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Aprile April

www.arcadata.com

La rivista internazionale di architettura, design e comunicazione visiva The international magazine of architecture, design and visual communication

INTERIORS&DESIGN

INTERIORS&DESIGN GUEST EDITOR STEFANO CASCIANI

GUEST EDITOR

STEFANO CASCIANI Mensile Monthly Testo italiano e inglese Italian and English text IVA assolta dall’editore - Periodico mensile - Poste Italiane Spa Sped. in A.P. D.L. 353/03 (conv. in L. 27.02.04, n° 46), art. 1, c. 1, - LO/MI

A €19,00 - P €14,90 - B €17,50 D €22,00 - NL €19,50 - UK GBP 18,00

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4/2011 268 ITALY ONLY


01_EDIT_268:EDITORIALE 23/03/11 14:07 Pagina 1

Cesare Maria Casati

Un unico progetto

E’

ormai evidente che non si potrà continuare a progettare, almeno per i cosiddetti edifici residenziali, costruzioni singole, denominate comunemente condomini, composte da diverse proprietà immobiliari, come fossero degli oggetti o meglio, come avviene nei plastici di studio, dei blocchetti di legno messi uno vicino all’altro e disposti più o meno dignitosamente sul territorio per creare dei disegni planimetrici sopportabili alla vista aerea. Si raggruppano normalmente in un unico volume delle unità abitative, per condividere comuni servizi di energia e di fluidi oltre alla mobilità verticale tra quota e quota, e poi si clonano ripetute volte. Il tutto, poi, condito da un intorno più o meno vuoto decorato da prati, cespugli e magari da piccoli boschetti. Naturalmente, ogni gruppo di queste abitazioni è cintato per unificare ingresso e controlli e viene poi urbanisticamente definito come quartiere residenziale. In realtà, si tratta di sprechi di spazi urbani egoisticamente racchiusi su se stessi che nulla danno alla formazione di un tessuto urbano socializzante e che non mostrano alcuna generosità di spazi attraenti e servizi, magari culturali e commerciali, da condividere con gli altri cittadini che vivono all’intorno. Questa premessa perché penso che soprattutto ora che tecnologia e tecniche costruttive finalmente ci assistono per iniziare a progettare e concepire gli spazi urbani, dove gli uomini decidono di stabilire la loro residenza, come degli insiemi unici, dei macro organismi che, oltre ad avere spazi abitativi confortevoli e attrattivi, permettano di svolgere individualmente o collettivamente tutte le normali attività quotidiane. Attività come abitare, lavorare, divertirsi, formarsi, curare mente e corpo tutte distribuite omogeneamente e facilmente accessibili. Un po’ come già avviene nelle grandi navi da crociera dove migliaia di persone usufruiscono comunemente di uniche infrastrutture di mobilità, di servizi, di lavoro, di informazione, di formazione e di divertimento. Intendo provocare delle riflessioni sul fatto di come ora sia possibile progettare queste macrostrutture, che sono in realtà piccole città autonome con tutte le attività di relazione concentrate e contornate da grandi spazi naturali liberi. Piccole comunità democratiche amministrate come in un immenso condominio dove tutti hanno interesse a preservare e ben utilizzare gli spazi e servizi comuni. Spazi finalmente progettati per essere emozionalmente positivi, confortevoli e gradevoli per tutti. Penso sia possibile oggi ideare questi grandi organismi architettonici che creerebbero certamente, per la loro complessità costruttiva, oltre al consenso, il coinvolgimento e la trasformazione, non solo delle attuali tradizionali imprese di costruzione sempre costrette ad abbinare operazioni artigianali a sistemi industriali tecnologicamente avanzati, ma anche la grande industria cantieristica e metalmeccanica già abituata a costruire organismi enormi di scala e complessità diversa da quella della normale edilizia. L’idea è, seguendo gli insegnamenti e le sperimentazioni di Moshe Safdie, di riunire in un unico progetto e in un unico enorme oggetto, una piccola città autonoma amministrativamente ed energeticamente, dove la mobilità interna, anche individuale, sia finalmente svincolata da oggetti inquinanti su ruote, dove tutti gli spazi e i volumi comuni siano progettati con la medesima cura e sapienza di quelli destinati alla diverse attività, dove il clima generale (luci, colori e materiali) sia consono alla tranquillità e alla distensione e dove interno e esterno siano tutti parti della medesima architettura. Architettura che finalmente perderà, forse, l’individualità iconografica, almeno nel suo insieme della firma famosa; ma, come per le grandi navi o aerei, vedrà uniti gruppi di progettazione come avviene normalmente nell’industria e lascerà ai grandi talenti la caratterizzazione espressiva di alcune parti significative comuni. Forse queste mie, anche banali, osservazioni sono una utopia ma penso che non sia possibile continuare, come avviene oggi in tutto il mondo, riprodurre tradizionalmente le esperienze quasi sempre negative dei cosiddetti quartieri residenziali che molte volte vengono anche qualificati come “popolari”. Le città così continuano a formarsi come fossero un immenso treno che gira intorno a un centro attrattivo, con carrozze separate di prima, di seconda e persino di terza classe secondo la distanza dal centro. Un insieme urbano è sicuramente parte dello stesso vascello che non può continuare a navigare con velocità e qualità ancora divise per categorie sociali, in una società ormai unita su tutto il pianeta, almeno nelle comunicazioni e nella circolazione delle idee, da una “rete” che informa tutti velocemente e democraticamente nello stesso istante. Ancora una volta dovranno essere prima gli architetti, gli ingegneri e i designer e poi l’industria a battere il primo colpo.

One Single Project

A

t least as regards so-called residential buildings, it is now clear that we cannot carry on designing individual constructions, generally referred to as condominiums, composed of a number of properties as if they were objects or, better still, as if they were wooden blocks placed alongside each other in more or less dignified fashion right across the land, in order to create urban designs which look quite reasonable when viewed from above. A number of different living units are generally grouped together in one single construction so as to share energy-fluid supplies, as well as vertical links from level to level. They are then cloned on a reiterated basis. All this is then rounded off by more or less empty surroundings consisting of lawns, hedges and perhaps some small woodlands. Of course each of these sets of houses is fenced in, so that they can share a joint entrance and be carefully guarded, ready to be defined as residential estates. In actual fact, they are just a waste of urban spaces, selfishly enclosed on themselves, which contribute nothing to the creation of a sociable urban fabric and have no attractive spaces or services (perhaps even of a cultural and commercial nature) to be shared with the rest of the local inhabitants. I mention this because I believe building technology and methods can now finally help us begin to design urban spaces where people decide to really settle, like complete wholes, microorganisms which, as well as enjoying comfortable and attractive living spaces, can individually or jointly handle all the usual everyday operations they are expected to perform. Operations like living, working, having fun, studying, and looking after your mind and body, all set out smoothly and easily accessible. Rather like what we already find on board large cruise ships, where thousands of people share unique transportation, service, work, information, education and entertainment infrastructures. I am trying to get us to think about the fact that it is now possible to actually design these microstructures, which are, in fact, small independent cities with all the necessary relational activities focused together and surrounded by large free natural spaces. Small democratic communities run like huge condominiums, where everybody has an interest in looking after and making proper use of joint spaces and services. Spaces which are finally designed to be emotionally positive, comfortable and pleasant for everybody. I believe it is now possible to actually design and construct these giant architectural organisms, whose overall construction complexity would not just make them popular, it would also involve and actually transform not just conventional present-day contractors, which are always forced to combine craftsmanship with technologically cutting-edge industrial systems, but also major engineering-construction industries already used to constructing giant-sized organisms of much greater complexity than ordinary buildings. In accordance with what Moshe Safdie has taught us and experimented with, the idea is to incorporate a small city, independent in terms of its administration and energy supply, in one single project and one single giant object, where internal mobility (even personal transport) is finally free from polluting objects on wheels, where all the communal spaces and structures are designed with the same care and expertise as those destined for other purposes, where the general climate (lighting, colours and materials) guarantees peacefulness and relaxation, and where the inside and outside are all parts of the same architecture. Architecture which will, perhaps, finally lose that iconographic individuality, at least as regards bearing the signature of star names; but which, as in the case of those large ships and planes, will see design teams working together as is generally the case in industry, allowing talented architects to design the most important communal sections. These rather bland remarks of mine are, perhaps, just utopian dreaming, but I do not believe we can carry on, as is now the case all over the world, just copying those almost always negative conventional experiments into so-called residential estates, often unduly described as “popular”. In this way cities will just keep on growing as if they were a huge train encircling some big attraction, with separate first, second and even third class carriages, according to their distance from the centre. This vessel we call the cityscape cannot carry on sailing at different speeds and different quality standards according to social status in a society which is now united right across the planet, at least in terms of communication and the circulating of ideas, by a “web” informing everybody at high speed and democratically at the very same instant. Once again it will, first and foremost, be up to architects, engineers and designers and then also industry to make the first move.

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J

Jean Nouvel

Casciani, l’Antipapa Caro Stefano,

per un architetto incontrare un critico è un’avventura avventura spesso difficile. Si ha l’impressione dii essere sempre ascoltati, asc prio confortevole. Così, C sezionati… l’impressione di un silenzio che si crea tra due persone, una sensazione non proprio quando rifletto sulla mia storia, trovo che in effetti l’esperienza più costruttiva, che veramente mi ha arricchito è stata quando ho incontrato delle persone, dei critici che guardano rdano al lavoro dell’architetto con molta lucidità: à: mi piacciono i critici crit che hanno voglia di capire, che ti fanno sentire la loro passione, che nella vita dimostrano una cultura non ristretta, che si allarga da una disciplina all’altra, che mette ogni dato in prospettiva.

ttura, dove ci si sente meglio, si sente qualcosa di positivo, qualcosa che E’ quello che succede nel caso della tua scrittura, approfondisce il significato del lavoro, che può non dico che uò cambiarti e incoraggiarti sulla tua strada. E’’ naturale, non chiedo, chie voglio incontrare solo adulatori o persone che he si sentono incapaci, o non hanno voglia, di affrontare frontare grandi temi: tem ma mi piace opera. Per questo quello che mi ha sempre colpito to di te è che c’incontriamo c’incon chi si pone con la volontà di comprendere l’opera. sugli edifici quando iniziano a vivere, ma già prima davanti alle ma ci sono le tue domande, le tue preoccupazioni: i: e quando ci vediamo, vedia avvero raro, in fondo. fond nuove opere costruite, sento sempre che sei in un momento positivo per te. E’ qualcosa di davvero E mi piace il tuo modo di passare da un soggetto getto all’altro: quando ti leggo ho l’impressione che nel tuo lavoro incontri i anno parte di un clan, sia che lavorino in architettura ettura o nel design: design e mi veramente persone molto diverse, che non fanno sembra che cerchi sempre di vedere cosa veramente ramente rappresentano queste persone nel loro campo, qual è il loro lor contributo all’evoluzione della nostra epoca. Credimi, questo è molto rassicurante, perché hé quando tutto si riduce invece a un circolo ristretto, retto, che tu faccia parte di quel circolo o no, l’atteggiamento critico diventa tutto teorico. Esiste invece una dimensione pragmatica, gmatica, che si ritrova ritro nell’incontro con l’architettura, o con gli oggetti: provare, come fai tu, a raccontare le sensazioni che rappresentano presentano per te questi q oggetti – quando si tratta di design – in una dimensione one che trovo davvero più modesta, più intima, significa parlare delle de cose con una sorta di naturalezza, una semplicità tale chee fa venire voglia di andare a vedere davvero le cose.

Ecco cosa ti dà credibilità, la credibilità di sentire entire che hai visto, hai sentito il progetto e da qui arrivano le tue impressioni e le tue idee. Mentre la maggioranza della critica tica d’architettura europea (e particolarmente francese, rancese, mi spiace dirlo) non parla neanche “della” cosa, ma “attorno” alla cosa,, nel tuo caso, non importa se architettura o oggetto, getto, instauri sempre semp un parallelo, un incontro, tra te e l’altro, cioè il progetto. Certo, c’è anche l’incontro personale con chi ha fatto la cosa, ma si capisce subito, quel che tu ami è l’oggetto, la cosa realizzata. a. Le vai incontro con un piacere visibile, una specie pecie di golosità e la prima cosa che mi chiedi quando ci vediamo è “Cos’hai di nuovo uovo da farmi vedere?” Credo che ognuno orienti la propria esistenza Terra: e a za secondo le sue passioni, secondo quello che più iù ama vivere su questa qu me sembra che tra l’architettura e il design tu ti muova come un pesce nell’acqua, e non in una posizione esterna, puramente ester teorica, che ti porta a emettere sentenze, o a farti pensare che il tuo ruolo sociale sia quello di dettare una sorta sort di religione, una visione dei nostri giorni dall’alto, scolastica, stica, professorale con cui “illuminare finalmentee il popolo”… No, c’è c qualcosa di diverso in te, che passa attraverso i tuoi incontri, ontri, le tue emozioni e che si esprime formidabilmente ilmente bene, come quando hai raccontato designer come Achille Castiglioni: i: se sei andato loro incontro, è perché lì tu sei nel tuo elemento, nel ne tuo vero mondo.

Ho conosciuto poche persone fatte così, dunque que penso che ci sia un aspetto del tuo lavoro di un genere diverso, diverso qualcosa di più di un incoraggiamento: è uno spingere gli altri a fare le cose e farle bene perché ci si sente nte bene. Si riesce a far meglio il proprio lavoro quando si trova per esso un’eco: co: è un ruolo eccezionalmente costruttivo, che ricorda quello di un u parto, la spinta spinta al piacere di mettere al mondo dei figli, che si ha poi orgoglio e voglia di mostrare. E’ un fenomeno di fiducia, di calma, il mostrare rare re oggetti e persone, fatto con tanta semplicità e naturalezza, in un continuum dove puoi parlare ugualmente di un grande progetto o di una poltrona, ma senza mai “pontificare”. Ecco sei s un po’ l’Anti Papa, e penso che il titolo giusto per questo scritto, per una tua definizione sarebbe l’Anti Papa: qualcuno qualcun di temibile, ma che – più del Papa – fa in modo che le cose vadano ano al loro meglio, e soprattutto con molto più piacere… E’ così, lo svolgersi della funzione critica diventa venta nta un piacere: perché è talmente più positivo parlare di ciò che ci piace, usare l’esistenza per capire quello che amiamo, proporre roporre rre la positività invece della negatività. Ripeto, non voglio dire che non si debba prendere posizione, rifiutare l’impegno: è sempre più bello, e allo no: ma esprimersi sprimersi in positivo, piuttosto che in negativo, n stesso tempo più difficile. E tu, attraverso i tuoi viaggi, hai mantenuto sempre questo viaggi le tue inchieste e le tue peregrinazioni per atteggiamento positivo: da quando ti conosco, è così che ti vedo. Con amicizia, Jean Nouvel 2 l’ARCA 268


S

Introduzione al volume/ Foreword to the book Flâneur. Scritti sparsi di architettura, arte e design, Skira, Milano, aprile 2011.

Casciani, the Antipope

Dear Stefano,

Meeting a critic is often n a tricky undertaking for fo an architect. You feel as if your every word is being carefully noted down dow and then taken apart… a feeling eeling of a barrier of silence created between two people, not exactly a comfortable feeling. So, when wh I think about my own the most constructive experiences I have ever had, those which n career, reer, I discover that, in actual fact, f whi have really enriched me, weree when I got to know people like critics, who study an architect’s work with great clear-sightedness: I like cr clear-sightedn critics who really want in ant to understand, who let you feel their own passion, who are extremely broadminded culturally speaking sp everyday life, and who have ve an across-the-board interest in all kinds of disciplines, which helps put everything into perspective. per That is the way it iss with yourr writing, which always makes one feel good, sensing sensin something positive, something that adds meaning to your work, ork, which can an change you and encourage you as you move ahead. Of O course I am not expecting or saying sa I only want to meett people who idolise dolise me or people who feel unable or unwilling to tackle major issues: but I like people peop who try and understand d a piece of work. That is why the thing which has always struck me about you y is that we inevitably meet in buildings as they y begin to come to life, fe, and you already have plenty of questions to ask, concerns to express: and when whe we get together in frontt of new built works, I always get the feeling that it is a positive moment for you. At A the end of the day d that really is a rare quality. lity. I like the way you move on from one subject to another: when I read your work I get the feeling that you really lots reall get to know k of very different people, ople, who do not belong to any special clique,, whether they work in the field of architecture or o design: design and I sense you always try ry and see what these people really represent in their heir own particular fields, how they contribute contribu to progress p in our times. Believe me, this is very reassuring, because when, on the contrary, everything comes down to just a very tight circle of friends, then, whether you belong to that group or not, the critical approach becomes entirely ly theoretical. But, in actual fact, there th is a pragmatic side to any encounter with architecture and objects: trying, as you do, too talk about the feelings these objects oob represent for you (in n the case of design), in what I find to be a truly modest and more intimate mate way, means talking about abo abou things with the kind of naturalness turalness and simplicity that makes you want to go and actually see them. m. That is what makess you credible, the kind of credibility coming from hearing that you have actually seen and really “felt” “fe the project, which is where here your impressions and ideas come from. While the majority of European architecture critics (particularly (par in France, I am sorry ry to say) do not even mention the thing itself, they just skirt “around” it, in your case, regardless of whether it is architecture or an object, you always set up some parallel, an encounter between you and the other, i.e. the project. Of course there is also a personal onal encounter with the person who made the thing, but it is immediately clear that what you really reall love is the object itself, thee constructed thing. You approach it with visible pleasure, a sort of lust, and the first thing you ask me m when we meet is “Have you new to show me?”. ou got anything anyt I think everybody organises rganises their life according to what they are passionate about, what they love most about living on this planet of ours: and it seems to me that you are as comfortable with architecture and design as a fish in water, and not just from j an external, purely theoretical viewpoint, which might lead you to adopt a judgemental approach: or make you think your social th y role is to dictate some enlighten me sort of religion, a vision of our times looking down in a scholastic, professorial way to “finally me “fin enl the people”… No, there here is something different about you, which comes from the people you have met and your feelings and emotions, which you Castiglioni: you u express so wonderfully well, like for instance when you wrote about designers like Achille Ach Castigli are always in your element in their company, in your real world. I have met very few people like that, so I think it is very ve special aspect of your work, well, k, something more than just encouragement: it is a way of pushing other people to do things and do them t because they feel good This is an exceptionally ood about them. And people will inevitably work better when they are appreciated. appreci except constructive approach, of bringing children into the ach, which is rather reminiscent of giving birth, pushing hard for the pleasure plea i world, which you are re then proud of and keen to show off. It is a matter of trust, calmness and of showing objects and people, all done with great simplicity and naturalness as part of a continuum allowing you to speak indifferently of either a great project or an armchair, but without ever “pontificating”. Indeed you are rather like the Antipope, and I think that is just the right title for this article, you may well be described as the Antipope: a fearsome person, who however – more than the Pope – make sure things run smoothly and, above all, in a much more pleasurable way… So working as a critic becomes a pleasure, because it is so much more positive to talk about things we like, striving to understand what we admire, and adopting a positive approach rather than just being negative. I would, however, like to stress again that this does not mean one does not have his own stance or refuse to engage: but saying positive things rather than negative objections is always better and, at the same time, more difficult. And thanks to your travels, enquiries and pilgrimages, you have always held onto this positive approach: ever since I first met you, that is how I have always seen you. Your friend,

Jean Nouvel

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L’Italia vista dalla luna Italy Seen from the Moon

Stefano Casciani

Un’autocritica e un manifesto per il progetto A piece of self-criticism and manifesto for design Milano è una città sempre più dura e difficile: già un tempo la capitale “morale” del paese, del design italiano e poi internazionale, si è trasformata in una delle tante città della provincia italiana, ancora ricca ma più di ogni altra abbandonata all’impoverimento culturale, allo smantellamento del sistema di produzione industriale, alla cieca speculazione edilizia. Dove c’erano le fabbriche, crescono come tumori maligni agglomerati di residenze e uffici senza qualità, torri altissime vuote di significato e di persone, per un mercato immobiliare paralizzato dalla crisi globale - che non può assorbire nemmeno un decimo della quantità insensata di metri cubi lasciati costruire senza controllo da un governo cittadino imprevidente. La fortuna, o la sorte, hanno voluto però che da diversi anni mi capiti di abitare molto vicino all’Università Bocconi: quando il livello di depressione causato dalla decadenza della città raggiunge l’insopportabile, abbasso le tapparelle alle finestre, spengo le luci, chiudo lo studio ed esco a passeggiare fino al nuovo edificio di Grafton Architects, la prima e ultima vera architettura civile costruita a Milano negli ultimi cinquant’anni. Preferisco le ore in cui l’Università è chiusa, gli studenti rifugiati per le loro unhappy hours nei bar orrendi che la assediano da tutte le parti. Cammino sotto i grandi monoliti sospesi, ripercorro mentalmente i disegni di progetto, ripenso alla gestazione e alla realizzazione dell’edificio in tempi marziani – grazie a un gruppo di amministratori (privati) che hanno voluto dare alla Bocconi e alla città un edificio finalmente simbolo della sua importanza. Ricordo i dialoghi appassionanti con Shelley McNamara e Yvonne Farrell, l’emozione dell’inaugurazione: però se mi capita di scorgere un dettaglio mal realizzato, una griglia incrinata, una lastra di ceppo non esattamente allineata, mi agito, cerco di capire la ragione di quella imprevista obsolescenza, invento responsabilità delle progettiste. Poi osservo di nuovo l’edificio nel suo insieme e ringrazio ancora Bocconi e Grafton Architects, per la lezione di civiltà data a una popolazione e a un governo incuranti della bellezza. Alla fine, un ultimo sguardo all’architettura amata e prima di voltarle le spalle e allontanarmi, penso alla grande questione: com’è stato possibile che la più grande metropoli italiana perdesse intera la sua identità urbana, diventasse incapace di produrre architetture di qualità, lasciasse il design nelle mani di millantatori e arrampicatori? E, ammesso che tornassero le necessarie condizioni politiche, economiche e civili per un rilancio della qualità urbana, come contrastare gli istinti suicidi del governo locale, recuperare il degrado generale delle infrastrutture, rendere riproducibile la qualità della costruzione e dello spazio abitativo?

Fosse anche soltanto per ragioni di profitto, industriali, architetti e designer possono ritrovare un’unità culturale su grandi progetti rigorosamente privati, altamente sostenibili, autofinanziati senza sovvenzioni statali, regionali, locali (oggetto di un mercato di tangenti con regole ferree). I designer devono abbandonare le loro autoerotiche ambizioni museali, tornare alle origini di un rapporto autentico con l’ambiente come spazio e architettura. Abbiamo colpevolizzato per decenni i Maestri del design italiano, perché da architetti disegnavano prodotti “con la mano sinistra”, quasi a sminuire il significato dell’oggetto: quando invece proprio la loro sensibilità alla costruzione integrale dello spazio gli permetteva di immaginare “cose”, magari più piccole ma altrettanto indispensabili dell’architettura. La rivolta dell’imprenditoria privata può passare attraverso l’attivazione di grandi centri di ricerca e progetto per le industrie di beni e servizi, amministrati da professionisti integerrimi: non solo darebbero lavoro a centinaia di progettisti disoccupati (o condannati alla vergogna delle collaborazioni in nero, degli stipendi da fame nei grandi studi) ma tornerebbero a portare l’attenzione internazionale sul design italiano come cultura d’avanguardia nella sperimentazione. Le applicazioni delle ricerche da parte dell’industria italiana potrebbero renderla nuovamente competitiva, soprattutto se incentrate sul rapporto con il mondo delle costruzioni: sono innumerevoli le componenti per l’edilizia – dai materiali intelligenti agli impianti, dagli arredi fissi all’illuminazione – che ancora attendono di essere progettate, o riprogettate, per un’autentica produzione di serie, rispettosa dell’economia e dell’ambiente. Con la stessa ispirazione architettonica e “neonaturale” è possibile immaginare anche i nuovi oggetti, analogici o digitali, che ci seguono ovunque, compagni ormai indispensabili di un’esistenza complicata e rischiosa. Anche il cinismo diffuso a lungo andare stanca: serve invece una buona dose di utopia per ossigenare il clima asfittico di un insensato agitarsi mediatico. Per la dignità e la sopravvivenza delle industrie e dei progettisti è davvero arrivato il punto di non ritorno, l’alternativa non più rimandabile: morire vittime di un colonialismo culturale di ritorno, svanire lentamente nel generale, dilagante declino della cultura progressista e imparziale oppure denunciare le storture di un sistema che affonda e rinnovarsi nella teoria, nella prassi, nell’ideologia.

Ai lettori e colleghi non italiani, sembreranno retoriche queste domande, ogni paese ha i suoi squilibri sociali e politici da risolvere con i propri mezzi: ma non è più possibile fingere che l’Italia sia un paese come gli altri. Il livello di corruzione non ha pari in Europa, l’infiltrazione dei poteri criminali nell’economia e nelle istituzioni è capillare, l’avidità di privilegi della classe politica è insaziabile. Abbiamo chiuso per anni gli occhi su questa tragica anomalia, immaginando che fosse possibile una riscossa - almeno culturale, se non economica: la realtà è incomparabilmente più dura. Non può esserci riscossa, o riscatto, economico e culturale senza prendere atto della decadenza del paese. Dal pubblico non c’è da aspettarsi ormai nulla, la strategia del consenso parassitario è troppo redditizia per chi vi partecipa, amministratori e amministrati. Un’ipotesi utopica è che la stessa imprenditoria privata cominci ad arrestare la deriva demagogica dell’economia e della società italiana. 4 l’ARCA 268

P.S. Provo a formulare qui di seguito un piccolo decalogo per stabilire alcune regole basilari di etica culturale. Se anche un solo progettista, industriale o editore vorrà ascoltarle, a qualcosa sarà servito realizzare queste pagine per l’Arca, di cui ringrazio il direttore Cesare Casati per la generosa opportunità che mi ha offerto. S.C.


Giuseppe Terragni, studio di poltrona con struttura in acciaio / study for an armchair with a steel frame, Casa del Fascio di Como, 1935-36.

Grafton Architects (Shelley McNamara, Yvonne Farrell), Università Bocconi, Milan, 2004-2008: la “piazza” tra Viale Bligny e Via Röntgen / the “plaza” on the corner between Viale Bligny and Via Röntgen. Photo by Donato Di Bello.

Milan has always been a hard and difficult city: once the nation’s “moral” capital and also the Italian and international capital of design, it has turned into just one of many provincial Italian cities, still wealthy but subjected to greater cultural impoverishment than any other place in the country, having witnessed the dismantling of its industrial manufacturing system and now pray to blind building speculation. Where factories used to stand, agglomerations of housing and offices of no quality are growing like malignant tumours, huge towers devoid of meaning and people, designed for a property market which has been paralysed by the global recession – unable to absorb even a tenth of the senseless amount of cubic metres being built, without any control from a city government with no foresight. Good fortune or fate have, however, decreed that for a number of years now I have been able to live very close to Bocconi University: when my state of depression caused by the city’s degradation becomes unbearable, I lower the shutters, switch off the lights, lock up my studio and get out for a walk over to the new building designed by Grafton Architects, the first and last true work of civil architecture constructed in Milan over the last 50 years. I prefer the time of day when the university is closed and the students have gone off to enjoy their ‘unhappy hours’ in the countless horrendous bars all around the university. I walk beneath the giant hanging monoliths and mentally retrace the project drawings, I think about the management and construction of the building in super-quick time – thanks to a team of (private) administrators, who were determined to give Bocconi University and the city a building finally capable of symbolising its importance. I remember the passionate discussions with Shelley McNamara and Yvonne Farrell and the excitement of the official opening: but if I happen to glimpse a poorly constructed feature, a cracked grid or “ceppo” stone slab not perfectly in line, I get worked up and desperately try and understand why this has been allowed to happen, envisaging where the responsibility lies among the architects… Then I look at the building again in its entirety and once again I thank Bocconi and Grafton Architects for the lesson in civility given to city folk and politicians who show no concern for beauty. I take one last look at this beloved work of architecture before turning around and walking away, as I ponder over the big question: how has the biggest city in Italy managed to completely lose its urban identity, become incapable of creating any quality works of architecture, and handed over design into the hands of braggarts and social climbers? And, assuming the right political, economic and civil conditions could be restored in order to re-launch quality urban planning, how might we combat the suicidal tendencies of local government, salvage infrastructures from their general state of degradation, and make quality building and living spaces reproducible? These questions might seem rather rhetorical to our nonItalian readers and colleagues, every country has its own socio-political imbalances to sort out using the means at its disposal. But we can no longer keep on pretending that Italy is a country like all the others. The level of corruption is incomparably higher than in the rest of Europe, there is widespread criminality in our economy and institutions, and the ruling classes are insatiably greedy. For years we closed our eyes to this tragic anomaly, imagining that, at least on a cultural level if not economically speaking, there could be some revival: reality is actually incomparably harsher. There can be no economic and cultural revival or Renaissance without first acknowledging the decadent state of the country. Nothing can now be expected of the public sector, the strategy of parasitic consensus is too profitable for those involved, both administrators and the administrated.

A utopian idea might be that the private business sector could halt this demagogic drift in the Italian economy and society. Perhaps, even just for reasons of profit, industrialists, architects and designers could join forces around some major strictly private projects, which are highly sustainable and self-financed without resorting to national, regional or local aid (with its strict rules in terms of payouts and backhanders). Designers must give up their self-erotic ambitions to be displayed in museums and return to the very roots of an authentic relationship with the environment as space and architecture. For decades we have blamed the Masters of Italian design because as architects they designed products “using their left hand”, almost as if to demean the importance of the said objects: whereas, in actual fact, their awareness of the integral construction of space enabled them to envisage “things”, perhaps on a smaller scale than architecture but equally invaluable. The private entrepreneurs might even rebel by setting up major research and design centres for the goods and services industries, managed by upright professionals, which would not only provide work for hundreds of unemployed designers (or forced into the humiliating experience of operating on the black market, or working for a pittance at major firms), they would also recapture international attention to Italian design at the cutting-edge in terms of experimentation. Applications of research carried out by Italian industry could restore its competitiveness, particularly if focused on interaction with the world of building: building industry has all kinds of aspects to it – ranging from intelligent materials and systems to permanent fixtures and lighting – which are still waiting to be designed or redesigned along the lines of authentic mass production, which respects both the economy and environment. Architectural and “neo-natural” aspirations like this might also enable us to envisage a new brand of analogical or digital objects, which are now all around us, indispensable companions in our complicated and risky lives. Even the widespread cynicism in Italy can be tiresome in the long run: what is needed is a healthy dose of utopia to breathe fresh air into the stuffy climate of senseless agitation in the media. We have reached the point of no return as regards the dignity and survival of industries and designers and there is now no alternative: either we die as victims of resurging cultural colonialism, slowly vanishing in the general, widespread decline in progressive and impartial culture or we denounce the crookedness of a system which is sinking and reinvent our design theory, practice and ideology.

P.S. In the following pages I will set down a short Decalogue for establishing some basic rules of cultural ethics. If just one single designer, industrialist or publisher actual listens to them, then there will have been some point in creating these pages for l’Arca, whose editor-in-chief, Cesare Casati, I would like to thank for the generous opportunity he has given me. S.C.

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Dieci comandamenti del design Un manifesto in forma di decalogo, con titoli inglesi, più efficaci, e con il pensiero a Dieter Rams*

NO BULLSHIT // Oggetti di design sempre sopra le righe, ingiustamente costosi, già obsoleti appena acquistati. Negozi e uffici, showroom e garage, case e riviste dello SCOE (Sistema Capitalistico Occidentale Evoluto) rigurgitano di chincaglieria: sbarazzarsene al più presto. Rifiutare incarichi per progettare un nuovo segnaposti, o un portasapone, massima ambizione dei giovani designer. Realizzare in alternativa almeno un kit da tavola tipo Ikea (piatti, posate, bicchieri, bottiglie, zuppiere, tazze, tazzine…): eterno per forma, materiale e durata, da lasciare in eredità a figli e nipoti. THINK LOCAL, ACT GLOBAL // Il segreto dell’origine e del successo planetario delle aziende del design italiano: quando hanno smesso di immaginare con occhi italiani un nuovo mondo di oggetti, i loro prodotti hanno perso ogni interesse per la domanda globale. Perché comprare una sedia italiana, se una svedese costa incomparabilmente meno, e sono uguali? Creare e difendere l’identità di prodotti iconici, segnatamente “nazionali”, per il mercato mondiale. YES LOGO // L’ideologia fumosa No Logo giustifica prodotti ridicolmente tutti uguali, intercambiabili per forme, funzioni, colori, materiali: dall’automobile all’abbigliamento, impossibile ormai riconoscere i prodotti di un’industria o un’altra. Ricostruire identità visuale dei marchi, dare dignità al lavoro dei graphic designer, rifiutare l’annichilimento del “corpo” e del “carattere” tipico del web. INDUSTRY, NOT BRAND // Solo i consulenti disonesti vogliono far credere a industriali e imprenditori che il loro brand vale più di tutti i loro prodotti e organizzazioni produttive. I brand del design italiano sono diventati così “commodities” liberamente offerte sul mercato – come il sale o lo zucchero - aziende incapaci di rinnovarsi, produrre industrialmente, contrastare la competizione asiatica. Ricostruire le aziende storiche nelle loro realtà fisiche, ricominciare a progettare, costruire fabbriche e produrre in Italia e in Europa. NO LOBBY // Inferiori per potenza e rapacità solo a quelle politiche, le lobby del progetto si appropriano dei più importanti incarichi, sottraendoli ai professionisti isolati. Esemplare, perché sfacciata fino all’esibizionismo, la lobby di Rem Koolhaas, con i suoi agenti di commercio a Milano, Londra, Mosca, Beijing, New York. Rifiutarsi di pubblicare i progetti e le falsificazioni demagogiche dei lobbisti. Dare spazio agli isolati, agli outsider, agli sconosciuti, ai disorganizzati, ai disobbedienti. PUBLISH // Jensen & Skodvin, Rashid (Hani), Labics, Shigeru Ban, Boeri (Cini), Sergio Calatroni, Inga Sempè, Odile Decq, Grafton Architects, Javier Mariscal, Mario Cucinella, Sauerbruch & Hutton, Nendo, Dante Bonuccelli, Tom Dixon, Sergio Rodrigues… Possibilmente pubblicare solo opere prime, o di maestri ultraottantenni, in esclusiva mondiale. NEVER PUBLISH // Fabio Novembre, Rashid (Karim), Rem Koolhaas, Boeri (Stefano), Studio Archea, Simone Micheli, Campana Brothers, Bouroullec Brothers, Joe Velluto, Giulio Iacchetti, FRONT, Yves Behar, Marc Newson… Sfatare il mito dell’eterna giovinezza di architetti e designer affetti da infantilismo megalomane. Sventare le montature del Me Marketing, “fatto in casa” o scientifico. PRINT OR DIE // Nell’onda anomala di sms, chat, TED, tweet, (attraverso cui chiunque, purchè incompetente, può fare critica e teoria su tutto, dalla religione al design) idee e progetti stampati e/o costruiti restano i soli a fare da testimonianza e/o insegnamento. Considerare la perizia profetica di Umberto Eco: nessun supporto digitale potrà mai sopravvivere al più infimo stampato. Evitare, se possibile, di avere un sito web. Pubblicare i propri progetti solo in libri e riviste su carta. GREEN PEACE // Nel deserto naturale, come in quello artificiale che seguirà alle apocalissi ambientali e belliche del XXI secolo, l’equilibrio ecologico è perfetto: ma in esso non c’è spazio per alcuna esistenza, soprattutto quella umana. Risolvere politicamente nel quotidiano le grandi questioni della sostenibilità, agire a scala di ogni progetto – dall’oggetto utile alla città – con il massimo risparmio di energia e risorse. INFRASTRUCTURE AS ARCHITECTURE // Rispetto al farisaico green washing, con cui anche i grandi inquinatori cercano di rifarsi una verginità, la tecnologia veramente dura potrebbe salvare l’equilibrio ambientale. I grandi gruppi distributori dell’energia elettrica, i gestori dei servizi di trasporto pubblico veloce e di massa, con le loro scelte strategiche determinano la forma urbis più di qualsiasi PGT. Lavorare con le industrie dei servizi per dare forma al paesaggio neonaturale della città e del territorio. Abbandonare il grado zero della scrittura progettuale, ritrovare la dimensione domestica nel disegno di infrastrutture come architetture abitabili della democrazia. 6 l’ARCA 268


Ten commandments of design A manifesto in the form of a Decalogue with English headings, because they are more incisive, and with a thought for Dieter Rams* * Dieter Rams, Ten principles of good design, http://www.vitsoe.com/en/gb/about/dieterrams/gooddesign

NO BULLSHIT // Design objects always ‘over the top’, unfairly expensive, already obsolete as soon as they are bought. Shops and offices, showrooms and garages, houses and magazines belonging to the EWCS (Evolved Western Capitalist System) churn out knick-knacks: get rid of them straight away. Reject commissions to design a new place card or soap holder, the greatest ambition of young designers. Tentatively create at least an Ikea-style table kit (plates, cutlery, glasses, bottles, soup bowls, large and small cups…): timeless in terms of their form, material and durability, to be bequeathed to your children and grandchildren. THINK LOCAL, ACT GLOBAL // The secret of the origins and global success of Italian design companies: when they stopped envisaging a new world of objects seen through Italian eyes, their products lost all interest in terms of global demand. Why buy an Italian chair if a Swedish one costs incomparably less and they are exactly the same? Create and spread the identity of iconic products, particularly “national” ones, designed for the world market. YES LOGO // Fuzzy No Logo ideology justifies products which are ridiculously all the same, interchangeable in terms of their forms, functions, colours and materials: from cars to clothing, it is now impossible to distinguish the products of one company from another. Reconstruct the visual identity of brands, restore dignity to the work of graphic designers, reject the kind of annihilation of the “body” and “type” peculiar of the Web. INDUSTRY, NOT BRAND // Only dishonest consultants want to persuade industrialists that their brand is worth more than all their products and production setups. So the brands of Italian design turned into “commodities” freely on the market – just like salt or sugar, companies incapable of upgrading themselves, manufacturing industrially or competing with Asia. Reconstruct historical companies in terms of their physical reality, start once again designing, building factories and manufacturing in Italy and Europe. NO LOBBY // Inferior only to political lobbies in terms of power and rapaciousness, design lobbies are taking hold of the most important commissions, wrestling them from isolated professionals. Rem Koolhaas’s lobby with its agents in Milan, London, Moscow, Beijing and New York is exemplary in terms of its brashness verging on exhibitionism. Refuse to publish the projects and demagogic lies of lobbyists. Open up to isolated operators, outsiders, unknowns, the disorganised and disobedient. PUBLISH // Jensen & Skodvin, Rashid (Hani), Labics, Shigeru Ban, Boeri (Cini), Sergio Calatroni, Inga Sempè, Odile Decq, Grafton Architects, Javier Mariscal, Mario Cucinella, Sauerbruch & Hutton, Nendo, Dante Bonuccelli, Tom Dixon, Sergio Rodrigues… If possible, only publish first works or works by masters over the age of eighty, on a worldwide exclusive basis. NEVER PUBLISH // Fabio Novembre, Rashid (Karim), Rem Koolhaas, Boeri (Stefano), Studio Archea, Simone Micheli, Campana Brothers, Bouroullec Brothers, Joe Velluto, Giulio Iacchetti, FRONT, Yves Behar, Marc Newson… Debunk the myth of eternal youth of architects and designers, suffering instead from megalomaniac childishness. Thwart the stunts associated with ‘Me Marketing’, either “do-it-yourself” or scientific. PRINT OR DIE // On the anomalous wave of SMSs, chat lines, TED, tweets (by means of which anybody, provided they are incompetent, can criticise or theorise about anything from religion to design), printed and/or built projects are the only remaining testimonials and/or means of education. Pay heed to the prophetic appraisal of Umberto Eco: no digital support will ever survive as long as even the most scantily printed matter. Wherever possible, avoid having a website. Only publish your own projects in books and magazines printed on paper. GREEN PEACE // Out in the natural desert, as in the artificial desert which will emerge from the environment and war apocalypses of the 21st century, the ecological balance is perfect: but in it there is no room for any life, particularly human life. Come up with everyday political solutions to the major issues of sustainability, act on the scale of each individual project – from useful objects to the city – saving as much energy and resources as possible. INFRASTRUCTURE AS ARCHITECTURE // Compared to the hypocritical green washing by which even major polluters hope to restore their virginity, truly hard technology could save the environmental balance. Major electricity suppliers or high-speed and mass public transport entreprises determine the “forma urbis” through their strategic decision-making, more than any city planning. Work with services industries to shape the neo-natural cityscape and land. Abandon the degree zero of design writing, rediscover a homely feeling to the design of infrastructures as the inhabitable architectures of democracy. 268 l’ARCA 7


Stefano CascĂŹani, ENJOY Y(OUR) LIFE, installazione permanente nella stazione Montenapoleone della Metropolitana Milanese, linea 3; mosaico di vetro, realizzazione Bisazza, 2005. Foto Donato Di Bello.

Stefano CascĂŹani, ENJOY Y(OUR) LIFE, permanent installation at Montenapoleone Underground Railway Station in Milan, line 3; glass mosaic, manufactured by Bisazza, 2005. Photo by Donato Di Bello.



Edificio in Via di Santa Sofia, angolo Corso Italia, Milano Building in Via di Santa Sofia, at the corner with Corso Italia, Milan

Due abitazioni vissute in tempi e modi diversi rimandano immagini della stabilità e del cambiamento, nell’equilibrio instabile di forme e materiali tra l’arte e il design di ricerca.

Case che ho abitato Homes where I used to live Pensare l’interno come un luogo di concentrazione psicologica, composto di oggetti d’affezione Thinking the interior of a house as a place for psychological concentration full of objects you are fond of

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Two homes inhabited at different times and in different ways evoke images of stability and change, amidst an unstable balance of forms and materials poised between art and experimental design. Stefano Casciani


Ho abitato molte case tra Roma, Milano e Zurigo, portandomi dietro ricordi da una all’altra, sempre pensando forse alla prima dove mi è capitato di vivere, di cui ricordo soprattutto un terrazzo grande con un glicine gigante arrampicato su una parete cieca e forse un gradino su cui devo essere inciampato correndo verso mia madre, che mi ha lasciato una microscopica cicatrice, o forse no. Le cose della vita hanno voluto poi che mi capitasse di scrivere molto di case, più degli altri che mie e infatti ancora adesso non ho una casa mia: del resto il bello di poter vivere in case d’altri è proprio di poter cambiare tutte le volte che viverci diventa insopportabile per le ragioni più diverse. E certamente non avere una casa di proprietà è servito a capire meglio perché le persone amano tanto invece averne una propria, dedicando ad essa, per esempio, tutta l’energia, la pazienza e l’introspezione psicologica che ci vuole per metter su casa insieme in due, per poi magari lasciarsi, anche per sempre, appena la nuova casa è finita. Anche a me è capitato di lasciare, per varie ragioni, la casa che si vede nelle pagine che seguono, da cui ho visto passare quattro o cinque anni di vita mia e della città che mi sono scelto per vivere: ed è forse la casa che finora mi ero messo in mente più che altre di “arredare”, ma non tanto con noiosi e interminabili schemini, perizie e rendering, quanto invece ricomponendo oggetti disegnati da me o da qualche vecchio amico che non c’è più e altri che ci sono ancora, piante bellissime trovate o regalate, e qualche piccolissimo quadro di artisti bravi. Non so se questa è la strada giusta per ricostruire oggi l’idea di abitazione, ma sicuramente portarsi dietro lampade, vasi, sedie, poltrone e tavolini da una casa all’altra come oggetti d’affezione, è più confortante che dover ogni volta ricominciare da capo con complicati disegni e consulenti: e se poi si ha la fortuna di poter vedere ancora dalle finestre qualche architettura amata, come è capitato a me con la Torre Velasca o la nuova Bocconi, allora ci si può sentire quasi a casa, perfino in una città che non è la propria, spesso soli o magari, a volte, per i casi della vita, perfino in due. I have lived in many homes in Rome, Milan and Zurich, taking memories with me as I moved from one to another, always thinking, perhaps, about the first place I happened to live, which I remember the most about for its large terrace with a huge Wisteria climbing up a blank wall and, possibly, a step that I think I tripped over once as I toddled towards my mother, which left me with a tiny scar, or perhaps not. It just so happened that I ended up writing a lot about homes, more about other people’s than my own and, indeed, even now I do not have a house of my own: in any case, the nice thing about being able to live in other people’s houses is the fact that you can move on whenever it becomes unbearable to live there any more, for any reason whatsoever. And, of course, not owning my own house has helped me understand better why people love owning their own house so much, dedicating, for example, all the energy, patience and psychological introspection required for a couple to set up home together, only perhaps then to leave each other, once and for all, as soon as the new house is ready. I, too, happened to leave the house you can see over the following pages, for a number of reasons, where I spent four of five years of my life in the city I chose to live in: and it is, perhaps, the house I planned, more than others, to “design”, but not so much based on endless, boring little diagrams, surveys and renderings as just by installing objects designed by me or some old friends who are either no longer with us or still around, wonderful plants I happened to come across or was given and some odd little painting by very good artists.

Foto di Matteo Cirenei (casa in Via Castelbarco) e Paola Bellani (casa in Corso Italia)

Photos by Matteo Cirenei (home in Via Castelbarco) and Paola Bellani (home in Corso Italia)

I do not know whether this is the right way to set about reconstructing the idea of inhabiting today, but bringing lamps, vases, chairs, armchairs and coffee tables with you from one house to another (as objects you are fond of) is certainly more consoling than having to start all over again from scratch each time, based on complicated drawings and with the aid of consultants: and then if you happen to be lucky enough to actually be able to glimpse some much loved work of architectur through the windows, as has been my case with the Velasca Tower and the new Bocconi building, then you can almost feel at home even in a city which is not your own, often living all alone or perhaps, sometimes, if that is the way life turns out, as a couple. 268 l’ARCA 11


a_ Acquistata per il soggiorno di Via Castelbarco, la lampada a sospensione Taraxacum, ricordo dell’amico Achille Castiglioni (per Flos, 1998), illumina ora l’ingresso della casa in Corso Italia.

b_ Un prototipo (1982) della chaise longue Genni di Gabriele Mucchi, disegnata nel 1935 per la Pino di Parabiago. Ne ho curato la riedizione per Aurelio Zanotta, quando ero il suo art director: da allora mi segue da quattro traslochi.

c_ Disegnati e fatti costruire da artigiani tra il 1989 (con Gabi Faeh) e il 2008, prototipi di vasi dalle forme geometriche ricorrenti, qui in ottone argentato o argento. A Milano li espone la galleria Rossella Colombari.

d_ Il prototipo di un divano per De Rosso (1995), di ispirazione de-costruttivista; esiste solo un’altra copia, dipinta da Franco Migliaccio con la ”Casa della felicità” di Mendini per Alessi.

e_ Il mio best-long-seller: apparecchio illuminante (qui a sospensione) della serie Aliante (20002003): un’unica scocca in alluminio, prodotto in USA da Susan Hakkarainen, con cui abbiamo inventato Ivalo Lighting, ora parte del gruppo Lutron.

f_ Carrello Trays: lo produce Kartell, è disegnato da Lissoni (2002), unico designer di cui uso i prodotti in casa. Serve, con un certo successo, come vivaio per le piante più piccole.

a b

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c


a_ Bought for the lounge in Via Castelbarco, the Taraxacum suspension lamp, calling to mind my friend Achille Castiglioni (for Flos, 1998), now lights up the entrance to my flat in corso Italia.

b_ A prototype (1982) of the Genni chaise longue by Gabriele Mucchi designed in 1935 for the Pino factory in Parabiago. I was responsible for the new version for Aurelio Zanotta, when I was his art director: since then it has come with four times when I have moved house.

c_ Designed and then constructed by craftsmen from 1989 (with Gabi Faeh) to 2008, prototypes of geometric-shaped vases, here made of silver-plated brass or silver. They are also on display at Rossella Colombari’s gallery in Milan.

d_ The prototype of a sofa designed for De Rosso (1995) along deconstructivist lines; there is only one other copy, painted by Franco Migliaccio with Mendini’s “Casa della felicità” for Alessi.

e_ My best-long-seller: a lighting appliance (here in the pendant version) from the Aliante range (2000-2003): one single aluminium frame, made in the USA by Susan Hakkarainen, with whom we invented Ivalo Lighting, now part of the Lutron Group.

f_ Dinner cart Trays: manufactured by Kartell, it is designed by Lissoni (2002), the only designer whose household products I actually like to use. It can also be used quite effectively as a nursery for smaller plants.

e f d

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a_ Si vedeva dalla cucina di Via Castelbarco, si vede da quella di Corso Italia: la Torre Velasca dei BBPR (1956-58), mutevole con la nebbia (tanta) e il sole (poco). Bisognosa di totale restauro, dal 2010 è in vendita dal gruppo Ligresti, il proprietario.

b_ NEWORLDISORDER, tappeto in lana 100 nodi editato da Post-design nel 2004; fabbricato in Nepal in una comunità di centinaia di artigiani (e famiglie). Sembra che in una casa di Parigi ce ne sia un esemplare ancora più grande (questo 220x220 cm).

c_ Vasi Doppiocono, in vetro e ceramica, della serie prodotta con Gabi Faeh (Gabi Faeh Edition 1990-1995). Qui sottoi con il Compasso d’Oro avuto nel 2001 per le “Lezioni di Design” di RAI-TV.

d_ Ghost Chair, una sedia in legno di frassino del 1994 realizzata nel 1994 per Sergio Calatroni, allora a.d. di un’azienda che non ha voluto produrla: schienale pontiano, ci ho scritto già tre libri.

e_ Per diversi anni (1984-2000) Zanotta ha prodotto la poltroncina Albertina (dall’Accademia di Vienna); aveva i colori di De Stijl, questo invece è un prototipo del 1983, con rivestimento dipinto a mano da Anna Lombardi.

f_ Falce e Martello, una serigrafia di Enzo Mari del 1972 (suo regalo di nozze) e- sotto - due disegni degli anni Venti, attribuiti a futuristi russi. Ricordano l’utopia dell’Avanguardia (operaia).

c

a b 14 l’ARCA 268


a_ I could see it from the kitchen in Via Castelbarco, I can see it from the kitchen in Corso Italia: Velasca Tower designed by BBPR (1956-58), changing with the (frequent) fog and (rare) sunshine. In need of complete renovation, it was put up for sale by the owners, the Ligresti Group, in 2010.

b_ NEWORLDISORDER, 100-knot woollen rug brought out by Post-design in 2004; made by a community of hundreds of craftsmen (and their families) in Nepal. Apparently there is an even bigger specimen in a house in Paris (this one measures 220x220 cm).

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c_ Doppiocono vases, made of glass and ceramics, from the range manufactured with Gabi Faeh (Gabi Faeh Edition 1990-1995). Here below with the ‘Golden Compass’ I was awarded in 2001 for “Lezioni di Design” on RAI-TV.

d_ Ghost Chair, a chair made of ash wood created in 1994 for Sergio Calatroni, who was then art director of a company which was not interested in manufacturing it: Ponti-style back, I have already written three books sitting on it.

e_ For a number of years (1984-2000) Zanotta manufactured the Albertina armchair (from the Vienna Arts Academy); it featured De Stijl colours, while this one is a prototype from 1983 with a covering hand-painted by Anna Lombardi.

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f_ Falce e Martello (Hammer and Sickle), a serigraphic print by Enzo Mari from 1972 (his wedding present) and - below – two drawings from the 1920s, attributed to Russian futurists. They call to mind the utopia of the (working class) Avant-garde.

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Michele Calzavara

Il sogno della macchina semplice The dream of the simple machine L’Art Direction per l’industria come narrazione: il caso Olivari tra cronaca, storia e prodotto Art Direction for industry as narrative: the case of Olivari in a mixture of story-telling, history and products

Forse non esiste, o non è mai esistito, un modus operandi univocamente definito nei rapporti tra direttore artistico e industria: sia che se ne interpreti il ruolo come “pilota di auto da corsa” (secondo Piero Lissoni) oppure come “capo giardiniere”, come ebbe a dire Ettore Sottsass, in un ricordo di Massimo Morozzi (e stiamo parlando dei più bravi), siamo però pur sempre abituati a una figura professionale che, partendo da un catalogo, un budget, un fatturato, sceglie, implementa, coordina e comunica la materialità delle “cose” di un’azienda. Il modo di Stefano Casciani è ancora diverso. Designer e scrittore, la sua è una direzione artistica più “morbida”, che estende quella materialità anche a una riflessione dell’azienda su se stessa, una nuova presa di coscienza della propria identità, che assume le forme di una narrazione. L’abilità di Casciani, in questo senso, è nota: il dato merceologico è sempre un pretesto per un discorso più ampio, un La all’orchestra della comunicazione per costruire una storia in cui il prodotto si inserisce come testimone dei tempi e delle vicissitudini di un’avventura, quella particolarissima del design italiano, che nel migliore dei casi si fa carico di tutta la cultura architettonica e industriale del nostro Paese. Così Casciani ha fatto, in passato, per Zanotta, Danese, Bticino, Boffi. Parlando dell’oggi, il suo lavoro degli ultimi due anni con Olivari è un altro caso paradigmatico. Industria che dalla sua fondazione, nel 1911, non ha mai smesso di dedicarsi con coerenza e ostinazione a un unico prodotto, la maniglia, Olivari ha accompagnato quasi “per mano” la storia dell’architettura italiana, offrendo il suo piccolo ma impeccabile tassello produttivo alle personali visioni dei progettisti con cui ha collaborato in un secolo di attività. E’ infatti “L’architettura presa per mano” il titolo del primo libro ideato e scritto da Casciani per Olivari (1992), dopo il quale l’azienda si è concentrata sull’arricchimento del proprio catalogo, aprendosi a collaborazioni con grandi firme internazionali. Quasi vent’anni dopo, in occasione del centenario dell’azienda ormai alla sua terza generazione imprenditoriale, Casciani riprende il filo del discorso nel quadro delle grandi sfide poste dalla globalizzazione, dai problemi di sostenibilità ambientale, e anche dalla crisi. E poiché è nei momenti di crisi che si guarda alla storia, nasce un secondo libro, “Macchina semplice”, in cui è ripercorsa tutta la storia materiale dell’azienda, sviluppata soprattutto nel racconto di un tema oggi particolarmente urgente, quello del rapporto tra design e architettura come terreno in cui, forse più saldamente, si possano individuare spiragli d’uscita dall’impasse della produzione: che troppo spesso ha sostituito il desiderio, inestinguibile motore d’innovazione, con la proliferazione del capriccio formale privo di una vera ricerca sottostante, tecnica o linguistica che sia. In quel “piccolo concentrato di grandi problemi” che è il prodotto Olivari, punto d’incrocio tra gioiello domestico (per Alessandro Mendini) come complemento del nostro paesaggio quotidiano e calligrafia (per Franco Raggi) come distillato del linguaggio di ogni singolo progettista, quel rapporto sembra 16 l’ARCA 268

sintetizzarsi molto bene. E’ in questo punto che il prodotto di design, nascendo per la (o nella) architettura come sua prima ragion d’essere – e come possibile veicolo di un più concreto processo industriale e commerciale – diventa parte di necessità e scenari più ampi, qui declinati in una vera e propria storia delle idee, quelle dei maestri dell’architettura italiana e internazionale (da Gio Ponti a Toyo Ito, dai BBPR a Shigeru Ban) che hanno contribuito alla costruzione del nostro mondo artificiale. Olivari ha da sempre accompagnato questa storia e Casciani ne ha fatto emergere tutta la portata, tracciandone il percorso a partire dai prodotti, riposizionando l’azienda con chiarezza nel mercato della cultura progettuale e dell’industria, esplorandone la cultura come intreccio di vite di imprenditori e di progettisti: per poi inventare – insieme ai fratelli Antonio e Carlo Olivari – accadimenti di comunicazione sotto un’unica regia editoriale. E’ così che, dal libro, nasce nel 2010 la mostra omonima presso lo Spazio Paradiso dei Giardini della Biennale di Venezia, con l’occasione della XII Mostra Internazionale di Architettura. Divisa in una parte storica, ritmata dalla stessa struttura narrativa del libro, e una più scenografica, dove i prodotti giocavano ironicamente nell’allestimento di Fabio Calvi e Paolo Brambilla, la mostra ha dato conto ulteriormente della complessità tecnologica, espressiva e imprenditoriale incorporata in tale piccola scultura d’uso quotidiano. Dal doppio registro di quella mostra, la sua riedizione alla Triennale di Milano – in questo aprile 2011, in occasione del Salone del Mobile – pone l’accento, significativamente, sul racconto storico, a sottolinearne la posizione baricentrica in tutto il lavoro di ridefinizione e messa a punto dell’immagine aziendale. E ancora, passando dal cartaceo alle nuove piattaforme editoriali, quel racconto è anche declinato nel formato digitale, in una vera e propria traduzione elettronica per iPad, facendo proprio uno strumento di velocissima e davvero globale comunicazione di contenuti anche molto sofisticati: che Olivari sceglie di utilizzare, ancora una volta prima tra le tante aziende che si affrettano a ridefinire la propria identità, sotto la pressione di una “storia” dell’industria che si avvera e trasforma ormai ogni giorno, sempre più diversa e contraddittoria, in un grande intreccio complicato, difficile e spesso violento. E’ in tale intreccio che, secondo Piero Lissoni, gli art director “definiscono una ritualità che diventa il linguaggio del progetto. Questa ritualità comprende tutto: dalla scelta e messa a punto dei prodotti alle modalità con cui questi vengono comunicati. Senza prodotti, però, non può esserci immagine”. A questo Casciani sembra aggiungere: “Senza racconto, non può esserci prodotto”, facendo così di quei prodotti i personaggi parlanti di un’unica e complessa sceneggiatura, in un diverso modo, “leggermente venato di un romanticismo utopico”, che è un sano anticorpo contro il cinico disincanto dominante.


Stefano Casciani e Antonio Olivari nella conversazione ”Industrie parallele” con Alberto Alessi, per il libro “Macchina semplice”, marzo 2010. Foto Mario Ermoli. Stefano Casciani and Antonio Olivari conversing about “Parallel Industries” with Alberto Alessi for the book entitled “Macchina semplice” (Simple Machine), March 2010. Photo by Mario Ermoli.

Un particolare della mostra “Macchina Semplice” curata da Casciani allo Spazio Paradiso dei Giardini della Biennale, (agosto/ settembre 2010), con la sezione storica nella parte dedicata a Ignazio Gardella e a Gio Ponti, designer delle maniglie Cono e Lama (ancora in produzione). A detail from the “Simple Machine” exhibition under the curatorship of Casciani held in Spazio Paradiso in the Biennial Gardens (August/September 2010), with the historical section in the part dedicated to Ignazio Gardella and Gio Ponti, designers of the Cono and Lama handles (still being manufactured). Foto/Photo Filippo Bamberghi.

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La sezione storica della mostra Olivari a Venezia, nella parte dedicata a Giorgetto Giugiaro, con la maniglia in resina Pitagora (1985). Pagina a destra, sopra, vetrina con diverse fasi di lavorazioni di una maniglia Olivari in ottone cromato. Foto/Photo Filippo Bamberghi.

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The historical section of the Olivari exhibition in Venice, in the area dedicated to Giorgetto Giugiaro, showing the Pitagora handle (1985). Right page, above, a display of various stages in the production of a Olivari handle of chromeplated brass.


Qui sotto, il volume “Macchina semplice. Dall’architettura al design, 100 anni di maniglie Olivari”, pubblicato in occasione del centenario della fondazione dell’azienda. Il progetto grafico è di Luigi Fiore per Skira, gli schizzi in copertina sono (in senso orario, da sinistra in alto) di Enzo Mari, Alessandro Mendini, Daniel Libeskind e Vico Magistretti, Rodolfo Dordoni.

Below, the book entitled “Macchina semplice. Dall’architettura al design, 100 anni di maniglie Olivari”, published for the centenary celebrations of the company. The graphic design is by Luigi Fiore for Skira and the sketches shown on the cover are (clockwise, from left upwards) by Enzo Mari, Alessandro Mendini, Daniel Libeskind and Vico Magistretti, Rodolfo Dordoni.

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La grafica per la comunicazione della mostra “Macchina semplice” a Venezia è stata curata da Federica Roncaldier e Alexander Wohlrab, con l’art direction di Stefano Casciani: in questa pagina, l’annuncio per ACTV. Sotto, l’ingresso alla sezione dei prodotti.

Perhaps there is no such thing, or never has been, as a modus operandi constructed solely around interaction between an art director and industry: regardless of whether he interprets his role as a “racing car driver” (according to Piero Lissoni) or as a “head gardener”, as Ettore Sottsass once said, as Massimo Morozzi recalls (and we are talking about the very best ones) , we are nevertheless quite familiar with a kind of professional, who, working around a catalogue, budget and sales output, selects, implements, coordinates and informs people about the material side of a company’s “things”. Stefano Casciani’s way of operating is quite different. As a designer and writer, his artistic direction is “softer”, even extending to the company’s own thoughts about itself, a new awareness of its own identity which takes on the forms of a narrative. In this respect Casciani’s ability is well known: the history and reality of production is always a pretext for much broader discourse, the note “La” offered to the orchestra of communication for constructing a story in which the product bears testimony to its own times and the vicissitudes of that very special adventure known as Italian design, which, in the best of cases, takes on the entire burden for architecture and industry in our country. In the past Casciani’s has done this for Zanotta, Danese, Bticino and Boffi. Returning to the present day, his work over the last two years with Olivari is another paradigmatic case. Ever since it was originally founded in 1911, this company has constantly and obstinately focused on one single product: handles. Olivari has virtually taken the history of Italian architecture “by the hand”, offering its own small but impeccable manufacturing contribution to the personal visions of the designers with whom it was worked over a century’s business enterprises. And indeed “L’architettura presa per mano” (Taking Architecture by the Hand) is the title of the first book Casciani devised and wrote for Olivari (1992), following which the company concentrated on enriching its own catalogue, setting up important collaborations with big design authors on the international scene. Almost twenty years later, in conjunction with the centenary celebrations of a company (founded in 1911) which has now reached its third generation of business entrepreneurs, Casciani is again picking up the thread of this discourse within the framework of the challenges being posed by globalisation, issues connected with environmental sustainability, and even the economic recession. Since it is during crisis periods that we look to history, a second book by Casciani is being published entitled “Macchina semplice” (Simple Machine), which retraces the company’s entire background and history, mainly focusing on a particularly urgent issue nowadays, the question of how design is related to architecture as a field where, perhaps, we can now find some signs of a way-out from the current turndown in production: which, too often, has replaced desire, the relentless driving force behind innovation, with “caprice”, an excess of stylistic whimsicality lacking any real underlying research, either technical or linguistic. This relationship seems to be neatly encompassed in that “little core of major issues” represented by Olivari’s range of products, a crossroads between “domestic jewels” (as Alessandro Mendini described them) providing accessories for our everyday environment and “calligraphy” (according to Franco Raggi) as an embodiment of the language of all individual designers. This is the point at which the product of design, devised for (or within) architecture as its primary reason for being – and a possible vector for a more concrete industrial and commercial process – becomes a necessity and part of wider scenarios, here set down as an authentic history of ideas, those of the masters 20 l’ARCA 268

The graphics for the “Simple Machine” exhibition in Venice were the work of Federica Roncaldier and Alexander Wohlrab under the art direction of Stefano Casciani; this page, the advertising for ACTV. Below, the entrance to the product section of the exhibition.

of Italian and international architecture (from Gio Ponti and Toyo Ito to BBPR and Shigeru Ban), who have all helped construct the artificial world in which we live. Olivari has always moved hand-in-hand with these historical developments and Casciani has really brought its true scope to the fore, tracing its progress based on its products, carefully repositioning the company on the market of design and industry and exploring its culture as a weave of businessmen and designers: ready to invent – together with the brothers Antonio and Carlo Olivari – communication events under the guidance of a united cultural direction. So, in 2010, the book led to an exhibition of the same name held in Spazio Paradiso in the Gardens of the Venice Biennial in conjunction with the 12th International Architecture Exhibition. Divided up into a historical section, geared to the book’s narrative structure, and a more visual section, in which the products played their own ‘ironic’ role in the installation designed by Fabio Calvi and Paolo Brambilla, the exhibition paid further tribute to the technological, stylistic and entrepreneurial complexity incorporated in this small sculpture for everyday usage. The exhibition’s two-folded approach will be reproduced at the Milan Triennial – during the Furniture Show taking place in April 2011 – focusing, most significantly, on historical narrative, in order to emphasise its central role in all the work carried out to revamp and redevelop the company’s corporate image. And moving on from print to new publishing platforms, the story is also being told in digital format, a proper electronic translation for iPads, drawing on a high-speed tool for the genuinely global communication of even highly sophisticated content: which Olivari has chosen to use, once again one of the very first of all the companies busy redefining their own identity under pressure from the “history” of industry as it unfolds and progresses on a day-to-day basis, increasingly diverse and contradictory, as part of an intricate, tricky and often violent web of events. According to Piero Lissoni, it is within this web that art directors “define a kind of rituality which turns into the project’s own idiom. This rituality encompasses everything: from selecting and developing products to the ways in which these products are communicated. Without products, however, there can be no image”. Casciani seems also to be adding that: “Without a story, there can be no product”, turning these products into the talking characters in one single and complex script, in a different way “slightly tinged with utopian romanticism”, which provides healthy antibodies against the cynical disenchantment currently dominating the design scene.


In questa pagina, il “caleidoscopio” formato dalle immagini riflesse della maniglia Tebe di Alessandro Mendini. Foto Filippo Bamberghi.

This page, the “kaleidoscope” formed out of reflected images of the Tebe handle designed by Alesandro Mendini. Photo Filippo Bamberghi.

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Dal design all’architettura per l’industria From design to industrial architecture

Stefano Casciani

Un progetto di Piero Lissoni per Matteo Grassi come relazione esemplare tra design e architettura A project by Piero Lissoni for Matteo Grassi as an exemplary relationship between design and architecture Foto di Giovanni Gastel

Non lo dico con ironia: gli oggetti di Lissoni sono tra i pochi che volentieri metterei in casa, se dovessi prima o poi avere una casa mia. Tanto forte è la simpatia che si è creata tra questo designer che una volta non mi piaceva e i suoi produttori, tanto ha funzionato il loro tandem di scalatori della montagna del successo, che la loro storia d’amore può aiutare anche a capire come Lissoni si è evoluto da designer in architetto, che si preoccupa di strutture, volumi, aggetti, vuoti e pieni, chiaroscuri, masse e trasparenze. La mia impressione è che “per forza di levare” materia, e perfino forma, da divani, maniglie, cucine, sedie, caffettiere, carrelli, tavoli, librerie, mensole, la sua natura di costruttore artigiano si sia sviluppata e raffinata sempre di più. La parola artigiano è importante per diverse ragioni, la più importante è che in essa è nascosta – oltre naturalmente alla radice art – l’idea che ogni volta che si affronta la fabbricazione di un nuovo pezzo, sia esso un bel mocassino o un grattacielo di trenta piani, se si è veramente bravi si cercherà di metterci dentro una qualche invenzione, o novità, o anche solo un perfezionamento. Così che quel nuovo singolo oggetto, oltre a risultare unico, contenga contemporaneamente tutta la sapienza di chi lo sta facendo e di quelli che sono venuti prima di lui - magari indietro fino a chi ha forgiato lo scudo di Achille, o un po’ meno indietro, ai costruttori massoni delle cattedrali in Francia – ma che comunque faccia sentire parte chi realizza di una magia del fare creativo che ha relativamente poco a che fare con i budget e le Sovrintendenze, con i piani marketing e le licenze di costruzione: e per quello è magica. (…) Durante una delle nostre chiacchierate, non tanto tempo fa, mi è sembrato dunque che venisse fuori una buona intuizione di Lissoni, che riguarda proprio il suo fare architettura come potrebbe farla un artigiano, mettendo progressivamente insieme pezzi di saggezza sperimentata e intuizioni del momento, qualche voglia a lungo repressa e che trova finalmente occasione di esprimersi, e ogni tanto un committente che si assume in pieno il suo ruolo di padre dell’architettura, per dirla con Filarete. Naturalmente, visto che ogni progetto, ogni progettista e ogni committente sono uno diverso dall’altro, la bravura sta nel fatto d’inventarsi ogni volta un modo differente, non necessariamente nuovo, di mettere insieme tutte le tessere del puzzle complicato che è costruire edifici, specialmente se qualcuno deve abitarci dentro, magari per tutta la vita. Così, ad esempio, deve essere stato ancora l’allenamento da designer per aziende fortunatamente ancora legate a un briciolo di artigianalità, a fare in modo che lavorare con il limitato catalogo di materiali che compongono l’architettura (in confronto alla loro infinità di cui è fatta la produzione industriale) sia stato, sia, per Lissoni molto più semplice: o meglio, che la sfida a comporre un edificio con pochi materiali (acciaio, cemento e vetro), come scrivere un poema con sole cento parole o come musicare una samba con una nota sola, sia stata una sfida molto più gratificante che divertirsi a scegliere il materiale più adatto a un nuovo oggetto o ad inventarsene addirittura uno nuovo, magari solo per rendere più simpatico uno scopino per il cesso. da/from, AA.VV, Piero Lissoni. Recent Architecture, Hatje Cantz, Berlin 2010 22 l’ARCA 268

I am not being ironic but I have to admit that Lissoni’s creations are among the few I would place in the house I may one day own. The bond between the designer I once disliked and the manufacturers is so strong, their partnership as climbers on the mountain of success has worked so well that their love story can also help understand how Lissoni has evolved from designer to architect, concerned with structures, volumes, overhangs, voids and solids, chiaroscuri, masses and transparencies. My impression is that by stripping material and even form from sofas, handles, kitchens, chairs, coffee makers, trolleys, tables, bookcases and shelves, his nature as artisan constructor has developed and refined yet more. The word artisan is important for a variety of reasons but principally because, besides the root art, it includes the idea that each time you tackle the manufacture of a new piece, be it a beautiful moccasin or a thirtystorey skyscraper, if highly skilled you will always try to introduce some innovation or novelty, or simply an enhancement (an improvement, the old functionalists, the saviours of Humanity would have said). In this way that individual new object, besides becoming something unique, simultaneously contains all the knowledge of the person creating it and those before him – maybe even back to the smith who created Achille’s shield, or a little less far back to the masons who constructed the cathedrals in France. This allows the producer to feel a part of the magic of being creative, a process which has relatively little to do with budgets, planning offices, marketing plans and planning permissions and for this it is magic. (…) Not long ago, during one of our conversations, I gained some insight into Lissoni concerning precisely his practising architecture as an artisan would, progressively putting together pieces of tried and tested wisdom and spur of the moment intuitions, a long repressed desire which finally has the opportunity to express itself and every now and again a client who fully assumes his role as a father of architecture, to quote Filarete. Naturally, seeing that each project, each designer and each client is, or should be, distinct one from the other, the skill lies in coming up with a different though not necessarily new way each time, putting together each piece of that complicated jigsaw which is constructing buildings, especially when people must live there perhaps for their entire life. So, for example it must have again been his training as a designer for companies which luckily still conserved an essence of artisanship that made working with the limited range of materials available in architecture, as against the innumerable choice in industrial production, a great deal simpler for Lissoni. One could go further and say that the challenge of putting together a building with just a few materials such as steel, cement and glass, like writing a poem with just one hundred words or playing the samba with just one note, is a much more rewarding challenge than amusing oneself by choosing from a vast range of materials or inventing new ones, maybe only in order to make a toilet brush more attractive.


La nuova sede centrale Matteo Grassi è uno dei progetti selezionati per il libro Recent Architecture, dove Lissoni e Gastel (piÚ famoso come fotografo di moda) hanno collaborato alla ricerca di una nuova immagine del costruire.

The new Matteo Grassi Headquarters is one of the projects presented in the book Recent Architecture, a collaboration of Lissoni and Gastel (already famous as a fashion photographer) to define a new image for building.

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La velocità della costruzione è stata facilitata dall’impiego di elementi costruttivi seriali e modulari. Gli affacci degli uffici sono rivestiti da una pelle di policarbonato, traslucido ma non trasparente. Sulle pareti laterali si aprono grandi finestre. La costruzione di giorno si mostra come struttura leggera, opaca, che riflette la luce solare. Di notte è un contenitore splendente che irradia luce dall’interno, ma lascia intravedere la struttura in acciaio dietro il policarbonato. Gli effetti luminosi sono sottolineati dal contrasto con i muri perimetrali dell’edificio principale, in cemento non trattato.

The use of mass-produced and modular elements speeded up construction of the new Matteo Grassi headquarters. The fronts of the office spaces are constructed out of polycarbonate sheets, translucent but not transparent. The side walls of the rooms have large windows. During the daytime, the building is a light, opaque mass reflecting the sunshine: at night-time it is a luminous container that glows from within, but also provides a glimpse of the steel construction behind the polycarbonate. The peculiar lighting effects are underscored by the contrasting exterior walls of the main building made of untreated concrete.

Sede centrale/ Headquarters e/and showroom Matteo Grassi, Giussano, 2008-2010. Architetto Piero Lissoni, con Paolo Volpato (Project Architect), S. Lorenzi, H. Makino, Alberto e Alessandro Massi Mauri, C.Vedovello.

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Disegnare l’oggetto Designing the object L’ “oggetto”, come è inteso in italiano – cosa astratta e insieme concreta – in molte lingue non ha corrispettivi: eppure la sua rappresentazione, il disegnare la sua essenza in ogni nuovo progetto, rimane problema centrale e universale di ogni progettista. Qui una raccolta di disegni e still life propone una personale interpretazione estetica della sua immagine: con un testo critico di Alessandro Mendini.

Un designer critico Quello che più attira negli oggetti di Stefano Casciani non è la loro fisicità, ma proprio invece la loro astratta e metafisica essenza. In un mondo che, oggi, in genere produce oggetti privi di pensiero e di ragionamento, quelli di Stefano si pongono invece come oggetti pensanti, addirittura pensierosi e comunque pieni di racconto. Essi non si esplicitano attraverso la loro diretta e reale visione, ma attraverso la loro indiretta rappresentazione. Sono la natura morta di sé stessi, così come le bottiglie pitturate da Morandi stanno alle corrispondenti bottiglie reali. Questa fisicità mediata, questo purismo trasmesso per icone esprime e descrive molte cose, e per essere interpretato e visto deve essere letto e pensato oltre che guardato. Gli oggetti di Casciani escono da sé stessi e ci conducono nei mondi della storia, delle nostalgie umane, dei ricordi di vita personale, delle teorie, delle utopie politiche e formali, degli omaggi alle persone care, per poi tutti subire un processo di purificazione concettuale: Chi è un artista? Qualcuno che dice una bugia per dire la verità. Allora io mescolo le bugie dell’industria con la verità delle persone. Ma chi sono le persone? Io non lo so. egli dichiara. Sta in questo raggelato ma pure accorato intellettualismo il fascino composto dei suoi vasi, delle spirali, dei mobili, dei quadri fotografici: colti, attenti, cerebrali, non seduttivi, come se fossero indifferenti 26 l’ARCA 268

alla materia di cui sono fatti (vetro, ceramica, metallo) e fossero invece tutti fatti con un indefinibile materiale classico e pastoso, come certi prototipi di Brancusi, del Bauhaus o dell’arte concreta. Del resto ogni metafisica delle avanguardie storiche, per essere interpretata e vista, deve prima essere letta e pensata, e solo dopo guardata. Questa quasi nascosta collezione di forme, come suggerisce Pierre Restany, è raccolta in un privatissimo giardino segreto, un puzzle di monumenti personali, di rigorose meraviglie, condotta sul filo del riserbo, dell’enigma, dell’isolamento, dell’eleganza. La posizione di Casciani è elitaria e radicale, perché propone e teorizza la solitudine come fondamento della moralità del design: il progettista creativo che da solo (cioè senza il tramite dell’industria) non solo realizza oggetti per trasmettere direttamente la propria poetica, al di fuori dell’intermediario, ma addirittura con l’ambizione di modificarne gli orientamenti: Gli industriali vengono da me e mi chiedono di dire alla gente chi sono loro. Ma loro non sanno chi sono. Vogliono che io dica chi sono. Ma io non so chi sono. Così lo chiedo a loro. Ma non lo sanno. Allora invento. (…) Alessandro Mendini da, Stefano Casciani. Monuments. Oggetti e Soggetti 1979-2003, Associazione DaneseVodoz, Milano 2003, ora in Flaneur. Scritti sparsi d’architettura, arte e design, Skira, Milano 2011


In queste pagine, da sinistra a destra: Due vasi in ceramica “Doppiocono”, 1993, foto Mario Ermoli; Spirale per “Gulf War Monument” (dettaglio), 1993, foto Salvatore Licitra; “LEF on the mountains”, olio su tela, per scatola “Liberté Egalité Fraternité”, 1993; “Lampada di Panarea”, gouache su carta giapponese, 1995; studio per poltroncina Albertina (disegno di Carla Ceccariglia), 1983/4.

These pages, from left to right: Two “Doppiocono” ceramic vases, 1993, photo by Mario Ermoli; Spiral for “Gulf war Monument” (detail), 1993, photo by Salvatore Licitra; “LEF on the mountains”, oil on canvas, for “Liberté Egalité Fraternité” box, 1993; “Lampada di Panarea”, gouache on Japanese paper, 1995; study for Albertina armchair (drawing by Carla Ceccariglia), 1983/4.

The Italian notion of an “object” – something simultaneously abstract and concrete – has no corresponding word in many languages: and yet representing it, designing its essence in each new project, still remains a key, universal issue for all designers. Here a collection of drawings and still lives provides a personal aesthetic rendering of its image: with an accompanying critical text by Alessandro Mendini.

A critical designer The most striking thing about the objects designed by Stefano Casciani is not their physicality, but precisely their abstract and metaphysical essence. In a world that today generally produces objects without rhyme or reason, Stefano’s are on the other hand stated as thinking, positively thoughtful objects, with a rich story to tell. They do not fully reveal themselves by direct and real appearance, but rather through their indirect representation. They are still-lives of themselves, just as the bottles painted by Morandi relate to their corresponding real bottles. This mediated physicality, the purism conveyed through icons expresses and describes many things. To be interpreted and seen it needs to be read and thought about, as well as looked at. Casciani’s objects emerge from themselves and lead us into the realms of history, human nostalgia, recollections of personal life, theories, political and stylistic utopias, and even tributes to people we hold dear; after which they are all put through a process of conceptual purification: Who is an artist? Somebody who tells a lie to tell the truth. So I mix the lies of industry and truth of people. But who are people? I don’t know. So he says. In this frozen but melancholic intellectualism lies the composed charm of his vases, spirals, furniture and photographic paintings: erudite, attentive, highbrow and not seductive, as if they were indifferent to the material out

of which they are made (glass, ceramics, metal) and were instead all made of some indefinably classic, pasty material, like certain prototypes by Brancusi, Bauhaus or Concrete Art. After all, the metaphysics of the historical avant-gardes must first be read and thought about in order to be interpreted and seen, must first be examined and pondered, and only later actually looked at. This almost hidden collection of forms, as Pierre Restany suggests, is kept in a very private secret garden, a puzzle of personal monuments and rigorous wonders, joined by a thread of discretion, enigma, isolation and elegance. Casciani’s position is elitist and radical, because it proposes and theorises solitude as a foundation for the morality of design: the creative designer who on his own (i.e. without the helping hand of industry) does not just create objects in order to directly convey his own poetics, beyond the intermediaries, but with the ambition to alter their bearings: Industrialists come to me and ask me to tell people who they are. They do not know who they are. They want me to tell them who they are. But I do not know who they are. So I ask them, but they do not know. So I just invent. Alessandro Mendini From, Stefano Casciani. Monuments. Oggetti e Soggetti 1979-2003, Associazione DaneseVodoz, Milan 2003, now published in Flaneur. Scritti sparsi d’architettura, arte e design, Skira, Milan 2011

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Apparecchi illuminanti (sospensione e a parete) della serie Aliante, 2000/2001, esposti alla mostra “Monuments” nella Fondazione Danese/ Vodoz, Milano 2003; sviluppo e produzione Ivalo Lighting (ora gruppo Lutron), Coopersburg, Philadelphia. Foto/Photo by Donato Di Bello.

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Lighting appliances (pendant, wall sconce), Aliante range, 2000/2001, in the “Monuments” exhibition at the Danese/ Vodoz Foundation, Milan 2003; development and manufacturing by Ivalo Lighting (Lutron Group), Coopersburg, Philadelphia.



Con il fotografo Mario Ermoli abbiamo realizzato anni fa alcune opere sul tema dell’oggetto, drammatizzato nel contesto di temi di grande durezza. In questa pagina, sopra, NEWORLDISORDER (Give us weapons to fight) del 1994, riferito al martirio di Croati e Bosniaci torturati e uccisi dai Serbi nel lager di Manjaka (1992-1995).

A few years ago, in partnership with the photographer Mario Ermoli, we created some works on the subject of an object, rendered more dramatic by being incorporated in some really tough topics. This page, above, NEWORLDISORDER (Give us weapons to fight) from 1994, referring to the martyrdom of Coats and Bosnians tortured and murdered by Serbs in the Manjaka concentration camp (1992-1995).

“Emerald Green Leaf Eyes” (right page) is a round tarsia of wooden inlays designed for the “Quali Cose Siamo” exhibition at the Triennale Design Museum in Milan (2010-11); it is part of a set of eleven designs made by Colombo Stile for Domus (nr. 935-945), transpositions of research drawings. On this month’s cover of l’Arca, my “Third Eye” is a detail of the round tarsia.

Nel 1997, le vetrerie Salviati hanno chiesto a un gruppo di designer proposte di nuovi oggetti per la tavola. Questa è una delle quattro o cinque idee, disegnate nella primavera di quell’anno, a cui Salviati era interessata, ma nessuna sviluppata per la produzione. In 1997 Salviati glassworks asked a team of designers to come up with new table objects. This is one of the four or five ideas designed in the spring of that year, which Salviati took an interest in but none of which were actually brought into production.

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“Emerald Green Leaf Eyes” è un tondo ad intarsi di legno per la mostra “Quali Cose Siamo” al Triennale Design Museum di Milano (2010-11), parte di una serie di undici realizzati da Colombo Stile per Domus (n.935945), trasposizioni di altrettanti disegni di ricerca. Nella copertina di questo numero de l’Arca, il mio “terzo occhio” è un dettaglio del tondo.

Come designer ho più successo progettando lampade: qui sopra, un cartoncino con schizzi per Luna, piantana con diffusore e base in alabastro realizzata da Terzani come prototipo per “Catalogo Armonia” (1991). ICHLIEBEDICH (1994) disegna invece, ad acquerello e stampante inkjet, un’idea concettuale sull’amore.

As a designer I am more successful at designing lamps: above, a card pad showing sketches for Luna, a standard lamp with a diffuser and alabaster base manufactured by Terzani as a prototype for “Catalogo Armonia” (1991). ICHLIEBEDICH (1994) is, on the other hand, a water-colour and inkjet rendering of a conceptual idea about love.

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Due o tre cose che so di design Two or three things I know about design Progettati come oggetti, scritti come racconti, pubblicati come prodotti: alcuni libri 1984/2011 Designed as objects, written as stories, published as products: selected books from 1984/2011

LIBRI/BOOKS 1984-2011. Mobili come architetture/ Furniture as Architecture, Arcadia 1984-88; S.A.D. Arte e design per gli anni 90, Campanotto 1987; Arte Industriale/Industrial Art, Arcadia 1988; Design in Italia 1950-1990, Politi Editore 1991; This was Tomorrow, Gruppo GFT 1992;

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L’architettura presa per mano/ Taking Architecture by the Hand, Idea Books 1992; La fabbrica dell’arte/ Italy, the Art Factory, Abitare Segesta 1996; Il sogno del comando/ Dreams of Power, Bticino 1995;

Design italiano nei musei del mondo/Italian Design in the World’s Museums, Abitare Segesta 1998; Ettore Sottsass, Facce/Faces, Editoriale Domus 2005; Monuments. Oggetti e soggetti / Objects and Subjects, 1979-2003, Fondazione Danese-Vodoz, 2003; Pierre Restany, il critico come artista / The Critic who was an Artist, Editoriale Domus 2005;

Liquid Space. 70 anni di design , Electa 2006; Costruire la città dgli scambi/ Building the City of Exchange, Editoriale Domus 2005; Un cuore di cristallo per Milano/ A Crystal Heart for Milan, Editoriale Domus 2008; Flâneur. Scritti sparsi di architettura, arte e design, Skira 2011.


Prove di disegno Design proofs Esercizi grafici sulla parola (la stessa) per lo strumento, il concetto, il progetto che genera ogni oggetto Graphic exercises on the word (always the same) for the tool, concept and design of any object

O

DISEGN

D I S E G N O

Grazie a / Thanks to Andrea Basile

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34_35_INTRO_268:Articoli 23/03/11 11:25 Pagina 34

Maurizio Vitta

IL DESIGN DELL’ESTETICA DESIGN OF AESTHETICS L’estetica ha cominciato a occuparsi del design nel momento in cui il design non era già più quello di cui essa avrebbe voluto occuparsi, e lo ha fatto oltretutto mantenendosi a una cauta distanza dagli oggetti e dai prodotti, interessata a quanto pare più all’alone semantico della parola che al suo concreto significato. Ritardo storico e fraintendimento culturale hanno perciò deviato le sue avare ricerche verso orizzonti alquanto fumosi, nei quali il “design” – termine di per stesso ambiguo e inconsistente – ha finito con l’assumere connotati inquietanti o fascinosi, ma in ogni caso evanescenti. All’inizio, negli anni Settanta del XX secolo, si è preso insistentemente a parlare di una “esteticità diffusa”, che si riferiva alla crescente importanza assunta dalla crescita dei consumi nella società di massa. Renato Barilli condensò allora il senso di quella idea parlando di “incontro-scontro” della cultura col mondo, di una “processualità” che si sviluppa tanto “su strati ideazionali”, quanto “su strati materiali (economia, produzione, lavoro, o tecnologia)”, il che avrebbe condotto a una sorta di espansione dell’arte fino a comprendervi modelli rappresentativi e formali appartenenti all’area del progetto, della comunicazione, dell’utilità quotidiana. Nel concetto di “esteticità diffusa” si poteva cogliere, al di là delle sue nebulose e incerte enunciazioni, la consapevolezza che le forme primarie della nostra esistenza collettiva – il gusto, la sensibilità estetica, il senso dello stile – non erano più plasmate soltanto da un’arte che al suo apice poteva imporsi come “bella”, ma venivano per lo più forgiate nel corso di un’esperienza quotidiana nella quale il contatto con gli utensili, gli strumenti, gli apparati tecnologici, gli oggetti d’uso comune risultava decisivo. Per quanto ancora informe, la teoria dell’”esteticità diffusa” aveva almeno il pregio di aprire la riflessione estetica su scenari nuovi, nei quali al design toccava un ruolo cruciale proprio grazie alla capillarità della presenza degli oggetti progettati e prodotti serialmente nel nostro panorama quotidiano. In seguito, però, questa connotazione delle “cose” colte nella loro pragmatica concretezza, come elementi insostituibili di mediazione con il mondo, è definitivamente sfumata nell’analisi di Jean Baudrillard, per il quale “l’oggetto non è una cosa, e neanche una categoria, ma uno statuto di senso e una forma”, il che lo ridurrebbe, attraverso una “(dis)articolazione semiologica”, in puro “segno”, ovvero in una presenza fantasmatica, nella quale la materia, la struttura tecnica, la funzione stessa sarebbero destinate a dissolversi. Il design, in questa prospettiva, si rivelava quindi come un semplice passaggio d’ogni cosa “allo statuto di segno”: l’oggetto, divenuto semplice “simulacro” di se stesso, si trasformava in un inconsistente ectoplasma evocato da un design ridotto al ruolo di medium da seduta spiritica. Che questa teoria fosse legata a un’economia neocapitalistica fondata sul consumo e ancora ignara della crisi che l’avrebbe di lì a poco devastata apparve chiaro negli studi successivi di Baudrillard, che definivano il design come “calcolo logico dei segni”. In essi, però, egli si è spinto ancora oltre, fino a toccare, nelle ultime opere, il limite di un vuoto cosmico, nel quale la realtà svapora definitivamente nella sua simulazione: “il simulacro non è ciò che nasconde la verità, ma ciò che nasconde l’assenza della verità”. Il che lo ha indotto da ultimo a sostenere l’idea che nel “trionfo del design” sia da leggere il “grado zero del Dasein”, vale a dire l’azzeramento dell’esserci, dell’esistere. Nonostante i loro toni apocalittici, queste idee sono rimaste un punto di riferimento privilegiato delle analisi – scarse – che l’estetica ha in seguito dedicato al design. Naturalmente si registrano delle correzioni di metodo. Così, mentre Robert Kurz ha di recente indicato nel design una semplice “estetica della merce”, che appartiene al marketing in 34 l’ARCA 268

quanto mira a “caricare la nullità totale del contenuto” degli oggetti “con un’aura di significato secondario”, ossia con la semplice “immagine della merce”, Jacques Rancière si è spinto fino a proporre un paragone fra Mallarmé e Peter Behrens, sostenendo che il design di questo, proprio come la poesia di quello, mirava a offrire alla comunità una “unità spirituale”, e che l’obiettivo di Behrens era non tanto quello di progettare un singolo oggetto, ma di creare, attraverso la serialità della produzione, un certo numero di forme “tipiche”, destinate a dar vita a un vero e proprio “ambiente”. Su questa prospettiva si è collocato di recente anche Gernot Böhme, il quale ha indicato all’estetica tre campi di riferimento, vale a dire la natura, l’arte e “la sfera del design” – intendendo però per “design” un generico “lavoro estetico in riferimento all’estetizzazione del mondo della vita”, in cui egli comprende “la preparazione, l’allestimento e, vorrei dire, la messa-in-scena di tutto ciò con cui e in cui viviamo”. Forma, immagine, simulacro, ambiente, messa in scena: il design si identifica, per l’estetica contemporanea, con il suo fantasma. Ma fantasma di che cosa? La tendenza sembrerebbe quella di far precipitare in quella paroletta, che dovrebbe, in generale, indicare il “progetto”, non solo tutti gli artefatti concepibili, ma anche tutte le strategie messe in atto per moltiplicarne il consumo. Fraintendimento fatale: se si parla di tutto, si finisce col parlare di niente. Per di più, ciò che genericamente si fa passare per “design” ha subìto e sta subendo trasformazioni rapidissime, che riguardano le modalità progettuali, le tecniche produttive, i comportamenti di consumo, le inclinazioni del gusto. Non c’è più il “disegno industriale” moderno, ma non c’è ancora un vero e proprio “disegno postindustriale”. La forma sostituisce la funzione, la quale si impone però sotto altra forma. Contrariamente a quanto suppose Baudrillard, il Design non sostituisce il Dasein, l’esistere, ma semplicemente ne interpreta le trasformazioni. Questi sviluppi esigono un radicale spostamento del punto di vista. Per riflettere su queste nuove problematiche, l’estetica non deve accontentarsi, come fa, di tornare all’aisthesis originaria, alla sensazione che dà vita alla sensibilità e al sentire, ma deve prendere atto che il mondo, il reale, sono ancora composti di corpi, materie, oggetti concreti, la cui presenza è assicurata da un progetto – il design, finalmente! – che ne garantisce la produzione e il consumo secondo regole di economia condivise. Solo se il design verrà assunto per quello che è – la progettazione formale di un oggetto dotato di un corpo tecnico e funzionante in vista di un uso predeterminato – sarà possibile affrontare tutte le tematiche che da questo carattere fondativo via via si sviluppano – apparenza, bellezza, immagine, desiderio, rappresentazione, simbolizzazione. È in questo schema che va ricercato quel “principio di rappresentazione del reale” di cui Baudrillard lamentò la scomparsa proprio mentre sotto i suoi occhi esso si ricomponeva nel suo aspetto nuovo, quantunque dai contorni ancora incerti. Il punto di vista dell’estetica sul design deve essere quindi capovolto: invece di soffermarsi sulla “estetizzazione del reale” in tutte le sue possibili forme bisognerebbe concentrarsi sulla realtà dell’estetica; anziché parlare di “estetica del design” si dovrebbe proporre un “design dell’estetica”, un nuovo progetto culturale che metta a punto apparati concettuali, linguaggi, tecniche argomentative all’altezza dei nuovi compiti; piuttosto che soffermarsi sulle apparenze e sulle messe in scena delle cose, sarebbe necessario ripartire dalle cose stesse, dal mondo della vita non mummificato come una farfalla fissata con uno spillo nella teca del collezionista, ma colto nel tumulto della vita stessa, nella girandola dei suoi oggetti quotidiani e dei suoi progetti infiniti.


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Aesthetics began to show an interest in design just when design stopped being what it ought to have been interested in, and it did this while keeping a careful distance from objects and products, seemingly more interested in the semantic halo enshrouding the word itself than its actual meaning. This historical time lag and cultural misunderstanding consequently deviated its rather scant experimentation towards horizons which were hazy to say the least, so that “design” – in itself an ambiguous and rather unsubstantial term – ended up taking on rather disturbing yet intriguing connotations, in any case evanescent. In the beginning, back in the 1970s, there was rather flimsy talk of “diffused aesthetic-ness”, referring to the increasing importance taken on by accelerated consumption in mass society. Renato Barilli summed up the basic sense of this idea by referring to culture’s “encounter-clash” with the world itself, a kind of “process” developed as much “on ideational levels” as on “material (economics, manufacturing, labour or technology) levels”, which was to lead to a sort of expansion of art, so that it eventually even encompassed representational and formal models belonging to the realm of design, communication and ordinary utility. Leaving aside the rather hazy and uncertain nature of statements concerning the concept of “diffused aesthetic-ness”, in it we could recognise an awareness that the primary forms of our collective life – taste, aesthetic sensibility and sense of style – were no longer shaped just by art, which at its very apex could be considered as “beautiful”, but were actually forged more decisively through everyday experience, in which contact with tools, instruments, technological appliances and ordinary objects had a decisive role to play. Despite still being rather imprecise, the theory of “diffused aesthetic-ness” did at least have the merit of opening up aesthetic thinking to new scenarios, in which design was called upon to play a crucial role, thanks to the widespread presence of designed objects and mass-produced products in everyday life. Later on, though, this connotation of grasping “things” in terms of their concrete pragmatic nature, as irreplaceable aspects of mediation with the world, was banished once and for all in Jean Baudrillard’s studies, according to which “an object is not a thing, and neither is it a category, it is a bearer of meaning and a form”, which inevitably reduces it – through “semiological (dis)articulation” – into a pure “sign” or, in other words, a ghostly presence in which matter, technical structure and even function itself seem destined to dissolve away. From this perspective, design reveals itself as the simple transition of all things “to the status of a sign”: objects, which have become simple “simulacra” of themselves transformed into intangible ectoplasm evoked by design now reduced to the role of a medium in some spiritual séance. It is clear from Baudrillard’s later studies, which defined design as the “logical computation of signs” that this theory was tied to neocapitalist economics based on consumerism and oblivious to the crisis about to deal it a devastating blow. He actually went even further in these writings, reaching as sort of cosmic void in his latest works, a void in which reality vaporises once and for all into its own simulation: “a simulacrum is not what hides the truth but rather what hides the lack of truth”. This has ultimately led him to claim that the “triumph of design” is in fact the “degree zero of Dasein”, viz. the cancelling out of being and existence. Despite the apocalyptic tones of these ideas, they still provide a benchmark for the – scant – studies which aesthetics has gone on to dedicate to design. Of course the method has been corrected. So, while Robert Kurz has recently found design to be a simple “aesthe-

tics of goods”, which belongs to marketing since it aims “to fill the complete absence of content” in objects “with an aura of secondary significance” or rather with the mere “image of the product”, Jacques Rancière has even gone so far as to make a comparison between Mallarmé and Peter Behrens, claiming that the latter’s design work, just like the former’s poetry, set out to give the community “spiritual unity” and that Behrens’ aim was not so much to design individual objects as to create a certain number of “typical” forms based on mass-production, destined to bring to life an authentic “environment”. Gernot Böhme has also recently adopted this perspective, assigning aesthetics three fields of reference: nature, art and the “realm of design” – taking, however, design to mean generic “aesthetic work in relation to the aestheticizing of the world of life”, which he takes as including “the preparation, installation and, I would like to say, staging of everything with which and in which we live”. Form, image, simulacrum, environment and staging: for modern-day aesthetics, design identifies with its own ghost. But a ghost of what? The general tendency would seem to take this little word, which should generally speaking refer to “design”, not just all the artefacts we can possibly imagine, but also all the strategies employed to increase its consumption. This is a fatal misunderstanding: if we talk about everything, we end up taking about nothing. More importantly, what is generically passed off as design has undergone and is undergoing very rapid changes, which concern design methods, production techniques, consumer behaviour, inclinations in taste. Modern “industrial design” no longer exists, but we still have no proper “post-industrial design”. Form has taken over from function, which, however, emerges in a different way. Contrary to what Baudrillard assumes, Design does not replace Dasein, existence, it merely interprets the changes it undergoes. These developments call for a radical shift in viewpoint. To ponder over these new issues, aesthetics must not settle (as it does) for returning to its original aesthesis, the sensation bringing about sensibility and awareness, it must take note that the world and reality are still composed of bodies, matter and concrete objects, whose presence is ensured by design (at last!) which guarantees production and consumption based on shared economic rules. Only if design is taken for what it actually is – the formal planning of an object with a functioning, technical body serving a predetermined purpose – will it be possible to tackle all the issues gradually emerging from its grounding nature – appearance, beauty, image, desire, representation and symbolisation. This is the scheme we need to look for in that “principle for representing reality”, whose disappearance Baudrillard complains about just as it was recomposing itself into its new appearance right beneath his eyes, whatever it might be and however vague its outline. So we need to turn aesthetics’ viewpoint of design on its head: instead of focusing on the “aestheticising of reality” in all its possible forms, we need to concentrate on the reality of aesthetics; instead of talking about the “aesthetics of design” we should propose “a design of aesthetics”, a new cultural project developing its own conceptual means, languages and methods of argumentation capable of handling the new tasks it faces; rather than studying appearances and the staging of things, we ought to start again from things themselves, from the world of non-mummified life like a butterfly attached to the collector’s showcase by a pin, yet at the same time captured in the turmoil of life itself, in the whirlwind of its everyday objects and endless projects. 268 l’ARCA 35


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CASA DEL TEATRO DI STRADA E DEL CIRCO CONTEMPORANEO IN GRUGLIASCO (TURIN) San Progetto/Carlo Cattero

Un recupero urbanistico, legato alla riqualificazione del tessuto sociale e ambientale e alla promozione del patrimonio artistico e della tradizione popolare delle arti circensi.

Luigi Gariglio

Il progetto per la realizzazione della Casa del Teatro di Strada è nato con lo scopo di salvaguardare e promuovere le attività circensi, recuperare questo patrimonio popolare dimenticato e (forse anche) sconosciuto ai più. L’intervento si è articolato su tre corpi di fabbrica differenti, due esistenti recuperati da ruderi di antichi depositi all'interno del parco Le Serre di Grugliasco (Torino) e uno di nuova costruzione. Il progetto ha richiesto una particolare cura nell'inserimento all'interno del contesto storico urbano di questa porzione di parco. Facendo seguito alla positiva esperienza della Scuola di Cirko Vertigo, che sta attivando il suo settimo biennio di corso, la Città di Grugliasco ha compreso l’importanza del circo contemporaneo nell’economia della cultura cittadina, in quanto volano del sistema culturale locale verso i grandi riconoscimenti internazionali. Per questo nel 2007 ha concesso all’associazione due edifici consistenti in un basso fabbricato e una tettoia dei quali si rendeva necessaria la ristrutturazione per completare l’opera di recupero dell’area. Le linee guida del progetto sono state tese a salvaguardare la struttura della tettoia e i magazzini con i loro portoni autentici, entrambi risalenti ai primi anni del Novecento e protetti dalla Sovrintendenza per le belle arti. L’intento di questo recupero è stato quello di creare una struttura che si fondesse con il parco e si integrasse armoniosamente al genius loci con le sue differenti tipologie architettoniche. Il risultato è un progetto che insiste sulla “pelle” degli edifici, coperti da un manto di vetro e cor-ten: materiali che sottolineano la novità dell’intervento su una struttura preesistente. Nel primo fabbricato è allestita la sala prove (85 metri quadrati) al piano terreno e una sala per gli studenti sul soppalco, oltre a cucina, mensa, magazzino, servizi e uffici. Il secondo edificio contiene una sala prove più ampia (198 metri quadrati), con relativi servizi e spogliatoi e un ufficio che, collocato al primo piano, può fungere anche da eventuale cabina regia in caso di spettacoli. Alla fine del 2009 è stata realizzata una struttura temporanea a sup-

porto delle sale prova, si tratta di un nuovo padiglione temporaneo all’interno della corte che ospita la scuola per attività circensi. L’edificio consta di un volume principale, di 8,10x11,90 metri, che contiene un unico ambiente polifunzionale, un luogo delle relazioni, aperto a una pluralità di usi facilmente trasformabile e suddivisibile. Il padiglione è stato progettato tenendo conto della possibilità di essere rimontato in un contesto differente e con una destinazione diversa. Una griglia geometrica, la cui origine è fissata dall’edificio permanente, struttura lo spazio e determina la posizione del padiglione temporaneo. Questo, collocato ortogonalmente al corpo principale, e arretrato rispetto al muro di cinta a nord, definisce una corte che può essere utilizzata durante il periodo estivo come estensione e prolungamento degli spazi interni. Le facciate sud-est e nord-ovest sono aperte e trasparenti e caratterizzate da un grande serramento a tutta altezza la cui suddivisione riprende la modularità utilizzata nella disposizione delle lastre in acciaio corten del secondo edificio, mentre nelle altre facciate non ci sono aperture.


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Urban regeneration linked with redeveloping the social-environmental fabric and promoting the artistic heritage and popular tradition of circus entertainment.

The project to create the House of Street Theatre is designed to safeguard and promote circus enterprises, salvaging a forgotten popular tradition which is (perhaps) unfamiliar to most people. The project is divided into three different buildings, two existing structures salvaged from old ruins inside Le Serre di Grugliasco Park (Turin) and a new construction. Great care was taken over incorporating it into the historical urban setting of this section of parkland. In the wake of the positive experience with Cirko Vertigo School, which is about to begin its seventh two-year course in circus entertainment, the City of Grugliasco realised the importance of modernday circuses for the local economy as a driving force behind its culture, as it strives towards international recognition. For this reason in 2007 it handed over two sturdy low-level buildings and a canopy to the Association, the last two constructions in need of renovation to complete redevelopment work on this area. The projects guidelines were aimed at safeguarding the canopy structure and warehouses with their authentic main gates, both dating back to the early 20th century and protected by the superintendent’s office for the fine arts. The aim of this regeneration programme was to create a structure blending in with the park and smoothly enhancing the genius loci through all its different kinds of architectural structures. The final outcome is a project focusing on the buildings’ “skins”, which are covered by a layer of glass and corten steel: materials emphasising the innovative nature of this project implemented on an old construction. The first building holds the rehearsal hall (85 m²) on the ground floor and students room up in the loft, as well as

a kitchen, canteen, storage space, utilities and offices. The second building holds a bigger rehearsal room (198 m²), complete with all the necessary facilities and changing rooms, and an office on the first floor, which can also act as a director’s box during shows. A temporary structure was then built in late 2009 to support the rehearsal rooms, a new temporary pavilion inside the courtyard where the circus school is located. The building has a main structure measuring 8.10 x 11.90 metres, which contains one single multipurpose area, a relational space open to a wide range of easily transformable functions, which can be divided up. The pavilion was designed with a view to it being reassembled in a different setting to serve different purposes. The geometric grid deriving from the permanent building structures the space and dictates the position of the temporary pavilion. The latter, set at right angles to the main construction and set back in relation to the perimeter wall to the north, creates a courtyard, which may be used during the summer as an extension to and elongation of the interior spaces. The south-east and north-west facades are open and transparent, featuring a large full-height window fixture, which, when divided up, draws on the same modularity used for arranging the corten steel sheets in the second building. There are no apertures in the other facades.

Luigi Gariglio


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Luigi Gariglio

In alto, prospetto nordovest del primo fabbricato Sopra, sezione longitudinale del primo fabbricato e, a destra, sezione trasversale dell’edificio temporaneo. A destra, planimetria generale. Sotto, vista dell’edificio principale, caratterizzato da un rivestimento in vetro e cor-ten.

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Top, north-west elevation of the first building. Above, longitudinal section of the first building and, right, cross section of the temporary building. Right, site plan. Below, view of the main building featuring glass and cor-ten cladding.


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Adriano Brusaferri

A fianco, un artista si esercita su una seduta e tappeto elastico progettata da Giovanni Levanti per Campeggi, sullo sfondo la poltroncina Trouvé progettata da Patricia Urquiola per Emu. A sinistra, due artisti si esercitano sul tavolo Fronzoni Color, nuova versione a colori dello storico tavolo disegnato da A.G. Fronzoni nel 1964 per Cappellini; in primo piano il pouf Square di Verner Panton (1969) e sulla destra, la poltrona Bocca Grace di Pietro del Vaglio.

Opposite, an artist working on an elastic rug and chair designed by Giovanni Levanti for Campeggi with the Trouvé armchair in the background designed by Patricia Urquiola for Emu. Left, two artists working on the Fronzoni Color table, a new coloured version of the famous old table designed by A.G. Franzoni in 1964 for Cappellini; in the foreground, the Square pouf designed by Verner Panton (1969) and, right, Bocca Grace armchair by Pietro del Vaglio.

Above right, the inside of the rehearsal room, whose roof serves the dual purpose of a roof and prop for Circus equipment. Bottom, the temporary building.

Adriano Brusaferri

Adriano Brusaferri

Sopra a destra, l’interno della sala prove la cui copertura ha la doppia funzione di tetto e macchina a sostegno delle attrezzature circensi. In basso, l’edificio temporaneo.

Credits Project: San Progetto/Carlo Cattero Client: Qanat Associazione Culturale

Luigi Gariglio

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MAISON R IN SÈVRES Colboc Franzen & associés

Gioco di sovrapposizioni e di aggetti, essenzialità e funzionalità degli spazi, fluidità e osmosi con l’esterno per una villa nella campagna parigina.

An interplay of superimpositions and overhangs, simple and highly functional spaces, fluidity and osmosis with the outside to create a house in the Parisian countryside.

A Sèvres, Colboc Franzen & associés hanno realizzato la villa di una coppia con tre bambini su un terreno occupato da un frutteto e un vecchio capanno. Il progetto si compone di tre elementi distinti, gli spazi di servizio (atrio d’ingresso, ufficio, lavanderia, cantina, garage), gli ambienti comuni (soggiorno, sala da pranzo, cucina) completati dalla camera matrimoniale e infine dalle camere dei bambini, organizzate attorno a uno spazio polivalente. La logica di frammentazione degli spazi, come dei modi e dei tempi di occupazione, si riflette nel rapporto volumetrico tra l’abitazione e il contesto che vede l’articolazione di tre volumi sovrapposti che rispettano la scala e l’eterogeneità delle costruzioni limitrofe. Il primo volume, addossato al muro della costruzione vicina, parallela alla strada, si ancora nel pendio del terreno colmandone il dislivello. Realizzato in muratura rivestita in metallo ossidato che diviene supporto di piante rampicanti, questo corpo accoglie gli spazi di utilità aprendosi con una porta vetrata sulla zona d’ingresso. All’interno si è accolti da un ambiente totalmente bianco che contrasta con la percezione esterna del volume. Pareti, muri e soffitti convergono verso la scala esaltando la prospettiva al centro dell’abitazione. L’ingresso apre inoltre l’accesso alle zone ufficio e lavanderia, lo spessore delle pareti è sfruttato per ricavare gli spazi per gli appendiabiti e i sanitari. Dalla scala si sale al piano superiore, allineato a quello naturale del terreno, dove sono organizzati gli ambienti comuni che godono di una relazione diretta con il giardino, mentre la proiezione del volume su strada offre una protezione e un riparo all’ingresso principale della casa nel piano sottostante. Perpendicolare alla strada, questo volume è caratterizzato da un rivestimento in alluminio verniciato nero con ampie vetrate verso sud e a ovest sul giardino. L’organizzazione degli spazi interni è aperta e fluida, suddivisa con due pareti-armadio che incorporano una la scala, la cucina, i sanitari e il camino, l’atra la cabina spogliatoio e il bagno. Questi elementi delimitano il soggiorno, la sala da pranzo e la camera matrimoniale. L’impronta è minimalista, muri bianchi per gli spazi giorno, neri per i servizi, argento per il bagno e inox per la cucina, pavimenti in parquet scuro lucidato, il tutto declinato all’insegna dell’essenzialità del disegno per dare massimo risalto al giardino e alla vita in comune. Il terzo livello riprende l’allineamento dell’edificio limitrofo. Rivestito in listelli di pino, il volume si inscrive nei toni dominanti del quartiere prolungando il rivestimento in legno della casa vicina. E’ questo il piano dedicato ai bambini dove sono distribuite le tre camere e i bagni organizzati attorno a uno spazio polivalente aperto a sud su una grande terrazza che funge anche da tetto al volume a piano giardino. 40 l’ARCA 268

Colboc Franzen & associés have designed, in Sèvres, a house for a couple with three children on a plot of land taken up by an orchard and old cabin. The project is composed of three separate parts (entrance lobby, office, laundry, canteen, garage), the communal quarters (lounge, dining room, kitchen) completed by the master bedroom and, lastly, the children’s bedrooms, set around a multipurpose space. The idea of fragmenting the spaces (and also the ways and times they are used) is reflected in the structural relations between the house and its setting, based on three overlapping structures respecting the scale and heterogeneity of neighbouring buildings. The first structure, set against the main wall of the neighbouring construction parallel to the road, is anchored into the slope in the ground to cover the height difference. This construction encloses the utility spaces opening up through a glazed door onto the entrance area. The interiors are all-white coloured, contrasting with how the structure is perceived from the outside. The walls and ceilings converge towards the stairway emphasising the perspective in the middle of the house. The entrance also leads through to the office and laundry area, and the thickness of the walls is exploited to create wardrobe and sanitary facilities. The stairway leads up to the top floor, set at the same level as the land itself, while the communal quarters are set in direct interaction with the garden. The way the structure projects towards the road also provides shelter and protection for the main entrance to the house at the lower level. This structure, which is perpendicular to the road, features a black painted aluminium coating with wide glass windows facing south and west onto the garden. The interiors are set out in an open and fluid way, divided up by two wardrobe-walls incorporating, in one case, the stairs, kitchen, sanitary facilities and fireplace and, on the other, the walk-in wardrobe and bathroom. These features mark the boundaries of the lounge, dining hall and master bedroom. The layout is minimalist, featuring white walls for the living spaces and black for the utilities, silver for the bathroom and stainless steel for the kitchen. The parquet floors are dark-coloured and shiny based on a very simple design aimed at focusing maximum attention on the garden and communal life. The third level is aligned with the neighbouring building. Clad with the planks of pinewood, the structure blends in with the most dominant colours in the neighbourhood, as an extension to the wooden cladding on the neighbouring house. This is the level designed for the children accommodating three bedrooms and bathrooms set around a multipurpose space opening up towards the south onto a large terrace, which also acts as a roof for the garden-level structure.


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Dal basso in alto, a sinistra planimetria generale e pianta del piano giardino, a destra, pianta del piano terreno e del primo piano. Nella pagina a fianco, il soggiorno e la

1. Spiazzo d’ingresso/entrance space 2. Giardino/garden 3. Terrazza/terrace

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4. Ingresso pedonale/pedestrian entrance 5. Ingresso auto/entrance for cars 6. Bacino/pool

zona pranzo/cucina al piano terreno e la scala che collega i tre piani dell’abitazione.

From bottom up, left, site plan and plan of the garden level and,

right, plan of the ground and first floors. Opposite page, lounge and dining-kitchen area on the ground floor and the stairs connecting the three floors of the house.


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Credits Project: Colboc Franzen & associés Benjamin Colboc, Manuela Franzen, Arnaud Sachet Project Team: Floriane Bataillard, Nadège Lachassagne, Anne Merlio General Contractor: Lomas Metal Works: Save Miroiterie Finishings: D.M.C.A. Client: M &Mme Ricateau

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Kei Sugino

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T-HOUSE IN KYOTO Atelier Boronski

Una casa unifamiliare di 210,5 metri quadrati distribuiti su tre piani, realizzata con una combinazione di vetro, legno, marmo e cemento grezzo.

A three-storey single family house of 210.5 square metres built with a combination of glass, timber, marble and raw concrete.

Su una collinetta affacciata sul panorama di Kyoto, una casa di periferia per una giovane coppia si confronta con alcune rigide normative progettuali a difesa del patrimonio storico. Molti dei punti del progetto sono prefissati, perciò la casa è concepita come un semplice container con gli spazi privati organizzati all’interno in modo casuale. Ma si tratta di una casualità orchestrata. Nonostante le limitazioni imposte per l’esterno, la fluidità degli spazi e dei volumi interni e la curva disegnata dalla scala fanno risultare l’ambiente molto libero. A questa composizione contribuiscono tre elementi principali. Le pareti esterne principali (sull’asse est-ovest), i volumi privati (sovrapposti e collegati a ponte) e lo spazio vuoto di risulta. L’area al piano terra con il salone, la sala da pranzo e la cucina si apre sulla terrazza principale affacciata sul giardino nella porzione est che consente il tradizionale stile abitativo esterni/interno. L’altezza del soffitto in questa area varia dai 2,5 ai 7,5 metri. Le camere da letto principali attraversano a ponte l’edificio e le loro pareti nord/sud sono vetrate, favorendo la continuazione visiva con il rispettivo rivestimento dell’esterno (uno di gesso bianco e uno di legno nero). Il bagno al secondo piano è dotato di una grande finestra interna affacciata sul giardino a est e la stanza per gli ospiti al terzo piano sbalza verso ovest. Al di là e sotto questo volume si aprono due terrazze più piccole che si sovrappongono spazialmente. Un salone secondario al terzo piano è costituito solo dal solaio del piano, una piattaforma panoramica che trapassa il vuoto principale e offre ampie viste della città verso est. Ci sono anche due lucernari da cui si può vedere il cielo. All’esterno, la casa è rivestita con materiali tradizionali quali il cedro rosso (con finitura laccata chiara) e intonaco bianco. La porta del garage verso la strada (a ovest) è del tutto mimetizzata e sembra la continuazione della parete con frangisole orizzontali che verso l’alto vanno a formare la ringhiera della terrazza al secondo piano.

On a small hill overlooking Kyoto city a suburban house for a young couple negotiates some tough “historical” design regulations. Many design points are pre-set. Therefore the house is conceived of as a simple container with private spaces lodged randomly within. But the randomness is orchestrated. Despite the external restrictions the fluidity of the interior void spaces and curved connecting stairways finally let the house feel very free. There are three primary elements at work in this composition. The main external walls (running east/west), the private volumes (overlapping and bridging) and the resultant void space. The main Living, Dining, Kitchen area on the first floor opens onto the main terrace facing the garden to the east allowing classical indoor/outdoor living, and the ceiling height in this area varies from 2.5 metres to 7.5 metres. The two main bedrooms bridge the building and their north/south facing walls of glass allow the external cladding to continue into the rooms, (one white plaster, one black timber). The bathroom on the second floor has a large internal window overlooking the garden to the east and the guest bedroom on the third floor pushes straight out to the west. Beside and below this bedroom are two minor terraces that spatially overlap. The second lounge area on the third floor is just a floor slab, a viewing platform that bridges the main void and allows sweeping views of the city to the east. There are also two top-lights allowing vertical views to the sky. Externally the house is mostly clad in traditional materials of burnt cedar boards (with clear lacquer finish) and white plaster. The garage door facing the street (to the west) is fully camouflaged as a wall of horizontal louvers that continues up to form the railing for the second floor terrace.

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Nelle pagina di apertura, vista dell’esterno della casa unifamiliare, realizzata su una collina panoramica alla periferia di Kyoto. Nella pagina precedente, vista notturna con in primo piano la porta del garage verso la strada (a ovest) che è del tutto mimetizzata e sembra la continuazione della parete con frangisole orizzontali che verso l’alto vanno a formare la ringhiera della terrazza al secondo piano.

Opening page, view of the exterior of single-family house, built on a panoramic hill in Kyoto suburbs. Previous page, nighttime view with in the foreground the garage door facing the street (to the west) which is fully camouflaged as a wall of horizontal louvers that continues up to form the railing for the second floor terrace.

13. Terrazza Terrace 14. Stanza per gli ospiti Guest room 15. Studio Study 16. Camera Bedroom 17. Soggiorno Living room

10. Terrazza Terrace 11. Camera Bedroom 12. Bagno Bathroom

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In alto, sezioni trasversali. A sinistra dal basso, pianta del piano terra, pianta del primo piano, pianta del secondo piano.

Top, cross sections. Left, from the bottom up, plan of the ground floor, plan of the first floor, and plan of the second floor.

1. Spiazzo per auto Carport 2. Garage 3. WC 4. Cucina Kitchen 5. Sala da pranzo Dining room

6. Soggiorno Living room 7. Terrazza Terrace 8. Piscina Reflection Pool 9. Bagno termale Spa


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In alto sezioni trasversali. Sopra, sezione longitudinale.

Top, cross sections. Above, longitudinal section.

Credits Project: Atelier Boronski Principal Architects: Peter Boronski Structural Engineering: Yoshiki Mondo Contractor: Kawana Kogyo Co. Ltd. Interior design and Supervision: Atelier Boronski Client: Private

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In alto e nella pagina a fianco, viste della zona soggiorno, caratterizzata dall’ampia curva della scala centrale. Sopra, l’affaccio verso il giardino al piano terra dall’area soggiorno. A destra, una delle due camere da letto principali, le cui vetrate favoriscono la continuazione visiva con il rispettivo rivestimento dell’esterno (in questa, di legno nero). Nelle pagine successive, viste del bagno principale e di quello di servizio, e scorcio della terrazza al primo piano con il volume aggettante di cemento grezzo che contiene il salone secondario.

Kei Sugino

Top, and opposite page, views of the living room, characterized by the wide curving central stair. Above, the opening on the ground floor garden from the living area. Right, one of the main bedrooms where walls of glass allow the external cladding to continue into the rooms, (this one, black timber). Following pages, views of the main bathroom and of the service WC, and view of the terrace on the first floor with the jutting raw concrete volume containing the second living area.

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MINIMO E FUNZIONALE IN PARIS MAAJ

Una ricerca attenta alle potenzialità industriali e modulari dell’architettura è alla base della filosofia progettuale di Anne-Julie Martinon e Marc-Antoine Richard, due intraprendenti trentenni parigini a capo dello studio MAAJ Architecture di Parigi. L’intervento realizzato in rue Pradier a Parigi è una sintesi del loro percorso evolutivo, un lavoro impostato sul ridimensionamento di uno spazio abitativo di dimensioni limitate (43 metri quadrati). Sfruttando lo sviluppo in altezza e la doppia esposizione, il progetto organizza nuovi spazi e nuove funzioni in un ambiente luminoso e razionale in cui i diversi elementi trovano la loro logica collocazione in un articolato gioco di volumi. “Dimensionare, moltiplicare le funzioni, illuminare, semplificare sono i tempi che hanno guidato il nostro intervento – spiegano i progettisti – Il progetto riabilita il doppio orientamento est/ovest necessario per un’illuminazione naturale costante e diffusa, ampliando così lo spazio. Restituire il doppio orientamento dimostra che pur disponendo di dimensioni semplici, uno spazio può ritrovarsi completamente trasformato attraverso la luce”. Entità cerniera dell’intero impianto distributivo, una scala a gradini sfalsati che accede a un piano mezzanino mansardato dove sono ricavate due camere. Realizzato in MDF verniciato, questo volume trattato come una vera e propria architettura permette, grazie alla doppia pedata, di integrare nello spazio sottostante un ripostiglio, il mobile TV e Hi-Fi, il computer, il telefono ecc. concentrando così le diverse funzioni in un unico elemento per il liberare la massima superficie disponibile. I rivestimenti di pareti e pavimenti trattati in tinte chiare, dai muri intonacati di bianco come il parquet della sala e della cucina fino alle piastrelle in gres del bagno, contribuiscono alla definizione di un’atmosfera calda e solare suggerendo una piacevole percezione di accoglienza. 52 l’ARCA 268

Dimensionare, moltiplicare le funzioni, illuminare, semplificare all’insegna di un ambiente minimo in cui la razionalità degli spazi sposa il confort e l’accoglienza.

Scaling, multiplying functions, lighting and simplifying to create a minimal-style environment whose rational spatial layout combines comfort and a warmth. Meticulous research into the industrial and modular potential of architecture underscores the design philosophy of Anne-Julie Martinon and Marc-Antoine Richard, two enterprising 30-year-old Parisians in charge of MAAJ Architecture based in Paris. The building constructed in Rue Pradier perfectly exemplifies how their work has developed, a project geared to the rescaling of a living space of limited size (43 square metres). Taking advantage of its height and double exposure, the project sets out new spaces and new functions in a brightly-lit and rational setting, whose various features are logically incorporated in a carefully gauged interplay of structures. “Our project was guided by the idea of sizing, multiplying functions, lighting and simplification – so the architects explained – The project exploits the double east/west layout required for constant and widely diffused natural lighting, thereby amplifying the space. Restoring the double layout shows that, even when working with a small amount of space, it can be totally transformed through the light”. The linchpin of the entire layout is a staircase with staggered steps leading to an under-roof mezzanine level holding two bedrooms. This structure made of painted MDF is treated like a proper work of architecture and, thanks to the double tread, a storage space, TV and Hi-Fi unit, computer and telephone etc. have all been incorporated in the underlying space, so that all the various functions are set together to free up as much surface area as possible. The wall and floor coatings have been decorated in clear colours, white plaster on the walls and parquet in the lounge and kitchen and tiles in the bathroom, thereby helping create a warm and bright atmosphere which has a pleasant, welcoming feel.


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In queste pagine pianta del piano terreno e del mezzanino e viste dello spazio giorno del duplex realizzato a Parigi in rue Pradier. Lo scala di collegamento tra i due ambienti è stata realizzata con un sistema di gradini sfalsati per sfruttare al meglio lo spazio sottostante dove sono stati ricavati un ripostiglio, il mobile TV e HI-FI, l’angolo per il computer ecc. Nelle pagine precedenti, assonometria del impianto distributivo dell’appartamento di 43 mq e particolare della zona cucina.

These pages, plan of the ground floor and mezzanine and views of the living quarters in the duplex built in Rue Pradier in Paris. The stairway connecting the two premises is constructed around a system of staggered stairs to make full use of the underlying space, where a storage space, TV and HI-FI unit and computer cove etc. have been incorporated. Previous pages, axonometry of the distribution system for the 43-square-metre apartment and detail of the kitchen area.

Credits Project: MAAJ Architectes/ Anne-Julie Martino net Marc-Antoine Richard Client: Private

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RISTRUTTURAZIONE DI UNO SPAZIO PRODUTTIVO IN BERGAMO Teka Studio

Volumi semplici, di forme diverse, sovrapposti e articolati per costruire un gioco sottile di interconnessioni, tra percorsi di luce, geometrie ricorrenti e sottolineature.

Simple overlapping forms of various different kinds carefully set out to construct a subtle interplay of interconnections consisting of pathways of light and reoccurring geometric patterns, underscoring work.

Il progetto di interni ha operato su un edificio di tre piani per disegnare un’abitazione in spazi ricavati nei magazzini di una vecchia conceria, nella zona nord-est di Bergamo, in uno scenario segnato dalla presenza di attività industriali oggi del tutto dismesse. Al pian terreno lo spazio a pianta quadrata è suddiviso da pilastrature in cemento armato in tre campate di diversa larghezza. Qui collocati, i locali di servizio sono definiti da elementi di altezza inferiore rispetto all’ambiente che li accoglie a svelare il carattere industriale dello spazio preesistente. Esemplare tra questi la cantina, l’elemento visivamente più forte, un vero e proprio “container”: la sua gabbia in ferro sostiene due piani in legno orizzontali e informa una scaffalatura interna racchiusa da vetri color rosso rubino. La griglia di legno, che scherma i vetri per evitare l’incidenza della luce sulle bottiglie, rafforza il carattere alieno di questa struttura pulsante, parcheggiata sul fondo della casa. Da qui una lunga scala in cor-ten conduce al primo piano, destinato alla zona giorno e collegato da un’altra scala al secondo piano dove si trovano le camere e la piscina. Entrambi i piani sono definiti da una pianta a forma di L: il braccio lungo (40m x 10m) è attraversato da una semplice pilastratura, quello corto (14m x 3m) si sviluppa in un’unica campata. A sottolineare il rapporto sbilanciato tra lunghezza e larghezza che caratterizza questi spazi è stato introdotto un taglio netto – sia in corrispondenza della copertura che del solaio d’interpia-

no. Quest’apertura sottile conduce la luce sino al primo piano, dove la relazione luminosa con l’esterno è scandita anche da un lungo serramento (35 metri) in cor-ten. La presenza di tagli, fori, lunghe prospettive, permette di percepire questi spazi dentro una continua successione, concatenati in un percorso narrativo ben ritmato. Quest’aspetto si realizza con particolare evidenza nel braccio più corto della L, i cui spazi, sia al primo che al secondo piano, sono stati destinati ad ambienti monofunzionali. Il soffitto della sala da pranzo di rappresentanza coincide con il fondo della piscina: oblò d’acqua sovrastano il lungo e lucido tavolo nero e immergono la sala da pranzo nell’atmosfera del piano superiore, l’anticipano dentro un discorso sospeso, di riflessi, di luce. Al secondo piano, nella zona notte, tre grossi cubi scandiscono lo spazio del lungo corridoio che porta alle camere. Due sono in cuoio, uno rivestito con il lato lucido della pelle, e l’altro con il “rovescio”, più scuro e cangiante, quasi fosse pigmento. Se la pelle è un chiaro riferimento alla prima destinazione dello stabile, un’ex conceria, l’interno si caratterizza ovunque per un utilizzo eclettico della materia. Pietra, ferro, calcestruzzo, legno, vetro, feltro, cuoio sono impiegati in modo da far sentire la loro essenza naturale tra le cose della casa, in modo da evidenziare il loro essere materie prime che rimanda, appunto, al mondo del lavoro. Valentina Ciuffi

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Nella pagina a fianco, sezione e pianta del piano terra. A sinistra piante del primo e secondo piano.

Opposite page, section and plan of the ground floor. Left, plans of the first and second floors.

The interior design was carried out on a three-storey building to create a home inside spaces taken from the warehouses and storerooms of an old tannery in the north-east part of Bergamo, in a setting marked by the presence of industrial operations now completely abandoned. The square-shaped ground floor space is divided up by reinforced concrete columns into three bays of varying width. The utility rooms located here have elements which are lower in height than the setting in which they are accommodated, in order to reveal the industrial nature of the old space. This is exemplified by the cellar, the visually most striking feature of all, an authentic “container”: its iron cage supports two horizontal wooden levels and internal scaffolding enclosed behind ruby-red coloured glass panels. The wooden grid, which shields the panels of glass to prevent light shining on the bottles, reinforces the alien nature of this pulsating structure parked on the bottom of the house. From here a long cor-ten stairway leads up to the first floor, designed to hold the lounge and connected by another staircase to the second floor where the bedrooms and swimming pool are located. Both levels have an L-shaped layout: the longer arm (40 m x 10 m) is crossed by simple columns, the shorter one (14 m x 3 m) extends across one single bay. To emphasise the imbalance between the length and breadth of

these spaces, a clean cut has been introduced close to the roof and inter-level between the floors. This slender aperture guides light down to the first floor, where luminous interaction with the outside is conveyed by means of a long (35 metres) cor-ten fixture. The presence of cuts, holes and longer perspectives allows the spaces to be perceived in one seamless sequence, chained together a longer rhythmic narrative path. This aspect is particularly evident along the short arm of the “L”, whose spaces on both the first and second floors are designed as single-function premises. The ceiling of the reception dining hall coincides with the bottom of the swimming pool: portholes lie above the long shiny black table and immerse the dining hall in the atmosphere of the upper level, projecting it into a suspended discourse of reflections and light. Three large cubes in the sleeping quarters on the second floor set out the space of the long corridor leading to the bedrooms. Two are made of leather, one covered with the shiny side of hide and the other with its darker, shimmering “reverse side”, almost as if it were pigment. While the leather and hide clear refer to the original purpose of the factory as a tannery, the interior features an eclectic use of material all around it. Stone, iron, concrete, wood, glass and felt are used so that their natural essence can be felt amidst all the objects in the house, highlighting the fact they are raw materials evoking the working world. 268 l’ARCA 57


Luca Santiago Mora

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Luca Santiago Mora

Sopra, la lunga scala in cor-ten conduce al primo piano. Sotto, la cantina, l’elemento visivamente più forte, un vero e proprio “container”: la sua gabbia in ferro sostiene due piani in legno orizzontali e

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informa una scaffalatura interna racchiusa da vetri color rosso rubino. La griglia di legno, che scherma i vetri per evitare l’incidenza della luce sulle bottiglie, rafforza il carattere alieno di questa

struttura pulsante, parcheggiata sul fondo della casa.

Above, the long corten stairway leading to the first floor. Below, the cellar, the visually most striking feature of all, an

authentic “container”: its iron cage supports two horizontal wooden levels and internal scaffolding enclosed behind ruby-red coloured glass panels. The wooden grid, which shields the panels of glass to

prevent light shining on the bottles, reinforces the alien nature of this pulsating structure parked on the bottom of the house.


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Luca Santiago Mora

Sfruttare al massimo la luce proveniente dall’alto creando percorsi inediti che riuscissero a condurla attraverso tutta l’architettura, è il passaggio centrale di un’operazione che ha garantito effetti

luminosi di diverso segno, regalando alla casa una reale varietà di atmosfere, dimensioni, sospensioni.

Making utmost use of light from above to create unusual

pathways conveying the light right around the entire work of architecture is the key aspect of a project producing an array of lighting effects, giving the house a real variety of different atmospheres,

dimensions and junctures.

Luca Santiago Mora

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La luce entra dall’alto nei parallelepipedi vetrati dei cavedi, buca la casa, attraverso i piani, la penetra assieme a una porzione di spazio esterno, con le sue piante e la sue stagioni. Sotto alla piscina, la luce “informata” da oblò e colorata da metri d’acqua, si sparge soffusa e densa nella sala da pranzo. Il soffitto della sala da pranzo di rappresentanza, infatti, coincide con il fondo della piscina: oblò d’acqua sovrastano il lungo e lucido tavolo nero e immergono la sala da pranzo nell’atmosfera del piano superiore, l’anticipano dentro un discorso sospeso, di riflessi, di luce.

Light flows in from above into the glazed parallelepiped-shaped vaults, perforates the house across its various levels and penetrates inside together with a section of exterior space complete with plants and other seasonal features. Beneath the pool, the light from portholes coloured by metres of water diffuses through the dining room. The ceiling of the reception dining room actually coincides with the bottom of the pool: portholes stand above the long shiny black table and immerse the dining room in the same atmosphere as the floor above, incorporating it in a suspended mixture of reflections and light.

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ZEBAR A LIVE BAR IN SHANGHAI

Un bar progettato come una caverna con materiali semplici ha creato uno spazio moderno e visivamente affascinante a Shanghai.

3Gatti Architecture Studio

Questo progetto è nato nel 2006, quando un regista di Singapore e un ex musicista del sud della Cina hanno deciso di aprire un nuovo music bar a Shanghai. Il budget era molto basso, ma i committenti erano incredibilmente disponibili e aperti alle nostre idee. Anche il calendario era abbastanza stretto e per fortuna i committenti hanno apprezzato immediatamente uno dei primi concept che gli ho proposto: uno spazio-caverna composto da una sottrazione Booleiana di centinaia di “fette” da un blob amorfo. L’idea appare complessa ma è in realtà molto semplice ed è scaturita naturalmente dalla modellazione digitale di ambienti 3D con cui io come altri mi diverto a giocare con spazi e volumi virtuali. Lo spazio è stato suddiviso in “fette” in modo da ricondurlo dalla realtà virtuale al mondo reale e per conferire una forma vera a ciascuna delle infinite sezioni e superfici fluide determinate dal software di modellazione Rhino Nurbs (ndr. da Wikideep: NURBS è un acronimo che sta per Non Uniform Rational B-Splines, traducibile in “B-Splines razionali non uniformi”, una classe di curve geometriche utilizzate in computer grafica per rappresentare curve e superfici. Una NURBS è quindi la rappresentazione matematica che un programma software, ad esempio un sistema CAD 3D, crea di un oggetto, per definirne accuratamente la forma. Le

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curve NURBS sono una generalizzazione delle curve B-Spline e delle curve di Bézier). In Europa, la conseguenza naturale di questo tipo di progetto sarebbe stata affidare il modello digitale a un’industria e grazie alle macchine a controllo numerico tagliare con facilità la enorme quantità di sezioni ciascuna diversa dall’altra. Ma eravamo in Cina, dove il lavoro delle macchine è sostituito dal lavoro di uomini sottopagati. Con un proiettore, hanno proiettato su un pannello di cartongesso tutte le sezioni che avevamo disegnato e poi le hanno tagliate una per una a mano. Il costo è stato sorprendentemente basso, mentre il senso di colpa nei confronti di questi operai è stato altissimo. La costruzione è proceduta in modo velocissimo ed è stata quasi completata in un paio di mesi. A quel punto abbiamo scoperto che i nostri committenti, un po’ ingenuamente, non avevano messo a punto alcun business plan, così il posto è rimasto chiuso per i successivi tre anni, quando è stato finalmente completato del tutto e inaugurato nel 2010, dal momento che avevano deciso cosa volevano veramente farne. Questa è la storia dello Zebar, un progetto digitale costruito in un mondo analogico. Francesco Gatti


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Daniele Mattioli

A cave-like bar designed with simple materials has created a new, visually stunning modern space in Shanghai.

Credits Project: 3Gatti Chief architect: Francesco Gatti Project manager:

Vivian Husiyue, Aurgho Jyoti Contractor: Eric Liang Client: Jim Dandy

Daniele Mattioli

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Summer Nie Collaborators: Nicole Ni, Chen Qiuju, Kelly Han, Chen Han Yi, Lu Cheng Yuan, Jessie Zhengxin, Ronghui Chen,

This project was born in 2006 when a Singaporean movie director and e former musician from south of China decided to open a live bar in Shanghai. The budget was very low but the client was incredibly good and open-minded to us. The schedule was very tight and fortunately they liked immediately one of the first concepts I proposed to them: a caved space formed from of a digital Boolean subtraction of hundreds of slices from an amorphic blob. The idea looks complex but actually is very simple and was born naturally from the digital 3D modelling environments where me and others enjoy playing with virtual volumes and spaces. The space was subdivided into slices to bring it back from the digital into the real world; to give a real shape to each of the infinite sec-


Daniele Mattioli

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Daniele Mattioli

tions and fluid surfaces created through the software Fluid Rhino Nurbs (editor note, from Wikideep: NURBS is an acronym that stands for Non Uniform Rational B-Splines, translatable in “non-uniform rational B-Splines”, a class of geometric curves used in computer graphics to represent curves and surfaces. NURBS is a mathematical representation therefore that a software program, such as a 3D CAD system, create an object, for accurately defining the shape. NURBS curves are a generalization of the B-spline curves and Bezier curves). In Europe the natural consequence of this kind of design will be giving the digital model to the factory and thanks to the numeric control machines cut easily the huge amount of sections all different

from each other. But we were in China where the work of machines is replaced by the work of low paid humans. Using a projector they placed all the sections we drew on the plasterboards and then cut each of them by hands. The cost was surprisingly low and the sense of guilt towards the workers higher. The construction was incredibly fast and was almost finished in a couple of months, when we discovered the naïve clients didn’t have any business plan and the site remained closed for 3 years and was finally completed and opened in 2010 when they discovered how to run the business. This is the story of the Zebar, a digital design built into an analogic world. Francesco Gatti

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FLUSSO CONTINUO IN STOKE NEWINGTON Atmos

Questa casa si inserisce con precisione tra altri edifici ed è avvolta all’interno da un arredo montato su misura.

Alex Haw

La volumetria di questa casa a Stoke Newington, Gran Bretagna, è stata generata dalle linee prospettiche della sottostante High Street, ed è quasi nascosta alla vista per ottenere i permessi per l’aggiunta di un piano, mentre l’ingresso principale è celato dietro una schiera di edifici storici. La copertura si presenta come una doppia falda ad ala di farfalla, con una inclinazione verso l’alto dal lato inferiore dei muri così da accogliere i visitatori con muri più alti e con una scala centrale. Sulla cima, un grande lucernario cristallino inonda lo spazio interno di luce. Le sezioni dei piani sfalsate permettono di guadagnare spazio dal basso. La forma a V in sezione si ripete in pianta per facilitare l’introduzione di una piccola terrazza tra la nuova e la vecchia facciata le cui porte, dalla camera e dall’ingresso, si ripiegano insieme. La palette usata nel progetto rispecchia l’interesse dei committenti per l’economia, le limitazioni e l’inventività in termini spaziali dell’architettura giapponese e offre un senso di ampiezza sorprendente per un ambiente così ristretto. Gli spazi tra stanze adiacenti si fondono così che ciascuna offra diverse prospettive in varie direzioni. Degli specchi raddoppiano e quadruplicano l’ampiezza di queste prospettive e stimolano l’esplorazione visiva, mentre la totale continuità tra le superfici dell’arredo incastonato offre un senso di ancor maggiore estensione. La casa è assemblata attorno a una scala centrale aperta, con diramazioni lignee che crescono verso l’alto, verso la luce, e si sviluppano in sottili filamenti che incorniciano ogni scalino; una sottile fascia metallica danza tra queste linee a formare una ringhiera che sia il più leggero sostegno possibile. Sulla destra, alcuni spazi si insinuano nella scala – quali lo sgabuzzino del bagno o la parte inferiore del piano scrivania – mentre sulla sinistra, le aperture si aprono a ventaglio divaricandosi in una generosa gamma di superfici per il salotto. Gli scalini più bassi fungono da sedili e poltroncine, mentre quelli più in alto fluiscono a formare una libreria. Al piano superiore, l’albero-scala si arriccia diventando architrave e continua nelle stanze su entrambi i lati delle aperture del lucernario. Le linee fluiscono a formare una scrivania e una libreria nello studio, per poi avvolgersi alle pareti per accogliere le fasce di assi di legno che nascondono il letto incassato nel pavimento. Il tavolino/armadietto annidato vicino alla finestra si allunga all’esterno a formare una lunga pancacontenitore nel cortiletto, che ritorna indietro, all’interno, come piano per il bagno, in cui è poi intagliata anche la vasca per poi tornare verso la camera. Continua poi come ripostiglio nel plinto dell’accogliente letto e procede diventando comodino per poi ripiegarsi nella parete e tornare al ritmo della scala. La casa è dunque unificata dal singolo ricciolo del complesso arredo incassato nella costruzione.

Alex Haw

This home carefully slots between buildings and sitelines, and wraps built-in furniture into every available surface. The massing of this house in Stoke Newington, Great Britain, was generated from the view-lines along the High Street below, tucked carefully out of sight to achieve planning permission for a new storey with front outdoor space hidden within the row of listed buildings. The roof-form deploys a double-pitched butterfly roof, angling upwards from low flank walls to greet the arriving visitor with taller walls at the central stairwell. A crystalline valley skylight hangs above, flooding the void with light. Staggered floor sections carefully borrow space from below. The V-shape in section repeats in plan to ease a tidy outdoor terrace between new and old façades, the doors from hall and bedroom folding neatly together. The project’s palette mirrors the client’s interest in Japanese economy, restraint and invention, and provides a sense of surprising spaciousness within tight confines. Spaces from adjacent rooms are borrowed and traded, with each room offering a panoply of different views and directions. Mirrors double and quadruple the extent of views and entice optical exploration, while maximum continuity between the surfaces of the built-in furniture provides a sense of further elongation. The house assembles around the central open stair, its timber strands growing upwards towards the light and unleashing delicate tendrils to frame each step, a single thin metallic line dancing across their lines to offer the lightest of additional support to the hands that seek it. To the right, spaces sneak into the stair – as bathroom storage below or the underside of the desk above – while to the left the open treads fan and splay into a generous array of surfaces for the living room. Their lower steps support a seat and soft-spot, while their upper elements flow around the sitter with a sea of books and shelves. Upstairs, the stair-tree verticals curl into architraves and continue into rooms either side of the eyelid to the sky above. Their lines flow to form a desk and shelving unit in the study, wrapping around to welcome the unfolding sheaves of floor-plank that conceal a bed within the floor-depth. The low table/cupboard nestled at the window flows out to form a long courtyard storage bench, which slips back inside as a bathroom counter, carved with a sunken bath. This same surface plunges back into the bedroom, continues as storage into the plinth of the welcoming bed beyond, and onwards as bedside counter before folding back into the wall and the rhythms of the stair beyond. The house is thus unified by a single curl of complex in-built furniture.


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Nella pagina a fianco, viste della porzione superiore della casa, incastonata tra una serie di edifici storici. In questa pagina, sequenza di assonometrie con lo sviluppo progressivo della composizione dell’arredo a incasso a partire dalla scala centrale.

Opposite page, views of the top part of the house, carefully slot between a row of listed buildings. In this page, sequence of axonometric views showing the progressive development of the composition of the built-in furniture starting at the central stair.

Credits Project: Atmos: Alex Haw, Zoe Chan Engineer: David Rose Associates: Russ Andrews Contractor: Kw Building Services

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Piante del primo e del secondo livello. Sotto, il soggiorno con la libreria che si sviluppa come espansione della scala.

Alex Haw

Plans of the first and second levels. Below, the living room with the bookshelf generated as an expansion of the stair.

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Alex Haw

Alex Haw

66_69_ATMOS_268:Articoli 29/03/11 14:33 Pagina 69

Alex Haw

Alex Haw

Viste degli interni – bagno, camera, studio, soggiorno – tutti unificati dall’andamento continuo del “ricciolo” di legno dell’arredo a incasso che parte dalla scala centrale.

Views of interiors – bathroom, bedroom, studio, living room – all unified by the single “curl” of built-in furniture starting at the central stair

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FORME ESSENZIALI IN ODERZO (TV) Simone Micheli

Un’opera contemporanea che risulta essere un candido e composto ambiente caratterizzato da geometrie pure, che crea un’atmosfera rilassante e connette l’armonia visiva a quella interiore.

A modern-day work producing a clear-cut and composed environment based on pure geometric forms to create a relaxing atmosphere of great visual and internal harmony.

All’ultimo piano di un palazzo residenziale di Oderzo nasce un’opera dalle forme essenziali, che rifiuta con forza le regole tradizionali e propone un nuovo modo di vivere il privato. Al piano terra si apre uno spazio aperto-chiuso, un grande monolocale diviso solo da grandi lamine di vetro trasparente extrachiaro con satinature di tronchi d’alberi stilizzati. Un ambiente puro, con una pavimentazione in parquet di rovere. In questo spazio, superata la porta blindata, si trova un divano angolare, semplice, di color marrone metallico, con il poggiatesta che sale fino al soffitto intraprendendo un percorso irregolare, ma funzionale; da questo serpente librato si svelano dei piccoli led luminosi che ravvivano, insieme alle casse acustiche incorporate, il soggiorno e al contempo la cucina attigua. I led RGB multi colore sottostanti al divano modificano l’atmosfera dello spazio vissuto. La limitrofa cucina, con tanto di sala da pranzo, è come ospitata nel soggiorno; anch’essa si presenta nella sua purezza in un bianco lucido laccato; il tavolo da pranzo è in vetro trasparente sorretto da gambe in acciaio inox. Il candore che caratterizza tutto l’ambiente si spande per tutta la sala investendo il mobile che funge anche da parete frontale al divano, in cui incastonata si trova la tv retroilluminata da un led RGB. Adiacente alla cucina si lascia intravedere dalla parete di vetro trasparente extrachiaro lo studiolo in tutta la sua regolatezza. Anche qui lo spazio è caratterizzato da un luccicante colore bianco; le tre librerie girevoli retro-specchiate permettono di modificare lo spazio a proprio piacimento; un'altra parete trasparente con satinature divide questo spazio dalla palestra semplice ed essenziale. Ognuna delle geometrie antropomorfe stilizzate nella parete trasparente è valorizzata da faretti tecnici la cui luce sale dal pavimento mettendo in risalto la fantasia. Vi è una forte eufonia fra il bianco che caratterizza apparentemente quasi tutto l’appartamento, gli specchi e i vetri trasparenti con satinature in tutti i luoghi del piano terra. Subito dopo troviamo il bagno di servizio con mobili laccati in bianco lucido; anche in questo caso il vetro finito a specchio con la stessa satinatura ha un ruolo importante nell’arredamento riempiendo quasi tutte le pareti. Importanti risultano le satinature retroilluminate dello specchio sopra il lavabo e quelle che fanno da sfondo alle naturali geometrie che, differentemente dagli altri ambienti, sono specchiati. Ogni maniglia della casa è in acciaio inox, da quella della porta blindata a quella del gigantesco mobile, il quale unisce cucina, soggiorno e arriva fino al piano superiore diventando una delle pareti della stanza da letto. Il mobile contenitore riveste tutta una parete della casa risultando non solo esteticamente molto piacevole, ma anche fortemente utile. La camera superiore mansardata presenta soltanto il letto che levita su un luminoso bagliore colorato, come per mettere al centro l’uomo, colui che riposerà e sognerà su quel letto. Una tenda in organza bianca abbraccia completamente l’immensa finestra, e presenta superiormente una veletta di acciaio inox, mentre uno specchio analogo a quelli del piano inferiore copre l’altra parete. Da qui si cela il bagno privato che, differente da tutto il resto, presenta un pavimento e la parete in labradorite verde; il piano del lavabo è in solid surface mentre da una parete, per ottimizzare lo spazio, si è creato un mobile contenitore rivestito esternamente in specchio.

A work with very simple forms has been created on the top floor of a residential building in Oderzo, which forcibly rejects conventional rules and proposes a new way of inhabiting space. An open-closed space has been opened up on the ground floor, one big room divided solely by large laminas of extra clear transparent glazed with stylised tree trunks. A pure environment with an oak-panelled floor. Inside, beyond the armoured door, there is a simple angular sofa in a metallic brown colour, whose headrest rises up to the ceiling following an irregular but functional path; this liberated “serpent” reveals some tiny luminous LEDs, which brighten up the lounge and adjacent with the help of the incorporated amplifiers. The multicoloured RGB LEDs underneath the sofa change the atmosphere of the inhabited space. The adjacent kitchen, complete with dining room, appears to be accommodated in the lounge, which also features the purest of shiny lacquered whites; the dining table is made of transparent glass and supported by stainless steel legs. The candour characterising the entire setting spreads right through the room, even influencing the piece of furniture also acting as a wall in front of the sofa complete with a TV set which is rear lit by an RGB LED. Close to the kitchen you can see the neat-and-tidy little study through the extra clear transparent glass wall. Here again the space is characterised by a bright and shiny white colour; the three revolving rear-reflected bookcases allow the space to be adapted according to taste; another transparent wall separates this space from a very plain and simple fitness room. All of the stylised anthropomorphic geometric patterns on the transparent wall are enhanced by spotlights rising up from the floor to highlight the patterns. There is notable euphony between the white colour seemingly running right through almost the entire apartment, the mirrors and transparent glass panels found all over the ground floor premises. Next we come to the utility bathroom, whose furniture is lacquered in a bright white colour; once again reflective glass plays an important part in the furnishing, covering almost all the walls. Other extremely important features include the rear-lit glazing of the mirror above the washbasin and the glazing providing a backdrop for the natural geometric patterns, which, unlike in the rest of the premises, are reflective here. All the handles in the house are made of stainless steel (on the armoured door and giant piece of furniture joining together the kitchen and lounge and extending up to the top floor to become one of the bedroom walls). The container-furniture covers an entire wall of the house, turning out to be both extremely pleasant to look at and highly useful. The upper bedroom, with a mansard roof, contains nothing but a bed, which levitates in a coloured luminous glow, as if to really focus on the person who will rest and dream in the bed. A white organza curtain embraces the whole of the giant window and has a stainless steel veil over it, while a mirror similar to those on the lower floor covers the other wall. This conceals a private bathroom, which, unlike all the others, has a green-coloured labradorite wall; the washbasin has a solid surface and a container-piece of furniture (with an external reflective mirror surface) has been created out of one of the walls to optimise the overall space.

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Dal basso, pianta del primo e del secondo livello.

10

From bottom, plans of the ground floor and second level.

5

3

1. Cucina Kitchen 2. Soggiorno Living Room 3. Ripostiglio Closet 4. Guardaroba Wardrobe 5. Bagno Bathroom 6. Palestra Gym 7. Studio 8. Terrazzo Terrace 9. Camera da letto Main bedroom 10. Camera da letto secondaria Bedroom

9

8

5 4

6

3

7

8

8 2

1

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Jürgen Eheim

Jürgen Eheim

70_73_MICHELI_268:Articoli 23/03/11 12:05 Pagina 72

Top, views of the lounge area showing a metallic browncoloured angular sofa with a headboard rising up to the ceiling along an irregular but functional path revealing small luminous LEDs. Above, bathroom. Right, the reflective wall of the bedroom.

Jürgen Eheim

In alto, viste della zona soggiorno caratterizzata da un divano angolare, di color marrone metallico, con il poggiatesta che sale fino al soffitto intraprendendo un percorso irregolare, ma funzionale, da cui si svelano piccoli led luminosi. Sopra, il bagno. A destra, la parete specchiata della camera da letto.

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Sotto, la camera da letto mansardata presenta soltanto il letto che levita su un luminoso bagliore colorato. Una tenda in organza bianca abbraccia completamente l’immensa finestra e presenta superiormente una veletta di acciaio inox.

Below, the mansardshaped master bedroom contains nothing but a bed floating on gleaming coloured light. A white organza curtain completely enfolds the huge window and has a stainless steel veil above it.

Jürgen Eheim Jürgen Eheim

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74_75_SPLACE_268:Articoli 23/03/11 12:47 Pagina 74

CITYVOICE IN GENOA SPLACE: Andrea Bosio, Giacomo Cassinelli, Antonio Lavarello, Katia Perini, Fabio Valido

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The Cityvoice installation designed and constructed by Space (ww.splace.eu) for the official opening (in November 2010) of Sala Dogana in Genoa, a new exhibition space which aims to be a place where art reveals itself to the city or, better still, where the city addresses itself through art. The metaphorical “city voice” takes on material form through all the sounds which fill the spaces of Genoa and bring them to life on a day-to-day basis. Dozens of recordings – ranging from the noises nature sends out into the artificial world (the wind and sea) and hubbub caused by road traffic to the confused but, at the same time, highly expressive cries coming from the local market and lively conversations inside bars – have been selected, collected and reproduced to create not just a sound system, but an aesthetic system in the broadest meaning of the word. The reproduction system becomes a means of spatial configuration, as the cables and amplifiers all tangled up in Piazza Matteotti create a colourful and noisy skein, which mixes together all the different audio traces, while on the inside the cables themselves run through the various premises of the Customs House describing brand-new trajectories: sometimes they run parallel along the wall, other times they twist across a sloping plain cutting through the space, and on still other occasions they separate from each other, bouncing several times off the walls and ceilings and leaving an array of headsets dangling like pieces of fruit corresponding to lots of different individual listening stations, where the various audio traces can clearly be distinguished. Piazza Matteotti also holds large wooden bobbins, which, emptied of cables, become attractions for people crossing this large open space while, at the same time, forming a system of unconventional seats. Cityvoice is a noisy Ariadne’s thread, which, as it captures hold of anybody crossing this busy downtown square, introduces them to a new place. The physical and conceptual pathway – or rather loop – closes with a map of the city, which invites visitors to directly experience the places where the recordings were made, so that interaction between the city and Customs House also happens the other way around, using a mix to allow anybody so inclined to alter the web of different sounds reproduced in Piazza Matteotti and, thereby, construct their own personal version of Genoa’s voice.

Andrea Bosio

Andrea Bosio

L’installazione Cityvoice è stata progettata e realizzata da Splace (www.splace.eu) in occasione dell’inaugurazione (nel novembre 2010) di Sala Dogana a Genova, un nuovo spazio espositivo, che mira a essere luogo dove l’arte si racconta alla città, o meglio ancora dove la città parla a se stessa attraverso l’arte. La metaforica “voce della città” viene materializzata nei tanti suoni che quotidianamente riempiono e rendono vivi gli spazi genovesi. Decine di registrazioni, dai rumori che la natura insinua nel regno dell’artificiale – il vento, il mare – al fragore che provoca il traffico automobilistico, dal gridare confuso e insieme espressivo del mercato alle animate conversazioni all’interno di un bar, vengono selezionate, raccolte e riprodotte dando vita a un sistema non solo sonoro ma estetico in senso più ampio. L’impianto di riproduzione diventa strumento di configurazione spaziale con i cavi e le casse acustiche che in piazza Matteotti si aggrovigliano a formare una matassa colorata e rumorosa che mescola insieme tutte le tracce audio, mentre all’interno gli stessi cavi attraversano i diversi ambienti della Dogana descrivendo traiettorie sempre nuove: ora scorrono paralleli lungo la parete, ora si torcono su un piano inclinato che fende lo spazio, ora si separano gli uni dagli altri, rimbalzando più volte sulle pareti e sul soffitto e lasciando pendere, come tanti frutti, una miriade di cuffie corrispondenti ad altrettante postazioni d’ascolto individuali dove le diverse tracce audio sono chiaramente percepibili nella propria singolarità. In piazza Matteotti vengono inoltre collocate delle grandi bobine di legno che, svuotate dei cavi, diventano elementi di richiamo per chi percorre il grande spazio aperto e insieme costituiscono un sistema di sedute non convenzionali. Cityvoice è un rumoroso filo di Arianna che catturando chi passa per una piazza centrale e frequentata lo conduce a conoscere un nuovo luogo. Il percorso – o meglio il circuito – fisico e concettuale si chiude con una mappa della città che suggerisce ai visitatori un’esperienza diretta dei luoghi dove sono state effettuate le registrazioni, affinché lo scambio tra la città e la Dogana avvenga anche in senso contrario, e con un mixer che permette a ciascuno di modificare l’intreccio dei diversi suoni riprodotto in piazza Matteotti e di costruire così una personale versione della voce di Genova.


74_75_SPLACE_268:Articoli 23/03/11 12:47 Pagina 75

Il gruppo di progettazione SPLACE, fondato nel 2009 per iniziativa di cinque giovani architetti genovesi, è una organizzazione informale, flessibile e aperta che si configura come luogo d’incontro di esperienze diverse unite da una comune idea di architettura. L’idea condivisa è quella di sviluppare e sperimentare alcuni tra i temi più attuali in campo architettonico: le relazioni con i mezzi di comunicazione, i problemi legati alla definizione, all’uso e alle trasformazioni dello spazio pubblico, il riutilizzo temporaneo del patrimonio architettonico degradato e abbandonato, le connessioni con altre arti. Nel 2009 SPLACE collabora alla mostra-laboratorio per giovani artisti “In/Comunicazione”, tenutasi all’interno dei locali abbandonati di Scalinata Borghese a Genova (piazza Tommaseo), progettando e realizzando l’allestimento generale, oltre a curare la sezione “Architettura”. Tra il 2009 e il 2010 il gruppo ha progettato e realizzato due serie di installazioni temporanee collocate in diversi spazi pubblici genovesi: “Splacexperience #2 – Chairs for all” e “Splacexperience #3 – Light up the space”. Nel 2010 SPLACE ha partecipato al Festival des Architectures Vives di Montpellier, con il progetto “Truthehole”, ottenendo una menzione speciale della giuria. Sempre nel 2010 viene selezionato per la fase finale del “Concours de projets pour l’animation artistique du collège de Gambach” a Friburgo (CH), presentando il progetto “300”.

The SPLACE design team, set up by five young architects from Genoa in 2009, has an informal, flexible and open layout designed to be a place for comparing all kinds of different experiences sharing the same idea of architecture. The shared idea is that of developing and experimenting with some cutting-edge issues in the field of architecture: relations with means of communication, problems connected with defining, using and transforming public space, the temporary re-usage of the dilapidated and abandoned architectural heritage, and connections with the other arts. In 2009 SPLACE took part in the exhibition-workshop for young artists entitled “In/Comunicazione”, held in the abandoned premises of Scalinata Borghese in Genoa (Piazza Tommaseo), designing and constructing the basic installation, as well is handling the “Architecture” section. From 2009-2010 the team designed and constructed two sets of temporary installations incorporated in various public spaces of Genoa: “Splacexperience #2 – Chairs for all” e “Splacexperience #3 – Light up the space”. In 2010 SPLACE took part in the Festival des Architectures Vives di Montpellier with a project entitled “Truthehole”, receiving a special commendation from the panel of judges. Again in 2010 it was selected for the final stage of the “Concours de projets pour l’animation artistique du collège de Gambach” in Freiburg (Germany) with a project entitled “300”. These pages, images from Cityvoice, the installation built for the opening of the new exhibition facility in Genoa Customs House. The sound reproduction system turned into a means of spatial configuration as the cables and amplifiers all tangled up in Piazza Matteotti create a colourful and noisy skein, which mixes together all the different audio traces, while on the inside the cables themselves run through the various premises of the Customs House describing brand-new trajectories.

In queste pagine, immagini di Cityvoice, l’installazione realizzata per l’inaugurazione del nuovo spazio espositivo genovese Sala Dogana. L’impianto di riproduzione sonora diventa strumento di configurazione spaziale con i cavi e le casse acustiche che in piazza Matteotti si aggrovigliano a formare una matassa colorata e rumorosa che mescola insieme tutte le tracce audio, mentre all’interno gli stessi cavi attraversano i diversi ambienti della Dogana descrivendo traiettorie sempre diverse. Silvia Aresca Silvia Aresca

Andrea Bosio

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77 Dror Benshetrit, Tron armchair, Cappellini & Walt Disney Signature

Jacques Ferrier, Aluchair, sedia in alluminio, aluminium chair, Ligne Roset

Michel Bouquillon, Lazy, panchina pieghevole e sgabello in alluminio estruso, tessuto in Batyline速 e inox marino/estruded aluminium, Batyline速 fabric, marine inox folding bench and stool, Serralunga

Jacques Ferrier, Aluchair, sedia in alluminio, aluminium chair, Ligne Roset


SALONE INTERNAZIONALE DEL MOBILE

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Philippe Nigro, Canisse, divano/sofa, Serralunga

Ronan & Erwan Bourellec, Ploum, divano con struttura in griglia di acciaio, imbottitura di schiuma di poliuretano e rivestimento di poliestere/sofa with steel grid structure, and polyurethane and polistirene upholstery, Ligne Roset

Jean-Pierre Audebert, Pegasus JR-6880, poltrona/armchair, Jori

Philippe Nigro, Passio, poltrona outdoor con struttura tubolare di acciaio inossidabile outdoor armchair with stainless steel tube structure, Ligne Roset


79 Altamoda Italia, Bigbaboll, divano a due posti/two-seat sofa

Mirko Tattarini Monti, Chaise Long Aston Martin, scocca autoportante in fibra di carbonio con inserti di alluminio lucidato. Imbottitura in schiuma poliuretanica rivestita in pelle o lana cotta/self-supporting body made of carbon fiber with polished aluminium inserts. Padding in polyurethane foam covered in leather or wool, Aston Martin

Jean Nouvel, Saint James, sedia con struttura di acciaio e seduta in schiuma di poliuretano con inserti di polistirene e rivestimento di cotone/char wit steel structure, polyurethane foam seat, and cotton upholstery, Ligne Roset

Charlotte Perriand, Tokyo, chaise longue, riedizione dell’inedito del 1940 re-edition of the 1940’s original, Cassina

Centro Studi Interno, Koru, divano componibile/modular sofa, Collezione Urbana, Calia Italia


SALONE INTERNAZIONALE DEL MOBILE

80 Gordon Guillaumier, DS-247, divano componibile/modular sofa, De Sede

FrĂŠdĂŠric Sofia, Sixties, sedia con struttura di allumino e seduta in rete di resina tecnica/chair with aluminium structure and seta wit tecnica resin web seat, Fermob

Tokujin Yoshioka, Moon Chair, Moroso

Takashi Kirimoto, Patio, sedia/chair, Zilio A&C

Shin Azumi, Nara, sgabello da bar/barstool, Fredericia Furniture


81 Damjan Ursic, Slim, divanetto in acciaio, poliuretano espanso e tessuto elasticizzato/sofa made of steel, polyurethane and elastic fabric, Futura

Edward Van Vliet, Bottom Down, Moroso

Paola Navone, Eu/phoria, sedia di Woodstock速, composito di polipropilene e scarti della lavorazione del legno/chair made of Woodstock速, compound of polypropylene and wood chips, Eumenes

Giopato & Coombes, Valerie, seduta in legno curvato/bent wood chair, Miniforms


SALONE INTERNAZIONALE DEL MOBILE

82 Patricia Urquiola, Klara, poltrona in legno/wooden chair, Moroso

Archirivolto Design (Claudio Dondoli, Marco Pocci), Twin, sedia impilabile con struttura di polipropilene stackable chair with polypropylene structure, Brunner

Muu, sgabello di frassino e mogano/beech and mahogany stool, Promemoria

Jean-François D’or, Maternity, vaso/vase, Ligne Roset

Jean Nouvel, Simplissimo, chaise longue, struttura di acciaio laccato nero e seduta di polipropilene/black lacquered steel structure and polypropylene seat, Ligne Roset


83 Patrick Norguet, Degree, tavolino multifunzione/multifunctional sidetable, Kristalia

Alain Gilles, Collage, tavolini componibili/modular tables, Bonaldo

Isabelle Rigal, Scaccomatto, tavolino da cocktail estensibile di cristallo e legno laccato extensible cocktail table of crystal glass and lacquered wood, Naos

Pierre Paulin, Thot, tavolino/table, Ligne Roset


SALONE INTERNAZIONALE DEL MOBILE

84 Sergio Borella, Bridge, tavolo di alluminio ultraleggero ultralight aluminium table, Borella Design

Sergio Borella, Bridge, tavolo di alluminio ultraleggero ultralight aluminium table, Borella Design

Sergio Borella, Bridge, tavolo di alluminio ultraleggero ultralight aluminium table, Borella Design

Ramòn Esteve Sillon Arena, Na Xemena Collection, poltrona da esterno, edizione limitata, finitura in alluminio termolaccato in bianco, sabbia e tabacco/outdoor armchair, limited edition, white, sand or tobacco thermolacquered aluminum, Gandia Blasco Outdoor & Passdoor

Lievore Altherr Molina, Hayku, poltroncina, struttura in legno imbottita in poliuretano espanso e rivestita in tessuto sfoderabile, pelle o ecopelle/armchair, wood structure, polyurethane upholstery, with removable skin or eco-skin cover, Jesse

Matali Crasset, seduta trasformabile di legno e feltro convertible seating made of wood and felt, Danese Milano


85

UN Studio (Ben van Berkel, Caroline Bos with Juergen Heinzel, William de Boer and Machteld Kors, Martijn Prins, Daniela Hake), SitTable, Prooff (photo: Roel van Tour and Pim Top) IS_Bedini_Raco_Settimelli, Abaco, libreria/bookshelf, Officinanove

Massimo Iosa Ghini, B_IG, tavolo da biliardo/billiard table, MBM Biliardi


SALONE INTERNAZIONALE DEL MOBILE

86 Roberto Lazzeroni, Ginger & Fred, poltrona e scrivania in legno Wengè e cuoio/armchair and desk in Wengè wood and leather, Poltrona Frau

Claudio Lovadina, Sipario, armadio/cupoboard, EmmeBi

Ugo La Pietra, Casetta, scaffali/shelves, Bysteel

Fabio Novembre, Robox, libreria in metallo verniciato/painted metal bookshelf, Casamania


87

Silvano Pierdonà e Alessio Bassan, Centotrentacinque, collezione di ante di diverso colore, superficie e dimensione/collection of furniture doors of various colour surface texture and dimension, Capo d’Opera

Cyril Gavard, Barbaxeo, poltroncina/armchair, Soca

José A. Gandía Blasco, Daybed Elevada, letto per esterni in profilato di alluminio anodizzato e teloni di plastica/bed for exteriors made of anodized aluminium profiles and plastic tarpaulin, Gandia Blasco Outdoor & Passdoor

Toshiyuki Yoshino/Studio Ozeta, Metrò, tavolo con struttura in alluminio, meccanismo telescopico allungabile anche nella struttura, piano e prolunga in cristallo table with telescopic alluminium structure and crystal glass plane, Ozzio design


FUORI SALONE

88 88

Zaha Hadid, TWIRL, installazione realizzata con la lastra in gres porcellanato Lea Slimtech, dallo spessore ultrasottile (soli 3mm) e dal grande formato (fino a 3mx1m)/installation realized with Lea Slimtech porcelanized gres extra thin (3mm) large size (up to 3mx1m) tiles, Lea Ceramiche

Neil Poulton, Bag-ette, borsa porta pane/baguette-holder, Guzzini

Istigami Associates, Kanagawa Institute, in occasione della mostra “Architecture as a piece of nature (Sou Fujimoto, Akihisa Hirata, Junya Istigami)” allo Spazio FMG per l’Architettura di Iris Ceramica e FMG Fabbrica Marmi e Graniti

Hsu-Li Teo, Stefan Kaiser, Sticks, sistema divisorio polifunzionale, gomma, fibra di vetro e legno/rubber, glass fiber and wood multifunctional partition system, Extremis


89 89 Cerruti Baleri r&d, Capri Venus, poltroncina/armchair, Cerruti Baleri

Jacopo Foggini, twentyfivethousandscoffee, installazione realizzata con 25.000 capsule di caffè installation made of 25,000 coffee capsules, Nespresso

Michele Barattini, La cittĂ di marmo, serie di lampade in marmo/series of marble lamps, Fiammetta Marble

Matteo Ragni, Portatovaglioli, due bottigliette di Camparisoda sovrapposte diventano una clessidra, struttura in metallo verniciato napkin-holder, two overlapping Camparisoda bottles become a sandglass, painted metal structure, Danese Milano


FUORI SALONE

90

Marco Goffi, Unveil, installazione concettuale “site specific�/conceptual installation

Toshiyuki Kita, Fura, vasca da bagno/tub, Inax

Tom Dixon, Bulb, sistema di lampade ad alta efficienza high efficiency lighting system, Tom Dixon


91

Salotto di carta, poltrona e divano, involucro in politene idrorepellente e trasparente, imbottitura in fieno o altri elementi naturali/paper armchair and sofa, wrapped in waterproofing transparent polyethylene, upholstery made of hay and other natural elements, Essent’ial

AquiliAlberg, cucina in Corian, Ernestomeda, presentata in occasione alla mostra/Corian-made kitchen presented on the occasion of the exhibition “TRON designs Corian” (Disney® and DuPont™)

Salotto di carta, poltrona e divano, involucro in politene idrorepellente e trasparente, imbottitura in fieno o altri elementi naturali/paper armchair and sofa, wrapped in waterproofing transparent polyethylene, upholstery made of hay and other natural elements, Essent’ial

Dirk Wynants, Kosmos, sistema di tavoli, sedute per interni o per esterno con parasole, strutture in alluminio, rivestimento in pelle naturale (interni), sintetica o tessuto per esterni/system of tables and chairs for interiors/exteriors with awning, aluminium structures, natural leather (for interiors) or synthetic fabric covering (exteriors), Extremis

Dirk Wynants, Kosmos, parasol, acciaio inox e poliestere/stainless steel and High tech polyester, Extremis


EUROLUCE

92 Massimiliano e Doriana Fuksas, Zyl, iGuzzini

Teruhiro Yanagihara, Chords, Pallucco

Michel Boucquillon, PIN, Martinelliluce


93 Enrico Azzimonti, Heron, Bilumen

Brian Rasmussen, Medusa Lilla, Voltolina Classic Light

Mario Mazzer, Up, Lucente

Ernesto Gismondi, Fagus, Artemide


94

EUROLUCE

Karim Rashid, Halo, Artemide

Toshiyuki Kita, Denq, Oluce

Philippe Nigro, Stripes, Ligne Roset

Dacoma Design, Wood, Check Up (production), Sensai (technology), iTre (distribution)


95 Alberto Tosello, Ombra, Fabbian

Neil Poulton, Luna Bay, Artemide

AquiliAlberg, Evita, Kundalini


EUROLUCE

96

Jules Wabbes, riedizione/Bulo re-edition

Mirko Tattarini con Lagos design Studio, Fiorile, WildCrafts

Emiliana Martinelli, Pistillo P Xs, Martinelli Luce

Massimo Iosa Ghini, Cannettata, De Majo Illuminazione


97

Hector Serrano, Carmen, FontanaArte

Tobia Scarpa, Quasar, Gregoris

Marco Acerbis, Building, FontanaArte

POWERstixx, Osram


98_111_Arca2_268:Notiziari 23/03/11 13:56 Pagina 98

Rubriche e articoli sul mondo della progettazione, della produzione e della ricerca. Design, production and research.

Casa nel bosco In France Progetto: King Kong Nel comune di Belin-Beliet, una cittadina nella regione della Gironda, sulla costa atlantica francese, i progettisti dello studio King Kong hanno costruito questa villa dall’impronta moderna e minimalista, iscritta al centro di un terreno di forma trapezoidale riccamente alberato in una zona protetta. La villa si estende su una superficie di 180 metri quadrati, suddivisi su due livelli, completata da una costruzione indipendente che ospita i locali tecnici e da un’altra per il garage. Raggiungibile direttamente da un percorso rurale, la nuova abitazione si caratterizza per un volume prismatico di base trapezoidale che rispetta la conformazione del lotto. Il progetto si sviluppa su un basamento 50 cm sopra livello del terreno naturale e da origine a una terrazza in legno. La semplicità e l’essenzialità del registro espressivo è arricchita da trattamento delle superfici e la cura dei particolari. Muri in intonaco dipinti di bianco, copertura a due falde in zinco, particolari dei serramenti in alluminio laccato nero struttura indipendente nel giardino in muratura intonacata dipinta di bianco, infondono a questa abitazione un’impronta personale imprimendole uno statuto contemporaneo. Designers at the Kong Kong studio have built a modern, minimalist villa in the town of BelinBeliet, in the Gironde area on the French Atlantic coast. The house was built in the middle of a thickly tree-lined, trapezoid-shaped area in a protected zone. The two-story villa covers a 180-square-meter surface area and is completed by two independent buildings, one hosting the technical rooms and the other the garage. Directly accessible from a rural path, the new residence features a prismatic volume with a trapezoidal shape that follows the conformation of the lot. The project develops over a 50-cm base above the natural ground level and gives origin to a wooden terrace. The simple, essential nature of the work is enriched by the way the surfaces were treated and by attention to detail. T he plasterwork walls painted white, a roof consisting of two zinc layers, the details in the aluminum door and window frames painted in black enamel, an independent structure in the garden in plastered, whitewashed masonry endow the villa with a personal touch and a contemporary feel.

Project: AA King Kong Associate architects: Paul Marion, Jean-Christophe Masnada, Frederic Neau e Laurent Portejoie Client: Private

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Unità di vita In Bondy Progetto: Atelier du Pont/Plan01 Stylistic simplicity, quality interior space and attention to detail to create a block of highly compact and reassuring-looking apartments This social housing building (part of the PNRU national urban redevelopment programme), which officially opened in Bondy, a borough in the French department of Seine-Saint-Denis in the north-eastern suburbs of Paris, in March 2010, is incorporated in a building block bordered by a fitness centre, school and fabric of detached houses; it is set against the backdrop of council properties from the 1950s, which are gradually being knocked down. The aim of Groupe 3F, a social real-estate renting agency, is to re-house 34 families close to their old neighbourhood in a totally revamped living scenario, which was the focus of a competition launched in 2007. The winning project, designed by Atelier du Pont, consists of a group of 34 apartments, plus 34 underground parking spaces, which project a distinctly compact and reassuring image. The most distinctive features of this project (created along the kind of austere lines associated with traditional inner-city building blocks) are stylistic simplicity, high-quality interiors and very careful attention to detail. It is a large two-storey house with under-roof facilities, which combines with the old borough school institutes to form a large U-shape opening onto a courtyard landscaped with seven age-old sycamore trees. The twin-pitched roof calls to mind traditional detached houses, although it has been radically redeveloped through an interplay between the façade covering and roof, cancelling out any separation between the walls and roof. An urban object, which yields nothing in terms of its congenial appearance, overlooking both a courtyard and a road, thanks to the contrast between its white terracotta skin along the roadway and external facades of the U-shape and a wooden skin across the facades facing onto the court yard. On the inside a desire to break away from the macro scale of the block is embodied in the construction of four stairwells, allowing just two apartments to be set on each landing, and in this way reinforcing its nature as a “small living unit”. All the apartments have double exposure, including the two-room apartments, and enjoy views across the courtyard benefiting from natural lighting. The apartment entrances are designed to be easily converted into small offices to adapt to developments in lifestyles and the emergence of new kinds of families. The glazed lounges in each apartment open up onto wide balconies alternating in chequerboard fashion, so as to prevent any large shadows from being cast. The communal parts are lit by natural light and painted in shades of green, which contrast with the bright orange of the stairwells. The decision to opt for a simple and identifiable form made it possible to focus on the properties of the materials and details of the finishing. Insulation from the outside and plenty of natural lighting conform to the dictates of maximum environmental quality, in accordance with the specifications set down by the client during the competition phase.

Luc Boegly

Semplicità formale, qualità degli spazi interni e cura dei dettagli per un complesso di alloggi sociali dall’immagine compatta e rassicurante. Inaugurato nel marzo del 2010 a Bondy, comune del dipartimento francese della Seine-Saint-Denis nella banlieue nord-est di Parigi, l’edificio per alloggi sociali (progetto che rientra nel programma nazionale di rinnovamento urbano PNRU) è inserito in un isolato limitato da una palestra, una scuola e un tessuto di case unifamiliari; sullo sfondo degli immobili popolari degli anni Cinquanta in via di demolizione. L’obiettivo del locatario sociale Groupe 3F era ricollocare 34 famiglie vicino al loro vecchio quartiere offrendo uno scenario abitativo totalmente ripensato, programma al centro di un concorso bandito nel 2007. Il progetto vincitore, firmato da Atelier du Pont, propone un insieme di 34 appartamenti, più 34 parcheggi nel sottosuolo, dall’immagine compatta e rassicurante. Semplicità formale, qualità degli spazi interni e particolare cura dei dettagli sono le principali caratteristiche di questo intervento declinato sulla linea della sobrietà propria della tradizione dell’isolato urbano di riferimento. Una grande casa di due piani più sottotetti che in riferimento ai vecchi istituti scolastici comunali, forma una grande U aperta su una corte dove si innalzano sette platani centenari. La copertura a doppia falda evoca la tradizione delle case unifamiliari rivisitandola però radicalmente attraverso un gioco di ribaltamenti del rivestimento di facciata che diviene copertura cancellando qualsiasi separazione tra muri e tetto. Un oggetto urbano che non rinuncia all’aspetto conviviale affermando il doppio orientamento sulla corte e verso strada grazie al contrasto tra una pelle in terra cotta bianca su strada e sulle facciate esterne della U e una pelle in legno sulle facciate verso corte. All’interno, la volontà di rompere con la macro scala della stecca si esprime nello sviluppo di quattro corpi scala che permettono di organizzare solo due alloggi per ogni pianerottolo rafforzando il carattere della “piccola unità di vita”. Tutti gli alloggi sono traversanti o doppiamente orientati, compresi i bilocali, e offrono una vista sulla corte beneficiando di un’illuminazione naturale. Gli ingressi degli appartamenti sono studiati per essere facilmente trasformati in piccoli uffici in considerazione anche dell’evoluzione dei modi di vita e dell’emergere di nuovi modelli famigliari. In ogni alloggio, i saloni vetrati si aprono con ampi scorrevoli su larghe balconate alternate in scacchiera, in modo da evitare le formazione di ombre portate. Le parti comuni sono illuminate naturalmente e dipinte sui toni del verde che contrasta con l’arancione deciso dei corpi scala. La scelta di una forma semplice e identificabile ha permesso di esaltare la qualità dei materiali e i dettagli delle finiture. Un isolamento dall’esterno e i considerevoli apporti di luce naturale rispondono ai dettami della massima qualità ambientale in base alle specifiche indicate dal committente in fase di concorso.

Project: Atelier du Pont (Anne-Cécile Comar, Philippe Croisier, et Stéphane Pertusier, membres de PLAN01) Project manager: Eve Honnet Structural engineering: EVP Hydraulics plants: Delta Fluides Economist: RPO Control: Batiplus Quality: Socotec General contractor: Sacieg Client: Groupe 3F

268 l’ARCA 99


98_111_Arca2_268:Notiziari 23/03/11 13:56 Pagina 100

Vuoto Verde In Sydney Progetto: LAVA - Chris Bosse, Tobias Wallisser and Alexander Rieck Fin dagli anni Settanta, con gli esperimenti di Frei Otto con le bolle di sapone per lo stadio olimpico di Monaco, i sistemi a evoluzione naturale sono stati un settore di ricerca molto affascinante; un retaggio che non è andato perso per il gruppo LAVA su cui questo tipo di strutture evolutive e di nuove tecnologie costruttive continua a esercitare una forte attrattiva. L’installazione Green Void è una “Superficie Minimalista” costituita da Lycra tesa, con uno schema definito in modo digitale e tagliata su misura per lo spazio che occupa. Cinque lati della scultura si estendono per fluttuare con precisione sopra l’atrio principale della Customs House a Sydney. Il materiale della scultura è un tessuto bi-elastico a doppia tessitura attaccato meccanicamente a profili di alluminio progettati specificatamente a tale scopo. Ciascun profilo è sospeso dall’alto e ai lati a cavi di acciaio inossidabile spessi 2 mm. Il progetto di questo tessuto leggero ne segue le linee, i contorni e le tensioni di superficie naturali. Le sue curve sono il risultato di bolle invisibili tradotte in uno spazio organico tridimensionale. Pur apparendo solida, la struttura è morbida e flessibile e crea spazi molto insoliti all’interno della Customs House, essendo anche vitalizzata da proiezioni e giochi di luce. Innalzandosi fino al livello del ristorante, con una verticale di circa 20 metri, la scultura determina un intenso contrasto visivo con gli ambienti restaurati della Customs House. Il “Media Wall” è attivato anche da 12 schermi video che proiettano dettagli del processo progettuale, ingegneristico, costruttivo e di installazione della scultura e da immagini di altri recenti progetti di LAVA. L’intera installazione è immersa in un paesaggio sonoro realizzato da David Chesworth, con grafiche dei TOKO e lavori 3D dell’artista visivo Peter Murphy. Since the 1970’s, with Frei Otto’s soap-bubble experiments for the Munich Olympic Stadium, naturally evolving systems have been an intriguing area of design research; something that hasn’t been lost on the LAVA team and their fascination with new building typologies and naturally developed structures. The installation Green Void is a “Minimal Surface” that consists of a tensioned Lycra material, digitally patterned and custom-tailored for the space. Five sides of the sculpture reach out to carefully hover just off the main interior atrium of the Sydney Customs House. The sculpture materials consist of a double stretch, two-way woven fabric that is mechanically attached to specially designed aluminium track profiles. Each profile is suspended from above, and to the side, on 2mm stainless steel cabling. The lightweight fabric design follows the natural lines, contours and surfacetension of the fabric. The curves can be seen as the result of invisible bubbles that are translated into an organic 3-dimensional space. While appearing solid, the structure is soft and flexible and creates highly unusual spaces within Customs House, which come to life with projection and lighting. Rising up to the top level restaurant, a vertical distance of almost 20m, the sculpture provides an intense visual contrast to the beautifully restored heritage interior of Customs House. The “Media Wall” is also activated with content detailing the process of design, engineering, fabrication and installation of the sculpture along with the impressive, recent design projects completed by LAVA across 12 video screens. The whole installation is immersed in a soundscape by sound artist David Chesworth and graphic design by TOKO, and includes 3D works by visual artist Peter Murphy.

Project: LAVA Project Team: Chris Bosse, Tobias Wallisser, Alexander Rieck Collaborators: Jarrod Lamshed, Esan Rahmani,

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Kim Ngoc Nguyen, Anh Dao Trinh, Erik Escalante Mendoza, Pascal Tures, Mi Jin Chun, Andrea Dorici Fabrication and installation: Mak Max


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Nuova estetica digitale In Taipei Progetto: noiz / architecture, design and planning Keisuke Toyoda e Jia-Shuan Tsai, soci fondatori dello studio di Tokyo noiz / architecture, design and planning, ritengono che l’avanzamento tecnologico possa portare a una nuova estetica del design e a un nuovo senso del valore, attraverso un uso innovativo degli strumenti computazionali e delle tecniche digitali di fabbricazione. A dimostrazione di questo, due loro progetti recentemente realizzati all’interno de Le Meridien Hotel di Taipei: nell’atrio l’installazione artistica “Gravity Fields” e nel Salone da Ballo l’installazione luminosa “Strata Fields”. Gravity Fields è composto di due pezzi – uno, un’installazione sulla parete e l’altro un elemento a terra – che rappresentano i campi irregolari dello spazio per come li interpretiamo. Entrambi i pezzi di Gravity Fields sono composti da una struttura tridimensionale a nido d’ape basata su un semplice schema matematico chiamato Schema Voronoi. Utilizzandolo come base, ciascun pezzo è deformato tramite una distorsione localizzata del campo Voronoi, come quando un campo gravitazionale si distorce per una concentrazione di massa. Nel pezzo a terra, la distorsione determina un paesaggio dinamico spostando verticalmente il campo Voronoi, mentre nel pezzo a parete, la distorsione rimane principalmente sulla stessa superficie poiché vengono influenzate le singole celle più che la loro posizione. Il lampadario Strata Fields è stato realizzato per rappresentare una sensazione di flusso continuo nello spazio, come se strati fluidi di aria, contenuti in scatole di 10x10 m, si fossero cristallizzati in perle. La composizione della struttura completa è difficile da comprendere da lontano. A chi guarda si chiede, invece, di spostarsi per “avvertire” gli strati avvolgenti e la loro “dinamica statica”, come se i loro corpi si muovessero in un campo etereo congelato nel tempo. Più che un oggetto di design scultorio, i noiz hanno progettato un’atmosfera di sottofondo che dà la sensazione di una delicata e fluida continuità con il resto del mondo. L’intenzione progettuale era di realizzare un nuovo lampadario sensoriale, con una qualità non volumetrica e non scultoria, capace di diffondersi e di integrarsi nello spazio circostante come un elemento naturale sempre esistito.

Keisuke Toyoda and Jia-Shuan Tsai, founding partners of Tokyo-based firm noiz / architecture, design and planning, believe that technical improvement can lead to new design aesthetics and a sense of value, in this case through innovative use of computational design tools and digital fabrication. Their recently completed projects for Le Meridien Hotel Taipei, the Lobby Art Installation “Gravity Fields”, and Ballroom Chandelier Installation, “Strata Fields”, are a demonstration of this belief. Gravity Fields, is composed of two pieces – one, a wall hanging, and the other, a floor piece – which both represent the irregular fields of space as we now understand them to be. Both pieces of Gravity Fields are composed of a 3D honeycomb structure. Additionally, both are based on a simple mathematical pattern definition called a Voronoi Pattern. Using this pattern as a base, each piece is deformed by locally distorting its Voronoi field as when a gravity field becomes distorted by a concentration of mass. For the floor piece, the distortion creates a dynamic landscape by shifting the Voronoi field vertically, whereas in the wall piece, the distortion remains mostly within the same surface as individual cell sizes are affected rather than their location. The Strata Fields chandelier is made to represent a feeling of a continuous flow through space, as if fluid layers of air, contained in a 10m x 10m box, are crystallized into beads. The composition of the overall structure, in its entirety, is difficult to grasp from one vantage point. Instead, viewers are required to move about to sense the encompassing strata and their “static dynamics” as their bodies move though an ethereal field which has been frozen in time. Rather than design a sculptural object, noiz has designed a background atmosphere with a sensitive feeling of delicate and fluid continuity to the rest of the world. The design intention is to create a new sensation of chandelier; a non-volumetric, non-sculptural quality which loosely spreads and merges into the space, as if it always naturally existed.

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Energia pulita dalle facciate “Una tecnologia verde per un pianeta azzurro”, la filosofia sposata da Schüco in direzione di sistemi per involucri edilizi sostenibili e sempre più perfezionati a livello di risparmio energetico, è stata al centro dell’importante presenza dell’azienda tedesca al Bau di Monaco, il salone internazionale dell’architettura, materiali e sistemi che si è tenuto nel novembre scorso. All’interno di uno stand di quasi 3000 metri quadrati, sono state presentate le principali innovazioni in fatto di involucri edilizi super evoluti in grado non solo di risparmiare energia ma di produrne più di quella consumata dall’edificio e di collegarla direttamente in rete. Per agevolare e orientare nella scelta del tipo di soluzione più adeguata, Schüco ha creato un vero e proprio Energy Network, un concetto a tre classi di energia che permette di catalogare i diversi sistemi in base a proprietà e tipo di rendimento energetico. L’attenzione si è concentrata su un progetto pilota dalle prestazioni particolarmente innovative, Energy Building3 (la più elevate delle tre classi di energia) una soluzione che oltre all’economia e produzione di energia, propria di Energy Building2, consente di collegare l’energia prodotta in rete. Grazie all’unione di un sistema fotovoltaico integrato e di un involucro edilizio a strati funzionali scorrevoli che consentono il posizionamento e l’utilizzo individuale di vetrate, schermi notturni e protezione solare, Energy Building3 permette di produrre una quantità di energia superiore a quella consumata (1). Questo vuole dire che l’edificio può gestire in modo completamente autonomo tutti i sistemi di automazione, di condizionamento e di illuminazione grazie al fotovoltaico e soltanto durante i mesi invernali dovrà integrare la produzione necessaria di calore per il riscaldamento mediante altri dispositivi. Il collegamento in rete dell’energia prodotta viene garantito da SmartNet, la nuova rete di corrente continua di Schüco che permette di gestire il bilancio energetico complessivo dell’abitazione e coordina la produzione di energia con il fabbisogno energetico dell’edificio (2, 3). Altra importante novità rivolta al settore della ristrutturazione e del rinnovo edilizio, in particolare per edifici risalenti agli anni ’60, ’70 e ’80, la facciata Schüco ERC 50 basata su un approccio olistico e modulare che consente il miglioramento energetico di facciate con finestre singole o a nastro. Sulla facciata originaria, viene montata una struttura portante esterna che segue la griglia costruttiva del corpo dell’edificio e permette l’integrazione dei sistemi di protezione solare, di aerazione decentralizzata, di finestre in alluminio e facciate ProSol TF per la produzione di energia. Il tutto consentendo la normale fruizione degli spazi interni. Una volta ultimato il lavoro le vecchie finestre vengono eliminate e il nuovo involucro viene fissato ai soffitti, ai pavimenti e alle aree laterali mentre tutti i componenti meccanotronici vengono integrati all’interno del sistema tecnologico dell’edificio. Perfettamente in linea con gli standard di isolamento della casa passiva, la nuova finestra Schüco AWS 90.SI+ (oggi ormai disponibile per la consegna) ha suscitato l’interesse del pubblico per l’innovativo sistema isolante che coniuga ai vantaggi dell’alluminio una soluzione architettonica di elevata sostenibilità (4).

Precisazione Milanofiori Nord Business Park Precisiamo che l’architetto Massimo Bertolano, segnalato come componente del “Project Team” nei credits relativi al progetto Milanofiori Nord Business Park a pag.55 de l’Arca 266 (febbraio 2011), ne è invece “Associated Architect”. Dopo aver fondato il proprio studio Amber+ (www.amber-plus.com) a Milano e Rotterdam, Massimo Bertolano ha avuto l’incerico per il progetto generale del paesaggio e degli spazi esterni di Milanofiori, un edificio per uffici sostenibile, e l’interno dell’hotel sempre a Milanofiori. We would like to rectify the position of Architect Massimo Bertolano, listed as member of the “Project Team” in the credits concerning the project Milanofiori Nord Business Park at page 55, l’Arca 266 (February 2011), is instead “Associated Architect” in that project. After founding his own office Amber+ (www.amber-plus.com) with offices in Milan and Rotterdam, Massimo Bertolano has been commissioned for the overall design of landscape and open spaces in Milanofiori , a sustainable office building, and the interior of the Hotel building in Milanofiori.

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Fuori dagli schemi Free Composition Antrax IT, grazie a Teso, il radiatore disegnato da Dante O. Benini e Luca Gonzo, ottiene un nuovo riconoscimento di importanza internazionale, l’Interior Innovation Award 2011. L’Interior Innovation Award, organizzato annualmente dal German Design Council e nato nel 2002, gode di prestigio internazionale e premia le novità di spicco nel design di prodotto. I prodotti in gara sono suddivisi in categorie (arredamento, bagno, ufficio, cucine, illuminazione, ecc) e valutati da una qualificata giuria di esperti nei vari settori. Teso è una libera composizione di forme, fonde in sé architettura e design in maniera innovativa e fuori dagli schemi. La presenza discreta del radiatore Teso nell’ambiente domestico genera un rassicurante tepore, è caldo compagno di viaggio, radiatore, pratica mensola ed elegante scalda salviette. Il materiale impiegato è l’acciaio verniciato; può essere installato sia in orizzontale che in verticale, singolarmente oppure a due o tre elementi.

Thanks to Teso, a radiator designed by Dante O. Benini and Luca Gonzo, Antrax IT has received a new acknowledgement of worldwide importance: the Interior Innovation Award 2011. The Interior Innovation Award, which is organized annually by the German Design Council and was founded in 2002, enjoys high international prestige, and rewards significant innovation in product design. The competing products are divided into categories (furnishing, bathroom, office, kitchen, lighting, etc.) and appraised by a qualified jury of experts in the various sectors. Teso, designed by Dante O. Benini and Luca Gonzo, is a free composition of shapes, merging architecture and design in an innovative, mold-breaking product. The unobtrusive presence of the Teso radiator in the home generates a reassuring warmth; it is a warm fellow traveler, a radiator, a practical shelf and elegant towel drier. The material used is painted steel; it can be installed both horizontally and vertically; a single piece can be installed, or two or three elements can be combined.


98_111_Arca2_268:Notiziari 23/03/11 13:57 Pagina 103

Visioni future For Rome La rivista “Cityvision” ha annunciato i vincitori del concorso di architettura “Rome City Vision” (www.cityvision-competition.com/index.html). “Rome City Vision” è un concorso di idee che sfidava architetti, ingegneri, progettisti, studenti, creativi, a sviluppare proposte urbane visionarie con l’intenzione di stimolare e sostenere la città contemporanea, nel caso specifico Roma. Attraverso idee e metodologie innovative che possono migliorare la connessione tra la città storica, presente e futura, si mira a proporre un’evoluzione critica della storiografia architettonica. La capitale italiana manifesta una pesante assenza di un’urbanistica contemporanea e interventi architettonici inefficaci. Obiettivo del concorso era stimolare l’immaginazione e guidarla all’uso di nuovi materiali, eco-tecnologie, software parametrici e organizzazioni territoriali per una visione futura di Roma. La globalizzazione, i temi ambientali, la storiografia futura della città, l’adattabilità e le emergenti pratiche digitali sono alcuni degli elementi che si dovevano tenere in considerazione. La giuria era formata da giovani architetti e designer: Juergen Mayer H., Francesco Lipari, Francesco Gatti, Felipe Escudero, Michael Caton. Sono stati selezionati tre vincitori e conferite nove menzioni d’onore tra i 118 partecipanti che hanno presentato 87 progetti da 22 Paesi.

“Cityvision” mag announced the winners of “Rome City Vision” architecture competition (www.cityvision-competition.com/index.html). “Rome City Vision” is an ideas competition, which challenges architects, engineers, designers, students and creative individuals to develop visionary urban proposals with the intention of stimulating and supporting the contemporary city, in this case Rome. Through innovative ideas and methodologies which can improve the connection between the historical, present, and future city, it aims to foster a critical evolution of architectural historiography. The Italian city manifests a consistent absence of Contemporary Urban Planning and relatively ineffective architectural intervention. The objective of the competition was to drive imagination, by the use of new materials, echo- technologies, parametric software and territorial organizations for a future vision of the city of Rome. Globalization, environmental concerns, the future historiography of the city, adaptability and emerging digital practices are some of the elements that should be taken into consideration. The Jury was formed by young leaders of the architecture and design fields: Juergen Mayer H., Francesco Lipari, Francesco Gatti, Felipe Escudero, Michael Caton. They selected three winners and 9 honourable mentions among 118 participants (87 entries from 22 countries).

Primo premio/First prize: Massimiliano Marian, Andrea Cassi (Biella, Italy) Secondo premio/Second prize: Janghwan Cheon, Nay Soe, Matthew Conway, Felipe Colin (Lincoln, USA) Terzo premio/Third prize: Valentina Andriulli, Antonia De Angelis (Rome, Italy) Farm prize: Erica Del Vecchio, Caterina Di Giorgio (Rome, Italy) 1°

Farm Prize

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GAM Torino: 4 nuovi temi La GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, fin dal 2009, ha rivoluzionato totalmente l’allestimento delle sue collezioni abbandonando l’ordine cronologico a favore di un criterio tematico. Questa scelta va di pari passo con la transitorietà dell’allestimento: esso vive infatti di una pluralità di punti di vista, e deve quindi rinnovarsi periodicamente, per poter far spazio a nuove ispirazioni. Per questo, nel marzo 2011, il museo si è modificato nuovamente, con la scelta di quattro nuovi temi, Anima, Informazione, Malinconia e Linguaggio, presentando alcune delle opere già esposte insieme a più di 160 nuove opere dalle collezioni. L’Anima, tema scelto da Vito Mancuso, professore Ordinario di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, vede, oggi, una radicale riformulazione del suo significato. Mancuso si sofferma sulle difficoltà contemporanee nel riconoscere l’anima come entità persino all’interno degli organi ecclesiastici, e la necessità quindi di rielaborarne il senso sulla scorta del nuovo contesto scientifico e filosofico. Si passa dalla religiosità cristiana delle opere ottocentesche di Andrea Gastaldi e Innocenzo Spinazzi, all’espressione di una condizione umana in Antonio Fontanesi, fino alla concezione di anima come spiritualità assoluta, partecipazione al mondo, che si fa letteraria in Gino De Dominicis, rituale in Hermann Nitsch o poetica in Anselm Kiefer. Il tema dell’Informazione è stato scelto da Mario Rasetti, Professore Ordinario di Fisica teorica, modelli e metodi matematici al Politecnico di Torino. L’informazione, nel campo della Fisica, è intesa come una grandezza paragonabile a massa, energia, velocità. Si riferisce alla capacità delle molecole di essere portatrici di simboli, codici e segnali, di operare cioè come un messaggio necessario alla propagazione della vita. La concezione dell’uomo e della natura è per questo motivo analizzata confrontando diverse interpretazioni: la ciclicità delle stagioni nella serie di Luigi Baldassarre Reviglio, la storia millenaria in Giuseppe Penone, i segni biomorfi di Carla Accardi, la visione analitica dello spazio di Dadamaino e Mario Nigro, la maniacale classificazione di Carsten Höller. La Malinconia, tema scelto da Eugenio Borgna, Primario emerito di psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara e libero docente in Clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Milano, è intesa qui come condizione umana e mentale, concezione di un tempo “immobile e stregato”. Questa caratteristica di temporalità sospesa si proietta sulla realtà e sulle attività circostanti, pervade le nature morte di Giorgio de Chirico e Filippo De Pisis, lo spazio e gli oggetti nei video di Ulla Von Brandeburg e nelle fotografie di Elisa Sighicelli e Francesca Woodman, i paesaggi sospesi di Carlo Carrà e l’arte stessa in Giulio Paolini. Infine, il Linguaggio è stato scelto da Sebastiano Maffettone, Professore Ordinario di Filosofia Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche della Luiss Guido Carli. Dopo un prologo che evidenzia il rapporto dell’arte con la letteratura nelle opere ottocentesche di Antonio Canova, Massimo D’Azeglio, Carlo Arienti, il percorso si sofferma sulla nascita ed evoluzione dei linguaggi artistici, dalle diverse avanguardie di Giacomo Balla e Lucio Fontana, al neorealismo pop italiano di Tano Festa e Mario Schifano in dialogo con quello internazionale di Andy Warhol e Mark Dion, per chiudersi con il ritorno alla letteratura nell’utilizzo del carattere tipografico di Nanni Balestrini.

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Inventare un progetto La moda, come modo di vestire, è un codice che rappresenta e si adegua alle culture e alle loro contraddizioni, proponendo una molteplicità di confronti e riferimenti, ora sofisticati e contrapposti a rudi sobrietà, ora raffinati per mortificare vistosità arroganti, ora eleganti in risposta a tenute sportive, e altre innumerevoli contraddizioni alternano le proprie ragioni nei contrasti alternativi e intriganti degli opposti. E nel paradosso teorico e pratico della moda Blume afferma: “…è meglio non pensare a … schemi!” Lei, Blume, è una giovane stilista, e ne rappresenta la nuova e meno compromessa generazione. E’ una che non grida il “Re è nudo!”, ma solo perché ne valuta il significato più soggettivo ed emblematico. Ha maturato le sue esperienze in numerose attività, confrontandosi e arrovellandosi su materiali come la creta, trasformata in ceramiche dalle forme insolite, o come la cera, esaltandone i valori tattili e organici, ha trattato metalli con lavorazioni inusuali e curiosi, e si è misurata in sistemi sofisticati di tessiture artigianali e creative che l’anno portata a valutare e intuire nuove valenze per la moda. Quindi, dopo essersi impadronita dei mezzi più opportuni per

1. Tranquillo Cremona, L’edera, olio su tela/oil on canvas, 132x98 cm, 1878 ca. 2. Fortunato Depero, L’aratura, olio su tela/oil on canvas, 87,5x143 cm, 1926. 3. Giulio Paolini, Requiem, mix media, 2003-2004 (Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT). 4. Mat Collishaw, Specchio con fiori, mix media, 2001.

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conoscerla tecnicamente e funzionalmente, ha iniziato a farla. Ed ora, con la disinvoltura della consapevolezza, Blume ha creato, con l’amica Dadivas, la sua piccola ma estrosa casa di moda Blume&Dadivas, ideando collezioni di un’originalità controllata e libera, dedicandola a un mondo giovane e propositivo che sa mettersi in discussione. E alla base del suo lavoro antepone una particolare sensibilità e precisione, in grado di conoscere e capire i moti della fisicità, sia se in condizione statica sia se in movimento, consapevole che la struttura del corpo umano condiziona ogni possibile intervento dell’abbigliamento ai suoi limiti. La moda creata da Blume, coerente con la cultura del momento e i suoi riti, è rigorosamente elegante, realizzata con una lavorazione artigianale, dove il decoro non è fine a se stesso ma risolto studiando le possibilità del colore, e impiegando tessuti selezionati che aggiungono, alle tipologie tradizionali di lino, cotone e seta, le valenze dei più nuovi prodotti tessili tecnologici, senza concedere enfasi all’inutile. Blume crea l’emozione di una moda che mettere in evidenza sensazioni di compiacimento. Alda Mercante


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Integrare la memoria La Galleria Blu di Milano riprende un tema su cui aveva già costruito un evento nel 1998, nella convinzione che la memoria sia lo strumento indispensabile per comprendere il presente e progettare con metodo il futuro. Se la mostra del 1998, “Fuoco sacro”, proponeva “Da Schiele a Fontana”, con una selezione di rare opere di grandi maestri, ora una scelta altrettanto rigorosa di artisti di fama internazionale – Bonalumi, Burri, Chadwick, Ernst,

Fontana, Giacometti, Klee, Picasso, Santomaso, Vedova, Wols – viene integrata dalla presenza del lavoro di tre artisti da decenni presenti nelle mostre della galleria, i quali hanno operato a partire dagli anni Sessanta su un versante dell’arte cui non è stata prestata la dovuta attenzione né dalla critica, né dal mercato e che sono i protagonisti di questa mostra dal titolo non casuale, “Lo spazio della memoria”: Guido Biasi, Claudio Costa e Vincenzo Ferrari.

A concludere l’esposizione, aperta fino al 22 aprile, opere dei contemporanei Federico Guida, Davide Nido e Alessandro Verdi, artisti in cui la galleria ha riconosciuto i presupposti per un autentico futuro della memoria. Claudio Costa, Nella terra degli aborigeni, collage di foto, forcone e piuma su tela/photo collage with dung fork and feather on canvas, 86x70 cm,1977.

NEWS/DOSSIER Entusiasmo poetico In Bergamo Fino al 15 maggio, la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo ospita la prima personale, curata da Alessandro Rabottini, in un’istituzione pubblica italiana, di Matteo Rubbi (Bergamo, 1980) giovane artista, recente vincitore dell’edizione 2011 del Premio Furla. Attraverso installazioni, interventi performativi, azioni pubbliche, oggetti, libri e opere sonore, l’artista ha finora prodotto un corpus estremamente eterogeneo. Molte sue realizzazioni sono il frutto di processi collettivi, che, per loro natura, si aprono all’imprevisto e alla casualità, alla partecipazione spontanea e all’improvvisazione. L’idea della condivisione come pratica quotidiana finisce con il costituire una riflessione sulla tematica delle trasformazioni che Internet sta generando nelle forme di socialità, nelle dinamiche dell’informazione e nel concetto stesso di identità. Al centro della sua ricerca

vi è la dimensione della memoria e certe atmosfere legate all’infanzia e all’adolescenza, che diventano poi gli spunti per una sorta di archeologia che fa uso di materiali eterogenei come lo sport, la letteratura, la cronaca giornalistica, la storia, la musica lirica, la geografia politica e così via. In un caleidoscopio inesauribile di forme e di esperienze, l’artista infonde un sentimento poetico fatto di ironia e di leggerezza, in cui all’energia e all’entusiasmo si accompagna una velata malinconia. Through May 15th, the GAMeC–Gallery of Modern and Contemporary Art in Bergamo–hosts the first solo exhibition, curated by Alessandro Rabottini, devoted to Matteo Rubbi that has ever been organized by an Italian public institution. The young artist, who was born in Bergamo in 1980, recently won the 2011 edition of the Furla Prize. To this day, through installations,

performative interpretations, public activities, objects, books and audio work, the artist has produced an extremely heterogeneous corpus. Many of his works are the result of collective processes, which, due to their very nature, are open to unpredictability and chance, spontaneous participation and improvisation. The idea of sharing as a daily practice leads to reflection on the theme of the changes that Internet is generating in social life, information dynamics and the very concept of identity. The artist’s work focuses on the dimension of memory and on certain feelings linked to childhood and adolescence, which then become the cues for a sort of archeology that makes use of heterogeneous materials such as sport, opera music, political geography and so on. In an inexhaustible kaleidoscope of shapes and experiences, the artist instills a poetic feeling made of irony and lightness, in which energy and enthusiasm are accompanied by a veiled melancholy.

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Giovani talenti In Florence Il CCCS – Centro di Cultura Contemporanea Strozzina – Fondazione Palazzo Strozzi (www.strozzina.org) di Firenze presenta fino al 1 maggio la seconda edizione di “Talenti Emergenti”: un premio e una mostra per offrire a giovani artisti italiani l’opportunità di promuovere il loro lavoro e per fornire a pubblico e critica la possibilità di monitorare il panorama artistico contemporaneo italiano. L’esposizione propone i lavori dei 16 giovani artisti selezionati da 4 tra i più affermati critici e curatori italiani. Luca Massimo Barbero: Alessandro Ceresoli, Valentino Diego, Giovanni Ozzola, Antonio Rovaldi. Chiara Bertola: Ludovica Carbotta, Loredana Di Lillo, Invernomuto, Margherita Moscardini. Andrea Bruciati: Giorgio Andreotta Calò, Riccardo Benassi, Luca Francesconi, Alberto Tadiello. Giacinto Di Pietrantonio: Meris Angioletti, Rossana Buremi, Patrizio Di Massimo, Luigi Presicce. Il vincitore Luigi Presicce è stato individuato da una giuria internazionale composta da Achim Borchardt-Hume (Whitechapel Gallery,

Londra), Barbara Gordon (Hirshhorn Museum, Smithsonian Institution, Washington D.C.) e Adam Szymczyk (direttore della Kunsthalle Basel). Al premiato viene data la possibilità di pubblicare una propria monografia, che permetterà al pubblico e alla critica di conoscere e apprezzare la sua ricerca. Through May 1st, the CCCS – Strozzina Center for Contemporary Culture – Palazzo Strozzi Foundation (www.strozzina.org) of Florence presents the second edition of Emerging Talents: an award and a show meant to offer young Italian artists the possibility of monitoring the contemporary Italian art scene. Works by 16 young artists selected by 4 of the most prestigious Italian critics and curators are on display: Luca Massimo Barbero: Alessandro Ceresoli, Valentino Diego, Giovanni Ozzola, Antonio Rovaldi. Chiara Bertola: Ludovica Carbotta, Loredana Di Lillo, Invernomuto, Margherita Moscardini. Andrea Bruciati: Giorgio Andreotta Calò, Riccardo Benassi, Luca Francesconi, Alberto Tadiello. Giacinto Di Pietrantonio:Meris

Angioletti, Rossana Buremi, Patrizio Di Massimo, Luigi Presicce. The winner was identified by an international jury consisting of Achim Borchardt-Hume (Whitechapel Gallery, London), Barbara Gordon (Hirshhorn Museum, Smithsonian Institution,

Washington D.C.), and Adam Szymczyk (director of Kunsthalle Basel). The winner will be offered the possibility of publishing his/her own monograph, which will allow the public and critics to become acquainted with – and appreciate – his/her work.

2 1. Matteo Rubbi, Nuvole, stampa plotter su carta/plotter print on paper, 150x230 cm ca ed. 50, 2008 (Courtesy Studio Guenzani, Milano). 2. Luigi Presicce, La benedizione dei pavoni, performance per due bambini performance for two children, 2010.

3 3. Giorgio Andreotta Calò, Monumento ai Caduti, performance presso la nuova sede del Comune di Bologna/performance at the new venue of the Municipality of Bologna, 2010 (Courtesy the artist, ZERO, Milano).

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Esplorazione artistica In Milan

Dov’è la mia casa? National Identities

Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato presenta, nella sede espositiva distaccata di Milano, una significativa selezione di opere raccolte in oltre vent’anni di attività che costituiscono la punta artistica avanzata di una regione, la Toscana, universalmente identificata con il proprio straordinario patrimonio storico e culturale.Il Museo ne testimonia gli sviluppi artistici più recenti, con il progetto di ampliamento della sede pratese – ideato da Nio Architecten, che è attualmente in corso di realizzazione e sarà ultimato nel 2012 – e con la nuova proposta di “Invito al viaggio”. Il progetto espositivo di Milano, visitabile fino al 23 aprile, è strutturato intorno al tema del “viaggio”, sia come tema comune alle opere selezionate sia come metafora dello spostamento spaziale e temporale del Museo e rappresenta la possibilità per un’esplorazione fisica e mentale della collezione del Museo da parte del pubblico.All’interno del percorso inaugurato il 16 dicembre 2010 dagli “ambienti” di Pinot Gallizio, Fabio Mauri, Mario Merz e Superstudio, che aggiornano e integrano la collezione in vista della sua esposizione permanente nella rinnovata sede museale di Prato, si inseriscono in questa occasione le opere di Loris Cecchini, Enzo Cucchi, Remo Salvadori e Gilberto Zorio, artisti ai quali in passato il Centro pratese ha dedicato ampie mostre personali.Ad arricchire la mostra, come introduzione al percorso espositivo vero e proprio, è presentato un Progetto per Concetto spaziale (1966) di Lucio Fontana.

“Where is my place?” Qual è la mia patria e il luogo dove mi riconosco? I sentimenti che legano un individuo al proprio territorio e alla collettività di appartenenza sono stati spesso associati all’idea di nazione, che ha visto però nel tempo mutare le proprie connotazioni rivelandosi, soprattutto in epoca recente, un concetto di non facile definizione. In un percorso di oltre 50 opere provenienti dalla collezione di fotografia contemporanea, video e film d’artista della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, la mostra organizzata dalla Fondazione Bevilacqua La Masa e da Fondazione Fotografia, che si svolge fino al 1 maggio nella sede di Galleria di Piazza San Marco a Venezia, si confronta con le diverse questioni connesse con l’identità nazionale, con le evidenti contraddizioni e con possibili prospettive. Artisti in mostra: Ai Weiwei (Cina), Marika Asatiani (Georgia), Maja Bajević (Bosnia), Yael Bartana (Israele), Alexandra Croitoru (Romania), Andreas Fogarasi (Austria/Ungheria), David Goldblatt (Sudafrica), Swetlana Heger (Repubblica Ceca), Anastasia Khoroshilova (Russia), Daido Moriyama (Giappone), Aleksander Petlura (Ucraina), Renata Poljak (Croazia), Wael Shawky (Egitto), Ahlam Shibli (Palestina), Jinoos Taghizadeh (Iran), Guy Tillim (Sudafrica), Wong Hoy Cheong (Malesia), Yang Fudong (Cina).

Carlo Cantini

At its detached showroom in Milan, the Luigi Pecci Center for contemporary art of Prato presents a significant selection of works collected in more than twenty years of activity, which constitute the artistic heights of a region – Tuscany – which is universally identified through its historical and cultural heritage. Through a project by Nio Architecten for the extension of the original museum site in Prato, which is currently under way and is due to be

completed in 2012, and with a new proposal: “Invitation to travel”, the Museum bears witness to the region’s most recent developments. The exhibition in Milan, which can be visited through April 23rd, is built around the theme of “travel”, both as a common motif in the selected works and as a metaphor of the Museum’s spatial and temporal shift. The show offers visitors the possibility of both a physical and mental exploration of the Museum’s collection. Within the itinerary inaugurated on Decemebr 16th 2010 by the “environments” of Pinot Gallizio, Fabio Mauri, Mario Merz and Superstudio – who have updated and integrated the collection in view of the permanent exhibition to be established in the renovated museum in Prato – on this occasion works by artists to whom the Center has devoted important solo shows will be on display: Loris Cecchini, Enzo Cucchi, Remo Salvadori, and Gilberto Zorio. The show is further enhanced by an introduction to the actual exhibition itinerary by Lucio Fontana: Project for Spatial Concept (1966).

“Where is my place?” Where is my homeland and the place I identify with? The feelings that link an individual to his/her territory and to the society he/she belongs to have often been associated with the idea of a “nation”. However, the connotations of the latter have changed through time, and, especially in recent years, the concept of “nation” cannot be easily defined. In an itinerary of more than 50 works coming from the collection of contemporary photography and artists’ videos and films belonging to the Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, the show – organized by the Bevilacqua La Masa Foundation and Fondazione Fotografia – open through May 1st at the Gallery in St. Mark’s Square in Venice, deals with the various issues connected with national identity, evident contradictions and possible outlooks. The artists on show are: Ai Weiwei (China), Marika Asatiani (Georgia), Maja Bajević (Bosnia), Yael Bartana (Israel), Alexandra Croitoru (Romania), Andreas Fogarasi (Austria/Hungary), David Goldblatt (South Africa), Swetlana Heger (Czech Republic), Anastasia Khoroshilova (Russia), Daido Moriyama (Japan), Aleksander Petlura (Ukaine), Renata Poljak (Croatia), Wael Shawky (Egypt), Ahlam Shibli (Palestine), Jinoos Taghizadeh (Iran), Guy Tillim (South Africa), Wong Hoy Cheong (Malaysia), Yang Fudong (China).

Remo Salvadori, Stella, 1989.

Piranesi in mostra Fino al 1 maggio, presso il m.a.x. museo di Chiasso, all’interno del filone dedicato alla “grafica storica”, è in corso la mostra “Giovanni Battista Piranesi. Opera grafica”; esposizione, dedicata alle incisioni dell’artista, che comprende le matrici in rame originali. La mostra evidenzia la straordinaria e copiosissima produzione calcografica piranesiana, mediante rappresentazioni che aprirono a innovazioni radicali volte ai valori dell’utopia e della modernità. Tutto ciò rivelò infatti, al Settecento, un mondo sconosciuto e non supponibile, di una suggestione grandiosa e potente al punto di divenire un essenziale riferimento artistico per la cultura contemporanea. In mostra compaiono una sessantina di incisioni, che comprendono invenzioni originali relative ad Architetture e Prospettive (1743-50), a Fantasie Architettoniche (1749), sino alla raccolta dei Grotteschi (1747-49), e quella delle Carceri (1745-60) per concludersi con quella dei trofei (1743) e quella relativa alle più rappresentative tra le illustrazioni sulle Vedute di Roma e Antichità Romane. L’esposizione dispone di cinque matrici incise, poste a confronto dell’opera a stampa: “rami” che rivelano la straordinaria e irraggiungibile abilità esercitata a bulino dal maestro del primo neoclassicismo.

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L’esposizione delle “matrici piranesiane” si deve alla collaborazione e al prestito concesso dall’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma, istituzione che le possiede e detiene in esclusiva il diritto di riproduzione delle incisioni di Piranesi, e dalla Fondazione Antonio Mazzotta di Milano che possiede le “editio princeps”. La mostra è stata curata da Luigi Ficacci, esimio studioso di Piranesi, e da Nicoletta Osanna Cavadini, direttrice del m.a.x. museo.

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1. Alexander Petlura, The empire of things 14A, c-print, 100x140 cm, 2000 (Courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena).

2. Giovanni Battista Piranesi, Capriccio con scale e ponte levatoio, Tav.VII de Le Carceri, acquaforte/etching, 55x41 cm, 1760, Fondazione Antonio Mazzotta, Milano.

Mostre e Conferenze Presso le Sale Viscontee del Castello Sforzesco di Milano, è in corso fino all’8 maggio la mostra dedicata a “Michelangelo Architetto” con disegni della Casa Buonarroti che, curata da Pietro Ruschi, è stata ispirata da un progetto di Casa Buonarroti mediante un allestimento costituito da oltre 50 disegni suddivisi secondo temi di riferimento: dall’edilizia civile a quella religiosa, alle fortificazioni, selezionati con cura per evidenziare, nella semplicità di uno schizzo o nella complessa stratificazione di un elaborato di presentazione, i segni del percorso ideale di Michelangelo, considerato nel suo modo di progettare e realizzare l’architettura. A questa mostra ne seguirà una successiva, entrambe completate con varie conferenze.

Michelangelo Buonarroti, Pietà Rondanini.


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Linguaggi scultori In 4D Merano arte presenta fino al 29 maggio “Tony Cragg. In 4D. Dal fluire alla stabilità”, in occasione del decennale dalla fondazione. In mostra, per la cura di Valerio Dehò, circa quaranta opere fra disegni e sculture in vetro, bronzo, acciaio, plastica, legno: trent'anni di produzione dell'artista, dagli anni Ottanta a oggi. La varietà dei lavori esposti testimonia la dimestichezza di Cragg con linguaggi anche molto differenti, benché accomunati dalla scelta della scultura come mezzo espressivo. La fortuna critica e di pubblico di Cragg consiste nella capacità che ha di elaborare forme uniche e visionarie. Si tratta di opere che documentano perfettamente la versatilità dei linguaggi che ha saputo elaborare in modalità personali e sempre riconoscibili. In lui ritroviamo lo spirito barocco dell’elaborazione formale del movimento, la prospettiva multipla novecentesca e il richiamo a forme elementari e naturali, veri e propri esempi di mediazione tra il mondo organico e i materiali tradizionali della scultura. On the occasion of the decennial of the foundation, through May 29th Merano arte presents “Tony Cragg in 4D. From flux to stability”. Curated by Valerio Dehò, more than three dozen works including drawings and sculptures in glass, bronze, steel, plastic and wood are on show, bearing witness to thirty years of the artist’s production from the 1980s to today. The variety of the works on

Oltre il cyborg In Vienna display are proof of Cragg’s familiarity with very diverse languages, for which, however, he has chosen sculpture as a means of expression. Cragg’s distinction among critics and the public is due to his ability to develop unique, visionary forms. His works are perfect proof of the versatility of the languages he has been able to develop in personal and ever recognizable ways. Within his work we find the baroque spirit of the formal elaboration of movement, the twentieth century’s multiple perspective and an appeal to elemental, natural forms, which are the true examples of mediation between the organic world and the traditional materials of sculpture.

In questa retrospettiva dedicate a HR Giger, nato nel 1940 a Coira in Svizzera, la Kunst Haus di Vienna rinnova lo sguardo sulle opere di un artista controverso che, più di chiunque altro, ha avuto un’influenza sulla cultura pop e cyber. La mostra, aperta fino al 26 giugno, si concentra su Giger, noto in tutto il mondo come ideatore della creatura del film Alien, che gli valse l’Oscar, come pittore, scultore e autore di un corpus di opere ricco e vario. HR Giger è un artista di visioni, un mago di sogni, che ha rappresentato le paure collettive di un’umanità che affrontava la minaccia della distruzione nucleare e della meccanicizzazione della vita attraverso le immagini create col suo peculiare stile biomeccanico. In queste visioni, da una parte ha colto il senso caratteristico degli anni Sessanta e dall’altra ha anticipato i successivi dibattiti sui “cyborg”. Questa retrospettiva segue lo sviluppo dei motivi biomeccanici di HR Giger. Prendendo spunto dalla sua serie Necronomicon, ispirata al mondo di H.P. Lovecraft, la mostra presenta dipinti, grafiche e sculture che ruotano attorno a due sistemi simbolici strettamente associati con la predizione della fortuna: la Zodiak Fountain (Fontana dello Zodiaco), che rappresenta una visione astrologica del mondo, e Baphomet Tarot (Tarocchi di Baphomet), una interpretazione artistica dell’antico strumento di divinazione.

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Movimento! In München La mostra “Move”, alla Haus der Kunst di Monaco fino all’8 maggio, è dedicata all’interazione tra arte e danza a partire dagli anni Sessanta. I lavori presentati sono in alcuni casi resi vivi da danzatori e performer presenti negli spazi della mostra. Altre opere guidano i visitatori in percorsi coreografati dove possono vivere in prima persona l’esperienza attiva dei danzatori. L’origine della mostra risiede in alcune opere create a New York negli anni Sessanta, nel periodo che vide l’erosione del confine tra arte e vita quotidiana, e durante il quale la critica delle opere d’arte come oggetti aveva raggiunto il suo apice. Per quanto attiene alle performance e agli happening, la danza offriva la possibilità di trasformare il carattere oggettuale dell’opera d’arte e di evitare il legami col mercato dell’arte. La mostra propone alcune opere chiave di quel periodo – sculture di Trisha Brown, Lygia Clark e Robert Morris, e anche la famosa Green Light Corridor di Bruce Naumann del 1970. L’allestimento della mostra è arricchito da un archivio digitale di immagini e filmati delle più importanti performance degli ultimi cinquant’anni.

In this retrospective devoted to HR Giger, who was born in 1940 in Chur, Switzerland, Kunst Haus Wien takes a fresh look at the works of a controversial artist who, more than almost anyone else, has had a farreaching influence on pop culture and cyberculture. The exhibition, open until June 26th, focuses on the painter and sculptor HR Giger, who not only has achieved world fame as the creator of the film creature Alien, which earned him an Oscar, but at the same time has produced a richly varied artistic oeuvre. HR Giger is an artist of visions, a magician of dreams, who has depicted the collective fears of a humanity faced with the threat of nuclear destruction and the mechanisation of life in archetypal images created in his distinctive biomechanical style. In these visions, he has, on the one hand, captured a characteristic feeling of the 1960s and, on the other hand, anticipated later discussions about the “cyborg”. This retrospective follows the development of HR Giger’s biomechanical motifs. Taking HR Giger’s Necronomicon cycle, inspired by H.P. Lovecraft, as a point of departure, the exhibition presents paintings, graphic art and sculptures that revolve around two symbol systems powerfully associated with foretelling the future: the Zodiak Fountain, representative of an astrological view of the world, and the Baphomet Tarot, an artistic reinterpretation of the latter old fortune-telling instrument.

The exhibition “Move”, at Haus der Kunst, München until May 8th, is dedicated to the interaction between art and dance since the 1960s. The works shown are activated by the dancers and performers, who are at the exhibition. Or the artwork choreographs the visitors, guiding their movements and inviting them to have a physical experience – they become active participants, i.e., dancers. The exhibition originated in works that were created in New York in the 1960s, a time that saw the erosion of the boundary between art and life and during which criticism of the artwork as an object and a ware had reached its climax. As with performances and happenings, dance also offered the possibility of transforming the object character of the artwork and avoiding the art market. The exhibition shows key works from this period – sculptures by Trisha Brown, Lygia Clark and Robert Morris, as well as Bruce Naumann’s famous Green Light Corridor from 1970. The presentation is rounded off with a digital archive of photographs and films of the most important performance works from the past 50 years.

1. Tony Cragg, Figments, bronzo/bronze, 75x35x40 cm, 2004 (foto: Charles Duprat. Courtesy: Tony Cragg Foundation). 2. HR Giger, Li I, 1974 (foto: Roland Gretler © HR Giger, 2011). 2

Tra cielo e terra Roberto Coda Zabetta espone dal 2 al 25 aprile al PAN | Palazzo delle Arti Napoli “Lavori Recenti”, mostra a cura di Maria Savarese, Igor Zanti e Claudio Composti. L’idea di questa mostra nasce mentre l’artista biellese si trovava in Indonesia, nei giorni in cui il vulcano Merapi esplodeva, liberando in cielo una nube densa. Ed è stato in quel momento che lui ha legato idealmente l’immagine dell’energia del Merapi a quella del Vesuvio, foriero di morte e al contempo di tensione vitale. Il fumo si trasforma in un intenso momento meditativo, traccia visiva

dell’assenza: tra il fisico e l’incorporeo, ponte energetico tra cielo e terra, ciò che è visibile dell’intangibile, immagine del trascendente. Al PAN sono esposti quindici dipinti, smalti su tela e per la prima volta la scultura, sia di medie che di grandi dimensioni, realizzata mischiando materiali poveri, ad altri tecnologicamente più evoluti: dalla gommapiuma, all’acciaio, fino alla resina. Il percorso espositivo è completato da un video inedito girato da Ferdinando Vicentini Orgnani e Alessandra Minini sulla vita dell’ artista.

3. Mike-Kelley Dancers peform choreography by Anita Pace (Photo:Alastair Muir). 4. Roberto Coda Zabetta al lavoro nel suo atelier/at work in his studio.

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Potere agli occhi

Ultima fase Su progetto di Chiara Bertola curato con Andrea Lissoni, “Terre Vulnerabili” è un programma di forte impulso innovativo, che ha previsto l’impegno e la partecipazione degli artisti coinvolti, mediante la condivisione del lavoro, nonché modifiche e trasformazioni in progressione, che implicano coordinamento e accordi per realizzare opere significative di site specific per lo spazio HangarBicocca di Milano. L’evento si è sviluppato in termini di modalità espositive, dato che si tratta di quattro mostre svoltesi per un periodo di sette mesi, che hanno visti operativi trentuno artisti internazionali e altrettante opere conseguenti le une alle altre. L’idea portante è stata quella dell’evoluzione graduale e della germinazione collettiva per la

partecipazione a un dialogo trasversale e continuo che, crescendo nel tempo, modifica la visione precedente seguendo il tema della vulnerabilità. E dal 13 aprile si completa l’ultimo quarto, ossia la fase finale del progetto che ha visto impegnati: Ackroyd & Harvey, Mario Airò, Stefano Arienti, Massimo Bartolini, Stefano Boccali, Ludovica Carbotta, Alice Cattaneo, Elisabetta di Maggio, Rä di Martino, Bruna Esposito, Yona Friedman, Carlos Garaicoa, Alberto Garutti, Gelitin, Mona Hatoum, Invernomuto, Kimsooja, Cristiane Löhr, Nicolò Lombardi, Marcellus L., Ermanno Holmi, Roman Ondák, Hans Op De Beeck, Adele Prosdocimi, Remo Salvatori, Alberto Tadiello, Pascale Marthine Tayou, Nico Vascellari, Nari Ward e Franz West.

Sessanta opere

Giuseppe Capogrossi, Superficie CP200, tempera su carta

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volta, si sposta dal Museo di Capodimonte (Napoli). La rassegna è divisa in sei sezioni che illustrano il contesto artistico in cui il Caravaggio si trova a operare nei primi anni della sua ricerca artistica.

Giorgione, Il Cantore Appassionato, olio su tela/oil on canvas, 104x77 cm, 1507 (Roma, Galleria Borghese, Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma).

Riflessioni d’arte sull’architettura In Milan

Rä di Martino, If you see the object, the object sees you.

A Catania, presso l’ex Monastero dei Benedettini, è in corso dal 4 al 30 aprile la mostra “L’arte c’è quando, malgrado, si ride. La collezione di Filippo e Anna Pia Pappalardo (opere dal 1950 al 2011)” che, curata da Daniela Vasta, evidenzia una delle collezioni più prestigiose presenti in Sicilia. Vi compaiono, grazie all’iniziativa promossa dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Catania e della Fondazione Puglisi Casentino, sessanta opere realizzate in varie tecniche, selezionate tra le 800

Fino al 3 luglio, presso il Museo Diocesano di Milano, curata da Vittorio Sgarbi e prodotta da Artemisia Group, è in corso la mostra “Gli occhi di Caravaggio” che introduce nella formazione artistica dell’artista, partendo da Simone Peterzano sino ai maestri veneti e lombardi, secondo un percorso singolare che rimanda ai precursori e agli artisti contemporanei a Michelangelo Merisi (1571-1610), evidenziando le opere che l’artista vede di persona negli anni giovanili prima della partenza per Roma (1595-96). Sono circa sessanta i capolavori in mostra a firma di Giorgione, Tiziano, Tintoretto, Lorenzo Lotto, Jacopo da Bassano, Moretto da Brescia, Giovan Battista Moroni, Gerolamo Savoldo, Vincenzo e Antonio Campi, Giovanni Ambrogio Figino e Simone Peterzano con diversi altri, che furono riferimento formativo e sostanziale per il giovane Caravaggio. Alcune opere non sono mai state esposte in precedenza, e spicca la presenza della nota “Murtola”; la prima versione della notissima Medusa degli Uffizi, considerata riferimento alla formazione giovanile del Caravaggio. Altro capolavoro del maestro in mostra è la Flagellazione di Cristo che, per la prima

opere che costituiscono la collezione. Il bizzarro titolo della mostra si ispira a un’opera di Joseph Beuys che ha inteso riflettere sulla funzione e sui compiti dell’artista nel mondo contemporaneo; opera che fa a sua volta parte della raccolta Pappalardo. Tra gli artisti in mostra anche: Abramovic, Alviani, Baj, Beecroft, Burri, Caporossi, César, Chia, Christo, Cucchi, De Chirico, Fautrier, Fontana, Gottuso, Kapoor, Kounellis, LeWitt, Manzù, Mathieu, Paladino, Pivi, Rotella, Sassu, Schifano, Schnabel, Spalletti, Vasarely e Vedova.

intelata/tempera painting on framed paper, 35x50 cm,1953.

Fino al 30 aprile è in corso, presso la Fondazione Marconi di Milano, la mostra “Inediti 1977-1978 e opere recenti 2009 – 2010” di Gianfranco Pardi. La mostra, allestita sui due piani della Fondazione Marconi, evidenzia un ciclo artistico molto significativo dell’artista, rappresentato da lavori che riportano alle Diagonali quali riflessioni sull’architettura datate verso la fine degli anni Settanta, e da una recente serie di lavori. Il titolo della rassegna chiarisce che sia le “Diagonali” (costituite da tele e disegni), sia i lavori più recenti, sono esposti per la prima volta in mostra. Le “Diagonali”, pitture emblematiche e nette, evidenziano la disarticolazione degli elementi mediante una decostruzione che domina la percezione spaziale. I lavori recenti, pur di rigore geometrico, escludono un’idea astratta ed evocano la partecipazione della figura.

Until April 30 is open at the Fondazione Marconi in Milan, the exhibition “Unpublished Worksfrom 1977 to 1978 and recent works from 2009 to 2010” by Gianfranco Pardi. The exhibition, held on two floors of the Fondazione Marconi, highlights a very significant artistic cycle realized by Pardi, represented by works that show the Diagonali as reflections on architecture, dated in the late Seventies, and a recent series of works . The title of the exhibition makes clear that both the Diagonali (consisting of paintings and drawings), and the more recent works are on display for the first time in the exhibition. The Diagonali, emblematic and clear paintings, show the dislocation through a deconstruction of the elements that dominate spatial perception. The recent works, while rigorously geometric, exclude the idea of abstraction evoking the participation of the figure.

Gianfranco Pardi, Senza titolo, acrilici su tela/acrylics on canvas, 80x100 cm, 2010.


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A proposito di calendari

Selezionato il marmo Fa parte dell’edizione 2010 di ADI Design Index anche Marmomacc che, importante mostra annuale di pietre e marmo brand di Veronafiere, si distingue nella sezione “Ricerca per l’Impresa” con un progetto che abbraccia design, architettura e didattica. Ed è mediante Marmomacc Meets Design, Premio Internazionale Architetture di Pietra, Premio Best Communicator Award, che viene espresso il progetto culturale architettura-design selezionato quale esempio di “Ricerca per l’Impresa” nell’edizione 2010 di ADI Design Index. Da anni impegnato in un programma interdisciplinare impostato sulla didattica, con l’obbiettivo di mettere in evidenza la singolarità del materiale lapideo

e le sue prerogative naturali ed estetiche, il management di Marmomacc è infatti impegnato in un processo ampio e interdisciplinare che comunica le straordinarie qualità del materiale. E questa la prima occasione che vede ADI Design Index selezionare il progetto di un ente fieristico, impegnatosi in una serie di iniziative dedicate a tutti i protagonisti della fiera, coinvolgendoli a condividere competenze e professionalità con architetti, designer e mondo universitario, mediante convegni, mostre, premi e altre iniziative volte a innovare le esclusività della pietra e del marmo. www.marmomacc.com

Geze Gmbh, già dal 1992 impegnata a far pubblicare calendari in edizione limitata e di singolare impatto, ha già in programma, con lo slogan “cinema dream – dream cinemas”, il calendario per il prossimo anno. Si tratta di un progetto che prevede lo sviluppo da un nuovo soggetto architettonico di forte caratterizzazione, la cui tematica riguarda, dopo quelle precedenti dedicate a cantine, teatri d’opera famosi, sale da concerto e librerie, i nuovi edifici progettati per i cinema. A tal fine, il celebre fotografo Conny J. Winter ha scattato per Geze fotografie professionali relative i cinema più singolari e suggestivi presenti a Dresda e

Varsavia nonché a Pechino. Sarà questo il diciottesimo calendario che Geze Gmbh invierà in occasione delle feste natalizie 2011, indicando come nei grandi e straordinari spazi che riguardano la cinematografia nei suoi caratteri rappresentativi, siano di notevole importanza le problematiche riguardanti la sicurezza e la prevenzione incendi. Ed è con la competenza riconosciutale, che Geze assicura, attraverso i propri sistemi, il confort e la necessaria sicurezza dell’edificio, integrandoli perfettamente con l’ambiente costruito. www.geze.it

In fiera e in città In occasione de I Saloni 20011: 50 years young, presenti a Fiera Milano Rho dal 12 al 17 aprile 2011, oltre alle previste manifestazioni che comprendono il Salone Internazionale del Mobile, il Salone internazionale del Complemento d’Arredo, le biennali Euroluce e SaloneUfficio nonché il Salone Satellite, c’è il coinvolgimento vitale della città di Milano, impegnata a destinare spazi di riflessione sul design con l’entusiasmo di partecipare ad evidenziare gli impulsi creativi e culturali che promuovono valori ed eccellenze italiane. Esponendo il meglio dell’arredo domestico in termini di letti, armadi, sedute, apparecchi per l’illuminazione, mobili per ufficio e quant’altro consente di creare ambienti per la casa e il lavoro, I Saloni 2011 presentano una nuova ridistribuzione degli spazi per le aziende espositrici, dando particolare rilevanza al settore design e conferendo una notevole visibilità a Euroluce nonché al SaloneUfficio. Tra gli eventi che si svolgono in città si distingue lo spettacolo che, dedicato ad alcuni dei grandi “vecchi” del design e dell’imprenditorialità, ha come titolo: “Mani grandi, senza fine. Nascita e ascesa del design a Milano: i Castiglioni, Magistretti, Manghi, Sottsass, Vigano, Zanuso”, inserito nell’ambito del progetto”Realizzare l’improbabile”. Si tratta di una rappresentazione teatrale messa a punto dalla straordinaria Laura Curino, interprete e regista, e da Manolo De Giorgi, prodotta dal Piccolo Teatro di Milano, da Cosmit in collaborazione con la Fondazione

Giannino Bassetti, da FederlegnoArredo, dalla Camera di Commercio di Milano e da quella di Monza-Brianza. Le tematiche, affrontate e risolte con eccezionale bravura interpretativa e l’incisività suggestiva e unica di Laura Curino, ripropongono lo spirito e la singolarità dei personaggi colti nella loro più interiore e spontanea genialità. Altra iniziativa sviluppata in occasione di questo cinquantesimo anniversario del Salone del Mobile, riguarda Triennale Design Museum che dedica, con il titolo “Le fabbriche dei sogni” (5 aprile 2011-26 febbraio 2012), la quarta edizione a coloro che hanno partecipato a rendere significativo il sistema design italiano nel mondo. Collegandosi al sito di Cosmit dal proprio iPhone o smartphone, grazie alla piattaforma mobc3 (www.mobc3.com) realizzata da Neos, si può, sin dal primo giorno della manifestazione, ottenere informazioni in tempo reale su quanto avviene ai Saloni. www.cosmit.it

Riconoscimento prestigiosissimo Appena costruiti, i laboratori della luce iGuzzini, progettati da Maurizio Varatta, si aggiudicano il Premio Regionale di Architettura IN/ARCH ANCE. Il riconoscimento mette in evidenza anche il punteggio di certificazione energetica 3.5 rilasciato dall’iiSBE Italia; emanazione locale di “international initiative for Sustainable Built Environment”, organizzazione internazionale no-profit volta alla diffusione di politiche, metodologie e strumenti per la promozione di un ambiente costruito più sostenibile.

Promosso dalla sezione Marche dell’Istituto Nazionale di Architettura, il Premio Regionale di Architettura IN/ARCH ANCE, alla seconda edizione, ha ricevuto dalla giuria la motivazione che, relativa a “intervento di nuova costruzione”, afferma: “… si tratta di un edificio che svela le migliori qualità di un’architettura assolvendo funzioni complesse, e raggiunge eccellenti performance energetiche con forte attenzione agli impianti tecnologici e a un misurato uso dei materiali”. www.iguzzini.com

Efficienza e sostenibilità Nuovo sito web Santamargherita®, azienda veronese specializzata nella produzione e commercializzazione di agglomerati a base marmo e quarzo, ha recentemente completato il nuovo sito web www.santamargherita.net, con la molteplicità e la completezza dei servizi proposti in funzione delle esigenze più complesse e articolate di architetti,

progettisti e di quanti ne sono interessati. Il sito, che si propone quale supporto all’azienda come strumento di consultazione e approfondimento dei prodotti e servizi offerti, è stato progettato dall’agenzia DDM Advertising, e realizzato dalla Extensis Sistemi informatici. Il nuovo website è tradotto in 8 lingue. www.santamargherita.net

Si è svolta a Bolzano, dal 27 al 30 gennaio 2011, Klimahouse: la sesta Fiera internazionale specializzata nell’efficienza energetica e nella sostenibilità in edilizia. L’evento ha evidenziato 455 aziende espositrici e un articolato programma di eventi collaterali, registrando la presenza di 40.000 visitatori (+ 5% rispetto il 2010) provenienti dall’intero Paese. In risposta alla crisi energetica dal futuro imprevedibile, KlimaHouse ribadisce che la risposta dell’Alto Adige è stata l’introduzione, nel 2005, dello standard CasaClima C, attualmente B e con la previsione di uno standard minimo A nel 2015 e di quello Oro nel 2020. Infatti gli edifici costruiti dopo il 21

dicembre 2020 dovranno rispettare elevati standard di efficienza energetica ed essere alimentati in gran parte da energie rinnovabili, come stabilito a Bruxelles lo scorso anno, poiché gli Stati membri dell’UE si sono impegnati a istituire un sistema uniforme di certificazione per misurare il rendimento energetico degli edifici. Fiera Bolzano ha registrato la presenza di addetti ai lavori come architetti, ingegneri, geometri e imprese edili a conferma che la campagna di sensibilizzazione proposta dall’agenzia CasaClima è sempre più apprezzata e presa in considerazione. www.klimahouse.it

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Zinco laminato in architettura

Costruire coerentemente

“ZA” è un libro che illustra l’impiego dello zinco laminato VMZINC nel contesto architettonico mondiale, e rappresenta la seconda tappa del percorso editoriale intrapreso nel 2009 dal Gruppo Umicore, e sviluppato dall’agenzia esprithb con Petralito Rotiroti Associati. Si tratta di un bel volume, dove ZA, acronimo di Zinco e di Architettura, evidenzia le potenzialità dello zinco quale materiale dalle eccellenti performance estetiche e tecnologiche per linguaggi architettonici importanti, imponendosi anche per le intrinseche caratteristiche di durata, flessibilità, resistenza meccanica, impermeabilità, assenza di manutenzione e riciclabilità. Sono 233 le fotografie che illustrano come lo zinco laminato VMZINC, nello spazio di dieci anni, abbia espresso uno sviluppo applicativo straordinario come comprovano le 102 realizzazioni eseguite nei quattro continenti, firmate da 136 studi di

E’ stata presentata MCE – Mostra Convegno Expocomfort 2012, che si svolgerà dal 27 al 30 2012 aFiera Milano, il cui programma approfondirà i temi al centro della direttiva europea 20.20.20 per offrire un’occasione di confronto e approfondimento su quanto di più innovativo esiste sul mercato al fine di una progettazione efficiente e rispettosa dell’ambiente. La manifestazione, leader mondiale nell’impiantistica civile e industriale, nella climatizzazione e nelle energie rinnovabili, dedica iniziative e convegni alle tematiche: “Zero Energy 2020 verso l’Integrazione” per indagare gli aspetti tecnici e normativi in vista del traguardo del +20% di efficienza energetica che, previsto per il 2020, intende promuovere la realizzazione di edifici a energia quasi zero. La correlazione fra impianto ed edificio fa parte di un approccio progettuale, basato sul coordinamento tra architettura e ingegneria degli impianti in termini di risposte ottimali

architettura tra i quali Miralles & Tagliabue/EMBT, Christian de Portzamparc e Chapman Taylor. Il libro è una testimonianza intensa di progetti indagati nelle tipologie, dimensioni, contesti costruiti e ambientali. www.vmzinc.it

Nuovo concept

Ambito riconoscimento

Brandoni ha messo a punto, con la collaborazione dello Studio Coblonal Arquitectura di Barcellona, il nuovo radiatore Coblonal; una esclusiva rivelazione per il settore termoarredo, in grado di superare il concetto di radiatore proponendosi come elemento d’arredo. Formalmente riprende il carattere del radiatore industriale presente un tempo in fabbriche ed edifici, ed è costituito da una singolare piastra di acciaio dalla forma rettangolare, che si evidenzia per le viti applicate e il carattere di singolare connotazione stilistica metropolitana, adeguandosi eccellentemente anche in contesti tradizionali. Coblonal è dotato di un portasciugamani che, realizzato in lamiera in ferro e ricoperto da legno intero di recupero, è capace di conferire esclusività allo spazio bagno. Di forte impatto ambientale, il radiatore, ideale per abitazioni e per strutture alberghiere di livello, è disponibile in numerosissime colorazioni. www.brandoni.com

Artigo rubber flooring aggiunge un nuovo riconoscimento alle proprie referenze per il contributo fornito al progetto “Palmas Altas”, il più grande centro commerciale tecnologico di Siviglia. Si tratta di un complesso importante che, progettato dagli studi Rogers Stirk Harbour and Partners e Vidal y Asociados Arquitectos, risponde ai criteri di efficienza energetica e di sostenibilità, con l’obbiettivo di ridurre il CO2 di circa il 30% rispetto al consumo medio degli ambienti di lavoro in Spagna. Artigo è intervenuto in termini ecologici fornendo la pavimentazione mediante le piastre UNI Loose Lay che, installate per un totale di 29 000 mq nei colori U54 (greige) e U76 (blue), sono certificate come prodotto a bassa emissione secondo i requisiti del California Department of Health Services Standard Practice for Testing of Volatile Organic. Inoltre la superficie liscia e il trattamento superficiale PRO di UNI Loose Lay di Artigo non richiedono lucidatura e rendono così le procedure di pulizia più

agli edifici ad alta efficienza energetica e a basso impatto ambientale. Al vasto programma dei convegni previsti si sono aggiunti: “Percorso Efficienza & Innovazione” e “Verso la Classe A 2012”; due iniziative che già si sono distinte nel 2010, create in funzione degli operatori professionali in relazione a progetti con alta efficienza energetica secondo un quadro completo sui materiali, prodotti e servizi per una maggiore integrazione fra edificio e impianto con l’obbiettivo del 2020. www.mcexpocomfort.it

semplici riducendo gli sprechi. Gli scarti dei pavimenti in gomma possono venire riutilizzati per la produzione di materiali diversi. Ed è con queste e altre premesse che il complesso Palmas Altas ha ricevuto la certificazione Platinum LEED® Leadership in Energy and Environmental Design, e ha vinto il primo premio come miglior progetto real estate sostenibile in Europa nel Prime Property Award. www.artigo.com

50 anni di evoluzione Dopo mezzo secolo di attività, GranitiFiandre, azienda italiana leader mondiale nella produzione di lastre in gres porcellanato a tutta massa di alta gamma, celebra, con eventi significativi, i traguardi superati, nonché la propria eccellenza più attuale rappresentata da Active Clean Air&Antibacterical Ceramic™, definita da Graziano Verdi, Presidente e AD Fiandre, come: “la lastra di nuova generazione, frutto di anni di studi che, grazie all’utilizzo del biossido di titanio applicato in forma micrometrica ad alta temperatura, contribuisce a purificare l’aria dagli ossidi di azoto e consente igiene e pulizia a pavimenti e rivestimenti”. La citazione convalida la strategia aziendale basata sull’innovazione a servizio dell’ambiente quale valore aggiunto che, con design e la qualità del made in Italy, favorisce lo sviluppo sostenibile. Altra iniziativa di GranitiFiandre, prevista il 12 maggio in occasione del consueto appuntamento “Porte Aperte”, riguarda la

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nascita di “Active Lab: fantasia, creatività, realtà. Nuove idee di benessere”; un laboratorio di idee e proposte che darà libero spazio all’estro di architetti, designer, progettisti per generare, anche nei modi più estroversi e creativi, nuove espressività legate al benessere, ai valori ambientali e al bello. Campo di prova le lastre Active Taxos Estreme, nei formati 75X75 e 150X75 cm, quale “tela” proposta come riferimento per la descrizione visiva delle idee presentate e dei progetti da essa derivati. Gli elaborati di quanti partecipano al programma, sono destinati a figurare in una mostra, allestita il 12 maggio presso le sale del megastore aziendale a Castellarano. Per informazioni: marketing@granitifiandre.it www.granitifiandre.it

Per il settore religioso Si è svolta, dal 12 al 15 marzo 2011, negli spazi della Fiera di Vicenza, la quattordicesima edizione di Koinè: rassegna internazionale di arredi, oggetti liturgici e componenti per l’edilizia di culto, affiancata dalla nuova sezione Koinè Ricerca dedicata alla ricerca e al dibattito, con il proposito di avvicinare il design per le suppellettili di uso liturgico e la nuova progettazione architettonica alle espressioni attuali della Chiesa secondo orientamenti tracciati dal Concilio Vaticano II. L’evento, sempre accompagnato da notevole interesse per il contesto degli operatori italiani e internazionali del settore religioso, si è svolto sotto l’egida della CEI e della Diocesi di Vicenza, ed è da sempre contrassegnato da numerose e qualitative partecipazioni di espositori e da iniziative culturali che trovano la collaborazione della Conferenza Episcopale Italiana. Infatti Koinè Ricerca, coordinato da Lea Di Muzio con il

contributo di illustri esperti, si è articolato secondo un programma di seminari tecnici, laboratori sperimentali, incontri e workshop dedicati a liturgisti, sovrintendenze, clero, progettisti, architetti e designer, nonché a mostre e giornate di studio. Tra i tanti riferimenti è emersa la progettazione relativa a nuove chiese, la giornata nazionale di studio sull’adeguamento degli spazi celebrativi, sull’acustica e sull’illuminazione degli spazi di culto. Di grande rilevanza la partecipazione della Commissione Scientifica AIDI, che ha realizzato il libro “Luce nelle Chiese” (edito da AIDI e Ediplan), con la partecipazione di Giancarlo Santi, vicepresidente della Commissione Scientifica AIDI per l’illuminazione dei luoghi di culto. Per la prima volta AIDI e la Rivista Luce sono stati presenti all’evento Koiné. www.koinexpo.com


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Pietre e ombre A Visual Exploration Between Shadow & Stone a visual exploration of Richard England’s architecture Photography by Timmy Gambin Gutenberg Press Ltd, Malta 2010 Un titolo particolarmente azzeccato ci guida, in un silenzio incantato, a esplorare da un altro punto di vista le opere di England. Pochi testi: Conrad Thake e Peter Sarracino Inglott fanno da preambolo all’occhio indagatore di Timmy Gambin che compie una sorta di rito mostrandoci i dettagli. Ossa, nervi, muscoli e carne. Ovvero scale, ringhiere, finestre tagliate nelle pareti, volumi che fuoriescono e alludono a fioriture. E ancora la rugosità della materia. Sale dei passi perduti. Colonnati che si perdono nel vuoto di una città metafisica. Particolari che raramente alludono al tutto e che, come inizi continuamente interrotti, mostrano un puzzle che seziona l’immagine, a carpirne l’emozione, in un gioco paziente tra pietre e ombre. M.P.

A particularly well-chosen title leads us – through an enchanted silence – to explore England’s works from a different viewpoint. Few texts: Conrad Thake and Peter Sarracino Inglott act as preludes to Timmy Gambin’s inquisitive eye; the latter actually carries out a sort of rite, showing us the details. Bones, nerves, muscles and flesh. Or rather, stairs, railings, windows cut into walls, volumes that jut out, and what I’m referring to is flowering. And yet again, the coarseness of matter. Halls with steps that are lost. Arcades that are lost in the emptiness of a metaphysical city. Details that rarely allude to everything, and which, just like continuously interrupted beginnings, reveal a puzzle that sections the image, catching its emotion in a patient play between shadow and stone.

Identità molteplice Sino allo scorso 27 marzo, presentata da Triennale Design Museum e allestita negli spazi della Triennale di Milano, si è svolta la mostra Graphic Design Worlds, che ha evidenziato una pluralità di percorsi dedicati alla comunicazione grafica. L’iniziativa ha messo a confronto nuovi contesti e percezioni relazionali, con il più avanzato e sofisticato uso di strumenti coerenti con i nuovi linguaggi e gli attuali media. La mostra ha consentito di accostare la molteplicità espressiva del graphic design contemporaneo attraverso le interpretazioni di oltre trenta graphic designer che,

differenti per provenienza, formazione e tendenza creativa, hanno espresso le proprie singolarità per consentire di indagare e giudicare i nuovi aspetti sociali. Ciò rientra nell’intendimento che riconosce al graphic design la capacità di interpretare quelle espressività in continua trasformazione che costituiscono e comunicano la cultura e la società nella sua trasformazione relativa a più settori e discipline (arte, musica, moda, cinema, architettura e altro). Graphic Design Worlds si è quindi dimostrata una ricognizione sul graphic design e il suo rapporto col mondo, mediante nomi noti ai

quali si sono affiancati designer e team italiani di nuova generazione e di provenienze diverse. Gli allestimenti e le installazioni realizzate per la mostra si sono articolati lungo i 1.500 mq della Galleria dell’Architettura della Triennale. La rassegna è stata accompagnata dal volume Graphic Design World\World, a cura di Giorgio Camuffo curatore della mostra e da Maddalena Dalla Mura, pubblicato da Electa. Manystuff, One Possible Catalyst, graphic book.

Segnalazioni Pierre-Alain Croset, Luka Skansi Gino Valle Electa Architettura, Milano 2010, 630 ill., 400 pp Fin dalle prime opere realizzate negli anni Cinquanta a Udine e nel Friuli, Gino Valle (1923-2003) fu riconosciuto dalla critica internazionale come una delle figure più originali e creative dell’architettura europea del dopoguerra. A venti anni di distanza dall’uscita dell’unica monografia completa a lui dedicata, da tempo esaurita, il libro ricostruisce in 16 capitoli tematici, corredati con 75 schede descrittive delle principali opere, la complessa e intensa attività progettuale del maestro friulano, tracciando diversi percorsi di lettura attraverso i contesti geografici, i caratteri formali, i linguaggi costruttivi, i riferimenti intellettuali di un’opera che sfugge a ogni classificazione. Renato De Fusco L'architettura delle 4 avanguardie Alinea Editrice, Firenze 2010,

ill. in b/n, 216 pp Le quattro avanguardie cui è dedicato questo saggio sono: l'opera dei maestri, in avanti per il suo livello qualitativo; il movimento che auspica il risolversi dell'arte nella vita; l'avanguardia tecnologica e quella da considerarsi come “contestazione globale”. Quest’ultima, secondo l'autore, incarna meglio delle altre il carattere radicale ed eversivo proprio di tutte le avanguardie artistico-letterarie. Accanto alla tesi principale sono esposti altri temi e problemi – gli artifici storiografici, il linguaggio della progettazione, i principali “ismi”, la tecnologia digitale, ecc. – che completano il quadro storico-culturale dell'architettura del ‘900. L’intero discorso è fondato su tre momenti particolari di quella storia, espressi dal neoplasticismo di De Stijl, dal Costruttivismo russo e dall’Espressionismo tedesco. Il lettore può acquisire facilmente tali tendenze e le altre ad esse collegate, in pari tempo conoscendo la loro versione

più innovativa, quella appunto dell’avanguardia. Carlo Donati Contemporary villas and interiors a cura di Alessandra Coppa Gruppo 24Ore, Milano 2011, 150 ill. a colori, 189 pp Il volume raccoglie una selezione di lavori dello studio di architettura Carlo Donati. I progetti sono stati realizzati, in Italia e all’estero, nell’arco degli ultimi dieci anni. Il cuore della monografia è dedicato alle abitazioni di prestigio – ville, loft e attici – divenute nel tempo il marchio di fabbrica del quarantenne architetto milanese. La sua firma – rigorosa e ricca di contaminazioni al tempo stesso – è sempre riconoscibile sia che si tratti di un appartamento caldo e avvolgente a St. Moritz sia che si esprima nelle linee rarefatte e algide di un loft urbano con piscina a vista sul soggiorno. Realizzazioni uniche tanto da essere state scelte come location per spot pubblicitari e film d’autore raccontati nel

libro da immagini in bianco e nero a corredo dei servizi fotografici. Una sezione a parte del libro è riservata a resort, uffici e negozi. Matteoli L., Pagani R. (a cura di) CityFutures. Architettura, Design, Tecnologia per il futuro della città Hoepli, Milano 2010, 336 pp Gli atti della Conferenza internazionale CityFutures 2009 organizzata dalla SITdA e da MADE expo sono al tempo stesso una denuncia e una prima risposta al problema drammatico e urgente che questa generazione deve affrontare: impostare la transizione della città attuale verso una città coerente con le condizioni ambientali ed energetiche del futuro a breve-medio termine. Ci sono gli strumenti, manca il progetto complessivo, mancano la cultura e la sensibilità del decisore politico. CityFutures 2009 si pone come provocazione e innesco di un percorso verso la più grande rivoluzione del millennio: la transizione alla città sostenibile.

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