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www.arcadata.com

La rivista internazionale di architettura, design e comunicazione visiva | The international magazine of architecture, design and visual communication

Architecture Studio Citylife Jean-Louis Godivier Jean-Marc Ibos/Myrto Vitart INRES Monolab Murphy/Jahn NEXT Dominique Perrault Alberto Salvati

In Italia ₏ 9,00 IVA assolta dall’editore

2004 195

Periodico mensile - Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano

Piera Scuri e Douglas Skene


Cesare Maria Casati

Una doverosa riconoscenza gni due anni, a Venezia, l’architettura trova finalmente un palcoscenico eccezionale per mettersi in mostra e raccontare al pubblico, anche non degli addetti, le sue problematiche, le crisi passeggere e, poche volte per la verità, i suoi

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entusiasmi. La Biennale di Venezia dell’Architettura è una organizzazione italiana sovvenzionata con risorse pubbliche che gode di un prestigio internazionale unico al mondo che per finalità dovrebbe trovare consenso pubblico e promuovere i valori estetici del progetto contemporaneo che dovrebbe essere sempre orientato a migliorare la situazione abitabile dello spazio domestico, urbano e naturale. Per realizzare un simile evento ogni due anni viene affidata la conduzione a un personaggio, naturalmente con grandi crediti culturali, che dovrebbe attirare l’attenzione di tutti sul soggetto architettura e non sulle metafore, come avviene sempre, che come tali catturano consensi solo superficiali. Avviene sempre che tutti osservano il dito che indica la luna e non la sua immagine con i suoi crateri e la sua luminosità riflessa. Questo per sottolineare come ogni due anni a Venezia, tranne per la Biennale di Massimiliano Fuksas, il concetto di qualità del progetto viene sempre mistificato racchiudendolo in ambiti letterari di dubbia affinità con il linguaggio e la tecnologia propri dell’architettura. Curiosamente, anche questo anno, la mostra internazionale dell’architettura che dovrebbe essere l’occasione per tastare il polso della professionalità, dell’innovazione e delle avanguardie è raccolta sotto l’insegna “Metamorph” e annuncia di affrontare i fondamentali cambiamenti in atto nell’architettura contemporanea nel mondo mettendo in mostra opere di circa centocinquanta architetti di tutto il mondo, di cui solo quattro sono italiani. Questa esigua e insignificante pattuglia, oltre a far pensare a una scarsa conoscenza delle indubbie capacità degli architetti nazionali crea l’impressione che ancora una volta, il responsabile della manifestazione, abbia posto attenzione più a ottenere consensi accademici e internazionali personali che considerare una doverosa riconoscenza al Paese che gli ha dato la possibilità di esprimersi. Persino il solito voluminoso, pesantissimo e costosissimo catalogo, come sempre più delle intenzioni che della mostra, è stato progettato negli Stati Uniti. Appuntamento alla prossima Biennale del 2006.

The Due Respect

very two years in Venice architecture finally takes centre stage, where it can show off and let people in general know (and not just experts) the problems and passing crises it is experiencing, and, not very often to tell the truth, its enthusiastic prospects. The Venice Biennial of Architecture is an Italian organisation backed by public money that enjoys a unique kind of international status. It ought to meet with public approval and promote the aesthetic values of modern-day architectural design, which in turn is supposed to be increasingly aimed at improving the living conditions in our homes, cities, and natural environment. Someone of great cultural standing is assigned the task every two years of organising this event; somebody expected to attract everybody’s attention to architecture itself and not its leading lights, as is inevitably the case, who by the very nature of their meteoric rise to fame enjoy only fleeting approval and popularity. Everybody ends up looking at the finger pointing at the moon and not the moon’s image itself, with all its craters and reflected light. This is intended to point out that every two years in Venice, except in the case of the Biennial organised by Massimiliano Fuksas, the idea of quality design is always dressed up in literary garbs that have very little in common with the language and technology of architecture. Strangely, this year’s international architecture exhibition, which ought to feel the pulse of expertise, innovation and the avant-gardes, is once again taking the name “Metamorph” and plans to tackle the key issues of worldwide modern-day architectural design, displaying the work of about one hundred and fifty architects from all over the world, only four of which are Italian. As well as suggesting a lack of awareness of the undisputed qualities of home architects, the fact that so few Italian have been invited to take part creates the impression that, yet again, the person in charge of the event is more interested in pleasing the academic community and boosting his own reputation across the globe than showing due respect to the country that has given him this chance to express himself. Even the usual large heavy and extremely expensive catalogue, as usual more of the event’s intentions than the exhibition itself, was designed in the United States. Let’s see what happens at the next Biennial in 2006.

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Milano entra nella modernità New Complex in the Fair Area architettura a Milano, Italia. Di una sua vera e propria eclissi si può parlare, totale e di ampiezza temporale raramente riscontrata prima. Vent’anni almeno, o giù di lì. Perduti a rintracciare con la lente di ingrandimento e invano qualche traccia di riscatto, qualche intervento anche minimo in grado di far sperare, la zampata di un vecchio maestro o il guizzo repentino e fortunato di una giovane promessa. Macché: nulla di nulla. Malgrado negli ultimi anni si siano susseguiti parecchi concorsi di varia stazza e ambizione, anche abbastanza partecipati, e puntualmente conclusi con giudizi deludenti emessi da giurie anchilosate, per vari motivi mai in grado di adempiere ai propri compiti propulsivi. Come se non bastasse concorsi per lo più ineffettuali, non coronati da un qualche esito costruttivo. Uno sciupio e soprattutto un modo di fare davvero poco edificante, per una città che a ogni pie’ sospinto rivendica pretese di leadership, non si sa più perché. Eppure a Milano, dopo un periodo di impasse, si è costruito tantissimo, e si continua a farlo: perfino forse più che negli anni del secondo dopoguerra. Il varo politico-amministrativo di una fitta serie di provvedimenti non tanto di disboscamento effettivo quanto di aggiramento dell’intricatissima selva di procedure messe a punto in decenni con insensato puntiglio da schiere compatte di urbanisti più o meno ideologizzati ha di fatto avviato un vero e proprio boom edilizio. A qualità zero. D’altra parte come sarebbe potuto andare diversamente, visto che l’architettura e gli architetti definibili tali erano già stati da parecchio tempo, per varie ragioni e senza il minimo complimento cacciati fuori dalla porta? Un vero pasticciaccio brutto, tanto per citare l’Ingegnere (l’unico con la i maiuscola, cioè Gadda). Così la città, che da quando ha perduto la sua tranquilla natura dimensionale padana non è francamente mai stata bella, ora è diventata bruttissima. Non ha nulla della città generica di cui tanto si parla: è soltanto orribile. Direbbe Villon: “mais où sont les architectes d’antan?”. Quei valorosi novecentisti che riuscivano a far lievitare gli interventi pesantucci del bieco ventennio, o quei professionisti coltissimi e iperattivi, ovunque invidiati, che riuscivano a punteggiare di episodi ammirevoli la crescita tumultuosa e incontrollata della ricostruzione postbellica? Quei maestri che oggi si studiano un po’ increduli sui libri di storia, primo fra tutti Gio Ponti? Le responsabilità sono pesanti. Un giorno si dovranno pur fare i conti. Sta di fatto che, volendola fare come tutte le città europee degne di questo nome, una guida all’architettura milanese contemporanea risulterebbe imbarazzante, ignominiosa. Infatti, malgrado le reiterate strombazzature, ci si guarda bene anche soltanto dal tentare l’impresa. Una Milano presentabile soltanto fino agli anni Sessanta, e poi da nascondere sotto il tappeto? Che vergogna. Del resto, come sempre e come è giusto, uno dei principali indicatori della decadenza di una città è dato dalla qualità della sua architettura. La coltre grigia delle innumerevoli operazioni immobiliari truculente e condotte brevi manu, anche se magari talvolta sbandierate come frutto di applicazioni sagaci di “urban policy”, locuzione aliena presa in prestito da ben altre modalità di gestione urbana, è ora stata inaspettatamente squarciata da questo megaprogetto polifonico vincitore del concorso, o forse meglio della gara, per la riqualificazione dell’area del vecchio e a modo suo glorioso polo fieristico urbano, in via di rapida dismissione. Della complessa e da noi piuttosto inconsueta impalcatura finanziaria destinata a dar struttura concreta all’in-

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rchitecture in Milan, Italy. We are fully entitled to talk about its total eclipse over a period time of almost unprecedented duration. At least twenty years, or something like that. Not even a magnifying glass can spot the odd trace of some minor work that might give some reason for hope, a flash of genius by some old master or a sudden, unexpected exploit by a promising youngster. We should be so lucky: there is absolutely nothing in sight. Despite the fact that various competitions of different stature and with different expectations have been organised over recent years, all boasting plenty of entrants but inevitably poorly judged by stiff old panels of judges, for some reason or other never capable of doing their job effectively. And as if that were not enough, most of these competitions turn out to be quite ineffectual, never resulting in something interesting being built. A real waste and, most significantly, hardly edifying for a city that is always claiming to be at the cutting-edge, although heaven knows why. Yet after a long dormant period, plenty of building has indeed gone on in Milan and is still going on: perhaps even more than during the post-war years. The political-administrative implementation of a vast range of measures, designed not so much to uproot as to steer round a thick wood of procedures developed over decades with pointless precision by hoards of more or less ideologically-motivated town-planners, has resulted in an authentic boom in building. Totally lacking in quality. So the city, which quite frankly has never been exactly beautiful ever since it lost its tranquil Po Valley connotations, is now downright ugly. It has nothing of that generic city there is so much talk about: it is just horrible. As Villon would put it: “ mais où sont les architectes d’antan?”. Where are those bold twentieth-century men that managed to make those heavy Fascist designs literally levitate or those erudite and hyperactive professionals, who were the envy of one and all, who even managed to introduce some admirable buildings into the tumultuous and uncontrolled post-war reconstruction programme? And what happened to those masters we now study in textbooks with such amazement, first and foremost Gio Ponti? There is plenty of responsibility to be handed out. One day those responsible will be called to account. Anyway, the fact is that if, like any major European city worthy of that name, we were to draw up a guide to modern-day architecture in Milan, it would be an embarrassing and rather shameful sight. But of course, despite plenty of talk on the subject, nothing has been done about it. So was Milan half decent until the 1960s and then fit only to be swept away under the carpet? How embarrassing. In any case, as always and as is only right, one of the main indicators of the decadence of a city comes from the quality of its architecture. The grey blanket of innumerable horrendous real-estate operations, completely haphazard, despite claims to be following some sort of wise “urban policy”, an inappropriate expression borrowed from other quite different means of urban management, has now been unexpectedly swept aside by this polyphonic mega-project that won the competition or rather tender to redevelop the old, and in its own way glorious, city trade fair district that is rapidly falling into decay. Unfortunately (and it is a real shame) we have not got time here to examine all the unusual (for Italy) intricacies of the financing behind the new project. But the architecture is there for all to see:

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In queste pagine, modelli e rendering dei progetti delle cordate finaliste. In alto, Pirelli Real Estate (capocordata), Vianini Lavori, Roma Ovest Costruzioni, Unicredit Real Estate, Renzo Piano Building Workshop:

In basso, Risanamento (capocordata), IPI, Fiat Engineering (ora Maire Engineering), Astaldi, Chelsfield, Langdale Consulting, Foster & Partners, Frank O.Gehry, Rafael Moneo, Cino Zucchi, Richard Burdett, URB.A.M.

These pages, models and rendering of the finalist projects. Top, Pirelli Real Estate (head of group), Vianini Lavori, Roma Ovest Costruzioni, Unicredit Real Estate, Renzo Piano Building Workshop: Bottom,

Redevelopment (head of group), IPI, Fiat Engineering (now Maire Engineering), Astaldi, Chelsfield, Langdale Consulting, Foster & Partners, Frank O.Gehry, Rafael Moneo, Cino Zucchi, Richard Burdett, URB.A.M.

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Viste del modello del progetto vincitore della cordata Citylife guidata da General Properties, e comprendente RAS, Progestim, Lamaro Appalti, Gruppo Lar Desarrollos Residentiales e i progettisti Arata Isozaki, Daniel Libeskind, Zaha Hadid, Pier Paolo Maggiora. Views of the model of the winning project by the Citylife team headed by General Properties, including RAS, Progestim, Lamaro Appalti, Gruppo Lar Desarrollos Residentiales and the architects Arata Isozaki, Daniel Libeskind, Zaha Hadid, Pier Paolo Maggiora.

tervento ora non ci possiamo occupare, anche se è un peccato. Ma l’architettura la possiamo vedere bene: da sinistra a destra guardando verso nord Zaha Hadid, Daniel Liebeskind e Arata Isozaki declinano tre grattacieli con residenze che si irradiano variamente al piede come radici, intrecciandosi con l’ordito degli interventi di Pier Paolo Maggiora. Ci sono speciali punteggiature fra le quali spicca il volume tortile del tanto agognato museo del design. La distanza dagli altri due progetti finiti in short list, l’uno sconnesso e un po’ sovreccitato, l’altro noiosetto e piuttosto accademico, balza subito agli occhi. Evitando le note e sterili trappole dei tentativi di riammagliamento con la morfologia del tessuto urbano circostante, qui particolarmente torpida, e le corrispondenti secche dei trastulli tipologici, cioè due fra le principali cause della progressiva uscita italiana dall’architettura moderna, tanto per parafrasare Banham, i progettisti vincitori affrontano a viso aperto e in termini propri, le principali questioni nodali oggi sul tappeto: diversità e identità, e qualità trasversale sostenibile. Agendo intelligentemente sulle superfici di contatto e sul loro potenziamento, propongono interessanti architetture di una metropoli infrarazziale. Il compito è difficilissimo, i campi largamente inesplorati: ma chi ben comincia è alla metà dell’opera. Una occasione preziosa per Milano: sempre che si risvegli una buona volta, se ne renda conto e ne sappia consapevolmente approfittare. Incrociamo le dita. Maurizio Vogliazzo 4 l’ARCA 195

from left to right, looking north, Zaha Hadid, Daniel Liebeskind and Arata Isozaki have designed three skyscrapers with residential facilities that spread out in different ways at their base like roots, intertwining with the row of projects designed by Pier Paolo Maggiora. Outstanding amongst the various structures we have the twisted structure of the much hankered after museum of design. The difference between this and the other two shortlisted projects (one rather disjointed and over-excited, the other rather boring and formalistic) immediately catches the eye. Avoiding all those well-known and sterile traps associated with trying to stitch back into the surrounding cityscape, particularly dull and uninspiring here, and the inherent dangers of typological playing-around, in other words two of the main causes of Italy’s gradual exit from modern architecture, paraphrasing Banham, the architectural designers deliberately got to grips, in their own way and without beating about the bush, with the key issues currently on the architectural agenda: diversity and identity, as well as sustainable cross-the-board quality. Working cleverly on the contact surfaces and on reinforcing them, they have come up with interesting works of architecture for an infra-racial metropolis. This is an extremely tricky task, venturing onto unexplored terrain: but at least things have got off on the right foot. A priceless opportunity for Milan: provided it finally comes to its senses and realises just what a chance it has been given. Fingers crossed. 195 l’ARCA 5


Viste del modello e rendering del progetto Citylife che interessa un'area di 255.000 metri quadrati dei circa 440.000 occupati dalla Fiera di Milano, su cui verranno realizzate le tre torri,

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un parco pubblico e una serie di immobili residenziali. Views of the model and rendering of the Citylife project involving an area of 255,000 square metres

of the 440,000 square metres taken up by the Milan Trade Fair, where three towers, a public park and number of residential buildings are planned to be constructed.

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Nouveaux albums di/by Maurizio Vitta

Jérôme de Alzua (www.dealzua.com), Residenze e uffici/Residences and offices Le Bois Habité, Euralille Nord, 2003.

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he il Novecento sia stato il secolo dei giovani è opinione comune, sulla quale si può in parte concordare. In effetti si è trattato di un secolo di avanguardie, rotture radicali con il passato, sperimentazioni temerarie, innovazioni spericolate e, soprattutto, una entusiastica fiducia nel progresso, che recava con sé la spinta a un mutamento inesausto, del quale la freschezza giovanile non poteva che dichiararsi protagonista. “I più anziani fra noi hanno trent’anni…”, proclamava orgoglioso Marinetti all’alba del Futurismo; e la stessa notazione anagrafica potrebbe valere per il Dada o il Surrealismo. Il fenomeno non è però durato a lungo. Già nella seconda metà del secolo, il protagonismo della gioventù si è stemperato in un giovanilismo di maniera. Fino agli anni Sessanta l’innovazione ha ancora vissuto momenti di fervore, sebbene mediati dall’energia ancora vitale espressa dai maestri della generazione precedente. In seguito, però, con il declino della modernità come modello culturale e con la crisi del concetto di progresso come componente stabile della nostra storia, abbiamo assistito a un sempre più rapido ritorno a un passato che, per quanto interpretato da qualcuno come avanzamento e innovazione, ha negato alla gioventù l’identificazione con il futuro. Tutta l’esperienza postmoderna è stata in fondo un recupero dell’antico, una valorizzazione dell’anzianità come garanzia di legittimità culturale, un brancolare in avanti con la testa rivolta all’indietro, come gli indovini dell’Inferno dantesco. Lo spazio della gioventù si è così ristretto, ed è diventato per lo più spazio dell’attesa, dell’auscultazione perplessa dei messaggi provenienti da un passato che, sebbene sempre più remoto, appare comunque più definito e rassicurante del futuro nebuloso e infido che ci si spalanca dinanzi. La storia dell’architettura del Novecento è stata – ed è – emblematica a tale riguardo. Tutta la prima metà del secolo è stata segnata dal travaglio di una “lunga marcia” verso la modernità, nella quale sono state messe a frutto tanto le impennate delle avanguardie quanto le riflessioni più pacate che ad esse si sono succedute. La seconda metà ha assistito alla definitiva affermazione dell’architettura moderna, che ha trascinato con sé, nella fase iniziale, un’intera generazione di progettisti, protagonista di un secondo dopoguerra fiduciosamente teso in avanti, sicuro dei propri mezzi e in grado di dialogare alla pari con gli immediati prede-

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cessori. Maestri come Le Corbusier, Gio Ponti, Louis Kahn, Mies van der Rohe, Kenzo Tange, per citarne solo alcuni, hanno accompagnato e favorito la crescita di nuovi protagonisti, da Foster a Meier, da Kurokawa a Piano, in grado di recepire le istanze della storia proiettandole però in un’attualità mobile e ribollente. Il velo postmoderno ha offuscato questa tendenza, senza cancellarla, ma privandola del supporto di un’ideologia orientativa, la cui dissolvenza ha provocato un rifluire delle soluzioni progettuali nel terreno spettacolare, ma infido, della poetica individuale, che fa dell’architettura un episodio tanto più isolato quanto più esaltante. In tal modo, la funzione magistrale che un tempo toccava ai maestri si è trasformata in un ruolo di semplice exemplum, di riferimento sporadico cui si aderisce per affezione stilistica, non per convinzione programmatica. Mi si potrà obiettare che dimentico tutta l’esperienza dell’architettura radicale degli anni Settanta. Ma no: stavo proprio per citarla a conferma. In questa situazione ai giovani architetti tocca in sorte ciò che Harold Rosenberg notava anni fa a proposito degli artisti: “Oggi all’artista si presenta un catalogo di stili e lo si invita a scegliere. Ma l’artista sa benissimo che l’edizione più recente di questo libro è già passata di moda. In arte, qualunque cosa sia stata fatta rappresenta un’altra porta aperta, che però mette capo a un muro cieco. Poiché l’artista non ha motivo di ripetere una mossa già fatta da altri, in pratica ogni invenzione ostruisce una strada del progresso. Dopo aver cancellato o sepolto le tendenze artistiche tradizionali, il nuovo è arrivato al punto di eliminare se stesso” (Harold Rosenberg, La s-definizione dell’arte, Feltrinelli, Milano 1975, p. 211). Sostituite la parola “architettura” alla parola “arte” e avrete più o meno la situazione dei giovani progettisti in questi decenni di trapasso dal XX al XXI secolo. Il concorso “Nouveaux albums des jeunes architectes 20032004”, giunto alla sua seconda edizione e promosso dalla Direction de l’Architecture et du Patrimoine del Ministère de la Culture et de la Communication dello governo francese, offre in tale prospettiva lo spunto per riflessioni di qualche interesse. Anzitutto, la composizione della giuria: presieduta da Ian Ritchie, essa è formata da personalità “istituzionali” in rappresentanza dello Stato e delle organizzazioni professionali, da tre architetti, ovvero Massimiliano Fuksas, un rappresentante dell’Institut Français d’Architecture e

Jeunes architectes un giovane vincitore del concorso precedente, e da personalità “qualificate”, e cioè rappresentanti di istituzioni pubbliche, oltre a un giornalista de “L’Express”. E’ evidente il carattere ufficiale di questa commissione, che segnala il preciso ruolo che lo Stato francese intende assumersi nell’iniziativa. Se ne trova del resto conferma nelle dichiarazioni d’intenti che accompagnano l’annuncio dei risultati, dove si legge che “attraverso questa manifestazione biennale il Ministero intende sensibilizzare i committenti e il grande pubblico nei confronti delle capacità creative e dei lavori innovativi dei progettisti di meno di trentacinque anni, arricchendo così il panorama della produzione francese”. Ciò sembrerebbe ovviamente conferire al concorso un carattere regionale che, in una visione europea, appare alquanto angusto. Ma gli ideali europeistici vengono subito dopo riaffermati, dato che il concorso è aperto a tutti i giovani e che questa edizione ha promosso, tra i ventisei architetti selezionati, due tedeschi, un belga, uno spagnolo, un greco e un italiano. Ciò ovviamente non toglie nulla alla lodevolezza dell’iniziativa. Resta da chiedersi come mai l’Europa, tanto impegnata negli affari monetari, non si faccia essa stessa carico, con un più ampio orizzonte, di queste problematiche. Ma torniamo ai giovani. In via preliminare, il limite d’età di trentacinque anni sembra ottimistico (almeno se si tiene conto degli attuali tempi di formazione, che le riforme universitarie vanno sempre più allungando), ma può essere accettabile sul piano di un normale sviluppo professionale e culturale. Più interessante è invece il fatto che la selezione avviene sulla base di opere progettate e commissionate in vari Paesi, il che conferisce all’iniziativa anche un ruolo di mappatura, di rilevamento dello stato attuale dell’arte, e quindi di orientamento circa gli sviluppi futuri. Da ciò bisogna quindi prendere le mosse per una valutazione generale dei lavori. Sfogliando questo “album”, come è definito dalla formulazione ufficiale del concorso, la prima impressione è quella della continuità. Divenuta tradizione, la modernità riaffiora prepotentemente nell’impianto strutturale dei vari progetti, nel loro porsi rispetto allo spazio, nel definirsi negli aspetti funzionali e linguistici. La storia dell’architettura moderna è onnipresente, non come episodica citazione, ma come ispirazione formale, diagramma stilistico di riferimento. In certo modo, essa si trova addirittura riassunta in ciascuna di queste opere, ridotta a modalità progettuale di parten-

za, sulla quale si innestano umori e irrequietudini più attuali. Il teso linearismo, la destrutturazione degli spazi e dei volumi, il minimalismo, la trasparenza, l’adesione al paesaggio come inserimento e mimesi, la dematerializzazione, la nitida organizzazione degli spazi interni, sono altrettanti paradigmi che la modernità ha messo laboriosamente a punto per cent’anni e più, e che sono passati indenni attraverso i ripensamenti di fine secolo. In effetti, nelle opere selezionate non sembra esservi più traccia delle memorie, delle opacità, delle ossessive geometrizzazioni e degli innesti classicheggianti che accompagnarono la stagione del postmoderno. Il ritorno alla tradizione c’è e si avverte: ma si tratta della tradizione moderna, ormai storicizzata. Questo atteggiamento potrebbe essere comprensibile nei progettisti esordienti, se non fosse per il dubbio che, dietro, vi sia qualcosa di più. A ben vedere, infatti, il recupero della modernità non si dà qui come libera opzione stilistica né tanto meno come scelta ideologica, che presupporrebbero comunque un confronto con istanze progettuali differenti e più avanzate. Al contrario, si tratta più che altro di continuità, come se il legame con il passato fosse, per i giovani architetti, ancora un ancoraggio indispensabile, un alimento insostituibile, una garanzia da opporre a un presente troppo incerto. C’è insomma il sospetto di un nuovo manierismo, espressione di un’età nella quale i maestri continuano a imporsi come insuperabili monumenti e la novità consiste nel portare alle estreme conseguenze – perfezionando, interpretando, traducendo – le loro conquiste. Se questo è vero, la nuova generazione di progettisti si muove lungo un asse di equilibrio che oppone ai drastici e ancora incomprensibili mutamenti della nostra epoca – che è ormai il XXI secolo, non dimentichiamolo – una sapienza antica, quasi a voler prolungare l’esperienza novecentesca sui nuovi territori in profonda trasformazione al fine di sottrarsi alle sollecitazioni di una libera creatività che, a quanto pare, intimorisce. L’argomento andrà approfondito. Esso mette in effetti in gioco il problema del ricambio, della successione, dell’avvicendamento generazionale, che non può non concretizzarsi in modelli progettuali differenti, in un diverso rispecchiamento della realtà nell’opera. La continuità con la tradizione moderna va benissimo; attenti però al rischio mortale che in essa si è sempre annidato, vale a dire la monotonia.

A sinistra/left, Colomer+Dumont, 50 Residenze/residences, Euralille Nord, 2003. A destra/right, JeanChristophe Quinton, Casa per vacanze/holiday house, Sagone (Corsica)

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In alto da sinistra/top from the left: Wonderland Productions (www.wonderlandprod uctions.com), Casa/house, Carantec (Bretagna), 2002; Cécile Brisac (www.brisacgonzalez.c om), Padiglione espositivo effimero/Ephemeral expo pavilion, Goteborg, 2001; Pangalos-Dugasse (www.nowebsite.com), Centro di Creazione Scenica/Center of Scenic Creativity, Villars-sur-Glane, 2001; Lan Architecture Design (www. lan-paris.com), Polo di Innovazione della Tecnologia e del Lavoro/Pole for Innovation of Technology and Work, Milano, 2003. A destra/right, Colboc & Franzen (www. colboc-franzen.com), Rifugio di alta montagna per uso turistico/Mountain hut for tourists, Cuzco (Perù), 2004. Nella pagina a fianco/opposite page, Rathle & Duron, Rinnovo di un appartamento/ apartment renovation, Parigi, 2002.

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Young Architects A sinistra/left, Tomorrow, Mediateca del Futuro/Mediatheque of the Future, Tokyo, 2003. A destra, sopra/right, above, Clément Vergély, Scuola elementare/primary school, Saint-Didierau-Mont D’Or; sotto/below, Llamata+Berthier (www.lllo.org), Locale tecnico/technical building, Charenton Val-de-Marne, 2001.

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t is a widely held view that the 20th century was about young people, and to some extent we can share that opinion. It was the century of the avant-gardes, radical ruptures with the past, bold experimentation, daring innovation and, above all, enthusiastic faith in progress, carrying with it a relentless thrust towards change: and young people were bound to be key players in all this. “The oldest of us are in our thirties…”, so Marinetti proudly proclaimed at the dawning of Futurism and the same observations about age could have been made about the Dada and Surrealist movements. But it did not last long. As early as the second half of the century, the protagonism of youth had dampened down into youthful mannerism. Innovation still showed signs of vibrant life until the 1960s, although mediated through the enduring vital energy of masters from the previous generation. Later, though, as the cultural force of modernity faded and the concept of progress as a stable feature of our history wavered, we witnessed an increasingly hasty return to the past, which, despite being interpreted by some as advancement and innovation, denied young people the chance to identify with the future. In the end, the whole of the postmodern experience was basically a recouping of the past, turning age into a guarantee of cultural legitimacy, a groping forward as you look back, like the diviners in Dante’s Hell. This has reduced the amount of opportunities available for young people, and the space they are given is more like a waiting room, a sort of perplexed auscultation of messages coming from the past, which, however distant, seems to be clearer and more consoling than the rather hazy and treacherous future opening up before us. The history of 20th century architecture was – and is – emblematic in this respect. The entire first half of the century was a tiring “long march” towards modernity, drawing on both the dashing achievements of the avant-gardes and the more restrained reflections that followed them. The second half saw the definitive triumph of modern architecture, which, at the beginning, managed to draw along with it an entire generation of architectural designers that came to the fore after the 2nd World War, dashing forward, confident in their own ability and capable of dialoguing on a par with their predessors. Masters like Le Corbusier, Gio Pon-

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ti, Luis Kahn, Mies van der Rohe and Kenzo Tange, to mention just a few, have helped along and encouraged the development of new exponents like Foster, Meier, Kurokawa and Piano, all capable of hearing history’s call and projecting it into the lively and bubbling present. A postmodern veil has hidden this tendency away, without wiping it out but robbing it of the support of any guiding ideology. The fading away of ideology has resulted in a flux of designs working along the spectacular yet treacherous lines of individual poetics, that turn architecture into isolated but exalting episodes. The old masterly approach has turned into something simply exemplary, guidelines to revert to more out of stylistic fondness than programmatic conviction. But it might be objected that I am completely ignoring all the radical architecture of the 1970s. Not at all: I was just about to mention it. In this state of affairs, young architects meet with the same fate Harold Rosenberg noted years earlier in relation to artists: “Today, artists are shown a catalogue of styles and asked to take their pick. But artists are very much aware that even the latest edition of any such book is already out of fashion. In art, anything already done represents another open door leading only to a blank wall. Since an artist is never interested in copying somebody else’s move, this means any invention inevitably blocks the way to progress. After cancelling out or burying traditional artistic trends, the new reaches the point of eliminating itself” (H. Rosenberg, La s-definizione dell’arte, Feltrinelli, Milan 1975, p. 211). If you put the word “architecture” in place of “art”, you will get more or less the situation facing young architectural designers working on the cusp of the 20th-21st centuries. In this respect the “Nouveaux albums des jeunes architectes 2003-2004” competition, that has now reached its second edition and is organised by the French Government’s Direction de l’Architecture et du Patrimoine del Ministère de la Culture et de la Communication, has plenty of interesting points to make. Firstly, let us take a look at the panel of judges: headed by Ian Ritchie, it is composed of Government officials and representatives from business organisations, three architects (Massimiliano Fuksas, a delegate from the Institut Français d’Architecture and a young winner of a past edition), “qualified” representatives of public institutions, and a journalist from “L’Express”.

for Tomorrow The official nature of the commission is quite obvious, alluding to the prominent role the French Government plans to play in this event. This is further underlined by the statement of intents issued together with the results, where we read that “the Ministry intends to use this two-yearly event to make both clients and the general public aware of the creative skills and innovative works of architectural designers under the age of 35, thereby enhancing architecture in France”. This regional approach to the competition seems rather “cramped” when viewed from a European perspective. But then the statement goes on to confirm its European-wide ideals, seeing as the competition is in fact open to all young people and the twenty-six architects selected include two Germans, a Belgian, a Spaniard, a Greek and an Italian. Of course this takes nothing away from this praiseworthy project. Nevertheless, we cannot help wondering why Europe, always so active when it comes to monetary issues, does not take this matter in hand and project it onto wider horizons. But let us get back to the young people. Initially, the age limit of thirty-five seemed rather optimistic (at least if we bear in mind how long it currently takes to train an architect, if anything being extended by the latest university reforms), but it might be quite reasonable if viewed in terms of normal professional training and cultural development. What is more interesting is the fact that selection is based on works designed and commissioned in various countries, which makes the competition serve a sort of mapping purpose, surveying the current state of the art and, hence, direction of future developments. This ought to be the starting point for a general assessment of the works. Flicking through these “albums”, the official term used in the competition, the first thing that strikes you is a sense of continuity. Having gained the status of a tradition, modernity powerfully emerges in the structural design of the various projects, how they relate to space and their functional-stylistic features. The history of modern architecture is everywhere, not just in the form of an occasional citation, but as a guideline for the projects’ stylistic aspirations. In some way, it is even summed up in each of these works, reduced to basic design premises which are then developed

along more topical lines. The linear tension, destructuring of spaces and volumes, the minimalism, transparency, knitting into the landscape through camouflaging and mimesis, the dematerialisation, and clear-cut layout of interior spaces, are all paradigms that modernity laboriously developed over a hundred years or more, and that have emerged unscathed after the rethinking that went on at the end of the century. Indeed, the chosen projects seem to show no signs of the recollections, opacity, obsessive geometric patterns and classical touches that characterised the postmodern period. The return to tradition is definitely there, and you can feel it: but the tradition is a historicised form of modernity. This is an understandable approach for young architects at the beginning of their careers, if it were not for the doubt that there is something more to it. Upon closer scrutiny, the revival of modernity is not just a stylistic option or ideological choice, which would presuppose some sort of confrontation with different and more advanced lines of architectural design. On the contrary, continuity holds the key, as if bonds with the past provided young architects with some sort of anchor, an irreplaceable point of departure, something certain in an unstable world. In other words, there is a suspicion of some sort of new mannerism taking shape, embodying an age in which the great masters still impose themselves as unsurpassable monuments, and novelty merely consists in taking their achievements to their most extreme consequences – perfecting, interpreting and translating them. If this is true, then the latest generation of architects are walking a fine line between the drastic and as-of-yet incomprehensible changes taking place in the age in which we live – which is now the 21st century, let’s not forget – and the wisdom of the past, as if attempting to project twentieth-century experiences onto fresh terrain undergoing deep transformation, in order avoid having to face up to the apparently scary prospects of freely using their own creative artistry. The issue is worth examining in greater depth. It actually calls into play the problem of change, succession, and passing on the baton from one generation to another, which is bound to call for different approaches to design capable of reflecting the present world in which we live. Continuity with modern tradition is just fine; but let’s be aware of the lethal danger it inevitably entails, in a word: monotony.

A sinistra/left, Atelier Fernandez-Serres, Chalet, Abries (HautesAlpes), 2004; a destra/right, Karine Herman (www.karchitectures.com), Casa per vacanze/holiday house “Ghost House”, Corsica, 2003.

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Murphy/Jahn

Il vetro del Reno Deutsche Post Tower, Bonn

R Credits Project: Murphy/Jahn Project Team: Helmut Jahn, Sam Scaccia, Steven Cook, Gordon Beckman, Yorgo Lykourgiotis, Olver Henninger, Bo Nielsen, Ingo Jannek, Andreas Hell, Frank Weingardt, Charles Bostick, John Manaves, Jürgen Screyer, Andrea Seeger, Wolfgang Scherer, Ronald Wulle, Wolfgang Bauer, Chris Berger, Scott Becker, Dieter Zabel Structure/Enclosure: Werner Sobek Ingenieure: Werner Sobek, Wolfgang Sundermann, Sigurdur Gunnarsson, Holger Hinz, Christoph Dengler, Heike Myland, Daniela Schlageter; Hock+Reinke: Thomas Wombacher, Thomas chiel Energy/Comfort: Transsolar Energietechnik: Mathias Schuler, Stefanie Reuss, Michael Jurenka, Tobias Fiedler, Friedemann Kik, Claus Twerdy Mechanical Systems, Brandi Consult: Tibor Rákóczy, Heribert Etscheid, Michael Kistermann Landscape Architect: Peter Walker & Partners: David Walker Consultants: Heinle, Wischer und Partenr (Site Architect), Prof.Weiss & Partner (Project Manager), L-Plan, Michael Rohde (Lighting Consultant), AIK Expeditions Lumière, Yann Kersalé (Lighting Art), DS-Plan (Façade Consultant), Horstmann+Beger (Building Physics), BPK (Fire Safety), Jappsen+Stangier (Elevator), Jessberger+Partner (Soils Engineer), Gottfried Hansjakob, Wolfgang Roth (Associate Landscape Architects) Client: Deutsche Post Bauen

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f we could bring Paul Scheerbart back to life and, for the purposes of historiographic analysis, make him take a truth serum, we would be able to find out just how close Bonn’s Post Tower comes to the multi-coloured glass buildings he day-dreamed about back in 1914. Well aware of the inevitable problems associated with energy management and the comfort of the internal micro-climate in any new building, modern-day Glasarchitektur owes its superpowers to glass: a material that is as transparent as space, in empathy with light, and versatile enough to exclude all others. Perhaps we ought to carry out some psychoanalysis, closely related or at least related to the famous treatment Gaston Bachelard gave water. We need only put ourselves the client’s shoes for a moment to feel the force of this kind of all-glass architecture, interspersed by9 skygardens and eco-conscientious: the project involved designing the appearance and setting the prerogatives of the new headquarters of the recently privatised Deutsche Post World Net. To be built along the banks of the Rhine in an isolated setting. More than technical difficulties or programmatic factors, the real problem lay in an inevitable mixture of symbolic chains and equally thorny businessrelated issues. The curved tower, enveloped in glass with air-controlling cavities designed by the renowned Murphy-Jahn firm, was chosen after first stages in a competition organised in 1997. Noting the use of the glass/light/space trio, it is tempting to glimpse a very German norther European exemplification of ars aedificatoria. In the past Jahn has made drawings with a pen or sepia-coloured jet; he has also worked meticulously on multi-coloured drawings that look quite magnificent, depicting skyscrapers, sometimes just vague ideas, in a deliberate attempt to restore an epic feel to building. In these same drawings, for reasons of emphasis the buildings are surrounded by strips of imaginary light, worthy of the antiaircraft artillery. These were works from a different era, know as the postmodern age, reasoning over the identity crisis caused by the excessive use of parallelepipeds and striving to reclaim the tri-partitional design of glorious art déco skyscrapers. This mystical approach to building touches on something primary, inseparably connected to architecture, perhaps rather simplistic but inalienable all the same. The 162.40-metre-high Post Tower shows the same yearning: absolute technical prowess, omnipotence of material form, and pragmatic constructivism that is as visionary as need be. Having left parallelepipeds to the scholastic-Euclidean fate of simple solids, there is a preference for structures with less authoritarian and more fluid and captivating geometric forms. But, now that the walls have vanished, architecture has the material nature of a machine and the space beneath glass seems to be facing a different fate. Almost as if it were lost, undivided, unbridled amongst the reflections, refractions and stratified transparencies, carefully controlled vortexes and translucency. Perhaps the profusion of glass planes amidst straight webs of metal sections puts the onlooker on the defensive; the eye is constantly in contact with hundreds of broken, simultaneous elements, whose presence and meaning must constantly be taken in. It is almost as if it were impossible to contemplate, motionless, this strange and intangible entity we call space as a thing. In return, we get the luminous evidence of its infinite nature.

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Andreas Keller

edivivo Paul Scheerbart, e sottoposto per accanimento storiografico a un impietoso siero della verità, sapremmo quanto la Post Tower di Bonn possa corrispondere agli edifici di vetro policromo, sognati a occhi aperti mentre campeggiavano propizi nel futuro del 1914. La Glasarchitektur contemporanea, pur consapevole dei problemi imprescindibili che in una nuova costruzione riguardano l’energia di gestione o il confort del microclima interno, deve comunque i suoi superpoteri al vetro: un materiale trasparente come lo spazio, in empatia con la luce, versatile fino a escludere gli altri. Per cui andrebbe forse intrapresa un’apposita psicoanalisi, sorella o sorellastra di quella assai nota dedicata da Gaston Bachelard alle acque. Basta immedesimarsi per un attimo con la committenza per sentire la presa di questa architettura tutta di cristallo, inframezzata da nove sky-garden, eco-consapevole: si trattava di stabilire aspetto e prerogative della sede madre di una nuova, poiché privatizzata, Deutsche Post World Net. Da costruirsi sulle rive del Reno, in panoramico isolamento. Nel problema, ancor prima delle questioni tecniche o relative al programma, si mescolavano quindi inevitabili catene simboliche ad altrettanto ferree considerazioni d’ordine aziendale. La torre curvilinea, avvolta nel vetro di intercapedini areo-regolatrici, progettata da Murphy-Jahn è stata scelta dopo varie fasi di un concorso bandito nel 1997. A constatare in concreto la triade vetro/luce/spazio si è tentati di riconoscere come spie una propensione nordica, tutta tedesca, dell’ars aedificatoria. Nei trascorsi di Jahn si ritrovano dei disegni a penna, alcuni di getto, color seppia; altri multicolori ed eseguiti con minuzia per risultare grandiosi; ritraggono skyscraper a volte ipotetici da cui traspare l’intenzione di restituire il senso epico della costruzione. In questi stessi disegni gli edifici, per maggior enfasi, sono circondati da fasci di luce immaginari, degni di uno sbarramento della contraerea. Sono lavori provenienti da un’altra epoca, detta postmoderna, ragionano sulla crisi d’identità provocata dall’inflazione parallelepipeda per recuperare semmai le tripartizioni dei gloriosi grattacieli art déco. Questa mistica edificatoria attinge a qualcosa di primario, legato indissolubilmente all’architettura, semplicistico forse, ma comunque inalienabile. Anche i 162,40 metri di altezza della Post Tower risentono del medesimo anelito: dominio tecnico assoluto, onnipotenza della cultura materiale, costruttivismo pragmatico e visionario quanto basta. Lasciati i parallelepipedi al destino scolastico-euclideo dei solidi elementari si preferiscono volumi dalle geometrie meno autoritarie, più fluide e accattivanti. Ma, scomparsi i muri, l’architettura ha la materialità di una macchina e lo spazio sottovetro sembra avere un altro destino. Come se si disperdesse, indiviso, non trattenuto, tra riflessi, rifrazioni, trasparenze stratificate, vertigini sotto controllo, traslucidità. Forse la profusione di piani di cristallo tra ragnatele rette di profili metallici mette in apprensione lo sguardo; continuamente a contatto con centinaia di elementi discontinui e simultanei di cui considerare valore e presenza. Quasi venisse meno la possibilità di contemplare, immota, come una cosa, questa strana entità impalpabile che chiamiamo spazio. Per avere in cambio l’evidenza luminosa del suo carattere infinito. Decio Guardigli

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A sinistra, planimetria generale e pianta del terzo piano. A destra, dal basso, piante del quinto e dodicesimo piano e sezione parziale.

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Viste della torre, la cui facciata consente la regolazione all’interno della ventilazione naturale e della luce solare. Di notte, la facciata vetrata

Left, site plan and plan of the third floor. Right, from bottom, plans of the fifth and twelfth floor and partial section.

è arricchita dagli effetti luminosi tricromatici studiati da Yann Kersalé e L-Plan. Views of the tower, whose façade allows the natural ventilation

and sunlight flowing inside to be controlled. At night, the glass façade is enhanced by threecolour lighting effects devised by Yann Kersalé and L-Plan.

H.G.Esch

Previous page, the new Deutsche Post Tower in Bonn, 179 metres high including 162.40 metres of glass facade.

Atelier Altenkirch

Nella pagina precedente, la nuova torre della Deutsche Post a Bonn, alta 179 metri, di cui 162,40 metri di facciata vetrata.

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Andreas Keller

H.G.Esch Andreas Keller

Views of the interiors whose brightness is due to the partitions between the various functional spaces using alternating transparent and opaque glass, panels.

Andreas Keller

Andreas Keller

Viste degli interni caratterizzati da grande luminosità grazie alle partizioni dei diversi spazi funzionale con pannelli vetrati alternativamente trasparenti e opachi.

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Particolari della facciata vetrata appesa in porzioni di nove piani ciascuna. La struttura principale è costituita da due mezzi gusci con due nuclei in cemento e 19 colonne composite di acciaio per ciascun guscio.

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Andreas Keller Helmut Jahn

Josef Gartner & Co.

Andreas Keller Helmut Jahn

Details of the glass façade attached in nine-storey sections. The main structure is composed of two halfshells made of cement and 19 steel columns for each half-shell.

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Atelier Altenkirch

View of the meeting room on the top-floor panoramic terrace. Below, and opposite page, some of the communal rooms.

Andreas Keller

Andreas Keller

Atelier Altenkirch

Vista della sala riunioni nella terrazza panoramica all’ultimo piano. Sotto e nella pagina a fianco alcuni degli ambienti comuni.

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Spazio Design, Piera Scuri, Douglas Skene

Spazio Design, Piera Scuri, Douglas Skene

Come parte della “macchina” A Fancy Control Building Sala Controllo di Saras Raffinerie Sarde, Sarroch (Cagliari). L’edificio, bunkerizzato, si trova al centro dell’impianto di rafineria, in zona classificata, è stato realizzato in cemento armato.

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Sarde, si debba intervenire su una costruzione esistente, da inglobare all’interno di un guscio bunkerizzato. L’intervento doveva svolgersi secondo un articolato programma: conservare la palazzina per uffici, localizzata nell’area scelta per costruire la struttura di controllo; realizzare un sopralzo di un piano; ampliare l’area antistante originariamente utilizzata come piazzale per sistemarvi forni, impalcature o parti di impianti; costruire un guscio di cemento armato che contenesse il tutto, realizzando così una protezione efficace in caso di eventi di particolare gravità come esplosioni o quant’altro può verificarsi in ambienti con sostanze altamente infiammabili. L’ampliamento della palazzina accoglie gli spazi dedicati agli uffici e ai servizi, mentre l’estensione del piazzale è utilizzata come sala controllo centralizzata, la cui massima altezza raggiunge la quota di oltre otto metri, ciò consente a parte degli uffici e della sala riunioni, posti al primo piano, un’ottima visuale sull’attività intorno alle consoles. Le pareti sono rivestite con scandole in acciaio inox, mentre la volta di copertura è in Megaroof, anch’esso in acciaio inox. L’edificio presenta una forte connotazione tecnica e una forma conclusa, nettamente contrastante con un intorno invece estremamente complesso, caratterizzato da un intricato groviglio di tubi, per cui è estremamente difficoltoso percepirne la forma. Carlo Paganelli

hey call them Control Buildings and they are built to accommodate fancy instruments and expert staff in running major industrial plants, refineries and facilities for manufacturing substances designed to supply energy. As well as monitoring the various production phases, Control Buildings also provide fast intervention in situations involving potential hazards due to explosions or the escape of highly polluting substances. Since they are basically functional buildings to be constructed in accordance with tight building constraints and elaborate safety regulations, there is very little room for developing aesthetically interesting designs. There are plenty of design complications due to working in such strangely complex situations and places where there is a real tendency for the machine and product to rule supreme, to the detriment of the environmental surroundings of people which have to spend many hours-a-day in these places. This is a tricky but intriguing issue due to its notable implications on the idea of architecture as a machine for living in, as Le Corbusier once put it. Technology is one of the most significant prerogatives of modern civilisation, and architecture can play a vital role in declining the idioms through which technological know-how relates to modern-day culture. Control Buildings are usually built from scratch, but in some instances, as in the case of the design of the control room for Saras Raffinerie Sarde, an old building has to be enveloped in a

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bunkerised shell. The project had to be carried out based on an intricate programme, whose targets were to: conserve the office block located in the area chosen for building the control facility; design a one-storey addition; extend the area out front, originally used as a plaza for locating furnaces, scaffolding or parts of plants; and build a reinforced concrete shell for holding everything, thereby providing effective protection in case of extremely serious events like explosions or anything else that might happen in environments containing highly inflammable substances. The building extension incorporates office and utilities spaces, while the addition to the plaza is used as a central control room, whose maximum height is over eight metres, making it easy to see what is going on around the console from the first-floor offices and meeting rooms. The walls are clad with stainless steel shingle, while the roof vault is made of Megaroof, again constructed out of stainless steel. The Control Building has highly technical connotations and a closed form, clearly contrasting with its extremely complex surroundings featuring an intricate web of pipes, so it is very hard to get an idea of the overall design. So it is only through a clever mix of form/function/material that a feasible design idiom can be worked out, even in those cases where there is a tendency to give up on stylistic quality and surface design, forgetting its fundamental role as a protective skin for an architectural body.

Il control building comprende sala controllo centralizzata, con 4 console per i centri operativi, e 3 piccole console per la gestione dei servizi dell’impianto. The control building includes a centralised control room with 4 consoles for the operating centres and 3 small consoles for running the plan systems.

Gabriele Basilico

Control room of Saras Raffinerie Sarde, Sarroch (Cagliari). This bunker-building is right in the middle of the refinery in a classified area and is made of reinforced concrete.

i chiamano Control Building e sono costruiti per accogliere sofisticate strumentazioni e personale specializzato per il controllo di grandi impianti industriali, raffinerie o strutture per la produzione di sostanze destinate alla fornitura di energia. Oltre a monitorare le fasi produttive, assicurano un tempestivo intervento in situazioni in cui vi siano potenziali rischi di esplosioni o fuoriuscita di sostanze inquinanti. Trattandosi di edifici prettamente funzionali, da realizzare rispettando severi vincoli costruttivi e complesse normative di sicurezza, il margine per soluzioni esteticamente interessanti è minimo. Il tema presenta non poche difficoltà poiché si tratta di intervenire in contesti di particolare complessità, in luoghi in cui è forte la tendenza che macchina e prodotto regnino incontrastati, a scapito della qualità ambientale di chi deve viverci per molte ore al giorno. Tema difficile ma stimolante per le forti implicazioni legate al concetto di architettura come macchina per abitare di lecorbuseriana memoria. La tecnologia è una delle prerogative più significative prodotte dalla civiltà moderna e l’architettura può giocare un ruolo importante nella declinazione dei linguaggi con cui il sapere tecnologico si relaziona con la cultura contemporanea. La tipologia del Control Building prevede solitamente la costruzione ex novo dell’edificio, ma può accadere anche che, come nel caso della realizzazione della sala controllo per Saras Raffinerie

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La struttura ampliata della palazzina esistente è stata avvolta con un guscio in cemento armato (ricoperto di scandole nelle pareti e con Megaroof sulla

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copertura a volta) e riutilizzata per gli spazi dedicati agli uffici e ai servizi. The extended structure of the old building is wrapped in a

reinforced concrete shell (covered with shingle on the walls and Megaroof on the vaulted roof) and adapted for office and utility spaces.

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Particolare delle lampade realizzate da Zumtobel Staff su progetto di Piera Scuri e Douglas Skene. Detail of the lights made by Zumtobel Staff and designed by Piera Scuri and Douglas Skene.

Piante e sezioni e, qui a fianco, le finestre (con gli stessi requisiti di resistenza della muratura perimetrale) realizzate con imbotti in acciaio inox e vetri di sicurezza antiesplosione. Plans and sections and, opposite, the windows (meeting the same resistance standards as the perimeter walling) made of stainless steel infills and explosion-proof safety windows.

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Credits Project: Piera Scuri, Douglas Skene Project Team: Daniele Barbadoro, Hiromi Takahashi Engineering: IDI HVAC Plants: ZFP Acoustics: Mondelli Mario & C. Facade Systems: Hedar Edilizia Metallica Blast Resistant External Frameworks: Capoferri Serramenti Lighting Systems: Zumtobel Staff Illuminazione Interior Floors: Sadi, Nesite, Forbo Acoustic Panels: Armstrong, Sadi Blast Resistant Interior Doors: Costruzioni Cimolai Armando Climatization: Imma Furniture Systems: Methis Coopsette, Honeywell Client: Saras Raffinerie Sarde

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I Next, un gruppo di architetti olandesi, ci offre su un piatto d’argento il frutto della loro ricerca sul progetto architettonico, ricerca svolta tra segno e disegno, tra filosofia e magia. Bart Reuser, Marijn Schenk, Michel Schreinemachers e John van de Water sembra che desiderino la riscossione della magia dopo che, proprio l’Illuminismo del nord Europa l’aveva sconfitta. Infatti fu Immanuel Kant, simbolo della svolta antimagica, a sancire i limiti di una ragione alla quale è preclusa ogni costruzione metafisica. Oggi siamo portati a considerare magia l’opera dell’esercito di architetti romantici invasati, santoni e mercenari, ai quali, una fetta del pensiero critico contemporaneo ricorre, pensando di trovare l’antidoto al dominio della tecnica, che ritengono sia l’artefice dell’azzeramento di ogni anelito trascendente. E’ solo un antico malinteso. Il vero mago dell’architettura rimedia alle risposte sempre parziali della ragione, aiuta l’uomo a salvarsi dal naufragio. Eppure anche il grande di Königsberg trovò un posto non secondario all’Estetica, riferita al pensiero magico, affermando che dall’esperienza della bellezza può emergere la scintilla divina. E’ Massimo Donà che ci aiuta, attraverso il suo ultimo libro Magia e Filosofia, per i tipi della Bompiani, a tracciare la strada del pensiero nel quale alberga l’atto creativo. E’ la bellezza che consente di esprimere l’unità originaria che tiene tutto insieme ed è così che, nel magico operare del progettista, si vede una via di salvezza. E’ così come appare nell’alchimia, dove l’artista trova la via dell’assoluto dell’atto creativo che trasmuta se stesso e la materia. Nel mondo della ricerca occorre affrontare i temi con spirito di creatività e determinazione. E’ anche vero che fare ricerca significa applicare il momento magico della creatività, cioè operare in un percorso definito dal sentire e non dal raziocinio, per ottenere un evento che, in molti casi, porta a una semplice espressione, una comunicazione di pensiero o magari di ben altro, forse di qualcosa di più importante e di diverso. Nel mondo della ricerca, nel campo della progettazione, la direzione che oggi ci si pone è quella di percorrere la via più diretta che porta a ottenere un nuovo spazio per l’uomo; una struttura abitativa diversa, in grado di aderire alle domande emergenti. Soprattutto occorre più rispetto per la modernità, occorre cercare di mutare i comportamenti del vivere quotidiano, per ottenere delle nuove forme più consone alla nostra quotidianità. Ciò sta a significare l’impegno per una ricerca che deve essere compiuta per individuare quei segni in grado di attivare il mondo del lavoro. Ecco allora perché il pensiero magico si è trasformato, lungo i secoli, permeando di volta in volta modelli architettonici estranei o avversi. Ed è sul senso morale, sull’onestà che deve basarsi la nuova ricerca, che è costretta spesso a superare le lacune che si legano alla formazione del sapere. Proprio in quel sapere professionale frammentario che alberga nelle attività italiane riferite all’arte dell’edificare, alla professionalità degli architetti, degli ingegneri edili, dei geometri o dei periti edili, ne è un chiaro indice e necessita di una riunificazione che si deve fondare sul sapere universale dell’architettura. E’ così che Copernico non temeva di invocare Ermete e Keplero, intuiva segrete corrispondenze fra le strutture della geometria e quelle dell’universo. L’atto architettonico è un atto unico, è un fatto magico che rappresenta le necessità degli uomini ma, soprattutto, deve fondarsi sulla ricerca di nuovi bisogni. Non si può frammentare l’architettura; è un pensiero esoterico, che non deve basarsi sulle specializzazioni settoriali, data l’unità morale e sentimentale insite nel progetto stesso. Insomma, negli stessi protagonisti della svolta razionalista si udiva una eco della tradizione magica, come nel caso del primo vero teorico del razionalismo Walter Gropius che rincorse i valori spirituali dell’uomo, insoddisfatto dalle logiche troppo mediate della forma. Viceversa, è lo scheletro della forma, è il pensiero magico regolatore del progetto in grado di formare un nuovo spazio per l’uomo, di dare vita a una nuova forma, insomma, una nuova architettura.

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Next

Allora resta da chiederci perché l’altro volto dell’architettura, quello magico, continua a manifestarsi anche presso chi lo respinge. Finché il dibattito dei critici più gettonati insegna a osservare un certo tipo di eventi statici e non progressisti, non raggiungeremo mai una formazione completa nell’opinione di tutti, in grado di alimentare i futuri operatori del progetto. L’evoluzione crea complessità, la complessità prevede anche la specializzazione. Il nodo chiave è quello di affrontare l’architettura nei suoi veri contenuti, cioè esattamente quelli che la compongono: la struttura, le ossa, gli impianti, le arterie, l’immagine, l’ambiente e via dicendo. Per una radicale trasformazione dello spazio per l’uomo occorre veramente porre l’attenzione anche al tipo di ricerca svolto dai Next, il primo gradino deve essere fatto sul telaio che li genera, sul suo tracciato. Occorre porre una diversa attenzione alla didattica e alla normativa per educare al numero, che regola l’equilibrio della materia e l’equilibrio dell’economia. L’attenzione al numero matematico, al numero geometrico e fisico, che controllano la magia della forma, è il modo scientifico per dare una risposta all’ansia di andare oltre la finitezza dei sensi che è iscritta nei cromosomi dell’homo sapiens fin da quando, nelle grotte di Altamira e Lescaux, dipingeva figure animali che fungevano da porta, da tramite con le potenze invisibili. Deve nascere una nuova metodologia, capace di modificare l’approccio al progetto e impedire che la cosiddetta architettura hi-tech, ormai morta, continui nelle sue sterili apparizioni. Allora, riuscire a informare, attraverso una sequenza di attualità progettuale avanzata, composta da temi specifici dell’architettura, come nel caso dei lavori dei Next, significa porre in discussione il divenire della ricerca del progetto. Selezionare e raccogliere i contenuti dei vari progetti, può essere una scelta di una via di comunicazione destinata a costruire l’informazione del progetto d’architettura. Oggi stanno cambiando gli attori della scena sociale, il lavoro e la società stanno subendo grandi travolgimenti; per questo vale la pena di fare alcune riflessioni, non solo sulla disciplina dell’architettura ma anche, più ampiamente, sulla scena politica. L’Architettura rimane la messa in pietra della contemporaneità, la forma visibile che codifica la storia e il pensiero, la politica è l’elemento motore. Occorre capire anche, per quanto sottolineato prima, che magia e architettura sono due aspetti diversi, a volte divergenti, ma mai in opposizione, di una stessa ricerca, della stessa ansia di indagare sugli ultimi misteri che si scoprono nel progetto architettonico. E’ sostenere che si rafforza la tesi delle grandi rotture fra magia e architettura che sono sempre avvenute in passato e che spesso si rivelano solo apparenti: il rapporto oggi fra realtà e virtualità. Curioso è anche capire come gli operatori colti, formati nel vecchio regime, siano in grado di attivare i fatti della nuova trasformazione, proprio attraverso la tecnica e la funzione dell’edificare. L’analisi, allora, deve vertere sulla composizione dell’operatività e del lavoro, che sono la spina dorsale della società e che sono animate dalle vie di comunicazione. Cadrà il cubo, la piramide e il mattone ma l’architettura continuerà a esistere attraverso quei temi che più appaiono al servizio dell’uomo. E’ così che per secoli magia e architettura hanno camminato parallele, ora, ma è difficile ammetterlo, il pensiero magico scorre parallelo alla religione. Il bello si basa sull’etica che, come il linguaggio, segue il suo divenire. La sua continua ricerca, intesa come ciò che all’uomo è utile, è contemporaneamente coerenza e continuità ma, soprattutto, intransigenza. Allora può non servire più l’esame del semplice linguaggio figurativo dei Next, poiché la sua definizione immediata diventa l’eco dello spazio circostante, affrontato con rinnovate metodologie; però va anche detto che è lo stile con il quale si concretizza l’eco dei tempi lontani che si considera nell’opera del progettista. In questo caso i Next danno grandi segnali. Mario Antonio Arnaboldi

ext, a team of Dutch architects, is serving the fruits of their experimentation in architectural design on a silver plate. Research lying somewhere between sign and design, philosophy and magic. Bart Reuser, Marijn Schenk, Michel Schreinemachers and John van de Water seem to be striving for a revival in magic after its defeat at the hands of northern European enlightenment thinking. Indeed it was Emanuel Kant, the epitome of that turn against magic, who set the limits of reason that was banned from forming metaphysical constructs. Nowadays, we tend to treat the work of wild romantic architects, gurus and mercenaries as magic. A certain strain of modern-day critical thinking is even inclined to resort to such figures in the search for an antidote to the rule of technology, which they feel is responsible for wiping out any trace of transcendentalism. But this is just an old misunderstanding. The real architectural magician fills in the gaps in reason and helps save people from being lost at sea. But even the great man from Königsberg found a prominent place for Aesthetics, referring to magical thinking, by stating that a flicker of divinity can be found in our experience of beauty In Massimo Donà’s latest book Magia e Filosofia, we can find some hint to understand the mind in relation to the creative act. It is beauty that allows the original unity holding everything together to be expressed, and this is also how the magical touch of the architect can provide a way out. This is what happened in alchimy as the artist finds a way to the absolute through the act of creation that transforms both himself and matter. A spirit of creative artistry and determination must be adopted when working on new lines of experimentation. It cannot be denied that doing research means applying the magical act of creativity, viz. working along the lines of feeling, not reason, in order to bring about an event which, very often, leads to a simple expression, the communicating of a thought or perhaps even something else, something more important and quite different. Nowadays, the world of research and design is working in the direction of taking the shortest route to creating a new space for people; a different kind of living environment capable of catering for emerging needs. Above all, more respect for modernity must be shown, we must try and change our everyday habits to find more effective ways of living our lives. This means committing to research aimed at finding those signs that can set the working world in motion. This is why magical thinking has gradually changed down the centuries, actually managing to make its mark on alien or even opposing architectural styles. New lines of research must be built on moral foundations and honesty, as experimentation is often forced to overcome gaps in our knowledge. The fragmentary professional expertise harbouring in Italian building enterprises and the professionalism of its architects, civil engineers and building surveyors, is a clear sign of the need to unify around the solid foundations of universal architectural knowledge. This is why Copernicus was not afraid to invoke Hermes and Kepler, he sensed there were mysterious links between the structures of geometry and those of the universe. The architectural act is unique of its kind; it is a magical fact representing human needs but, most significantly, it must be based on the quest for new requirements. Architecture must not be splintered; it is esoteric thinking that must not be broken down into different sectors, considering the moral and sentimental unity inherent in design itself. An echo of magical tradition could even be heard in the leading exponents of the rationalist turn, as in the case of the first great theoretician of rationalism, Walter Gropius, who was interested in people’s spiritual values and was not satisfied with over-mediated forms. In contrast, it is the skeleton of form, the magical thinking

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governing design that can shape new space for people, inject life into a new form or rather new kind of architecture. So we are left wondering why the other side of architecture (magic) still keeps cropping up even in the work of those who reject it. All this inevitably leads to an initial comment on how a new line of thinking emerges. As long as the leading critics keep on insisting on a static, non-progressive type of event, we will never reach any kind of 360° training approved on all sides, capable of producing our architects of the future. Evolution creates complexity, complexity calls for specialisation. The real key is to tackle the proper contents of architecture, what it is really made of: its structure, bones, arteries, image, setting etc. To find out how to radically transform human space, we really need to focus on the kind of experimentation carried out by the Next team, first taking a look at their underlying framework and how it is constructed. A different approach needs to be made to education and teaching people about the calculations governing matter and the balance of our economy. Attention to the mathematical and geometric/physical numbers controlling the magic of form is the scientific way of providing an answer to that yearning to move beyond the finite nature of the senses written in the chromosomes of homo sapiens, ever since he first drew animal figures in the caves in Altamira and Lescaux that provided a gateway or means of accessing invisible powers. What we need is a new approach to design to prevent so-called hitech architecture, now dead and buried, from continuing to make its stale appearances on the modern-day scene. So providing information through a sequence of cutting-edge projects based on specific architectural themes, as is the case with Next, means calling into question the future of experimentation in design. Selecting and collecting the contents of various projects may be a way to provide information about architectural design. Nowadays, the key players in society, the working world, and our communities, are changing radically; this is why we need to take a closer look at not only the profession of architecture but also the political scene in general. Architecture is still a way of setting society in stone, the visible form coding history and thought, and history is its driving force. As regards what was pointed out above, we need to realise that magic and architecture are two different and often divergent (but never opposing) aspects of the same kind of research/experimentation, the same yearning to inquire into the ultimate mysteries embodied in architectural design. The great ruptures between magic and architecture that have always happened in the past have often turned out to be more apparent than real: how reality relates to virtuality. It is strange to note how the erudite practitioners formed under the old regime are capable of implementing change through the method and purpose of building. This means we must take a careful look at work and labour, which are the real backbone of society and feed off means of communication. Cubes, pyramids and bricks might crumble, but architecture will continue to exit through those forms that seem to serve people best. So just as magic and architecture moved along parallel lines for centuries, now, hard to admit though it is, magical thinking runs parallel to religion. Beauty is based on ethics which, like language, develops in their own way. Constant research into beauty, taken as something useful to real people, is also a sign of coherence, continuity and, above all, intransigence. There might well be no point in just examining the figurative vocabulary of the Next team, since it is merely an echo of surrounding space tackled using new methods; but it also needs to be pointed out that it is the style with which the echo of times gone by is given physical form that really counts in architectural design. In this respect, the Next team has come up with some notable signs.

Agora Dreams and Visions

Agora Dreams and Visions

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The Booster, Amsterdam Credits Project: Next Client: DRO and DWR, Amsterdam

Questo è un progetto per una stazione di pompaggio del sistema fognario di Amsterdam. Di solito, gli edifici di servizio non assumono nessun significato per l’uso pubblico. Questo progetto combina una stazione di pompaggio con una funzione pubblica che arricchisce il luogo. Sulla cima dell’edificio viene realizzata infatti una pista da skateboard utilizzando lastre e tubi pieni. Questo “paesaggio” può essere visto sia dalla metropolitana sia dalla vicina uscita del raccordo anulare di Amsterdam. This is a project for a pumping-station for the Amsterdam sewerage. Normally utilitarian buildings have no meaning for the public realm. This project combines a pumping-station with a public function that ads something to the site. On top of the building a skating landscape is developed with plates and full pipes. This landscape can be seen from both the subway above and from the exit of the ring road of Amsterdam.

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Landscape of Labor for the 21st Century Credits Project: Next Project Team: Rink Drost, Claudia Linders, Joost Mulders, Bart Reuser, Marijn Schenk, Michel Schreinemachers, Arjen van Susteren, John van de Water, Erik Wiersema Collaborators: Ana Jara, Mireia Luna Alcaina, Wouter Roelofs Client: CUR Network

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Questa è una ricerca progettuale circa il futuro dell’ambiente di lavoro in Olanda. Nella loro proposta (giunta seconda al Premio OSCUR 2002), i Next indagano su come si possa sviluppare il Paesaggio del Lavoro, con le sue specifiche caratteristiche, nell’ambito delle attuali condizioni di aumento dell’individualizzazione e crescita della società delle reti. I progettisti prevedono una sostituzione degli edifici per uffici monofunzionali con una più ampia varietà di spazi di lavoro, ognuno adatto alle diverse operatività: per lavori di gruppo, studio, incontro ecc.

This project is a design-research into the future work environment of the Netherlands. In this proposal (that won the 2nd prize at the OSCUR-award 2002) Next investigate how a Landscape of Labor can be developed that has specific characteristics within the current conditions of increasing individualization and the rise of the network society. The designers expect that the monofunctional office buildings will be replaced by a larger variety of working spaces. Each suitable to different commands, for teamwork, study, meeting etc.

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Circle Path, Almere Credits Project: Next

Questo progetto per un museo-foresta di un ettaro è stato presentato al concorso “Museumforest” di Almere e, anche se si è classificato terzo, è stato selezionato per la realizzazione. Non si tratta del progetto di una nuova foresta, bensì di un inserimento che colloca la foresta esistente sotto una nuova prospettiva. Viene proposto un percorso circolare di 100 metri di diametro. Da un lato, il percorso passa 3 metri sotto il livello del terreno e sul lato opposto raggiunge i 35 metri di altezza. Percorrerlo è come camminare attraverso una sezione della foresta, cominciando dalle radici per giungere poi attraversando i rami fino alle cime degli alberi.

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This design for 1 hectare museumforest was presented at the competition Museumforest in Almere and even though it received the 3rd prize was selected for execution. This is not a design for a new forest, but an addition which places the existing forest in a new perspective. A circle path with a diameter of 100 meter is proposed. On one side the path lies 3 meters below ground level and on the other side it reaches a height of 35 meters. Walking this path is like walking a section through a forest, starting at the roots through branches all the way up to the peaks.

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Tour de Belvedere, Bos van Ypeij, Friesland Credits Project: Next Client: Foundation Estate Vijversburg

La Torre Belvedere è formata da un percorso inclinato continuo che offre panoramiche sempre diverse sia verso l’interno sia verso il paesaggio esterno. La torre belvedereespositiva è alta 35 metri e contiene uno spazio espositivo che si modifica gradatamente in uno spazio panoramico per giungere infine al “nido” sulla cima. Vi si accede tramite una rampa che aumenta via via la propria inclinazione per trasformarsi alla fine in una scala. La transizione è rafforzata dalla facciata che aumenta il proprio grado di apertura verso l’alto. Tour de Belvedere is formed by a continuously inclining walk that offers a continuously changing perspective on an interior expositionspace and it’s surroundings. The exhibition/belvederetower consists of a 35meter high space: an exhibition space that gradiently changes into “view-space” and finally into a crow's nest. The change is entered by a ramp that continuously increases it’s inclination and eventually transforms into a stair. The transition is strengthened by the facade that increases it’s opening in height.

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Glanerbeek Bridges, Enschede Credits Project: Next Client: Municipality Enschede, The Netherlands

Il concetto sotteso al progetto di questi due ponti a Enschede era la continuità nelle due direzioni: il fiume e la strada. Il ponte, punto di attraversamento tra le due sponde, è progettato con un sistema di aperture tra le corsie dove passano i diversi mezzi di trasporto: biciclette, pedoni, bus. Il ponte ne risulta più trasparente e si determina una relazione con l’acqua sottostante. Le balaustre formano dei sedili per chi aspetta i mezzi pubblici in corrispondenza degli alberi che crescono vicino e sul ponte. La costruzione è realizzata con pietre impilate legate insieme da una rete di cavo metallico. The concept for the design of two bridges in Enschede was the continuance of two directions; the brook and the road. The bridge, the crossing point of the two directions, is designed by making openings between different transport lanes of bikes, pedestrians and busses. The bridge becomes more transparent and forms a relation with the water below. The fences form seats for passengers in relation to trees growing near and through the bridges. The construction is made out of piles of stones bound together by iron wire netting.

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Monolab

Monolab

Corpo e architettura

Nella pagina a fianco, la struttura della Body House realizzata nel Parkkwartier Katendrecht a Rotterdam. A sinistra, schizzi concettuali e vista aerea del sito. Sotto, rendering del progetto.

Body House, Rotterdam a relazione fra corpo e contesto dal punto di vista dell’architettura è significativamente una questione di proporzioni, un sistema di valutazione e definizione dei rapporti reciproci degli oggetti che ha costituito il cuore dell’attività normativa di autori come Vitruvio, Leonardo e Le Corbusier. La costante nella loro riflessione è costituita dall’identificazione nel corpo dello standard cui riferire ora Ordini classici, ora figure geometriche e protesi, ora sistemi di dimensionamento come il Modulor. Nel mondo classico, il corpo, le sue dimensioni, e la sua geometria simmetrica hanno costituito uno standard di riferimento sicuro e sempre disponibile. Il Modernismo ha in seguito causato la crisi del riferimento alla simmetria corporea, senza tuttavia intaccare l’idea della dipendenza della progettazione architettonica dalle proporzioni corporee. Nell’architettura contemporanea questo concetto è stato completamente ridefinito. Piuttosto che un problema di proporzioni, gli architetti tendono adesso a generare i loro progetti sulla base di funzioni e attività corporee. In questo modo sono ridefiniti i requisiti spaziali relativi ai nuovi modelli di vita umana all’interno dei programmi architettonici. La visione contemporanea del rapporto fra corpo e architettura è quella della relazione corpo-protesi. L’architettura concepita su questo presupposto è un amplificatore di tutte le attività umane domestiche ed extra-domestiche. Il concetto di protesi, cioè di estensione funzionale delle prestazioni del corpo, è legato in senso tradizionale a concetti come ripararsi, riscaldarsi, e ad altri associati alle finalità dell’edificazione, ma è allargato a tutte le altre attività domestiche contemporanee, anche intellettuali, come comunicare, lavorare, svolgere la propria vita sociale e alla sfera psicologica. Corpo e mente non restano più separati nella considerazione architettonica, ma sono fusi in una continuità fisica simile al rapporto informatico hardware-software. In questo contesto, la Body House di Monolab, una casa unifamiliare realizzata a Rotterdam, piuttosto che sviluppare l’idea corporea letteralmente come un sistema geometricamente organico, è basato su una interpretazione più funzionale del corpo che implica fluidità, scambio fra dentro e fuori, e un principio organico di strutturazione dello spazio e delle sue gerarchie domestiche. In tal senso, la costruzione sembra non solo riferirsi al corpo come elemento di riferimento fisico e intellettuale statico, ma addirittura ne riproduce in qualche modo il processo metabolico assegnando un valore funzionale ben preciso ai vari elementi presenti. La casa è descritta come formata da tre parti principali: una base pesante in cemento per la stabilità, un cuore dinamico e articolato, e una sommità leggera e tessile. A parte questa analogia evidente con la forma corporea, la Body House è uno spazio domestico tutto incentrato sul rapporto dinamico stabilito fra il centro delle attività abitative – il soggiorno e la cucina – poste nella sezione intermedia della costruzione, e il contesto esterno. Il modo in cui esso è percepito dall’interno è legato agli effetti di articolazione che la geometria interna impone sull’involucro esterno. Le tensioni e le contorsioni della struttura interna dello spazio definiscono la forma e le dimensioni delle aperture sull’esterno, che permettono al contesto di essere vissuto all’interno secondo diaframmi vetrati tagliati allo scopo. Come conseguenza, l’interno della residenza assume una configurazione complessa e dinamica, a dispetto della scala ridotta. Alessandro Gubitosi

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ow the body relates architecturally to a certain context is, significantly, a question of proportions, a means of assessing and setting reciprocal relations between objects which have been at the heart of the normative work of men like Vitruvius, Leonardo and Le Corbusier. The constant in their thoughts and evaluations is the way they identify the body as a yardstick for either measuring classical patterns, geometrical figures and extensions or sizing systems like the Modulor. Back in classical times, the body, its dimensions and symmetrical geometry provided a reliable yardstick that was always available. Modernism then called into question the reference to any symmetrical body, without actually threatening the idea of relating architectural design to bodily proportions. This idea has been totally revised in modern-day architecture. Rather than working around proportions, architects now tend to design their projects around bodily functions and activities. This gears spatial requirements to new human life styles incorporated in architectural programmes. The modern-day vision of how architecture relates to the body is based on body-prosthesis interaction. Architecture designed on this basis merely amplifies all human activities both inside and outside the home environment. The idea of a prosthesis (viz., functional extension to bodily performances) is linked in a traditional way to such concepts as taking shelter, keeping warm and other aspects associated with the aims of building, but it is extended to all other modern-day domestic activities, even of an intellectual nature, such as communicating, working and having a social life, and to the psychological factors. The mind and body are no longer kept separate in architectural thinking, but rather blended together in the same kind of physical continuum associated with hardware and software. In this sense Monolab’s Body House, a detached house built in Rotterdam, does not just develop the body concept literally as a geometric organic system, it makes a more functional reading of the body that entails fluidity, interaction between interior and exterior, and an organic principle of structuring space and its domestic hierarchies. In this respect, the construction does not seem to just refer to the body as a static physical and intellectual yardstick, it actually somehow reproduces the metabolic process assigning a very definite functional value to the various elements involved. The house is described as being formed of 3 main parts: a heavy cement base for stability, an intricate, dynamic core, and a light, tensile top. Apart from this obvious similarity with the form of a body, the Body House is a domestic space entirely focused on dynamic interaction between the focus of household activities – the living room and kitchen – placed in the intermediate part of the construction, and the outside environment. The way it is perceived from the inside is connected with the effects the internal geometric layout has on the outside shell. The tension and contortions resulting from the internal spatial structure set the shape and size of the openings onto the outside, which allow the surrounding context to be experienced on the inside through glass diaphragms specifically designed for this purpose. This means the inside of the house takes on an intricate, dynamic layout despite its smallness.

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Opposite page, the structure of Body House built in the Parkkwartier Katendrecht, Rotterdam. Left6, conceptual sketches and aerial view of the site, Below, renderings of the project.

Credits Project: Monolab Project Team: Jan Willem van Kuilenburg, Walter Hoogerwerf with Luc Veeger, Tom Huth Main Contractor: Bouwbedrijf Hofman, Maasdijk Construction: K-constructies Rotterdam/Ove Arup Amsterdam-London Client: Private

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Le aperture e i rivestimenti della casa sono in vari materiali: griglie metalliche, lastre rivestite di materiali epossidici, tessuto sintetico.

Sopra, modello con lo studio delle varie parti che costituiscono l’edificio. Sotto, a sinistra, rendering e a destra, vista della facciata di ingresso.

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The house’s openings are made of various materials: metal grilles, sheets clad with epoxy materials, synthetic fabric.

Above, model showing a study of the various parts forming the building. Below, left, rendering and, right, view of the entrance façade.

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Inres

Per essere riconosciuto Ipercoop, Sesto Fiorentino

Situated in the northwest area of Florence, the Ipercoop Sesto Centre is the hub of a Redevelopment Plan for the former sites of the Unicoop Firenza Warehouses. The project involved renovating and modernising one of the old factories in the north-west corner.

Credits Project: Inres-Istituto Nazionale Consulenza Progettazione Ingegneria Consultants: Chapman Taylor Architetti S.r.l. Structures: Enrico Manzini Site Management: Alessandro Chimenti General Contractor: Società Temporanea d’Imprese: CTCConsorzio Toscano Costruzioni, Consorzio Etruria Main Building Company: Consorzio Etruria Metalwork: Mecoop Frameworks and Structural Glass: Teleya – Coopsette Divisione Infissi Aluminium Facades: Hedar edilizia metallica Cotto Facades: Impruneta Lifts: Otis S.p.A. Electrical and Lighting Plants: Coop Cellini Climatization and Hydraulic Plants: ITC Client: Unicoop Firenze

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n vento di Nuovo Medioevo, nell’accezione positiva e moderna del termine, quella alla Jacques Le Goff, tanto per intendersi, soffia sulle firme dei progetti d’architettura. Oggi come allora, le realizzazioni tendono sempre più spesso a divenire opere collettive anonime o coperte da sigle, proprio il contrario del culto dell’autore in quanto “persona”, di stampo rinascimentale. Bene o male che sia, eccoci di fronte a un interessante manufatto firmato Inres, acronimo le cui origini vengono colte solo leggendo una specifica e apprezzabile scheda (“Chi siamo”) in coda alla relazione di progetto: Inres sta per Istituto Nazionale Ricerche Economiche e Sociali, nasce a Firenze nel 1969 con cinque soli dipendenti e con il nome di Coop Ricerche. Nel 1971 diviene Inres e dal 1993 muta la precedente denominazione in Istituto Nazionale Consulenza, Progettazione, Ingegneria, rendendo così ancor più criptico il già citato acronimo. Nomi di architetti, ingegneri, geometri che hanno “ideato” non ce ne sono (salvo quello del presidente, ingegner Franco Susini e del suo vice Antonio Canino: saranno loro i nuovi “maestri comacini”?). La notazione, che può apparire fuori luogo nel presentare un progetto, non lo è poi così tanto, anzi potrebbe dare adito a un innovativo dibattito sull’architettura “firmata” e no. Inres, dunque, che ha al suo attivo oltre 500.000 metri quadri di area vendita, pari a 1.700.000 metri quadri edificati per il Gruppo Coop (40 ipermercati, 147 supermercati e vari altri punti vendita di minori dimensioni), ha realizzato a Sesto Fiorentino (nord ovest-di Firenze) una grande struttura commerciale pluripiano con attività adibite alla vendita, distribuite tutte al piano terreno, riservando i superiori agli uffici, ai servizi, agli esercizi pubblici della “food court”. Elemento unificante è la “galleria commerciale”, sorta di strada coperta climatizzata. Tutto nasce dal recupero e dalla ristrutturazione di un fabbricato già esistente che ha dettato la quota di riferimento dell’intero progetto. Si trattava di giungere all’elaborazione di un organismo architettonico unitario mantenendo il più possibile un rapporto sinergico fra negozi al dettaglio tradizionali, grande distribuzione, servizi, pubblici esercizi e attività artigianali. Gli ingressi sono posti sul fronte principale e, da tre piazze, danno accesso alla galleria. Gli “anonimi” progettisti sottolineano come “l’edificio, collocato in fregio alla futura viabilità di collegamento tra Firenze e Prato” voglia “rappresentare un elemento di forte riconoscibilità lungo questo asse di scorrimento, utilizzando un’immagine architettonica spiccatamente tecnologica”. Questo “elemento di forte riconoscibilità” è rappresentato soprattutto dalla torre-vano ascensori, dove il logo Coop spicca con particolare veemenza: quest’elemento verticale culmina con una sorta di orizzontalissima “cabina di controllo”. Dall’alto, dalla “cabina”, piuttosto immateriale grazie a un utilizzo sistematico del vetro, lo sguardo si perde, da una parte, verso Monte Morello e dall’altra verso l’aeroporto Vespucci. E proprio per questa “cabina”, l’elemento forte del progetto consciamente o inconsciamente, gli ideatori potrebbero aver tratto ispirazione da una torre di controllo aeroportuale a far da contraltare con quella vera, poco distante. Il tutto svetta su un corpo rotondeggiante, una sorta di anfiteatro abitato, invece che dai gladiatori che combattono i leoni, da un’utenza avvezza al confronto quotidiano con prezzi e alimenti. Michele Bazan Giordano

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here is a wind of a New Middle Ages, in the positivemodern sense of the word (alla Jacques Le Goff we might say) blowing through the latest architectural designs. Now, like back then, designs are turning increasingly into anonymous collective works or works covered with initials, quite the contrary of the worshiping of the “person” characteristic of the Renaissance. For better or worse, here we are facing an interesting construction bearing the signature of Inres, an acronym whose roots can only be understood by reading a special, useful chart (“About us”) at the foot of the report: Inres stands (in Italian) for the National Economic and Social Research Institute that was set up in Florence in 1969 with just five members of staff and known back than as the Research Coop. It turned into Inres n 1971 and then changed its old name to the National Institute of Consultancy, Design and Engineering in 1993, making its aforementioned acronym even more cryptic. There are no references to the names of the architects, engineers and surveyors who have done the “designing” (except for the President, the engineer Franco Susini, and his vice-President Antonio Canino: are they the new “maestri comacini”?). This kind of notation, that might seem out of place in this project, actually is not, indeed it might even trigger of some fresh debate on “designer” architecture etc. So Inres, which has now designed over 500,000 square metres of sales space, corresponding to 1,700,000 square metres of built space, for the Coop Group (40 hypermarkets, 147 supermarkets and various smaller sales outlets), has now designed a huge multi-storey retail facility in Sesto Fiorentino (north-west of Florence). The sales areas are all spread over the ground floor, while the utilities and public “food court” is up on the top floors. The unifying thread is the “shopping arcade”, a sort of air-conditioned covered road. All this comes from the renovating and redeveloping of an old building that provided the guidelines for the entire project. The idea was to design a unitary architectural organism, holding on as far as possible to synergic relations between conventional shops, big stores, services, public enterprises and craft shops. The entrances are placed along the main front and provide access to the arcade through three plazas. The “anonymous” designers underline how “the building, designed to feature along the future road link between Florence and Prato” is supposed to “be a landmark along the road drawing on a distinctly technological architectural image”. This “highly striking feature” focuses mainly around the lift tower-shaft, where the Coop logo stands out vehemently: this vertical element terminates in a sort of extremely horizontal “control cabin”. From the “cabin” up at the top, made to look rather immaterial through systematic use of glass, you can look out over, on one hand, the hillside of Monte Morello and, on the other, Vespucci Airport. It is worth studying this “cabin”, the project’s strong point, to analyse its stylistic features: either consciously or unconsciously, the designers may well have drawn inspiration from an airport control tower in order to dialogue with a real control tower not far away. All this towers above a roundish body, a sort of amphitheatre where, instead of fighting gladiators, we find customers coming to terms with the everyday issue of food and prices.

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Paolo de Pietro

Ubicato nella zona nord-ovest di Firenze, il Centro Ipercoop Sesto è il fulcro del Piano di Recupero delle aree ex Magazzini Unicoop Firenze. Il progetto prevedeva il recupero e la ristrutturazione di uno dei fabbricati esistenti, quello posto nell’angolo nordovest.

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A sinistra, planimetria generale. Sotto, sezione parziale sulla piazza ovest. Left, site plan. Below, partial section on the west square.

In alto, prospetto nord. Sopra, pianta del piano terra. A sinistra,sezione parziale. Sotto, prospetto sud. Top, north elevation. Above, plan of the ground floor. Left, partial section. Below, south elevation.

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A sinistra, particolare del sistema di vetrate strutturali. Left, detail of the structural glass system.

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Particolare della scala panoramica. Il cilindro in vetro accoglie anche l’ascensore. Detail of the panoramic stairway. The glass cylinder also holds the lift.

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Particolari del volume cilindrico che contiene la scala circolare e l’ascensore. Il tamponamento esterno è composto da vetri temperati stratificati piani sostenuti col sistema Airplan Teleya e fissati in mensole orizzontali che sbracciano lateralmente dai montanti tubolari verticali che sostengono le strutture. A destra sopra, la scala mobile che collega l’ultimo piano, contenente gli uffici amministrativi e i servizi. Nella pagina a fianco, una delle aree ristorazione nella parte centrale del livello superiore. Details of the glass cylinder holding the circular stairs and the lift. The external cladding is made of tempered laminated planar glass panels supported by the Airplan Teleya system and fixed with horizontal brackets stretching from the sides of the vertical tubular posts sustaining the structure. Right above, the escalator at the upper floor, where the administrative offices and the services are locate. Opposite page, one of the restoration areas in the central section of the upper level.

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Jean-Louis Godivier

Jean-Louis Godivier

La nuova piazza Megève Media Library i sono architetti che si legano a una particolare tipologia di lavoro e ne diventano in qualche modo degli specialisti: questo non significa necessariamente che sanno fare una sola cosa, ma che le occasioni della vita li hanno portati a seguire con successo un certo tipo di incarichi. Così accade per le mediateche, questo tema tipicamente contemporaneo e Jean Louis Godivier, che ne ha realizzate diverse sul territorio francese, arrivando a sviluppare un suo specifico linguaggio di affronto. In fondo il tema è un’estensione del concetto di biblioteca, un luogo dove si conservano e si consultano testi. Oggi questo concetto di testo si estende alle nuove tecnologie, per cui oltre ai soliti libri, riviste, troviamo CD, DVD, postazioni internet ecc. Si può dire che oggi la mediateca è una vera e propria piazza di incontro urbana, perché qui si dialoga secondo tutti gli accenti della contemporaneità : in particolar modo quello che era lo scambio commerciale delle piazze di un tempo, oggi è divenuto spazio di scambio di informazioni, immagini, dati. L’architettura veste e accoglie questo primario bisogno di notizie, di informazioni, di connessione al resto del pianeta. Uno dei bisogni primari è divenuto di fatto la possibilità di interscambio e di conoscenza reciproca. L’architettura di Godivier vive di interscambio: non dimentica la sua materialità, non diventa puro gioco virtuale, o pura esercitazione di tecnologie. Godivier non rinuncia alla materia, alla realtà, ma si nutre di fantasia e di progetto e li connette in un gioco a incastro. Questo gioco diventa il motore di attrazione per le città, e l’architettura ritorna protagonista. Così la città di Megève vuole sperimentare sul suo corpo una particolare “operazione chirurgica e funzionale”, ovvero ridare vita al suo complesso del palazzo sportivo e dei congressi, costruzione anni Sessanta sicuramente non più sufficiente per i bisogni

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di una stazione di sport invernali di livello elevato, che vuole catturare una clientela internazionale. Così la nuova mediateca si presenta come una composizione articolata, addossata al palazzo dello sport, ma con una tensione estetica del tutto nuova. Innanzitutto rifiuta la massa monolitica e scompone la facciata in tre distinte entità: un prisma vetrato trasparente che funge da zona di accoglienza e organizza l’accesso principale con una rampa affusolata che conduce al portale rivestito in legno. Il vetro riflette il panorama del massiccio del Monte Bianco e lo fa diventare spettacolo urbano. Il secondo modulo contiene l’auditorium e si presenta come un incastro di due materiali: uno zoccolo in cemento armato a vista, traforato da aperture “casuali” a losanga e da una sorta di taglio a forma di “baffo”, che sono poi dispositivi di illuminazione per la sala interna della mediateca; una scocca in legno di cedro rosso naturale aggrappato a una ossatura metallica, con dogatura obliqua. Il legno ricorda i materiali degli châlet montani e contrasta con il muro vetrato del primo modulo, cercando di muovere la facciata con l’andamento diagonale e la quinta tronca in cemento. Terzo personaggio è la griglia metallica che riveste il campo di tennis, che funge da collegamento con i volumi del palazzo sportivo esistente. Un’operazione ardita quella di Godivier, per esprimere complessità e dialogo tra vecchio e nuovo, utilizzando legno, cemento e metallo, forme ortogonali e forme libere. Far respirare le materie nel rapporto tra naturale e artificiale senza rinnegare la funzione specifica, lasciando respirare gli interni, dove nulla deve essere troppo rigidamente determinato per permettere un uso della struttura evolutivo a seconda della stagione. Architettura mossa, generosa, geometria come forza vitale, articolata, gioiosa e misteriosa, come la montagna. Stefano Pavarini

here are architects whose names are inseparably tied to a certain kind of work, so that, in some way, they turn into specialists: this does not necessarily mean they only know how to do one thing, merely that chance has taken them towards a certain kind of commission that they carry out with great success. This is the case with Media Libraries, a very cutting-edge type of project, and Jean Louis Godiver, who has designed a number of them in France, actually developing his own special idiom for this purpose. A media library is really just a development on the idea of a library, a place where texts are kept and consulted. Nowadays, the idea of a text is extended to new forms of technology, so in addition to the usual books and magazines, there are also CDs, DVDs, Internet points etc. It might be said that a media library is a real urban meeting place, because interaction takes place here along distinctly topical, cutting-edge lines: squares, which were once trading places, are now used for exchanging information, images and data. Architecture provides the means of hosting and accommodating this need for news, information and links with the rest of the planet. Reciprocal knowledge and interaction is now a primary need. Godiver’s architecture thrives on interchange: it does not lose track of its material side or turn into mere virtual play or an exercise in technological wizardry. In actual fact, Godivier does not renounce matter, he just feeds off imagination and design and then slots them together neatly. This slotting process turns into a magnetic attraction for cities, putting architecture back in the spotlight. The city of Megève wants to experiment a special “surgicalfunctional operation” on its own body or, in other words, inject fresh life into its old sports and conference arena built back in the

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1960s and certainly no longer capable of meeting the needs of a top-rate winter sports resort designed to attract international guests. This is why the media library has an elaborate layout, backing onto the sports arena, featuring an aesthetic design all of its own. Firstly, it rejects the idea of a monolithic mass and breaks the façade down into three separate entities: a transparent glass prism that acts as a reception area and sets out the main entrance through a tapered ramp leading to the wood-clad portal. Glass reflects the impressive Mont Blanc landscape and turns it into au urban spectacle. The second unit holds the auditorium and looks like two interlocking materials: a block of exposed reinforced concrete perforated by “random” diamond-shaped openings and a sort of “moustache-shaped” cut, which also act as lighting devices for the interior room of the media library; a natural red cedar-wood shell hanging onto a metal frame with diagonal slats. Wood is reminiscent of the materials used for mountain chalets and contrasts with the glass wall of the first unit, trying to inject life into the façade through its diagonal pattern and the truncated cement curtain. The third feature is a metal grid covering the tennis court that acts as a link with the structures of the old sports arena. Godiver has shown plenty of boldness in expressing the complexity of the relations and interaction between old and new, drawing on wood, cement and metal, orthogonal and free forms. Giving materials room to breathe in the way nature and artifice are related, without overlooking their specific function, bearing in mind that nothing ought to be too rigidly determined so that structures can be used in the most appropriate way according to the time of year. Lively, generous architecture and geometry as a carefully gauged, joyful and mysterious vital force, just like the mountains.

Viste della facciata est della Mediateca di Megève che coniuga alle nuove funzioni legate alla mediateca (dalla consultazioneprestito agli spazi media e nuove tecnologie), una estensione delle attività sportive ospitate nel Palazzo degli Sport e dei Congressi, (un edificio anni Sessanta opera di Novarina), un auditorium di 300 posti e spazi di ricevimento comuni. Views of the east façade of Megève Media Library that combines new medialibrary functions (from reference-lending to media spaces and new technology) with an extension to the sports activities hosted in the Sports and Conference Arena, a 1960s building designed by Novarina, a 300-seat auditorium and communal facilities.

Client Project: Jean-Louis Godivier General Contractor: SCIC Développement Consultants: Quadriplus Groupe, JP Guitton, Alpes Contrôles Client: Ville de Megève

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A sinistra, dal basso verso l’alto, planimetria generale, piante alle quote 330, 680, 1045; sopra prospetto est, sezioni trasversali e longitudinale. In basso e nella pagina a fianco, la facciata principale definita dall’allineamento di tre moduli, un prisma vetrato dove si aprono gli ingressi all’edificio; un guscio in legno che racchiude

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il volume dell’auditorium inquadrato da una parete in cemento grezzo; un terzo volume formato da una maglia metallica che consente alla luce di filtrare nei locali sportivi. Left, from bottom up, site plan, plans of heights 330, 680, 1045; above, east elevation, cross sections and

longitudinal. Bottom and opposite page, the main façade composed of a row of three units: a glass prism where the building entrances are located; a wooden shell enclosing the auditorium structure framed by a rough cement wall; and a third structure formed of a metal web let light filter into the sports facilities.

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Particolari degli spazi della mediateca e dell’auditorium. Details of the media library and auditorium spaces.

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Dominique Perrault

La Strip ipogea EWHA Campus, Seoul Nella pagina a fianco, modello del campus universitario EWHA di Seoul. Il programma del concorso internazionale vinto da Dominique Perrault prevede la realizzazione entro il 2007 di questo campus per circa 20.000 studenti comprendente oltre alle attrezzature e agli spazi scolastici, una biblioteca, aree per lo sport, uffici amministrativi, caffetteria, un cinema, un teatro, spazi commerciali e un parcheggio. Opposite page, mode the EWHA University Campus in Seoul. The brief of the international competition won by Dominique Perrault planned for this campus for about 20,000 students, including educational facilities and equipment, a library, sports facilities, administration offices, a cafeteria, film theatre, theatre, retail spaces and a car park, to be completed by 2007.

Credits Project: Dominique Perrault (www.perraultarchitec te.com) Art Director: Gaëlle Lauriot-Prévost Project Manager: Ralf Lavedag Structure: Guy Morisseau Project Team: Caroline Barat, Michael Levy, Mark Marten, Yves Moreau, Suren Simonjan, Jérôme Thibault Stagists: Jorge Alvarez-Builla, Frank Bartos, JoongSub Kim, Karen Touchard-Joly Models: Patrice Debois Renderings: Perrault Projets Client: EWHA Campus Center Project

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l progetto che non ti aspetti”. Questo avrebbe potuto essere il motto per il progetto di concorso vinto da Dominique Perrault per il nuovo Campus Centre della EWHA Womans University di Seul. Posto che l’architettura contemporanea vorrebbe sempre più stupire, ma che non sempre lo stupore corrisponde a una piacevole conversione da una inaspettata visione ad un ammirato riconoscimento per un’interpretazione unica, qui Perrault riesce positivamente a stupirci senza schiamazzi di torri, forme contorte o mega-strutture. Ci riesce perché la sua proposta è “out of the box”, fuori dai canoni consueti, semplice e intrigante, simbolica e funzionale, univoca e interpretabile. Rispetta il contesto eppure vi si inserisce in modo riconoscibile, non inonda lo skyline, ma risolve il problema di dare spazio alle necessità quotidiane di oltre ventimila studentesse. Diventa il simbolo della rinnovata identità della più importante università femminile coreana, senza diventare monumento e riuscendo a creare una giunzione tra il Campus e lo sfilacciato contesto urbano circostante. Ancora, ha un margine netto e un aspetto inconfondibile, ma si lascia vivere in numerosi modi differenti. Il progetto è risolto con la chiarezza e la forza di un taglio praticato nella crosta verde del vasto territorio del sito ed è ottenuto scavando progressivamente dal confine verso il cuore dell’organismo universitario. Tutto intorno, o per meglio dire tutto sotto e tutto lungo il “vallo di Perrault”, trovano posto le numerose funzioni richieste dal bando, quali aule, uffici, spazi per le attività studentesche, negozi, palestre e un ampio parcheggio. Rinunciando a costruire in elevazione, Perrault scava e per definire i margini del suo “Corso”, inverte positivo e negativo, naturale e artificiale, valorizzando al massimo la dote verde del sito. Così è la natura a occupare lo spazio in superficie normalmente costruito e ad affacciarsi ai margini di una vallata artificiale le cui pendici verticali definiscono il vuoto urbano che attira a sé gli studenti dall’intorno e li convoglia verso i diversi indirizzi. Si stabilisce un asse ordinatore, una spina vertebrale per il rinnovato sviluppo dell’università, che ha nel “Corso” lo spazio sociale di relazione. Man mano che si scende, le due cortine si aprono con le loro facciate trasparenti per lasciar intravvedere il brulichio delle attività nei quattro livelli ipogei. E il “Corso” diventa “Strip”, come un grande billboard orizzontale. La partitura dei fronti è vivacizzata dell’incrociarsi dinamico del motivo disegnato dalle campiture di facciata, che si incrociano e si protendono diagonalmente dall’alto verso il basso come radici messe in evidenza da uno spaccato di faglia. Qui lo spazio si allarga virtualmente oltre il concetto di canale, i fronti si aprono per poter lasciar uscire le attività commerciali che utilizzano il parterre come piazza e per portare dentro gli studenti verso i diversi edifici didattici sparpagliati nel campus, raggiungibili con dei percorsi sotterranei. Questo ben si addice alle calde estati e ai freddi inverni di Seul. Al di sopra, i pre-esistenti sentieri trasversali che attraversano il sito sono mantenuti ed evidenziati con dei ponti sospesi sopra la vallata artificiale. Dal punto più basso si risale con una maestosa scalinata, pensata per diventare un teatro all’aperto e per offrire una quinta prospettica ideale che non interrompa il percorso, anzi inviti a procedere oltre, dopo un tuffo nella identità collettiva, verso le diverse traiettorie individuali. Jacopo della Fontana

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he project you were not expecting”. This might well have been the motto of the competition-winning project designed by Perrault fof the new Campus Centre at EWHA Women’s University in Seoul. Bearing in mind that modern-day architecture would always like to surprise us but that astonishment does not always mean an unexpected vision is pleasantly converted into admiration for some sort of unique design, in this case Perrault has indeed managed to surprise us in a positive way without resorting to a huddle of towers, twisted forms or mega-structures. He succeeds because his design is “out of the box”, unconventional yet simple and intriguing, symbolic and functional, univocal but open to interpretation. It respects its setting even though it has its own recognisable way of knitting into it, it does not drown the skyline but does solve the problem of providing space for the daily needs of over twenty-thousand female students. It is a landmark for the updated identity of the most important female university in Korea, without turning into a shrine and while managing to join the Campus to its rather dishevelled surrounding urban environment. Moreover, it is clear-cut and unmistakable, yet it can be experienced in lots of different ways. The project is handled with the clarity and force of a cut made in the green crust of its vast setting and results from a gradual excavating from the boundary in towards the heart of the university campus. All around, or rather all below and along “Perrault’s Wall”, there is room for all the requirements set down in the tender, such as teaching rooms, offices, spaces for student activities, shops, gyms and a large car park. Opting not to building in elevation, Perrault digs away to set the bounds of his “Path”, inverting negative and positive, natural and artificial, and bringing out the site’ landscaping to the maximum. This means nature fills the surface space usually taken up by building, moving towards the edges of an artificial valley whose vertical slopes mark an urban void drawing in students from the surroundings and setting them off in various directions. A guiding axis is created, a backbone for the university’s future growth, drawing on the “Path’s” role as an interaction social space. As you move downwards, the two curtains open up through their transparent facades to reveal all the busy activities going on throughout the four underground levels. So the “Path” turns into a “Strip”, like a huge horizontal avenue. The pattern of building fronts is injected with life by the dynamic criss-cross pattern on the façade. The pattern criss-crosses and projects diagonally from the top downwards like roots revealed by a rift. Here the spaces dilates virtually beyond the concept of a channel, the fronts open up to let out the retail facilities using the ground level as a square and to draw students into the various teaching buildings spread across the campus, easy to reach along underground paths. This is ideal for Seoul’s hot summers and cold winters. Above, the old cross-paths running through the site are maintained and highlighted by bridges suspended over the manmade valley. There is a magnificent staircase leading up from the lowest point, designed to turn into an outdoor theatre and provide an ideal perspective curtain, which does not interrupt the path but, on the contrary, invites people to move on (after taking a plunge into its collective identity) towards the various individual trajectories.

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Sezione parziale della facciata. Nella pagina a fianco, sezione longitudinale e schizzo del sistema dei percorsi del campus. Partial section of the façade. Opposite page, longitudinal section and sketch of the system of campus paths.

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Sezioni trasversali. Sotto, la corte pubblica che si apre al termine della lunga rampa che costituisce la “strada” principale” del campus. Nella pagina a fianco, vista della rampa, lungo la quale si allineano le varie funzioni del campus. Cross sections. Below, the public courtyard opening up at the end of the long ramp forming the main “street” through the campus. Opposite page, view of the ramp along which the various campus facilities are situated.

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Nuova visione dell’esistente

Jean-Marc Ibos/Myrto Vitart

Audiovisual Museum, Rome

immobilità enigmatica dell’immagine metafisica del Palazzo della Civiltà Italiana nel complesso dell’EUR a Roma viene finalmente smossa dal progetto di JeanMarc Ibos e Myrto Vitart, vincitori del concorso bandito dal Ministero dei Beni Culturali per l’allestimento di un Museo dell’audiovisivo all’interno del così detto “Colosseo quadrato”. L’iniziativa del MAV nasce principalmente da due esigenze: quella di valorizzare e rivitalizzare un’opera del Moderno risemantizzandola al di là dell’ideologia neo-classica e monumentale del Razionalismo italiano, e quella di rifunzionalizzare l’edificio adeguandolo e rendendolo idoneo allo svolgimento di attività museali, culturali e di intrattenimento. Il nuovo progetto prevede sostanzialmente l’inserimento di un nucleo centrale nel cuore dell’edificio esistente, destinato a contenere una successione verticale di spazi dedicati all’immagine e al suono, una sorta di “paese delle meraviglie tecnologiche”; in sezione, a ogni galleria della doppia corona di arcate della struttura preesistente corrispondono tre piani nel nuovo nucleo. L’involucro di questo nuovo spazio centrale sarà rivestito di una superficie nera leggermente riflettente che sarà supporto di immagini, di proiezioni, di luci. Nel basso e nella sommità dell’edificio saranno collocati ambienti il cui utilizzo potrà essere indipendente dal funzionamento del museo: nello stilobate si troveranno tre sale auditorium, la biblioteca-videoteca, la libreria, la caffetteria, spazi commerciali, luoghi di accoglienza e di informazione, depositi e magazzini; sulla terrazza vi sarà un ristorante panoramico. La proposta progettuale, senza intaccare l’integrità dell’opera preesistente per cui viene lasciato intatto l’originario dispositivo scenico delle 216 arcate dell’edificio, offre, però, una nuova visione dell’esistente. L’effetto di vuoto prodotto esternamente dall’oscura profondità del peristilio ad archi con il suo gioco di ombre viene perturbato dalla presenza e dall’apparizione al di là della facciata, attraverso gli archi, del nuovo apparato centrale. Come spiegano gli stessi progettisti, “la luce invece di perdersi nelle profondità abissali, è restituita. Nel cuore dell’edificio essa è captata, trasformata e, quindi, re-inserita attraverso le arcate”. E la presenza del flusso luminoso di immagini e colori che si mostra all’esterno come contenuto dell’edificio fa sì che il prisma a sei piani appaia, in modo nuovo, come un volume contenitore; e ancora, la moltiplicazione dell’arco sulle facciate guadagna un ruolo aggiuntivo, oltre il significato originario di infinito e di astrazione: la successione degli archi diviene filtro e scambio tra un dentro e un fuori. Dunque, pur nella conservazione dell’edificio come era, la spazialità del corpo preesistente ne esce, inevitabilmente, alterata. L’operazione di allestimento si unisce, quindi, a un’azione di innovazione progettuale, immettendo il nuovo nell’esistente, inserendo, cioè, gli atti del presente nell’eredità del Moderno. Giuseppa Di Cristina

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Credits Project: Jean-Marc Ibos, Myrto Vitart Project Manager: Claudia Trovati Engineering: Intertecno Milano Scenography: Michel Rioulec Consultants: Anne Fremy, Jerome Delormas Images: Artefactory, Didier Ghislain Client: Ministero della Cultura

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he enigmatic stillness of the metaphysical image of Palazzo della Civiltà Italiana in the EUR complex in Rome has finally been injected with life by the project designed by the French architects, Jean-Marc Ibos and Myrto Vitart, who won a competition organised by the Ministry of Culture to fit out an audio-visual museum inside the so-called “Square Colosseum”. MAV’s project works along two basic lines: the need to upgrade and revitalise a work of the Modern Movement by instilling it with new meaning free from the neo-classical and heroic/monumental ideology of Italian Rationalism, and also the need to adapt the building to new functions by equipping it to host museum, cultural and entertainment activities. The new project basically involves installing a central core in the heart of the old building, specially designed to hold a vertical sequence of spaces devoted to sound and image, a sort of “technological wonderland”; in the building section, three levels of the new core correspond to each gallery in the twin crown of arcades in the old construction. This new central space’s shell will be clad with a slightly reflective black surface on which sounds, images and lights will be projected. The top and bottom of the building will hold rooms that can be used separately from the museum facility: the stylobate will hold three auditorium rooms, a video-library/library, book shop, cafeteria, retail outlets, reception/information areas, store rooms and warehouses; the terrace will accommodate a panoramic restaurant. Visitors can use different entrances according to where they are heading. Without in any way interfering with the old building as a whole (the original scenic layout of 216 building arcades has been left as it is), the project design gives the old structure a fresh appearance. The empty effect created on the outside by the dark profundity of the arched peristyle and its interplay of shadows is disturbed by the sudden presence and appearance of the new central core through the arches beyond the façade. As the designers themselves point out, “Instead of being lost in the dark abysses, light is actually brought back in. It is captured in the very heart of the building, transformed and then re-inserted through the arcades”. And the presence of a luminous flux of images and colours which, on the outside, looks like the building’s contents means that the six-storey prism appears in some new way to be a container structure. And the multiplying of the arch on the facades serves a further purpose, beyond its original meaning as something abstract and infinite: the sequence of arches turns into a filter and interchange between the inside and outside. So, while leaving the building as it was, the spatial features of the old structure have inevitably been altered. This means furbishing procedures combine with innovative design to add something new to what was already there, in some sense injecting the what the present has to offer into a legacy of the Modern.

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Nella pagina a fianco, rendering del progetto per il Museo dell’audiovisivo a Roma EUR che verrà realizzato nell’esistente Palazzo della Civiltà Italiana. Il progetto mantiene lo storico volume caratterizzato da 216 arcate collocando al suo interno una stecca verticale in cui si articolano le nuove funzioni espositive. All’esterno le arcate vengono sfruttate come trasmettitori di giochi di luci e proiezioni. Sopra, rendering di una delle intercapedini tra il nuovo volume interno centrale e le arcate. A sinistra, sezione. Opposite, rendering of the project to design an Audiovisual Museum at the EUR in Rome. It is planned to be built in the old Palazzo della Civiltà Italiana. The project will hang onto the historical old structure composed of 216 arches, inside which there will be a vertical block housing the new exhibition facilities. On the outside the arcades will act as transmitters for lighting effects and projections. Above, rendering of one of the cavities between the new central internal structure and the arcades. Left, section.

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A sinistra, schema del principio scenografico in diverse configurazioni. A destra dal basso, rendering del volume interno, pianta del piano di accesso, pianta del ristorante.

Sotto, assonometria. A sinistra dal basso, rendering dell’interno, pianta del piano tipo, pianta dello stilobate.

Below, axonometry. Left, from bottom, rendering of the interior, plan of a standard floor, plan of the stylobate.

Left, diagram of the main layout in various configurations. Right, from bottom, rendering of the internal structure, plan of the entrance level, and plan of the restaurant.

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Architecture Studio

Vibrazioni e mistero ad Atene

Architecture Studio

Onassis House of Letters and Fine Arts ntro il 2005 verrà realizzata ad Atene la sede della Onassis House of Letters and Fine Arts, progetto che vede impegnata l’équipe di Architecture Studio ancora una volta in Grecia, dopo la vittoria nel 2000 del concorso per il Villaggio Olimpico (l’Arca 157), di cui non si conosce a tutt’oggi il suo destino. Ben diversa la storia di questo edificio commissionato dalla fondazione dedicata ad Alexander Onassis, dietro un concorso a inviti bandito nel 2002, e che nasce con l’intento di dotare Atene di un centro multi-culturale in grado di proiettare la cultura greca a livello internazionale. L’idea di Architecture Studio è una brillante intuizione che declina con una semplicità quasi disarmante il senso del programma esplorando e sperimentando un aspetto fondamentale della cultura progettuale dello studio. E l’elemento che indirizza la giusta lettura di questo intervento consiste proprio nel rapporto tra autonomia e contesto, binomio alla base di quello che i progettisti

l’astrazione quasi ieratica. Una scatola sospesa su un basamento vetrato individua il volume esterno che gestisce il suo rapporto con la città sul tema della scenografia urbana. La percezione variabile tra vicinanza e lontananza, la dinamica del movimento, che sostiene l’impianto concettuale dello studio delle facciate è tradotta dalla scelta e dal trattamento del materiale, un marmo di Thassos che se guarda con un occhio di rispetto alla tradizione locale, colpisce per l’invenzione del sistema strutturale. L’opacità della pietra viene infatti equilibrata da un lavoro sulla trasparenza, sul ritmo e sulla materia descritto dalla scomposizione delle facciate in fasce orizzontali di spessori variabili dal basamento verso il cielo che lasciano filtrare la luce e aprono scorci verso la città.. Questa dimensione vibrante e continuamente interagente con l’esterno diviene scenografia urbana rinnovandosi continuamente con il variare del giorno. La semplicità e l’immediata leggibilità del volume si arricchisce della nobiltà del

he Onassis House of Letters and Fine Arts is planned to be built in Athens by 2005. This project will once again see the Architecture Studio team working in Greece, after deservedly winning the Olympic Village competition (l’Arca 157) in 2000. Unfortunately, we still do not know what fate awaits this design. It is a different story with this building commissioned by the Alexander Onassis Foundation following an invitational competition organised in 2002 and designed to provide Athens with a multi-cultural centre capable of projecting Greek culture onto an international standing. Architecture Studio had the brilliant idea of making an almost disturbingly simple reading of the project brief, exploring and experimenting on one of the firm’s grounding features. The key to reading this project properly lies in relations between independence and context, two concepts at the foundations of what

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Difficulties involved in inserting the building in a narrow lot were overcome through monumentality designed with great simplicity and almost solemn abstraction. A box suspended over a glass basement marks the outside structure controlling relations with the city in terms of urban design. Perception varying between closeness and distance and the dynamics of motion supporting the conceptual design of the façade study are re-worked through the choice of material and how it is treated: Thassos marble, a sign of respect for local tradition, is strikingly incorporated in the structural design. The opacity of stone is balanced out by working on transparency, rhythm and material as the facades are decomposed into horizontal strips of different thicknesses from the base up, that let light flow in and open up views of the city. This vibration and constant interaction with the outside turns into urban design, constantly changing as the day goes by. The sim-

Rendering della Onassis House of Letters and Fine Arts ad Atene. Mineralità e trasparenza caratterizzano il volume dell’edificio ritmato da fasce in marmo bianco di Thassos.

definiscono “un’architettura di situazione”, parte di ogni contesto e nel contempo capace di una propria autonomia. “Tentiamo sempre di fare un progetto leggibile, riproducibile dai media, comprensibile, logotipico, quasi infantile, che il cervello capisca alla sola visione” ma anche “contestuale, che tenga in considerazione tutti i dati della situazione, la complessità della città, della vita. Questo rapporto tra autonomia e contesto è al centro del nostro interesse perché il senso dell’uno dà forza al senso dell’altro”. E’ il dinamismo degli opposti che rinnova e potenzia anche il vocabolario dell’architettura, nell’uso dei materiali, nel trattamento delle superfici, nei rapporti spaziali. La Onassis House è tutto questo, espressione di un calibrato ed esaltante gioco di equilibri tra materiale e immateriale, tra opacità e trasparenza, tra levità e mineralità. Le difficoltà di inserimento in un lotto esiguo sono supertate da una monumentalità declinata con il linguaggio della semplicità e del-

mistero che celano le facciate con la luce naturale e rivelano la notte, quando la mineralità del marmo perde consistenza, si fa quasi diafana, scoprendo i volumi interni che si definisco con l’illuminazione dell’edificio. E’ la caduta del muro-facciata per l’affermazione di un rapporto più libero e trasparente tra esterno e interno filtrato, e non più separato o addirittura negato, da una “membrana vivente”, reattiva che traduce l’attività stessa della Fondazione proiettata verso la città e una dimensione internazionale. All’interno, un oggetto prezioso e sorprendente, che riunisce l’auditorio, una sala di teatro e una sala conferenze, attraversa l’intera costruzione e segna il cuore del progetto. Esaltato dal vuoto che lo circonda, il suo involucro dorato offre il supporto scenografico degli eventi organizzati dalla Fondazione e ne diviene il simbolo a livello dell’edificio e della città. Elena Cardani

architectural designers call “situational architecture”, part of any context and, at the same time, capable of maintaining its own autonomy “We also try and design a readable project, that can be reproduced by the media, is easy to understand, logotypical and almost infantile, that the brain can take in just by looking at it” but also “contextual, taking into account every aspect of the situation, the complexity of the city, of life. The way independence relates to context is at the focus of our interests, because the meaning of one strengthens the meaning of the other”. It is dynamic relations between opposites that renew and reinforce the vocabulary of even architecture through the use of materials, the treatment of surfaces, and spatial relations. Onassis House is all this, the embodiment of a carefully gauged and exalting interplay of balances between the material and immaterial, opacity and transparency, levity and minerality.

plicity and ease of interpretation of the structural design are enhanced by the mystery hidden away in the facades during the daytime only to be revealed at night when the mineral nature of marble loses all substance, turns almost translucent and discloses the interior structures defined by the building lighting. The wallfaçade falls in favour of freer and more transparent relations between the inside and outside filtered (and no longer separated or even denied) by a reactive “living membrane” that projects the Foundation’s work out into the city and onto an international standing. On the inside, a precious and quite surprising object brings together the auditorium, theatre hall and conference hall by means of the entire construction, marking the heart of the design. Exalted by the emptiness around it, its golden shell provides a striking setting for events organised by the Foundation, actually symbolising it on a building and urban-scale level.

In copertura un sistema di pannelli apribili protegge una terrazza panoramica raffrescata dalla presenza vegetale che garantisce un microclima ideale anche nei periodi più assolati.

Renderings of Onassis House of Letters and Fine Arts in Athens. Minerality and transparency are the distinctive features of a build structure made of strips of white Thassos.

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Credits Project: Architecture Studio Associates: AETEREngineering: OMETE, Seismomononosis, LDK, Choulet, Arcora Scenography: Theatre Projects Consultants Acoustic: Xu Acoustique Client: Alexander S. Onassis Foundation, Ariona

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A system of opening panels on the roof shelters a panoramic terrace coolly landscaped to provide an ideal micro-climate even in sunny months.

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Particolari dell’auditorio e dello spazio vetrato dell’ingresso a piano terreno. Details of the auditorium and of the glazed entrance hall.

Il centro, che si sviluppa su una superficie di 20.000 mq, comprende un teatro dell’opera di 1000 posti, un auditorio-sala conferenze-cinema di 200 posti, un anfiteatro all’aria aperta di 200 posti, una biblioteca, un ristorante e una sala espositiva. Sotto, lo spazio d’ingresso con un particolare del volume rivestito da una pelle dorata in cui sono racchiuse le sale degli auditori. The centre which covers an area of 20,000 square metres, includes a 1000-seat opera house, a 200seat auditoriumconference hall-film theatre, a 200-seat outdoor amphitheatre, library, restaurant and exhibition hall. Below, the entrance space showing a detail of the structure clad with golden leaves enclosing the auditorium halls.

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Alberto Salvati per Atelier ZAV, Alidoro, struttura MDF, composto da elementi accostati e sovrapposti con finiture laccate metaluce opaco/MDF structure, it’s composed of ajoined and overlapping elements with lacquered, translucent finishings.

Il design del “Fanciullino” From Children to Design a convinzione che il mondo dell’infanzia racchiuda in nuce tutte le modalità attraverso le quali si svilupperà la nostra esistenza di adulti trova di tanto in tanto conferme che ci sorprendono, non solo per la loro evidenza, ma anche per la loro pregnanza. Nella ricerca che da anni Alberto Salvati conduce su questo territorio difficilissimo tale conferma assume un duplice carattere: per un verso ci riconduce ai primordiali rapporti con lo spazio e gli oggetti, colti nel loro iniziale costruirsi in schemi logici ancora incerti e, per così dire, sperimentali; per un altro indicano altri percorsi progettuali, composizioni alternative, modelli innovativi eppure profondamente radicati nei più comuni canoni dell’esistenza individuale e collettiva. La scoperta dell’universo infantile è del resto antica. Già Vico, nella sua Scienza nuova, aveva fatto dell’infanzia del mondo un modulo storico dominato da una “logica fantastica” di carattere, appunto, infantile, costituita a fondamento d’ogni possibile sapere; e Giovanni Pascoli aveva additato nel “fanciullino” il nucleo di una intelligenza delle cose che l’età adulta, il più delle volte, non sa mettere a frutto. Il Novecento, dal canto suo, ha colto la dimensione puerile dell’arte, limitandola però al suo aspetto ludico e facendone, dal Dada in poi, un elemento formale dirompente. Ora, con l’opera di Salvati, a essere messi in gioco sono gli spazi e gli oggetti che li popolano. Egli procede con un andamento circolare: parte dal disegno infantile, assunto come schema concettuale di base, lo struttura secondo i canoni del design moderno e lo restituisce infine nella sua duplice veste di “immagine”, attraverso la quale il bambino si appropria del mondo, e di “oggetto” funzionale, il cui valore si colloca a metà strada tra l’esperienza di partenza e la soluzione formale definitiva. In effetti, non sarebbe possibile valutare il senso di questa ricerca senza rifarsi alle sue fonti originarie, ossia alla percezione del mondo che il bambino fissa sulla carta; ma altrettanto impossibile sarebbe giudicarla senza rifarsi ai modelli concettuali del design moderno e contemporaneo, alla sua storia, alle sue irrequiete articolazioni nell’ambito di una dinamica culturale sempre più complessa e di ardua decifrazione. In pratica, non c’è, nelle soluzioni proposte da Salvati, né la semplice traslazione di modelli formali desunti dai disegni dei bambini né, tanto meno, un tentativo di “interpretarli”. Semmai vi si dà un confronto diretto tra la logica progettuale matura e quella infantile, dal quale non affiorano contraddizioni insanabili, ma al contrario il sospetto di una continuità. C’è da chiedersi infatti se certi valori percettivi, presto divenuti canoni formali, siano davvero così radicati nella nostra natura da risultare imprescindibili. Norme come la simmetria, l’ortogonalità, la sequenzialità sembrano allegramente ignorate dai bambini, che anzi, a quanto pare, si trovano perfettamente a loro agio in uno spazio non euclideo. Nel momento in cui questi valori, trasferiti nell’universo a tre dimensioni della concretezza materica e funzionale, ci si propongono come modelli formali, lo sconcerto iniziale è scontato. Ma basta un lieve spostamento di prospettiva per scoprire che essi sono fondati su principi diversi, ma non per questo meno solidi. Si potrebbe addirittura azzardare l’ipotesi che i bambini ignorino la distinzione cartesiana tra res cogitans e res extensa, senza che ciò si riveli una minaccia al nostro sapere. Certo, siamo sul filo della provocazione. Ma il lavoro di Salvati, così discreto, attento, scrupoloso, ha in sé, oggettivamente, una carica rivoluzionaria da non trascurare. Maurizio Vitta

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Alberto Salvati per Atelier ZAV, Il Paese dei Balocchi.

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our nature that we cannot do without them. Children seem to be blissfully unaware of norms like symmetry, orthogonality and sequential patterns. On the contrary, they seem to be perfectly at ease in non-Euclidean space. When these values, transferred into the three-dimensional world along material-functional lines, are put forward as stylistic guidelines, then some initial bewilderment is inevitable. But we need only change the point of view slightly to discover they are based on different but equally well-founded principles. We might even hazard the guess that children are unaware of the Cartesian distinction between res cogitans and res extensa, without this in any way threatening our knowledge. Of course, we are being deliberately controversial here, but Salvati’s work, so discrete, attentive and scrupulous, carries with it a revolutionary force that cannot be ignored. Maurizio Vitta

Alberto Salvati per Atelier ZAV, La Stella della Danza; sotto/below, La Bella Marmottina.

t may well be a cliché, but the belief that our childhood already encloses in a nutshell everything determining what will happen throughout our adult life is occasionally confirmed in the most surprising and significant ways. This emerges in two different ways in the investigations Alberto Salvati has been carrying out for years on this tricky terrain, calling for the utmost caution: on one hand, it takes us back to primeval relations with space and objects, captured just as they are first being constructed into logical schemes that are still uncertain and, so to speak, experimental; on the other, they point towards different design approaches, alternative compositions, innovative guidelines, which, however, are deeply rooted in the shared canons of individual and collective life. The world of children was first discovered a long time ago. In Scienza nuova, Vico used childhood as an historical matrix ruled by an “imaginative logic” of a childish nature, providing the foundations for all possible knowledge; and Giovanni Pascoli saw the “young boy” as possessing a sort of practical intelligence about things that adults more often than not were incapable of using. For its part, the 20th century grasped the puerile side of art, choosing to confine it to its playful aspect and, from Dada onwards, turning it into an overpowering stylistic feature. Now Salvati’s work has brought spaces and the objects they hold into play when studying

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Alberto Salvati, Frottage: A Teatro. Sotto/below, Alberto Salvati per Atelier ZAV, Il Delfino Garbato; in basso a sinistra bottom left, Il Campo dei Miracoli; in basso a destra bottom right, Arlecchino.

childhood, and this has taken object design as the hub of its development. Salvati’s work proceeds on a circular basis. It begins with a child’s drawing, taken as the basic conceptual scheme, which is then structured along the lines of modern design and finally restored to its twin nature as both an “image” through which a child grasps the world and a practical “object” whose value lies mid-way between the initial experience and final stylistic solution. Indeed, it would be hopeless trying to assess the meaning of this line of research without going back to its original sources or, in other words, a child’s perception of the world set down on paper as a grasping, interpreting and knowledgeable awareness of things; but it would be equally impossible to judge it without reverting back to the conceptual guidelines of modern and contemporary design, its background, and its rather unsettled place in the increasingly complex and hard to decipher dynamics of culture. In actual fact, the ideas put forward by Salvati involve neither a simple rendering of stylistic guidelines taken from children’s drawings, nor any attempt to “interpret them”. If anything, there is direct confrontation between mature and childish methods of design, that produces no irreparable contradictions but, on the contrary, the likelihood of some sort of continuity that ought to be examined in greater depth. It is worth asking whether certain perceptual values, almost immediately taken as stylistic guidelines, are really so deeply embedded in 195 l’ARCA 75


Chiara Baldacci Castiglioni (con Giovanna Olgiati, Silvia Trotta), Il ponte di luce: un ponte di luce, quindi immateriale, un segno simbolico di proiezione

e fiducia nella futura ricostruzione. Chiara Baldacci Castiglioni (with Giovanna Olgiati, Silvia Trotta),The Bridge of Light:

a bridge of light, hence immaterial, a symbolic sign projecting forward and showing confidence in future reconstruction.

Un ponte per le signore In Biella l Ponte delle Signore ha impegnato un buon numero di signore professioniste dell’architettura e dell’arte. Un concorso d’idee. Un’antica zona di Biella, fucina dello sviluppo tessile della città. Due edifici si fronteggiano divise dal torrente Cervo. Sono le fabbriche del lanificio Pria, oggi testimonianza della locale archeologia industriale Il ponte è stato distrutto da un’inondazione nel 2002. Un ponte storico, simbolo di storia e di storie, a cominciare dalle “signore del ponte” (le suore) che nel medioevo abitavano un monastero che sorgeva su quelle rive. Da qui l’iniziativa di aprire un concorso d’idee per il ponte che peraltro era stato ripreso dall’obiettivo di Gabriele Basilico. Le “Signore” hanno contrapposto al peso della storia e degli eventi il senso della leggerezza. Il rilievo vale per l’artista Chiara Baldacci Castiglioni (con Giovanna Olgiati e Silvia Trotta) che gioca scenograficamente (come vogliono anche la sua formazione e le sue frequentazioni professionali) sull’idea di ponte-segno di luce. Lo stesso si può dire di Doriana Mandrelli, col suo senso di sfaldamento e di apparente caos in cui, fra centine irregolari e deformate, “la pelle dell’organismo si stacca e scivola via”. Assieme a questo lavoro, la giuria ha segnalato quello di Guya Bertelli (con Chiara Galeazzi, Eleonora Molina, Mara Pesenti, Paola Pucci). Quest’ultima proposta insiste nel “topos” del luogo-memoria e assume il cristallo per le sue possibilità prismatiche e riflettenti. Al ferro è affidata l’idea di un ponte che vada oltre la propria funzione di collegamento, per farsi occasione di un più intenso e complesso raccordo con la città. Ad analogo collegamento pensa Luisa Bocchietto il cui ponte si ispira al clima ottocentesco del ferro e delle ferrovie non senza contributo di policromia. Più esplicita la simbologia e, diciamo pure, l’ebbrezza poetica in Etra Connie Occhialini (con Cristina Pucci) e in Alda Casal. La prima si abbandona alla totale leggerezza enfatizzata da enormi reti a forma d’ali di farfalla dispiegate. Due grandi mani insistono sul ponte, trasversalmente a esso: mani leggerissime, a dispetto della loro grandezza, quasi gioco d’ombra anziché realtà; mani protettive e laboriose che, con appropriata simbologia alla tessilità, inseguono intrecci di fili colorati tra un lato e l’altro del ponte trasparente. In verità, le curatrici dell’iniziativa, Mariateresa Chirico e Anty Pansera, hanno creato due sezioni: “visioni/proiezioni/soluzioni" (10 proposte) e “interpretazioni/evocazioni/suggestioni”. La seconda sezione contempla 5 proposte: oltre alla citata Casal, Antonia Campi (un ponte colorato a forma di saetta), Laura Castagno (un comprensibile gioco di fili), Olga Filzi Baldi (con l’argento, come vuole la tradizione familiare, elabora l’abbraccio di due corpi-gioielli ricchi di simboli), il duo Federica Marangoni e Giulia Sanderson Marabini, l’una artista, l’altra architetto e urbanista. La coppia fonde i due ambiti all’insegna della tecnologia e del dinamismo affidando il collegamento fra le due rive a una corsa di luce-colore. Dunque, da una parte le signore che “vedono, proiettano (parola che ha la stessa radice di progettare), risolvono”, dall’altra le signore che “interpretano, evocano, danno suggerimenti”. Occorre allora aprire un altro concorso d’idee, per gettare un ponte tra i due emisferi. Nell’ambito della sezione “visioni...” Laura Thermes concepisce un luogo a un tempo di attraversamento e di sosta: appunto un

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luogo, non un punto di fuga. Una sorta di ardito non-ponte, una poetica piattaforma irregolare esaltata e alleggerita dall’acciaio. L’idea insiste sull’arcata superstite. Questa, anche se concentrato di memoria (la Thermes attinge a tre sfere della memoria: individuale, collettiva, ambientale), non è idolatrata ma reinventata in forza di una “scultura metallica” che fa sentire gli echi delle antiche fabbriche che si mescolano a “una nuova stagione...di desideri e di voci”. Un tappeto volante da parte dell’architetto triestino Gigetta Tamaro, mentre Tilde Marra disegna una struttura di sapore minimale tesa a superare la mera funzione di collegamento tra due edifici. Lidia (Dida) Spano: più ponti (che colleghino tre piani dei due edifici); sovrapposti e trasparenti in ferro e vetro. “L’idea progettuale è maturata mettendomi mentalmente dentro al ponte anziché continuare a pensarlo frontalmente”: Natasha Pulitzer pensa a un momento di viaggio, di esperienze plurisensoriali (quasi dentro una serra), dalla memoria al futuro sostenibile. Chiudo al femminile con il cuoricino che pende dal ponte inarcato di Rita Rava: accento messo sulla dimensione emotiva, con divertimento ottico-simbolico, dal momento che il cuore assume forme e significati diversi, a seconda della posizione del fruitore. Carmelo Strano he Women’s Bridge has engaged a good number of ladies who are professionals in the worlds of architecture and art. A great contribution of ideas. An ancient area of Biella, the city’s textile center. Two buildings face each other, a stream running between them: the Cervo. They are the sites of the Pria Wool Factory, standing as a witness of the local industrial archeology. The bridge was destroyed by a flood in 2002. A historical bridge, the symbol of history and tales, beginning with the “bridge ladies” (the nuns), who lived in a monastery that rose along those banks during the Middle Ages. This is how the initiative for a competition was born. Today’s Ladies have countered the importance of history with a sense of lightness. This is true for the artist Chiara Baldacci Castiglioni (along with Giovanna Olgiati and Silvia Trotta), who produced a sort of scenic setting (according to her training and the professional spheres she has frequented) around the idea of a signbridge enveloped in light. The same can be said for Doriana Mandrelli, with her sense of apparent chaos, of everything falling apart; here, among irregular, deformed shapes, “the organism’s skin peels off and slips away”. The jury also pointed out another work along with this one, by Guya Bertelli (in collaboration with Chiara Galeazzi, Eleonora Molina, Mara Pesenti, Paola Pucci). The latter concentrates on the “topos” of the historical site, using crystal for her work, due to its prismatic and highly reflective qualities. Iron was used to give an idea of a bridge that goes beyond its linking function, making it take on a more intense, complex relationship with the city. Luisa Bocchietto thought of the same type of connection; her bridge is inspired by the nineteenth-century climate of iron and railroads, with a touch of polychromy. Etra Connie Occhialini (along with Cristina Pucci) and Alda Casal reveal a more explicit symbology and poetic exhilaration. The former surrenders to total lightness, highlighted by huge nets that take on the shape of spread butterfly

Alda Casal: la mani hanno la funzione di determinare il libero incrociarsi e tendersi dei fili colorati tra le dita, creando un gioco tessile che attraversa con leggerezza lo spazio aereo sopra il ponte stesso. Alda Casal: the hands are designed to direct the free crossing and stretching of coloured threads between its fingers, creating a textile interplay lightly crossing the space above the extended bridge.

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Antonia Campi: una freccia che unisce con colori vividi le due sponde. Antonia Campi: an arrow joining the two banks through bright colours.

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Laura Castagno: tre grandi sculture colorate e dinamiche attraversano diagonalmente lo spazio congiungendo le due rive e i due edifici. Laura Castagno: three large coloured, dynamic sculptures cut across the space to join the two banks and two buildings.

Olga Finzi Baldi: un ideale Abbraccio tra le due sponde divise con quattro pilastri che simboleggiano il 2004, anno dell’auspicata ricostruzione, e ricordano una mano, simbolo di movimento, lavoro, evoluzione. Olga Finzi Baldi: an ideal Embrace between the two banks divided by four columns symbolising 2004, the year when it is hoped that reconstruction will take place, and reminiscent of a hand that is moving, working and evolving.

Sopra, Guya Bertelli – vincitrice ex aequo – (con Chiara Galeazzi, Eleonora Molina, Mara Pesenti, Paola Pucci): l’obiettivo del progetto è di costruire un ponte che sia allo stesso tempo “leggero”, ovvero che si

contrapponga con la sua stereometria alla gravità della materia sottostante, e “possente”, ossia capace di catalizzare con la propria forza le molteplici tensioni dell’intorno.

Above, Guya Bertelli – joint winner – (with Chiara Galeazzi, Eleonora Molina, Mara Pesenti, Paola Pucci): the project is designed to build a bridge which is both “light”, viz. whose stereometry contrasts with the

gravity of the material below, and “powerful”, or in other words capable of using its own strength as a catalyst for all the surrounding tension.

Sotto, Doriana Mandrelli – vincitrice ex aequo: Un Fotogramma Prima è costituito da una passerella centrale sostenuta da due puntoni incrociati di acciaio alla quale sono connesse centine

di forma irregolare in accordo con la membrana esterna di rete metallica. Below, Doriana Mandrelli – joint winner: A Before Shot is composed of a central walkway held

up by two criss-cross steel struts which are connected to irregularshaped centrings linked to an outside membrane made of metal meshing.

Federica Marangoni, Giulia Sanderson Marabini (rendering: Silvia Rigetti; modello: Magda Minguzzi): una Passeggiata onirica come moderno elemento passante che ripropone per mezzo di tecnologia avanzata e di un segno di colore, luce ed energia la cultura e il dinamismo industriale che ha dato vita all’area. Federica Marangoni, Giulia Sanderson Marabini (rendering: Silvia Rigetti; modello: Magda Minguzzi): a dreamy Stroll providing a modern means of recreating the industry and culture that gave rise to the area, drawing on cuttingedge technology and a symbol of colour, light and energy.

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Etra Connie Occhialini (con Cristina Pucci): l’immagine di una farfalla corrisponde all’idea di leggerezza e si contrappone alla solidità degli antichi

insediamenti industriali sulle sponde del torrente.

Tilde Marra (con Cinzia De Luca, Monica Ferrara, Clelia Parrinello, Claudia Perticone; modello: Roberta De Grandi, Daniela Vinciguerra; strutture: Alessandra Caffarelli): ponte come

centro culturale, come spazio urbano, come scultura vivibile.

Etra Connie Occhialini (with Cristina Pucci): the image of a

Tilde Marra (with Cinzia De Luca, Monica Ferrara, Clelia Parrinello, Claudia Perticone; model

butterfly represents the idea of lightness and contrasts with the solidity of the buildings along the banks.

Gigetta Tamaro: Un Pregevole Tappeto, una sorta di tappeto volante, poggiato “precariamente” su due cilindri instabili per conferire l’idea

di equilibrio tra separatezza e connessione.

design: Roberta De Grandi, Daniela Vinciguerra; structural engineering: Alessandra Caffarelli): a bridge as a centre for the arts, an urban space and sculpture to be experienced.

Rita Rava (con Stefania Altieri, Beatrice Sampieri): ponte caratterizzato dall’elemento simbolico del cuore, come segno del recupero delle emozioni, intese anche

come volano di attività e produttività sociale e culturale.

Gigetta Tamaro: A Nice Carpet, a sort of flying carpet

Rita Rava (con Stefania Altieri, Beatrice Sampieri): a bridge featuring a symbolic heart

resting “precariously” on two shaky cylinders to project the idea of a balance between separation and connection.

signifying a retrieving of emotions, taken as the driving force behind socio-cultural activity and productivity.

wings. Two great hands are placed transversely across the bridge: these hands are very light despite their size, almost unreal, like a play of shadows; protective, industrious hands that act as an appropriate symbol of textile working. Here, they follow interwoven, colored threads between the two ends of a transparent bridge. In actual fact, the curators of the initiative, Mariateresa Chirico and Anty Pansera, created two sections: “visions/projections/solutions” (10 projects) and “interpretations/recollections/suggestions”. The second section called for 5 ideas: aside from the above-mentioned Casal, participants included Antonia Campi (a colored bridge in a lightning shape), Laura Castagno (an understandable play of threads), Olga Filzi Baldi (in the family tradition, with silver she elaborated 2 jewel-figures, replete with symbols), the duo Federica Marangoni and Giulia Sanderson Marabini, the former an artist and the latter an architect and urban planner. The duo blended the two spheres through the use of technology and dynamism, and linked the two banks of the stream with a strip full of color and light. Therefore, on one side we have the ladies who “see, plan and solve”, on the other those who “interpret, evoke and give suggestions”. Therefore, another competition of ideas ought to be opened, so a bridge can be set up to connect the two hemispheres. Within the “visions…” sections, Laura Thermes conceived a place that is to be crossed, but experienced, as well: a real place, therefore, not a place to go across and leave. A sort of bold non-bridge, an irregular, poetic platform that is enhanced and made lighter by the use of steel. The idea revolves around the surviving arch. Although the latter is a concentrate of memories (Thermes is inspired by 3 memory spheres: individual, collective and environmental), it is not idolized, but reinvented through a “metallic sculpture” that awakens memories of the ancient factories, which are mixed with “a new sesaon…of longings and voices”. A flying carpet by Gigetta Tamaro, a Triestine architect, while Tilde Marra drew a somewhat minimal structure that is not only meant to connect the two buildings. Lidia (Dida) Spano: a number of superimposed, transparent, steel and glass bridges (that connect the 3 floors of the two buildings). “The idea for the project came about when I imagined being on the bridge, rather than just thinking about its outer appearance”. Natasha Pulitzer thought of a sort of trip made of multisensory experiences (it’s almost like being in a greenhouse), from memory to the sustainable future. I’ll end up with a feminine note: with the little heart that hangs from the arched bridge by Rita Rava; here, the emotional dimension is highlighted, with an optical-symbolic play, since the heart takes on different shapes and meanings according to the onlooker’s perspective. Carmelo Strano

A destra, dall’alto, Luisa Bocchietto (con Leda Ferro, Simona Botta, Gelsomina Passatore, Erica Anchisi, Roberta Vidale): Oltretorrente, un ponte che si muove, è una struttura innalzata rispetto al livello originario per creare una struttura panoramica fortemente caratterizzata dall’uso di vetri colorati; Lidia Spano (con Gabriella Ferroni, Rita Volpi, Lara Cavazzini): l’immagine ricorda volutamente un carroponte in omaggio al carattere industriale del luogo; Natasha Pulitzer (con Anna Saetta, Anna Claudia Chemello, Chiara Melotti, Martina Rini): ponte coperto e abitabile,

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pensato anche come serra con piante, profumi, effetti luminosi, con cellule fotovoltaiche in copertura per alimentare l’interno con energia alternativa; Laura Thermes: un’ardita struttura in acciaio come ponte della memoria, macchina per attraversare ma anche per stare, una porta verso il futuro. Right, from top, Luisa Bocchietto (with Leda Ferro, Simona Botta, Gelsomina Passatore, Erica Anchisi, Roberta Vidale): Beyond the River, a bridge that moves, a construction raised above its original level to create a panoramic structure featuring notable use of coloured glass;

Lidia Spano (with Gabriella Ferroni, Rita Volpi, Lara Cavazzini): its image deliberately evokes a gantry crane in homage to the place’s industrial vocation; Natasha Pulitzer (with Anna Saetta, Anna Claudia Chemello, Chiara Melotti, Martina Rini): a cover bridge that can be inhabited, also designed like a greenhouse with plants, scents and lighting effects through photovoltaic cells on the roof to provide an alternative energy supply for the inside environment; Laura Thermes: a bold steel structure like a bridge into the past , a machine for crossing or standing still, a bridge into the future.

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Giuria/Jury: John Perry, Shashi Caan, Charles Linn, Christophe Carpente, Jean-François Drevon, Jürgen Braun, Jörg Hieber, Pierre Alain Croset, Giampietro Sacchi Committente/Client: Solutia Inc.

B- Categoria “installazioni”/Installations Hal Ingberg, Montreal Colored Reflections, Grand Métis, Canada C- Categoria “interni”/Interiors Tobias Lundquist, Miloby Ideasystem, New York Lucini Italia Inc., Miami

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D- Categoria “istituzionale”/Institutions Wilkinson Eyre, Londra Royal Ballet School, Londra

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Germania/Germany - Halle

1° Premio/1st Prize Nieto-Sobejano 2° Premio/2nd Prize Gernot Schulz 3° Premio/3rd Prize schulz & schulz 4° Premio/4th Prize Konermann Siegmund 5° Premio/5th Prize Plasma Studio

Italia/Italy - Bolzano Ampliamento e ristrutturazione dell’ospedale di San Candido (2a fase) Ai partecipanti si richiedono progetti per l’Ampliamento di un ospedale esistente di una superficie netta di ca. 1 000 mq, ristrutturazione dell’edificio esistente (ca. 80 letti), costruzione di un parcheggio sotterraneo per ca. 100 macchine Extension and restructuring of San Candido hospital (2nd stage) Participants are required to provide projects for: the extension of an existing hospital for a net surface of about 1,000 sq m, the restructuring of the exhisting building (about 80 beds), the construction of an underground parking lot for about 100 cars

Gran Bretagna/Great Britain Cambridge Landmark East Idee innovative per progetti ambiziosi e visionari per far risaltare l’area dell’Inghilterra Orientale Landmark East Innovative ideas for visionary and ambitious projects to put the East of England on the map

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1° Premio/1st Prize Hans Nickl, Christine Nickl-Weller 2° Premio/2nd Prize Tiemann-Petri und Partner 3° Premio/3rd Prize Matthias Burkart

Giuria/Jury: Josef March, Marina Albertoni, Erich Gutmorgeth, Johann Schwärzer Committente/Client: Provincia Autonoma di Bolzano

Giuria/Jury: Peter Kulka, Hartmut Fuchs, Jochem Jourdan, Mara Pinardi, Wilfried Dechau, Thomas Dietzsch, Uwe Graul Committente/Client: Stiftung Moritzburg Kunstmuseum des Landes Sachsen-Anhalt

Giuria/Jury: Anthea Case, Tim Bishop, Helaine Blumenfeld, Sir David King, Alex Lifschutz, Simon Loftus, Bill Macnaught, David Marlow, Yasmin Shariff Committente/Client: East of England Development Agency’s (EEDA) (www.landmarkeast.org.uk)

Giuria/Jury: Nicola Di Battista, Francesca Bulgarelli, Renato Boetti, Ferdinando Vacca, Massimo Agamennone Committente/Client: Comune di Albisola Superiore

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Ampliamento del Moritzburg Kunstmuseum Progetto per l’ampliamento degli spazi espositivi della fondazione Moritzburg Kunstmuseum. Il programma prevede la realizzazione di nuove sale per complessivi 2.000 mq, ottenuti attraverso l’ampliamento della struttura esistente o la costruzione di una nuova Extension of the Moritzburg Kunstmuseum Project for the extension of an exhibition structure of the Moritzburg Kunstmuseum foundation. The brief calls for the construction of new exhibition halls for 2,000 sq.m obtained through the extension of the exhisting structure or through new construction

Restauro dell’Area Archeologica di piazza Giulio II Ai partecipanti si richiedono idee per la progettazione della sistemazione e il restauro conservativo dell’Area Archeologica di piazza Giulio II, con creazione del Polo culturale ”Alba Docilia” Restoration of the Archaeological Area in Giulio II square Participants are requested to provide project ideas for the preservation and restoration of the Archaeological Area in Giulio II square, to create the cultural pole “Alba Docilia”

COMPETITIONS

Solutia Design Awards 2004 Per il sesto anno Solutia Inc. ha premiato a Francoforte, in Germania, le migliori opere di architetti e designer che hanno saputo utilizzare il vetro stratificato in maniera innovativa. Una giuria internazionale composta da 9 affermati professionisti del settore ha passato in rassegna 44 ambiziosi progetti architettonici proclamando 4 vincitori finali e assegnando una menzione d’onore Solutia Design Awards 2004 For the sixth year Solutia Inc. has prized in Frankfurt, Germany, the best works of architects and designers who have used stratified glass in innovative ways. An international jury made up by 9 professionals of the sector, has selected among 44 ambitious architectural projects, 4 final winners and has assigned an honour mention

1° Premio/1st Prize Vincenzo Ariu (capogruppo/team leader), Ariu+Vallino architetti associati, Coll.: Valeria Roba, Laura Vallino, Olivier Moudio 2° Premio/2nd Prize Nicola Delledonne (capogruppo/team leader), Valentina Pagano, Federico Piccardo, Barbara Stasi 3° Premio/3rd Prize Silvia Dagna (capogruppo/team leader), Anna Cavallo, Simona Maurone, Mauro Micheletti, Giacomo Natali, Paolo Pittamiglio, Fabrizio Sottimano

Italia/Italy Albisola Superiore (Savona)

+ europaconcorsi

COMPETITIONS + europaconcorsi

Vincitori/Winners A- Categoria “commerciale”/Commerce LCM Fernando Romero, Messico Palmas Corporative Building, Messico

Germania/Germany - Frankfurt

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1° Vincitori/Winners A-Anne Niemann and Johannes Ingrisch Dunwich, Suffolk: Scultura di acciaio che segna il sito della città perduta di Dunwich/Steel sculptures to mark the site of the lost city of Dunwich B-Agnieszka Glowacka/Eleanor Rennie and Arup East Reef: Proposta per valorizzare e proteggere l’area costiera del Norfolk/Proposal to replenish and protect an area of the Norfolk coast C-National Trust, Greater Cambridge Partnership, Marshall Group and Landscape Design Associates Landscape East: Proposta centrata su un ponte di canne sopra la A14 NR Cambridge/Proposal focused around a bridge of reeds over the A14 Nr Cambridge D-Urban Initiatives Watermarking: Ponte mobile che dovrebbe attirare eventi e performance sul lungofiume lungo I corsi d’acqua della regione/A movable bridge which would be a focus for events and riverside performances throughout the region

Italia/Italy – Firenze La nuova sede della Banca Cassa di Risparmio di Firenze La nuova sede, che sorgerà vicino al Palazzo di Giustizia lungo il Viale Guidoni, avrà una superficie utile complessiva di 26.800 mq, sviluppandosi su cinque edifici collegati tra loro da passaggi aerei e disposti attorno ad un ampio giardino centrale di oltre un ettaro di estensione. Anche il piano interrato degli edifici verrà collegato da una viabilità corrispondente al perimetro del complesso. Ogni edificio si svilupperà su tre piani fuori terra, l’edificio centrale su quattro, e il complesso potrà ospitare fino a 1.000 unità lavorative. Vi sarà anche un auditorium, in grado di accogliere oltre 400 persone, che costituirà un corpo di fabbrica a sé stante anche se collegato all'edificio della direzione generale. Verrà inoltre costruito un parcheggio sotterraneo per oltre 350 posti, a cui si affiancherà un parcheggio pubblico, a pagamento, per 250 posti. New premises of the Banca Cassa di Risparmio in Florence The new premises , which will be built near the Justice Palace in Viale Guidoni, will have a total useful surface of 26.800

sq m, divided in 5 buildings connected by aerial passages and placed around a large central garden of over an hectare of surface. Also the underground floors of the buildings will be connected by a road network corresponding to the perimeter of the complex. Four buildings will have three floors , the central one: four, and the complex will accommodate up to 1,000 employees. There will be an auditorium with 400 seats which will be a separate construction connected to the General Direction building an underground parking lot for 350 cars and a public parking area for 250 cars Committente/Client: Banca Cassa di Risparmio di Firenze

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Vincitore/Winner Giorgio Grassi Progettisti invitati/Invited Architects Mario Bellini* Norman Foster Steven Holl Lee Polisano (KPF Kohn Pedersen Fox) Fabrizio Rossi Prodi Paolo Zermani

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Giuria/Jury: Carlo Moscardini, Carlo Nannetti, Susanna Taddei, Elio Di Franco, Angelo Palatella, Elisabetta Zanasi Gabrielli (Ipostudio Architetti Associati) Committente/Client: Comune di Lastra a Signa 1° Premio/1st Prize Riccardo Miselli (capogruppo/team leader), Luisa Garassino, Eleonora Burlando, Benedetta Lamberti, Mattia Moggia, Giovanni Battista Morreale 2° Premio/2nd Prize Studio i.base: Alfonso Ippolito, Eleonora Barone, Luca James Senatore, Coll.: Mirko Usai 3° Premio/3rd Prize Gianluca Donadeo, Mariangela Cimma, Paola D’Onofrio, Federica De Stefano

Nuova pista ciclopedonale da Gavarno a Nembro Tema del Concorso è la realizzazione di una nuova pista ciclopedonale da Gavarno a Nembro nel Comune di Nembro, che si svilupperà dal Cimitero della frazione di Gavarno sino alla sponda orografica destra del fiume Serio e collegantesi con il sistema ciclopedonale già esistente. Particolare attenzione verrà posta da parte dell’Ente banditore alla qualità dell’intervento attraverso l’individuazione di soluzioni che incentivino la fruizione offerta e che consentano la percezione della migliore qualità dell'ambiente New cycle-pedestrian course from Gavarno to Nembro Construction of the new cycle-pedestrian course from Gavarno to Nembro. Particular attention should be paid to find solutions which will increaase the use of the new course and allow a better perception of the environmental quality

Committente/Client: Comune di Nembro

Giuria/Jury: A. Cipriani, B. Di Cristina, S. Fanfani, G. Rupi, R. Dabizzi, R. Verdelli, A. Ballotti Committente/Client: Comune di Montevarchi

Italia/Italy - Montevarchi (Arezzo) Riqualificazione architettonica di piazza Vittorio Veneto e piazza Mazzini L’ente intende riqualificare e recuperare P.zza Vittorio Veneto e P.zza Mazzini, ridisegnando uno spazio pubblico limitrofo e attiguo al centro storico attraverso una proposta d’idee per la riqualificazione architettonica e urbanistica capace di valorizzare e tutelare l’identità dei luoghi e la presenza di significative emergenze architettoniche, al fine di raggiungere una esatta integrazione con il restante tessuto del centro storico cittadino Architectural requalification of piazza Vittorio Veneto andpiazza Mazzini the contracting authority wants to requalify and to recove P.zza Vittorio Veneto and P.zza Mazzini, re-designing the surrounding public spaces, close to the historical center through an architectural and urban requalification improving and protecting the identity of the area and the presence of significant architectural elements, integrating the areas with the reamining historical tissue of the city

Vincitore/Winner Mimesi 62 + Guidi & Solari: Domenico Pagnano (capogruppo/team leader), Giuseppe Giusto, Antonella Maggini, Francesco Liverani, Massimo Guidi, Luciano Solari, Jelena Gardic, Coll.: Andrea Pinti, Fabrizio Pascucci, Michele Aquila Progetti segnalati/Mentions - Stefano Borsi (capogruppo/team leader), David Benedetti, Andrea Borsi, Giuseppe Garofano, Coll.: Gianni Borgogni, Barbara Sottani, Dario Bertini - Lucia Posarelli (capogruppo/team leader), Marta Righeschi, Cecilia Cariello

Italia/Italy - Roma Consultazione per giovani architetti e designer D40_4 Consultazione in due fasi per la realizzazione dello spazio di accoglienza, postazioni informatiche, lettura e ristoro presso il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo Competition for young architects and designers D40_4 two stage competiiton for the construction of a reception space, informatics psts, reading and restoration spaces at the MAXXI - National Museum of XXI Centrury arts

Committente/Client: Ministero per i Beni e le Attività Culturali

1° Classificato/1st Place Pierpaolo Danelli (capogruppo/team leader) Paola Giaconia, Alessandro Rocca, Elena Sacco 2° Classificato/2nd Place Francesco Gentilucci (capogruppo/team leader), Alessandra Agrello, Massimiliano Di Martino, Salvatore Di Michele, Claudio Bordi 3° Classificato/3rd Place Marco Celeri (capogruppo/team leader) Danilo Celeri, Davide Pini, Claudia Capeti, Nadia Casati Coll.: Matteo Casali, Silvia Pennacchio 4° Classificato/4th Place Denis Parise (capogruppo/team leader) Valentina Orioli, Paride Antolini, Davide Matassoni, Romana Kacic & Mattias Liden Landscape Architects, Massimo Biondi, Igor Parrino Coll.: Monica Casadei, Davide Randi, Chiara Turci 5° Classificato/5th Place Ottavio Benzoni (capogruppo/team leader) Massimo Brambilla, Fabio Betti, Danilo Barcella 6° Classificato/6th Place Alberto Capitanio (capogruppo/team leader) Remo Capitanio, Sandra Marchesi 7° Classificato/7th Place Francesco Stefinlongo (capogruppo/team leader) Andrea Boz, Simone Mantovani

COMPETITIONS

Davvero una piazza Il concorso è bandito per rendere disponibile alla città la migliore idea per far diventare Piazza Garibaldi “davvero una piazza”. Il concorso si inserisce in un processo di riqualificazione del centro storico avviato dall'Amministrazione Comunale e in parte già realizzato mediante il rifacimento e la riqualificazione di alcune strade e piazze del centro storico, mediante l’acquisizione di alcune aree strategiche all'interno della cinta muraria, mediante l’acquisizione di alcuni tratti delle mura stesse e mediante la riqualificazione dello Spedale di S. Antonio con l’introduzione di una funzione forte quale il centro culturale con biblio-mediateca Really a square The competition has been launched to find the best idea to make Piazza Garibaldi “Really a square”. The competition is part of a requalification program of the historical center started by the Municiipal Administration and partially already started through the requalification and the re-make of some streets and squares of the historical

Italia/Italy - Nembro (Bergamo)

+ europaconcorsi

COMPETITIONS + europaconcorsi

center; through the acquisition of some strategica areas within the wallss, the acquisition of part of the same walls and the requalification of St. Antonio hospital with the introduction of a cultural center and of a library and a media-library

Italia/Italy - Lastra a Signa (Firenze)

Vincitore/Winner Park associati Finalisti/Finalists - Avatar Architettura + R. Pettena - Claudia Del Colle, A. Gobbo, Mauro Merlo, Luciano Spagnolo, N. Cazzato, A. Salvucci, F. Carrabetta, A. Ciocci, S. Bruno, Alexandro Ladaga, Silvia Manteiga - Bianchini e Lusiardi + Roberta Pagliari - Carola Vannini - Olindo Merone (capogruppo/team leader), Gianmarco Chiri, Sabrina Dessi, Fabrizio Leoni, Cons.: Francesco Casu, Coll.: Silvio Carta, Laura Podda, Gianluca Sardu - 5+1 architetti associati: Alfonso Femia (capogruppo/team leader), Gianluca Peluffo, Francesca Ameglio, Simonetta Cenci, Enrico Martino, Stefano Fragola, Gabriele Maria Pulselli, Cinzia Scarnecchia, Sara Traverso - Martina Fiorentino, Corrado Sassi

Italia/Italy - Mordano (Bologna) Wienerberger Brick Award Premio per la migliore architettura europea in laterizio Award for the best European architecture realized with bricks Committente/Client: Wienerberger Brunori srl Unipersonale

1° Premio/1st Prize Josef Plescot Passaggio pedonale sotto il Praga Hradschin Pedestrian way under the Prague Hradschin 2° Premio/2nd Prize Benedict Tono Edificio per lo stoccaggio di materiali pericolosi Università Humboldt Dangerous materials storage building Humboldt University 3° Premio/3rd Prize Cino Zucchi Casa alla Giudecca, Venezia House at Giudecca, Venice

USA - New York First Step Housing Ai partecipanti è richiesto il progetto di un prototipo di residenza indviduale e la pianificazione di ulteriori 19 unità in un piano tipo di The Andrews - Common Ground’s lodging house sulla Bowery. First Step offrirà abitazioni per il breve periodo, economiche, pulite e sicure a individui in attesa di una casa, senzatetto e simili First Step Housing Competitors were asked to design a prototypical individualized dwelling unit and the layout of 19 such units on a typical floor of The Andrews – Common Ground’s lodging house on the Bowery. First Step will offer private, safe, clean and affordable short-term accommodations to individuals who are transitioning to housing, facing homelessness, or who have rejected or failed in other programs.

A

Vincitori/Winners A-“Soft House” Forsythe + MacAllen Design, Vancouver British Columbia Stephanie Forsythe and Todd MacAllen B-“Nesting” Harvard Design School, Cambridge, Massachusetts Students David Gwinn, Basil Lee and Tom McMahon C-“Kit of Parts” LifeForm, New York Rafi Elbaz, Nanna Wulfing and Julia Tate D-“The Ordering of Things” New York, New York Katherine Chang and Aaron Gabriel E-“Cocoon” Brooklyn, New York Daniela Fabricius

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Giuria/Jury: Michael Bell, Julie Eizenberg, Andrew Freear, Steven Holl and Toshiko Mori Committente/Client: Common Ground Community and The Architectural League of New York

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10 critici 10 architetture 10 fotografi

indagine sull’architettura italiana del secondo Novecento

50 anni di architettura italiana

sguardi contemporanei

Margherita Guccione direttore servizio architettura DARC

Scripta volant Per offrire al pubblico della 9a Biennale Internazionale di Architettura una testimonianza sul passato prossimo dell’architettura italiana, la DARC allestisce nel Padiglione Venezia la mostra Sguardi contemporanei_50 anni di architettura italiana. L’esposizione, articolata in due sezioni, propone uno sguardo sul panorama architettonico del secondo Novecento italiano secondo due chiavi di lettura che corrispondono a spazi e a modalità espositive differenti. Negli spazi centrali del Padiglione sono presentate 10 opere, selezionate da critici e interpretate da fotografi in base alla loro capacità di esprimere la cultura architettonica e rappresentare l’architettura italiana, dal dopoguerra a oggi. Sono opere utili per raccontare, in modo sintetico, varietà, complessità, ricchezza, anomalie e attualità dell’architettura di quegli anni. La visione che deriva dalla lettura soggettiva degli invitati è assolutamente - e volutamente - parziale. Le fotografie esposte sono accompagnate da un commento dei critici sulle motivazioni della scelta e da dieci microfilmati, appositamente realizzati per completare la documentazione delle opere. La seconda sezione propone un progetto di ricerca sulle architetture più note e riconosciute, individuate grazie alla studio che la DARC sta conducendo con l’apporto delle Università e delle Soprintendenze. In questa parte prevale una visione d’insieme sull’architettura italiana del secondo Novecento, conseguita secondo criteri scientifici e oggettivi. I visitatori avranno la possibilità, attraverso motori di ricerca, di consultare i primi risultati delle indagini sistematiche condotte sul patrimonio architettonico recente, catalogato per caratteristiche storiche, stato di conservazione e distribuzione sul territorio. La mostra s’inserisce nel quadro delle iniziative del MAXXI Architettura che propongono all’attenzione del pubblico l’architettura italiana.

www.darc.beniculturali.it

Direzione generale per l’architettura e l’arte contemporanee Ministero per i Beni e le Attività Culturali

There will be 4 winning artists in the Third Edition of the Premio della giovane arte italiana: their works will become part of MAXXI’s collections. The tender for the competition organised by DARC is already on-line at the site.

del Premio della giovane arte italiana: le loro opere entreranno a far parte delle collezioni del MAXXI. Il bando del concorso indetto dalla DARC è già online sul sito.

4 gli artisti vincitori Saranno della Terza Edizione

Sguardi contemporanei_50 Italian architecture exhibition organised by DARC in the Venice Pavilion at the 9th International Architecture Biennial. Above: rendering of the layout. Below: exhibition poster.

di architettura italiana curata dalla DARC nel Padiglione Venezia in occasione della 9a Biennale Internazionale di Architettura. Sopra: rendering dell’allestimento. Sotto: manifesto della mostra.

Sguardi Mostra contemporanei_50 anni

Pier Luigi Nervi's Rome archives, that DARC acquired in July 2004, are an important part of the MAXXI Architettura collections that already include the archives of Del Debbio, De Feo, Musmeci, Rossi and Scarpa.

Luigi Nervi, acquisito nel luglio 2004 dalla DARC, è un importante tassello per le collezioni del MAXXI Architettura di cui fanno già parte gli archivi di Del Debbio, De Feo, Musmeci, Rossi e Scarpa.

L´archivio romano di Pier

Sensi Contemporanei presents ll linguaggio dei luoghi: 7 artists chosen by DARC to interpret seven placed in southern Italy, whose distinctive features are now forgotten and often quite unrecognisable. www.sensicontemporanei.it

nasce Il linguaggio dei luoghi: 7 artisti scelti dalla DARC interpreteranno altrettanti luoghi del Sud Italia dai segni identitari dimenticati e spesso irriconoscibili.

Da Sensi Contemporanei

Every Tuesday in September from 6.30 p.m. DARC will be organising guided tours around MAXXI to see the exhibitions devoted to the artist Ed Ruscha and the architect Aldo Rossi. The meetings, which are free of charge, include an aperitif.

visite guidate al MAXXI delle mostre dedicate all’artista Ed Ruscha e all’architetto Aldo Rossi. Gli incontri, gratuiti, sono accompagnati da un aperitivo.

i martedì di settembre Tutti alle 18:30 la DARC organizza

Head of the DARC Architecture Department

foto di enrico di munno

Archivio Pier Luigi Nervi

PREMIO PER LA GIOVANE ARTE ITALIANA 2004-2005

ARchivi di ARchitettura

Scripta volant DARC is setting up an exhibition entitled Contemporary Views_50 years of Italian Architecture in the Venice Pavilion of the 9th Biennial of Architecture. The exhibition, divided into two sections, will be taking a look at the architectural scene in Italy during the second half of the 20th century, working along two basic lines: space and different means of exhibition. The Pavilion’s central spaces will display 10 works selected by critics and interpreted by photographers in terms of their ability to express architectural design and represent Italian architecture since the war. These works are an effective means of providing a brief picture of the variety, complexity, richness, strangeness and topicality of the architecture back then. The views deriving from the guests’ own personal reading of the works is absolutely - and deliberately - partial. The photographs on display are accompanied by explanatory remarks by the critics explaining why they were chosen and ten micro film clips specially shot to complete the information on the works. The second section shows a research project into the most famous and familiar works of architecture, based on the results of a study that DARC is carrying out in conjunction with Universities and Superintendent’s Offices. This part focuses on an overall view of Italian architecture in the latter half of the 20th century, working along scientific and objective lines. Visitors will be able to use search engines to check the initial results of the systematic surveys carried out into the recent architectural heritage, catalogued in terms of historical features, state of conservation, and distribution across the territory. The exhibition is part of the framework of activities being organised by MAXXI Architettura to attract the public’s attention to Italian architecture.

foto di enrico di munno

foto di patrizia tocci

DARC

coordinamento lorenza bolelli pagina a cura di emilia giorgi progetto due_pavese

SETTEMBRE

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Rubriche e articoli sul mondo della progettazione, della produzione e della ricerca. Design, production and research.

Giovani vincitori Archiprix International Archiprix International (www.archiprix.org) presenta il migliori progetti di laurea in architettura, urbanistica e paesaggio, cui vengono invitate le università e i college universitari di tutto il mondo. Archiprix International è biennale e si avvale della collaborazione della Hunter Douglas, azienda che produce Luxaflex e Luxaflon. Nel 2001 è stato organizzato a Rotterdam nel 2003 a Istanbul e nel 2005 sarà a Glasgow. Una giuria indipendente premia i migliori progetti con l’Hunter Douglas Award. Lo scopo del premio è di stimolare l’ingresso di nuovi e talentuosi progettisti nel modo della pratica professionale. I vincitori di questa edizione sono stati selezionati tra 173 progetti iscritti, provenienti da altrettante scuole di architettura, urbanistica o architettura di paesaggio di 61 Paesi e presentati come i migliori progetti di laurea degli ultimi due anni. Il 14 maggio scorso in una cerimonia svoltasi a Genova, il presidente della giuria, Dogan Hasol, ha annunciato i quattro vincitori e i 15 menzionati. Gli altri membri della giuria erano: Winka Dubbeldam, Pierre Gautier, Gerard Maccreanor e Nada Subotincic. Quella che segue è la lista dei progetti vincitori e menzionati e dei loro autori.

Vincitori/Winners: A- Dealing with Vierhaven - Harm Timmermans, Netherlands B- HK/WD2/WWhub - Thomas Raynaud, France C- Postagriculture - Achim Menges, England D- Wave Garden - Yusuke Obuchi, United States

Archiprix International (www.archiprix.org) presents the world’s best graduation projects in the fields of architecture, urban design and landscape architecture. All university-level training colleges around the world were invited to take part by selecting and submitting their best graduation project. Archiprix is continuing the initiative together with Hunter Douglas, manufacturer of Luxaflex and Luxalon. The Archiprix International is held once every two years. In 2001, it was organized in Rotterdam, in 2003 in Istanbul, in 2005 Glasgow will be the venue. An independent jury rewards the very best submissions with the Hunter Douglas Awards. The aim of the awards is to stimulate the introduction of starting, talented designers into the world of professional practice. The nominations of this edition were selected out of a total of 173 submitted projects. These projects were selected by 173 schools for architecture, urban design and/or landscape architecture from 61 countries as their best graduation project of the last two years. On May 14 the winners of the Hunter Douglas Awards were announced at the award ceremony in Genoa Italy by Dogan Hasol, the chairman of the jury. The other jury members are Winka Dubbeldam, Pierre Gautier, Gerard Maccreanor and Nada Subotincic. They selected 4 winners and 15 honourable mentions.

Menzioni d’onore/Honourable mentions E- Anytime/Anywhere Mario Baez and Adrian Durán, Uruguay F- Beat: Action, Activity and Architecture Bret Thurston, New Zealand G- Between past and present - Paolo Soellner, Italy H- Cube, Rotebuehlplatz Stuttgart Goetz Peter Feldmann, Germany I- House of Literature, Prague Frank Moeller, Germany L- Infrastructure for the Grobnik Motordrome Rujana Bergam, Croatia M- Insecta - Hooi Weng Kong (Logan), New Zealand N- Interstice - Mark Hash, United States O- Kupla - bubble, Korkeasaari lookout tower Ville Hara, Finland P- Linear(c)ity - A city on the lines Walter Nicolino and Paolo Pellegrino, Italy Q- Mise en scène Florian Heinzelmann and Tobias Hofman, Germany R- Plug and Play Building Erick David Sun, Costa Rica S- Programmatic Redevelopment System for Shanghai Lilongs - Susanne Lorentz, Germany T- Sougawa Elementary School William d Galloway, Canada U- Westway Health Centre, London Luke Pulham, England

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Vivre c’est habiter Cosa significa oggi abitare secondo criteri di qualità di vita, funzionalità e sicurezza dello spazio privato? Sono questi i temi affrontati in occasione della manifestazione “Vivre c’est habiter”, promossa dalle associazioni RENOV e 1.2.3 architectes con il sostegno del Ministero della Cultura francese, e che ha visto protagoniste due abitazioni costruite nel Parc de la Villette di Parigi e aperte al pubblico fino a quest’autunno. Movendo da un capitolato comune, le due abitazioni utilizzano materiali e linguaggi diversi coerentemente a comuni obiettivi di impatto con l’ambiente: rapporto in armonia con il sito, cantiere pulito, approccio bioclimatico, gestione energetica intelligente, impiego di fonti di energia rinnovabili, materiali specifici ecc. Il progetto è stato affidato a due studi di giovani architetti emergenti scelti tra i partecipanti ai Nouveaux Albums des Jeunes Architectes del 2002: Gaëlle Hamonic e Jean-Christophe Masson, vincitori dell’edizione, e Aldric Beckmann e Françoise N’Thépé. I primi sono gli autori della casa in metallo e vetro, 180 metri quadrati su due livelli, che si articola in un piano libero a pianta quadrata di 13 metri di lato. Un involucro in acciaio, dichiaratamente protettivo rispetto al contesto, scopre un’anima particolarmente piacevole e solare, fatta di ambienti intercomunicanti arricchiti della presenza di patii, terrazze e piccole oasi di verde da cui penetra la luce naturale, "una qualità degli ambienti - come spiegano gli architetti - che si appropria degli esterni come spazi da vivere all’interno". Ampie superfici vetrate, filtrano quasi impercettibilmente il fluire tra i due ambienti; fondamentale quindi la scelta del tipo di vetri che vedono in Glabervel le soluzioni vincenti, sia per l’elevato rendimento in termini di isolamento termico, acustico e di sicurezza delle persone e dei beni, sia per l’alta qualità della trasmissione luminosa all’interno dei locali, garantita da un effetto trasparente ed esteticamente neutro. Top N per le vetrate non esposte direttamente ai raggi del sole assicura un grado di isolamento tre volte superiore a quello tradizionale; Energy per le facciate esposte a sud associa alle caratteristiche di isolamento termico, l’azione del controllo solare, con oltre il 60% di energia solare respinta all’esterno dell’edificio. Inoltre a piano terra entrambi i vetri sono stati proposti in versione stratificata di sicurezza e isolamento acustico Stratophone. Legno e vetro sono invece i materiali che caratterizzano il progetto di Aldric Beckmann e Françoise N’Thépé, 220 metri quadrati, articolati su due piani concepiti in modo completamente autonomo. Più rigorosa nella soluzione dell’impianto distributivo, questa abitazione trova soprattutto nella grammatica dei materiali di facciata la sua migliore espressione. Il legno, che da superficie di facciata diviene persiana e, trattato in listellature verticali, protezione dall’irraggiamento diretto, si anima della presenza di pannelli colorati, parti vetrate e collettori solari. Anche qui, la trasparenza gioca un ruolo fondamentale, consente alla luce naturale di penetrare negli ambienti interni senza penalizzare le caratteristiche di sostenibilità e risparmio energetico proprie dell’abitazione, evitando quindi dispersione di calore durante l’inverno e surriscaldamento in estate e mantenendo un elevato grado di isolamento acustico e di sicurezza, problemi che hanno trovato un soluzione ottimale nei prodotti Top N e Energy di Galverbel. Elena Cardani

Volare è un’arte At Schiphol Airport Quality of life, functionality and safety of our private space: today, how can we live according to these standards? These are the themes the special event “Vivre c’est habiter” is dealing with. Promoted by the RENOV and 1.2.3. architectes assocations under the patronage of the French Ministry for Arts and Culture, this event has focused on two houses built in the Parc de la Villette in Paris: they will now be open to visitors until the end of next fall. The two houses, which were built according to a common specification, use different materials and idioms according to common goals concerning their impact with the environment: a harmonious relationship with their site, which features “clean” building, a bioclimatic approach, specific materials, and an intelligent use of energy, with renewable energy sources. The project was entrusted to two young, distinguished artists’ studios who were selected among the participants in the 2002 Nouveaux Albums des Jeunes Architectes: Gaëlle Hamonic and Jean-Christophe Masson, the winners of that edition, and Aldric Beckmann and Françoise N’Thépé. The former two designed a metal and glass house, 180 meters on two levels, laid out on a free, square plan measuring 13 meters on the sides. A steel shell which is expressly protective in relation to the context reveals an especially pleasant, bright interior, made of communicating rooms enhanced by patios, terraces and small green oases from which natural light flows through. As the architects say, “a quality of the interior that takes possession of outdoor areas which are to be experienced indoors”. Vast glazed surfaces almost imperceptibly filter the passage from the exterior to the interior; the choice of the glass itself was therefore of vital importance, and the winning solutions were provided by Glaverbel, thanks to the high heat insulation, soundproofing and safety (for people and personal property) that are offered by its glasses, as well as the high quality of light transmission into the interior, guaranteed by a transparent and esthetically neutral effect. Top N, meant for windows that are not exposed to direct sunlight, ensures a degree of insulation that is three times higher than traditional glass. Energy glass, on the other hand, combines heat insulation and solar control, and was used for the southward-facing fronts: they are able to disperse 60% of the solar energy outwards, towards the exterior of the building. Furthermore, on the ground floor, both types of glass were used in the Stratophone version, which is soundproof, laminated, and shatterproof. Wood and glass, instead, are the materials that characterize Aldric Beckmann and Françoise N’Thépé’s project: 220 square meters laid out on two completely independent floors. The interior space is distributed more rigorously than in the former case: here, the façades are the most notable part of the house, due to the way in which the materials are combined over the fronts. Wood is used both for the façades and for the shutters, which feature vertical strips serving as protection from direct sunlight; the wood itself is enlivened by colored panels, glazed areas and a solar collector. Here, too, transparence plays a fundamental role, allowing natural light into the interior without affecting the characteristics of the house: sustainability and energy conservation. Heat dispersion is thus avoided during the winter – and overheating in summer – maintaining a high level of soundproofing and safety through the optimum solutions of Glaverbel’s Top N and Energy.

A sinistra, dall’alto, facciata, pianta del piano terra e interno della casa in metallo di/left from top, facade, plan on the ground floor and the interior of the metal house designed by Gaëlle Hamonic& Jean-Christophe

90 l’ARCA 195

Masson; particolare del volume esterno e pianta del piano terra della casa in legno di/detail of the external volume and plan of the ground floor of the wooden house by Aldric Beckmann& Françoise N’Thépé.

Progetto: Benthem Crouwel NACO L’aeroporto fa parte di quei “non-luoghi” destinati a far sempre più parte del paesaggio contemporaneo. Se il “non-luogo”, com’è stato definito da Marc Augé, è uno spazio di transito, un territorio non storicizzato, c’è chi pensa di trarne profitto cercando di renderlo relazionale attraverso assemblaggi di funzioni normalmente separate. Ecco allora che il transito può trasformarsi in un percorso culturale che, seppur veloce, può lasciare tracce indelebili nella memoria dei viaggiatori. L’AirportCity Schiphol si arricchisce di un nuovo spazio dedicato al Rijkmuseum. La nuova struttura accoglie opere d’arte realizzate da alcuni maestri dell’epoca d’oro dell’arte olandese: da Jacob van Ruysdael a Pieter de Hoogh, da Jan Steen a Rembrant. Lo spazio museale, caratterizzato da un guscio tecnologico, è sistemato lungo l’arteria di maggior traffico di passeggeri. Sistemato in un’area caratterizzata dalla presenza di negozi e spazi funzionali, il museo presenta una sua particolare identità, quindi un certo grado d’indipendenza rispetto al suo intorno. Ciò grazie alla particolare configurazione, che richiama i tunnel per l’imbarco dei passeggeri sugli aerei. Il tutto sostenuto da una struttura mista di cemento e acciaio. Notevole l’impatto sull’intorno, sia per la forma simbolica allineata all’immaginario aeroportuale sia per l’importante dimensione. Il forte spessore dell’involucro si giustifica tecnicamente poiché all’interno sono sistemati i cablaggi e il sistema di condizionamento. Com’è ormai tendenza in tutti i musei contemporanei, ampio spazio è dedicato all’area shopping, dove si possono acquistare gadget ispirati alle collezioni del Rijkmuseum. Carlo Paganelli

Airports are one of the those “non-places” destined to form an increasingly significant part of the modernday landscape. If a “non-place”, as defined by Marc Augé, is a transition space or non-historicised piece of land, then there are those who plan to exploit them on a relational level by bringing together what are usually separate functions. This is how transition can actually be turned into a sort of cultural experience, which, however fast it might be, can actually leave indelible traces in travellers’ memories. Schiphol AirportCity is being embellished with a new space devoted to the Rijkmuseum. This is a separate section of one of the most important Dutch museums. The new facility holds works of art by masters from the golden age of Dutch art: from Jacob van Ruysdael to Pieter de Hoogh, Jan Steen and Rembrandt. The museum space, featuring a technological shell, is situated along the busiest passenger corridor and will provide the chance to admire some of the most significant works of Dutch culture. Set in an area furbished with shops and functional spaces, the museum has its own special identity and hence to some extent is separate from its surroundings. This is due to its special configuration, which looks rather like those tunnels passengers use to board planes. All supported by a structure made of a blend of cement and steel. It has a striking impact on its surroundings, due to both its symbolic form fitting in with our idea of an airport and its sheer size. The thickness of the shell is technically justified by the fact it holds the cables and air-conditioning system. As with most modern-day museums, plenty of room is devoted to shopping, so that passengers can buy gadgets connected with the collections held in the Rijkmuseum.

Nuove idee per Piazza di Corte, Ariccia Progetto: Laura Guglielmi, Maurizio Petrangeli. Collaboratori: C. F. Lavacca, M. Lo Re, F. Lucarini, F. M. Martines, E. Matticoli, R. Mercoldi, V. Scarano, F. Spinosa, A. Tzompanakis Pedonalizzazione della piazza, sistemazione e utilizzo del ponte monumentale e recupero dell’area archeologica è la risposta progettuale al concorso europeo di idee “Piazza di Corte”, bandito dal comune di Ariccia (Roma). L’intervento ha come obiettivo la valorizzazione e la sistemizzazione di elementi già presenti nell’area, realizzando un percorso pedonale localizzato a più livelli, ponendo in relazione epoche storiche, situazioni ambientali e contesti urbani eterogenei, mettendo inoltre in relazione il parco con piazza di Corte. Restituita alla sua originale integrità attraverso la deviazione della Via Appia, piazza di Corte diviene fulcro dell’itinerario pedonale. Fortemente connotato da emergenze architettoniche, l’invaso della piazza risulta uno spazio tendenzialmente chiuso cui si accede da due porte. La prima rappresentata da Porta Napoletana, la seconda costituita dal ponte monumentale il cui innesto alla piazza viene ristretto attraverso la parziale ricostruzione del parapetto-panca. Nella totalità del luogo, viene esaltato anche il ruolo dell’acqua. E’ previsto, infatti, un possibile utilizzo pubblico della corte di Palazzo Chigi, la fontana della balaustra, le due fontane del Principe del Popolo e la fontana

delle Tre Cannelle assumono piena identità attraverso un’adeguata illuminazione notturna, che le lega alla teoria d’acqua da realizzare sul ponte. Il sistema delle risalite consente la connessione fra piazza di Corte e l’area archeologica senza alcuna interferenza con il traffico veicolare. Il percorso si articola in sentieri, rampe, scale mobili e ascensori: un insieme complesso progettato con l’obiettivo di alleggerire al massimo l’impatto ambientale dell’intervento.

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Sopra/above, Ville Hara, Bubble Tower, Korkeasaari Zoo Helsinki, 2002 (photo: Jussi Tianen); a destra/right, Kari Järvinen and Merja Nieminen, Laajasalo Church, Helsinki (photo: Arno de la Chapelle); sotto/below, Mari Matomäki, Architects SAFA, Länsiranta residential area Porvoo, 2003 (photo: Jaakko Jaskari)

Il legno fra natura e artificio Finnish Wood

Borzì, antologica

La Finlandia è uno dei Paesi a più alta densità di foreste. Il legno è dunque una delle materie prime maggiormente impiegate per la produzione di carta e semilavorati a base legnosa, utilizzati soprattutto nei settori dell’architettura e dell’ industrial design. In tale contesto, un organismo come la Finnish Forest Industries Federation svolge un importante ruolo di coordinamento per il miglior sfruttamento delle risorse, cercando contemporaneamente di non trascurare gli aspetti culturali. In tal senso, va vista la promozione di un’iniziativa di rilievo internazionale come l’assegnazione dello “Spirit of Nature Wood Architecture Awards”, riconoscimento biennale per l’eccellenza dell’architettura che premia la persona o il gruppo di professionisti che si sono distinti per l’impiego creativo del legno e dei suoi derivati. Nel 2000 è stato premiato Renzo Piano e, nell’edizione 2002, l’architetto giapponese Kengo Kuma. Quest’anno, il riconoscimento – la cerimonia dell’assegnazione si è svolta a Lahti, presso la Sibelius Hall – è stato conferito all’australiano Richard Leplastrier. Nato a Melbourne nel 1939, Leplastrier ha studiato architettura a Sydney e alla Kyoto University, ha lavorato a Tokyo con Kenzo Tange e a Sydney con Jorn Utzøn. La sua è dunque una cultura progettuale complessa, ricca di influenze tecnologiche ma anche contaminata da una visione olistica del progetto di architettura. La natura, soprattutto nei recenti lavori, è un parametro indissolubile in ogni atto progettuale. Le opere costruite negli ultimi vent’anni in Australia, destinate a committenti privati, sono realizzate in legno e sorgono in contesti naturali di grande suggestione. Ne è un esempio la Tom Uren House, costruita a Balmain (Sydney) in prossimità della costa oceanica, all’interno di una fitta vegetazione dove il contatto con la natura circostante è totale. Oltre agli aspetti culturali, la Finnish Forest Industries Federation rivolge particolare attenzione anche alle problematiche legate alla difesa dell’ambiente, destinando grossi investimenti orientati a ottimizzare l’uso delle bioenergie e delle risorse rinnovabili. Carlo Paganelli

Una mostra antologica, un’occasione attesa per mettere a fuoco il lungo e intenso lavoro di Carmelo Borzì. Si è tenuta proprio nella città nativa (classe 1928) dell’architetto, a Paternò, cittadina della Sicilia orientale. Allestita presso la Biblioteca comunale, col contributo di Salvatore, figlio anch’egli architetto, la rassegna ha offerto una succosa sintesi di tutte le tipologie architettoniche realizzate da Borzì, come edifici pubblici, privati, residenziali, chiese, teatri. La qualità e il senso di un tale operato sono indagati dal saggio scritto da Gillo Dorfles per il catalogo nel quale non mancano contributi di vari amici che conoscono bene l’uomo e l’artista, come il regista Fabrizio Crisafulli. C’è un personaggio letterario nella tradizione realistica della letteratura siciliana, Mazzarò, divenuto emblematico della condizione di chi possiede proprietà senza fine o, se si vuole parafrasare, di chi ha fatto tanto da non ricordarsi tutto. Si può dirlo tranquillamente del realizzato di Borzì. Tanto che sogni nel cassetto non ha mai avuto tempo di metterne. Ma un sogno, importante, lo conserva ancora, non nascosto né archiviato in un cassetto, bensì sempre in bella mostra nel suo studio e opportunamente esposto in questa circostanza: una vecchia committenza degli enti locali arenatasi come una conchiglia nella generosa e luccicante sabbia dei "lidi" di Catania: un nuovo teatro per il capoluogo etneo nel cui progetto Borzì ha riversato la sua vecchia passione per il teatro (radicatasi

A sinistra, in basso/left, bottom, A-Konsultit Architects/Anders Adlerscreutz, Eric Adlercreutz, architects SAFA, Leskenlehti Community Centre Viikki, Helsinki, 2003 (photo: Arno de la Chapelle); a destra/right, Architect office Artto Palo Rossi Tikka Oy, Sibelius Hall, Lahti, 2000 (photo: Mikko Auerniitty); in basso/bottom, Richard Leplastrier, Tom Uren’s House, Balmain (Sydney).

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Finland is one of the countries with the highest density of forests. This means wood is one of the main raw materials used for making paper and wood-based semiprocessed products, predominantly used in the fields of architecture and industrial design. In this context, an association like the Finish Forest Industries Federation plays an important role in coordinating the best possible exploitation of resources, trying at the same time not to overlook cultural factors and aspects. This is the light in which we need to look at an important international project like the awarding of the “Spirit of Nature Wood Architecture Awards”, a two-yearly prize for excellence in architecture that rewards the person or team of professionals showing outstanding creativity with wood and its byproducts. In 2000 Renzo Piano won the award, followed by the Japanese architect Kengo Kuma in 2002. This year the award – the prize-giving ceremony took place in Sibelius Hall in Lahti – went to the Australian Richard Leplastrier. Born in Melbourne in 1939, Leplastrier studied architecture in Sydney and at Kyoto University and then worked in Tokyo with Kenzo Tange and in Sydney with Jorn Utzon. His rich design artistry is full of technological influences, but also contaminated by a holistic vision of architectural design. In his latest works in particular, nature is vital guideline at every step in design. Projects built in Australia over the last twenty years for private clients are designed out of wood and situated in striking natural settings. Take, for instance, Tom Uren House built in Balmain /Sydney) near the ocean coast, set in thick vegetation where there is total contact with surrounding nature. In addition to cultural aspects, the Finnish Forest Industries Federation focuses special attention on problems related to safeguarding the environment, making notable investments in optimising the use of bio-energy sources and renewable resources.

peraltro a Napoli dove si è laureato) e il suo insegnamento come scenografo nella locale accademia di belle arti di cui è stato direttore ed è il presidente. Di esso il catalogo riporta planimetrie, sezioni, prospetti e un bozzetto a colori. Di fresca e interessatissima concezione è il progetto con in quale Borzì ha partecipato al recente concorso Auchan. Anche per quanto il rapporto con le tecnologie, il suo impegno è, osserva Gillo Dorfles, “nell’utilizzare le ultime sperimentazioni tecnologiche solo quando queste risultano effettivamente idonee alla loro funzione: in altre parole senza forzare l’impiego – poniamo di ‘curtain walls’ o di ‘piani liberi’ – quando non se ne avverta l’urgenza; e considerando, quindi, sempre attuale anche la presenza di ormai collaudate metodologie costruttive tradizionali quando il loro impiego si rilevi più acconcio”. L’instancabile architetto, forgiato col calore del Vesuvio e la lava dell’Etna, non si è negato i “capricci” artistici, come taluni esperimenti in campo fotografico basati su un forte interesse per il luminismo, schizzi “ricreativi” di elementi architettonici islamici o bozzetti scenografici, risolti in libere macchie di sapore gestuale. In questi “capricci” l’istinto viene privilegiato, il progettista accanito trova l’ambita compensazione. Carmelo Strano

Carmelo Borzì, teatro all’aperto bifronte a cavea per 1100 posti/open theatre for 1,100 people with double cavea, Ragalna.

I nuovi “magazzini” sul porto In Genoa Progetto: Gap Associati Genova avrà un nuovo spazio interamente dedicato al design. Un progetto perseguito con tenacia da Benedetta Spadolini, preside della Facoltà di Architettura del capoluogo ligure che tra i suoi obiettivi punta al raddoppio dei corsi di studio, uno di Architettura e uno di Design, seguendo l’esempio milanese. I “Magazzini del design”, così chiamato il nuovo progetto che sorgerà tra il Museo del Mare e il quartiere Marina Porto Antico conta su un comitato scientifico di prestigio che affianca a Benedetta Spadolini, Gillo Dorfles, Vico Magistretti, Vanni Pasca, Renzo Piano e Alberto Seassaro. Perché dei Magazzini e non un Museo? Principalmente per indicare la natura dinamica, flessibile e sperimentale delle attività che verranno ospitate, da laboratori a mostre itineranti, da allestimenti a luoghi di vendita e momenti e occasioni di incontro tra progettisti e industria. Il progetto architettonico dello studio genovese Gap Associati si inserisce con discrezione tra le righe del programma senza trascurare un’attenta lettura del contesto. Una “freccia-scultura” luminosa di 14 metri firmata Vico Magistretti individua l’area, tra la vecchia darsena e l’invaso del bacino di carenaggio, dove nascerà edificio “muro” dei Magazzini, 1200 metri quadrati distribuiti su tre piani, a cavallo del piccolo molo. Il rigore del volume a stecca, si anima nella definizione dei due fronti, trattati in modo differente; lato mare trasparente con un aggetto aperto sulla darsena, cieco e minerale, verso l’invaso in pietra del bacino. E’ da questo lato che, sdoppiando la facciata in due setti paralleli, vengono riuniti i sistemi di distribuzione. Un sistema di passerelle aeree e di travi di raccordo collegano questo setto attrezzato a un volume su pilotis, dall’immagine più aerea e trasparente, dove sono contenute le attività proprie dei Magazzini, distribuite su tre livelli. Lo spazio è pensato per adeguarsi alle quattro funzioni cardine attorno a cui ruota l’intero progetto museale: una zona espositiva permanente e una per mostre temporanee, una zona laboratorio-fabbrica per workshop finalizzati all'ideazione di prototipi, un emporio collegato alle aziende dove potranno acquistarsi prodotti, una caffetteria e una libreria. Elena Cardani

Genoa will soon have a new place which will be entirely devoted to design. Benedetta Spadolini, Dean of the Faculty of Architecture in the Ligurian capital, is pursuing this project tenaciously. One of her goals is to double the number of classes according to the Milanese example – one for Architecture and one for Design. The “Magazzini del design” (“Design storehouse”) is the name of the project that will be realized between the Museum of the Sea and Navigation and the Porto Antico district, and which can count on a prestigious scientific committee, which aside from Benedetta Spadolini includes Gillo Dorfles, Vico Magestretti, Vanni Pasca, Renzo Piano and Alberto Seassaro. But why call it a Storehouse, if it is more akin to a Museum? Mainly, to highlight the dynamic, flexible and experimental nature of the activities that will be hosted there: from laboratories to touring exhibitions, from stagings to retail stores and occasions where designers can meet with the world of industry. The architectural project by the Genoese studio Gap Associati will be tactfully inserted in the general plan, through careful interpretatoin of the context. A lit-up “sculpture-arrow”, 14 meters in length and designed by Vico Magestretti, will serve to point out the site, between the old basin and the graving dock cradle, where the “wall” building of the Magazzini will rise: 1,200 square meters distributed on three stories, spanning the small pier. The rigor of the rodlike volume is broken by the two fronts, which differ from each other in appearance: the façade over the sea is transparent, and features an open overhang on the basin, while the other, facing the stone cradle, is blind. The distribution systems are gathered on this side, where the face is split into two parallel walls. A system of elevated platforms and connecting beams links this functional wall to a pilotis volume, which is transparent and appears lighter; here the Magazzini’s activities will be carried out, distributed on the three floors. The space was designed to adapt to the four functions the entire museum project hinges upon: a permanent exhibition, an area for temporary shows, a labfactory for workshops devoted to creating prototypes, an emporium linked with various firms, where various items can be bought at retail, a cafeteria and a bookshop.

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Notizie sui principali avvenimenti in Italia e nel Mondo. Reports on currentevents in Italy and abroad.

Semplice e universale RPBW on Show

Sperimentare nel concreto

E’ una piacevole e istruttiva esperienza quella che accompagna il percorso espositivo della mostra presentata fino al 31 ottobre a Genova, negli spazi della rinascimentale Porta Siberia, oggi Museo Luzzati. Protagonisti i lavori di Renzo Piano Building Workshop allestiti in un suggestivo ambiente che ricalca l’atmosfera degli studi di Genova e Parigi dell’architetto. Un’occasione veramente unica per conoscere e approfondire la ricca e diversificata produzione architettonica di Piano che spazia dai progetti urbanistici – viene dettagliamente illustrato il grandioso progetto di recupero dell’intera area del porto di Genova – agli spazi culturali – come la Beyeler Fondation a Basilea e la Menil Collection a Houston fino al Centro Culturale Tjibaou a Nouména o l’auditorium di Roma – le strutture sportive, come lo stadio di Bari, o religiose – presentata la Chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo inaugurata lo scorso luglio – fino ai grandi interventi nel settore dei trasporti di cui l’aeroporto Kansai di Osaka è un esempio tra i più significativi. Lo svolgersi dell’allestimento che alterna al materiale di progetto, i modelli architettonici e dei dettagli strutturali traduce, in un percorso che si rivolge a un pubblico eterogeneo di addetti e non specialisti, l’idea di workshop che sta alla base della teoria progettuale e della metodologia di lavoro dell’architetto genovese, elemento che gli consente di coniugare in un linguaggio accessibile e contemporaneo l’innovazione tecnologica al sapere artigianale. L’immediatezza e la freschezza espressive che emergono dal percorso espositivo danno le giuste coordinate per apprezzare una poetica dell’architettura frutto di anni di esperienza a confronto con temi, contesti e programmi diversi. Un viaggio nella contemporaneità del paesaggio costruito tracciato dalla mano di un progettista ben consapevole che attraverso la propria opera influenza in modo determinante la trasformazione di un patrimonio collettivo. Accompagna la mostra un prezioso volumetto edito da Tormena, a cura di Renzo Piano e Giorgio Bianchi con Franco Oggioni, che con una ricca sequenza di immagini a colori, alternate a concise e puntuali spiegazioni, riassume il senso e la portata dell’opera dell’architetto genovese. Elena Cardani

Dopo la mostra Est-Ouest/Nord-Sud che si poneva la questione dei modi di abitare contemporanei abbracciando realtà socio-culturali di tutto il mondo, arc en rêve/centre d’architecture di Bordeaux si interroga ora sulle nuove forme di habitat individuale con una mostra in corso fino al 17 ottobre. Il rapporto tra abitazione individuale e città e, più in generale, tra singolare e generale, privato e collettivo, viene affrontato facendo riferimento a due operazioni sperimentali promosse da arc en reve con Domofrance (Società di Bordeaux specializzata nella vendita e l’affitto di case popolari) per la realizzazione di insiemi abitativi individuali a edilizia convenzionata in due zone di Bordeaux; La Grenouillère, nel centro urbano, e Floirac, nella fascia periferica. L’iniziativa, interessante per il suo contenuto sperimentale e per la lettura inedita del tema dell’abitazione (casa di sogni, di città, da vivere...), non si limita alla sfera teorica ma sta per concretizzarsi nella realtà con i cantieri in corso d’opera. Gli architetti coinvolti nell’operazione, scelti nel panorama professionale di Bordeaux sia per il loro curriculum, sia per le capacità di inventiva, sono intervenuti coerentemente a un piano generale in cui vengono privilegiate determinate caratteristiche, quali una densità perfettamente governata, in contrasto alle logiche spesso arbitrarie dell’edilizia unifamiliare, la

The exhibition on show through October 31st in Genoa, in the Renaissance environment of Porta Siberia (currently the Luzzati Museum) constitutes a pleasant, instructive experience. The protagonists of the show are the Renzo Piano Building Workshop projects, which are laid out in a suggestive setting, reminiscent of the architect’s studios in Genoa and Paris. This exhibition provides a unique chance to get better acquainted with Piano’s vast, diversified architectural production, which ranges from projects in the fields of urban planning, sports and transportation to plans for cultural and religious centers. The architect’s grand project for the development of the entire area around Genoa’s harbor is illustrated in detail, as well as his plans for the Beyeler Fondation in Basel and the Menil Collection in Houston, the Tjibaou Cultural Center in Nouména and the auditorium in Rome. His stadium in Bari witnesses his interest in the world of sports, while his Padre Pio Church, the new basilica in San Giovanni Rotondo, is soon to be completed. One of his greatest, most significant works in the transportation sector is the Kansai airport in Osaka. The show is meant for a mixed public, both for professionals in the field and amateurs. The layout, which involves alternating architectural models and structural details with the actual materials, interprets a workshop attitude that constitutes the basis of the Genoese architect’s planning theory and methods. This attitude allows him to combine technological innovation and craftsmanlike savoirfaire, thus achieving an idiom that is comprehensible to all. The spontaneity and freshness that emerge from the exhibition allow for the appreciation of an architectural poetics that results from years of experience, of dealing with different themes, contexts and programs. This is a trip into the contemporaneity of constructed landscapes, designed by the hand of a planner who is well aware that his work is determinative in the transformation of a collective heritage. Particolare dell’allestimento della mostra a Porta Siberia, Genova.

Stefano Goldberg/Publifoto

Detail of the exhibition at Porta Siberia, Genoa.

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In alto, modello del/top, model of Paul Klee Museum, Berna. Sopra/above, Cy Twombly Gallery, Houston.

Installazione di Eisenman In Verona semplicità e funzionalità dei volumi, che declinano un’ampia gamma di soluzioni intelligenti e di una raffinata modernità, l’attenzione alla qualità di vita dei futuri abitanti, con ambienti luminosi e confortevoli, e un calibrato rapporto tra intimità e vita di quartiere. Il percorso espositivo svela a un pubblico allargato le anteprima di questa operazione mettendone in luce le valenze di rinnovamento del tipo di offerta abitativa, per quanto riguarda l’habitat individuale, in cui non solo vengono ripensate le relazioni tra spazio pubblico e privato, anche in prospettiva di un’evoluzione dei modi di vita, ma vengono proposti nuovi materiali e nuove tecnologie. Nel sito de La Grenouillère, 16.000 metri quadrati, un programma di 120 case in accessione o locazione, sono coinvolti gli architetti Bernard Bühler e Patrick Hernandez, Florence Champiot e David Pradel, Sophie Dugravier e Emmanuelle Poggi, Nathalie Franck, Rapphaëlle Hondelatte e Mathieu Laporte; a Sérillan a Floirac, un’area di 41.900 metri quadrati, 85 case in accessione o locazione, intervengono l’Agence Saint-Projet, Bernard Bühler e Patrick Hernandez, Sophie Dugravier e Emmanuelle Poggi, Rapphaëlle Hondelatte e Mathieu Laporte, Xavier Leibar e Jean-Marie Seigneurin. E.C.

“Il giardino dei passi perduti”, fino al 3 ottobre 2004 – voluto dal Comune di Verona, con la collaborazione dell’Associazione Giovani Architetti di Verona – è stato inserito nella sezione mostre collaterali alla 9a Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia. L’intervento progettato da Peter Eisenman si articola attraverso un’installazione temporanea nel giardino del Museo di Castelvecchio, dove Carlo Scarpa intervenne con esemplari progetti di risistemazione. La mostra presenta per la prima volta in Italia le opere concepite per luoghi specifici, rintracciando un periodo di profonde trasformazioni e abbozzando i più recenti risultati raggiunti dalla ricerca dell’architetto statunitense, come la città della cultura attualmente in costruzione a Santiago di Compostela. L’allestimento prende spunto dalle sale ricavate in un precedente edificio ottocentesco, denominate Galleria della Scultura, cui Eisenman affianca cinque volumi speculari all’esterno, nel giardino progettato dall’architetto veneziano. Lo stesso Scarpa iniziò questo riscontro tra vani interni e volumi esterni con il sacello che si addossa dal di fuori della facciata e rinchiude cimeli paleocristiani e altomedievali nel suo cieco involucro. Cinque progetti tematicamente collegati e imperniati sul tema del rapporto tra edifici e luogo sono illustrati da un video che racconta l’iter dell’operazione dal progetto alla sua realizzazione. “The Garden of Lost Steps”, through to 3rd October 2004 - commissioned by the Verona City Council in conjunction with the Association of Young Architects from – has been incorporated in the exhibition section being run in conjunction with the 9th Venice International Biennial of Architecture. The project takes the form of a temporary installation in the garden of Castelvecchio Museum, where Carlo Scarpa has carried out some notable redevelopment operations. The exhibition is the first time certain works designed for specific settings have been presented in Italy. It retraces a period of deep changes and touché son some of the latest experiments by this American architect, such as the city of culture currently being constructed in Santiago di Compostela. The installation draws on rooms constructed out of an old nineteenth-century building called Sculpture Galleries that Eisenman has combined with 5 mirror-image structures on the outside in a garden designed by the architect from Venice. Scarpa begins this interaction between interior spaces and outside structures with a sepulchral chapel resting on the outside of the façade and holding early-Christian and early-Medieval relics. Five thematically linked projects hinging around the way buildings relate to site are illustrated by a video clip telling the tale behind the project and how it was carried out.

Sotto/below, Pinacoteca Lingotto Torino. In basso/bottom, Nasher Sculpture Centre, Dallas.

Rigore e inventiva In Paris Alla Galerie d’Architecture di Parigi sono presentati fino al 1 ottobre i lavori del duo Cuno Brullmann e Jean-Luc Crochon, realizzati negli ultimi anni: dal parcheggio P5 dell’aeroporto di Nizza, al concorso per il rinnovamento e l’estensione dell’Ospedale Foch a Suresnes, alle 100 unità di business apartments a Vienna, fino all’industria microtecnica di Gals (CH). Nato in Svizzera nel 1945, il primo, e a Parigi nel 1963 il secondo, e associati dal 1998, i due progettisti lavorano nella direzione di un obiettivo comune, quello dell’equilibrio ottimale tra funzionalità, tecnologia e creatività. Che si tratti di un nuovo edificio, di una ristrutturazione o di un allestimento interno, la sintonia di intenti nel valutare le possibili interazioni tra esigenze dei committenti e dei fruitori, la loro visione complementare, il rigore dell’esecuzione e lo spirito di inventiva proiettano la loro architettura in una dimensione umanistica. Una dimensione in cui i contrasti trovano una loro armonia, le linee pure si coniugano alla dinamica di giochi prospettici e gli interni si integrano con l’esterno attraverso la luce e la vegetazione.

Recent work by the duo Cuno Brullmann and JeanLuc Crochon will be on show through October 1st at the Galerie d’Architecture in Paris. The P5 parking lot at the Nice Airport; the competition for the renovation and extension of the Foch hospital in Suresnes; the 100 units of business apartments in Vienna, and the microtechnical industry in Gals (Switzerland). Brullmann (born in Switzerland in 1945) and Crochon (Paris, 1963) formed a partnership in 1998, working toward a common goal: optimum balance between functionality, technology and creativity. Whether they are dealing with a new building, renovation or interior design, their common target is to evaluate the possible interactions between purchasers and users, by using their complementary views, rigor in carrying out their plans and an inventive spirit that sets their architecture in a humanistic dimension. This is proved by the projects on show, which reveal their operating philosophy, in which contrasting elements live together in harmony, pure lines are combined with the dynamics of perspective, and interior areas are integrated with the outdoors through light and greenery.

Architettura a Parma Dal 20 al 26 settembre, l’Università degli Studi di Parma organizza il Festival dell’Architettura. La finalità del festival è di creare uno spazio di confronto allargato, in cui ricerca e divulgazione si intrecciano e costituiscono molteplici occasioni di partecipazione per il pubblico. Più di venti le mostre allestite in vari spazi della città, a contorno delle quali sono organizzati vari eventi tra cui incontri con noti architetti, dibattiti, proiezioni cinematografiche di film e documentari legati al mondo dell’architettura, presentazioni di libri. Un quadro completo dei luoghi e delle date di tutte le manifestazioni legate a questo primo Festival dell’Architettura, si possono trovare al sito www.festivalarchitettura.it.

Alessandro Anselmi, progetto a/project for Pietralata.

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Pane e alta moda Gaultier and Bread

Scatti d’autore a Roma

Medici: potere e segreti

E’ assai particolare la mostra allestita fino al 10 ottobre negli spazi della Fondation Cartier a Parigi. Protagonisti il noto stilista Jean Paul Gaultier e il pane. Due “arti” che si intrecciano con fantasia e ironia vengono messe a confronto attraverso gesti, attrezzi, forme, materiali in questa mostra intitolata “Pain Couture by Jean Paul Gaultier”. Gli abiti esposti sono infatti ispirati a e realizzati con i materiali tradizionali dell’arte del fornaio, baguette, panini, grissini, lavorati a mano, cotti al forno, assemblati in abiti dal “sapore” assolutamente ironico e provocatorio…e viceversa, Gaultier ha disegnato forme nuove di pane, in vendita presso il negozio della galleria d’arte. Tutto il processo viene mostrato ai diversi piani della Fondation in un coinvolgimento di tutti i sensi dello spettatore creando un ponte che, passando attraverso i meandri del sogno, congiunge il realismo della quotidianità del pane all’incanto dell’alta moda.

The exhibition open through October 10th at the Fondation Cartier in Paris is very peculiar. The protagonists of the show are the famous designer Jean Paul Gaultier and…bread. Two different kinds of “art”, combined with imaginative irony, interact through gestures, tools, shapes and materials in this show, entitled “Pain Couture by Jean Gaultier”. The clothes on view are, in fact, inspired by – and made with – the traditional materials used in the art of baking: baguettes, rolls, breadsticks…all homemade and baked, and then assembled to make clothing that has an absolutely ironic and challenging “taste”. Viceversa, Gaultier designed new bread shapes that are on sale at the shop in the National Gallery. The entire process is shown on the different floors of the Fondation, where all our senses are involved, thus creating a bridge which passes through meandering dreams, and links the realism of our daily bread with the charm of high fashion.

Torna la Dolce Vita a Palazzo Venezia di Roma grazie alla mostra “A Flash of Art. Fotografi d’azione a Roma, 1953-1973”. Aperta fino al 3 ottobre, la mostra presenta oltre 400 opere originali inedite provenienti dagli archivi dei singoli fotografi o dei loro eredi e frutto di una selezione tra oltre 1.500 scatti durata sette anni e curata da Davide Faccioli col contributo di Achille Bonito Oliva. Il percorso della mostra si articola in sezioni suddivise per sezioni tematiche e arricchite da installazioni multimediali prodotte con la collaborazione dell’Istituto Luce. Un percorso che riporta agli anni ruggenti del jet set internazionale e nostrano, immortalato da fotografi quali Tazio Secchiaroli (sua la foto a destra), Marcello Geppetti, Lino Nanni, Elio Sorci o Guglielmo Coluzzi che, nella loro qualità di paparazzi, spinti da istinto, lunghi appostamenti, sorpresa e velocità contribuirono a creare un nuovo modo di fare fotografia e segnarono con i loro scatti una sorta di nuova poetica della documentazione.

La mostra aperta fino al 26 settembre a Palazzo Medici Riccardi a Firenze si compone di due distinte sezioni: “I Medici Santi” e “Gli arredi celati”. E’ la seconda tappa della più ampia rassegna “Stanze Segrete – Raccolte per caso”, curata da Cristina Giannini, che ripercorre le collezioni mai viste del Palazzo Medici Riccardi. In questa occasione si propongono alcune opere in cui i rappresentanti della grande famiglia fiorentina si sono fatti ritrarre come santi. Tutto iniziò quando Cosimo I il Vecchio, ottenuto dal pontefice Martino V il permesso di far costruire una cappella privata nella sua residenza, ne affidò la decorazione a Benozzo Bozzoli che realizzò La Cavalcata dei Magi, che rappresenta la prima “galleria di famiglia” dei Medici in un raro ritratto di gruppo. Nella mostra vengono presentate poi due tavole di Giorgio Vasari in cui Cosimo è rappresentato come San Cosma e come San Damiano (nelle immagini), i dipinti di Giusto Suttermans che ritrae le donne di casa Medici come le sante Agnese, Maddalena, Margherita, arrivando a trasformare il tema della Sacra Famiglia in Ritratto come Sacra Famiglia. Insomma, il ritratto come vera autocelebrazione e segno di potere. Nella sezione dedicata agli arredi, si propone al pubblico una galleria sconosciuta di sculture provenienti dalle collezioni riccardiane e una piccola quadreria.

Onde contemporanee Waves Today

Rigore e libertà In Paris

Pavlos a Cannes

Fino al 27 settembre è aperta al Musée Malraux di Le Havre l’esposizione “Vagues 2 - Hommages et digressions” (Onde 2 - Omaggi e digressioni), seconda parte di Vagues 1 - Attorno ai paesaggi di mare di Gustave Courbet (l’Arca 192). La modernità della poetica dell’autore del dipinto La Vague, realizzato nel 1869 a l’Étretat e acquistato lo scorso anno dal Musée Malraux, è qui testimoniata dalle opere di artisti contemporanei che hanno tratto ispirazione da questo quadro, in particolare il fotografo svizzero Balthasar Burkhard che nel 1995 ha realizzato sempre all’Étretat, la sua Vague, opera anch’essa acquistata dal Museo. L’obiettivo della mostra è questa volta quello di interrogarsi sulla posterità delle ricerche di Courbet, attraverso gli approcci e le pratiche dell’immagine (dalla fotografia ai video, al suono fino all’interattività) che nel XX secolo molti artisti hanno utilizzato rielaborando il tema dell’onda e dei paesaggi marini. Si parte dalla fine del XIX secolo con una sezione storica testimoniata da fotografi come Moholy-Nagy, Florence Henri, Maurice Tabart ecc. per passare ai fotografi contemporanei, da Balthasar Burkhard a Mimmo Jodice, Roni Horn, Nan Goldin o Marc Bustamante e alle istallazioni di Thierry Kuntzel, Tacia Dean, Ange Leccia, Marcel Dinahet o Kacha Legrand.

Nasce nel 1910 a Parigi e nel 1943 inizia a dipingere dopo aver fatto propri gli insegnamenti di artisti come Paul Colin, André Lhote e Fernand Léger. Aurelie Nemours ha scelto la via dell’astrazione, del costruttivismo rigoroso che, se all’apparenza austero, rivela però un animo sensuale e sensibile. La sua opera, in mostra fino al 27 del mese al Centro Pompidou di Parigi, si fonda sull’esclusività del ritmo orizzontale/verticale, sul modo di trattare la materia, come la carta alla base della ricerca pittorica dell’artista, e sulle forme emblematiche, come la croce, che nascono dall’incontro e dalla variazione di queste componenti. Un centinaio di dipinti e una trentina di opere su carta si succedono cronologicamente nel percorso espositivo che si apre sulla seconda parte degli anni Quaranta per concludersi con l’ultima serie di dipinti intitolati “Nombre e Hasard” degli anni Novanta dove è racchiuso il senso di tutte le ricerche della Nemours, sempre in bilico tra condizionamenti e libertà.

Un evento festivo e solare quello proposto a Cannes dalla Malmaison e dallo Spazio Miramar sulla Croisette per tutta l'estate, fino al 17 ottobre. In mostra le opere di Pavlos (1930), uno degli artisti greci più apprezzati a livello internazionale (le sue opere sono esposte, tra gli altri, al MOMA di New York, al Centre Pompidou di Parigi e al Museo delle Arti Decorative di Atene) che spartisce la sua vita tra Atene e Parigi. A Cannes, i due spazi espostivi sono letteralmente investiti dai suoi giganteschi oggetti in carta, circa 70 opere scelte per il loro spirito particolarmente gioioso ed estivo, dai coni di gelato, figure in costume da bagno, occhiali da sole giganti, mazzi di fiori ecc. La singolarità del lavoro di Pavlos, autore per altro dei quattro francobolli ufficiali dei Giochi Olimpici di Atene 2004, si relaziona principalmente all’uso sistematico di ritagli di carta trattati, rifilati, ritagliati in lamelle e poi rincollati in composizioni colorate. La sua opera, affine alla corrente dei Nouveax-Réalistes è stata oggetto di una monografia di Pierre Restany nel 1997 e attualmente di un volume edito dalle Editions Images en Manœuvres e distribuito in occasione della mostra da Le Seuil.

The Musée Malraux in Le Havre is presenting the exhibition Vagues 2 – Hommages et digressions (Waves 2 – Tributes and digressions), which will be on until September 27th. This is the continuation of Vagues 1, which featured Gustave Courbet’s seascapes (l’Arca 192). The author’s modern poetics in the painting La Vague, which he created in 1869 at l’Étretat, and which the Musée Malraux bought last year, is proved here by works by contemporary artists who have been inspired by this painting. Namely, the Swiss photographer Balthasar Burkhard created his own Vague in 1995 – he, too, at l’Étretat – and his work was also purchased by the Museum. This time, the show aims at analyzing the posterity of Courbet’s research, through his different kinds of approach and his imagery (from photography to video, to sound and interactivity). In fact, a number of twentieth-century artists have made use of his ideas, recomposing the theme of waves and seascapes. The show begins with a historic section on photographers from the late nineteenth century, such as Mohoy-Nagy, Florence Henri, Maurice Tabart, etc., and then goes on to contemporary photographers, including Balthasar Burkhard, Mimmo Jodice, Roni Horn, Nan Goldin and Marc Bustamante. Installations by Thierry Kuntzel, Tacia Dean, Ange Leccia, Marcel Dinahet and Kachel Legrand are also on show.

Aurelie Nemours was born in Paris in 1910, and in 1943 she began her career as a painter after having studied with artists such as Paul Colin, André Lhote and Fernand Léger. The artist chose the path of abstraction and rigorous constructivism, revealing a sensual and sensitive disposition despite these apparently austere means. Her work, which will be on show until the 27th of this month at the Pompidou Center in Paris, is based on the exclusivity of the horizontal/vertical rhythm and on her use of matter (such as paper), which is the fundamental ingredient for the artist’s pictorial research. She also makes use of symbols – such as the cross – born from the combination and variation of these components. About a hundred paintings and thirty works on paper follow one another chronologically throughout the show, which opens on the second half of the forties and closes with the artist’s last series of paintings, entitled “Nombre e Hasard”. The latter, which was created in the nineties, embraces the sense of all of the painter’s research, which is always balanced between conditioning and freedom.

Le donne dell’arte Presso il Palazzo Mediceo di Seravezza (Lucca) è aperta fino al 10 ottobre la mostra “a.i.20-Artiste italiane nel ventesimo secolo”. La rassegna, che non pretende di avere carattere esaustivo, propone un’ampia selezione di opere di alcune delle figure femminili più significative che hanno operato dall’inizio del Novecento a oggi in Italia. Tra le artiste presenti citiamo Carol Rama, Marisa Merz, Daphne Maugham Castrati, Carla Accardi, Bice Lazzari, Elisabeth Chaplin, le cui opere provengono dalle principali collezioni pubbliche italiane da Palazzo Pitti di Firenze alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, alla Galleria d’Arte Moderna di Genova, il Gam di Torino, il Cimac di Milano. La mostra è stata organizzata anche come auspicio per un’indagine più approfondita delle vicende pittoriche e plastiche al femminile.

Le Marche e l’arte Bruna Esposito, San Pitrino, 1992

Spazzapan a Caraglio A sinistra/left, Jary Silomaki, Heroic Stories, 1997; al centro/in the middle,

Aurelie Nemours, Angle Noir, 1981; sotto/below, Pavlos, Cigar.

“Tra figura e astrazione”, questo il titolo che il Centro Sperimentali per le Arti Contemporanee di Caraglio (Cuneo) ha dato alla mostra dedicata a Luigi Spazzapan (1889-1958). La mostra è aperta nella sede de Il Filatoio di Caraglio fino 18 settembre e riunisce un centinaio di opere che l’artista di estrazione mitteleuropea realizzò nel corso della sua ricerca pittorica per un trentennio. Nato a Gradisca di Isonzo in Slovenia, studiò poi a Gorizia dove si accostò al Movimento Futurista Giuliano. Nel 1928 si trasferì a Torino per un intervento decorativo destinato all’Esposizione di Architettura. Nei dipinti e nelle illustrazioni di questo periodo prevale il segno rapido e icastico in rado di fissare in pochi tocchi psicologie e atmosfere. Il decennio finale della sua produzione è invece caratterizzato dalla compresenza di figurazione e astrazione, con l’apparire di figure inquietanti da una parte e l’infittirsi di schemi e tensioni geometriche dall’altra. Dalla mostra emerge la tensione energetica dell’intera opera di Spazzapan, aliena da formalismi e retorica e ricca di intensità ed emozione. Luigi Spazzapan, Danzatori o Coppia, china e matita su carta/china ink and

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pencil on paper, 26,7x34 cm, 1929-1930.

Con una manifestazione di ampio respiro, che si concluderà il 3 ottobre, le Marche celebrano l’arte dei Della Rovere. Palazzo del Duca di Senigallia, e i Palazzi Ducali di Urbino, Pesaro e Urbania ospitano le mostre del ciclo “I Della Rovere. Piero della Francesca, Raffaello e Tiziano”. Oltre trecento opere d’arte illustrano in un itinerario cronologico i fasti della dinastia che portò nella regione una lunga stagione di creatività artistica a partire dal 1508. Nelle quattro sedi, accanto a celebri dipinti, si possono vedere sculture antiche e rinascimentali, oreficerie, ceramiche, armi, manoscritti miniati, divisi in altrettanti titoli: a Senigallia “Le origini della dinastia”, a Urbino “I Duchi, iconografie e committenze”, a Pesaro “Committenze pesaresi. La ceramica”, a Urbania “Francesco Maria II a Casteldurante. La grafica e la scienza”.

Federico Barocci, Ritratto del marchese Ippolito Della Rovere, olio su tela/oil on canvas, 118 x 95 cm, 1602 (Londra, Ambasciata d’Italia).

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Da Washington a Martigny Masterpieces

Tra due linguaggi Art & Architecture

I capolavori della Phillips Collection di Washington arrivano in Europa e precisamente alla Fondazione Gianadda di Martigny, in Svizzera. Fino al 27 settembre sarà possibile ammirare nelle sale della Fondazione oltre cinquanta opere di Cézanne, Courbet, Daumier, Degas, Van Gogh, Monet, Klee, Picasso, Gauguin, Bonnard e altri pittori europei collezionati da Duncan Phillips. Egli non vedeva il modernismo come un elemento di rottura, bensì di continuità e cercava di mettere insieme opere che avessero risonanze reciproche e rivelassero “accordi” visivi che legavano l’arte del suo tempo con quella del passato. Così la mostra, pur essendo incentrata su opere della fine del XIX e inizio del XX secolo, propone anche opere precedenti di artisti quali El Greco, Delacroix o Chardin (nella foto il suo Fruttiera con prugne, 1728), che Phillips considerava veri e propri precursori del “moderno”.

Lo sconfinamento tra arte e architettura è un tema che da oltre un secolo accompagna la sperimentazione e l'avventura utopica di artisti e architetti alla ricerca di una radicale e a volte visionaria trasformazione estetica della realtà. A Genova, la mostra "Arti&Architetture, 1900-2000", curata da Germano Celano e presentata a Palazzo Ducale dal 2 ottobre al 9 gennaio 2005, si concentra su queste espressioni che hanno visto artisti impegnati a progettare case, grattacieli, complessi urbani ecc. e architetti che hanno pensato in termini di scultura creando edifici con un forte valore plastico o una spiccata componente visuale. La mostra si addentra nell'argomento scandendolo in tre sezioni: la prima dedicata agli architetti e agli artisti delle Avanguardie storiche, dal Futurismo al Movimento Moderno fino al dopoguerra (1900-1950); la seconda abbraccia il periodo contemporaneo partendo dall'esperienza informale-spazialista, per giungere al 2000. Dagli spazi di Palazzo Ducale (allestimento di Gae Aulenti e Pier Luigi Cerri per il progetto grafico), dove sono ospitate le due sezioni il percorso si apre poi alla città con la terza parte dell'esposizione che vedrà la realizzazione di strutture effimere realizzate nelle strade, nelle piazze o nei cortili e negli atri di palazzi storici di Genova da artisti e architetti di fama, da Gaetano Pesce a Renzo Piano, da Kriefer a Oppenheim

Masterpieces from the Phillips Collection in Washington have come to Europe, to the Gianadda Foundation of Martigny, in Switzerland. Until September 27th, in the halls of the Foundation, visitors will be able to admire over fifty masterworks by Cézanne, Courbet, Daumier, Degas, Van Gogh, Monet, Klee, Picasso, Gaugin, Bonnard and other European painters. These works were collected by Duncan Phillips, who didn’t see modernism as a break with the past, but as an element of continuity; he tried to gather works that were somehow mutually connected in a sort of visual “harmony” that linked the art of his time with that of the past. Thus, although the show concentrates on paintings from the late 1800s to the early twentieth century, it also features eariler works by artists such as El Greco, Delacroix and Chardin (the picture shows his Bowl of Plums, 1728), whom Phillips considered to be the true precursors of modernity.

experimentation right down to the year 2000. Moving out of the premises of Palazzo Ducale (fitted out and furbished by Gae Aulenti and Pier Luigi Cerri for the graphic design), where these two sections are being hosted, the third part of the exhibition then opens up to the city through the construction of temporary structures built out in the streets, squares and courtyards or the lobbies of historical buildings by famous architects like Gaetano Pesce, Renzo Piano, Kriefer and Oppenheim.

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Allplan 2004, di Nemetschek Italia, è la nuova versione del sistema CAD integrato che risolve, in un’unica soluzione, tutti gli aspetti della progettazione edile. Il vantaggio principale è dato dalla possibilità di lavorare con un sistema perfettamente integrato, capace di gestire tutto quanto concerne il progetto lavorando a un unico modello, con la stessa interfaccia operativa e con la medesima filosofia di progettazione. Tutto ciò si verifica poiché con Allplan è possibile partire dallo schizzo a mano libera per arrivare al modello architettonico intelligente, ai computi metrici estimativi, alla presentazione animata e alla gestione del lavoro di progettazione, senza cambiare metodologia di lavoro e senza inutili scambi e conversioni di dati. Anche la gestione dell’ufficio tecnico è parte integrante di Allplan, grazie a un nuovo modulo sviluppato con il supporto diretto dei clienti. Allplan ha un motore di calcolo con prestazioni che nessun altro software ha mai raggiunto, e consente, in un’unica soluzione e con un unico modello architettonico, sia di creare disegni 2D ineccepibili sia di riprodurre e modellare l’architettura con oggetti intelligenti che interagiscono tra loro, mantenendo comunque la possibilità di modifica a posteriori. Come sempre in occasione di aggiornamenti, Allplan 2004 ha subito un ulteriore notevole sviluppo in termini di velocità di utilizzo e intuitività d’uso, proponendo contemporaneamente nuove e innovative soluzioni.

Pamar Italia è il partner ideale per aziende produttrici di mobili, per le quali progetta e realizza prodotti “su misura” ed esclusivi come maniglie, pomoli e accessori. Siano a ponte, a incasso, a barra o di altre forme, i manufatti Pamar, che si distinguono per il design essenziale e per la straordinaria flessibilità di utilizzo, vengono realizzati in vari materiali come l’alluminio e la zama, con più finiture che comprendono le lacche epossidiche e i trattamenti

Super riconoscimento

Dagli USA a Londra Italian Design on Tour

Lajos Kassak, Bildarchitektur II (Entwurf eines Kiosks), 1922 (foto Annette Kradisch). Gaetano Pesce, Chicago Tribune, (immagine del modello/image of the model), 1980.

Flessibilità e adattabilità galvanici o anodizzati. Tra le varietà dei prodotti disponibili si nota la maniglia a incasso MN1031Z, disegnata da Jo Coenen e realizzata in fusione di zama nelle diverse finiture delle lacche epossidiche o nei trattamenti galvanici. Ai fini di adattabilità ad ante di diverso spessore, il modello è disponibile in due altezze, ed è di facile inserimento sia sulle porte scorrevoli che su varie tipologie di mobili.

Progetto aperto

For over a century now artists and architects in search of a radical and at times visionary aesthetic transformation of reality have investigated the boundary between art and architecture in their bold experimentation and utopian dreaming. The exhibition entitled "Arti&Architetture, 1900-2000" being organised by Germano Celano at Palazzo Ducale in Genoa from 2nd October-9th January 2005 is focusing on this issue that has seen artists involved in designing houses, skyscrapers, urban complexes etc. and architects thinking in terms of sculpture to create visually striking buildings of great sculptural force. The exhibition examines these themes in three sections: the first devoted to architects and artists from the historical avant-gardes from Futurism to the Modern Movement right through to the immediate post-war period (1900-1950); the second embraces the contemporary era from informal-spatialist

I.DoT -Italian Design on Tour- ha concluso con la presentazione della selezione I.DoT 2004-2005. Circa 3000 i visitatori presenti al Chelsea Art Museum di New York per visitare la nuova collezione dei 100 prodotti più rappresentativi della produzione di design contemporaneo italiano. I.DoT ha proseguito il suo tour a Chicago, esponendo al Merchandise Mart durante il NeoCon, il più grande evento nordamericano per l’esposizione e la discussione sui settori design d’interni e Contract. I.DoT prosegue il suo itinerario a Londra dal 23 al 26 settembre. I.DoT è il progetto culturale di selezione, certificazione e promozione del design contemporaneo italiano all'estero. Patrocinato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e realizzato in collaborazione con il nascente Museo del Design di Milano, il progetto ha come obiettivo quello di consolidare sempre più il prestigio e la presenza del prodotto di design italiano, attraverso un circuito internazionale “privilegiato”, in cui le relazioni siano facilitate e sostenute da una attenta comunicazione e da un progetto di marketing culturale. Maggiori informazioni sul progetto sul sito www.idot.it. Il Comitato Critico di Selezione, incaricato della scelta dei prodotti, è composto da rappresentanti di autorevoli musei e istituzioni tra cui: MoMA-Museum of Modern Art di New York, Design Museum di Londra e MACBA-Museum of Contemporary Art di Barcellona, oltre a importanti personaggi del mondo artistico come il maestro Arnaldo Pomodoro.

Soluzione unica

I.DoT - Italian Design on Tour- has completed the presentation of the I.DoT selection for 2004-2005. About 3000 visitors attended the Chelsea Art Museum in New York to see the latest collection of the 100 most emblematic products of modern-day Italian design. I.DoT then moved on to Chicago to exhibit at the Merchandise Mart during NeoCon, the biggest North American event for displaying and discussing Interior Design and Contracting. I.DoT will be moving on to London from 23rd-26th September. I.DoT is a cultural enterprise for selecting, certifying and promoting modern-day Italian design overseas. Sponsored by the Ministry of Culture and organised in conjunction with the newly founded Museum of Design in Milan, the project aims to consolidate the prestige and position of Italian design through a “privileged” international circuit that facilitates relations and boosts communication and marketing of a cultural nature. More information about the project can be found at the site: www.idot.it. The Critical Selection Committee, responsible for choosing the products, is composed of delegates from prestigious museums and institutions including: MoMA -Museum of Modern Art- in New York, Design Museum of London and MACBA -Museum of Contemporary Art in Barcelona – as well as leading exponents from the arts such as the great artist Arnaldo Pomodoro.

Nell’ambito di Eimu 2004, Work & Emotion, mediante una giuria composta da alcuni dei partecipanti all’Academy (Alberto Bassi, storico e critico del design, docente allo IUAV, Venezia – Luciano Arcuri, professore di Psicologia delle Comunicazioni sociali dell’Università di Padova – Gaetano Pesce, architetto) ha selezionato le tre aziende distintesi per l’interpretazione delle tematiche proposte dal premio: Human Touch, No Stress, Intelligent Space. Grazie al sistema per ufficio disegnato da Alvaro Siza e costituito da un tavolo, una sedia e una libreria, alla Unifor è stato assegnato il premio per il migliore progetto relativo alla categoria Human Touch, in quanto costituisce “una interessante realizzazione che, per l’impiego di materiali naturali, forme semplici e funzionali, tende a indirizzare gli spazi di lavoro verso un’immagine più famigliare e domestica”.

Con Evolution, Teuco ha attivato un progetto aperto, dedicato al benessere mediante elementi di nuova concezione, creando la cabina doccia dagli spazi ridefiniti e dai materiali insoliti, figlia della tecnologia più evoluta. Ispirata alla perfezione del cerchio, “Evolution tonda” è dotata di cristallo idrorepellente Clean Glass per pareti e porta, Duralast per il piatto doccia, Dornbracht per la rubinetteria. La doccia dispone di: soffione doccia centrale; ripiani portaoggetti orientabili; doccia a mano; piatto doccia; lampada per Cromoexperience; pannello elettronico di comando; erogatore Sauna di Vapore e dispenser per sostanze fitocosmetiche; diffusore Hi-Fi; miscelatore termostatico; Jet per massaggio verticale; seduta orientabile.

Per utilizzi universali Azienda all’avanguardia, CentroMetal dispone di esperienza, impegno nella ricerca e dotazione di una tecnologica avanzata capaci di una vastissima produzione relativa a: sistemi di copertura, sistemi di facciata, sistemi strutturali per grandi luci, pressopiegati per lattoneria e articoli tecnici di completamento. Le produzioni, realizzate in tutti i tipi di metallo, sono state studiate per impieghi relativi al comparto industriale, agricolo e civile. Azienda impostata verso una scelta di importanza globale, CentroMetal dispone di certificazioni di qualità del prodotto a garanzia di serietà e rigore nell’utilizzo di uno standard qualitativo costante. Alcuni prodotti, caratterizzati da particolarità tecniche, sono stati inoltre sottoposti a controlli specifici per garantirne l’affidabilità mediante

l’Istituto Giordano, uno tra i primari istituti di certificazione italiano. A garanzia dei propri prodotti, CentroMetal ha stipulato due polizze con reale mutua, a tutela dei propri clienti: la Rc prodotto, polizza postuma a garanzia dei prodotti contro difetti di fabbricazione per danni provocati a terzi; la polizza di inidoneità del prodotto vera e propria garanzia di qualità.

Pareti vetrate monolitiche Kohili e Spark, di Universal Selecta, sono sistemi di pareti vetrate monolitiche strutturali che si distinguono rispettivamente poiché: Kohili è caratterizzato dalla presenza di un montante verticale a scandire il ritmo dei moduli; Spark è invece del tutto privo di soluzioni di continuità o giunzione fra i vari moduli. L’effetto raggiunto è di grande suggestione formale e di massima funzionalità poiché queste pareti vetrate determinano soluzioni armoniche, luminose, di grande purezza e rigore, ideali per ogni possibile esigenza di spazi dedicati all’ufficio. Resa estetica e prestazionale dipendono in buona

parte dalle caratteristiche e dai molti processi di integrazione tra progettazione ingegneristica e validità di posa in opera, unitamente agli elementi di completamento costituiti da guarnizioni, accessori e componenti. Kohili e Spark rispondono perfettamente alla norma 10820 Pareti Interne Mobili dell’UNI, che riporta l’elenco dei requisiti meccanici, le caratteristiche di reazione al fuoco, le condizioni di sicurezza d’uso, i valori di isolamento acustico, le condizioni di flessibilità e manutenzione, importanti per qualificare un’azienda e indispensabili per partecipare a gare di appalto.

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Informazioni sull’editoria di architettura, design e comunicazione visiva. Information about publications of architecture, design and visual communication.

Un quartiere intelligente

Protagonista il cielo

E’ l’intervento studiato per riorganizzare urbanisticamente e architettonicamente l’area industriale ex Zanussi a Conegliano Veneto, il Progetto Setteborghi che, firmato da Boris Podrecca, interessa un’area di 190.000 mq di superficie dove si realizzeranno sette quartieri residenziali dotati delle più avanzate tecnologie, comprensivi di: scuole, un parco, un auditorium, il nuovo Municipio, un albergo, un centro commerciale. Il progetto, di valore strategico per lo sviluppo della città, date le dimensioni, le caratteristiche innovative e l’indubbio impatto economico e sociale, si distingue come iniziativa singolare e urbanisticamente prestigiosa per l’intera area del Nord-Est italiano, e come modello di riferimento per il vasto comparto interessato a processi di riqualificazione. Presenza coerente con l’impostazione generale del progetto, My Home di BTicino, grazie alla propria offerta di prodotti e servizi evoluti per la domotica, equipaggerà le 800 unità abitative residenziali con alcune dotazioni di serie, in grado di fornire agli appartamenti un’infrastruttura tecnologica di altissimo livello. La scelta base, che è stata adottata in sede progettuale, ha richiesto di completare ogni modulo abitativo con una potente struttura domotica mediante l’utilizzo della tecnologia My Home. In particolare sono previste soluzioni di serie come: automazione luci e tapparelle; impianto anti-intrusione; protezione da fughe di gas metano; impianto video-citofonico. Saranno inoltre disponibili, a livello di variante, varie applicazioni tra le quali: gestione carichi degli elettrodomestici anti black-out; dispositivi per il telesoccorso; telecamere per videocontrollo. I vari impianti si caratterizzeranno per la massima flessibilità nel tempo, e potranno essere facilmente modificati e ampliati per accogliere moduli e soluzioni anche non previste. Con My Home è consentita la gestione della casa a distanza da qualsiasi parte del mondo, utilizzando un PC connesso a Internet o attraverso il telefono, fisso o mobile.

Le operazioni di restauro dedicate al teatro Goldoni di Livorno hanno prevalentemente riguardato la ristrutturazione della nota copertura vetrata, considerata straordinario elemento scenografico aperto verso un cielo costantemente presente negli spettacoli messi in scena. E proprio il cielo, a lavori finiti, è ancora protagonista delle scene. L’obbiettivo dei lavori è stato quello del ripristino dell’originale copertura a vetri, mantenendo i connotati storici e architettonici della lanterna. L’intervento ha considerato le problematiche relative a trasparenza, leggerezza, efficienza della forma, affidabilità nel tempo e indubbiamente la sicurezza che Schüco, azienda leader nella progettazione di sistemi e servizi innovativi per l’involucro edilizio, ha esemplarmente risolto mediante l’impegno prestato dalla ditta Sbrana Serramenti di Pisa. La struttura inferiore di fissaggio delle lastre in vetrocamera, espressamente studiata e realizzata, è costituita da una trama di montanti e traversi in alluminio che sono “appesi” alla struttura portante superiore in acciaio, tramite piatti anch’essi in acciaio. La particolare forma degli estrusi consente di vetrare e fissare le copertine esterne inserendo le viti con l’asse ruotato rispetto al profilo, per ovviare alla presenza dei tubolari superiori in acciaio. Tenuta e drenaggio sono garantiti mediante l’impiego della serie Schüco SK 60. La tenuta della fuga tra lastra e/o pannelli avviene con l’impiego di un nastro butilico avente come supporto un sottile foglio di alluminio, contenuto tra le due guarnizioni cingivetro esterne. Canaline interne a pressioni differenziate di diversa

Il progetto a scala planetaria A World of Projects altezza tra traverso e montante, drenano l’eventuale acqua di infiltrazione o di condensa. E’ stata inoltre lasciata una fuga di 5 mm, ottenuta con l’impiego di tappi terminali di supporto alla sigillatura, alle estremità della copertina del traverso per facilitare il deflusso dell’acqua.

Alluminio che arreda Dodicesima edizione Mostra internazionale dedicata alla sicurezza e all’automazione degli edifici, Sicurezza 2004 sarà presente nei padiglioni del Portello di Fiera Milano dal 17 al 20 novembre. Prima edizione a essere organizzata da Fiera Milano Tech, nuova società nata da un accordo tra Fiera Milano (51%) e Intel srl/ANIE (49%), la Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche aderente a Confindustria, la rassegna, oltre a evidenziare i consolidati settori della security, dell’antincendio e delle difese fisiche, darà visibilità a comparti come la homevolution-domotica, la building automation, i servizi di vigilanza, la sicurezza dei dati, i servizi di intelligence, il facility management, nonché all’energia sicura. Come elemento di sostegno e di riferimento verrà organizzato nell’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, dal 13 al 19 novembre 2004, un punto di incontro che affronterà le tematiche riguardanti la sicurezza, evidenziato mediante un elemento di richiamo rappresentato da una chiave gigantesca (alta 8 m). L’evento sarà appoggiato dal Comune di Milano e da diverse associazioni di categoria. L’ennesima novità di Sicurezza 2004 riguarda l’area “Dimostra in Mostra”, dove si svolgeranno prove di resistenza di porte, vetri blindati e casseforti nonché corsi di difesa personale. Nel tema della creatività è stata inoltre programmata un’iniziativa che definita “Disegna la Sicurezza”, inviterà studenti di Istituti Artistici a cimentarsi con pitture ispirate alle tematiche della mostra. Verrà ancora proposto Hi.T Selection, una selezione tra le novità di prodotto che gli espositori potranno inserire on line nella sezione Product News di sicurezza.it, e si estenderanno i Meeting Corner, aree attrezzate nelle quali sarà possibile illustrare le novità di prodotto o iniziative particolari. Numerosi i convegni tra i quali il Forum sulla sicurezza “Innovazione per un mondo più sicuro”, che inaugurerà la mostra. Sarà invece dedicata ad architetti e ingegneri la giornata del 19 novembre mediante Progettistinfiera. Con le adesioni iniziali di 276 espositori, e con una disponibilità di superficie espositiva di 21.000 metri quadri, la mostra, che è stata promossa da ANCISS, Associazione Italiana Sicurezza e Automazione Edifici aderente a Federazione ANIE, ha ottenuto il patrocinio del Ministero dell’Interno, della Regione Lombardia e del Comune di Milano. Quest’ultimo, in coincidenza con la rassegna, organizzerà “La Settimana della Sicurezza”. L’edizione 2006 di Sicurezza, verrà presentata nel nuovo quartiere espositivo di Fiera Milano a PeroRho con data 15–18 marzo, e si svolgerà in contemporanea con Sicurtech Expo, la rassegna organizzata da Promexpo.

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Azienda italiana compresa tra i leader impegnati nel settore dell’estrusione, lavorazione e trattamento delle superfici in alluminio, Pandolfo Alluminio, opera su una superficie di oltre 110.000 mq e dispone di una capacità produttiva di 32.000 tonnellate annue. La società mette a disposizione del cliente un know-how che collabora in modo decisivo alla progettazione e realizzazione di componenti in alluminio estruso tecnicamente avanzati e competitivi. Allo stabilimento di estrusione si sono aggiunti nel tempo anche gli impianti di ossidazione anodica e di verniciatura, nonché un innovativo reparto di lavorazioni meccaniche. Esperta nella realizzazioni di componenti in alluminio per attrezzature domestiche e per l’ufficio, l’azienda propone il proprio sistema integrato come risposta efficace alle esigenze della committenza, assicurando massima collaborazione e adesione tra

teoria e pratica. In termini di trattamenti delle superfici, Pandolfo Alluminio assicura qualità costante e massima precisione nelle lavorazioni meccaniche finalizzate al raggiungimento della perfezione.

Per architetti e dintorni è un evento editoriale, le Tavole della Legge dell’architettura contemporanea. E gli esclusi? Non esistono. O meglio, galleggiano nello spietato limbo dei non abbastanza noti. Ma come uscire dall’anonimato? Entrare in una prossima edizione di The Phaidon Atlas of Contemporary World Architecture, un tomo gigantesco, pagine patinate e belle foto, un viaggio nel tempo (l’atlante presenta opere realizzate dal 1998) e nello spazio alla ricerca dell’architettura che ha segnato la fine di un millennio straordinario e nello stesso tempo suggerire nuove tendenze per il futuro. Come in un atlante geografico, si va per continenti: esperti cercatori di architetti talentosi hanno girato il mondo (avvalendosi anche del contributo di riviste internazionali: tantissime opere sono pubblicate su l’Arca), catalogato le opere che contano, i progettisti più innovativi, quelli che hanno investito nella ricerca di nuovi linguaggi. Ed è proprio grazie alla ricerca, al mettersi in discussione, che l’architettura in questi anni di rivoluzione digitale ha avuto un’incredibile accelerazione lasciando al palo l’arte, che da qualche decennio langue, un’arte afasica poiché ha già dato tutto quello che poteva dare in fatto di trasgressione e rivoluzione dei suoi statuti. L’architettura, per la sua storica lentezza a rinnovarsi radicalmente, è invece riuscita a sgusciare via con grande clamore dal magma disciplinare, da gabbie accademiche incapaci di trattenerne l’energia potenziata da un apparato mediatico che ha fiutato le valenze socioculturali di un nuovo medium, capace di “vendere” al più alto prezzo città come Bilbao, Barcellona, Amsterdam e altre metropoli punteggiate di opere di forte impatto. Il taglio “geografico” dell’atlante garantisce il necessario equilibrio critico? In massima parte, sì. E’ uno sguardo che fotografa lo stato dell’arte. Ma un appunto è d’obbligo: il settore Italia appare leggermente viziato dal pregiudizio che la qualità progettuale sia in relazione ai tanti metri cubi costruiti dagli assi piglia tutto che, pur di assicurarsi

grandi lavori, continuano a proporre progetti compiacenti per accontentare una committenza poco incline all’innovazione. Insomma, in taluni casi si è dato parecchio spazio ad opere fortemente condizionate da un contestualismo ormai francamente anacronistico. Tuttavia, c’è da rilevare come non si siano trascurate energie di segno opposto, provenienti da studi di architettura come, per esempio, Arnaboldi & Partners, Studio Archea, Alessandro Anselmi. Carlo Paganelli For architects and co. this is a real event in the publishing industry, a sort of Tables of the Law for modern-day architecture. So who is missing? Nobody. Or rather those left out are floating a limbo or obscurity. So how do you make yourself known? By getting into one of the forthcoming editions of The Phaidon Atlas of Contemporary World Architecture, a huge book with glossy pages and beautiful photographs, a journey through space and time (the atlas describes works from 1998 onwards) in search of architecture that has marked the end of an incredible millennium while, at the same time, suggesting how things might develop in the future. Like a geographical atlas, it is divided into continents: expert scouts looking for talented architects have travelled the world (drawing on the help of international magazines: lots of these works have been published in l’Arca) and catalogued the most important works and most innovative designers working on new cutting-edge idioms. And it is thanks to this quest, this ability to call itself into question, that the architecture of the recent digital revolution has speeded up so dramatically and left art at the starting blocks. For decades now art has been languishing, because it has already given everything it has to offer in terms of transgression and revolutionising its own by-laws. Due to its slowness in radically updating itself down the years, architecture has managed to slip away from its own disciplinary magma, much to

everybody’s acclaim; breaking free from its academic chains, which are not strong enough to hold back all its bubbling energy backed up by the media that has sensed the socio-cultural value of a new medium capable of “selling” cities like Bilbao, Amsterdam, and other big cities peppered with striking works, to the highest bidder. But does the “geographical” cut of the Atlas guarantee it has the right critical balance? On the whole, yes. It is a snapshot of the state of the art. But one thing needs pointing out: the section on Italy seems to be slightly distorted by a certain prejudice according to which design quality is related to the size of projects designed by those “aces take all”, who, in order to get the big contracts, keep on coming up with obliging works designed to reassure clients who are rather un-inclined towards innovation. In brief, in certain cases rather a lot of space has been given to works strongly influenced by what is quite frankly a rather anachronistic form of contextualism. Nevertheless, it also needs to be pointed out that people working in the other direction have not been ignored: architecture firms like, for instance, Arnaboldi & Partners, Studio Archea, and Alessandro Anselmi.

Segnalazioni

Leggero, economico, resistente, rifrangente e elastico Il percorso aziendale di Ondulit si sviluppa da quando, dopo la prima storica lastra, si susseguono le numerose fasi di perfezionamento dei materiali e del progresso produttivo, sino alla creazione degli attuali sistemi di copertura in acciaio a protezione multistrato, che assicurano elevate prestazioni e grande affidabilità. L’eccezionale resistenza alla corrosione, l’elevato potere insonorizzante e di termoriflessione, l’ottima resistenza meccanica, i ridotti coefficienti di dilatazione termica e l’elevato pregio estetico, sono possibili grazie a un esclusivo processo di fabbricazione in continuo nel quale le migliori qualità dei diversi componenti vengono tra loro integrate per formare un materiale compatto, dotato di una protezione completa, di grande efficacia e affidabilità. Determinante l’impiego dell’acciaio zincato che assicura infrangibilità, resistenza meccanica garantendo ridotte dilatazioni termiche, compatibili quindi con qualsiasi struttura di appoggio. Gli strati protettivi anticorrosivi rivestono completamente l’acciaio e lo preservano dall’ossidazione,

The Phaidon Atlas of Contemporary World Architecture Phaidon Press Limited, London 2004, ill. a colori, 809 pp

insonorizzano la lamiera eliminando ogni problema di rumorosità sotto pioggia o grandine e conferiscono inerzia termica. Le lamine metalliche esterne rivestono gli strati anticorrosivi mantenendone la plasticità nel tempo e riflettono, nella versione in alluminio naturale e in acciaio inox, le radiazioni termiche.

Alvar Aalto. La Chiesa di Riola A cura di Giuliano Gresleri e Glauco Gresleri Editrice Compositori, Bologna 2004, ill. a colori, 192 pp Il volume racconta con immagini, tavole, progetti e testimonianze i vent’anni che hanno portato alla realizzazione della Chiesa di Riola il cui progetto fu iniziato da Alvar Aalto nel 1966 e che fu ultimata nel 1978 per essere poi consacrata nel 1985. I fratelli Gresleri, diretti testimoni dell’impresa descrivono le varie fasi progettuali, le esigenze architettoniche derivate dal Concilio Vaticano Secondo, e le difficoltà intercorse per l’interpretazione postuma del progetto di Aalto. Jens Bernsen Bionics in Action – The Design Work of Franco Lodato, Motorola Story Works, Holte 2004, ill. a colori e b/n, 96 pp Il termine Biodesign è stato spesso usato troppo negli anni Ottanta per indicare tutte quelle scelte stilistiche legate a forme morbide. Franco Lodato, che lavora per Motoria e ha lavorato in passato per DuPont e Gillette si avvicina a questo tema dai suoi studi di bionica e Scienze Naturali proponendo un approccio nuovo e più scientifico al design cui apporta idee e creatività sempre nuove. Decio Giulio Riccardo Carugati Bertone. Dialogo con la forma mobile Electa, Milano 2002, ill. b/n e col., 168 pp Ciò che Carugati mette in evidenza in questa storia dei

Bertone, è da un lato la “trasformazione della vettura popolare in oggetto esclusivo” e dall’altro la “configurazione esemplare della meccanica nobile”. La storia di novant’anni di attività dei Bertone, carrozzieri e designer, si dipana quindi lungo queste due direttrici e, come è tipico dei lavori di Carugati, fa dei suoi prodotti il fulcro di una narrazione più articolata, nella quale si rispecchiano e si intrecciano aspetti culturali, sociali, esistenziale e di costume. Dagli inizi artigianali del lavoro di Giovanni, “carradore” a Mondovì, alla strategia industriale e progettuale di Nuccio, fino all’attuale struttura aziendale, la vicenda dei Bertone si svolge lungo l’arco dell’evoluzione dell’auto in Italia e in Europa, nella quale il marchio della sempre più affermata famiglia di creatori e costruttori ha segnato alcune delle tappe più significative, grazie anche all’intelligente impiego di disegnatori di altissimo livello, tra i quali spicca ovviamente il nome del giovanissimo Giugiaro. Con questa intensa attività, l’automobile ha confermato il carattere simbolico che il Novecento le ha fin dall’inizio affidato, offrendosi come “forma” per eccellenza di un’intera società e della sua cultura. Genova del Saper Fare. Lavoro, imprese, tecnologie A cura di Paride Rugafiori Skira, Milano 2004, ill. a colori e b/n, 208 pp Il libro, che accompagna la mostra omonima organizzata ai Magazzini dell’Abbondanza nell’ambito di Genova Capitale Europea della Cultura 2004, offre l’occasione per riflettere sulle trasformazioni e le contraddizioni della società

contemporanea e sulle opportunità di questa era di globalizzazione tecnologica, economica, sociale e culturale. Le Corbusier Il Modulor+Modulor 2 Saggio su una misura armonica a scala umana universalmente applicabile all’architettura e alla meccanica Gabrielle Capelli Editore, Mendrisio 2004, ca. 300 ill. b/n, 2 volumi 250pp+340 pp A quasi trent’anni dalla sua apparizione nella versione italiana, la ristampa di un classico dei saggi di architettura del maestro Le Corbusier. Ingrid Paoletti Una finestra sul trasferimento. Tecnologie innovative per l’architettura Libreria CLUP, Milano 2003, ill. in b/n, 296 pp Il trasferimento tecnologico in architettura viene spesso interpretato come “nobile rapina” di materiali, tecniche e tecnologie da settori avanzati (aeronautica, microelettronica, chimica). Oggi si sta facendo strada un altro genere di trasferimento che trae procedure e soluzioni da realizzazioni significative del terziario avanzato. Il libro apre una finestra sugli impulsi innovativi che influenzeranno nel prossimo futuro del progetto di architettura: l’evoluzione delle tecnologie costruttive, lo sviluppo di software di modellazione complessi e la mass-customization dei componenti industriali sono solo alcune delle tendenze che cambieranno il costruire dei prossimi anni.

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