critica – e autocritica – che lo sospinga ben oltre la “forma” delle cose per afferrare, di esse, non tanto il significato, quanto la molteplicità di senso che vi è implicita e latente. Il discorso vale, beninteso, per tutto il design d’oggi. Ma che si possa farlo a proposito del progetto di un convoglio di metropolitana e di un autore come Giugiaro induce a riflettere ancora più a fondo sull’argomento. Maurizio Vitta

joint-venture between Ansaldo Trasporti Sistemi Ferroviari and the Ørestad Development Corporation. The new trains, once the fully automated system is in full swing, the trains will run twenty-four hours-a-day and cover the distance between one station and another in just a couple of minutes. The technology chosen to make the system fully operational is really at the cutting-edge, but mainly based on tried-andtested designs guaranteeing the highest standards of safety and comfort. For instance, the carriages are sized in relation to the length of the stations; the doors, seats and carriage links were all designed after carrying out exhaustive tests into actual travel conditions; the technical devices are all grouped in units placed outside the carriages to speed up maintenance and replacement operations. Once it had successfully dealt with structural problems, Giugiaro Design set about creating an “environment” or, in other words, a complex cultural space to be experienced and used based on various forms of psychological and sensorial experience. Travelling, however short the journey, is always a break, an interval interrupting the smooth flow of normality. In modern-day life, unlike in the past, it does not involve a transition from indoors to outdoors but, on the contrary, a moving into a mobile shell suitably furbished to seem like an alternative home environment. Apart from safety and comfort, this calls first and foremost for a careful analysis of visual communication: directional signals are not confined to just the hermetic language of images but can also take on the shapes and colours of structures. The inside of the Copenhagen Underground carefully tackles all these issues. The yellow-coloured handrails stand out against the lightgreen interiors of the compartments; the same yellow borders the seats to bring out their shape and size; the blue seats contrast to great effect with their metallic frames, clearly indicating the presence of folding seats. Even the compartment design is an idiom, form and communication and information. There are no sharp edges inside the carriages; the gaps, platforms, walls and even the columns alongside the doors (including the safety equipment they hold) are all designed in smooth curving forms, whose geometric precision is rendered more sculptural by the multi-centralism of the overall construction. It is hard to ignore the vague echo of the Liberty style resounding through these forms: of course this is nothing more than a vague allusion, which forcibly marks the basic design and sets it firmly in modern-day culture. These stylistic features clearly evoke the spirit of modern industrial design with its typical search for balance, that it duly achieves almost miraculously, oscillating between functional constraints and a sense of invention that tends to set the object’s basic connotations in totally free space. It is significant that all this occurs in a sector like transport historically dominated by the determinant presence of technology. This balance seems more disturbing than usual in Giugiaro’s work, as if it were striving to move beyond itself into a more open dimension in which design, having shaken off its 20thcentury propension for “problem-solving”, is free to give full vent to all its critical (and self-critical) energy, taking it well beyond the form of “things” to grasp not just their significance but even the latent multiple-meanings they intrinsically contain. Of course this applies to the whole of modern-day design, but it takes on even greater pregnancy when associated with a project for the carriages of an underground train designed by somebody like Giugiaro.

■ Paticolare

dell’interno di uno dei treni, disegnati da Giugiaro Design, della nuova Linea Metro di Copenhagen, inaugurata lo scorso ottobre che copre la zona di Ørestad con 11 Km di binari e 14 stazioni. ■ Detail of the inside of one of the trains designed by Giugiaro Design for the new Copenhagen Underground Line that opened last October and covers the Ørestad area with 11 km of tracks and 14 stations.

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■ Vista

laterale e frontale delle carrozze completamente automatizzate. I vagoni sono collegati in continuo senza passerella e, grazie alle grande vetrate frontali sono molto ariose e spaziose e al design minimalista le carrozze favoriscono al massimo la fruizione del paesaggio circostante. ■ Side and front views of the fully automated carriages. The compartments form one single unit and, thanks to large glass fronts, are extremely airy and spacious. Their minimalist design affords wide views of the surrounding countryside.

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■ Gli

interni fondono funzionalità, ergonomia ed estetica. I sedili dalle linee morbide e pulite sono ancorati alle pareti per consentire la pulizia del pavimento; i vetri seguono l’andamento del soffitto che riproduce un effetto a volo di gabbiano; i corrimano, i montanti delle porte e i portarifiuti si integrano all’insieme architettonico. La scelta dei colori sulle monocromie degli azzurri e dei blu, è stata suggerita dal paesaggio esterno ricco di laghi e betulle. ■ The interiors combine functionalism, ergonomics and aesthetics. The soft, clean-cut seats are connected to the walls to let the floors be cleaned; the glass windows follow the ceiling pattern to create a flying seagull effect; the handrails, door posts and waste bins fit into the architectural design. The choice of monochrome colours ranging from sky-blues to blues was inspired by the surrounding lakes and birch trees.

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Dagli alberi ai sassi Gino Marotta

Gino Marotta, e anche inesauribile: il suo lavoro sulle ino Marotta is untiring, even inexhaustible. His pottery Idinfaticabile, G ceramiche, in un luogo illustre e prestigioso come Castelli, patria work, in such an illustrious and prestigious place as ceramisti famosi e di opere insuperate, fa compiere alla sua arte Castelli, the land of famous potters and unequaled works of art, uno scarto intrigante, che gli apre prospettive vertiginose e affascinanti. L’incontro con la ceramica è sempre stato, per un artista, una sfida, giacché essa costringe le modalità dell’arte a piegarsi alle sue peculiari esigenze. L’insidiosità del materiale, i rituali della cottura, l’alta artigianalità della lavorazione mettono in gioco una progettualità che ne fa di diritto la prima delle arti applicate nella storia. Ma lavorare in un luogo come Castelli, che è paese-laboratorio, paese-fabbrica o, se si vuole, paese-ceramica, può essere di grande stimolo e sostegno per l’artista. Marotta ha saputo sfruttare appieno le possibilità offerte da quel ristretto grumo di storia dell’arte aggrappato alle pendici del Gran Sasso, per individuare a colpo sicuro il percorso da imboccare. Lungi dal cedere alle lusinghe delle forme tradizionali, con i loro smalti e le loro sofisticate decorazioni, egli ha scelto di assumere la ceramica non come opera, ma come materiale per l’opera. I suoi pezzi si sono quindi organizzati in bozzoli informi, pietrose concrezioni, sulle quali il linguaggio dell’arte si è fissato in ermetici segni, vaghe rappresentazioni d’altre opere dell’autore, richiami sottili alle scaturigini della scrittura. In superficie essi sono mappe di una fantastica geografia, resoconti cifrati di viaggi favolosi; nella loro dura sostanza ceramica si presentano come artefatti di rara sapienza artigianale e, in pari tempo, come libere forme tendenti a prolungare all’infinito la loro presenza nello spazio. Dunque Marotta, l’artista che aveva fatto dei materiali più tecnologicamente avanzati l’espressione di una ricerca artistica tale da segnare un’epoca, scandaglia ora la materia delle origini e, su di essa, lo stato aurorale dell’arte. Egli però non esaurisce qui il suo lavoro, giacché di recente in territorio umbro, sulle colline di Brufa, ha eretto un esemplare in acciaio inossidabile polimentato a specchio del suo Grande alone, già realizzato, in dimensioni minori, in metacrilato colorato trasparente, e ora svettante con la sua lucida immagine incerta tra il vegetale, l’artistico, l’industriale e il tecnologico, sul dolce panorama circostante. Maurizio Vitta ■ Vista

generale della mostra “Rupestre”, ospitata fino allo scorso ottobre al Museo delle Ceramiche di Castelli (Teramo). ■ General view of the “Rupestre” exhibition held at the Castelli Ceramics Museum (Teramo) through to last October.

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allows his own art to perform an intriguing swerve that opens up astounding, fascinating perspectives. Coming upon ceramics has always been challenging for artists, since the material forces artistic procedures to bend to its particular demands. The trickiness of working clay, the rituals of firing, the high craftsmanship involved in pottery work call for such planning ability that it is rightly given the first place in the history of applied arts. But working in a place like Castelli, which is a laboratorytown, or a potters’ town, can be highly stimulating and supportive for artists. Marotta was able to fully exploit the possibilities offered by that tiny speck of art history that clings to the slopes of the Gran Sasso, so he could immediately identify the path he wanted to take. Far from letting himself be allured by traditional forms, with their enamels and sophisticated decorations, he chose to take up ceramics not as work, but as material for work. His pieces are thus formless cocoons, stone concretions upon which the language of art has been fixed with hermetic signs, vague representations of other of the author’s works, subtle references to the origins of writing. On the surface, they are like maps of a fantastic geography, ciphered accounts of fabulous journeys; in their ceramic substance they appear as artefacts of a rare artisanship, and, at the same time, as free forms that tend to infinitely prolong the effect of their presence in space. So Marotta, the artist who had made the most technologically advanced materials the expression of a kind of artistic research that marked an era, is now sounding the original material, and upon it the auroral state of art. But his work does not stop here, as recently, in Umbria, on the hills of Brufa, the sacred land of the grapevine, he erected a stainless steel mirror model of his Great Halo. He had already created the latter in smaller dimensions, in transparent, colored methacrylate, but this new work now rises with its bright frame, wavering among the plant kingdom, the artistic, industrial and technological worlds on the gently rolling surrounding panorama. ■ Viste

del Grande Alone, l’albero in acciaio inossidabile polimentato a specchio, realizzato da Gina Marotta sulle colline di Brufa (Perugia) in occasione della manifestazione “Scultori a Brufa. La strada del vino re dell’arte”, svoltasi lo scorso agosto.

■ Views

of the Great Halo, the reflective stainless steel tree designed by Gina Marotta up in the Brufe (Perugia) hills for the “Sculptors in Brufa. The wine route king of art” exhibition held last August.

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■ Particolari

e schizzo preliminare per i “sassi” in ceramica della serie Rupestre.

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■ Details

and preliminary sketch for the ceramic “stones” from the Rupestre range.

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Progetto vincitore/Winning project: William Alsop Finalisti/Shortlisted Teams: Richard Rogers Foster and Partners Edward Cullinan Architects

Italia/Italy - Casalpusterlengo Riqualificazione dell’area-sistema delle tre piazze Idee progettuali per la riqualificazione dell’area-sistema delle tre piazze: Piazza del Popolo, Piazza Mercato e Piazza della Repubblica. Redeveloping of the three squares areasystem Design ideas for redeveloping the three square area-system: Piazza del Popolo, Piazza Mercato and Piazza della Repubblica. Committente/Client: Comune di Casalpusterlengo www.comune.casalpusterlengo.lo.it

1° Classificato/1st Place: Francesca Tata (Capogruppo/Team leader), Emanuela Bulli, Massimo Manieri, Sonia Rizzo, Stefano Rubino, Fabrizio Silvestri 2° Classificato/2nd Place: Roberto Ventura (Capogruppo/Team leader) 3° Classificato/3rd Place: Barbara Ferrari (Capogruppo/Team leader)

Irlanda/Ireland - Waterford

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Waterford North Quays: master plan per il lungo mare Progetto per la sistemazione complessiva dell’area denominata “North Quays” (molo nord) e per la realizzazione di un nuovo centro culturale multifunzionale per il comune di Waterford. L’area di progetto ha un’estensione di 7 ettari. Project to fully redevelop the area known as the “North Quay” and design a new multi-purpose centre for the arts for the town of Waterford. The project area covers 7 hectares. Giuria/Jury: Sean Benton, Michael O’Doherty, Joan O’Connor, Eddie Breen, Rupert Maddock, John Clancy, Christer Larsson, David Mackay, John Worthington

1° Classificato/1st Place: Giorgio Burragato (Milano) 2° Classificato/2nd Place: Roberto Cremascoli (Milano) 3° Classificato ex aequo/3rd Place ex aequo: Lucio Furno (Biella) Emanuele De Giorgi (Milano)

COMPETITIONS

Ristrutturazione della biblioteca civica Obbiettivo dell’Amministrazione era quello di disporre di una progettazione di massima inerente il seguente tema: Ristrutturazione della biblioteca civica nella attuale sede di Via P. Micca n. 36, da inserirsi in una eventuale riqualificazione morfologico/ambientale di tutta l’area. Modernising of the civic library The City Council was looking for a preliminary project based around the following theme: modernising of the civic library in its current home at no.36, Via P. Micca, as part of a morphological/environmental redeveloping of the entire area. Committente/Client: Biblioteca del Comune di Biella - www.comune.biella.it Giuria/Jury: Giuseppe Sanfilippo, Patrizia Bellardone, Luisa Bocchietto, Erica Gay, Graziano Patergnani

Gran Bretagna/Great Britain Liverpool Liverpool’s Fourth Grace Realizzazione di un nuovo complesso per uffici, servizi e residenze per il celebre lungo mare Mersey nel centro di Liverpool. Il complesso, denominato “Fourth Grace” sarà realizzato accanto ai tre monumenti storici (the Three Graces) che fino ad oggi hanno caratterizzato il fronte marittimo del centro storico: il “Royal Liver Building”, il “Cunard Building” e il “Port of Liverpool Building” - hanno definito uno dei più noti skyline del mondo. Construction of a new office, services and residential block along the famous Mersey water front in Liverpool. The complex, known as the “Fourth Grace” will be built alongside the other Three Graces that currently embellish the city’s dock lands: the “Royal Liver Building”, the “Cunard Building” and the “Port of Liverpool Building” - together defining one of the world’s most recognised skylines. Committente/Client: Liverpool Vision

Finalisti/finalists Daniel Libeskind - Potiropoulos Potiropoulou & Associates Meletitiki - Alexandros Ahrends Burton & Koralek Arata Isozaki A66 Architectural Laboratory Antonakakis & Partners Schweger & Partner - AMTE Technical Designs S.A. Tsiomis - Andreadis - Wilmotte & Associates S.A. Skroubelos Associates - Vokos, Petrakopoulos, Digonis - Associates von Gerkan, Marg und Partner - Doxiades Office - Development Consultants S.A. APEX Technical Designs - Pedro Ramirez Vazquez - Augusto F. Alvarez - PLIAS Dem. -Diamantopoulos & Associates

Italia/Italy - Biella

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COMPETITIONS + europaconcorsi

Vincitore/Winner Bernard Tschumi Architects

Grecia/Greece - Atene Museo dell’Acropoli d’Atene Progetto per la realizzazione del nuovo Museo dell’Acropoli d’Atene, il programma prevede la realizzazione di una struttura di 2.200 mq situata ai piedi dell’acropoli destinata all’esposizione permanente di reperti archeologici di grande importanza, tra i quali la raccolta dei marmi del Partenone attualmente esposta al British Museum di Londra. Project to design the new Acropolis Museum in Athens, the brief specifies the construction of a 2,200-square-metre structure at the foot of the acropolis designed to permanently display extremely important archeological relics, including the collection of Parthenon marbles currently on exhibition at the British Museum in London. Committente/Client: The Organization for the Construction of the New Acropolis Museum Giuria/Jury: Dimitrios Pandermalis, Santiago Calatrava, Alkestis Choremi, Nikolaos Fintikakis, Karl Gertis, Panagiotis Georgakopoulos, Wolf-Dieter Heilmeyer, Nondas Katsalidis, Anastasios Kotsiopoulos, Paolo Marconi, Georgios Penelis, Ersi Philippopoulou, Dennis Sharp

4° Classificato/4th Place: fiume10.org con: Andrea Mantello, Flavio Pacchioni 5° Classificato/5th Place: Paolo Favole (Capogruppo/Team leader) 6° Classificato/6th Place: Andrea de Eccher (Capogruppo/Team leader), Giuseppe De Carlo, Rosario Di Rosa, Romana Kacic (architetto del paesaggio), con Alioscia Mozzato, Claudia Fabbricatore, Andrea Frattin, Filippo Mastinu (modello) 7° Classificato/7th Place: Marco Splendore (Capogruppo/Team leader) 8° Classificato/8th Place: Pier Alberto Ferrè (Capogruppo/Team leader) 9° Classificato/9th Place: Antonio Scorletti(Capogruppo/Team leader) 10° Classificato/10th Place: M. Cristina Garavelli (Capogruppo/Team leader)

1° 1°Premio/1st Place: IDOM UK Ltd. (UK) 2°Premio/2nd Place: Benson and Forsyth Architects (UK) 3°Premio/3rd Place: PLH arkitekter (Denmark) 4°Premio/4th Place: BDP Dublin Ltd. (Ireland)

Italia/Italy - Deiva Marina Rifacimento della passeggiata a mare nel Comune di Deiva Marina. L’ idea progettuale prevede l’utilizzo del sito per realizzare un centro funzionale sia al turismo che al commercio. Revamping of the sea front promenade in the town of Deiva Marina. The design idea involves using the site to create a centre serving both tourism and trade. Committente/Client: Deiva Sviluppo S.r.l. Giuria/Jury: Gianluigi Troiano, Franz Prati, Marco Casamenti, Renato Marmori, Giorgio Delcorso, Corrado Mauceri

1°Classificato/1st Place: Train01: Giacomo Delbene (Genova), Massimiliano Giberti, consulente: Andrea Rossi, Collaboratori/Collaborators: Marika Roccabruna, Davide Servente, Barbara Incorvaia, Davide Guido, Stefano Sedda 2° Classificato/2nd Place: 5+1 architetti associati (Genova) 3° Classificato/3rd Place: Roberto Villani (Sestri Levante) 4° Classificato/4th Place: Alessandro Corradini (Prato) 5° Classificato/5th Place: Maria Previti (Genova), Roberto Silvestri 6° Classificato/6th Place: Anna Conti (Firenze), Giuseppe Brugellis, Silvia Baracani, Irene Cavarretta, Charles Elasmar Toufic, Ilaria Guidelli, Valeria Lombardo

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USA - New York Remember, Rebuilt, Renew: idee per il World Trade Center (1a fase) Progetto per la ricostruzione dell’area del World Trade Center Partecipazione ristretta, 7 partecipanti selezionati Remember, Rebuild, Renew: ideas for the World Trade Center (1st stage) Project to rebuild the World Trade Center area Committente/Client: Lower Manhattan Development Corporation Giuria/Jury: Toshiko Mori, Eugenie L. Birch, Richard N. Swett, Kinshasha Holman Conwill, Terence Riley, Michael Van Valkenburgh

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Italia/Italy - San Giorgio a Cremano (Napoli) Monumento funebre a Massimo Troisi Idee progettuali per la creazione di un monumento funebre che possa trasmettere l’amore indissolubile che da sempre ha legato il personaggio all’uomo, con il suo mondo,la sua famiglia, il suo clan. Il monumento funebre, oggetto del concorso, è da inserire in un’esedra individuata nel costruendo ampliamento del cimitero comunale. Shrine to Massimo Troisi Design ideas to create a shrine to create a sense of the unbreakable link connecting this great personality to the man himself and to his family and friends. The shrine referred to in the competition brief is going to be incorporated in a semi-circular building in the extenion currently being made to the town cemetery. Committente/Client: Comune di San Giorgio a Cremano Giuria/Jury: Ferdinando Riccardi, Gaetano Punzo, Aniello Moccia, Vincenzo Troisi, Lucio Morrica

1° Classificato/1st Place Giuseppe D’Albenzio 2° Classificato/2nd Place: Paolo Belardi, Fabio Bianconi 3° Classificato/3rd Place: Adalberto Caccia Dominioni 4° Classificato/4th Place: Romolo Nunzio Pugliese 5° Classificato/5th Place: Federico Carrera 6° Classificato/6th Place: Antonella Gallina, Barbara Izzi

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Svizzera/Switzerland - Zurich

Vincitore/Winner: Alfred Grazioli, Adolf Krischanitz, Collaboratori/Collaborators: Birgit Frank, Wieka Muthesius, Ralf Wilkening Progetto finalista/Shortlisted Team: Kazuyo Sejima - Ryue Nishizawa; Collaboratori/Collaborators: Yoshitaka Tanase, Nicole Berganski, Taeko Nakatsubo, Kansuke Kawashima, Tetsuo Kondo, Florian Idenburg, Yutaka Kikuchi

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I sette gruppi ammessi alla seconda fase sono stati individuati tra oltre 407 domande di partecipazione inviate da 34 Paesi. The seven teams which qualified for the second stage were chosen from over 407 entrants from 34 different countries A - Daniel Libeskind, Berlino B - Foster and Partners, Londra C - Il gruppo di progettazione formato da/The project team Richard Meier, Peter Eisenman, Charles Gwathmey, Steven Holl D - L’associazione temporanea/Temporary association United Architects: Reiser - Umemoto, Foreign Office Architects, - Greg Lynn FORM, Imaginary Forces, Kevin Kenon, UN Studio E - Skidmore, Owings - Merrill, New York F - THINK: Shigeru Ban, Frederic Schwartz, Ken Smith, Rafael Vinoly, Arup, Buro Happold Engineers, Jorg Schlaich, William Moorish, David Rockwell, Jane Marie Smith, G - Peterson Littenberg Architects

A

Ampliamento del Museum Rietberg, Zürich-Enge Ampliamento del Museo Rietberg situato nella storica Villa Wesendonck nella periferia di Zurigo. Il programma prevede la realizzazione di un nuovo padiglione espositivo situato nel parco della villa. A tutela delle essenze arboree, gran parte degli spazi espositivi saranno realizzati nel sottosuolo. Extension to the Rietberg Museum, Zürich-Enge An extension to Rietberg Museum in the historical Wesendonck House in the suburbsof Zurich. The programme refers to the construction of a new exhibition pavilion in the park around the house. Most of the exhibition spaces will be built underground to protect the trees and plants. Committente/Client: Amt für Hochbauten der Stadt Zürich

COMPETITIONS

Vincitore/Winner: Jean-Marc Ibos - Myrto Vitart 2° Posto ex aequo/2nd Place ex aequo: Jorg-Melai, Roberto Mela, Jorg Friedrich Raggr. Temp.HAL 901 Raggr. Temp. C+H+SA 3° Posto ex aequo/3rd Place ex aequo: Raggr. Temp. Galdo Raggr. Temp. Paolo Portoghesi 4° Posto/4th Place: Franken Architekten

+ europaconcorsi

COMPETITIONS + europaconcorsi

Italia/Italy - Roma Museo dell’audiovisivo nel Palazzo della Civiltà Italiana, Eur Progetto preliminare di realizzazione del Museo dell’audiovisivo nel Palazzo della Civiltà Italiana, Eur, Roma. Il Museo dell’Audiovisivo è istituito nell’ambito della Discoteca di Stato con il compito di raccogliere, conservare e assicurare la fruizione pubblica dei materiali sonori, audiovisivi, multimediali, realizzati con metodi tradizionali o con tecnologie avanzate. Audio-visual museum in the Palazzo della Civiltà Italiana, Eur, Rome. The Audiovisual Museum is part of the Government Discotheque aimed at collecting, keeping and ensuring the public use of sound, audio-visual and multi-media material designed using either old-fashioned methods or cutting-edge technology. Committente/Client: Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali www.mav.librari.beniculturali.it

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l’Arca2

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Rubriche e articoli sul mondo della progettazione, della produzione e della ricerca. Design, production and research.

Nuovo Centro di comunicazione Renault At Boulogne-Billancourt

Un comune trasparente Progetto: Alfonso Di Masi

Progetto: Jakob+Macfarlane

Contemporaneo su contemporaneo, un binomio che può essere benissimo applicato a questo intervento studiato dal duo Jakob+Macfarlane per il Centro di comunicazione Renault a Boulogne Billancourt che, uscito vincitore di un concorso bandito nel 2000, vedrà la sua realizzazione entro la fine di quest’anno. Impegnativo e rischioso il confronto che ha visto i giovani progettisti, autori del raffinato ed esclusivo ristorante sulla terrazza del Centre Pompidou, impegnati nell’adattamento di uno spazio di circa 13.000 metri quadrati all’interno dell’edificio Métal 57 costruito nel 1981 da Claude Vasconi per il Centro Renault. In effetti parlare di riabilitazione e trasformazione di spazi con poco più di vent’anni di vita, opera per altro di un architetto tra i più apprezzati dell’attuale panorama progettuale, e non solo francese, sembra fuorviante o perlomeno azzardato. Ma il lavoro di Jakob+Macfarlane sembra dare ragione alla committenza – Renault/Sicofram – che ha voluto assegnare su concorso la creazione di un nuovo spazio di rappresentanza e comunicazione tale da rinnovare l’immagine del Gruppo in un più vasto programma di promozione culturale. Il lavoro dei progettisti si basa sulla creazione di un continuum spaziale in grado di valorizzare gli elementi peculiari della struttura esistente. La

Rendering, spaccato assonometrico e pianta del nuovo Centro di Comunicazione Renault a BoulogneBillancourt.

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qualità scenografica e funzionale degli shed che qualificano l’edificio di Vasconi elevandolo a emblema di una raffinata architettura industriale, viene assunta come dato imprescindibile del nuovo progetto che si pone così nella logica del dialogo con l’esistente. “Gli shed sono interpretati come un campo generatore per il nostro intero intervento” affermano i progettisti che divengono così interpreti di un elemento di modernità e lo riportano a nuova vita per disegnare gli spazi rispondenti al nuovo programma. Pareti leggere, traslucide e opache articolano i diversi ambienti rispettando la logica rigorosa del sistema travi e pilastri in cemento che sottolinea le diverse altezze dagli shed di 6/9/12 metri. L’ambiente flessibile nella disposizione degli spazi e nell’organizzazione dei flussi interni ed esterni celebra un nuovo concetto di centro culturale e di comunicazione in cui l’auto viene presentata in un ambiente nel contempo neutro, per assorbire i diversi tipi di esposizione, e forte con un presenza e un personalità proprie. Elena Cardani Contemporary on contemporary, a pun that might easily be used to describe this project designed by the Jakob+Macfarlane team for a new Renault Communications Centre in Boulogne Billancourt. This winning design in a competition

organised in 2000 will be built by the end of the year. These two young architectural designers, also responsible for the elegant and exclusive terrace restaurant in the Pompidou Centre, have taken on the tricky and risky task of redeveloping an approximately 13,000-square-metre space inside the Métal building designed by Claude Vasconi in 1981 for the Renault Centre. It is indeed rather strange to say the least to talk about redeveloping and converting spaces that are just over twenty years old and, moreover, designed by one of the most widely esteemed architects on the modern-day scene (and not just in France). Nevertheless Jakob+Macfarlane’s work seems to have proven their clients right – Renault/Sicofram – as they set about organising a competition to create a new promotions and communications space intended to update the Group’s image as part of an extensive cultural enterprise. The designers’ work is based on creating a spatial continuum capable of embellishing the special features of the old facility. The stylistic/functional qualities of the sheds characterising Vasconi’s building and raising it to the status of an emblem of industrial architecture are taken as the point of departure for a new design that dialogues with its predecessor. “The sheds are taken as the generative force behind our new design,” so the architects tells us as they work on this piece of modernity and inject it with fresh life to cater for the new programme. Light, translucent and opaque walls set out the various premises in line with the rigorous logic of concrete columns and beams bringing out the various heights of the sheds: 6, 9 and 12 metres. This flexible layout of spaces and arrangement of internal/external fluxes celebrates a new kind of cultural/communications centre, in which cars are displayed in a setting that is at once neutral, to cater for all kinds of exhibits, and striking enough to make its own presence and personality felt.

Il progetto di Alfonso Di Masi presentato al concorso di idee per la nuova sede municipale di Sassano (Salerno) rifugge l’idea classica di un edificio monumentale, austero e distaccato dalla comunità, per accostarsi invece a quella di una struttura aperta e policentrica in grado di favorire l’incontro sociale e l’aggregazione. Il luogo dove dovrà essere realizzata la nuova sede municipale si trova nella parte più alta del centro urbano, in un’area delimitata da due strade con un dislivello medio di circa 18 metri. Il progetto si basa su uno schema a blocchi digradanti che seguono la morfologia in pendenza del sito. L’organizzazione distributiva e funzionale dell’edificio, pur risentendo del condizionamento

tettonico, si sviluppa in una serie di ambienti e volumi disposti secondo uno schema orizzontaleverticale che rende l’utilizzo dell’edificio pratico e funzionale. Il complesso, che mira a rappresentare anche dal punto di vista espressivo e formale l’idea di innovazione, trasparenza e integrazione con la comunità dell’amministrazione comunale, si identifica come un vero luogo urbano in grado di stimolare la partecipazione sociale della collettività. I diversi volumi aggregati si alternano a lastre orizzontali poste a diverse quote, collegate da passerelle, portici e ampie scale, che hanno la funzione di terrazze affacciate sulla valle e sul paese, determinando un’articolazione del complesso leggera e trasparente. Rendering ed esploso assonometrico del progetto per il nuovo Municipio di Sassano (Salerno). Renderings and axonometric blow up of the project for the new Town Hall in Sassano (Salerno).

Rendering, axonometry and floor plan of the new Renault Communication Centre at BoulogneBillancourt.

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Fra memoria e arte

Progetti umanitari Architecture for Humanity

Progetto: Andrea Lupacchini

L’area dei giardini del Parco della Rimembranza, che si sviluppa su una superficie contigua al Monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale, per la sua disposizione strategica e collocazione urbanistica ha visto consolidarsi nel tempo il suo naturale ruolo di “porta urbana”. Il progetto di riqualificazione ha mirato a esaltare l’archetipo urbano della città che si rinnova attraverso un forte segnale di presentazione e introduzione, che rivisita e recupera in chiave contemporanea le connotazioni storico-architettoniche autoctone. La riqualificazione del Parco della Rimembranza si propone di rivitalizzare l’intera area attraverso una serie di strumenti che, oltre al miglioramento percettivo, puntano alla restituzione di spazi cittadini con una qualità urbana destinata a favorire la socializzazione. Gli strumenti utilizzati sono quelli che nei secoli hanno caratterizzato gli spazi verdi della campagna romana: la suggestione, le emozioni, le sensazioni, gli stimoli che i luoghi possono trasmettere. L’intervento si è articolato nella rimodellazione delle superfici verdi attraverso riporti di terra che hanno il duplice scopo di realizzare piani plasticamente modellati ma anche proteggere

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l’area dall’inquinamento acustico e visivo generato dal traffico intenso intorno l’area. Onde rivitalizzare uno spazio dedicato agli incontri e al passeggio, si sono inserite strutture fra l’arredo urbano e la scultura, dando così massimo risalto alla funzione educativa dell’arte. C. P.

Viste e studi al computer per la sistemazione del giardino del Parco della Rimembranza a Cerveteri (Viterbo). Views and computer studies for the renewed garden of the Parco delle Rimembranze at Cerveteri (Viterbo).

Sono stati oltre cinquecento i progettisti che hanno partecipato al concorso internazionale, promosso da Architecture for Humanity (www.architectureforhumanity.o rg) con il Van Alen Institute di New York (www.vanalen.org), per il progetto di una clinica mobile per combattere l’assenza di strutture sanitarie dedicate alla cura e alla prevenzione dell’AIDS/HIV in Africa. La giuria, composta da Kate Bourne, Shaffiq Essajee, Rick Joy, Peter R. Lamptey M.D, Toshiko Mori, Reuben Mutiso e Jennifer Siegal, ha assegnato i premi nel corso di una cerimonia presso il Van Alen Institute di New York, che ha anche ospitato fino a fine gennaio, la mostra di tutti i progetti finalisti (mostra che verrà poi ospitata al Danish Design Center di Copenhagen tra luglio e agosto e successivamente al Royal Institute of British Architects di Londra a settembre e ottobre). I vincitori sono stati: 1° premio a Mikkel Beedholm, Mads Mandrup Hansen and Jan Søndergaard / KHRAS Architects, Virum, Danimarca; 2° premio a Brendan Harnett and Michelle Myers, Rensselaer Polytechnic Institute, Troy, NY, USA; 3° premio a Heide Schuster and Wilfried Hofmann Dortmund, Germania; Founder’s Award a Gaston Tolila and Nicholas Gilliland, Parigi, Francia; Miglior studente a Brendan Harnett and Michelle Myers, Rensselaer Polytechnic Institute, Troy, NY, USA; Menzioni d’onore a Naeem Biviji, Nairobi, Kenya; Beat Wacker, Sabine Bachmann and Yves Thormann / ARC

Architects with Werner Horisberger, Horisberger and Nydegger AG – Berna, Svizzera; Juan Salgado, Bernice Pan / JAS Architects, con David Ahmad, Nina Berkowitch consulenza medica di Annette Schmidt, Rory Rickard, Chris Yu, Londra, UK; James Pfeffer, Leo Tomlin, Nadia Minian, Yara Ghossein, MPH, New York, NY, USA; Takuya Onishi / Launchpad 05, Tokyo, Giappone; Jeff Gard / JAG Design, San Francisco, USA; Technikon Pretoria/J.J. Jooste, CG Joubert, LPienaar and J Mellis / Department of Architecture con L.Maree, C.van Belkum, T.S.Ramukumba, N.Potgieter,I.Tomes, J.Aukamp / Department of Nursing, Pretoria, Sud Africa; Robert Johnson, Los Angeles, USA. I fondi raccolti con l’iscrizione al concorso (35 US$ per partecipante), insieme alle donazioni e ad altri fondi raccolti attraverso specifiche iniziative saranno utilizzati per costruire uno o più prototipi del progetto vincitore che, una volta sviluppato e messo a punto, verrà definitivamente realizzato per essere utilizzato in Africa e in altre regioni afflitte dal flagello dell’AIDS nel mondo. Over five-hundred architects took part in the international competition organised by Architecture for Humanity (www.architectureforhumanity.o rg) in conjunction with the Van Alen Institute in New York (www.vanalen.org) to design a mobile clinic to combat the lack of health care facilities for treating and preventing the spread of AIDS/HIV in Africa. The jury, composed of Kate

In senso orario da sinistra in alto, le tavole del Founder’s Award, del secondo, primo e terzo premio per una clinica mobile per la cura dell’AIDS/HIV in Africa.

Clockwise from top left, project tables of the Founder’s award, second prize, first prize and third prize in the competition for a mobile clinic for treating AIDS/HIV in Africa.

Bourne, Shaffiq Essajee, Rick Joy, Peter R. Lamptey M.D, Toshiko Mori, Reuben Mutiso and Jennifer Siegal, warded the prizes during a ceremony held at the Van Alen Institute in New York, which also hosted an exhibition of all the finalist projects through to the end of January (the exhibition will be moving onto the Danish Design Center in Copenhagen from July to August and then the Royal Institute of British Architects in

London fro September to October). The winners were: 1st prize to Mikkel Beedholm, Mads Mandrup Hansen and Jan Søndergaard / KHRAS Architects, Virum, Denmark; 2nd prize to Brendan Harnett and Michelle Myers, Rensselaer Polytechnic Institute, Troy, NY, USA; 3rd prize to Heide Schuster and Wilfried Hofmann - Dortmund, Germany; Founder’s Award to Gaston Tolila and Nicholas Gilliland, Paris, France; best Student to Brendan Harnett and Michelle Myers, Rensselaer Polytechnic Institute, Troy, NY, USA; Honourable Mentions to Naeem Biviji, Nairobi, Kenya; Beat Wacker, Sabine Bachmann and Yves Thormann / ARC Architects with Werner Horisberger, Horisberger and Nydegger AG – Berne, Switzerland; Juan Salgado, Bernice Pan / JAS Architects together with David Ahmad, Nina Berkowitch and medical advice from Annette Schmidt, Rory Rickard, Chris Yu, London, UK; James Pfeffer, Leo Tomlin, Nadia Minian, Yara Ghossein, MPH, New York, NY, USA; Takuya Onishi / Launchpad 05, Tokyo, Japan; Jeff Gard / JAG Design, San Francisco, USA; Technikon Pretoria/J.J. Jooste, CG Joubert, LPienaar and J Mellis / Department of Architecture together with L.Maree, C.van Belkum, T.S.Ramukumba, N.Potgieter,I.Tomes, J.Aukamp / Department of Nursing, Pretoria, South Africa; Robert Johnson, Los Angeles, USA. The funds from the entry fees (35 US$ per entrant), together with donations and other funds collected from various special projects, will be used to build one or more prototypes of the winning project, which, once properly developed and perfected, will finally be constructed to be used in Africa and other regions around the world hit by the curse of AIDS.

Sogni per degustare

“Dream” è la nuova collezione di tazzine da caffè e da cappuccino illy, che arricchisce la serie d’artista commercializzata dal noto produttore triestino di caffè. Disegni e testi si coniugano su tazze e piattini firmati dalla giovane artista giapponese Shizuka Yokomizo (Tokyo 1966), vincitrice del Premio illy all’edizione di Present Future ad Artissima di Torino 2001, che ci racconta così suoi sogni decorando in modo gentile e discreto i bianchi contenitori del prezioso aroma.

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News

Alta tecnologia per la storia High Technology for History

Un mondo di visioni In Montreal

Notizie sui principali avvenimenti in Italia e nel Mondo. Reports on current events in Italy and abroad.

Progetto: RA Surveyors Department

La Royal Academy of Arts di Londra ha recentemente inaugurato la nuova Muniment Room – Sala degli archivi. Si tratta di uno spazio di non grandi dimensioni, disposto su due piani, realizzato su progetto del Surveyors Department dell’Accademia con la consulenza di Eva Jiricna, Michael Hopkins e Ian Ritchie. Il progetto è stato reso possibile in seguito a una ristrutturazione dell’impianto di condizionamento dell’aria della Royal Academy, grazie al quale si è liberato spazio sufficiente per dare una nuova e autonoma destinazione alla sua collezione di preziosi manoscritti che erano finora conservati in alcuni magazzini nei pressi della stazione di King’s Cross. La Muniment Room ha un volume

di 33 metri cubi disposti su due livelli e contiene 26 armadi su misura disegnati appositamente per conservare e consultare i manoscritti di proprietà dell’Istituto. Lo spazio, pur ristretto, è reso luminoso da una finestra a tutta altezza e da una serie di grandi cerchi di luce installati sul soffitto; inoltre, grazie a un pavimento in vetro e maglia di alluminio con struttura ad alveare, che utilizza l’alta tecnologia aerospaziale coniugando leggerezza, luminosità ed efficienza funzionale, la Muniment Room si caratterizza come una realizzazione tecnologicamente all’avanguardia.

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cubic metres over two levels and contains 26 custom-made cabinets designed to hold the manuscripts owned by the Academy so that they can be consulted. This rather confined space is lit up through a full-height and a set of spotlights fitted on the ceiling; the glass floor and aluminium honeycomb-shaped grid, designed using high technology borrowed from the aeronautical industry, combine lightness, brightness and functional efficiency to make the Muniment Room a cutting-edge technological design.

Restaurare il David

The Royal Academy of Arts in London recently opened its new

Vincitori a Lyon

Mab-Corio con Jean Paul Viguier sono i vincitori della consultazione promossa nell’aprile dello scorso anno per la realizzazione del Pôle de Loisirs di Lyon Confluence (l’Arca 177), che ha visto finalisti, oltre al vincitore, i gruppi Alterea/Fuksas, Sodec/Buffi, Unibail/Galan. Il progetto presentato dal gruppo investitore olandese Mab-Corio e dall’architetto francese Jean-Paul Viguier è caratterizzato da una grande copertura trasparente che ospita una serie di padiglioni, dove sono collocate le diverse

Muniment Room. This is a smallish space built over two levels, designed by the Academy's Surveyors Department under the guidance of Eva Jiricna, Michael Hopkins and Ian Ritchie. The project was made possible after the Royal Academy's airconditioning system was modernised, which left enough room to find a new location for its collection of precious manuscripts previously kept in warehouses near King's Cross Station. The Muniment Room takes up 33

funzioni previste dal programma, aperti verso il paesaggio e il lungo fiume. La circolazione è regolata da un viale pedonale che costeggia il bacino, bordato da ristoranti. Inserimento nel paesaggio urbano e naturale e un carattere evolutivo e sostenibile della costruzione, uniti a un concetto di intrattenimento culturale, ma anche ludico e sportivo, sono gli elementi che hanno giocato in favore di questa proposta, la cui realizzazione, con un costo valutato intorno ai 150 milioni di euro, è prevista entro il 2006.

Partito il 16 settembre scorso, l'intervento di restauro del celeberrimo David di Michelangelo, diretto da Antonio Paolucci, soprintendente al Polo Museale fiorentino e Franca Falletti, direttrice del Museo dell'Accademia ed eseguito da Agnese Parronchi, specialista di Michelangelo, è stato supportato in questi mesi da importanti indagini scientifiche, diagnostiche e di monitoraggio realizzate sotto la direzione di Mauro Matteini su incarico del soprintendente all’Opificio delle Pietre Dure Cristina Acidini. Per assicurare il meglio delle competenze scientifiche funzionali al restauro, Matteini, affiancato dal personale scientifico dell'Opificio delle Pietre Dure, ha elaborato un progetto che coinvolge anche una serie di specialisti appartenenti a Istituti del CNR e a Università Italiane. Le indagini sulla scultura sono tutte rigidamente non invasive; alcune indagini microdistruttive sono eseguite sui piccoli frammenti erratici prodottisi a seguito dell'atto vandalico compiuto nel 1991 da Pietro Cannata.

L'occasione del restauro è stata colta anche come momento-zero per dare inizio a un programma di monitoraggio di controllo del David nel tempo. Prima del restauro, dopo il restauro e a scadenze temporali programmate, la statua e il suo intorno ambientale saranno oggetto di un check-up non invasivo condotto su zone campione a opera dello stesso team scientifico.

Insetti, fossili, oggetti etnografici, fotografie, modelli, opere d’arte: tutto questo costituisce la mostra presentata al Canadia Centre of Architecture di Montreal fino al 6 aprile, intitolata “Herzog & De Meuron: Archaeology of the Mind”. Il curatore Philip Urpsprung svela nell’itinerario espositivo il ricco immaginario dei due architetti svizzeri (entrambi classe 1950), i quali, insieme ai loro partner Harry Gugger e Christine Binswanger, hanno realizzato negli ultimi anni alcuni degli edifici che più si sono imposti all’attenzione sia del pubblico sia della critica, giungendo nel 2001 a ricevere il prestigioso Pritzker Prize. Tra le loro realizzazioni più acclamate la Tate Modern di Londra, la Dominus Winery a Yountville, la Auf dem Wlf Signal Box di Basilea, il Pfaffenholz Sports Centre a St.Louis (Francia), la Goetz Collection Gallery a Monaco, la Groethe Collection Gallery a Duisburg. In molti di questi lavori, Jacques Herzog e Pierre De Meuron sono stati affiancati da artisti che li hanno aiutati a imprimere ai loro progetti un indirizzo espressivo che va al di là del puro rapporto forma/funzione. Quella che i due svizzeri portano avanti e una ricerca continua attraverso il mondo visivo, che ingloba tempi e gusti diversi, prodotti artificiali e naturali, e, soprattutto un interesse non secondario sul come le cose hanno origine. Herzog & De Meuron si muovono lungo il confine sottile che separa la realtà dalla fantasia, l’artigianato dall’arte, la poesia della creatività dalla prosa del quotidiano. In questa mostra i loro modelli vengono messi a diretto confronto con le loro fonti di ispirazione, siano esse oggetti naturali, manufatti artigianali o grandi opere d’arte in modo che lo spettatore si trovi coinvolto in un mondo di rimandi culturali, visivi e culturali denso di segni e significati. Dopo Montreal, la mostra si sposterà, dal 5 giugno al 7

settembre al Carnegie Museum of Art di Pittsburgh per approdare poi in Europa (prima a Basilea, poi a Rotterdam) a partire dalla primavera del 2004. Insects, fossils, ethnographic objects, photographs, models and works of art: this is what is on display at the exhibition being held at the Canadia Centre of Architecture in Montreal through to 6th April, entitled "Herzog & De Meuron: Archaeology of the Mind". The curator, Philip Urpsprung, has provided an informative picture of the great imaginations of these two Swiss architects (both born in 1950), who, together with their partner Harry Gugger and Christine Binswanger, have designed some of the most popular buildings with both the general public and critics over recent years, also winning the Pritzker Prize in 2001. Their most widely acclaimed designs include: theTate Modern in London, the Dominus

Winery in Yountville, the Auf dem Wlf Signal Box in Basle, the Pfaffenholz Sports Centre in St.Louis (France), the Goetz Collection Gallery in Munich, and the Groethe Collection Gallery in Duisburg. In a number of these works, Jacques Herzog and Pierre De Meuron were backed-up by artists who helped them inject their projects with a stylistic force that moves beyond the simple relation of form and function. These two Swiss architects are constantly experimenting with the visual world, encompassing different tastes and periods in time, natural and artificial products, and most significantly a notable interest in the origin of things. Herzog & De Meuron work on the thin border line separating reality from imagination, craft from art and the poetry of creativity from the prose of everyday life. This exhibition places their designs directly into relation with their sources of inspiration, whether they be natural objects, craft objects or major works of art, so that observors find themselves caught up in a world of cultural and visual allusions bursting with signs and meanings. After Montreal, the exhibition will move on to the Carnegie Museum of Art in Pittsburgh from 5th June-7th September and then Europe (first Basel and then Rotterdam) from Spring 2004.

In alto a sinistra, vista dell’installazione della mostra con l’opera di/top left, view of the exhibition installation with the work by Joseph Beuys Felt Suit; a destra/right, Herzog & De Meuron, Ricola Warehouse, Laufen 1986-87 (foto: Margherita Spiluttini). A fianco dal basso, viste dell’installazione con un’opera di/left from bottom up: views of the exhibition installation with works by Helmut Federle (foto: Micel Legendre)

e, sopra, di/and, above, by Rémy Zugg; Herzog & De Meuron, Ricola-Europe Factory, Mulhouse 1992-93 (foto: Margherita Spiluttini). A sinistra, sotto, particolare del/left below, detail of Institute for Hospital Pharmaceutical, Basel 1995-98 (foto: Margherita Spiluttini); sopra, vista dell’installazione con/above, view of the exhibition with Ricola Laufen di/by Thomas Ruff.

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Decorazione al merito

Architettura virtuosa

Nell’ambito della XX Esposizione Internazionale “la memoria e il futuro”, la Triennale di Milano bandisce la Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana che, con cadenza triennale, dedicherà visibilità e momenti di riflessione alle più attuali e interessanti opere progettuali costruite in Italia e sui relativi protagonisti. Il riconoscimento, che conta di promuovere pubblicamente l’architettura contemporanea nel suo ruolo di fautrice di qualità ambientale e civile, considera la stessa quale espressione compiuta che accomuna al progettista la committenza e l’impresa. La Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana intende quindi esprimere e divulgare conoscenza della cultura architettonica analizzandone periodicamente la realtà, le problematiche e gli indirizzi implicati. Il Premio è ripartito in: Medaglia d’Oro all’opera, Opera prima, Committenza pubblica, Committenza privata e Critica. Con la Medaglia d’Oro all’opera viene premiata una costruzione che esprima sviluppo e innovazione in termini di qualificazione architettonica, intesa come soluzione globale espressa da progettista, committenza e impresa. La Medaglia d’Oro all’opera prima implica una realizzazione ideata da un progettista che non superi il 40esimo anno d’età, pensata per evidenziare coloro che esprimono talento e capacità nell’ideazione di proprie e prime costruzioni. La Medaglia d’oro alla committenza pubblica e alla committenza privata intende mettere in luce il ruolo fondamentale che investe la

E’ dedicata alla lunga carriera di Luigi Caccia Dominioni la mostra allestita nella Sala Boggian del Museo di Castelvecchio a Verona fino al 9 marzo. Una storia lunga, quella dell’architetto milanese che ha segnato con le sue opere la storia urbana del capoluogo lombardo. L’indagine retrospettiva della mostra propone numerosi esempi della sua produzione architettonica, mettendo in evidenza come a partire dal secondo dopoguerra Caccia Dominioni abbia fornito un modello abitativo moderno e di grande qualità alla borghesia imprenditoriale del miracolo economico. Sobrietà, individualità, grande senso dello spazio e cura artigianale del dettaglio sono le caratteristiche del suo stile, rappresentato in questa rassegna dalle immagini salienti delle su architetture, a partire dalle piante, cui egli attribuiva importanza fondamentale nella concezione di un progetto tanto da autodefinirsi un “piantista”.

committenza ai fini di un’opera di architettura. La Medaglia d’Oro alla critica è dedicata a chi promuove e fa conoscere l’architettura italiana contemporanea attraverso pubblicazioni che vengono diffuse e promosse da editori qualificati. Sono inoltre previste sette Menzioni d’Onore riguardanti le sezioni relative alle progettazioni eseguite nell’ambito di: Abitare (residenze e altro), Educazione (scuole, università e altro); Sport (palestre, piscine e altro); Attività produttive e per il pubblico (centri e spazi commerciali e altro); Cultura e tempo libero (musei, spazi espositivi e altro); Salute e benessere (ospedali, centri di ricerche e altro); Spazi e infrastrutture pubbliche (piazze, parchi e altro). Sono previsti due criteri di raccolta delle candidature che si uniranno per il giudizio della giuria. Le candidature saranno segnalate sia da un gruppo di quaranta direttori di importanti testate di architettura italiane e straniere, da direttori di Centri per l’architettura e di critici, sia direttamente dai progettisti stessi che troveranno le opportune indicazioni consultando il sito web della Triennale di Milano (www.triennale.it). La Giuria incaricata per l’assegnazione della Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana che si concluderà con premiazione nel maggio 2003, è composta da: Giancarlo De Carlo (presidente), Pio Baldi, Gillo Dorfles, Kurt Forster, Henk Hartzema, Vittorio Magnago Lampugnani, Luca Molinari (coordinamento), Alexander Tzonis, Gino Valle.

L’architettura fotografata

Alla Galerie Geroges VernetCaron di Villeurbanne, è in mostra fino al 28 febbraio la serie di immagini scattate dal fotografo André Morin, da alcuni anni impegnato sul tema delle foto di architettura, tra cui la serie “Sujet phériphérique” centrata sui nuovi edifici di Parigi e dei suoi dintorni. Nella mostra in corso, sono

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presentate 52 immagini della città storica dei Grattacieli, costruita a Villeurbanne tra 1931 e il 1934 da Môrice Leroux, attraverso cui Morin rende omaggio alla fotografa americana Berenice Abott (1898-1991) che si può ritenere l’iniziatrice della fotografia documentaria delle città.

Dal White cube alla trans-posizione

Una sezione della mostra è dedicata poi ai molti progetti di design con gli elementi d arredo studiati appositamente per le singole residenze e diventati poi oggetti di produzione industriale grazie al sodalizio di Caccia Dominioni con aziende come Azucena, Lualdi, Alessi.

“Trans-positions” è il titolo della mostra allestita fino all’8 marzo a Brest nei suggestivi spazi del Centro d’arte Passerelle, un antico deposito per la maturazione della frutta di circa 3000 metri quadrati trasformato in luogo espositivo. La mostra riflette, attraverso una selezione di circa 130 opere, sia di giovani artisti sia di artisti di rinomanza internazionale (come i nostri Maurizio Cattelan e Piero Gilardi, Denis Santachiara e Studio 65) tutti provenienti dalla collezione del Fonds régional d’art contemporain Nord-Pas de Calais, sulla nozione d’esposizione, riprendendo in una prospettiva contemporanea gli interrogativi posti negli anni

Perrault a Milano

Sessanta attorno al “White cube”. I temi del luogo espositivo, come quello d’opera “in situ” e del tempo dell’opera trovano un loro ideale contesto negli spazi della Passerelle, concreta testimonianza della migrazione dell’opera sia in ambienti espositivi non tradizionali, sia all’esterno per avventurarsi nella città. La dualità tra oggetto d’arte e oggetto di design è un altro approfondimento che emerge dalla mostra riproponendo nell’ottica di un dialogo tra questi due campi dell’arte contemporanea, la problematica della natura dell’opera e delle sue possibili definizioni.

Corpet a Nizza

Guardare oggi la pittura e, in controluce, Chagall, Léger, Picasso possono essere considerati gli ultimi pittori della Storia? Sono questi il senso e il tema suggeriti della serie di piccole esposizioni d’arte contemporanea presentate al Museo Marc Chagall di Nizza come quella ora in corso fino al 3 marzo dedicata alle opere di Vincent Corpet. Al centro di un’accesa polemica scatenata in occasione dell’esposizione presentata nel 1987 al Musée national d’art moderne del Pompidou, a causa

dei soggetti delle sue opere, crocifissioni, deposizioni e scene religiose, giudicati in un epoca di astrattismo rigoroso, uno “scandalo estetico”, Corpet ci propone in effetti, come vuole evidenziare la mostra al Museo Chagall, un metodo di composizione, o come lui stesso lo definisce di “fabbricazione del quadro”, che trascende il tema stesso. Il tema religioso, di radice classica, diviene nell’opera dell’artista lo spunto per lavorare sul passaggio a una pittura astratta attraverso trasformazioni successive.

A destra, un’opera di/right, a work by Vincent Corpet. A sinistra/left, Stéphane Calais, N.1 Jouet (la partition) (les jetons), 2001. Sotto a sinistra/below left, Georges Bauquier, Voyage autour de deux pommes. Sotto/below, Coppia di amanti, gouache e oro su carta/gouache and gold on paper, 29,4x17,2 cm, scuola mongola/moghul school ca. 1740.

Nature morte alla finestra Dominique Perrault presenta fino al 9 marzo al Palazzo della Triennale di Milano una mostra dedicata a dieci dei suoi più noti progetti – dalla Bibliothèque Nazionale de France al velodromo/piscina olimpici per Berlino, dalla fabbrica Aplix vicno a Nantes fino alla piccola, ma molto poetica installazione di Kolonihavehus a Copenhagen – intitolata “Morceaux Choisis”. Con un allestimento dello stesso Perrault e del direttore artistico del suo studio parigino Gaëlle Lauriot-Prévost, che rispecchia i suoi canoni progettuali – sobrietà, chiarezza e spazialità – la mostra propone ai visitatori Dominique Perrault, Kolonihavehus, Copenhagen 2001.

un percorso attraverso lo spirito sotteso alle realizzazioni dell’architetto parigino. Sequenze di gigantografie delle sue opere, testi, schemi, piante si susseguono in trentadue scatole luminose che caratterizzano il percorso espositivo insieme a due prototipi di prodotti industriali progettati dallo stesso Perrault nella sua costante ricerca di nuovi materiali o di nuovi utilizzi di materiali tradizionali. La mostra, dopo Milano, inizierà un itinerario che la vedrà allestita nel corso dei prossimi due anni nelle maggiori città del mondo.

Un universo del silenzio, intimo e misterioso, è quello descritto dall’opera di Georges Bauquier (1910-1991), in mostra fino al 23 marzo alla Galerie Malmaison di Cannes. Allievo, amico e vicino collaboratore di Fernand Léger, Bauquier elaborò, parallelamente all’opera monumentale di Léger, una ricerca pittorica autonoma,

soprattutto nature morte, che nonostante poco conosciuta al grande pubblico, lo qualifica tra le voci più intense e suggestive dell’arte del XX secolo. Co-fondatore e co-donatore del Musée National Férnand Léger a Biot, ha pubblicato nel 1987 una monografia dedicata all’artista dando un’interpretazione tra le più profonde e precise della sua creatività.

Potere e desiderio

Settanta miniature indiane realizzate tra il XVI e il XIX secolo e provenienti dalla prestigiosa collezione donata da Edwin Biney 3rd al San Diego Museum of Art sono presentate fino al 24 febbraio a Nizza negli spazi del Musée des Arts asiatiques. Testimonianza dei periodi principali della pittura indiana, le miniature ruotano attorno ai temi del potere e del desiderio, relazione ricorrente nella pittura indiana, introducendo attraverso il percorso espositivo nell’universo delle credenze indiane, come nel cuore dei rapporti che l’uomo intrattiene con l’universo e con se stesso. Le tre sezioni che strutturano la mostra: “Il sovrano nel suo palazzo” in cui è mostrato l’ordine gerarchico e l’etichetta imposta nelle corti; “Gli innamorati nel giardino” dove vengono descritte le sfumature dell’amore esplorate in profondità dalla religione, la letteratura e la tradizione filosofica indiana; “Gli dei tra di loro e al di là” che narra dei miti che circondano gli dei Rama, Krishna e Shiva; descrivono i mondi dell’amore, del

fato e degli dei, offrendo attraverso i ricchi e raffinati cromatismi delle miniature un’interpretazione suggestiva e straordinaria della poesia dei sentimenti e dell’ineffabile relazione con il desiderio.

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Baj e Pardi a Milano

La Galleria Giò Marconi di Milano presenta fino al 3 marzo due mostre: la prima è dedicata a Enrico Baj con il titolo “Le donnefiume e piccoli monumenti alla scienza idraulica”; la seconda, “Restauro & Sheet”, è invece centrata su un gruppo di lavori di Gianfranco Pardi. La mostra di Baj comprende una cinquantina di opere realizzate dall’artista nel 2002 che prendono spunto dai nomi femminili di

molti fiumi europei (Senna, Moldava, Neva) e rappresentano una metafora acquatica dell’essenziale femminile: fluidità, impetuosità, esuberanza inondante. Accanto a queste opere, una serie di 22 piccoli monumenti a quanti, nel corso della storia studiarono i temi legati all’idraulica: Archimede, Torricelli, Villoresi ecc. La mostra di Pardi prende avvio dalla grande scultura in acciaio dipinto “Ricostruire” che occupa quasi l’intero spazio di ingresso alla sala espositiva. Il percorso di ricerca di Pardi verso una possibile interazione tra scultura, intesa come definizione di volumi in tensione interna, e definizione dello spazio, prosegue nelle sale della galleria con le sculture Soundtrack, le sculture in cartone riciclato della serie Homeless, e quella in acciaio corten Sheet affiancate a modelli, schizzi e bozzetti. Al piano interrato è presentata la serie di nuovi lavori in ferro dal titolo Restauro: grandi lastre di metallo attaccate al muro come quadri, attraversate da frammenti e segni recuperati da resti di lavorazione industriale. Sopra/above, Enrico Baj, Gospoza Neretva, collage di elementi tessili e idraulici/hydraulic and textile elements collage, 100x80 cm, 2002. A sinistra/left, Gianfranco Pardi, Danza, acciaio dipinto/painted steel, 7x3x6 m, 2002.

Transavanguardia a Rivoli

Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria, Mimmo Paladino: la Transavanguardia italiana, così li ha definiti Achille Bonito Oliva ai loro esordi come gruppo alla fine degli anni Settanta. Ora sono i protagonisti della mostra allestita fino al 23 marzo nelle sale del Castello di Rivoli. Essi oppongono allo sperimentalismo artistico più radicale dei decenni precedenti un ritorno a forme espressive più

tradizionali come la pittura. Il termine Transavanguardia indica una ricerca tesa a recuperare il passato rielaborando criticamente alcuni linguaggi propri delle avanguardie storiche. La mostra di Rivoli, curata da Ida Granelli, prende in esame il periodo che va dal 1979 al 1985, anni in cui sia individualmente che come gruppo, i cinque si affermano a livello internazionale partecipando a numerose mostre in tutto il mondo.

Derain a Valencia

Omaggio a Barthes

L’artista Fauve André Derain è il protagonista della mostra aperta fino al 23 febbraio all’IVAM Centre Julio González di Valencia. Con cinquanta dipinti, venti disegni e trenta sculture, la mostra ripercorre la vicenda artistica di Derain tra il 1905 e il 1940 e cioè da quando, insieme a Vlaminck, Matisse, Van Dongen e Rouault diede vita al fauvismo fino al suo sempre più preminente interesse verso la scultura e in particolare verso le antiche statue africane. Quella di Derain è stata una continua ricerca di “ritorno all’ordine” primigenio delle cose in cui radicalismo e raffinatezza si sono mescolati nei colori puri e istintivi dei suoi dipinti e nelle forme delle sue sculture tratte da materiali e tradizioni di impronta primitiva.

Una mostra dedicata a Roland Barthes è presentata fino al 3 marzo al Centre Pompidou di Parigi, coprodotta dal Centro stesso in collaborazione con l’IMEC (Institut Mémoires de l’édition contemporaine). Tra i più attivi animatori del pensiero teorico e della critica letteraria degli anni Sessanta, Barthes resta tra gli scrittori più sottili e ed eleganti di questo periodo. In mostra, una decina di tappe scandiscono biografia intellettuale dell’autore attraverso importanti opere di pittura, fotografia, teatro e

Il Barocco di Fontana

L’”arte nuova” a Treviso

letteratura da lui commentate. Il percorso espositivo raduna le opere di Louise Bourgeois, Giuseppe Arcimboldo, Piet Mondrian, André Masson, Bernard Réquichot, Cy Twombly, Saül Steinberg, Wilhelm Von Gloeden, Bernard Faucon, Pierre Klossowki, Vincent Corpet. Accanto alle opere sono presentati manoscritti, diari di lavoro, schede e corrispondenza tratti dai fondi Roland Barthes dell’IMEC nonché quattro lavori che propongono una lettura contemporanea della sua opera: la creazione musicale del compositore Andrea Cera; un’interpretazione della Chambre claire proposta da Alain Fleischer, fotografo e scrittore; la Pneumathèque degli artisti plastici Anne Marie Jugnet e Alain Clairet e il Système mode d’emploi realizzato dal progettista multimediale Antoine Denize.

La Casa dei Carraresi di Treviso è la sede, fino al 30 marzo della mostra “L’Impressionismo e l’età di Van Gogh”. Viene ripercorso il periodo tra la prima esposizione impressionista del 1874, tenutasi nello studio del fotografo Nadar a Parigi, fino all’ultima nel 1886, per proseguire poi fino alla morte di Van Gogh nel 1890. Circa 150 le opere esposte tra dipinti, sculture e disegni, provenienti da tutto il mondo, che illustrano la storia e l’evoluzione della rivoluzionaria scelta artistica

degli Impressionisti attraverso un percorso espositivo diviso in cinque sezioni di cui tre cronologiche e due dedicate rispettivamente ad Auguste Rodin e a Vincent Van Gogh. Di quest’ultimo sono esposti ben quaranta tra dipinti e disegni, tra cui il celebre Seminatore al tramonto (nella foto) proveniente dalla Fondazione Bührle di Zurigo, divenuto una delle icone più riconoscibili dell’incredibile talento artistico del maestro olandese e della sua personalissima poetica impressionista.

bassorilievo, attraverso le quali espresse con poetica maestria sia gli aspetti morali e cristiani del suo pensiero sia i motivi ispirati alla sua vita di artista e di uomo. L’esposizione romana ne ripercorre le vicende dagli esordi nel 1929, attraverso gli anni Quaranta fino agli anni Ottanta, culminati con l’ultima commissione ufficiale: il bronzo dorato alto più di sette metri raffigurante una madre con bambino e intitolata La Pace, inaugurata nel 1989 presso la sede dell’ONU a New York.

Dall’Europa all’America Latina

Uomo e artista Nella mostra “Lucio Fontana, metafore barocche”, aperta fino al 9 marzo a Palazzo Forti di Verona, si analizza uno dei motivi dominanti della poetica di Fontana: il linguaggio barocco. Sottolineato nel Manifesto Spazialista e interpretato nell’ampiezza delle sue implicazioni culturali, il Barocco rappresenta una sorta di piano di continuità nella vicenda artistica di Fontana a partire dagli anni Trenta e Quaranta quando dalle iniziali forme plastiche egli procede a una

nuova interpretazione delle superfici e dell’alchimia della materia coniugata in una dimensione spazio-temporale. Circa settanta le opere esposte, tra cui i molti Concetti Spaziali che testimoniano le molteplici evoluzioni della ricerca fontaniana: dalle trame materiche di pietre e “barocchi” ai teatrini, dalle costellazioni di buchi alle varie Fine di Dio, dalle “Venezie” ai tagli, con cui Fontana espresse l’evoluzione definitiva della radicalità del gesto artistico.

“Giacomo Manzù: l’uomo e l’artista” è il titolo della grande antologica dedicata allo scultore scomparso nel 1991 dalla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma, nella sede di Palazzo Venezia fino al 2 marzo. La mostra presenta una settantina di sculture e altrettante pitture e grafiche provenienti da musei e collezioni italiani e stranieri. Manzù fu grande sperimentatore delle più diverse tecniche dall’encausto all’intarsio, dal cesello alla fusione a cera persa, dall’incisione nel cristallo al

Giacomo Manzù, Fauno, bronzo/bronze, 1968.

Alla Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo è di scena fino al 23 marzo la mostra “Arte Abstracto Sudamericano – il sogno verso l’Europa dell’America Latina da Fontana a Maldonado”. Oltre 160 i dipinti e le sculture scelti dal curatore Marcelo Pacheco, appartenenti a movimenti latinoamericani come il Madismo, la Asociaciòn Arte

Concreto-Invenciòn, Perceptismo, messi a confronto con opere del Futurismo, dell’Arte Concreta e del Costruttivismo europei. L’Astrattismo, in particolare, è poi analizzato come simbolo di razionalità e ricerca che si trasferisce dall’Europa all’America Latina grazie all’opera di Lucio Fontana e all’esperienza nel vecchio continente di Tomàs Maldonado. Carmelo Arden Quin, Meccaniche, vernice su cartone/paint of cardboard, 55x41 cm, 1947.

Enzo Cucchi, La guerra delle regioni, carboncino su carta intelata/charcoal on tissued paper, 272x432 cm, 1981. A destra/right, Lucio Fontana, Concetto spaziale Fine di Dio, olio su tela verde/oil on green canvas, 178x123 cm, 1963.

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Press

Materia creativa

Nuove prospettive

L’artista svizzero Nic Hess è il protagonista della personale alla Galleria Via Farini di Milano dal 10 febbraio al 29 marzo. Le installazioni di Hess sono una sorta di dipinti-collage tridimensionali ricchi di segni ricavati dalla vita contemporanea. Con nastri adesivi, stampe da plotter, materiali industriali, loghi di marche status-symbol

l’artista, nato a Zurigo nel 1968, realizza opere che giocano con i significati degli oggetti creando nuove prospettive, privandoli del loro contenuto originale e collocandoli in nuovi contesti estetici. La sua è una nuova realtà iconografica che fa riferimento alla cultura pop interpretata attraverso nuovi codici decorativi e simbolici. Nic Hess, installazione a/installation at Viafarini Milano. A destra/right, Nanni Valentini, Cerchio, gres e ferro/gres and iron, diam. 150 cm, 1982.

La mostra “Kèramos, la ceramica nell’arte italiana contemporanea 1910-2002”, allestita presso il Museo del Corso a Roma fino al 23 febbraio, affronta il tema della ceramica come linguaggio utilizzato dagli artisti che hanno segnato l’arte italiana dal 1900 a

Segnalazioni

oggi. Sono esposte opere di venticinque artisti che hanno esplorato e impiegato l’argilla sia come materia primaria della loro espressività creativa sia in modo sporadico ma significativo. Si trovano così opere di Leoncillo Leopardi ma anche di Giuseppe Penone, Lucio Fontana, Enzo Cucchi, Luigi Ontani, Mimmo Paladino, fino alle rappresentazioni virtuali dello Studio Azzurro (nell’immagine in alto un momento della loro video-installazione del 1992 Il giardino delle cose). Ne emerge una storia ricca di riferimenti in cui le potenzialità di questa antica materia sembrano rielaborate e rielaborabili in una continua rigenerazione creativa.

Giochi d’arte

Nell’ambito del progetto Valle d’AostArte, è aperta fino al 13 maggio, al Museo Archeologico Regionale di Aosta la mostra “L’arte del gioco. Da Klee a Boetti”. La mostra ripercorre, attraverso oltre 200 opere tra dipinti, sculture, installazioni, fotografie, vide, videogiochi, la storia del tema del gioco nell’arte del

Novecento dalle avanguardie fino ai videogiochi. Curata da Pietro Bellasi, Alberto Fiz e Tulliola Sparagli, l’esposizione si articola in un percorso diviso in tredici sezioni in cui le opere dei circa settanta artisti rappresentati raccontano le diverse sfaccettature i tanti elementi simbolici, sociali, culturali, artistici, espressivi, creativi che l’attività ludica ha svelato nel tempo. Fantasia, inconscio, regola, intreccio tra realtà e finzione: il gioco è qui interpretato non solo come semplice strumento ricreativo ma come sistema di pensiero in grado di imporre una logica alternativa rispetto a quella reale. Si va dalle esperienze delle avanguardie, in particolare il futurismo, il Dadaismo, il Surrealismo, il Bauhaus e Fluxus fino alle espressioni più recenti dell’arte contemporanea con la presenza tra gli altri di Mike Kelley, Cindy Sherman, Haim Steinbach, Pipilotti Rist, Maurizio Cattelan, Eva Marisaldi, Miltos Manetas. Daniel Spoerri, Piano Emmenthal, 1990. Sopra/above, Bauhaus, Gioco degli scacchi, 1922-23.

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Mercedes Daguerre Venti architetti per venti case, Mondadori Electa, Milano 2002, ill. b/n e col., 240 pp La “casa” è ancora il terreno di prova per qualunque architetto, e Mercedes Daguerre ne definisce i valori antropologici, culturali e sociali che l’architettura è chiamata a esprimere. Le venti opere qui illustrate – ville, più che altro – su progetti di altrettanti professionisti – da Ando a Koolhas da Meier a Souto de Moura, da Ungers a Holl – documentano i diversi approcci delle culture di partenza al problema, alternando ambienti freddi, minimali, vernacolari, tecnologici o finto poveri, ma sempre in un contesto di opulenza. Ma, avverte Daguerre, alla fine l’abitazione, quando si trasforma in status symbol, impedisce all’architetto una libera sperimentazione di forme e soluzioni funzionali, sicché il repertorio va forse considerato più che altro in una prospettiva di pura proposizione concettuale. Annalisa Dominoni Disegno industriale per la progettazione spaziale Silvana Editoriale, Milano 2002, ill. b/n, 160 pp Facendo leva sulla sua esperienza di responsabile dei programmi di ricerca di SpaceLab, il Laboratorio di progettazione spaziale del

Politecnico di Milano, Annalisa Dominoni ha tracciato una introduzione generale al problema del design delle apparecchiature aerospaziali, sottolineando il ruolo che essa ha avuto e ha oggi più che mai per la realizzazione di un ambiente umano in situazioni eccezionali come quelle della esplorazione spaziale. Nella prima parte il volume descrive i caratteri essenziali dell’esperienza umana nello spazio, in condizione di microgravità e confinamento; nella seconda delinea il ruolo del design in questo contesto e ne sottolinea la centralità. Silvano Faresin Casa Caoduro Testi di Kenneth Frampton, Gabriele Cappellato e Mario Pisani Skira, Milano 2002, ill. b/n e col., 120 pp Una villa nel vicentino, dalla pianta articolata, mobile, nervosa, con riferimenti a Leonardo Ricci, Leonardo Savioli e Carlo Scarpa, integrati in una struttura di inquieta modernità, fornisce lo spunto per un serrato dibattito sulla casa contemporanea, tra decostruzionismo e linguaggi vernacolari, progetto e contesto, abitare e abitabilità.

Altreguide, Città di Venezia, Venezia 2002, 204 pp La guida illustra tutte le chiese della città di Venezia e delle sue isole; ogni edificio di culto è illustrato con una o due foto e viene brevemente ma esaustivamente descritto. Il libro è articolato per sestieri in modo da facilitare la ricerca delle chiese e meglio definirne la loro collocazione. Alla fine, in appendice, il volume è corredato da un utile indice delle chiese. È una guida che è pensata per tutti, sia per i turisti, ma anche per gli abitanti di Venezia. Il volume è realizzato in collaborazione con l’Associazione Sant’Apollonia e ha il patrocinio dell’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali della Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana. Quim Rosell Remaking Landscapes Después de Afterwards Editorial Gustavo Gili, Barcellona 2002, ill. a colori e b/n, 182 pp I progetti raccolti in questo volume descrivono un nuovo tipo di architettura che sta emergendo in ex zone di guerra, o in aree sottoposte a forti spostamenti geologici di varia natura, o in periferie urbane riscattate dall’abbandono industriale.

Franco Muzzio Editore,Roma 2002, ill. a colori e b/n, 232 pp Oltre a fornire in modo chiaro ed esauriente gli elementi conoscitivi di base sull’uso del fotovoltaico in edilizia, il volume affronta il tema di quali siano i migliori criteri progettuali per integrare il solare elettrico negli edifici, nell’arredo urbano, e in strutture architettoniche di vario tipo. Le soluzioni considerate più significative sono presentate con schede tecniche, fotografie e disegni. Spoon Phaidon, New York 2002, 1000 ill. a colori, 448 pp Rassegna dei prodotti di design contemporanei, questo libro riccamente illustrato presenta le opere di 100 designer, presentati in ordine alfabetico, con schede biografiche, immagini e saggi critici. Inoltre, dieci critici hanno scelto dieci opere di design classiche che illustrano il concetto di “buon design”.

Le chiese di Venezia: i luoghi di culto della città e delle sue isole a cura di Gianmatteo Caputo, Irene Galifi, Anna Pietropolli

Mauro Spagnolo Il sole nella città. L’uso del fotovoltaico nell’edilizia

Venezia. Guida al Porto Marsilio Editore, Venezia 2001, ill. a colori e b/n, 108 pp Storia, architettura, curiosità, valenza sociale ed economica e prospettive di sviluppo di uno dei più importanti porti italiani che ha rappresentato un fortissimo volano per l’industria del Veneto e dell’Adriatico.

complessità, dipanandosi a fatica in mezzo a spinte contrastanti fino ad approdare, negli anni Trenta del secolo scorso, all’ancora inquieto modernismo degli ultimi lavori. La monografia di Stanford Anderson – docente di storia dell’architettura al MIT – analizza in profondità la vicenda professionale di Behrens, mettendone soprattutto in luce le radici culturali, a partire dalle prime febbrili ricerche, condotte nell’alveo di un pensiero progettuale che in ambito tedesco puntava, lungo percorsi diversi, a definire gli spazi e le cose attraverso una forma che ne esprimesse l’intima essenza. L’insistito linearismo della cultura progettuale e artistica di quel tempo – che aveva assimilato la lezione grafica giapponese, le vibrazioni plastiche dell’Art Nouveau, il velleitario misticismo della teosofia e l’astrattismo ieratico di padre Desiderius Lenz – si coniugò allora, in Germania, con le teorie nazionaliste di Georg Fuchs e con la ribollente miscela di imperialismo e industrialesimo dalla quale Friedrich Naumann e Hermann Muthesius diedero vita, nel 1907, al Werkbund.

Nello studio di Anderson, questa complessa prospettiva consente di individuare, nell’opera di Behrens, alcuni elementi finora rimasti in ombra. Per esempio, l’attenzione posta dal progettista sulla relazione tra arte e vita – nodo cruciale della filosofia tedesca dell’epoca – chiarisce a sufficienza l’intenso rapporto che egli ebbe con il teatro, e ciò trova una significativa conferma nella casa che lui stesso si costruì a Darmstadt; e nei corsi che tenne presso la Kunstgewerbeschule di Düsseldorf emerge il suo interesse non solo per l’ordinamento geometrico della forma che aveva le sue origini nella concezione architettonica di Berlage, ma anche per le teorie idealiste dell’olandese J.L.M. Lauweriks circa i legami tra geometria, natura e arte. In questa luce, perfino la collaborazione di Behrens con l’AEG, caposaldo nella storia dell’architettura e del design, offre lo spunto per nuove riflessioni. Come scrive Anderson a proposito della famosa fabbrica di turbine, “sostenuto da uno Zeitgeist che applaudiva il potere per come esso si manifestava nella collaborazione tra tecnologia, industria e stato, e da un’idea di volontà artistica che imponeva la

forma geometrica astratta alla fisicità pura, Behrens riuscì a creare un magnifico tempio del potere: la modernità industriale fissata in una forma sfaccettata, cristallina. Come nella politica di Naumann, si cerca di ordinare i dati del mondo moderno secondo una gerarchia che dovrà apparire come immanente”. Behrens invocò sempre una sintesi tra arte e tecnica, intesa come “nobilitazione impressa alla vita materiale ricca da una forma spiritualmente raffinata”. A suo avviso, infatti, la realizzazione “pseudoestetica” dell’ingegneria non era arte. “Al di là del linguaggio dei segni della tecnica e di quelli identificativi di un’azienda”, osserva Anderson, “Behrens era ancora più interessato a trovare i simboli, le proporzioni e i principi che credeva armonici e rivelatori del ‘ritmo del tempo’”. Ciò conferma il ruolo fondativo che gli fu subito attribuito nelle storie del design, forse ancor più che in quelle dell’architettura; ma indica anche che i problemi sollevati dalle sue realizzazioni in entrambi i campi non sono stati finora mai davvero risolti. Maurizio Vitta

Modernità inquieta Idee da leggere

Firenze rende omaggio fino al 15 febbraio a “Leonardo”, considerata la prima e più importante “rivista di idee” dell’avanguardia fiorentina all’inizio del Novecento con forte carattere scientifico e filosofico. Col titolo “Leonardo, 1903: la nascita della modernità”, la mostra, allestita allo spazio BZF Vallecchi, ripercorre la beve storia della rivista, primo impegno editoriale di Attilio Vallecchi, che la pubblicò dal 1903 al 1907, attraverso l’incontro con alcuni dei suoi

protagonisti quali Gian Falco (Giovanni Papini) o Giuliano il Sofista (Giuseppe Prezzolino), ma anche Croce, Salvemini, Vailati, D’Annunzio, Bergson, per citare solo alcuni dei collaboratori. L’esposizione si articola attraverso una sezione documentaria con testi autografi, lettere, cartoline postali, articoli, fotografie e una sezione grafica che comprende bozzetti e incisioni, affiancata da una ristretta scelta di dipinti con opere di Giovanni Costetti, Oscar Ghiglia e Ardengo Soffici.

Stanford Anderson Peter Behrens. 1868-1940 Elemond, Milano 2002, 316 pp Quella di Peter Behrens è stata una delle personalità più complesse e significative dell’intenso periodo vissuto dalla cultura progettuale europea tra la fine del XIX secolo e la metà del XX. Nella sua opera conversero infatti tutti gli inquieti umori di una modernità che si presentava, soprattutto in Germania, ancora incerta, alle prese, per un verso, con una società di massa sempre più industrializzata e, per un altro, con gli esasperati nazionalismi, le confuse aspirazioni a uno spiritualismo spesso intorbidato da risvolti decadenti e i ripetuti tentativi di fondare una più lucida ragione su valori radicalmente innovativi. In questo confuso e agitato scenario, Behrens si è mosso alternando intuizioni geniali, vistose contraddizioni e anticipazioni vertiginose: nel susseguirsi delle sue opere e dei suoi interventi teorici, l’aggrovigliata materia della moderna forma del mondo – dall’architettura al design – ha espresso, forse più chiaramente che in altri progettisti, tutta la sua

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News

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Direttamente on line

RDB, maggior gruppo industriale italiano specializzato nella progettazione, produzione e installazione di sistemi e strutture prefabbricate e tra i più importanti produttori nazionali di componenti per l’edilizia, ha completato il proprio sito (www.rdb.it) con una nuova funzionalità per consentire ai progettisti di usufruire in tempo reale dell’assistenza e della consulenza degli esperti RDB, direttamente on line. Questa nuova modalità di lavoro interattiva, consente quindi ai progettisti di condividere on line, con i professionisti RDB, i

Pavimenti in gomma

documenti e i progetti che hanno realizzato utilizzando il Programma di Progettazione Guidata per gli edifici prefabbricati, di dialogare su Internet e di ricevere l’opportuna assistenza tecnica per sviluppare ulteriormente il loro progetto.

Artigo Rubber flooring, azienda specializzata e conosciuta a livello mondiale per le pavimentazioni in gomma, produce, con Plans System e Stud System, una gamma di pavimenti costituita da gomma naturale e sintetica di alta qualità, cariche minerali rinforzanti e pigmenti colorati ecologici. I pavimenti si distinguono inoltre per la straordinaria resistenza all’abrasione, l’elevato assorbimento del rumore,

l’assenza di PVC e alogeni, la massima resistenza allo scivolamento, la sicurezza antincendio, il rifiuto dei segni dovuti a brace di sigaretta e l’antistaticità. Nelle numerose tipologie che comprendono superfici lisce e a rilievo, i pavimenti trovano impiego nelle più varie situazioni di traffico, anche se molto intenso, garantendo, oltre alla qualità, un valore estetico di notevole e piacevolissimo impatto.

Applicazione italiana

Fiera dell’impiantistica

Climatizzazione e ventilazione

Expoimpianti nasce come la principale fiera dell’impiantistica nell’area del Mediterraneo che, organizzata da Intel e Senaf, sarà presente a Bari dal 14 al 16 novembre 2003 con l’appoggio dell’Ente Autonomo Fiera del Levante. Quest’ultima ha messo a disposizione il quartiere fieristico e la propria esperienza professionale per ospitare la prima edizione di questa nuova rassegna internazionale. L’accordo prevede lo svolgimento e la promozione contemporanea delle attuali due manifestazioni, sino a ora presentate disgiunte a Bari, costituite da: Sicurezza Mediterranea, organizzata da Intel e dedicata alla sicurezza e all’automazione degli edifici;

Sarà a Francoforte sul Meno, dal 25 al 29 marzo 2003, ISH – Fiera Specializzata della Tecnologia per Edifici, della Tecnica Energetica e del comparto del Bagno. Il ritorno della climatizzazione e della ventilazione a ISH, con il marchio Aircontec, determinerà una cadenza annuale nel calendario fieristico, segnando il completamento del settore dedicato alla tecnica idrosanitaria e al riscaldamento. La nuova combinazione fieristica risponde agli attuali concetti riguardanti il consumo energetico degli edifici, non valutando più i singoli componenti come l’impianto di riscaldamento o di ventilazione di primaria considerazione, ma l’intero bilancio energetico. Quindi, oltre all’isolamento termico, anche l’intero sistema, costituito dagli impianti di riscaldamento, di ventilazione e di climatizzazione, assume un ruolo di primo piano. L’ambito espositivo sarà un’occasione di particolare

Termoidraulica e Bagno Show organizzata da Senaf. Il nuovo evento, che consentirà la visione completa degli edifici integrati e della domotica a un vasto consesso di utenza, avrà cadenza biennale per evitare sovrapposizioni con altre mostre (Sicurezza a Fiera Milano dal 17 al 20 novembre 2004), o con altre rassegne del settore elettrotecnico organizzate da Senaf nel Centro-Nord Italia. Expoimpianti sarà dedicata a un target che comprende: società di engineering, di progettazione e studi di architettura; imprese edili; aziende di ristrutturazione; installatori; distribuzione; facility management; esponenti della pubblica amministrazione.

Ottimi risultati AddCAD, giunto dopo dieci anni dalla sua introduzione sul mercato alla versione 7, dispone di nuove funzionalità che consentiranno al progettista di introdurre livelli superiori di produttività e qualità nella propria attività professionale. Il disegno realizzato al computer con AddCAD offre innumerevoli vantaggi per chi deve gestire e calcolare i dati relativi all’immobile. E’ possibile suddividere gli spazi in aree funzionali, come è possibile, senza ulteriori interventi sul disegno, estrarre, visualizzare e gestire tutti i dati del progetto. Fra i dati di maggiore interesse sono disponibili superfici utili, superfici ventilanti e illuminanti, i loro rapporti, volumi e perimetri. Per questi dati sono disponibili i totali, secondo gli accorpamenti di vani e di alloggi, così come stabiliti dall’utente. Il programma è in

grado di calcolare ed estrarre le tabelle per le varie categorie di infissi: porte, finestre, aperture generiche. Il sistema di computo e di estrazione delle misure consente la realizzazione di computi analitici dei materiali e delle opere connesse all’immobile in fase di progetto o manutenzione.

Coperture per serre

Lexan® Zigzag™, di Ge Structured Products Europe affiancato dall’Istituto di Ingegneria Agricola e Ambientale IMAG, è un nuovo pannello in policarbonato alveolare che, studiato per impieghi in coperture di serre, genera livelli di trasmissione della luce simili a quelli del vetro singolo unitamente a valori di isolamento pari a quelli delle vetrature a doppia parete. La straordinaria trasmissione della luce è stata favorita dalla particolare tipologia del pannello, che riflette la luce all’interno della serra

compensando quanto perso a causa della doppia parete della struttura alveolare, la quale, a sua volta, trattiene il 45% di calore in più rispetto al vetro singolo, assicurando un risparmio annuo compreso tra il 20 e il 40%. Oltre al risparmio energetico e alla non trascurabile possibilità di accedere ai contributi finanziari previsti, il pannello assicura ottima infrangibilità, autoestinguenza, posa in opera senza profili di supporto, assenza di condensa e di crescita di alghe e danni da UV, nonché facilità di pulizia.

Più affidabilità e tecnologia

Océ presenta nel mercato il nuovo sistema di stampa a modulo continuo VarioStream 7000 che, tra i più veloci nel suo segmento, è costituito da una famiglia di soluzioni dotate di sei diverse velocità: da 180 a 600 pagine A4 al minuto in modalità singola e fino a 1200 in modalità accoppiata.Grazie alle avanzate

funzioni di controllo della linea produttiva tramite l’interfaccia incorporata UP_I, i prodotti VarioStream 7000 possono garantire un’altissima produttività. La notevole flessibilità dei sistemi permette all’utente un semplice upgrade del proprio sistema, così da soddisfare crescenti esigenze in termini di volumi di stampa.

presentati in fiera. La prossima manifestazione presente a Fiera Milano sarà, dal 20 al 24 maggio 2003, INTEL che ospiterà: elettrotecnica, elettronica, illuminazione, domotica, automazione industriale e componentistica con abbinato un importante padiglione dedicato alla sicurezza.

Partnership luce-calcio

Partner Ufficiale con la FIFA, relativamente ai campionati mondiali di calcio che si terranno in Germania nel 2006, Royal Philips Electronics darà, con questo evento, un risalto mondiale al proprio marchio e avrà l’occasione di fornire l’intera gamma di prodotti e servizi a dimostrazione della sua leadership nel settore dell’elettronica di consumo. La direzione Philips afferma che:” Con i campionati del 2006 Philips

sarà in grado dimostrare i molti vantaggi della TV digitale, la qualità migliore delle immagini così come l’utilizzo interattivo della TV magari guardando contemporaneamente più partite, scegliendo l’angolo della telecamera che si preferisce o richiedendo i dati di un giocatore mentre si guarda una partita”. Philips metterà a disposizione anche televisori, apparecchi DVD e varie apparecchiature audio per gli stadi e gli altri impianti.

Poche risorse e bassi standard Eccellenti caratteristiche

I pannelli Floormate, di DOW, dalle eccellenti caratteristiche tecniche, meccaniche e di resistenza all’umidità, comprendono: Floormate 200 che consente un efficace isolamento termico dei pavimenti, soprattutto se realizzati su solette a diretto contatto col terreno, sopra locali non riscaldati, in interpiani con presenza di sistemi di riscaldamento autonomi e su

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Con un 15% in più rispetto alla precedente edizione, Sicurezza 2002 ha registrato un incremento notevole costituito anche da molte nuove presenze straniere. Ottimo il successo di partecipazione riscontrato nei vari convegni organizzati nel corso della manifestazione, e alta la qualità innovativa dei prodotti

pavimenti con riscaldamento radiante; Floormate 500 e 700 che sono stati specificamente studiati per l’isolamento di pavimenti sottoposti a elevati carichi come parcheggi, capannoni industriali, hangar, e altro. Floormate 200 – 500 –700, sono lastre isolanti in polistirene espanso estruso monostrato, esenti da HCFC, prodotte da azienda certificata con sistema di qualità ISO 9002.

importanza e di aggiornamento per architetti e per il mondo progettuale che possono considerare basilare il nuovo approccio di compensazione, e conoscere i più innovativi sistemi e impianti per la moderna tecnologia studiata per gli edifici. Espressamente mirato al target della progettazione architettonica è outLOOK, evento straordinario promosso da Messe Frankfurt e legato al settore di specializzazione fieristica “Architettura e Tecnica”, che porterà a ISH 2003 la filosofia e gli effetti dell’“Energy Performance of Buildings”. Debutterà inoltre il premio europeo per l’architettura “Architetture & Tecnologi Award” che premierà le migliori prestazioni relative alla progettazione, realizzazione e messa in esercizio di un edificio. Il nuovo premio è patrocinato dalla Commissione Europea e dalla direzione generale Trasporto e Energia.

Considerabili a rischio sismico, idrogeologico e ambientale, tutti i territori in Italia necessitano, secondo l’Istituto Nazionale di Architettura, di risorse maggiori di quelle messe per prassi a disposizione per consentire costruzioni con margini di sicurezza e trasformazione qualitativa del paesaggio. In sostanza si dichiara che disponiamo di standard edilizi quantitavi e qualitativi estremamente bassi rispetto al contesto internazionale, e che ci

Arte in Fiera Presente a Bologna dal 23 al 27 gennaio 2003, Arte Fiera, rassegna di arte moderna e contemporanea italiana, ha dato avvio a nuovi impulsi dedicati all’arte contemporanea internazionale, presentando importanti Gallerie Berlinesi e, soprattutto, i Kunst-WerkeBerlin (KW), una delle più importanti istituzioni di arte contemporanea in Germania. KW ha organizzato

esclusivamente per Arte Fiera la mostra Produktion Unit, impostata sul tipo di lavoro di questa istituzione e sulle più attuali tendenze artistiche nella capitale. Il tema portante di questa mostra ha affrontato la riproducibilità dei Media e dell’immagine tecnica, nel rapporta di tensione che si stabilisce fra immagine artistica e inflazione dell’immagine nei Media di massa.

sono state assegnate risorse inadeguate per la costruzione di edifici, mentre sono troppe le voci discordanti in merito a classificazioni e regolamenti relativi. L’Istituto Nazionale di Architettura auspica che si possa disporre di adeguate risorse superando la logora diatriba tra “restaurare o costruire” per decidere come saldare antico e nuovo, e come costruire frammenti contemporanei di un processo di trasformazione continuo e inevitabile.

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