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Febbraio February
www.arcadata.com
La rivista internazionale di architettura, design e comunicazione visiva The international magazine of architecture, design and visual communication
BUILDINGS&BUSINESS
BUILDINGS&BUSINESS GUEST EDITOR EMILIO AMBASZ
GUEST EDITOR
EMILIO AMBASZ Mensile Monthly Testo italiano e inglese Italian and English text IVA assolta dall’editore - Periodico mensile - Poste Italiane Spa Sped. in A.P. D.L. 353/03 (conv. in L. 27.02.04, n° 46), art. 1, c. 1, - LO/MI
A €19,00 - P €14,90 - B €17,50 D €22,00 - NL €19,50 - UK GBP 18,00
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Cesare Maria Casati
Verso la reale bio-architettura
Towards Real Bio-Architecture
nel ventunesimo secolo che finalmente prendiamo coscienza del fatto che, per continuare a soddisfare le necessarie esigenze di benessere dell’attuale costume di vita del mondo ricco, occorre controllare e razionare il consumo delle risorse offerte generosamente dal pianeta e iniziare a preoccuparci delle necessità di sviluppo e progresso delle prossime generazioni, in attesa che scienza e nanoscienza, come stanno promettendo, trovino soluzioni energetiche sostitutive e possibili. Proprio partendo da questa considerazione preliminare, quando si discute di architettura (termine che attualmente si è arricchito di nuovi appellativi come: bioarchitettura, ecoarchitettura o architettura sostenibile) occorre cercare di capire le straordinarie evoluzioni che questa disciplina subirà nel prossimo futuro. Se facciamo una carrellata veloce nel passato, sino a dieci mila anni fa, scopriremo come al di là degli aspetti estetici, decorativi e di confort ambientale, i materiali, le tecniche costruttive, strutturali e progettuali non hanno avuto, escluso gli ultimi cinquanta anni, molte innovazioni sostanziali Anche le tecnologie impiegate, strutturalmente elementari, sempre legate alle situazioni ambientali, per secoli non si sono molto modificate, sino all’arrivo in rete dell'energia elettrica che, per la prima volta, ci ha fatto abbandonare il fuoco come unica sorgente di luce artificiale e di calore. Sembrerebbe, o almeno si spera, che solo a partire dal prossimo secolo, prima con la reale bioingegneria e poi con lo sviluppo delle nano tecnologie, riusciremo a controllare e manipolare a livello molecolare la materia organica e inorganica senza impiego aggiunto di energia esterna. Ecco perché dobbiamo fare molta attenzione ai primi progetti di ricerca, ancora timidi ma di grande coraggio, che alcuni giovani progettisti stanno compiendo con grande immaginazione creativa preconizzando strutture e soluzioni ambientali del tutto imprevedibili ma, come avvenne anche nel passato con alcuni profetici progetti, sicuramente utili a stimolare industria e ricerca scientifica. Oggi è sicuramente giusto sospendere sprechi di materia naturale e di energia per concentrarci tutti su progetti che saggezza e buon senso possano definire sostenibili, ma non dobbiamo bloccarci in una situazione che non sarà immutabile. Sono certo – e il mio non è solo un sogno – che la prossima generazione di progettisti dovrà, come sempre è avvenuto, confrontarsi con la ricerca scientifica e, in stretta collaborazione con essa, realizzare armonicamente autocostruzioni ecologicamente corrette nei confronti dell’ecosistema antropico-ambientale. Tutto ciò potrà avvenire anche quando l’umanità inizierà a studiare nuovi sistemi di infrastrutture di mobilità individuale che libereranno definitivamente città e agglomerati urbani da mezzi di trasporto individuali. Mezzi che presto diventeranno anacronistici come avvenne per le carrozze. Credo che questo sia il vero problema che continua a rendere “insostenibili” le nostre città.
ow at last in the 21st century we can finally realise and understand that, in order to carry on meeting the necessary conditions for maintaining the current standard of living in the wealthy part of the world, we need to control and rationalise the indiscriminate consumption of the resources which our planet so generously offers and start worrying about the needs in terms of progress and development of the forthcoming generations, while we wait, as now seems feasible, for science and nano-science to come up with alternative feasible energy solutions. Working on this preliminary assumption, as we discuss architecture – a term which has recently been extended to such new fields as bio-architecture, eco-architecture and sustainable architecture – we need to realise the incredible developments it will inevitably undergo in the near future. If we quickly take stock and carefully review the past right back to 10,000 years ago, we will soon discover that, leaving aside aesthetic and decorative aspects and issues of environmental comfort, there have been no substantial innovations in materials and building, structural and design techniques except over the last 50 years. Even the technology used, always structurally simple and linked to the settings in which it was employed, did not really change much down the centuries until the emergence of electricity from the power grid, which for the first time ever enabled us to abandon the fireplace as the only source or artificial light and heat. It would seem (or at least hopefully so) that only as of next century, initially through proper bioengineering and then through the development of nanotechnology, will we really be able to harness and manipulate organic and inorganic material on a molecular level without the aid of outside energy sources. This is why we need to pay very careful attention to the initial research projects, still relatively timid but providing plenty of reason for hope, which certain young designers are working on with great creative imagination, envisaging environmental structures and solutions of a totally unpredictable nature but, as was the case in the past with certain prophetic projects, most certainly useful for boosting industry and promoting scientific research. The time has now certainly come to stop wasting natural material and energy and to all focus on projects whose wisdom and common sense means they may be described as sustainable, but we must not get bogged down in a situation which is destined to change. I am certain, and this is not just a pipedream, that the next generation of architectural designers will, as has always been the case, have to come to terms with scientific research and work hand-in-hand in order to create self-constructions which ecologically respect the anthropic-environmental ecosystem. All this will only actually happen when mankind starts studying new systems of infrastructures for the purposes of individual mobility, which will finally free our cities and urban agglomerations from private means of transport. Vehicles which will soon become outmoded as was the case with carriages. I believe that this is the real reason why our cities continue to be “unsustainable”.
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LA MIA FILOSOFIA PROGETTUALE* My Design Philosophy *
“EMILIO DEL GIARDINO”, china e acquarello, James Wines - SITE ”EMILIO OF THE GARDEN”, ink and wash, James Wines - SITE
*Un film di diciotto minuti intitolato “MI DOMANDO” in cui Ambasz intervista Emilio è disponbile su www.arcadata.com *An eighteen minute film titled “I ASK MYSELF” where Ambasz interviews Emilio is available on website www.arcadata.com
ARCHITETTURA E NATURA: VERSO UN PATTO DI RICONCILIAZIONE
ARCHITECTURE AND NATURE: TOWARDS A PACT OF RECONCILIATION
La concezione greca della creazione dell’Uomo come entità separata e in contrasto con la natura ha esaurito la propria portata intellettuale. Io mi impegno nella creazione di una nozione a-tettonica dell’architettura, in cui essa sia concepita come un componente integrale di quella Natura fatta dall’Uomo che noi creiamo sia deliberatamente sia inconsapevolmente. Interpreto il mio compito di architetto come quello di riconciliare la nostra Natura artefatta con quella organica che ci è stata data. Il Movimento Moderno in architettura ha portato avanti l’ideale della redenzione urbana attraverso la proposta della “Casa NEL Giardino”, cioè di una casa circondata da un giardino (per esempio, 40% casa e 60% giardino), in cui però i due elementi rimangono distinti e separati tra loro. Nei miei edifici cerco di progettare un “patto di riconciliazione” in cui i due elementi coesistono, “la Casa E il Giardino”, cioè il 100% per la casa e il 100% per il giardino, integrati organicamente, dove la casa “restituisce”, in forma di verde accessibile a tutti, il 100% dell’area che occupa. Ho trascorso gli ultimi trent’anni della mia vita professionale a fare proposte e a creare edifici che restituiscono alla comunità quanto più verde possibile. In alcuni casi sono stato in grado di restituire quasi tutta la terra sottoforma di giardini che rimettono a disposizione della comunità la stessa superficie occupata dall’edificio. (Un esempio di questo è il mio edificio per il Mycal Cultural and Athletic Center a Shin-Sanda, Prefettura di Hyogo, Giappone). In tutti i miei progetti ho cercato di restituire alla comunità, sottoforma di giardini pubblici, tanto quanto, se non di più, occupato dall’impronta dei miei edifici. I 100.000 metri quadrati dell’edificio per uffici/teatro/esposizioni che ho costruito a Fukuoka (Giappone) è una prova che tale risultato può essere ottenuto in un territorio urbano ad alta densità. Il progetto per la sede ENI a Roma (Italia) mostra un modo di creare Giardini Verticali in edifici alti in lotti stretti. Il grande Ospedale da 600 posti che ho realizzato a Venezia-Mestre (Italia) è stato accolto come il primo “giardino della salute”; un elemento attivo nel processo di cura. Cerco attivamente di progettare edifici connessi in modo complesso alla natura, accessibili all’intera comunità, utilizzati sia dai membri della comunità generale sia dagli appartenenti della proprietà. La mia formula architettonica di mettere “il verde sul grigio”, o “il soft sull’hard”, mostra una via molto semplice, ma profonda, di creare edifici che non alienino i cittadini dal regno vegetale, bensì che siano inestricabilmente intessuti col verde: con la natura.
The Greeks’ conception of Man’s creations as distinct and separate entities in contrast with Nature has exhausted its intellectual and ethical capital. I strive to create an a-tectonic notion of architecture, where architecture is conceived as an integral component of that Man-made Nature we are willingly, as well as unwittingly, creating. I see my task as an architect as that task of reconciling our man-made Nature with the organic one we have been given. The Modern Movement in architecture advanced the ideal of urban redemption by proposing “the House IN the Garden,” i.e. the house surrounded by the garden (for example, 40% for the house, 60% for the garden), but where each one remains distinct and separate from the other. With my buildings I seek to design a “pact of reconciliation” whereby we have both, “the House AND the Garden,” i.e. 100% of the house and 100% of the garden, organically integrated, for in such contract the house “gives back,” in the form of communally accessible greenery, 100% of the land it covers. I have spent the last 30 years of my professional life making proposals and creating buildings that give back to the community as much of the green as possible. In some cases I have been able to give back almost all of the land in the form of gardens that return to the community the same area as the ground the building covers. (An example of this would be my building for the Mycal Cultural and Athletic Center at Shin-Sanda, Hyogo Prefecture, Japan). In all my projects I have sought to return to the community, in the form of accessible gardens, as much, if not all, the land my building’s footprint covers. The 1,000,000 sq ft office/theater/exhibition building I built in Fukuoka, Japan, is a proof that such a result can be obtained in a densely urban setting. The project for the ENI company, in Rome, Italy, shows a way to create Vertical Gardens in tall buildings on narrow plots. The large 600 bed Hospital and Venice-Mestre (Italy), of my design, has been hailed as the first “health garden;” an active participant in the healing process. I actively seek to design buildings intricately connected to nature, accessible to the whole community, used by the members of the community at large as well as by the corporation members who pay for it. My architectural formula of putting the “green over the gray,” or the “soft over the hard,” shows a very simple but profound way of creating buildings which do not alienate the citizens from the vegetable kingdom, but rather, creates an architecture which is inextricably woven into the greenery; into nature.
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LUCILLE HASTELL CONSERVATORY San Antonio, Texas, USA,1982
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JAMES WINES
Curriculum Vitae
Il Professor James Wines è fondatore e presidente di SITE ed è stato professore di Environmental Design alla Parsons School of Design. Nel 1999, è stato eletto Decano di Architettura alla University of Pennsylvania. Il suo lavoro è riconosciuto a livello internazionale per il suo impegno per l’integrazione delle arti e per la fusione tra edifici e paesaggio con il contesto circostante. Negli anni recenti, ha assunto un ruolo sempre più attivo nel movimento verde internazionale grazie ai suoi progetti, lezioni, conferenze e pubblicazioni, tra cui Architecture as Art (1980), De-Architecture (1987) e Green Architecture (2000).
Prof. James Wines is the founder and president of SITE, the former Chair of Environmental Design and Parsons School of Design. In 1999, he was elected Dean of Architecture at the University of Pennsylvania. His work is internationally well known for his commitment to an integration of the arts and the fusion of buildings and landscapes with their surrounding contexts. In recent years, he has taken an increasingly active role in the international green movement through projects, lectures, conferences, and writings, including Architecture as Art (1980), De-Architecture (1987), and Green Architecture (2000).
IN RISPOSTA ALLE DOMANDE DI JAMES WINES
Replies to James Wines Questions
WORLDBRIDGE TRADE AND INVESTMENT CENTER Baltimore, Maryland, USA, 1989
Da molti anni ormai entrambi perseguiamo la nostra sensibilità ambientale e, sebbene il rapporto con la natura abbia virtualmente caratterizzato tutta la grande architettura del passato, siamo sempre rimasti al margine della prima scena del design. A cosa attribuisci questa situazione particolare? Chiunque cerchi di parlare un nuovo linguaggio non dovrebbe sorprendersi se non viene compreso. Sarà di sicuro tenuto ai margini. E io, francamente, non sono sorpreso che accada, e anzi sarei più preoccupato se un idraulico mi rispondesse: sono d’accordo con te amico. Forse la mia indifferenza per l’approvazione degli idraulici deriva dal fatto che non mi interessa ricevere onori dagli uomini, bensì sorrisi dagli angeli. Divido gli architetti in tre categorie: primo, l’architetto commerciale, che alcuni definirebbero l’architetto “di tutti”; secondo, l’architetto professionista che svolge il suo lavoro con estrema competenza nell’ambito di un dibattito condiviso; e, terzo, l’architetto creativo. Queste tre categorie corrispondono strettamente alle nozioni di stereotipo, tipo e prototipo. Chi crea un prototipo rompe la convenzione artistica, ampliando la tradi-
zione esistente e introducendo nuovi simboli che non vengono capiti immediatamente. Una volta che una cultura inizia a capire i significati interni a tali simboli prototipali, il prototipo diventa un tipo condiviso. Quando la cultura che fungeva da contesto al tipo inizia a spostarsi, il tipo diventa uno stereotipo. Coloro che abitano in una cultura omogeneizzata e pastorizzata si sentono più a loro agio con gli stereotipi. Questa è una possibile spiegazione della mia serenità nell’essere marginalizzato. Talvolta, quando mi sento troppo solo, immagino di trovarmi davanti alla prima linea. Anni fa – ora è diverso – quando tenevo una conferenza sentivo come un’onda di odio provenire dal pubblico di professionisti dell’architettura. Forse accadeva perché non stavo più solo presentando idee ma anche edifici costruiti. Non potevano più liquidare le mie immagini come “facili da disegnare, ma vediamo se riesce a costruirle”. Erano una dimostrazione troppo evidente che avevano scommesso su un brocco. Alcuni di loro, in quegli anni, mi chiamavano “l’Anticristo”. Adesso, alcuni mi chiamano “il Messia”. Domani…chissà?
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PUBLIC PARK AND RESIDENCES Old Port, Monte Carlo, 1998
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We have both pursued an environmental sensibility for many years now and, even though a response to context has defined virtually all great architecture of the past, the mainstream design scene has continued to marginalize our work. To what do you attribute this peculiar situation? Anyone who seeks to speak in a new language should not be surprised if he/she is not understood. He will certainly be kept on the margins. And, I am frankly not surprised that it happens, and would rather be greatly concerned if I got a plumber replying: I agree, pal. Perhaps, my disregard for plumbers’ approval originates in the fact I do not care for the honor that men may bestow, but for the smile of angels. I divide architects into three categories: first, the commercial architect, what some people would call the “hack” architect; second, the professional architect who practices with a high degree of professionalism within an accepted discourse; and, third, the inventive architect. These three categories correspond closely to the notions of stereotype, type and prototype. He who invents
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a prototype is fracturing artistic convention, extending present lore, and introducing new symbols not immediately understood. Once a culture starts understanding the meanings embodied in those prototypical symbols, the prototype becomes an understood type. As the culture that once gave context to the type starts shifting away, the type becomes a stereotype. Those who dwell in a culture, homogenized and pasteurized, feel more comfortable with stereotypes. This is a possible explanation as to the why of my serenity when I am marginalized. Sometimes, when I feel too lonely, I fancy that I am on the edge of the forefront. Years ago – it has now changed – whenever I gave a lecture I felt a wave of hate coming from the audience of architectural professionals. Maybe it was because I was no longer only presenting ideas but also built buildings. No more could they dismiss my images as “easy to draw but let’s see if he can build them,” because they were already built. In essence, the buildings were too strong a demonstration that they had put an existential wager on an exhausted horse. Some of them called me in those years gone “the Antichrist”. Now, some call me The Messiah. Tomorrow…what?
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ARCHITETTURA E PAESAGGIO Architecture and landscape
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Con tutti gli ambientalisti e i sociologi del mondo che continuano a dire che la vegetazione, l’agricoltura urbana, i giardini e gli alberi sono componenti essenziali della città (per motivi di salute, benessere e stabilità psicologica), perché il pensiero tradizionale del mondo del progetto fa ancora resistenza all’uso del paesaggio – o, quanto meno, lo vede come un decoro marginale? Come ben sai gli architetti “macho” guardano con superiorità agli architetti di interni e a quelli di esterni, cioè agli architetti paesaggisti. Credono fermamente che la loro sia la vera espressione del normale e del naturale e che le altre due categorie siano solo, al massimo, artigiani e parrucchieri. La grande maggioranza degli architetti laureati all’università è stata dotata della certezza del “mestiere” sistematico e della convinzione di appartenere a questo mondo, se non proprio di possederlo. E’ stato insegnato loro che l’architettura è fatta di piccole finestre quadrate, o di piani sfalsati, tagliati, aggettanti, esplosi, ritorti, spiraleggianti o sollevati – a seconda della scuola di provenienza – in modi che Escher avrebbe apprezzato. I loro professori li ricompensano lautamente per tirare il rimorchio. Come ci si può aspettare che utilizzino materiali non tradizionali o che cerchino di integrare un edificio nella Natura quando essi sono orgogliosi della propria tradizione Greco-Romana di dominare la natura, standone al di sopra e ben distinti? Sebbene gli architetti a parole si addossino tutte le colpe del mondo, molti di loro non oserebbero mai confondere i propri clienti con un’architettura che sia umile parte della natura; potrebbero perdere il cliente. Azioni e idee come quelle che proponiamo noi sono don-chisciottesche, e avventate; meglio che le pratichi chi non ha una famiglia da mantenere o chi crede che i bambini scalzi crescano meglio.
SCHULMBERGER RESEARCH LABORATORIES Austin, Texas, USA, 1982
With every concerned environmentalist and sociologist in the world telling us that vegetation, urban agriculture, garden spaces and forestation are essential components of the city (for reasons of health, well-being and psychological stability) why do you think the mainstream design world still resists the use of landscape – or, at best, sees it as some kind of peripheral décor? As you well know, he-men architects look down patronizingly on interior architects and exterior ones; meaning landscape architects. They feel very strongly that theirs is a true embodiment of the normal and natural and that those other two categories were just, at best, craftsmen or hairdressers. The great majority of architects who graduated from academia have been given the fortitude of a systematic métier, and the conviction that they belong on this world, if not outright own it. They have been taught that small
little square windows, or that sliced, protruding, extruding, exploded, spiraled, twisted, and tilting planes, some of them in manners Escher would appreciate – depending on their schools – is architecture. Their professors rewarded them handsomely for towing the party line. How can you expect them to utilize materials that are not the traditional ones; how can you expect them to try to integrate a building with Nature when they are the proud heirs of a Greek-Roman tradition of mastering nature, standing above it and distinct from it? Although the architects bleed for all the sins of the world with their mouths, many of them will not dare puzzle their clients with an architecture that is humble and a part of nature; they may lose him. Actions and ideas like those you and I propose are quixotic, and reckless; better practiced by those who have no family to support, or who fancy barefoot children grow healthier.
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ARCHITETTURA E INTEGRAZIONE SOCIO-AMBIENTALE Architecture and Socio-environmental Integration
Come è cambiato negli ultimi anni il tuo pensiero sull’architettura e sul suo ruolo nella riforma sociale e ambientale? Sei ancora idealista e pieno di speranza come vent’anni fa? Secondo me, la definizione di coraggio non è quella di uno che si lancia ciecamente in battaglia, bensì di chi, pur timoroso si mette in prima linea perché è ciò che deve fare. La lucidità della paura, se non paralizza, è una prova di onore. Ho sempre saputo che il mio perseguire modelli alternativi per un futuro migliore sarebbe stato respinto, deriso o, nella migliore delle ipotesi, che sarei rimasto da solo ad abbaiare alla luna. Ma ho sempre tenuto a mente che il pazzo che tira sassi alla luna non la colpirà mai, ma, alla fine, nessun altro del villaggio saprà tirare sassi così in alto. Mi sento ancora idealista. Non posso dire di essere pieno di speranza perché sono pessimista di natura. Ogni volta che vado avanti e lotto, devo lottare anche con la mia consapevolezza interiore di quanto tutto ciò sia vano e inutile. Ma credo sinceramente che sebbene il compito di inventare futuri migliori possa far traballare l’immaginazione e paralizzare la speranza, tuttavia non possiamo esimerci dal rispondere a questa sacra chiamata.
How has your thinking about architecture and its role in social and environmental reform changed in the past few years? Are you still as idealistic and as hopeful as you were twenty years ago? For me, the definition of courage is not that of someone who marches into battle unconcerned, but that of someone who trembling, nevertheless, marches ahead because that is what he must do. The lucidity of fear, if it doesn’t paralyze, is a badge of honor. I always knew that my pursuit of alternative models for a better future would be rejected, mocked, or, at best, I would be left alone to bark to the moon. But I always remembered that the madman who threw stones at the moon never hit her, but, at the end, no one else in the village could throw these as high. I still feel idealistic. I cannot say that I am hopeful because by nature I’m a pessimist. Whenever I go forward and fight on, I have to also fight within myself a pervasive awareness of the vanity and pointlessness of it all. But I devotedly believe that the task of inventing better futures may stagger the imagination and may paralyze hope, but we cannot relinquish this holy call.
PRIVATE ESTATE Montana, USA, 1991
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PLAZA MAYOR Salamanca, Spain, 1982
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DISCREPANZE FRA ARTE E ARCHITETTURA Discrepancies between Art and Architecture
E’ chiaro, ora che abbiamo una buona prospettiva dell’arte del XX secolo, che quegli artisti che hanno affrontato temi quali psicologia, ambiguità, morfologia, contesto, caos e altri elementi indeterminati che influenzano il rapporto tra le persone e il loro ambiente stanno emergendo come i più interessanti, importanti e duraturi. Sto pensando in particolare ai non-formalisti come Duchamp, Johns, Rauschenberg, Bacon, Giacometti, Smithson, Matta-Clark, e a scrittori come Beckett, Artaud e Burroughs. Allora perché l’architettura è rimasta così risolutamente e dogmaticamente bloccata alle lezioni dell’arte astratta, quando questa intera tradizione col tempo sembra essere diventata meno interessante?
Clearly, now that we have a little perspective on art of the 20th Century, those artists that dealt with psychology, ambiguity, morphology, context, chaos and other indeterminate elements affecting people’s relation to their environment are rising as the most interesting, relevant and enduring artists. I am thinking particularly of such non-formalist practitioners as Duchamp, Johns, Rauschenberg, Bacon, Giacometti, Smithson, Matta-Clark, and writers like Beckett, Artaud and Burroughs. So why has architecture remained so relentlessly and dogmatically locked into the lessons of abstract art, when this entire tradition seems to be growing less interesting with time?
Sono sempre stato conscio, e sicuramente anche tu lo sei, del fatto che l’architettura è stata sempre la retroguardia delle altre arti visive. Pensando al passato si scopre che sempre i pittori hanno anticipato molte delle tematiche affrontate poi dagli architetti. L’architettura è un’arte sociale e il materiale umano che utilizza è molto più recalcitrante dei colori a olio. Hai menzionato i non-formalisti, ma ti assicuro che lo stesso vale per i formalisti come Gris, Braque e, naturalmente, Picasso nel suo periodo cubista. Chiedi perché l’architettura sia rimasta bloccata nei dogmi dell’arte astratta. Pensa solo ai tuoi studenti. Chi di loro osa fare una linea curva? Anche le persone del mio studio si sentono a loro agio solo se sono io a farla, sempre che poi riescano a ricostruirne una simile quando ne scoprono il centro (o glielo assegnano) col compasso in mano. E’ stato inutile che buttassi via i loro righelli e le loro squadre; il computer li ha fatti rientrare dalla porta principale. Fa molta paura tracciare una bella linea senza l’aiuto del righello. Sono sicuro che hai osservato che hanno più paura gli studenti di architettura delle loro ombre di quanto quelli di pittura temano i fantasmi reali. Forse è per questo che camminiamo fuori dal seminato; tu eri un laureato in arte e io non ho mai avuto un’educazione architettonica, avendo completato gli studi pre- e post-laurea in due anni a Princeton, senza mai seguire corsi di idraulica o di pratica della professione, bensì di filosofia, letteratura e sociologia.
I’ve always been aware, and so have you surely, that architecture always has marched behind the other visual arts. Think back in time and you will always find that painters anticipated many of the concerns that later were taken up by architects. Architecture is a social art and the human material it utilizes is far more recalcitrant than oil paint. You mentioned non-formalist practitioners, but I
assure you that the same stands true for formalists such as Gris, Braque and, of course, Picasso in his Cubist period. You ask why architecture remains locked into the dogmas of abstract art. Just think of your students. Who of them dares to make a curvilinear gesture? Even people in my office feel only comfortable, when I make it, provided they can reconstruct such a line when they discover its loci (or assign it one) with a compass in hand. It was useless for me to break their triangles and T-squares; the computer brought these back through the big door. There is great fear in making the graceful line without the directorate of a ruler. I’m sure you have observed that architecture students are more frightened of their own shadows than painting students are of real phantoms. Maybe that is why we walk outside the established path; you were an art major, and I never got an architectural education, on account of my having completed undergraduate and graduate work at Princeton in two years, never having taken courses in plumbing or practice of the profession, but in philosophy, literature, and sociology.
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IL PUBBLICO DI EMILIO AMBASZ
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Spesso definisci il tuo lavoro come mistico, cosmologico e attinente al mito. In una parola come “simulacri”, in cui i valori culturali e spirituali vengono abbandonati e/o distrutti di proposito, dove trovi il tuo pubblico?
You often speak of your work as mystical, cosmological and concerned with myth. In a world of “simulacra,” where culture and spiritual values are being abandoned and/or purposefully destroyed, where do you find your audience?
Non posso che darti una risposta che suonerà inevitabilmente arrogante: lascio che siano loro a trovare me. Io do un’immagine, se cattura i loro cuori, ascolteranno. Per me, quattro persone che la pensano diversamente tra un pubblico numeroso sono sufficienti. Quei quattro sono stati raggiunti, e sono il solo pubblico che mi interessa. Mi sono allenato fin da ragazzo, osservavo la reazione dei miei compagni di classe a Princeton quando presentavo i miei progetti, giusto per divertimento. Se facendo in questo modo attiro un solo ascoltatore, così sia, fintanto che è un ascoltatore critico, uno curioso. Non sopporto gli ammiratori mediocri.
Here I cannot help but give you an answer that will inevitably sound arrogant: I let them come to me. I make the image, if it grips their heart they will listen. For me, an audience of four in a multitude who looks the other way is enough. Those four have been touched, that’s the only audience I care about. I have trained myself since I was a teenager and observed the reaction of my classmates at Princeton when I presented my projects, to just aim to please myself. If by so doing I attract an auditor, so be it, as long as it is a critical auditor, one of the inquisitive sorts. I have no patience for ungifted admirers.
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IL MOVIMENTO VERDE
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Dove pensi stia andando il Movimento Verde?
Where do you see the Green Movement going in the future?
Si ramificherà. Il cosiddetto Movimento Verde è un grande ombrello sotto al quale, al momento, non getterei troppa luce perché le ombre sono ancora a caccia dei propri corpi. E’ uno stato di coscienza; non costituisce ancora una realtà concettuale perché gli manca un sistema di argomentazioni e una struttura teorica precisa che gli permettano di trasmettere, e rimettere costantemente in discussione, un corpus di conoscenze. Per il momento, è un atteggiamento. Non è ancora un principio. Vogliamo farlo sapere ai pochi accoliti che abbiamo? Temerario è lo sciamano che mostra come è fatta la sua magia.
It will branch out. The so-called Green Movement is a big umbrella under which, at present, I wouldn’t dare to cast too much light because the shadows are still looking for their bodies. It is a state of awareness; it doesn’t yet constitute a conceptual reality because it lacks a precise system of discourse and a theoretical structure that will allow it to transmit a body of knowledge, and to constantly reevaluate it. It is an attitude, so far. It is not yet a principle. Do we want to let the few acolytes we have know it? Reckless is the shaman who shows how his magic is held by stitches.
ENI HEADQUARTERS Rome EUR Italy, 1998
Ti interessano i recenti sviluppi della tecnologia ambientale? Usi qualcuna di queste innovazioni nei tuoi progetti? Mi interessano molto tutti i tipi di tecnologie. Di fatto, sono uno dei pochi architetti che non solo disegna le proprie opere in scala 1:1, ma sa anche come produrre industrialmente ogni loro dettaglio. Ovviamente, questo è il risultato del mio essere anche un industrial designer che progetta, ingegnerizza e risolve qualsiasi problema produttivo presentato dai prodotti che inventa. Credo che l’unico modo per risolvere veramente i problemi che la tecnologia può portare alla società è usando la tecnologia. Il problema con una società tecnologica è che essa è tecnicamente analfabeta e, dunque, sotto l’incantesimo della tecnica e delle regole dei suoi sacerdoti. Ma non si dovrebbe confondere l’uso delle tecniche con l’architettura. Non credo che l’uso pirotecnico di tecnica sia sufficiente a infondere lo spirito architettonico in un edificio. Senza poesia esso non è altro che uno scheletro esodermico.
Are you interested in recent developments in environmental technology and are you using some of these innovations in recent projects? I am very much interested in all sorts of technology. As a matter of fact, I am one of the few architects who not only designs his work in 1:1 scale detail, but also knows how to mass produce these details. Obviously, this is the result of my also being an industrial designer who designs, engineers, and solves all sorts of production problems presented by the industrial products he invents. I believe that the only way to actually solve the problems that technology may impose upon society is by using technology. The problem with a technological society is that it is technically illiterate and, therefore, under the spell of techniques, and the rule of its high priests. But one should not confuse the use of techniques with architecture. I don’t believe that the pyrotechnic use of technique is enough to endow a building with an architectural spirit. Without poetry it is no more than an exodermic skeleton.
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ARCHITETTI, ARTISTI E SCRITTORI CHE AMMIRO
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Achitects, artists and wites he admired
Quali artisti, architetti e scrittori del passato (prima del XX secolo) ti hanno influenzato? Quali ammiri di più? Qui mi piaci. Tra gli architetti che sento mi abbiano molto influenzato citerei, prima di tutti, Re Salomone e il suo Tempio di Gerusalemme, sebbene non ne abbia ancora mai vista una foto a colori – e anche in bianco e nero andrebbe bene. Andando un po’ più avanti, sono un devoto di Imhotep. Poi salto fino al Palladio, perché ho un debole per gli architetti pratici e pragmatici. Detto ciò, non dovrebbe sorprendere la mia ammirazione per Jefferson, ma il mio cuore, o qualunque cosa io usi come surrogato, appartiene a Frank Lloyd Wright. Ora, poiché Terry Riley, ex Direttore del Museum of Modern Art di New York, Dipartimento di Architettura e Design, mi ha chiamato, in un suo scritto “il più grande architetto dell’Illuminismo”, posso essere qualificato anche io, almeno in senso temporale, per essere incluso tra quelli da scegliere? La verità è che ho un debito di gratitudine verso il libro Architecture Without Architects (1964) di Bernard Rudofsky, un’introduzione all’architettura senza pedigree, figlia di NN. Potrei elencare molti NN, che, senza un diploma, sono stelle abbastanza luminose nel firmamento dei miei architetti preferiti. Per quanto riguarda i musicisti, nel campo dell’opera parto da Monteverdi e salto subito a Mozart, per proseguire con alcune, non troppe, arie di Puccini. Tra quelli più contemporanei, mi sciolgo a sentire Debussy, Satie e, il roboante, straordinario Stravinsky. Tra gli scrittori, sono colmo di ammirazione per Lucrezio; Ovidio non è troppo lontano. Tra i più contemporanei, continuo a riprendere Henry James, mentre gironzolo intorno a Proust.
Which artists, architects and writers from the past (before the 20th Century) do you consider as your influences? Which do you most admire? Now, here you got me. Of the architects I feel that I have been very influenced by I must mention, first of all, King Solomon and his temple in Jerusalem, although I have yet to see a color photograph of it – even a W&B would do. Going back a little bit further, I am a devotee of Imhotep. Then I jump ahead to Palladio because I have a weakness for practical and pragmatic architects. On the aforesaid, it shouldn’t surprise you that I admire Jefferson, but my heart, or whatever I use as its surrogate, belongs to Frank Lloyd Wright. Now, since Terry Riley, former Director of the Museum of Modern Art, New York, Department of Architecture and Design, has called me, in print, “the greatest architect of the enlightenment,” do I qualify, at least in a temporal sense, to be included among those I might select from? The truth is that I have a debt of gratitude with Bernard Rudofsky’s book of 1964, Architecture Without Architects, an introduction to non-pedigreed or N. N. architecture. I could list many N. N.’s who, without diploma, star high in the firmament of my greatly admired architects. As for musicians, in the domain of operas I start with Monteverdi and jump immediately to Mozart, to go on to a few, but not too many, arias by Puccini. As for more contemporary musicians, I melt when I listen to Debussy, Satie, Ravel and, that bombastic, but extraordinary, Stravinsky. As for writers, I am full of admiration for Lucretius; Ovid is not too far away. As for more contemporary writers, I keep on returning to Henry James by walking around Proust
COMMITTENTI E PATROCINATORI Clients and Patrons
Entrambi ce la siamo cavata meglio con i patrocinatori che con i committenti, per sponsorizzare i nostri lavori. Dove trovi oggi i patrocini e quale è la differenza di questo tipo di sostegno nel clima odierno rispetto a venti anni fa?
We have both fared much better with patrons as opposed to clients for the sponsorship of our work. Where do you find patronage today and what is the difference in the climate of such support from the situation 20th years ago?
Distinguerei i nostri patrocinatori e committenti tra privati e pubblici. I miei committenti privati, il 95% dei casi, sono stati altri architetti che, quando si trovavano a dover affrontare un problema per il quale era necessario un approccio più olistico e ambientale si rivolgevano a me per avere idee di progetto. Per quanto riguarda i committenti pubblici, anche loro sono architetti, in questo caso più giovani, che sono diventati funzionari del Comune e, quando ne hanno l’opportunità, si rivolgono a me. Così, ho toccato il cuore di qualche architetto dopo tutto.
I would distinguish our patrons or clients by dividing them between private and public clients. My private clients, in 95% of the cases, have been other architects who, when presented with a problem requiring a more holistic and environmental approach, came to me for design ideas. As for the public clients, they are also architects, in this case younger ones who have become civil servants within City Hall and, when given an opportunity, look for me. So, I have touched the heart of a few architects, after all.
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I PROGETTI PIU’ IMPORTANTI The most important projects
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CASA DE RITIRO ESPIRITUAL Seville, Spain, 1978
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Quali tra i tuoi lavori che consideri i più importanti e perché?
Which of your works do you consider the most important and why?
Naturalmente, il più importante è La Casa de Ritiro Espiritual. Con questo progetto volevo veramente “eliminare” l’architettura. L’unica cosa che doveva stare su era la facciata, che sarebbe stata come una maschera – un surrogato dell’architettura. L’architettura sarebbe sparita. Si sarebbe vista solo la terra. Si potrebbe dire che in questo modo cercavo retoricamente di eliminare l’architettura come processo culturalmente condizionato e ritornare alla nozione primordiale del riparo. Contrariamente alle attese, e alle speranze, di tutti, l’ho costruita e sta lì bella e fiera.
Of course, the most important is La Casa de Retiro Espiritua. With it I actually wanted to “eliminate” architecture. The only thing to stand was the façade. You might say that by this device I rhetorically sought to eliminate architecture as a culturallyconditioned process and return to the primeval notion of the abode. Contrary to everybody’s expectations and hopes, it was built and stands, proud and handsome. Another important project for me is the one in Fukuoka, because it demonstrates that you can have the “green and the gray” – one on top of the other – and at the same time (to Hell with Hegel and
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Un altro progetto importante per me è quello a Fukuoka, perché dimostra che si può avere “il verde e il grigio” – uno sull’altro – e allo stesso tempo (al diavolo Hegel e le sue antitesi) rendere alla comunità il 100% del suolo occupato dall’edificio in forma di giardino accessibile a tutti. Questo edificio, per me, è la prova più chiara che la nozione prevalente “le città sono per gli edifici e le periferie per i parchi” è un’idea errata e poco intelligente, che va bene solo per gli architetti commerciali che si dannano solo per svolgere il loro neppure tanto ben remunerato compitino di arricchire gli immobiliaristi. L’edificio di Fukuoka dimostra, una volta per tutte, che si possono avere un edificio e un giardino, soddisfacendo al 100% le necessità degli investitori e il desiderio di verde degli abitanti.
his antithesis) you can give back to the community 100% of the ground that the building’s footprint covers in the form of gardens accessible from the ground floor to everyone. This building is, for me, very strong evidence that the prevailing notion: “the cities are for the buildings and the outskirts are for the parks; “ is a mistaken and narrow-minded idea only favorable to commercial architects hell bent to their not so well rewarded task of enriching developers. The Fukuoka building demonstrates, once and for all, that you can have a building and the garden, 100% of the building the investors need, and 100% of the greenery the building’s users and its neighbors long for.
IRO UAL 1978
FUKUOKA PREFECTURAL INTERNATIONAL HALL Fukuoka, Japan, 1990
Cosa ti piace meno dell’architettura che va per la maggiore oggi? Cosa ti piace? (non parlo di singoli architetti, ma di tendenze e direzioni).
What do you dislike most about mainstream architecture today? What do you like? (not individual architetects; but, rather, tendencies and directions).
Detesto di cuore i membri della Das Internazionale Auf the Square Window (perdonami, Joseph Hoffman, i tuoi “quadratls” erano pieni di grazia). Provo un grandissimo disprezzo e un malcelato rancore per coloro che continuano a spremere il Movimento Moderno, ormai completamente capito e stereotipo, torcendo le pareti e piegando gli angoli. Sono solo venditori di saponette usate in una confezione nuova.
I dislike with all my heart the members of Das Internazionale Auf the Square Window (forgive me, Joseph Hoffman, your quadratls, those are indeed full of grace). I have a great amount of disdain and undisguised rage against those who keep on squeezing the Modern Movement, now completely understood and stereotyped, by twisting walls and binding corners. To me they’re nothing but salesmen of old soap in a new package.
A livello concettuale, quale consideri il tuo risultato più notevole?
On a conceptual basis, what do you consider to be your biggest breakthrough?
Credo che il mio contributo più importante sia stato dimostrare che si può evocare lo spirito dell’architettura senza usarne i tradizionali elementi canonici; che si può dare vita a un’abitazione anche usando balle di fieno.
I think that my biggest contribution is to demonstrate that you can evoke the spirit of architecture without using the canonical elements of traditional architecture; that you can bring to life a dwelling even using bales of hay.
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MICHAEL SORKIN
Curriculum Vitae
Il Professor Michael Sorkin è Professore Emerito di Architettura e Direttore del Programma di Laurea in Urban Design al City College di New York. In precedenza, è stato Professore di Urbanistica e Direttore dell’Istituto di Urbanistica alla Accademia di Belle Arti di Vienna e ha avuto la docenza, anche come professore in numerose scuole di architettura tra cui Columbia, Yale, Harvard, Cornell, Michigan, Cooper Union, Illinois, Pennsylvania e altre. Sorkin è autore di molti articoli e libri in un’ampia gamma di pubblicazioni sia professionali che generaliste. Per dieci anni è stato il critico di architettura del “The Village Voice”. Attualmente collabora con “Architectural Record”, “I.D.” e “Metropolis”.
Professor Michael Sorkin, is the Distinguished Professor of Architecture and Director of the Graduate Program in Urban Design at the City College of New York. Previously, he was Professor of Urbanism and Director of the Institute of Urbanism at the Academy of Fine Arts in Vienna and has held professorships and visiting professorships at numerous schools of architecture including Columbia, Yale, Harvard, Cornell, Michigan, Cooper Union, Illinois, Pennsylvania, and others.Sorkin has authored many articles and books in a wide range of both professional and general publications. He was the architecture critic of “The Village Voice” for 10 years. Currently he is a contributing editor for “Architectural Record”, “I.D.”, and “Metropolis”.
IN RISPOSTA ALLE DOMANDE DI MICHAEL SORKIN
Replies to Michael Sorkin’s Questions
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MYCAL CULTURAL AND ATHLETIC CENTER Shin - Sanda, Japan, 1990
Nelle tue conferenze hai parlato della differenza tra Ambasz ed Emilio. Quale è?
In your lectures you’ve spoken about the difference been Ambasz and Emilio. What is the difference?
Tutti sanno che in me convivono due entità: Emilio e Ambasz. Emilio rappresenta l’architetto visionario e Ambasz il pragmatico industrial designer. Ambasz è un uomo ansioso perché vuole che i suoi prodotti siano ben accolti dagli uomini. Emilio è una persona tormentata perché spera, attraverso le sue architetture, di essere benvoluto dagli angeli. Ambasz è un socievole uomo triste; Emilio è un allegro solitario. D’altra parte, io sono allegramente triste e socievolmente solitario. Una volta mi è stato chiesto – da te in verità – come avrei voluto essere ricordato tra un centinaio di anni – come designer, artista minimalista, contadino, filosofo o architetto? Come poeta.
Everyone knows that two entities live within me: Emilio and Ambasz. Emilio represents the visionary architect, and Ambasz the pragmatic industrial designer. Ambasz is an anxious man because he wants his products to be well received by men. Emilio is an anguished person because he hopes through his architecture to be welcomed by angels. Ambasz is a sociably sad man; Emilio is a solitary, cheerful one. On the other hand, I am cheerfully sad and sociably solitary. I was once asked – by you, as a matter of fact – how I would like to be remembered in a hundred years’ time – as a designer, a minimal artist, a farmer, a philosopher, or an architect? As a poet.
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Son circ pio tua che per Qu nos va stra in u del glia dita da Aire Sta par nes Mi han to c sar zion Aire ta B sta ho si d Mi com sta com com ann me gna
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MYCAL CULTURAL AND ATHLETIC CENTER Shin-Sanda, Japan, 1990
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Che influenza ha avuto sul tuo lavoro la tua educazione in Argentina?
What influence did your Argentine upbringing have on your work?
Sono nato a Chaco, una provincia subtropicale dell’Argentina, circa 1.000 miglia a nord di Buenos Aires. Le sue immancabili piogge pomeridiane, ogni giorno alle quattro, sono così puntuali che ci si potrebbe regolare l’orologio. Le nuvole di vapore, che si levavano in aria mezz’ora dopo, erano metafore dell’impermanenza di tutte le cose. Quando avevo sette anni i miei genitori si sono trasferiti a Buenos Aires. La mia camera al secondo piano di una casa nuova si affacciava direttamente sui rami fogliosi di un albero sulla strada. Col letto sistemato sotto la finestra era come se vivessi in una casa sull’albero. Non ho mai smesso di meravigliarmi della brillantezza di una goccia di pioggia posata su una foglia. Ricordo ancora i brividi, come fossi stato accarezzato da dita celestiali, alla musica delle foglie fruscianti. Ero incantato da quell’albero. Oggi venero i suoi fratelli. Le stelle di Buenos Aires: ce ne sono così tante di più nell’emisfero meridionale. Stando sul profondo balcone affacciato sul marciapiede mi pareva che formassero una cupola il cui perimetro non era in nessun luogo ma il cui centro era ovunque, mentre io ero nulla. Mi sentivo cosi solo in un universo imponente. Gli argentini hanno sempre visto Buenos Aires come l’incarnazione di tutto ciò che in provincia è considerato ideale. Sapevamo che sarebbe stata una delusione ma ci crogiolavamo alla perfezione in questa idea. Nel saggio “Antologia per una Buenos Aires Spaziale”, scritto tanti anni fa, ho celebrato l’imperfetta Buenos Aires come si celebra un figlio amato che non è stato all’altezza delle aspettative. Le parole e i significati che ho usato allora suonano ancora veri, solo i suoni lamentosi della loro eco sono diventati un mormorio di sottofondo. Mi chiedi della Pampa? Ricordo di aver descritto la Pampa come una parola indiana per “spazio”; una terra dove l’uomo sta da solo, come un essere astratto che ha il compito di ricominciare la storia della specie, o di finirla. Vedo la Pampa come una trama tersa, cangiante dai verdi ai marroni della terra, annodata a est all’Atlantico e a ovest alle Ande. Un luogo della mente, un melanconico covo grigio-verde abitato da una rassegnazione difficile da combattere.
I was born in Chaco, a subtropical province of Argentina, almost a 1,000 miles North of Buenos Aires. Its never failing afternoon rain could be used to adjust one’s watch to 4 pm. Clouds of vapour, evaporating half an hour later, stood as metaphors for the impermanence of all things. When I was seven years old my parents moved to Buenos Aires. My room on the second floor of a new house opened directly onto the leafy branches of a street tree. With my bed placed against the window it was as if I lived in a tree house. I used to stay up late, in the darkness of my room, looking at the reflection of the streetlights on the tree. I never ceased to marvel at the brightness of a raindrop as it held on to a leaf. I still remember shivering as if caressed by celestial fingers when the rustling leaves made their music. I was entranced to that tree. To this day I revere its brethren. The stars of Buenos Aires: there are so many more visible in the Southern hemisphere. Standing on a deep balcony projected onto the sidewalk I felt they cast a dome whose perimeter was nowhere but its centre was everywhere, while I was nothing. One felt so, but so lonely, in such an overbearing universe. Buenos Aires has always been seen by the Argentines as the incarnation of everything the provinces thought ideal. We knew it was to be a disappointment, but we cherished its pretence to perfection. I have sung to that flawed Buenos Aires, as one would to a beloved son who did not live up to expectations, in an essay I wrote many years ago: “Anthology for a Spatial Buenos Aires.” Its words and meanings still ring true, only the plaintive sounds of their echoes have become a companion murmur. The Pampas you ask? I remember describing the Pampa as an Indian voice for space; land where man stands alone as an abstract being who would have to recommence the history of the species – or to conclude it. I see the Pampa as a terse thread, shifting from green to earthy browns knotted onto the Atlantic to the East and onto the Andes to the West. A place of the mind, a melancholy green-grey lair inhabited by a very hard to fight resignation.
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TRA NEW YORK E ITALIA
Between New York and Italy
Perché dividi il tuo tempo tra New York e l’Italia? Quali sono i vantaggi pratici? E il significato intrinseco? Quale preferisce Emilio? E quale Ambasz? Se Emilio non potesse rientrare in Italia si sentirebbe come se fosse stato cacciato dal Paradiso. Se Ambasz non potesse tornare a New York si sentirebbe escluso da quella che è stata la capitale del XX secolo. Quanto a me, ho bisogno di entrambi i posti: i miei piedi nella terra del giardino e la mia testa tra quelle nuvole sempre mutevoli, che suggeriscono le cose a venire. L’Eden conserverà la sua magia e New York manterrà il suo ruolo di guida in questo nuovo secolo? Forse in questo momento mi trovo sulla linea di confine come il frutto che sta per diventare maturo; l’attrazione della sua maturità ancora forte e il suo decadimento appena accennato. Per quanto riguarda la mia professione, posso perfettamente lavorare ovunque, in Patagonia o alle Fiji. Le e-mail mi hanno liberato dalla necessità di un luogo preciso. Le relazioni personali contano ancora molto e le mantengo vive incontrando regolarmente i miei collaboratori. Di certo il Giappone e l’Europa sono state ancora più generose in termini di opportunità di lavoro. Mi ci sono voluti 35 anni per provare loro i vantaggi pratici delle mie idee. Sono più che deciso ad aspettarne altri 35 per un incarico negli USA. Nel frattempo, ho generato, figli, nipoti e una manciata di piccoli bastardi. Vedere Renzo Piano, Jean Nouvel, Tadao Ando e molti altri architetti eccellenti usare la materia vegetale nei loro progetti mi fa sentire che la mia missione sta cominciando a dare i suoi frutti. Sentire alcuni di loro reclamare la paternità di queste idee mi fa sentire come un personaggio mitologico, ma so che si tratta solo di predestinazione Freudiana.
MONUMENT TOWER OFFICES Phoenix, Arizona, USA, 1998
Why do you divide your time between New York and Italy? What are the practicalities? The embodied meanings? Which does Emilio prefer? Which Ambasz? If Emilio could not re-enter Italy he would feel as he had been thrown out of Paradise. If Ambasz could not return to New York he would feel excluded from what was the Capital of the 20th century. As for me, I need both places: my feet on the garden’s earth, and my head on those constantly changing clouds, suggestive of things to come. Will Eden keep safe its magic; will New York maintain its lead in this new century? Maybe I am positioned in that borderline moment when a fruit is about to turn ripe: its maturing attractions still strong, its decay barely suggested. As for my practice, I could work perfectly well any-
where, Patagonia or the Fiji islands. Email has set me free of a required local. Personal relations still count indeed, and I maintain these alive by meeting regularly with my collaborators. Certainly Japan and Europe have been more generous with work opportunities. It has taken me 35 years to prove to them the practical advantages of my ideas. I am more than willing to wait another 35 years for a call from the USA. In the meantime, I have begotten children, grandchildren, and not a few little bastards. To see Renzo Piano, Jean Nouvel, Tadao Ando, and many other excellent architects, utilize vegetal matter in their projects makes me feel my mission is beginning to bear fruits. To hear some of them claim these ideas’ paternity makes me feel a mythological character, but I know it is just the case of a foretold Freudian destiny.
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MOVIMENTO AMBIENTALE E LOTTA DI CLASSE
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Environmental movement and class struggle
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Come vedi il tuo lavoro in rapporto al movimento ambientale globale? L’architettura ha un ruolo in esso?
How do you see your work in relation to the global environmental movement? Does architecture matter here?
Gli architetti si sono sempre addossati i mali del mondo. Secondo me, saranno abbastanza indietro nella fila di quelli che andranno all’inferno per i loro peccati ambientali. Ma ci andranno, inevitabilmente, se non onoreranno la propria responsabilità etica di proporre modelli alternativi per il futuro. Dobbiamo creare immagini alternative di una vita migliore per indirizzare le nostre azioni, se non vogliamo perpetuare la situazione attuale. Credo che ogni progetto architettonico che non tenti di proporre modi di esistenza nuovi, o migliori, sia non-etico. Questo compito può bloccare l’immaginazione e paralizzare la speranza ma non possiamo sottrarci dal perseguirlo.
Architects have always bleed for the ills of the world. In my view, they will stand far behind in the line of those sent to Hell for their environmental sins. But there they will go, inevitably, if they do not honour their ethical responsibility to propose alternative models of the future. We must create alternative images of a better life to guide our actions, if we do not wish to perpetuate present conditions. I believe that any architectural project not attempting to propose new, or better, modes of existence is unethical. This task may stagger the imagination and paralyse hope, but we cannot subtract ourselves from its pursuit.
GLORY, ART MUSEUM Hsin-Chu, Taiwan R.O.C, 1998
CES 1998
set still eet-
en35 s of her me, not ean ent ects ear eas’ cter, dian
Da vecchio partigiano della lotta di classe, dalla parte di chi stai?
As a ancient partisan of class warfare, whose side do you think you’reon?
Non sono mai stato un uomo di tendenze quanto uno interessato sempre ad andare avanti. Nel mio lavoro ho sempre cercato di proporre modelli alternativi per il futuro in modo da cambiare il presente. A questo compito mi sono sempre dedicato col cuore e con la mente. La mia scommessa esistenziale è sulla poesia e l’impegno per la giustizia è, per me, una delle condizioni necessarie, ma non sufficienti, per ottenere un risultato così alto. La giustizia, sia morale sia sociale, è una finzione della mente. La giustizia non esiste in natura, ma, nonostante questa crudele verità, ritengo fermamente che sia nostro imperativo etico perseguirne la diffusione sulla Terra. Anche se sappiamo che è una struttura delicata, tenuta insieme da un materiale così etereo come l’abnegazione e l’altruismo, e che è destinata a svanire di notte, dobbiamo ricostruirla ogni mattina.
I’ve never been so much a man of leanings, as much as I have always been a man concerned with going forward. I have always striven in my work to present alternative models of the future so that we can change the present. This is a task that has me dedicated in heart and mind. My existential wager is on poetry, and a commitment to justice is, for me, one of the necessary, but not sufficient conditions to achieve such a high plateau. Justice, whether social or moral, is a conceit of the mind. Justice does not exist in nature, but despite this cruel fact, I feel very strongly that it is our ethical imperative to pursue its implementation on Earth. Even if we know it to be a delicate structure, held together by such ethereal material as abnegation and altruism, but destined to collapse at night, we must every new morning re-build it.
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DISEGNO INDUSTRIALE
Industrial Design
VERTEBRA CHAIR, 1974-75
Perché i tuoi oggetti di industrial design non sono così indeterminati come i tuoi edifici? Ci descrivi le affinità e le differenze tra le due professioni? Progettando prodotti, l’uomo può estendere la propria presa. Essendo in rapporto diretto col corpo, un prodotto risponde ai parametri imposti dalla sua anatomia. Nel creare edifici cerchiamo di farli a immagine di un micro-universo compassionevole. I prodotti sono propedeutici, rappresentano un’estensione protesica dell’uomo. Fanno da surrogati per quelle capacità che sono limitate o che non si hanno del tutto. Anche un edificio, in un certo senso, è un concetto di protesi, ma è anche, e soprattutto, una rappresentazione di un luogo armonico. Un luogo dove l’uomo è protetto e accudito, dove può esistere come se stesso, un rifugio dove può trovare pace con se stesso e con l’universo esterno. Se fossimo i benvenuti sulla Terra, ci basterebbe alzare una mano e prendere una banana, o infilare un dito nella terra e avere un collegamento telefonico. Ci hanno raccontato con ogni tipo di leggenda che siamo stati messi sulla Terra per faticare e soffrire. Apparteniamo alla Terra, ma lei è una madre indifferente; non ci siamo adattati completamente a essa né essa ci ha adottati. Senza tornare ad Adamo ed Eva è un fatto che non siamo proprio benvoluti qui sulla Terra. Dobbiamo continuamente stipulare trattati di pace con essa che sappiamo saranno temporanei. Secondo me, una casa è una manifestazione formale di un tale patto di mutuo rispetto. Intendo la casa come dimora, dal verbo dimorare, un luogo in cui abitiamo per il lasso di tempo che ci è concesso. Tornando alla tua domanda da un’altra prospettiva, prendiamo in esame il caso della sedia Vertebra. Vertebra è una sedia per ufficio che ho co-progettato e sviluppato, ed è stata presentata nel 1976. Era la prima sedia articolata, progettata per rispondere automaticamente ai movimenti del suo utilizzatore. Precorreva il look hi-tech ed era un artefatto altamente meccanizzato che si poteva definire un oggetto non-indeterminato. Ero molto interessato a creare oggetti antropomorfi e antropofunzionali che seguissero i movimenti del corpo in modo semplice e completo, proprio come un guanto si muove con la mano. La sedia è stata concepita come estensione del corpo; questo era il principio sotteso al suo progetto. La forma e l’apparenza stilistica che le diedi allora sarebbe probabilmente diversa oggi, basta vedere i miei progetti più recenti per sedie da ufficio, che rimangono fedeli al principio originario ma
hanno ora un’espressione più soft-tech. Questo è avvenuto perché i miei interessi stilistici si sono modificati, ma il concetto essenziale su cui si basa la sedia articolata permane. Sembra che tu abbia difficoltà a conciliare il modo stilistico di Vertebra con quello di alcuni dei miei progetti architettonici. Ti prego di ricordare che mentre gli uomini si siedono sulle sedie e i loro corpi determinano una gran parte della forma del prodotto, essi abitano in un edificio a una certa distanza dalle sue pareti. Più l’artefatto si allontana dal corpo di chi lo usa nel suo milieu sociale e psicologico, più il progetto architettonico viene determinato non solo da considerazioni ergonomiche, ma, in modo più deciso, dall’ambiente fisico e socioculturale circostante.
Why aren’t your industrial design objects fuzzier, like the buildings? Describe continuities and discontinuities between the two practices. By designing products, man extends his grasp. Directly related to his body, a product answers to the parameters his anatomy imposes. Creating buildings we seek to make these in the image of a compassionate micro-universe. Products are prospedeutic, they represent prosthetic extensions of man. They stand as surrogates for those capabilities man is short of, or lacks completely. A building is in a certain sense also a prospedeutic conceit but it is also, and more importantly, a representation of a harmonious place. A place where he is protected and provided, where he is able to exist as himself, a lair where he might even become at peace with himself and the universe outside. If we were welcome on Earth we would only need to lift our hand and catch a banana, or put a finger in the ground and get a telephone connection. We have been told by all legends that we have been cast on Earth to toil and suffer. We are of this earth, but she is an indifferent mother; we are neither fully adapted to nor adopted by her. Without going back to Adam and Eve it is true that we are not fully welcome here on Earth; that we have to constantly construct peace treaties with earth we know will be temporary. For me, a house is a formal manifestation of such a pact of mutual respect. I understand the house as an abode, from the verb to abide – what the French call demeure, the Italians call dimora, and the Spaniards call demora – a place where we dwell in the span of time to us allocated. Going back to your question from a different angle, let us look at the case of the Vertebra chair. Verte-
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bra is an office chair I co-designed and developed, it was presented in June 1976. It was the first articulated chair, designed to respond automatically to the movements of its user. It was a forerunner of the Hi-Tech look, a highly mechanized artefact you might call a non-fuzzy object. I was very concerned with creating anthropomorphic and anthropo-functional objects that would accompany the body’s movement completely and unselfconsciously, just as a glove moves with the hand wearing it. The chair was conceived as an extension of the body; this was the underlying principle guiding its design. The form and stylistic appearance I originally gave to the chair would most likely be different today, see my more recent office chair designs, still faithful to the original principle, but now given a SoftTech expression. This has come about because my stylistic interests have undergone changes, but the essential concept behind the articulated chair remains standing. It seems you have a problem reconciling the stylistic guise of Vertebra with that of some of my architectural projects. Please remember that while men sit on chairs, and their bodies determine a great deal of the products’ form, they dwell in a building at some distance from its walls. The further the artefact moves away from the user’s body into his social and psychological milieu, the more architectural design becomes determined not only by ergonomic considerations, but, more strongly, by its surrounding physical and sociocultural domains.
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Credi nella teoria di Gaia? Gaia secondo me non è una teoria, ma un’ipotesi poetica, e io sono dalla parte della poesia. Sebbene sia una metafora, offre una struttura temporanea su cui fissare questioni apparentemente non relazionate tra loro. Se visto da una certa distanza, questo quadro di riferimento può aiutarci a collegare alcuni di questi punti disparati in una struttura teorica coesiva. Collocati nel contesto della produzione architettonica attuale. Jim Wines? Ken Yeang? Michael Reynolds? Quando, molti anni fa, Peter Eisenman e Michael Graves mi promossero da matricola a senior durante il mio primo semestre a Princeton, Peter mi disse, in uno di quei corridoi accademici in cui gli eunuchi sognano il potere, che ora che ero senior mi avrebbe plasmato nel suo studente “modello”. Spalancai la bocca e, come se uno spirito indemoniato si fosse impadronito del mio stomaco, mi sentii dire “non posso essere
il tuo modello Peter, perché sto per diventare il padre d’una nazione”. Ero stupefatto delle mie parole quanto lo era Peter; per una volta in vita sua era senza parole. So che suona presuntuoso, ma posso dichiarare di essere un precursore dell’attuale produzione architettonica interessata ai problemi ambientali. Se vi è una qualche forza nelle mie idee architettoniche, essa deriva dal fatto che io credo che l’architettura debba essere non solo pragmatica ma anche emozionante. Sono felicissimo quando m’imbatto nel lavoro di qualcuno che mi commuove, anche se è l’architettura di qualcuno come Gehry, per esempio, le cui opere sono così diverse dalle mie e i cui interessi non hanno alcuna relazione con i miei. Ciò che conta per me è che lui canti la propria canzone. Probabilmente i suoi uccelli non voleranno spesso nel mio giardino, ma sono certo che, impollineranno anche i miei fiori. Per quanto riguarda coloro che mettono in pratica il mio credo architettonico, non mi interessa se ricoprono le loro opere con l’insalata, ma che esse tocchino una corda emotiva. A tal proposito, mi ricordo di quando ero molto giovane e a Buenos Aires fondai un gruppo che si chiamava Amici della Musica Contemporanea. Insieme ad altri amici affittammo un piccolo auditorium e andammo in giro a cercare gente cui non importasse studiare o lavorare a maglia mentre ascoltava quel tipo di musica, perché ci vergognavamo di essere così pochi e i musicisti si erano impegnati tanto. Dopo aver ascoltato Xenakis, Stockhausen, Davidovsky, Kagel e molti altri capii che l’idea c’era ma non mi toccava; il poeta della musica elettronica doveva ancora arrivare. Sto cercando avidamente una persona simile nel mio campo di azione e se ancora non la vedo non è dovuto, spero, alla cecità, ma, forse, al fatto che sono prevenuto. Do you believe in the Gaia theory? Gaia is to me not a theory, but a poetic hypothesis, and I am all for poetry. Although it is a metaphor, it provides a temporary structure on which to affix many seemingly unrelated questions. When seen from a certain distance, that frame of reference may help us to connect some of those disparate points into a cohesive theoretical structure.
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Place yourself within the context of current architectural production. Jim Wines? Ken Yeang? Michael Reynolds? Many years ago, when Peter Eisenman and Michael Graves got me promoted from freshman to senior during my first semester at Princeton, Peter told me, standing in one of those academic corridors where eunuchs dream of power, that now that I was a senior he would make me into his “model” student. My mouth opened up, and, as if from my stomach I were governed by a bedevilled spirit, I heard myself saying, “I cannot be your model, Peter, because I’m going to be the father of a nation.” I was as astonished by my words as Peter was; for once in his life, he was speechless. I know it sounds presumptuous, but I lay claim to being the precursor of current architectural production concerned with environmental problems. If there is any strength to my architectural ideas, it comes from the fact that I believe that architecture has to be not only pragmatic but also move the heart. I rejoice immensely when I come upon somebody else’s work that touches me, even if it is the architecture of someone like Gehry, for example, whose work is so different from mine, and whose concerns are totally unrelated to mine. What matters to me is that he sings his own song. His birds may not alight often in my garden, but I’m sure they will pollinate even my flowers. As for those who practice my architectural credo, I am not interested whether they cover their work with salad, but whether their work can strike an emotional cord. In that regard, I’m reminded of when I was very young and created in Buenos Aires a group named Friends of Contemporary Music. With other friends we hired a small auditorium, and ran around looking for people who wouldn’t mind studying or knitting while listening to this type of music, because I was ashamed we were so few and the musicians had worked so hard. After listening to Xenakis, Stockhausen, Davidovsky, Kagel and many others I came to the realization that the idea was there, but that it did not move me; the poet of electronic music had yet to arrive. I am eagerly looking for such a person in my field of endeavour, and if I don’t see him yet it is not due, I hope, to blindness, but, perhaps, because I am biased.
BANQUE BRUXELLES LAMBER Milan, Italy, 1979
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PROGETTO UNIVERSITAS Universitas Project
L’ar ver tett
MUSEUM OF MODERN ART, AND CINEMA MUSEUM (MAMBA) Buenos Aires, Argentina, 1997
Diversamente da molti, sei riuscito abilmente a evitare di essere coinvolto col mondo accademico. Come? Perché?
Unlike many, you have managed to successfully skirt involvement with the academy. How? Why?
Non l’ho evitato completamente. Sono stato insegnante alla Scuola di Architettura della Princeton University. La settimana stessa in cui fui eletto “Professore di Architettura Phillip Freneau” diedi le dimissioni. Il preside della facoltà era allibito. “Non ci si dimette”, disse tra i denti “quando si raggiunge una simile posizione a 25 anni. Sei molto stanco e quello di cui hai bisogno è un anno di licenza”. Risposi che non ero tanto stanco quanto ero preoccupato di star fuorviando i miei studenti. Sentivo chiaramente che l’insegnamento dell’architettura non era altro che una simulazione stilizzata della pratica in ufficio. I metodi usati per l’insegnamento non mi convincevano assolutamente. Ed ero ancor più certo che bisognasse creare un nuovo tipo di università, cioè un nuovo tipo di istituzione interessata al progetto e alla gestione dell’ambiente creato dall’uomo. Mi posi questo obiettivo e diedi le dimissioni per perseguirlo. Questa idea fissa fece nascere, più tardi, il progetto Universitas che portai avanti come curatore del dipartimento Architettura e Design del Museum of Modern Art di New York. Ma questa è materia per un altro articolo.
I have not skirted completely the Academy. I was a teacher in Princeton University’s School of Architecture. The same week I was made the Phillip Freneau Professor of Architecture I resigned. The dean of the faculty was livid. “One does not resign,” he hissed, “when one is appointed to such a position at 25 years of age. You are very tired and what you are asking is for a one year leave of absence.” I replied that I wasn’t so much tired as I was very concerned that I was misleading my students. I felt very strongly that architectural education as taught was no more than a somewhat stylized simulation of office practice. I was utterly unconvinced of the teaching methods utilized. But I was even more certain that we needed to create a new type of Universitas, that is to say a new type of institution concerned with the design and the management of the man-made milieu. This was the task I set for myself, and I was resigning from my position so I could pursue it. This idée fixe gave later birth to the Universitas project I carried out as the curator of its Architecture and Design department at the Museum of Modern Art, New York. But this is a subject for another book.
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L’architettura contemporanea ha un tema universale? Riformulo la domanda: La tua architettura ha un tema universale? Ho sempre creduto che l’architettura sia un atto dell’immaginazione. Credo che il vero compito dell’architettura inizi quando sono soddisfatte le necessità funzionali e comportamentali. Non è la fame, bensì l’amore e la paura – e talvolta la meraviglia – che ci spinge a creare. Il contesto culturale e sociale dell’architetto muta di continuo, ma il suo compito, credo, resta sempre lo stesso: dare forma poetica al pragmatico. In tutti noi c’è un profondo bisogno per la ritualità, per la cerimonia e la processione, per i gesti e gli addobbi magici. E’ una ricerca archetipica a cui tutti partecipiamo. Nella mia architettura mi interesso dei rituali e delle cerimonie quotidiani. Non mi interessano i rituali di un viaggio molto lungo – un viaggio che può prendere quaranta o cinquanta anni. E che tragedia scoprire che in nome di quei sogni così a lungo termine, abbiamo sacrificato le nostre vite quotidiane. No, sono interessato ai rituali quotidiani: come quello di sedersi in cortile, leggere al riparo sia dallo sguardo dei vicini che dal vento, a guardare le stelle. Trattare in modo architettonico questo tipo di situazioni mi affascina. Perché la magia dell’esistenza quotidiana non è nella casa, la casa è solo lo sfondo. L’architettura che creo è impregnata di misticismo. Da una parte, gioco con gli elementi pragmatici che ho a disposizione, come la tecnologia. Dall’altra, propongo un certo tipo di esistenza che è alternativo, nuovo. Il mio lavoro è una ricerca per dare forma architettonica alle cose primarie – nascere, innamorarsi, morire. Queste hanno a che fare con l’esistenza a livello emotivo, passionale ed essenziale. Forse, uso elementi molto austeri per esprimere questa ricerca e, perciò, anche il gesto può apparire austero. Ma così facendo, credo che possa essere molto più duraturo – è certamente un tentativo molto più classico. La passione e l’emozione mi interessano quando assumono una forma senza tempo. In uno dei miei progetti, la “Casa di Ritiro” ho veramente voluto “eliminare” l’architettura. L’unica cosa che sta su è la facciata, che è come una maschera, un surrogato dell’architettura. L’architettura sparisce. Si vede solo la terra. Si potrebbe dire che in questo modo ho cercato di eliminare l’architettura in modo retorico, come processo culturalmente condizionato e di tornare alla nozione primordiale di dimora.
Cerco di sviluppare un vocabolario architettonico al di fuori della tradizione canonica dell’architettura. E’ un’architettura che al tempo stesso c’è e non c’è. Con essa cerco di collocare chi la usa in uno stato di esistenza nuovo, una celebrazione della maestà, del pensiero e delle sensazioni umane. Sebbene apparentemente abbastanza nuovi, i progetti sono permeati di meccanismi primitivi e antichi. L’ideale sarebbe arrivare a un appezzamento di terra così fertile e accogliente che, lentamente, assumerebbe una forma in grado di fornirci una dimora. E dentro questa dimora – un tale spazio magico – non pioverebbe mai, né ci sarebbe mai alcun fenomeno inclemente. Dobbiamo costruire la nostra casa sulla Terra solo perché non siamo i benvenuti qui. Ogni atto di costruzione è una sfida della natura. In una natura perfetta, non avremmo bisogno di case. Se si trova la quintessenza di un problema, si può arrivare meglio a una soluzione definitiva. Il filo conduttore della mia ricerca progettuale in ogni campo – i miei prodotti e la mia architettura – è una singola preoccupazione: trovare la radice del problema, la sua essenza. Quanto ai mezzi espressivi, cerco un approccio ai problemi del progetto che sia il più cristallino, austero ed elegante possibile. Desidero un’architettura che sia stata ridotta all’essenziale e che, allo stesso tempo, sia colma di possibili significati. Tale concisione è il metodo per raggiungere un’architettura multi-dimensionale ed epigrammatica. Se posso parafrasare Paul Valéry: la mia ricerca dell’essenzialità in architettura non significa essere semplice e leggera come una piuma; significa essere essenziale e concisa come un uccello. Secondo me, l’architettura è un aspetto della nostra ricerca di modelli cosmologici. Sospetto che un’immagine così onnicomprensiva, se mai arriverà, sarà semplice e densa quanto un punto sospeso nello spazio. Ognuno dei miei progetti cerca di afferrare almeno un attributo dell’universo. Ho idea che la ricerca di ciò che è infinito, eterno e sempre presente possa essere contenuta in progetti fatti di poche linee che si manifestano con grande economia di espressione. In una maniera così apparentemente semplice quelle linee possono, si spera, acquisire l’affascinante potere delle strutture mitiche. Forse è per questa mia ricerca dell’essenziale che amo tanto il De Rerum Natura di Lucrezio. Mi interessa solo la scoperta, non il recupero; l’invenzione, non la classificazione. Nel reame inesplorato dell’invenzione, la tassonomia è sem-
pre sul punto di far capolino. Allo stesso modo, mentre cerco l’essenzialità e i principi duraturi in architettura, mi hanno detto – tu mi hai detto in realtà – che con la scelta di scrivere favole invece che saggi teorici ho afferrato qualcosa di basilare: le favole rimangono immutate molto più a lungo di quanto le teorie vengano sgretolate. L’invenzione delle favole è fondamentale per il mio metodo di lavoro e non è solo un accessorio letterario. Il sottotesto di una favola, dopotutto, è un rituale e lo è a sostegno dei rituali a cui si rivolge la maggior parte dei miei progetti.
Cosa hai letto di recente? Qualcuno del ramo di pensiero architettonico-teorico che è favorevole alle tue idee? Ho ricominciato ancora una volta a leggere Morceaux Choisis, la selezione fatta da Paul Valéry di alcuni dei suoi saggi migliori. Ho anche appena finito di leggere Where the Stress Falls (Dove cade l’accento) di Susan Sontag. Mentre Valéry mi rende sempre euforico, la Sontag ha bisogno di qualcuno che sgonfi il suo palloncino. Sono tristemente contrariato dalla mancanza di rigore intellettuale della maggior parte dei suoi ultimi saggi. Ma forse mi sbaglio, forse mi impunto sul fatto altruistico che stia solo cercando di emulare Pavarotti; uno prima canta alle masse un bolero, poi un mambo e, lentamente, li porta a Wozzeck. Forse questo è il modo in cui lei pianifica generosamente di introdurre il pubblico alla letteratura e al pensiero filosofico. Ma, abbassandosi così tanto rischia di rimanere piegata in due. E pensare che l’ho scoperta nel 1963, durante il mio breve interludio da matricola. Lessi un articolo su Robert Bresson che aveva scritto per la rivista di cinema britannica “Sight and Sound”. Pensai che era estremamente acuta e perspicace. Lo feci vedere al Professor Szathmary, Direttore del Programma di Arti Creative a Princeton. Lui mi mise a disposizione dei fondi per invitarla a fare una lezione a Princeton. Quando scese dall’autobus, la prima domanda che mi fece fu “Perché sono stata invitata?”. Era la prima volta, mi disse, che un’università lo faceva. Ho paura che la vita tenda a offuscare una tale sincerità giovanile. All’inizio irradiava stupore. Voglio ricordarla così. Mi hai chiesto delle mie letture recenti sul pensiero architettonico teorico. Sono alternativamente imbarazzato e irritato dalla voluta fumosità di alcuni degli scritti sui temi architettonici che mi piacciono. Non c’è dubbio che sono sfortunato nelle mie scelte. Ci devono essere delle perle in giro. Mi manderesti una bibliografia?
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Does contemporaty architecture have a universal subject? I rephrase the question: I have always believed that architecture is an act of the myth making imagination. I believe that the real task of architecture begins once functional and behavioural needs have been satisfied. It is not hunger, but love and fear – and sometimes wonder – which make us create. The architect’s cultural and social context changes constantly, but his task, I believe, remains always the same: to give poetic form to the pragmatic. There is in all of us a deep need for ritual, for ceremony and procession, magical garments and gestures. It is an archetypal quest in which all partake. In my architecture I am interested in the rituals and ceremonies of the twenty-four hour day. I am not interested in the rituals for the very long voyage – a voyage which can take forty or fifty years. And what a tragedy to discover that for the sake of those longterm dreams, we have sacrificed our daily lives. No, I am interested in daily rituals: like the ritual of sitting in a courtyard slightly protected from both the view of your neighbors and the wind – looking up to the stars. Dealing architecturally with that type of situation attracts me. Because the magic of daily existence is not in the house, the house only provides a backdrop for it. The architecture I create is steeped in mysticism. On the one hand, I am playing with the pragmatic elements that come from my time, such as technology. On the other hand, I am proposing a certain mode of existence which is an alternative, a new one. My work is a search for giving architectural form to primal things – being born, being in love, and dying. They have to do with existence on an emotional, passionate, and essential level. Perhaps, I use very austere elements to express this quest and, therefore, the gesture may be seen as an austere one also. But by doing it in this way, I believe that it may be far more durable – it is certainly a far more classical attempt. I am interested in the passionate and the emotional when they assume a timeless guise. In one of my projects, the “Casa de Retiro,” I actually wanted to “eliminate” architecture. The only thing to stand was the façade, which would be like a mask – a surrogate for architecture. The architecture would disappear. You would see only the earth. You might say that by this device I rhetorically sought to eliminate architecture as a culturally-conditioned process and return to the primeval notion of the abode. I seek to develop an architectural vocabulary outside the canonical tradition of architecture. It is an architecture that is both here and not here. With it I hope to place the user in a new state of existence, a celebration of human majesty, thought, and
sensation. Though apparently quite new, there are devices – both primitive and ancient – permeating the designs. The result is an architecture that seems to stand for eternity. The ideal gesture would be to arrive at a plot of land so immensely fertile and welcoming that, slowly, the land would assume a shape – providing us with an abode. And within this abode – being such a magic space – it would never rain, nor would there ever be inclement phenomena of any other sort. We must build our house on Earth only because we are not welcome on the land. Every act of construction is a defiance of nature. In a perfect nature, we would not need houses. If one finds the quintessence of a problem, one will have better access to an irreducible solution. The thread supporting my design quest in every area – my products and my architecture – is a single preoccupation: finding the root of the problem, its essence. As for expressive means, I seek to approach a design problem in the most crystalline, austere, and graceful manner. I long for an architecture which has been reduced to essentials and which, at the same time, is an architecture full of potential meanings. Such concision is the method to achieve a multi-dimensional, epigrammatic architecture. If I may paraphrase Paul Valéry: my quest for the essential in architecture is not about being simple and light like a feather; it is about being essential and concise, like a bird. Architecture is, for me, one aspect of our quest for cosmological models. I suspect that such an all encompassing image, if it ever arrives, will be as simple and as dense as a point suspended in mid-space. Every one of my projects seeks to possess, at least, an attribute of the universe. The quest for that which is infinite, eternal, and ever present, I suspect, may be contained in designs of very few lines which manifest themselves with great economy of expression. In such a seemingly simple manner those lines may, hopefully, acquire the fascinating power of mythical structures. Maybe it is because I seek essentials that I love Lucretius’ De Rerum Natura so much. I am only interested in discovery, not in recovery, in invention, not in classification. In the uncharted realm of invention, taxonomy is always in the process of being yet born. In the same way, as I search for essential and lasting principles in architecture, I have been told – by you, as a matter of fact – that in opting to write fables rather than write theoretical essays I have grasped something basic: fables remain immutable long after theories have crumbled. The invention of fables is central to my working methods and it is not just a literary accessory. The subtext of a fable, after
all, is a ritual and it is to the support of rituals that most of my work addresses itself. What have you been reading lately? Anyone from the architectural-theoretical wing thinking along lines sympathetic to you? I have again been re-reading Morceaux Choisis, Paul Valéry’s own selection of some of his best essays. I have also just finished reading Susan Sontag’s Where the Stress Falls. While Valéry always elates me, Sontag needs someone to let the air out of her balloon. I am sadly disappointed by most of her later essays’ lack of intellectual rigor. But perhaps I’m wrong, maybe I am dense to the altruistic fact she’s just trying to emulate Pavarotti; one first sings to the masses a bolero, then a mambo, and slowly you get them to Wozzeck. Maybe that’s the way she generously plans to introduce people to literature and philosophic thought. But, by stooping so much she runs the risk of remaining bent. To think that I discovered her in 1963, during my short interlude as a freshman. I read an article she wrote for “Sight and Sound,” a British film magazine, on Robert Bresson. I thought it was extremely subtle and perceptive. I brought it to the attention of Professor Szathmary, Director of Princeton’s Creative Arts Program. He made funds available for me to invite her to Princeton to give a lecture. When she came off the bus, the first question she put to me was, “Why was I invited?” It was the first time, she told me, a university had done so. I am afraid that life tends to turn opaque such youthful sincerity. In her early days she radiated wonder. Let me keep that memory of her. You have asked about my recent readings of architectural theoretical thinking. I am intermittently embarrassed and irritated by the woolly mindedness of some of the writings on architectural subjects with which I am sympathetic. No doubt, I am unlucky in my choices. There must be pearls out there. Would you consider sending me a bibliography?
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SURREALISMO
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BARBIE KNOLL MUSEUM Pasadena, California, USA, 1995
Sembri avere un debole per il kitsch (Barbie, Canales, Montana…). Solo una traccia surrealista o ti piacciono i dolci? Ho sempre avuto affinità col surrealismo. Mi affascina l’evocazione di presenze assenti e la suggestione della materia metamorfizzata. Mi ha sempre catturato l’idea di ciò che è invisibile ma che dà un suggerimento di sé e la sensibilità per ciò che sta al di là del muro. E’ un modo di concepire la realtà che si è sempre manifestato nella storia, sebbene in forme differenti. Ora, rimanga tra noi, Michael. All’inizio ho pensato di non rispondere al tuo faceto cenno alle particelle di ciò che tu chiami “kitsch” nei miei lavori, ma non sono uno che si tira dietro per schivare un colpo. Francamente non vedo perché usare le immagini delle storiche Barbie come cariatidi per sostenere il tetto di un museo a loro dedicato possa essere kitsch. Barbie in sé può essere kitsch, o peggio, ma in questo caso è nobilitata dall’essere usata in modo funzionale come colonna rappresentativa. E’ questo che ti sorprende, e ti scandalizza un po’: vedere un architetto con simpatie minimaliste che usa immagini esplicitamente rappresentative? Che dire allora delle sculture dell’Air Force Memorial che ho chiesto di fare a Robert Graham? Cerco solo di trovare la soluzione giusta al problema che ho di fronte; evito l’uso dell’ideologia come surrogato del prendere decisioni. Le immagini di Barbie erano
la configurazione più adeguata da usare e, inoltre, usarle è un esempio ulteriore della tradizione storica accettata. Ancor meno capisco perché mi parli di Canales. Le pergole che proteggono la casa dal sole sono elementari; di fatto, lo sono fino alla noia. Per quel che riguarda il cornicione dorato della Montana House, avevo bisogno dell’oro per riflettere il sole troppo effimero che raggiungeva quella valle profonda. Inoltre, si tratta di un vecchio trucco dei gioiellieri e degli argentieri che per aumentare i riflessi piegano e increspano una superficie. Nessuno può confondere quell’elemento curvo e increspato, staccato dalla casa in modo da sembrare un gesto calligrafico che si staglia nel cielo, con un cornicione greco. Ma, francamente, dovrei, forse, concederti che ho qualche magagna, come strategia per non farti scavare più a fondo. You seem to have a light tooth for kitsch. (Barbie, Canales, Montana...). Just the surrealist trace or do you enjoy sweets? I have always had an affinity for surrealism. I am fascinated by the evocation of absent presences and by the suggestion of metamorphosed matter. The notion of that which is invisible but suggests itself in front of you, and a sensibility for that which is behind the walls, has always appealed to me. It is a mode of conceiving reality that has always manifested itself throughout the ages, albeit in different forms. Now, entre nous, Michael.
I thought first not to reply to your facetious reference to particles of what you call “kitsch” in my work, but I am not the one to shun a good fight. I frankly fail to see why using the images of historical Barbies as caryatids upholding the roof of a museum, dedicated to them, can be kitsch. Barbie herself may be kitsch, or worse, but in this case they are ennobled when used functionally as representational columns. Is it that you are surprised, and slightly scandalized, to see an architect with minimalist sympathies using expressively re-presentational body images? What about the Air Force Memorial sculptures I asked Robert Graham to model? I just try to give an appropriate solution to the problem at hand; I shun the use of ideology as a surrogate for decision-making. The Barbie figures were the most suitable configuration to use, and, furthermore, using them is one more instance of an established historical tradition. Even less do I understand why you bring up Canales. The trellises protecting the house from the sun are straightforward; as a matter of fact, they are boringly so. As for the golden cornice of the Montana House, I needed gold to better reflect the all too temporary sun passing by that deep valley. Furthermore it is an old trick known to jewellers and silversmiths that to increase reflections you fold and crimple a surface. Nobody can confuse with a Greek cornice that crimpled and curved element expressively detached from the house, so that it looks like a calligraphic gesture against the sky. But, frankly, I should, perhaps, tactically grant you I have some flaws, so that you do not look any deeper.
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VERDE SUL GRIGIO
Green over Grey
Il tuo lavoro è intensamente bucolico. Hai speranze per il futuro dell’urbanistica?
Your work is vividly pastoral. Do you have any hope for the future of urbanism?
Che ri in
Dove hai preso l’idea che i campi esistano solo fuori delle mura della città? Ancora oggi, puoi salire in cima alle torri delle città medievali, come Bologna, e scoprire che dietro le facciate che delimitano le strade senza alberi esistono immensi giardini che occupano quasi il 30% dell’area della città. Una volta erano orti e pascoli. Erano di grande importanza per sopravvivere a un assedio. Il movimento Città Verde aveva buone intenzioni ma era abbastanza ignorante della storia, come molti altri tentativi votati all’unico obiettivo del “progresso” ammesso che questo si sviluppasse solo nelle periferie. Il mio impegno è per un futuro urbano in cui si può aprire la porta di casa e uscire direttamente in un giardino, a qualunque piano sia il proprio appartamento. Ti faccio notare come Fukuoka sia un esempio di come si possa, in una città ad alta densità, conciliare la necessità di costruire abitazioni con quella, emotiva, di avere spazi verdi.
Where did you get the idea that pastoral fields existed only outside the city walls? To this day, you can go up to the top of the towers of a medieval city like Bologna, and discover that behind the facades defining treeless streets exist immense gardens which occupy almost 30% of the city area. Those were once vegetable gardens and places where cows grazed. Those grounds were of outmost importance to survive a siege. The well intentioned Green City movement was quite illiterate in terms of history, like many other endeavours single-mindedly committed to “progress” provided it happened in the suburbs. I strive for an urban future where you can open your door and walk out directly on a garden, regardless of how high your apartment may be. I submit to you the notion that Fukuoka is one example of how we can, within a high density city, reconcile our need for building shelters with our emotional requirement for green spaces.
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FUKUOKA PREFECTURAL INTERNATIONAL HALL Fukuoka, Japan, 1990
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IL PARCO TEMATICO DEL MONDO REALE
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Che gusti cinematografici hai? Quali film ammiri in modo particolare?
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Il mio regista preferito è Robert Bresson; seguito da Frederick Murnau, e sarei un ingrato se dimenticassi Fellini. Riguardo agli attori, credo nella capacità dei registi di far diventare anche una mucca un leggiadro ballerino.
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Uno dei tuoi progetti si chiama “parco tematico del mondo reale”. Cosa pensi della messa a parco tematico di qualunque cosa, compresa la professione dell’urbanistica?
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Il “Parco Tematico del Mondo Reale” è un progetto che ho fatto su richiesta di Peter Gabriel. Erano gli anni in cui lui saltava sul Concorde per andare a presentarmi le sue idee nella sala VIP del JFK. Dopo aver esposto i suoi obiettivi, risaliva sul Concorde e tornava indietro, lo stesso giorno. Mi chiedi perché la gente vuole adottare le limitazioni comportamentali che si hanno in un parco tematico. Perché sono a corto di rituali e cerimonie. Non sappiamo più chi pregare, e siamo incoraggiati, dai veri maestri, a illuderci di essere liberi di plasmare il nostro destino. Siamo stati educati a credere che possiamo diventare qualunque cosa vogliamo. Il problema è che si può volere qualcosa di nuovo solo se lo si sa immaginare. Se non ne siamo capaci, ci possiamo solo immaginare come attori che recitano diversi ruoli nella sceneggiatura prefabbricata di un parco tematico. Potremmo stupire noi stessi cambiando i ruoli, senza neppure ricordare chi eravamo all’inizio. I parchi tematici sono droghe pesanti che permettono di sognare senza il danno collaterale dell’alterazione mentale. Se così si possono sopire le angosce, perché ti stupisce che la gente brami una distrazione così apparentemente inoffensiva? Mi chiedi che rilievo possa avere il concetto di “parco tematico” nell’urbanistica. Se è ora possibile vivere ovunque in campagna, con la totale convinzione di essere collegati a tutto e a tutti via Internet, come può fare un urbanista a prendere come riferimento un sistema socio-culturale così elusivo e amorfo come guida per creare forme urbane? A meno che non si irrigidisca su posizioni etiche forti, si offrirà opportunisticamente di progettare i palazzi e i templi dei poteri emergenti e delle loro credenze manipolate. Questo è l’obiettivo che profeti di questa stagione propongono come compito dell’urbanistica: tornare alla vecchia pratica di glorificare i padroni e mistificare la realtà. Non sono canti di sirene quelli che invitano gli architetti e gli urbanisti a rimanere servitori del Presente, cosa che è altamente apprezzata dall’accademia e costantemente insegnata nelle scuole?
Cosa è la storia degli alberi in aria? Se non ti stai riferendo ad alcuni bei disegni con questo soggetto che Max Peintner ha fatto più di 35 anni fa, ti confesso di essermi un po’ perso. Parli forse del progetto in Giappone, dove abbiamo fatto un grande buco nella copertura di un garage e, con delle travi, abbiamo appeso un albero a metà con le radici sotto il tetto e i rami fuori? Per evitare che le persone rimangano incastrate nel mezzo, tra il tronco e il bordo del buco abbiamo messo un parapetto trasparente. Questo parapetto serve anche a contenere la vaporizzazione usata per irrigare la pianta. L’albero è cresciuto così tanto che il tronco ha chiuso il buco. Come è potuto succedere? Le radici hanno assorbito il succoso nutrimento del biossido di carbonio degli scarichi delle auto.
parks” may have for urbanism. If it is now possible to live anywhere in the countryside, cloud deep in the belief that one is connected with everything and anyone via the Internet, how can an urban planner refer to such an elusive and amorphous socio-cultural system as a guide to creating urban forms? Unless he is stiffened by strong ethical beliefs, he will opportunistically offer himself to design the palaces and temples of the emerging powers and their manipulated beliefs. That is the goal this season’s prophets propose as urbanism’s task: to return to its old profession of glorifying the masters and mystifying reality. Aren’t siren songs, inviting architects and urbanists to rem-ain the Present’s servants, what is most praised by academia and relentlessly taught in its schools?
What is the deal with those trees up in the air? What is your taste in cinema? Which films do you particularly admire? My favourite film director is Robert Bresson; Frederick Murnau follows, and I would be an ingrate if I forgot Fellini. As for actors, I rely on the director to turn even a cow into a delicate dancer.
One of your projects is called a “real world theme park”. What seems to be the theme parking of everything, including the profession of urbanism? “Real World Theme Park” is a project I did at the request of Peter Gabriel. Those were the years when he flew in on the Concorde to discuss his ideas in JFK’s VIP lounge. After explaining his goals, he flew away that same day, again on a Concorde. You ask why people wish to adopt the behavioural strictures that a theme park provides. It is because we have become bereft of rituals and ceremonies. We do not know any longer to whom to pray, and are encouraged, by the real masters, to delude ourselves in thinking we are free to shape our destiny. We have been brought up to believe we can become anything we want. The problem is that one can only want something new if one can imagine it. If we can’t do so, we can only fancy ourselves actors playing diverse role in a theme park’s prefabricated script. We can stupefy ourselves by switching roles, no longer remembering whom we were when we started. Theme parks are strong drugs that allow dreaming without the risk of mental alteration. If by doing so anxieties can be anaesthetized, why do you wonder people crave for such seemingly inoffensive distractions? You ask what relevance the concept of “theme
If you do not refer to some beautiful drawings on this subject that Max Peintner drew more than 35 years ago, I must confess I am a bit lost. Do you perhaps refer to the project in Japan, where we cut up a large hole on the roof of a parking garage, and suspended, by means of a metal truss, a tree with its trunk mid-way, its roots under the roof, and the branches above? To avoid people getting caught in the inter-space between the trunk and the hole’s edge we put up a transparent parapet. This parapet helped also to keep contained the misty cloud of water used to water the plant. This tree grew to the point its expanded trunk closed the hole. How could this come about? The tree’s root drew savoury nourishment from the carbon dioxide the cars exhausted.
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DIFFERENZA TRA ORNAMENTO E MIMETISMO
Difference between ornamentation and camouflage
OSPEDALE DELL’ANGELO Mestre, Venice, Italy, 2008
Che differenza c’è tra ornamento e mimetismo? Il mimetismo si usa per sottrarre, o nascondere, qualcosa che già esiste dandogli un’altra foggia. Per esempio, rivestire un carro armato con un telo a macchie verdi per trasformarlo in un elemento del paesaggio. E’ un’azione conservativa. Anche mascherandolo da qualcos’altro rimane quel che è. L’ornamento è usato per conferire a qualcosa gli attributi di qualcos’altro che vogliamo che diventi. Per esempio, quando i capitelli delle colonne e i cornicioni degli edifici sono mascherati con flora fatta di pietra. La parola chiave in questo caso è “attributo”. E’ un’azione che richiede la sospensione dello scetticismo. Sappiamo che questi elementi non sono ciò che rappresentano, ma li accettiamo come se possedessero le caratteristiche con cui si presentano. E’ un atto per il quale invochiamo una realtà che non è realmente presente. Utilizzando elementi del regno vegetale io non introduco un ornamento ma una funzione. Non solo l’elemento che introduco è esattamente ciò che pretende di essere, ma è intrinsecamente relazionato al corretto funzionamento dell’edificio. Ti concedo che possa essere percepito come un processo ornamentale. Tuttavia, secondo me, tale definizione, sebbene errata, rivela un desiderio di soddisfare un mai sopito desiderio di ornamento, un anelito che il Movimento Moderno ha trascurato. Io credo di soddisfarlo usando elementi veri radicati nella materia dell’edificio. Sono inevitabilmente figlio del mio tempo e, perciò, diffidente a fare affermazioni formali irrimediabili; quindi uso elementi che cambiano con le stagioni. Le foglie cadono in autunno consentendo al sole di scaldare le pareti, dopo che le hanno riparate dal caldo durante l’estate. In effetti, è un ornamento, ma è in-
trinseco all’edificio, proprio come la pelle che respira lo è in un organismo. Quando le foglie e le ghirlande di marmo cadono per terra o finiscono in un museo, l’edificio rimane sfregiato ma conserva la sua utilità. Se le piante che ricoprono in miei edifici sono strappate via, l’edificio soffre di una sostanziale riduzione della propria ragion d’essere. Se queste piante fossero un mero ornamento, la loro eliminazione ne diminuirebbe le caratteristiche visuali ma non l’integrità e le prestazioni. Forse il mimetismo è una risposta più attinente alla tua domanda. Forse, ma solo se manteniamo la conversazione nel regno della retorica. Devo insistere che non è il mio caso. La vegetazione che uso non cerca di assumere la forma e gli attributi di qualcosa che esiste già, come fanno le foglie di marmo. E’ se stessa, non una rappresentazione di se stessa. Usando queste piante e spostando la terra intorno all’edificio cerco di conciliare l’esistenza dell’edificio con se stesso, come elemento principale e nel suo contesto più ampio. Credo che “conciliazione” sia la parola che cerchi. Torniamo da capo. Se la Natura ci dovesse accogliere per come siamo diventati, non avremmo bisogno di costruirci dei ripari. Credi che io cerchi di sollevare l’angolo di un prato erboso per coprirmi come fosse una coperta magica? Che così facendo cerchi di addomesticare la Natura? Credo che nel tentativo di dominare la Natura-come-è abbiamo creato una seconda Natura-fatta-dall’uomo, con un rapporto complicato con la Naturadata. Dobbiamo ridefinire l’architettura come un aspetto della natura fatta dall’uomo, ma per fare questo dobbiamo prima ridefinire il significato contemporaneo di Natura. Forse una nuova Accademia Filosofica è quel che ci vuole. Vogliamo chiamare una simile istituzione Universitas, vale a dire “il tutto”?
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OSPEDALE DELL’ANGELO Mestre, Venice, Italy, 2008
What is the difference between ornamentation and camouflage? Camouflage is used to subtract, or to hide something already existing by giving it another guise. For example, to cover a war tank with a green spotted tarpaulin to transform it into a part of the landscape. It is a conservative act. By dressing it up as something else it remains as it is. Ornament is used to assign the attributes of something we want it to become. For example, when the capitels of columns and the cornices of buildings are dressed up with stone made flora. The key word is here attribute. It is an act requiring suspension of disbelief. We know these elements not to be what they represent, but we accept them as if they were endowed with the characteristic with which they present themselves. It is an act whereby we invoke a reality not truly present. Using elements from the vegetal kingdom I do not introduce ornament but function. Not only is the introduced element exactly what it purports to be, but it is intrinsically related to the building’s proper performance. I grant you that it might be perceived as an ornamental process. However, to me, that denomination, although mistaken, reveals a desire to satisfy an unrequited longing for adornment, a yearning the Modern Movement has neglected. I presume to satisfy it by using true elements vitally rooted into the building’s matter. I am inescapably the child of my time, and, therefore, distrustful of making irretrievable formal statements; so I use elements that change with the seasons. The leaves fall in autumn allowing the sun to warm the walls, after having shaded it from the heat in the summer. It is an adornment, indeed, but it is intrinsic to the building, just like breathing skin is to an organism. When marble
leaves and garlands fall to the ground or end up in museums, the building is scared but its usefulness survives. If the plants covering my buildings are torn off the building suffers a substantial reduction of its raison d’etre. If these plants had been just an ornament, removing these from the building should detract from its visual characteristics, but not from the buildings integrity and performance. Could it be that Mimesis is an answer closer to your original question? Perhaps, but only if we keep this discussion in the domain of rhetoric. I must insist such is not my case. The vegetation used does not try to assume the shape and the attributes of an already existing entity, as marble leaves do. It is itself, not a re-presentation of it. By using these plants and moving the earth around the building I seek to reconcile the building’s existence to itself as a principality and to its larger context. To me Reconciliation is the word you are searching for. Let’s go the beginning. If Nature were to have welcomed us in the guise we have become, we would have needed to make no shelter. Do you believe that I seek to lift up the corner of a grassy meadow to cover myself as if it were with a magic blanket? That by so doing I try to domesticate Nature? I believe that in our pursuit to master Nature-as-found, we have created a second man-made-Nature, intricately related to the given-Nature. We need to redefine architecture as one aspect of our man-made nature, but to do so we need first to re-define the contemporary meaning of Nature. Perhaps a new Philosophic Academy is what is called for. Shall we call such institution a Universitas, i.e. the whole?
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OSPEDALE DELL’ANGELO Venice - Mestre, Italy, 2008
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PRODUZIONE SU GRANDE SCALA
ELO 2008
Large scale production
Per molto tempo ti hanno interessato le forme di organizzazione e produzione su grande scala. Potresti fare un cenno su questo, in particolare in relazione al ruolo dell’architetto? (Sappiamo, per esempio, che Rem e gli olandesi promuovono la metafora dell’architetto come “surfista” che cavalca l’onda della globalizzazione).
You have long been interested in large scale forms of organization and production. Would you address this briefly, particularly as regards the role of the architect. (We know, for example, that Rem and the Dutch promote the metaphor of the architect as “surfer”, riding the wave of globalization).
Risposta corta: S, MS, VS e XS (piccolo, medio piccolo, molto piccolo, extra piccolo). Risposta lunga: Convinti che l’architettura debba essere il frutto dell’immaginazione di qualcun altro, alcuni celebrati operatori architettonici ripropongono al mercato della cultura il buon vecchio Neo Modernismo 101 – rivoltato, contorto e frammentato; stra-spremuto e dato per morto, ma ancora succoso – come un abito prêt-à-porter usato per rivestire gli altari dei devoti del “Io consumo ergo sum”.
Short Answer: S, MS, VS, and XS (small, medium small, very small, and extra small) Long Answer: Convinced that architecture should be the work of someone else’s imagination, some celebrated architectural contributors to a marketplace culture re-propose good old Neo-Modernism 101 – tilted, twisted, and fragmented; over squeezed and left for dead, but still juicy – as the easily disposable clothes to dress a la mode chapels for the believers in “I consume, ergo sum.”
COMMERCIAL AND RESIDENTIAL DEVELOPMENT The Hague,The Netherlands, 2002
Credi nel sublime? (O in un sublime?)
Do you believe in the sublime? (Or a sublime?)
Se un’opera di architettura non commuove che senso ha? Non è altro che un edificio. Non mi vergogno di dire che cerco il trascendente nei miei lavori. E’ inafferrabile ed elusivo, ma sono sinceramente convinto che possa essere evocato.
If an architectural work does not move the heart what is the point of it; it is just one more building. I am not ashamed to say I pursue the transcendental in my work. It is ungraspable and elusive, but I am devotedly convinced it can be evoked.
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TENDENZE CONTEMPORANEE
Contemporary trends
Frank Gehry insiste sempre sull’influenza degli artisti sul suo lavoro. Come ti vedi in relazione con le tendenze contemporanee del mondo dell’arte, con Heizer, Judd, Serra, Miss ecc. Sono importanti? E tu per loro? Io e Robert Smithson siamo diventati grandi amici all’istante. Alla fine della nostra prima cena insieme, ci sentivano come fratelli che erano stati separati. Ci interessavano le stesse cose, da punti di vista diversi. Io ero affascinato dal suo lavoro e, ritengo, che lui lo fosse dal mio. Non ho mai più avuto una simile sensazione di fratellanza concettuale con nessun altro. Adoravo conversare con lui, ed ero distrutto quando è morto. Ho mantenuto anche una buona amicizia con Sol Le Witt, che ho sempre considerato come l’angelo guardiano del gruppo Minimalista. Michael Heizer
mi ha contattato una volta per chiedermi di scrivere l’introduzione e un saggio critico per un libro sulle sue opere. Le conoscevo, naturalmente, ma non lo avevo mai incontrato. Ritenni che gli interessasse il fatto che avevamo molti interessi formali comuni e affinità. Ti sorprenderà, ma non conoscevo l’opera di Richard Serra quando, nel 1975, progettai il Mexican Computer Center. La prima volta che ho visto un suo lavoro è stata allo Yonkers Museum. Il direttore, Richard Koshalek, mi accompagnò a visitare la mostra mentre la stavano allestendo, rimasi sbalordito. Sentii che se mai avessi fatto una scultura sarei stato molto felice se fosse stata bella la metà di quelle di Serra. Questi sono solo meri aneddoti biografici. Quanto alle influenze, credo che tu sia un giudice molto migliore riguardo al loro essere reciproche e al loro svilupparsi.
BANCA DEGLI OCCHI Mestre, Venice, Italy, 2009
Frank Gehry is always on about the influence of artists on his work. How do you see yourself in relation to contemporary trends in the art world, to Heizer, Judd, Serra, Miss, etc. Are these relations important. Do they ever flow two ways? Robert Smithson and I became instantly great friends. At the end of our first dinner together, we felt like long lost brothers. The same things interested us, from a different viewpoint. I was fascinated by his work, and I presume he was interested in mine. Never again did I have such a feeling of conceptual brotherhood with anyone else. I adored my conversations with him, and I was devastated when he died. I have also maintained a very good friendship with Sol Le Witt, whom I have always considered the guardian angel of the Minimalist group. Michael Heizer approached me once with
a request I write the introduction and critical essay to a book on his work. I knew his work, of course, but I had never met him before. I presumed he was interested in the fact that we shared many formal interests and affinities. It will come to you as a surprise, but I was not acquainted with the work of Richard Serra when I designed the Mexican Computer Center in 1975. The first time I encountered his work was at the Yonkers Museum. During installation time, I was taken to see the exhibition by its director, Richard Koshalek. I was dazzled. I felt that if I ever made a sculpture I should be very happy if it looked half as good as Serra’s. Those are the bare biographical facts. As for influences, I think that you are a much better judge of how they flew, and how they flowered.
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Shoei Yoh
AMBIGUO E AMBIVALENTE AMBIGUOUS AND AMBIVALENT L’Affinità Ambientale si trova in qualsiasi casa tradizionale del Giappone grazie alle sue pareti mobili e alle porte scorrevoli fatte di legno leggero e carta che non tengono mai la Solitudine racchiusa all’interno del loro spazio ambivalente e ambiguo. Una Solidarietà Inconscia si sviluppa tra gli abitanti che condividono lo stesso tetto le cui falde si allungano a riparare la veranda di legno che connette, in modo ambiguo, l’interno con l’esterno. Questo spazio intermedio gioca un ruolo vitale per lo svolgimento della vita quotidiana nei giorni di pioggia e di neve. La Fluidità garantita dalle pareti mobili e dalle porte scorrevoli è particolarmente apprezzabile durante le estati umide in quanto viene favorita la circolazione della brezza e la regolazione delle zone d’ombra, ma anche col freddo dell’inverno quando si possono far penetrare i raggi caldi del sole fin nel cuore della casa. A seconda del numero di persone che convengono in occasioni particolari – come un matrimonio o un funerale – le stanze Tatami si possono ampliare o restringere dal momento che sono spazi polifunzionali senza arredi. L’Affinità aumenta grazie all’Elasticità e alla Fluidità dell’Ambiente Ambiguo dovute alla semplicità della struttura di pali e travi di legno, diversa dalle solide pareti di muratura che racchiudono gli spazi in Occidente. Anche in spazi racchiusi da pareti fisse di vetro, come le Case di Vetro di Mies e Johnson, con struttura di montanti e travi di acciaio, l’Affinità è solo un’illusione visiva chiusa in una teca di vetro. Se non ci sono porte scorrevoli e verande coperte, non ci sarà un interspazio di Affinità. Noi architetti modernisti abbiamo avuto la tendenza a ignorare tale saggezza tradizionale e convenzionale in termini di Affinità, Fluidità ed Elasticità Ambientale. Nel vedere l’antico castello che domina la collina sopra al nuovo centro storico di Kameyama, non ho potuto che rilevare come questo simbolo bianco fosse predominante grazie ai suoi 500 anni di rispetto del genius loci. Nagachika Kanamory è il signore che ha progettato il castello sulla collina di Kameyama per i samurai e un quartiere residenziale e commerciale protetto dai numerosi templi circostanti con porte arcuate per scopi difensivi. L’intera città, in 500 anni, è bruciata sette volte a causa dei forti e secchi venti primaverili, ma è risorta dopo ogni incendio. Nel 1900 l’Imperatore Meiji ha ampliato il Settimo Viale sull’asse est-ovest per fermare gli incendi e da allora non se ne sono più verificati. E’ stato mantenuto il piano a griglia della città antica con canali e fontane di acqua sorgiva che costeggiano le schiere di case. Per me è stato il primo esempio di rispetto del contesto storico e dell’Affinità della composizione tradizionale. Le forti nevicate richiedono un interspazio costituito da verande rialzate e coperte intorno alla scuola elementare. Il mantenimento di un’altezza contenuta per l’edificio è una necessità paesaggistica per non impedire la vista del castello-simbolo dalle strade vicine. Quando frequentavo la Graduate School of Architectural Urban Design alla Keio University, ebbi la fortuna di condurre una ricerca su come raffreddare il calore generato dai computer nel laboratorio di informatica. La soluzione più ecologica non era l’isolamento delle superfici degli involucri ma l’irradiamento di aria fresca durante la notte per tutto l’anno. 34 l’ARCA 266
Ambient Affinity is found in any traditional house all over in Japan due to its traditional movable walls and sliding doors made of lightweight wood and paper that never create a sense of Solitude within such an ambiguous and ambivalent setting. Unconscious Solidarity grows among the habitants under a single roof surrounded by eaves covering the raised wooden deck floor connecting the inside and outside in an ambiguous way. The intermediate inter-space plays a vital role for everyday life on rainy and snowy days. Fluidity through sliding doors and walls is particularly beneficial during humid summers, providing a cool breeze and shade, but even in cold winters it allows the warmth of sunshine to flow deep inside the premises. According to the number of people attending a special event like a wedding or funeral, Tatami rooms expand or shrink offering multi-purpose universal spaces with no furniture. Affinity grows through the Elasticity and Fluidity of the Ambiguous Ambience simply due to the wooden post-and-beam structure, unlike western solid brick walls set around a space. Even the enclosure is a transparent fixed-glass wall, rather like the Mies and Johnson’s Glass Houses made of a steel structure composed of posts and beams. Affinity is just a visual illusion inside a glass showcase. Without the sliding doors and extended floor under the roof, Affinity will not have an inter-space. We modernist-architects have tended to ignore this kind of traditional and conventional wisdom, overlooking Ambient Affinity, Fluidity and Elasticity. When I saw the 500-year-old castle built on a hill behind Kameyama new civic center, I had no choice but to allow the symbolic white castle to be given precedence due to the 500-year history of the existing genius loci. Nagachika Kanamori was the lord who designed a castle on Kameyama hill specially for samurai warriors, as well as a residential and commercial district protected by all the surrounding temples and dog-leg pattern of defensive gates. The whole city had been burnt to the ground seven times by harsh dry spring winds over 500 years, only to be re-incarnated after each disaster, and then in 1900 the Meiji Emperor widened 7th Avenue extending in an east-west direction to prevent any further fires. There have been none since then. The ancient city plan is still kept on a grid with a water channel on every other side of the rows of housing rows, including some spring water fountains. This was the first time I set out to respect the historical context, especially the Affinity of traditional composition. Heavy snow requires an inter-space of raised wooden roof decking around the primary school. Minimizing the height of the building was a landscaping requirement to ensure not to interfere with the view of the symbolic castle from the nearest street. At the Keio University Graduate School of Architectural Urban Design I was fortunate to research into how to cool down the heatgenerating computers in the digital laboratory. The most ecological solution was not the insulation of the enclosing surface but nighttime radiation cooling throughout the year.
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Seguendo questo principio abbiamo introdotto anche nella città di Ono una condizione di costanza termica attraverso un sistema irradiante ad acqua sotterraneo. Questo assorbitore di sbalzi termici è efficace e permette ai bambini delle scuole di tenere aperte le porte scorrevoli esposte a sud durante l’inverno, proprio come facevano i loro nonni quando chiacchieravano nelle verande di legno soleggiate e calde abbastanza per stare scalzi grazie all’acqua calda che vi scorreva sotto. Il Ministero dell’Educazione, avendo un budget ristretto sufficiente solo per gli spazi chiusi, non sostiene finanziariamente la realizzazione di questi spazi “extra” in cui si può godere dell’Affinità. La modernizzazione spesso significa perseguire solo obiettivi economici e funzionali. Tale efficienza economica inevitabilmente va a scapito dell’Affinità per la sostenibilità della comunità. Credo che l’Affinità Ambientale sia la culla del progetto comunitario sostenibile. Questo Centro Civico dovrebbe essere la prima e unica eccezione per ottenere tale Affinità in quanto era stata esclusa in tutto il Giappone fin dall’era Meiji a causa dalla cosiddetta modernizzazione.
Accordingly, in the city of Ono we introduced the constant thermal state of an underground water-powered heat radiating system for all the facilities. This thermal shock absorber is effective for school children so that their sliding doors facing south can be kept open in winter just as their grandparents have always done in order to chat or knit on the sunny wooden deck, which is warm enough for bare feet thanks to the heat from the underground water. The Ministry of Education does not provide financial backing for such enjoyable Affinity space, confining the budget to just enclosed floor space. Modernization often means pursuing functional and economical services. Such efficiency and economy inevitably sacrifices Affinity for the sustainability of a community. I believe Ambient Affinity is a cradle for sustainable community design. This Civic Center should be the one and only exception in order to provide the kind of Affinity that had always been excluded throughout Japan due to so-called Modernization ever since the Meiji era.
Affinità attraverso l’Interazione Architettonica Negli stessi anni in cui il Centre Pompidou di Parigi diede avvio alla popolarizzazione delle arti, l’Exploratorium di San Francisco iniziò a promuovere l’interazione tra il pubblico e gli esperimenti scientifici. La programmazione della partecipazione dei visitatori e del pubblico nei musei genera Affinità. Il nostro Saibu Gas Museum for Natural Phenomart, realizzato a Fukuoka nel 1989 è stato progettato per essere un Museo di Arte assolutamente interattivo. Grazie all’estrema Fluidità, che permette a milioni di visitatori di circolare liberamente senza ascensori o scale mobili, il pubblico può godere dell’Arte Fenomenica Naturale in modo interattivo.
Affinity through Interaction of Architecture Since the Centre Pompidou in Paris started popularizing the fine arts, the Exploratorium in San Francisco has also started interactive scientific experiments. The participation of visitors and audiences has been carefully considered and programmed for museums. It generates Affinity together. Our Saibu Gas Museum for Natural Phenomenart in Fukuoka 1989 was planned to be an absolutely “Interactive Art Museum”. With the help of extreme Fluidity for millions of people, without an elevator or escalator, all visitors had been enjoying “Interactive Natural Phenomenart”.
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E’ anche il caso della “Piramide del Mare”, alta 30 metri, che abbiamo realizzato nel 1990 come terminal dei traghetti a Kumamoto. A volte è piena di visitatori dal piano terra alla cima del cono. Chiunque può salire o scendere, sostare a guardare il panorama esterno e interno, grazie alle rampe a doppia spirale collocate sia dentro che fuori l’edificio. Non ci sono ascensori né scale mobili. E’ come un enorme giocattolo con cui interagire e divertirsi. L’aspetto della piramide stimola la curiosità e il desiderio istintivo dei visitatori di raggiungerne la cima per godersi il panorama. La Fluidità e l’Affinità, che erano parte del programma, sono ancora oggi, dopo 20 anni, un mezzo efficace per realizzare una relazione interattiva tra uomo e architettura. “La Fluidità architettonica invita e favorisce i movimenti e i desideri interattivi delle persone in modo giocoso”. “L’Interazione Architettonica rivela l’Affinità”.
In the case of our “Pyramid of Sea”, a ferry terminal was constructed in Kumamoto in 1990 as high as 30m above sea level. Sometimes it is full of visitors right from the bottom to the top of the cone. Everybody walks up and down spending time enjoying the views around and inside the cone, thanks to opposing double-spiral slopes both inside and outside. No elevator or escalator helps them move around. It might be seen as a giant toy providing interactive enjoyment. The appearance of the pyramid first arouses curiosity and visitors are willing to climb up high (for observation purpose) to satisfy their instinctive desire. The programmed Fluidity is still effective after 20 years of interaction between people and the architecture. “The Fluidity of Architecture invites and introduces the interactive movements of people with willingness and joy.” “Interaction of Architecture proves Affinity.”
Affinità attraverso il Dialogo con l’Architettura Recentemente, la Mediateca di Toyo Ito a Sendai e il Museo del XXI Secolo di Kazuyo Sejima a Kanazawa si sono dimostrati molto più popolari di quanto ci si aspettasse, grazie all’ambizione dei curatori e all’energia dei visitatori. La Partecipazione, l’Interazione e il Dialogo con l’Architettura da parte dei visitatori mette in evidenza una relazione fortunata con l’architettura non facile da trovare. Entrambi gli istituti sono gestiti dalle amministrazioni comunali. Più i visitatori riescono a godere dell’Affinità di queste architetture più queste diventano essenziali per la vita quotidiana dei cittadini e anche per le generazioni future, se i programmi saranno in grado di rispondere agli sviluppi futuri. “Il Dialogo con l’Architettura rivela Affinità”.
Affinity through Dialogue with Architecture Recently the Sendai Mediatheque designed by Toyo Ito and the 21st Century Art Museum in Kanazawa designed by Kazuyo Sejima have been far more popular than was expected according to the original programme, thanks to the ambitious curators and hungry visitors. Visitors’ Participation, Interaction and Dialogue with Architecture suggests a fortunate kind of relationship with architecture, which is hard to find nowadays. Both are run by municipal offices. The more visitors come to enjoy it, the more essential the architecture’s Affinity becomes in the everyday lives of citizens (even future generations), provided the programme adapts to changes in the future. “Dialogue with Architecture proves Affinity of Architecture.”
Affinità nella città di New York – un luogo particolare Un notevole esempio di Affinità nella città di New York è il modo in cui si è risposto al contesto storico e topografico nell’area tra la 53th Street e Madison Avenue. Qui si trova il Paley Palace, proprietà privata di William Paley, che racchiude il più apprezzato “giardino tascabile” del mondo. E’ grande solo 400 metri quadrati ed è circondato su due lati dai muri degli edifici adiacenti mentre sul muro opposto all’ingresso scorre una cascata d’acqua che scherma tutti i rumori della città e vi sono 17 alberi Spino di Giuda che offrono ombra ai visitatori che si siedono sulle sedie di metallo di Harry Bertoia. Questo minuscolo parco è stato progettato da Robert Zion per il signor Paley nel 1967. L’accesso pubblico gratuito in questa proprietà privata genera Affinità in questa densa città e attrae i cittadini di New York e i visitatori da tutto il mondo. Il cortile del MoMA, lungo la stessa strada, non è gratuito. L’Affinità non si vende. Lo apprezziamo. “L’Affinità è l’Infinito”.
Affinity in the city of New York site specific Remarkable Affinity in the city largely depends on how to adapt the historical and topographical contexts of a specific site like 53rd Street between 5th and Madison Avenue in New York. The world’s favourite ‘pocket park’, Paley’s Place is a private property on land belonging to Mr. William Paley. 4200 square feet is surrounded by 2 building walls and the opposite wall has a heavy cascade of water keeping out all the noises from the city. 7 honey locust trees provide visitors with shade as they relax in Harry Bertoia’s wire chairs. Robert Zion designed this precious ‘pocket park’ for Mr. Paley in 1967. A free and open public facility on this kind of private property generates Affinity in the densely-packed city and has been attracting city folk and visitors from all over the world for many years. The courtyard of MOMA along the same street is not free. Affinity is not sold. We just appreciate it. “The Affinity is Infinity .”
Affinità nella città di Tokyo, lungo la strada di un quartiere residenziale Il più attraente esempio di Affinità a Tokyo si trova, fin dal 1969, lungo la strada Kyuu Yamate Doori nel quartiere residenziale di Shi-
Affinity in the city of Tokyo along a street in a residential district The most attractive Affinity in the city of Tokyo has been maturing along Kyuu Yamate Doori Street in a residential district of Shibuya
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buya Ward. La Daikanyama Hillside Terrace si è sviluppata costantemente arrivando a occupare sei proprietà indipendenti lungo entrambi i lati della strada, tra alberi e boschetti. Grazie alle favorevoli norme locali di zonizzazione, gli edifici multifunzionali con appartamenti, uffici, negozi, ristoranti, showroom e gallerie d’arte sono stati progettati separatamente da Fumihiko Maki nell’arco di trent’anni per Mr. Asakura, unico proprietario dei terreni, la cui famiglia possiede quest’area da molto tempo. Ciascun edificio, con un proprio cortile, vialetti alberati e sculture, è sempre aperto al pubblico. Questi spazi accessibili a tutti si snodano attorno ai raffinati edifici e sono diventati uno dei luoghi favoriti dove godersi una passeggiata in città. “L’Affinità nella città che rispetta i contesti storici e topografici dovrebbe essere scritta e tramandata con continuità da una generazione alla successiva”.
Ward since 1969. The Daikanyama Hillside Terrace has been continuously redeveloped scattering 6 independent properties along both sides of the street in the midst of trees and woods at the rear. Owing to fortunate local zoning regulations, the multi-purpose buildings for apartments, offices, shops, restaurants, show rooms and art galleries have been designed separately by Fumihiko Maki over a period of 30 years for the landlord Mr.Asakura, whose family has owned most of the area for a very long time. Each building, with either a courtyard or approach lined with trees and sculpture. is always open to the public. Free and open spaces around the sophisticated buildings have been a favourite sidewalk for everybody to enjoy city life on a daily basis. “Affinity in the city bringing together the historical and topographical contexts will be written and read continuously from one generation to the next.”
Un’Affinità mancata, sempre a Tokyo La sistemazione dei Doujunkai Aoyama Apartments è stata proposta da Shoei Yoh nel 1987 e alla fine rifiutata dal costruttore nel 2000, insieme all’opportunità di avere la più preziosa area di Affinità di Tokyo. L’Affinità che si proponeva era un riflesso dei contesti storico e topografico dell’Omote Sandoh (fin dal 1900 accesso al Tempio Meiji). Dieci edifici per appartamenti a tre piani (alti 8 metri) contornati da alberi si allineavano rivolti a sud lungo la strada in leggera pendenza lunga 500 metri. L’Affinità voleva essere come un frutto offerto al piacere dei visitatori che potevano circolare liberamente tra le rampe degli spazi multipiano che dal sottosuolo si connettevano alla strada di fronte a ciascuna delle sei scalinate di ingresso che conducevano ai singoli appartamenti, agli uffici, agli studi medici ai piani superiori e ai negozi e bar ai piani inferiori del complesso polifunzionale. L’Affinità dell’Estrema Fluidità e la facilità di accesso determinata dall’articolazione degli spazi tra i due ingressi principali, rispondevano al contesto topografico e assicuravano l’efficacia economica del progetto di sviluppo. Il rifiuto, da parte della committenza, del progetto e le alterazioni che gli sono state apportate hanno dato un risultato imbarazzante con un atrio, scuro e stretto, coperto da un tetto all’interno di un singolo edificio lungo 500 metri con due soli ingressi. I residenti sono nascosti alla vista. Il vantaggio economico dato dal percorso che avevamo progettato non è più efficace poiché è diventato un noioso circuito a spirale senza via d’uscita. “Il fallimento di un’Affinità Ambientale, che risponda al contesto storico e topografico della città, è difficile da sanare”.
Another Kind of Affinity is missing in Tokyo Doujunkai Aoyama Apartments Redevelopment was proposed by Shoei Yoh in 1987 and eventually rejected by the developer in 2000, together with plans for the most precious kind of Affinity in the city. The proposed Affinity in the city was a reflection of the historical and topographical contexts of Omote Sandoh (Meiji Shrines Approach since 1900). Ten 3-storey apartments in the woods designed to face south along the sloping street over a length of 500 metres and height of up to 8 metres. The Affinity was to be a fruit for visitors to enjoy as they walked around the free, open-air multiple underground circulatory slopes connected to the street opposite at each of 6 entrance stairways leading to the individual apartments for lawyers or dental offices on the upper floor and to shops, coffee bars etc. on the lower floors, forming a multiple complex. The Affinity of Extreme Fluidity and Articulated Easy Access with 2 main entrances corresponding to the topographical contexts guaranteed economic feasibility for redevelopment. The rejection and alterations following our proposal turned out to be rather awkward, with a dark covered roof and narrow atrium inside a 500-metre-long single building with only two main entrances. Residents are all out of sight. The economic benefit of our circulating slope is no longer effective as it became an annoying enclosed spiral circuit with non way out. “The Missing Ambient Affinity corresponding to the historical and topographical context of the city could not be recovered.” 1. 21st Century Museum, Kanazawa. 2. Paley Place, New York.
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3. Dakeyama Terrace, Tokyo. 4. Daujumkai Doyama Apts, Tokyo, 1987-2000 - Complesso residenziale a nord, scuola a ovest./Residential District on north, School on west.
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Matteo Citterio
THINKING OUTSIDE THE BOX Invito a essere curiosi e folli An invitation to be inquisitive and crazy Se il futuro delle città sarà green quale sarà il futuro dei nuovi spazi di lavoro? Attualizzando le parole di Cedric Price, la risposta potrebbe suonare così: “Internet è la risposta, ma quale era la domanda?”. 12 novembre 2010. Le sale cinematografiche italiane mettono in scena la prima proiezione del film diretto da David Fincher: “The Social Network”. Servono solo poco più di 60 minuti per entrare nell’uffico dell’ex segretario al Tesoro degli Sati Uniti (per l’ultimo anno e mezzo della presidenza Clinton) e Rettore dell’Università di Harvard dal 2001 al 2006. Come Rettore, Larry Summers, si fa interprete del più dirompente messaggio del film. Strapazzando gli atletici gemelli Cameron e Tyler Winklevoss dice: “Mettetevelo bene in testa: qui i ragazzi non vengono per trovare lavoro. Vengono per inventarsene uno”. Ma se il lavoro del prossimo futuro sarà sempre più da inventare e inventarsi, sarà ancora necessario un vero e proprio spazio dedicato? Quali e come saranno le case dell’invenzione? Surfiamo on-line. Sam Grobart su “The New York Times” propone un decalogo per un 2011 a tutta tecnologia (10 Ways to Get the Most Out of Technology). Erica Naone su “Technology Review” racconta degli studi condotti da Jure Leskovec, ricercatore presso la Stanford University, sulle ragioni di una maggiore diffusione e popolarità di una notizia rispetto all’altra, sulle modalità e i meccanismi di come l’informazione viaggi in rete. Leena Rao su “TechCrunch” recensisce l’attività di Kabbage e la sua offerta di servizi finanziari per i venditori online; 7 dipendenti hanno mosso in un anno 6,7 milioni di dollari (Ebay nel 2008 ha registrato transazioni per una cifra superiore a 48 miliardi di dollari). Sthephen Baker su “The Huffington Post” si chiede perché Google non risponda ancora alle domande e se questo avverrà (Why IBM's Watson Is Smarter Than Google). Jennifer LaRue Huget e Lenny Bernstein su “The Washington Post” snocciolano 11 modi per vivere meglio nel 2011; primo di questi 11 è la lettura dei codici QR. Un nuovo codice a barre dei prodotti alimentari che, a seguito di un scatto fotografico dallo smartphone, restituisce valori nutrizionali e possibili ricette da creare attraverso l’utilizzo del prodotto selezionato. La BBC intervista Simon Davis: “L’utilizzo degli smartphone di ultima generazione è concentrato nei Paesi più ricchi al mondo ma ci sono modi di far accedere ai servizi di questi dispositivi qualsiasi cellulare. Uno di questi è Snaptu”. Come a dire: “Tutto è possibile per tutti”. Lascio Google anche se tra un attimo ci tornerò. Cerco di inseguire un ritornello saltatomi in mente. Entro in YouTube. Digito “Remind Me”. Clicco il primo risultato. E’ proprio il video che cercavo. Quattro minuti di acuta rappresentazione di un’originale dicotomia. Da un lato la dinamicità del flusso di informazioni digitali che si sovrappone in tempo reale da qualsiasi dove. Dall’altro la fisicità dello spazio statico del lavoro. Siamo a Graceland Street in Inghilterra. Le parole e la musica accompagnano la descrizione di 24 ore vissute da una cenerentola del terzo millennio che pensa e cerca l’amore. Si sveglia. Fa colazione. Si veste. Esce di casa. Prende la metro. Lavora. Mangia. Lavora. Riprende la metro. Il lavoro è ancora concepito in modo tradizionale nel senso più deteriore del termine. Spazio della produttività e dell’individualità. L’ufficio virtuale è una chimera. Internet e le video chiamate non hanno ancora condizionato l’architettura. Qualsiasi azione di lavoro è in ufficio. Qualsiasi altra azione è altro dall’ufficio. Il cinema italiano lo raccontava già con lucida ironia nel 1975 in Fantozzi. Il film diretto da Luciano Salce inizia con una chiamata della signora Pina che, non avendo notizie del marito da ben diciotto giorni, telefona alla società Italpetrolcemetermotessilfarmometalchimica dove Fantozzi “presta tragicamente servizio”. Pochi fotogrammi e subito si scopre che era stato murato vivo nei vecchi bagni dell'azienda. Il ragioniere viene così tratto in salvo e ritorna subito al lavoro. Nessuno dei suoi colleghi, durante quei diciotto giorni, si era accorto o tantomeno preoccupato 38 l’ARCA 266
della sua assenza. Pungente caricatura del ceto medio italiano, alterna con ritmo perspicace la mortificazione del lavoro in ufficio alla rinascita nel giorno di riposo: la domenica. Fantozzi canta. È festa. Oggi non si lavora. Questa contrapposizione tra spazio di lavoro e spazio domestico può essere superata? Internet e la tecnologia sono davvero la risposta? Tre esempi. Il primo è proprio Google. Quanti di voi utilizzano Google come strumento di lavoro? Molti risponderanno: “Io”. Sbagliato. O meglio: siete davvero sicuri? Tutti conosciamo Google Web. È proprio quella stringa che ci permette di fare una ricerca sul web. Altri conosco Google Immagini, Video, Maps, News, Libri, Gmail, Traduttore, Blog, In tempo Reale, You Tube, Caledar, Foto, Documenti, Reader, Sites, Gruppi, Earth. Pochi invece usano Alert (invia news e risultati di ricerca via email), Chrome (un nuovo browser), Desktop (cerca informazioni sul prorprio computer), Panoramio (esplora e condividi foto nel mondo), Sites (crea siti web e wiki di gruppo), Sketch Up (crea modelli 3D in modo semplice e rapido), Talk (invia messaggi istantanei e chiama i tuoi amici con il tuo computer) e infine Labs con le sue 69 sperimentazioni da iGoogle (aggiunge informazioni di tuo interesse sulla home page di Google) a Fast Flip (rapidissime panoramiche delle pagine con le notizie principali dei più importanti giornali), da Follow Finder (analizza grafi sociali su Twitter per trovare persone che vorresti poter seguire) a Public Data Explorer (ricerca visiva avanzata di utili set di dati pubblicitari), da Aardvark (fai una domanda qualsiasi e Aardvark troverà la persona perfetta per rispondere) a Open Spot (funziona consentendo alle persone che stanno lasciando un posto in un parcheggio di comunicarlo alle persone che stanno cercando un posto per parcheggiare), ecc… Secondo esempio: Wikipedia. Ha compiuto solo 10 anni e dal 2001 ad oggi si è trasformato da una semplice idea al quinto sito più visitato al mondo. 277 le sue edizioni. 26 milioni di utenti registrati e 17 milioni di voci. Solo nel 2007 erano meno della metà (6,2 milioni). 100 milioni di ore sono state le ore totali di pensiero, secondo Clary Shirky, necessarie per la sua realizzazione. 14.327 le nuove voci/giorno. Michael Jackson, Sarah Palin, Barack Obama e influenza H1N1, le voci con oltre un milione di click al giorno. Pensate ancora che internet o la tecnologia non condizioneranno il nostro modo di lavorare? Passo al terzo esempio: i Robot. Se fu Mary Shelley (Frankenstein, 1818) a creare la vita del primo uomo “artificiale”, solo nel 1920, tra le pagine della commedia R.U.R. di Karel Capek, compare per la prima volta la parola “robot”. Passano ancora 55 anni, siamo nel 1975. Nasce Puma, il primo braccio robot. Nel 2005 Honda presenta New Asimo. Oggi il numero di robot venduti non industriali è ottomilionisettecentomila. In Giappone un lavoratore su venti sarà presto un automa. Mentre scrivo mi viene la tentazione di aprire nuovamente Google. Fatto. Mi appare il cursore. Lampeggia. Senza esitare digito: “Quale lavoro farò domani?”. Appaiono 582.000 risultati in 0,08 secondi. Primo di tutti è un articolo pubblicato da webmasterpoint.org il 24 maggio del 2007. “Cosa farò domani? Quale sarà il mio lavoro? Google pensa di riuscire a dare queste risposte”. Se non vorrete che sia un motore di ricerca a suggerirvi che lavoro fare, l’invito è per tutti: siate curiosi e folli (a voi scegliere se come il pirandelliano Enrico IV o l’hidalgo spagnolo narrato da Miguel de Cervantes Saavedra).
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Assuming our cities are destined to become “green”, what will be the future of new work spaces? Giving a modern twist to what Cedric Price once said, the answer might be as follows: “the Internet is the answer, but what is the question?”. 12th November 2010. Italian film theatres begin showing the film directed by David Fincher entitled “The Social Network”. After just over 60 minutes we find ourselves in the office of the US Secretary of the Treasury (for the last year and a half of Clinton’s presidency) and President of Harvard University from 2001-2006. As the President of Harvard, Larry Summers sends out the most startling message of all to come from the film. As he lectures the athletic twins Cameron and Tyler Winklevoss he says: “Get this into your heads: kids do not come here to get a job. They come to invent one for themselves”. But if work will have to be invented or self-created more and more in the future, do we really need any kind of spaces specially allocated for it? Where will the inventing take place and how? Let’s surf the net. In the New York Times, Sam Grobart suggests “10 Ways to Get the Most Out of Technology” in 2011. In “Technology Review” Erica Naone talks about studies carried out by Jure Leskovec, a researcher at Stanford University, into the reasons why one piece of news spreads and is more popular than others, the ways and means by which information travels on the web. In “TechCrunch” Leena Rao reviews Kabbage’s work and his offer of financial services for online sales people; in one year seven employees turned over a total of $6.7 million (eBay handled deals worth over $48 million in 2008). In “The Huffington Post” Stephen Baker asked why Google no longer answers these questions and whether it ever will (By IBM’s Watson is smarter than Google). In the Washington post Jennifer LaRue Huget and Lenny Bernstein offer us 11 ways of living better in 2011; the first of these 11 is to read the QR codes. A new kind of bar code for food products, which, after snapping a photo with a smart phone, provides the nutritional values and possible recipes which can be created using the chosen product. Interviewed by the BBC Simon Davies claimed that: “The use of the latest generation of smart phones is focused in the world’s wealthiest nations, but there are ways of accessing the services provided by these gadgets from any ordinary cell phone. One of these is Snaptu”. Or in other words: “Everything is possible for everybody”. Let’s leave Google for now but I will return to again it shortly. I am desperately trying to trace a jingle that has come into my head. So I enter YouTube. I digit “Reminds Me”. I click on the first result. It was just the video I was looking for. Four minutes of a very precise representation of a highly original dichotomy. On one hand, the dynamic flow of digital information overlapping in real time from anywhere. On the other hand the physical nature of static work spaces. We are now in Graceland Street in England. Words and music accompany a description of 24 hours in the life of a third millennium Cinderella, who is thinking about and searching for love. She wakes up. Has breakfast. Gets dressed. Leaves the house. Takes the Underground. Works. Eats. Works. Takes the Underground again. Work is still envisaged along traditional lines in the worst sense of the word. A space for productivity and individuality. The virtual office is a chimera. The Internet and video calls have not yet affected architecture. All work is carried out at the office. Everything else outside the office. An Italian film called Fantozzi described this with the lucid irony way back in 1975. The film directed by Luciano Salce begins with Mrs. Pina on the phone to the company Italpetrolcemetermotessilfarmometalchimica, where her husband, Fantozzi, who she has not seen or heard from for eighteen days, “is tragically employed”. A few shots later we discover he has literally been walled alive into the old company bathroom. Our
accountant friend is eventually saved and gets straight back to work. Over the 18 days none of his work colleagues realised or worried about his absence. A very poignant caricature of the Italian middleclass cleverly alternating with a mortifying betrayal of office work compared to the sort of rebirth experienced on the day of rest: Sunday. Fantozzi can be seen singing, it is a day to celebrate. No work today. Can this contrast or conflict between work space and domestic space be overcome? Are the Internet and technology really the answer? Here are three examples. The first actually comes from Google. How many of you use Google as a work tool? A lot of people will reply “I do”. You would be wrong. Or rather, are you really sure? We are all familiar with Google Web. That string which allows us to search around the Web. Others know about Google Pictures, Video, Maps, News, Books, Gmail, Translator, Blog, In Real Time, YouTube, Calendar, Photos, Documents, Reader, Sites, Groups, and Earth. But very few people use Alert (which sends out news and search results by e-mail), Chrome (a new browser), Desktop (which searches for information about your own computer), Panoramio (which explores and allows you to share photos around the world), Sites (which creates websites and wiki groups), Sketch Up (which creates very simple and quick 3-D models), Talk (which sends instant messages and allows you to call your friends from your computer) and, finally, Labs with its 69 experiments ranging from iGoogle (adding information you might be interested in to your Google homepage) to Fast Flip (a very quick scan across pages giving the latest news from leading newspapers), from Follow Finder (analysing Twitter pages to find people you might be interested in) to Public Data Explorer (advanced visual searches for useful sets of advertising data), from Aardvark (ask any question and Aardvark will find just the right person to answer it for you) to Open Spot (which works by allowing people who are leaving a parking space to inform other people who are looking for one), etc… Second example: Wikipedia. It has only been around for 10 years but from 2001 to the present day it has developed from being a simple idea into the fifth most visited website in the world. There are 277 editions of Wikipedia. 26 million registered users and 17 million entries. There were only half as many (6.2 million) in 2007. According to Clary Shirky, it took 100 million hours of total brain-power to create it. 14,327 new entries are made every day. Michael Jackson, Sarah Palin, Barack Obama and H1N1 influenza are clicked on over 1 million times-a-day. Do you still think that the Internet or technology have no affect on our way of working? Let’s move on to the third example: Robots. Although it was Mary Shelley (Frankenstein, 1818) who gave life to the first ever “artificial” man, the word “robot” only appeared for the first time in 1920 in the play R.U.R. by Karel Capek. 55 years later in 1975 the first robotic arm “Puma” was invented. In 2005 Honda presented its New Asimo. Nowadays 8,700,000 non-industrial robots have been sold and in Japan one in twenty workers will soon be an automaton. As I am writing this article I am tempted to open Google again. I’ve already done it. A cursor appears. It starts flashing. Without hesitating I click: “What job will I have tomorrow?”. 582,000 results appear in 0.08 seconds. The first is an article published by webmasterpoint.com on 24th May 2007. “What will I do tomorrow? What will my job be? Google thinks it can come up with these answers”. If you do not want a search engine to suggest what job you should do, then everybody is invited to be inquisitive and crazy (it is up to you to decide whether you want to be like Pirandello’s Henry 4th or the Spaniard Hidalgo narrated by Miguel de Cervantes Saavedra). 266 l’ARCA 39
Moreno Maggi
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ADMIRANT ENTRANCE BUILDING IN EINDHOVEN Studio Fuksas
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Un edificio che sembra il prodotto di un futuro distante. Fluido, amorfo od organico sono i termini che vengono subito in mente davanti a questa architettura piena di movimento.
A building which seems to be a product of the distant future. Fluid, amorphous or organic are terms which cross one’s mind for this architecture full of movement.
In seguito alla definizione, nel 1998, del masterplan per il centro di Eindhoven in Olanda, lo Studio Fuksas ha sviluppato quattro progetti a esso associati: l’area di 18-Septemberplein, il Piazza Shopping Mall, il Media Market e l’Admirant Entrance Building concluso di recente. Questo nuovo edificio è situato proprio al limite tra il nuovo quartiere e la 18-Septemberplein, e forma l’ingresso principale al nuovo asse commerciale. Questa posizione importante richiedeva un edificio iconico. Paragonato al suo intorno immediato, il nuovo edificio sembra, a prima vista, come il prodotto di un futuro distante. Fluido, amorfo od organico sono i termini che vengono subito in mente davanti a questa architettura piena di movimento. Le sue dinamiche vanno in diverse direzioni e con intensità variabili. Il guscio dell’edificio è segnato da quattro grandi rientri, che creano diverse configurazioni spaziali sia all’esterno sia all’interno. La facciata è costituita da elementi triangolari. Questi non hanno una direzione, ma, con la loro rete di linee, guidano velocemente lo sguardo ad afferrare una visione di insieme dell’edificio. Questo flusso veloce ha origine anche nel contrasto tra i due materiali usati in facciata. Superfici opache e trasparenti si alternano in modo fluido e continuo. Vetri di un blu cristallino contrastano con pannelli di un denso bianco chiaro. Guardando da una certa distanza, si nota come l’edificio sia in rotazione. Quasi simile all’emergere di un grande mammifero acquatico che salta per prendere aria. A causa della sua forma non ortogonale, l’Admirant non ha una direzione specifica. Non c’è fronte né retro; l’esperienza della sua facciata è continua. Le sue curve lisce disegnano un flusso dinamico e avvolgente. La geometria della facciata varia da superfici verticali a forme amorfe, che creano la dinamica interna dell’edificio e fanno sì che la facciata sia completamente staccata dai quattro livelli. Tale esperienza è sottolineata dalla precisione e sofisticatezza dei dettagli di connessione tra gli elementi della facciata. La struttura primaria di cemento, alta cinque piani, contrasta con il guscio di vetro e acciaio. Gli spazi commerciali sono organizzati al piano terra e al primo piano, mentre il terzo e quarto piano ospitano gli uffici (vi è inoltre un piano tecnico aggiuntivo). Poiché la forma dei piani è determinata dalla configurazione della facciata essi variano dai 950 metri quadrati del piano terra ai 250 metri quadrati del piano uffici più in alto. A eccezione della scala, non vi sono elementi verticali a bloccare la connessione visiva degli spazi interni. Per questo significativo edificio l’impiego di una progettazione strutturale di alta qualità e la precisione costruttiva sono stati elementi essenziali. Il sistema strutturale è progettato come una griglia di acciaio a forma libera con reti triangolari fissata sulla parte posteriore dell’edificio. Le forze verticali e le risultanti reazioni orizzontali sono sostenute dai solai di cemento. Il guscio della struttura è rivestito da elementi triangolari di vetro (34 mm di spessore) e da pannelli triangolari di metallo isolanti, fatti di lastre di acciaio rivestite da 2 mm di polvere di poliestere che sono sostenuti direttamente dalla maglia di acciaio con due fasce di guarnizioni a tenuta stagna come strati intermedi. Per ottenere la massima sicurezza in termini di tenuta stagna, il sistema incorpora un sistema di guarnizioni portanti che costituiscono una seconda linea di difesa all’ingresso dell’acqua. I pannelli di vetro e acciaio sono fissati ai profili di acciaio con cappellotti esterni a pressione di alluminio per contrastare il risucchio del vento. In alcuni punti del guscio i pannelli sono fissati alla struttura di acciaio in modo invisibile grazie a un sistema di giunti interni. Le giunzioni tra i pannelli sono sigillate con mastice di silicone. Questa architettura, che inizialmente può apparire pacata, si rivela invece piena di tensione e la sua rete di dinamiche sviluppa una grande potenza. Può essere il segnale per un futuro dinamico e per lo sviluppo della città.
Following the outline of the Master plan in 1998 for the center of Eindhoven in the Netherlands, Studio Fuksas developed the four projects associated with it: the 18-Septemberplein, the Piazza Shopping Mall, the Media Market, and the recently completed Admirant Entrance Building. This new building is located just at the border between the new quarter and the 18-Septemberplein, forming the main gateway to a new shopping axis. This prominent position called for an iconic building. Compared with the immediate surroundings, the new architecture seems to be at a first glance like a product of the distant future. Fluid, amorphous or organic are terms which cross one’s mind for this architecture full of movement. Dynamics go in different directions and with varying intensity. There are the four big indents of the building envelope, which create a diversity of spatial configurations on the inside and outside of the building. The façade consists of triangular elements. They are directionless, fast, and lead the viewer, caused by the network of lines, to an overall picture of the architecture. This flow of speed has its origin in the contrast of the two facade materials. Open and closed surfaces alternate smoothly and flow over softly. Crystalline, the maritime blue of the glass is in contrast to the dense and clear white panels. Looking at this from a certain distance, it is noticeable that the building is in a rotation. Perhaps a similar appearance to a marine mammal that erupts for air. Due to the non-orthogonal shape, the Admirant is non-directional. There is no front or back; the building envelope is experienced continuously. Its smooth curves allow a dynamic flow around it. The geometry of the façade varies from vertical surfaces to amorphous shapes, which create a dynamic inside of the building and allows an experience of the facade completely detached from the floor levels. Sophisticated details of the connection of the floor edge to the facade underline this experience. The 5-storey high primary concrete-structure contrasts with the glass/steel envelope. Commercial spaces are located on the ground and first level and office spaces on level three and four (plus an additional technical level). The shape of the floor slabs being determined by the form of the façade reach from 950 square metres on the ground floor to 250 square metres on the highest office level. Except for the staircase, no vertical elements block the visual connections on the inside of the building. The outstanding design used exceptionally high quality structural design and precise fabrication was essential. The structural system is designed as a free form steel grid with triangular meshes and it is fixed back to the building. The vertical forces and resulting horizontal reactions are supported by the concrete slabs. The envelope structure is clad with triangular insulated glass units (34 mm thickness) and triangular insulated metal panels, made of 2 mm polyester powder coated steel sheets that are directly supported by the steel grid with two lines of water-tight gaskets as an interlayer. In order to obtain a maximum of safety with respect to water tightness the system comprises of a carrier gasket system, which provides a secondary line of defence to water ingress. The glass and steel panels is retained against wind suction with external aluminum pressure caps fixed to the steel profiles. At some parts of the envelope the panels are invisibly fixed to the steel structure using a toggle system. The joints between the panels are filled with silicone mastic to provide a weather seal. This architecture seems sluggish at first, but is in fact full of tension, whose network of dynamics develops an enormous power. It may be a signal for a dynamic future and development of the city.
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Moreno Maggi
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Pianta del terzo piano. Third floor plan.
Pianta del secondo piano. Second floor plan.
Pianta del primo piano. First floor plan.
Pianta del piano terreno. Ground floor plan.
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Pianta della copertura. Roof plan.
Da sinistra a destra, prospetto nord e prospetto sud. From left to right, north elevation and south elevation.
Da sinistra a destra, sezioni trasversali BB e CC. From left to right, BB and CC cross sections.
Sezione longitudinale AA. AA longitudinal section.
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Moreno Maggi
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Credits Project: Studio FuksasMassimiliano e Doriana Fuksas Consultants: Waagner Biro Stahlbau (Faรงade realitation): Knippers-Helbig Beratende Ingenieure (Structure roof and facade) Client: Rond de Admirant CV Moreno Maggi
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Nelle pagine precedenti viste dell’Admiral Entrance Building a Eindhoven (Olanda) che segna l’ingresso al nuovo asse commerciale del centro città. La volumetria, individuata dal disegno fluido delle superfici bombate, crea un continuum dinamico dove fronte e retro si confondono in un involucro avvolgente. In queste pagine, particolari del sistema strutturale dell’involucro in vetro e acciaio sostenuto da una griglia d’acciaio a forma libera.
Previous pages, views of the Admiral Entrance Building in Eindhoven (the Netherlands), which marks the entrance to the new commercial thoroughfare through the city centre. The structural design, featuring a fluid pattern of rounded surfaces, creates a dynamic continuum in which the front and rear blend together in an enveloping shell. These pages, details of the structural system of the glass and steel shell supported by a freely designed steel grid.
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Moreno Maggi
Moreno Maggi
Moreno Maggi
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Particolari interni ed esterni dell’involucro dell’edificio formato dalla composizione di elementi triangolari in vetro e pannelli triangolari in metallo isolanti supportati dalla maglia strutturale d’acciaio con due fasce
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di guarnizioni a tenuta stagna come strati intermedi.
Internal and external details of the building shell formed out of a composition of triangular glass features and triangular
panels made of insulating metal supported by the steel structural web, with two strips of watertight seals as intermediate layers.
Rob H’Art Bob Hoekstra
Moreno Maggi
Rob H’Art Rob H’Art
Moreno Maggi
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Maurizio Bianchi
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MILANOFIORI NORD BUSINESS PARK (designed by) Erick van Egeraat
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Uno dei maggiori interventi immobiliari d’Europa, improntato al risparmio energetico e connotato da un’immagine di forte impatto e rispetto dell’ambiente circostante.
One of the major developments in Europe, conceived for minimum energy consumption and with a strong but respectful impact with the surrounding environment.
Il Milanofiori Nord Business Park è uno dei più grandi sviluppi immobiliari d’Europa del suo genere. Il masterplan per l’area è stato sviluppato a partire dal 2003 da Erik van Egeraat e specificatamente concepito per rispondere alla domanda crescente di uffici di alta qualità a Milano. L’intero intervento costituirà un’entità autosufficiente che con una superficie di 218.000 metri quadrati sarà in grado di offrire una grande varietà di servizi, tra cui uffici, residenze, spazi commerciali, negozi, luoghi per il tempo libero, un cinema, un albergo e strutture per l’educazione. I sette edifici per uffici lungo l’autostrada A7 formano un insieme di forte impatto, visibile da lunga distanza. Sono la parte più rappresentativa del business park e costituiscono l’ingresso principale all’area di nuovo sviluppo. Gli edifici sono posizionati in modo tale da offrire ciascuno ampie viste panoramiche verso le diverse zone interessate dal masterplan. Mentre i due edifici centrali, affacciati sull’ingresso dell’asse metropolitano tendono a creare un’atmosfera più urbana e vivace, gli altri cinque sono inframezzati da distanze maggiori che consentono l’introduzione di grandi spazi pubblici e giardini che contribuiscono in modo decisivo all’apparenza verde del business park. Ciascuno degli edifici ha una classificazione di Tipo A in termini di consumo energetico. Tra i fattori che contribuiscono a tale risultato vi sono il riciclo delle acque al suolo per il sistema di condizionamento dell’aria, l’uso di pannelli solari, i materiali e le tecnologie costruttive impiegate con l’obiettivo di ridurre al minimo il consumo di energia. E’ stata fatta la precisa scelta di utilizzare materiali ed elementi costruttivi provenienti dagli immediati dintorni in modo da ridurre al massimo l’impatto inquinante dei trasporti necessari per i grandi volumi richiesti. Con una doppia facciata, che rappresenta una duplice realtà, gli edifici si pongono in relazione con l’ambiente che li circonda. Da un lato, una facciata bianca con aperture irregolari e bovindi suggerisce l’uscita da Milano verso le aree periferiche rurali a sud della città. Per contro, una facciata più colorata, vivace e articolata rappresenta l’ingresso al concitato centro cittadino. L’articolazione volumetrica, i colori, le forme e i materiali sono diversi tra un edificio e l’altro, creando così una sequenza di volumi che sono simili concettualmente, ma, allo stesso tempo, esprimono grandi differenze e caratteri individuali, che rappresentano un valore aggiunto per ciascuno di essi. La sequenza di edifici per uffici è stata realizzata in due fasi. La prima fase, praticamente conclusa, comprende i quattro volumi a sud per un totale di circa 50.000 metri quadrati. La seconda fase è costituita dai tre edifici a nord. Insieme copriranno una superficie stimata di circa 40.000 metri quadrati e se ne prevede il completamento entro il 2012.
Milanofiori North Business Park is one of the biggest developments in Europe in its kind. The Masterplan for the area was developed in 2003 by Erick van Egeraat and specifically conceived to address the rising demand for high quality offices in Milan. The entire development will be a self-contained entity covering 218,000 square metres and offers a variety of functions, including offices, housing, commercial, retail and leisure facilities, a cinema, a hotel and education facilities. The seven office buildings along the A7 highway form an iconic ensemble that is visible from afar. They are the most representative part of the business park and constitute the main entrance to the site. The buildings are positioned in such a way that each offers broad views towards the different parts of the Masterplan. While the two central buildings facing the entrance of the metropolitan line tend to create a more urban and vibrant atmosphere, the other five are interspaced at a greater distance, allowing the introduction of large public spaces and gardens between them which contribute to the explicitly green appearance of the business park. All individual buildings are classified type A for energy consumption. Among the factors that contribute to this are soil water recycling for air conditioning and the use of solar panels as well as different materials and building technologies aimed at limiting energy consumption to a minimum. A conscious choice was made to use materials and construction elements from the near surroundings as much as possible in order to reduce the pollution impact of transportation needs for the great amount of material required. By presenting a dual façade facing a dual reality, the buildings relate with their greater surroundings. On one side, a white façade with irregular openings and bay windows suggests the exit from Milan towards the rural peripheral areas south of the city. By contrast, a more colorful, vivid and articulated façade represents the entrance to the busy city centre. Volumetric articulation, colors, forms, and materials differ from one building to another, creating a sequence of buildings that are similar conceptually but at the same time show great diversity and individuality, adding a different value to each building. The office building sequence is being constructed in two phases. The first phase is nearing completion and comprises the southern four buildings of approximately 50,000 square metres in total. The second phase consists of the last three buildings to the North. Together they cover an estimated 40,000 square metres and are scheduled for completion in 2012.
Masterplan del complesso Milanofiori Nord Business Park che una volta ultimato occuperà un’area di 218.000 metri quadrati, tra le più vaste d’Europa, destinata principalmente a uffici con spazi commerciali, residenze, servizi, strutture per lo svago e il tempo libero.
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Master plan of the Milanofiori Nord Business Park which, when it is finished, will cover an area of 218,000 m², one of the biggest in Europe, mainly designed for offices with commercial spaces, residential facilities, services and leisure-entertainment facilities.
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Credits Project: (designed by) Erick van Egeraat Masterplan 2005: (designed by) Erick Van Egeraat Architect: Erick van Egeraat Associates:
Aude de Broissia Project Team: Massimo Bertolano, Uri Yeger, Matteo Garbagnati, Luca Mariani, Matteo Bettoni, Jolanta Olek, Mauricio Schiavetti, Michele Stramezzi,
Alessandra Pepe, Alex Axinte, Daniel Silveira, Eduardo Ianncelli, Itziar Lamy Pecina, Lorenzo Pesaresi, Marco de Giovaninni, Marco Vitali, Patricia Mata Mayrand, Rene Dlesk, Roy Nash,
Silvio Carta, Yann Morel Contributors: Claudia Pasquero, Claudia Valadinhas, Csaba Czuczka, Daniele de Benedictus, Dimitri Suchin, Fabiana Toni, Fernado da Col, Frank Huibers,
Gertjan Nijhof, Harry Kurzhals, Helena Siova, Ido Laor, Igor Hobza, Inaki Arbelaiz, Ivan Sergejev, Jaroslav Saroun, Jürgen Ozdurak, Koen Smulders, Laslo Fecske, Leon Wielaard,
Lucia Ortiz, Luisa Scapolla, Maria Garcia Serdio, Michiel Raaphorst, Ming-YingTsai, Nathalie Balini, Ruddy Valverde, Samanta de Jong, Sufia Agisheva, Tatijana Gorbachevskaja, Vladin Petrov
Renderings: Luca Mariani, Steven Simons, Rene Dlesk Consultants: 2005 Convenzione con il Comune di Assago annessa al P.P.: Urban Consultant Studio Capelli Architettura & Associati; 2008 variante al P.P. con nuova Convenzione con il Comune di Assago: Urban Consultant studio FOA Ferderico Oliva associati Preliminary Advanced Project and Art Direction: (designed by) Erick Van Egeraat Executive Project (architectonicstructural-plants) and Works Management: Intertecno Excavations and Earth Works: Giada Macchine Poles Foundations: I.CO.P, Lavori Speciali, Berlanda Fondazioni General Contractors: Unionbau, PFB, Adanti Metalworks: Stahlbau Pichler, Lietti Facade System and Glass: Gualini, Steelma Frameworks, Mural Painting, False Ceilings: Cosmi. Lighting: Landi, Elettromeccanica Galli, SIEG Interior Flooring: Crespi Lifts: Kone Air-Conditioning: Castagnetti, Grossi & Speier, Gianni Benvenuto Security Systems, Electrical Plants: Landi, Elettromeccanica Galli, SIEG Offices Bldg U4, U7 Electrical, Mechanical and Special Plants: A.T.I. Elettromeccanica Galli, Ingg. Grossi e Speier. Offices Bldg U9 Electrical, Mechanical and Special Plants: A.T.I. Landi, Augusto Castagnetti (now Omega Concept Impianti e Sistemi) Offices Bldg U10 Electrical, Mechanical and Special Plants: A.T.I. Landi, Augusto Castagnetti (now Omega Concept Impianti e Sistemi) Internal Floors: Tecnogivex False Ceilings: La Lombarda s.r.l. Hotel – Fitness – Multisala – commercial - paracommercial Electrical, Mechanical and Special Plants: A.T.I. Gianni Benvenuto e SIEG, Furiga Impianti (fitness area) Client: Brioschi Sviluppo Immobiliare (Milanofiori 2000)
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Maurizio Bianchi
Dall’alto, pianta del piano terreno, pianta di un piano tipo e vista aerea del complesso. L’articolazione degli edifici è stata studiata al fine di consentire ampie panoramiche sulle diverse aree del masterplan.
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Top, plan of the ground floor, plan of a standard floor and aerial view of the complex. The layout of buildings is designed to provide wide views across the various different areas incorporated in the master plan.
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Facciata sud. South facade.
Facciata nord. North facade.
Sezione longitudinale su due blocchi di edifici. Longitudinal section across the two blocks of buildings.
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Maurizio Bianchi
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The buildings feature two different types of façade. A uniform and composed style has been used over in the most peripheral areas towards the outskirts of the city, featuring white facades with irregular apertures and bay windows. Over on the side facing towards Milan, the structures are enlivened by more elaborate surfaces brightened up by introducing various different colours
Maurizio Bianchi
Gli edifici si caratterizzano per due diversi trattamenti di facciata, verso le zone più periferiche ai confini con la città viene utilizzato un registro più uniforme e composto, declinato da facciate bianche, ritmate da aperture irregolari e bovindi. Verso Milano, i volumi si animano con superfici maggiormente articolate vivacizzate dall’introduzione di diverse colorazioni.
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Lungo l’autostrada A7, il complesso disegna un nuovo paesaggio costruito e fortemente connotato, visibile anche da una lunga distanza. Le variazioni cromatiche, formali e materiche che caratterizzano i vari edifici, pur mantenendo una stessa coerenza linguistica, creano una sequenza architettonica di notevole impatto che arricchisce il paesaggio indifferenziato dell’intorno metropolitano con un nuovo segno di qualità.
The complex creates a new and highly distinctive builtscape along the A7 motorway, which can even be seen from afar. The variations in colour, style and materials characterising the different buildings create a highly striking architectural sequence, while maintaining a certain linguistic consistency, which enhances the sprawling landscape of its metropolitan surroundings by introducing a new landmark of great quality.
Maurizio Bianchi
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Details of the facades characterising the built structures. At the present time, four building have been completed over in the south section covering a total of 50,000 square metres. A second phase of building will complete operations by constructing three other blocks to the north by 2014. All the buildings have Type A energy rating.
Maurizio Bianchi
Maurizio Bianchi
Maurizio Bianchi
Maurizio Bianchi
Particolari delle facciate che contraddistinguono i volumi costruiti. Attualmente sono stati ultimati 4 edifici a sud per un totale di 50.000 metri quadrati. Una seconda fase prevede il completamento con altri tre blocchi a nord per il 2012. Tutti gli edifici sono di classe energetica Tipo A.
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Maurizio Bianchi Maurizio Bianchi
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AFFORI CENTRE MILANO Goring & Straja Studio
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Rinnovo di un complesso risalente agli anni Sessanta realizzato con un particolare riguardo a tre fattori essenziali: l’aumento di flessibilità; concentrare l’investimento su quel che migliora commercialmente l’immobile; attenzione alle tematiche ambientali e di risparmio energetico.
Redeveloping a complex dating back to the 1960s paying special attention to three key factors: increasing stability; focusing investment on what is likely to improve the property from a commercial viewpoint; and a renewed awareness to environmental and energy-saving issues.
Affori Centre è situato nel quadrante nord-ovest della città di Milano, a ridosso della seconda cerchia, in un'area che si configura come un’estensione del quartiere degli affari di Milano. L’idea fondante di questo progetto è stata quella di riunire i tre edifici in un unico complesso di 12.000 metri quadrati grazie a un hub centrale vetrato a tutta altezza che funge da collegamento verticale e orizzontale dell’intero sistema. Questa grandiosa hall di ingresso è caratterizzata all’interno da un elegante pavimento in travertino e da pareti rosse che colorano la distribuzione ai cinque piani di uffici, al piano terra con i servizi e gli impianti e ai due piani di parcheggi interrati. Attraverso un piano integrato di interventi e meccanismi di spostamento e traslazione sono stati valorizzati 1.800 metri quadrati concessi dal Comune che hanno permesso di aggiungere un piano supplementare ad ogni stabile, con un grande guadagno di valore commerciale per metro quadro. La creazione di un atrio chiuso consente di collegare i tre edifici in modo da aumentare la funzionalità per l’utilizzo di un unico o più fruitori. Il progetto ha inoltre permesso di raddoppiare il numero dei posti auto già esistenti. Particolare attenzione è stata posta verso le nuove normative in tema di ecosostenibilità e risparmio energetico. Gli strumenti utilizzati dal punto di vista energetico sono stati: controllo solare, coibentazione, efficienza dei sistemi meccanici e pannelli solari. Il grande atrio usufruisce di ventilazione naturale in estate e di calore espulso in inverno. La nuova facciata è stata progettata per offrire il massimo in termini di termoregolazione naturale sia in estate che in inverno. Orientata a sud ovest, è una facciata vetrata a tutt’altezza costituita da superfici vetrate ad alte prestazioni in termini di riduzione dell'irraggiamento solare e dotata di un sistema di brise-soleil in policarbonato che assicura un buon ombreggiamento nei periodi estivi e consente una buona illuminazione nei periodi invernali quando l'angolo solare è più basso. La presenza del brise-soleil consente un risparmio energetico che può oscillare tra il 15 e il 25%. In quest’ottica, Affori Centre permette di trarre vantaggio, con un investimento minore, del controllo della luce per creare anche un elemento d’immagine forte e riconoscibile. Un altro carattere distintivo è la quantità di spazi creati che sono a metà strada fra lo spazio esterno esposto e spazi interni condizionati. I giardini interni e l’atrio sono esempi di questi ambienti che invitano l’utilizzatore a fluire maggiormente dell’immobile e trarne beneficio. Affori Centre si è guadagnato la classe energetica B e il livello Gold nella certificazione Leed, che attesta le elevate prestazioni in termini di sostenibilità ambientale.
Affori Center is situated in the north-west quadrant of the city of Milan, close to the second peripheral ring, in an area which is shaped like an extension to Milan’s business district. The grounding idea behind this project was to combine the three buildings into one single 12,000 square metres complex thanks to a full-height glazed and central hub, which acts as a vertical and horizontal link for the entire system. The grandiose entrance hall features elegant travertine flooring on the inside and red walls decorating the five levels of office space, with the utilities and other systems on the ground floor and two levels of underground parking. Thanks to an integrated programme of special operations and other procedures, the 1800 m² provided by the City Council were enhanced by adding an extra level to each construction resulting in a significant gain in terms of commercial value per square metre. The creation of an enclosed lobby allows the three buildings to be connected in a way which increases their practical usage by one or more users. The project has also made it possible to double the number of previously available parking spaces. Special attention was focused on new regulations in terms of ecosustainability and energy-saving. The tools used from an energy viewpoint were: solar control, insulation, the efficiency of the mechanical systems and solar panels. The large lobby has not been air-conditioned but rather exploits natural ventilation in summer and expelled heat in winter. The façade is designed to provide the maximum in terms of natural heat control both in summer and winter. Facing south-west, it is a fullheight glazed façade composed of high-performance glass surfaces in terms of reducing solar radiation and is equipped with a system of polycarbonate shutters, which provide good shading over the summer months and good lighting in the winter when the sun is low. The presence of shutters allows energy savings of between 1525%. From this point of view, Affori Center makes it possible to exploit light control through just a small investment, while also creating a highly striking and distinctive image. Another distinctive feature is the amount of new spaces created, which are something between outside space and air-conditioned interior spaces. The internal gardens and lobby are examples of these settings, which invite users to make a much more extensive usage of the property and really enjoy its benefits. Affori Center has obtained class B energy rating and gold level LEED certification, which grades performance in terms of environmental facility.
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Nella pagina a fianco, il complesso Affori Centre a Milano risultato dalla ristrutturazione e modernizzazione di un complesso costruito negli anni Sessanta. A sinistra, particolare del sistema di brise soleil in policarbonato che assicurano un buon ombreggiamento nei periodi estivi e una buona illuminazione nei periodi invernali.
Opposite page, the Affori Centre in Milan resulting from the restructuring and modernisation of a complex built in the 1960s. Left, detail of the sunscreen system made of polycarbonate, which guarantees good shading in summer and good lighting in winter.
Credits Project: Goring & Straja Studio Plants Project: BRE Landscaping: Goring & Straja Studio General Contractor: Walways Moquette: Liuni Base Cladding: Unicrete Facades, Glass: Zambonini Lifts: Schindler Floor (Hub): Rigo Marmi Floor (Terraces): Cotto d’Este Elevated Floor: Aquapanel Knauf Resin Floors: SikaFloor Toilets Cladding: Porcelanosa Reception Desk: DSA Interni Reception Furniture: Moroso (sofas) Greenery: Arcadia Impianti Sanitary: Flaminia Interior Lighting: 3F Filippi Walkways Lighting: Norlight Toilets Lighting: Tin Square Flos Developer: CBRichard Ellis investors
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Il sistema di brise-soleil protegge la facciata vetrata a tutt’altezza a sud ovest garantendo un risparmio energetico tra il 15% e il 25%. Grazie a queste prestazioni, il complesso permette di potenziare il controllo della luce creando nel contempo un elemento dall’immagine fortemente identificabile.
The sunscreen system protects the full-height glass façade to the south-west guaranteeing energy savings of between 15%-25%. Thanks to ratings like these, the centre has control over its lighting while, at the same time, creating a visually striking landmark.
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Dal basso verso l’alto, planimetria generale, piante del piano tipo e del quinto piano. Nella pagina a fianco, particolare dell’atrio a tutt’altezza che usufruisce di ventilazione naturale in estate e di calore espulso in inverno.
From the bottom up, site plan, plans of a standard floor and the fifth floor. Opposite page, detail of the fullheight glazed lobby, which exploits natural ventilation in summer and ejected heat in winter.
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Nella pagina a fianco, particolari del grande atrio vetrato e sezioni trasversali. In questa pagina, gli spazi interni che grazie al sistema di facciata offrono ambienti confortevoli e ampiamente illuminati.
Opposite page, details of the large glazed lobby and cross sections. This page, the interiors, which, thanks to the façade system, offer comfortable and brightly lit settings
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NUOVE STRUTTURE DIREZIONALI AT FIERAMILANO RHO-PERO 5+1AA, Alfonso Femia, Gianluca Peluffo, Jean-Baptiste Pietri Architectes
Il centro direzionale di Fieramilano a Rho si pone l’obiettivo di dialogare con il complesso architettonico della Fiera, pur mantenendo una propria autonomia estetica e formale.
The Fieramilano Business Centre in Rho sets out to interact with the Trade Fair’s main architectural complex while keeping its own aesthetic and stylistic independence.
Associati a Jean-Baptiste Pietri, gli architetti dello studio 5+1 propongono una torre orizzontale (132,65 m x 48,10 m di altezza x 16 m di profondità su una base a 1,20 m dal suolo) prossima agli altri edifici, che risponde completamente alle richieste funzionali ed economiche della committenza. Considerati i limiti del contesto, la scelta dell’orizzontalità dell’edificio è sembrata la più logica per creare un legame tra la città e il sito dell’esposizione. La torre orizzontale è in grado di relazionarsi in maniera differente a sud-est, con le coperture della Fiera, e a nord-ovest, dove la Fiera si rivolge a Milano: una lama monolitica che si frammenta “spogliandosi” da nord a sud e rivelandosi come due edifici, uniti e separati al contempo da un foyer a tutta altezza. Dal punto di vista cromatico, le architetture sono definite dal colore dell’oro: non solo, infatti, la facciata ovest è totalmente rivestita di lastre dorate, ma a tale tonalità rimanderà anche la luce naturale, valorizzata dalla particolare conformazione delle altre tre facciate, costituite da vetrate trasparenti color grigio fumè, con una struttura frangisole esterna realizzata con pannelli color bronzo/oro. I frangisole, che si diradano procedendo da sud a nord, alternano trasparenze e opacità, specchiature e semitrasparenze e conferendo alla struttura la preziosità delle variazioni della luce solare, percepibile in particolar modo all’alba e al tramonto, con la luce radente. L’edificio è concepito come una successione di “torri orizzontali”, determinate da un criterio compositivo classico: basamento, elevazione e coronamento. Il primo, rialzato rispetto al piano della strada, accoglie e separa i flussi di persone in una successione di spazi che ora si dilatano (foyer a tutta altezza) ora si comprimono (mense e uffici). L’elevazione è caratterizzata da un taglio orizzontale a doppia altezza, che crea un momento di sospensione tra terra e cielo, dove il paesaggio è inquadrato da una “rete” di trasparenze e riflessi. Il coronamento, infine, è rappresentato da un giardino verticale, inciso da fenditure che permettono al visitatore di avvicinarsi al perimetro trasparente dell’edificio. La scelta di creare un unico organismo, articolato in due edifici separati, permette di raggiungere in maniera soddisfacente tutti gli obiettivi richiesti dal bando in termini d’efficienza distributiva, gestionale ed energetica. Sul fronte della sostenibilità ambientale, le soluzioni adottate hanno non solo lo scopo di ridurre i consumi d’acqua ed energia, impiegando al massimo fonti rinnovabili (l’edificio rientra in classe energetica A), ma anche di migliorare le condizioni di benessere degli occupanti, dal punto di vista termico, acustico, visivo e di completa fruizione degli spazi. Nell’ambito della progettazione, sono stati anche ripensati gli spazi esterni: un sistema articolato di rampe, scalinate e piani inclinati, costituisce il basamento su cui poggiano gli edifici e rappresenta una sorta di “soglia” che separa lo spazio interno da quello esterno. Il basamento e il foyer sono di marmo del tipo “Nero Michelangelo”, su cui si innestano le scale bianche, rifinite in travertino. Gli spazi esterni sono trattati prevalentemente a verde, mentre un sistema d’illuminazione a grappolo differenzia i percorsi pedonali da quelli automobilistici.
In association with Jean-Baptiste Pietri, the architects at 5+1 have designed a horizontal tower (132.65 m x 48.10 m high x 16 m wide on a base raised 1.2 m off the ground) , which fully complies with the client’s functional and financial demands. Considering the contextual limitations, opting for a horizontal building seemed the most logical way to create a bond between the city and exhibition site. The horizontal tower can actually interact in different ways with the roofs of the Trade Fair over on the south-east side and the north-east side were the Trade Firm faces towards the city of Milan: a monolithic blade is fragmented as it “bares itself” from north to south and actually turns out to be two buildings simultaneously joined and separated by a full-height foyer. As regards the colour scheme, the architecture features the colour gold: the west façade is completely covered with golden-coloured sheets, the same shade evoked by natural light enhanced by the peculiar shape of the other three facades composed of smoky grey-coloured transparent glass windows with an external sunscreen structure made of bronze/gold-coloured panels. The sunscreen shutters stretching from south to north feature an alternating combination of transparency and opacity, reflective glass and semitransparent panels, aimed is embellishing the structure with all the variations in colour of sunlight, most notably at dawn and dusk in the form of radiant light. The building is designed like a sequence of “horizontal towers” designed along classical compositional lines: basement, elevation and crown. The basement, which is raised in relation to street level, encompasses and separates flows of people in a sequence of spaces which either dilate (full-height foyer) or are compressed together (canteens and offices). The elevation features a double-height horizontal cut, which creates a moment’s suspension between the ground and sky as the landscape is framed in a “web” of transparencies and reflections. Finally, the crown section takes the form of a vertical garden with slits cut into it to allow visitors to move closer to the building’s transparent perimeter. The decision to create one single organism divided into two separate buildings allows all the targets set by the tender in terms of distributive, managerial and energy efficiency to be satisfactorily achieved. As regards environmental sustainability, the chosen solutions are not only designed to reduce water and energy consumption by making maximum use of renewable sources (the building has a class A energy rating) but also to improve the well-being of its occupants from a heat, sound and visual viewpoint and in terms of the total exploitation of spaces. The design project has also reconsidered the exterior spaces: an elaborate system of ramps, stairways and sloping planes forms a basement on which the buildings rests and also acts as a sort of “threshold” separating the interior space from the exterior space. The basement and foyer are made of “Nero Michelangelo”-type marble and accommodate the white stairways finished in travertine. The exterior spaces are mainly landscaped, while a system of cluster lighting distinguishes the pedestrian paths from those for vehicles.
Particolare del rivestimento in pannelli color oro/bronzo che caratterizza la facciata posteriore del centro direzionale di Fiera Milano a Rho.
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L’edificio di 13 piani su 50 m di altezza per oltre 130 m di lato privilegia la dimensione orizzontale coerentemente alle condizioni del contesto circostante.
Detail of the gold/bronze-coloured cladding panels characterising the rear façade of the Fiera Milano Business Centre in Rho. This 13-storey building is 50 metres high
and over 130 metres long, favouring horizontality in accordance with its surroundings.
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Ernesta Caviola
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Particolare della facciata ovest rivestita in lastre dorate dove si alternano giochi di svecchiature e trasparenze che giocando con le variazioni di luce solare danno origine a un insieme dinamico percepibile come un segnale forte e identificato anche dalla vicina autostrada.
Sezione trasversale e planimetria generale./Cross-section and site plan.
Pianta del settimo piano./Seventh floor plan.
Pianta del sesto piano./Sixth floor plan.
Pianta del piano primo./First floor plan.
Pianta del piano terreno./Ground floor plan.
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Details of the west façade clad with golden-coloured sheets featuring an alternating combination of reflective glass and transparency playing with variations in sunlight to create an overall sense of dynamism perceived as a powerful and highly distinctive landmark even from the nearby motorway.
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Ernesta Caviola
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Ernesta Caviola
Ernesta Caviola
Le due facciate della torre orizzontale, una lama monolitica che si frammenta da nord a sud rivelandosi come due edifici declinati dai differenti trattamenti di facciata. L’edificio coniuga alla marcata
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rappresentatività architettonica, soluzioni tecnologiche certificate in base ai criteri della classe energetica A.
The two facades of the horizontal tower, a monolithic blade
which fragments from north to south actually turning out to be two buildings featuring different façade styles and textures. The building combines a highly distinctive architectural design with technological
features certified according to class A energy ratings.
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Ernesta Caviola
Giuseppe Maritati
Giuseppe Maritati
Giuseppe Maritati
Giuseppe Maritati
Giuseppe Maritati
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In queste pagine particolari degli ambienti interni. Il corpo centrale a tutt’altezza segna e nel contempo unisce i due blocchi laterali dove sono organizzati gli uffici. L’interpiano uffici di 3,70 metri viene raddoppiato in un unico ambiente a piano terra dove si aprono l’ingresso, la reception e la mensa, e al quinto piano occupato dalle sale riunioni e conferenza.
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These pages, details of the interiors. The full-height central section marks and at the same time joins together the two lateral blocks holding the offices. The 3.70 metre inter-level of offices is doubled into one single premises on the ground floor, where he entrance, reception and canteen are located, and is taken up by meeting and conference rooms on the fifth floor.
Giuseppe Maritati
Giuseppe Maritati
Ernesta Caviola
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Credits Project: 5+1AA Alfonso Femia, Gianluca Peluffo Associated Architect: Jean-Baptiste Pietri Arcitectes Architectonic and Landscaping Project: 5+1AA Alfonso Femia Gianluca Peluffo srl con Jean-Baptiste Pietri Architectes Programming: Sistema Progetto s.p.a Structures, Infrastructures and Traffic: I Quadro Ingegneria Plants Engineering, Environmental Study, Acoustic aspects: AI Engineering srl, Ai Studio Project Management and General Coordination: Ai Studio, 5+1AA General Contractor: Italiana Costruzioni (Gruppo Navarra) Sub Contractor: C.R.S. Steel Structures: Arcelor Formworks: Doka Italia Concrete: Unical Facades: Stahlbau Pichler Diamond Glass Blocks: Seves Ventilated Facade: Cel.Mac.S. for SwisspearlÂŽ Glasses: Vetrobergamo Electrical and Special Plants: Gewiss BMS: Siemens Heat Pumps: Climaveneta Ceiling Radiating Panels: Rirradia Hydraulics Plants: Geberit Lighting Appliances: Norlight, Martini Client: Sviluppo Sistema Fiera
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TORTONA 37 Matteo Thun & Partners
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Un complesso a uso misto nel cuore del dinamico quartiere Tortona a Milano, caratterizzato dall’eleganza delle linee e da un’accurata scelta di materiali in funzione del massimo rendimento energetico.
A mixed-purposes complex right in the heart or the dynamic Tortona neighbourhood of Milan, featuring elegant stylistic lines and carefully chosen materials geared to maximum energy efficiency.
Il quartiere Tortona a Milano è un’area ex-industriale che si è trasformata negli ultimi anni in un dinamico e prestigioso quartiere, con un’offerta assai ampia di funzioni e attività sia lavorative che artistiche e per il tempo libero. Il complesso di via Tortona 37 unisce la creatività con la sostenibilità. L’architettura si fonde facilmente con l’ambiente urbano e naturale in un rapporto fluido e ordinato tra il genius loci e le dimensioni della nuova costruzione. I cinque edifici risanati utilizzano tecnologie energetiche innovative ed efficienti ridando a un ex sito industriale di 25.000 metri quadrati una nuova dimensione e funzionalità urbane. Situati attorno un ampio giardino interno con un cuore di alberi, gli edifici rettangolari di sei piani sono progettati deliberatamente a un basso impatto ambientale. Ogni interno è diversamente orientato e consente a tutte le unità una apertura delle facciate su due lati. Questo vantaggio è potenziato dalla doppia altezza (7 metri) degli ambienti e da aree aperte in combinazione con soppalchi integrati che garantiscono la massima versatilità funzionale. Showroom, studi, negozi e uffici trovano il proprio design su misura: l’interno offre spazi altamente flessibili che forniscono anche la stabilità a lungo termine per l'uso sostenibile. L’esterno offre un isolamento completo e protegge l'edificio dalle temperature estreme. E’ circondato da una griglia bianca che è interrotta da vetrate rivestite in legno come protezione dal sole che collegano le grandi vetrate dell’intero complesso. La facciata di vetro ha anche un sistema di tende esterne per ridurre la radiazione solare diretta fino al 87% e per evitare così il surriscaldamento degli ambienti in estate. Le terrazze sul tetto forniscono un'ampia panoramica sulla città. Eco-sostenibile, la tecnologia geotermica utilizza la temperatura costante delle acque sotterranee per la produzione di acqua calda e fredda. Questo viene convogliato in un bacino sotterraneo per essere poi distribuito freddo o caldo mediante pompe di calore a ciascuna delle singole unità immobiliari. Pannelli radianti e il riscaldamento a pavimento forniscono una temperatura ideale, un sistema di ventilazione silenzioso regola la temperatura. Il nuovo complesso assicura un alto rendimento energetico a zero emissioni e senza alcun impatto acustico o ambientale.
The Tortona neighbourhood of Milan is a former industrial site transformed over recent years into a lively and prestigious quarter offering an extremely wide range of business, artistic and leisure services and facilities. The complex at no. 37, via Tortona, combines creativity with sustainability. The architecture blends into the urban and natural settings and allows the genius loci to dictate the scale and design of the new construction. The five redeveloped buildings draw on innovative and efficient energy technology that helps restore them to the city on this former industrial site covering 25,000 square metres. Set around a spacious internal garden with trees in the middle, the rectangular six-storey buildings are deliberately designed to cause low environmental impact. Each interior faces a different direction and allows all the facades of the various units to face along two sides. This has the benefit of allowing a double-height (7 metres) premises providing open areas in combination with carefully incorporated mezzanines guaranteeing maximum functional versatility. Showrooms, studios, shops and offices find their own custom designed-setting: the interior provides highly flexible spaces ensuring long-term stability for sustainable usage. The exterior is totally insulated and protects the building against extreme temperatures. It is surrounded by a white grid, which is interrupted by glass windows clad with wood to provide shelter against the sun, which join together the large glass windows of the entire complex. The glass facade also has a system of outside curtains to reduce direct sunlight by up to 87% and thereby prevent the premises from overheating in summer. The roof terraces afford extensive panoramic views across the city. Eco-sustainability based on geothermal technology exploits the constant temperature of ground water to generate hot and cold water. This is then conveyed into an underground basin ready to be supplied, either hot or cold, by means of heat pumps serving each of the individual properties. Radiating panels and heated floors guarantee ideal temperatures controlled by a silent ventilation system. The new complex provides a highly-efficient zero-emissions energy supply causing no sound or environmental impact.
Credits Project: Matteo Thun & Partners Project Manager: Luca Colombo Design Team: Tom Lacey, Francesco Isabella, Simone Alberi, Ilaria Brollo Project Management: Mangiavacchi Pedercini Structural: B.C.V. progetti S.r.l, Alberto Vintani,
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Claudio Cerra Civil Works: B.C.V. progetti-Alberto Vintani Geotechnical: Claudio Celotti Lighting Project: Matteo Thun & Partners Urban Consultant: Urb.a.m. -Francesco Moglia Services: Planning-Gianluigi Marazzi, Matteo Bosetti, Tieghi Andrea
Landscape Architects: AG&P-Valerio Cozzi General Contractor: Di Vincenzo –Mangiavacchi General Contractor Services: Carlo Gavazzi Impianti Facade: Uniform – Pail Decorative elements: Simco tecnocovering Heating and cooling system: FCC Planter
Elevators: Kone Italia Out door lighting: Simes Electrical Devices: Vimar – Elvox Italia Sanitary ware: Catalano Accessories: Inda Client: Fondo Creative Properties Duemme Sgr, Gruppo Banca Esperia
Nelle pagine di apertura, tavola del funzionamento energetico del complesso Tortona 37 a Milano. Composto da cinque edifici completamente risanati utilizza tecnologie particolarmente innovative a livello di sostenibilità ambientale e risparmio energetico che assicurano un alto
rendimento a zero emissioni. Nella pagina a fianco, scorcio delle passerelle di collegamento tra due unità articolate attorno a vasti piazzali esterni.
Opening pages, table showing the energy performance of the Tortona 37 building in Milan. Compose of five fully refurbished buildings,
it uses particularly innovative technology in terms of environmental sustainability and energy-saving, which guarantees high performance at zero emissions. Opposite page, view of the passageways connecting the two units set around spacious outside plazas.
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Dal basso in alto, a sinistra, piante del piano terreno, del primo e terzo piano; a destra, piante del quarto e quinto piano e del piano coperture. Nella pagina a fianco, planimetria generale e particolari degli edifici caratterizzati da una griglia di facciata bianca, interrotta da ampie vetrate schermate da protezioni solari in legno. Un sistema di tende esterno consente inoltre di ridurre la radiazione solare diretta fino all’87%.
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From bottom up, left, plans of the ground, first and third floors; right, plans of the fourth and fifth floors and plan of the roofs. Opposite page, site plan and details of the buildings featuring a grid of white façade interrupted by large glass windows sheltered behind wooden sunscreens. A system of outdoor curtains also allows direct solar radiation to be reduced by up to 87%.
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CITÉ DES AFFAIRES, SAINT-ETIENNE Manuelle Gautrand
Un nastro attrezzato che si piega e si distende per aprire nuovi scorci sulla città annunciando il divenire di un nuovo quartiere.
A fully-furbished strip, which folds and unravels to open up new views across the city and announce the emergence of a new neighbourhood. Inaugurata il settembre scorso, la Cité des Affaires de Saint-Etienne, realizzata nel quartiere di Châteaucreaux, segna l’ingresso alla città storica con un’architettura emblematica e fortemente identificabile. L’edificio si sviluppa occupando l’intero isolato come un continuum irregolare in parte poggiato al suolo e in parte proiettato in elevazione in grandi aggetti dando origine a diverse posizioni architettoniche. Un parallelepipedo quasi rettangolo di circa 108 metri di lunghezza, 44 metri di larghezza e 35 metri di altezza che risponde all’esigenza di creare un “isolato a dimensione libera”, denso e poroso, aperto alla città e alla sua popolazione. L’edificio, di otto piani più un mezzanino, ospita gli uffici per circa 1.500 persone, oltre a un ristorante a piano terreno e un parcheggio interrato. Lo sviluppo di una volumetria continua e sinuosa che disegna ampie aperture e grandi aggetti sulla città, assicura una notevole flessibilità d’uso. Alla base dell’idea di progetto, un principio di “vasi comunicanti” che permette a ogni amministrazione di ampliare o di ridurre le proprie superfici in funzione delle diverse esigenze senza per questo rinunciare a una propria identità. La logica di frammentazioni e pigature che regola l’andamento del continuum garantisce infatti la varietà e la leggerezza dell’insieme costruito che, grazie al movimento tra il piano del suolo e le proiezioni in altezza, dà origine a un insieme dal’impronta monumentale ma nel contempo fortemente permeabile. La dinamica di questo organismo diversamente articolato è esaltata dalla scelta materiali che dettano la definizione e l’individuazione dei vari ambienti. Il gioco di piegature e di avvolgimenti nasce in effetti da un gesto estremamente semplice, quello di un nastro che si avvolge e si dispiega alternando tre facce identiche in vetro chiaro o traslucido e per contrasto, una quarta faccia minerale in cemento laccato di un giallo vivace ritmata da aperture puntuali e disposte in modo aleatorio. Come un segnale luminoso, quest’ultima superficie accompagna lo sviluppo delle parti laterali e di quelle interne dell’isolato accentuando la leggibilità del volume e rischiarando le parti meno esposte. L’efficienza energetica è al centro del concetto di facciata messo a punto al fine di garantire un alto grado di prestazioni termiche. Il principio si fonda sulla complementarietà di una pelle vetrata e di una pelle minerale e sulle variazioni delle prestazioni energetiche, termiche e spectrofototermiche dell’involucro in funzione dei diversi orientamenti geografici e urbani del progetto. Il ricorso a doppi vetri con intercapidine in gas d’argon, pannelli sandwich formati da uno strato in alluminio anodizzato, un isolante termico e acustico e una lamiera in acciaio termolaccato, o un sistema di facciata continua dotata di profili in alluminio a rottura di ponte termico sono alcune delle soluzioni adottate per poterziare la capacità termica dell’involucro dell’edificio. Inoltre l’importanza dell’apporto luminoso rispetto al tipo di vetrate, alla posizione delle aperture in rapporto alla disposizione dei solai e al ricorso a telai a nudo sulla parete minerale, garantiscono un livello di confort ambientale e luminoso che assicura le condizioni degli spazi di lavoro. 86 l’ARCA 266
Built in the Châteaucreaux neighbourhood, Cité des Affaires de SaintEtienne, which officially opened last September, marks the entrance to the old city through a highly distinctive and striking architectural structure. The building is constructed right across the entire block like some sort of irregular continuum, partly resting on the ground and partly raised up into the air through large overhangs creating a range of different architectural poses. An almost rectangular parallelepiped measuring approximately 108 m in length, 44 m in width and 35 m in height serving the purpose of creating a “freely sized block”, dense and porous, open to the city and its inhabitants. The building, which has eight stories plus a mezzanine, accommodates the offices for 1500 people, as well as a ground-floor restaurant and underground car park. The creation of a seamless winding structural design creating large apertures and big overhangs across the city ensures great flexibility in terms of usage. The principle of “interacting vases” underscores the basic idea behind the project, allowing each administration office to extend or reduce its own surface areas according to different needs, without having to concede anything in terms of its own identity. The logic of fragmentation and folding, which governs how the continuum unfolds, guarantees the overall architectural structure is varied and light. The building’s motion between the ground floor and upper projections creates an overall sense of monumentality while, at the same time, remaining highly permeable. The dynamics of this extremely varied organism are exalted by the choice of materials dictating the layout and structure of the various premises. The interplay of folding and enveloping governing the overall structural design actually derives from an extremely simple gesture, that of a strip which folds and unravels in an alternating combination of the three clear-glass or translucent faces in contrast with a fourth mineral-style face made of bright yellow concrete, geared to the pattern of randomly arranged apertures. Like some sort of luminous signal, this latter surface follows the development of the lateral and internal parts of the block, making the structure easier to read and brightening up its less exposed sections. The face is designed along the lines of energy/heat efficiency. The principal is based on the complementary nature of a glass skin and a mineral skin and on variations in the shell’s energy, heat and spectrophotothermal ratings in accordance with the different geographical and urban connotations of the project. The use of double glazing filled with argon gas, sandwich panels made of an anodised aluminium sheet, a heat and sound insulating surface and a sheet of thermo-lacquered steel, and a curtain-façade system fitted with aluminium sections to break the thermal bridge, are just some of the features adopted to reinforce the building shell’s thermal capacity. Moreover, the importance of the lighting input from the type of window installed, the position of the apertures in relation to the layout of the various floors, and the use of exposed frames for the mineral wall, all help satisfy the kind of environmental-lighting standards expected for work spaces.
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Nella pagina a fianco, planimetria della situazione urbanistica generale dove si inserisce la Cité des Affaires di Saint-Etienne realizzata in una posizione al confine tra la città storica e il quartiere di Châteaucreaux-Sud segnando lo sviluppo di un nuovo quartiere. In questa pagina, schizzi preliminari, schemi di sviluppo volumetrico, modelli e planimetria generale del complesso per uffici (1.500 posti di lavoro) che ospita anche un ristorante e un parcheggio di 400 posti.
Opposite page, site plan of the overall town-planning situation in the area where Cité des Affaires is located in Saint-Etienne, on the border between the all city and Châteaucreaux-Sud neighbourhood marking the development of a new quarter. This page, preliminary sketches, structural development diagrams, models and site plan of the office block (1500 work stations), which also accommodates a restaurant and car park for 400 vehicles.
Credits Project: Manuelle Gautrand Architecture Project manager construction: Thomas Daragon Project manager studies: Yves Tougard Structural Engineering: Khephren Engineering Facades: Arcora
Project management: Debray Ingénierie General contractor: Pitance-Lamy Metal works: Baudin-Châteauneuf Facades: Allouis Client: Altaréa-Cogedim
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Vincent Fillon
Philippe Ruault
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Vincent Fillon
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Dal basso in alto, a sinistra, piante del piano terreno, primo, quarto e sesto piano; a destra sezioni trasversali e longitudinali. Nelle pagine precedenti particolari dell’articolazione volumetrica del complesso individuato da un elemento continuo che si piega e si apre dando origine a diverse posizioni architettoniche.
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From bottom up, left, plans of the ground floor, first floor, fourth floor and six floor; right, across and longitudinal sections. Previous pages, details of the structural layout of the building featuring a seamless element which folds and unravels to create various different architectural positions.
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Philippe Ruault
Philippe Ruault Philippe Ruault
Philippe Ruault
Philippe Ruault
L’alternarsi di tre facciate identiche in vetro chiaro o traslucido con una facciata piena in cemento verniciato di giallo vivo e ritmata da aperture puntuali disposte in modo aleatorio, sottolinea la dinamica compositiva dell’insieme.
Three identical alternating facades made of clear or translucent glass with a solid façade made of concrete painted bright yellow enlivened by a pattern of pinpoint apertures set out randomly to underline the overall compositional dynamics.
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SAINT-DENIS OFFICE DEVELOPMENT Richard Meier & Partners
Un imponente complesso per uffici caratterizzato da una luminosa doppia facciata di vetro e da un ampio atrio illuminato dalla luce naturale che crea una sensazione di trasparenza, apertura e calore.
A massive office complex characterized by shimmering double glass facade and expansive light-filled atrium which creates a feeling of transparency, openness and warmth. Bianchi, trasparenti, eleganti: gli edifici di Richard Meier sono immediatamente riconoscibili ovunque nel mondo, grazie al loro aspetto contemporaneo e alla scrupolosa attenzione per i dettagli. Questa coppia di edifici per uffici, situati a Saint-Denis, appena a nord di Parigi, non fa eccezione. L’area di intervento si sviluppa lungo un lato della Place des Droits de l’Homme, una piazza pubblica che collega la stazione ferroviaria con il grande viale che conduce allo Stade de France. L’edificio, infatti, si trova nei pressi della stazione B della RER che ne favorisce un’ampia accessibilità con i mezzi pubblici e anche dalla circonvallazione nord di Parigi che dista un solo chilometro. Il progetto, completato alla fine del 2010, ha una superficie totale di 36.000 metri quadrati, e comprende principalmente uffici, ma anche laboratori, un ristorante, una caffetteria e spazi commerciali. I due edifici principali si sviluppano per sette piani fuori terra con due piani interrati destinati a parcheggio per 430 automobili. Un atrio luminosissimo, che si innalza per sei piani, unisce i due edifici e articola un elegante spazio coperto, aperto verso la piazza pubblica, che offre un ambiente caratterizzato dalla trasparenza e dal senso di calore. La forma del complesso risponde al suo contesto immediato, al suo perimetro, determinato dalle norme di zoning, e alle richieste funzionali. Il volume di entrambi gli edifici è ritmato, sia al piano terra sia ai sette piani superiori, da rientri in facciata. Al livello della strada, tale articolazione va a costituire un porticato che accoglie il pubblico proveniente soprattutto dal lato della piazza. La relazione del complesso per uffici con la Place des Droits de l’Homme ha dettato il suo orientamento. Visto dalla piazza, ciascuno dei due edifici mantiene una propria identità, pur condividendo con l’altro il medesimo linguaggio architettonico. In tal modo, pur apparendo come gemelli uniti dall’atrio trasparente, i due edifici condividono similarità pur non essendo identici. Il complesso è stato realizzato seguendo i più alti standard tecnici e le normative più avanzate, che comprendono la definizione di piani molto ampi, pavimenti flottanti, doppi soffitti (con un’altezza di 2,7 metri), condizionamento d’aria e la certificazione HQE (Haute Qualité Environnementale), che rappresenta lo standard francese relativamente alle alte qualità ambientali. La caratteristica principale degli ambienti interni è la loro trasparenza e luminosità, dovuta all’ampio utilizzo di vetrate in facciata. Questo si traduce anche in un’organizzazione molto chiara dei percorsi di circolazione e della distribuzione delle funzioni ai diversi livelli.
White, transparent, elegant: the works of Richard Meier are instantly recognizable everywhere in the world for their contemporary aspect and their scrupulous attention to detail. This pair of new office buildings, located in Saint-Denis, just north of Paris, is no exception. The development’s site runs along one side of the Place des Droits de l’Homme, a public plaza which connects the railway station with the main avenue leading to the Stade de France. The building is situated next to the RER B station providing excellent public transport links, and has great accessibility being located one kilometre north of the Paris ring road. The project, completed at the end of 2010, has a total surface of 36,000 square metres, and comprises mainly office spaces, but also includes workshops, a restaurant, a cafeteria, and retail spaces. The two main buildings consist of seven floors above ground with two below-ground basement parking levels for 430 cars. A light-filled six-story atrium joins the two buildings, provides an elegant covered entrance facing the public square, and creates a feeling of transparency, openness and warmth. The form of the project responds to its immediate context, site boundaries, zoning, and program requirements. The massing of both buildings is articulated at the ground and at the seven levels with setbacks to the facades. At the ground level this articulation provides an arcade to welcome the public, particularly those coming from the plaza side. The relationship of the office complex to the Place des Droits de l’Homme dictated its orientation. As viewed from the plaza, each of the two buildings maintains its own identity, while sharing a common architecture language with the other. In this way, the buildings appear as twins, joint by the transparent atrium, sharing similarities without being identical. The complex has been developed in line with the latest standards and specifications, including large floor plates, raised floors, suspended ceilings with heights of 2.70 meters, air conditioning and HQE certification (Haute Qualité Environnementale), the French standard for high quality environmental properties. The main characteristic of the internal environments is their transparency and brightness due to the wide use of glass for the facades. This also translates into a very clear organization of the circulation paths and of the functional distribution at the different levels.
Viste del complesso per uffici inaugurato alla fine dello scorso anno a Saint-Denis, a nord di Parigi. L’intervento è definito da due volumi di sette piani articolati da un grande atrio luminoso proiettato verso la piazza pubblica.
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Views of the office block which opened at the end of last year in Saint-Denis to the north of Paris. The project features two 7-storey structures set around a large and well-lit lobby projecting towards a public plaza.
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Gli ambienti interni sono studiati per garantire un elevato livello di confort e luminosità definiti grazie al ricorso ad ampie facciate vetrate e a un’organizzazione molto chiara dei percorsi funzionali e dei collegamenti tra i diversi livelli.
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De interiors are designed to guarantee plenty of good lighting and comfort thanks to the use of extensive glass facades and a very clear layout of functional pathways and links between the various levels.
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Planimetria generale, pianta del piano terreno e del quinto piano. Oltre agli uffici, che occupano la quasi totalità del complesso, sono ospitati, laboratori, un ristorante, una caffetteria, spazi commerciali e due piani parcheggio nel sottosuolo.
Credits Project: Richard Meier & Partners Design Team: Richard Meier, Bernhard Karpf, Carl Shenton Partners-in-charge: Richard Meier, Bernhard Karpf Collaborators: Remy Bertin, Cedric Cornu, Maria Cumella, Thibaut Degryse, Jerome Engelking, Adrien Lambert, Emily Mottolese, Bryce de Reynier, Hans Put, Carl Shenton, Isabel Van Haute Civil Engineers: OGEBA Mechanical, Plumbing, Electrical Engineers: Barbanel Geotechnical Services: Botte Sondages Structural Engineers: Structures Ile-de-France Façade Consultant: CEEF Atrium Façade Consultant and Structural Engineer: RFR Lighting Consultant: Aartill Landscape Architects: Trait Vert Acoustician: LASA Code Consultant: Socotec Food Service Consultant: Sogeres Cost Estimator: DAL General Contractor: CBC Bateg Client: Sogelym-Steiner
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Site plan, plans of the ground floor and fifth floors. As well as the offices, which take up almost the entire complex, the building also accommodates laboratories, a restaurant, a coffee bar and commercial spaces, as well as two levels of underground parking.
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Viste di un ufficio e della hall di ingresso.
Views of an office and the entrance hall.
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Rubriche e articoli sul mondo della progettazione, della produzione e della ricerca. Design, production and research.
Quartiere sostenibile Lyon Confluence The first important inaugurations in the field of sustainability are under way on the Confluence peninsula in Lyon. Today, the ABC blocks facing Place Nautique mark a significant stage in this ambitious urban project, which entails converting a 150 hectare territory into a new living environment. The latter integrates with the extant city, combining economic values, social blends and preservation of the river and landscape heritage (1). The ABC blocks’ 660 housing units and 15,000 square meters of offices are recognized by the European Concerto initiative, which rewards massive resort to renewable energy and the bioclimatic planning of buildings. Indeed, all of the units use 80% renewable energy and consume 50% less than the amount established by thermal regulations. The architects who designed the Saône Park residential blocks (4) are Tania Concko, DusapinLeclercq and Hervé Vincent with Nexity Apollonia. The buildings, which are laid out around a central garden, are distinguished by glass, metal and slivers of metal sheet. Parts of the buildings are supplied with photovoltaic panels on their roofs, which bring to mind the concept of adjustable swivels on façades. Different residential solutions are available in the interior, with apartments offering double or triple aspects; in addition to visual comfort, a better orientation is achieved, so as to avoid problems of overheating and expenditure of energy during the winter. Lyon Island (1, 2), the program developed by Bouwfonds Marignan, features 12 “sustainable” buildings by Massimiliano Fuksas, Enzo Amantea, Clément Vergely and Franck Vella. Faced in stainless steel and copper, the buildings are distributed along the dock and are similar to the river port containers in their layout and materials. All the apartments offer high-level performance and all the most advanced technologies in terms of management and living comfort. The interiors are provided with contemporary ceramic tile floors and parquet, particularly well-structured common areas, electric systems abiding by the latest norms, etc. Renewable energy is the most important part of the project, with solar and photovoltaic panels on the roofs or heating systems that use both wood and gas. Monolithe (5, 6) is a mixed program realized by ING Real Estate Development and Atemi, with the contribution of five architects, MVRDV/Winy Maas, Erick van Egerraat, Manuelle Gautrand Emmanuelle Combarel and Dominique Marrec, Pierre Gautier. The building, which is set around a central garden and opens on one side to the public area, houses more than 14,000 square meters of offices, 12,000 square meters which include social, intermediary and free market housing, and 1,500 square meters of shopping areas. The variety of materials and textures, wood, manufactured concrete, stainless steel and aluminum, directly refers to the complexity of the urban façades. Each front’s texture expresses the planners’ diversity and flexibility and the building technique used. Northwards, Erick Van Egeraat proposes a front made up of a versatile mélange of great natural larch panels and gray and white enameled glass. Emmanuel Combarel and Dominique Marrec created the part in stained glass with a golden ochre hue. Manuelle Gautrand, instead, chose polished stainless steel. Pierre Gautier resorted to anthracite gray manufactured concrete. The southern face of the building, designed by MVRDV (Winy Maas), is made up of natural gray aluminum panels.
Prime importanti inaugurazioni all’insegna della sostenibilità sulla penisola della Confluence a Lione. Gli isolati ABC, che si affacciano su Place Nautique, segnano oggi una tappa significativa di questo ambizioso progetto urbano proiettato alla trasformazione di un territorio di 150 ettari in un nuovo ambiente di vita, integrato alla città storica conciliando valori economici, mescolanza sociale e preservazione del patrimonio fluviale e paesaggistico (1). I 660 alloggi e 15.000 metri quadrati di uffici degli isolati ABC sono riconosciuti dal programma europeo Concerto che ricompensa il ricorso massiccio alle energie rinnovabili e la progettazione bioclimatica degli edifici. Tutte le unità funzionano infatti all’80% con energie rinnovabili e hanno un consumo del 50% inferiore di quello imposto dai regolamenti termici. Nexity Apollonia con gli architetti Tania Concko, Dusapin-Leclercq e Hervé Vincent sono gli autori dei blocchi residenziali Saône Park (4). Vetro, metallo e scaglie di lamiera caratterizzano gli edifici articolati attorno a un giardino centrale. Parte degli edifici sono dotati di pannelli fotovoltaici in copertura che riprendono il concetto del sistema di velette orientabili in facciata. All’interno, gli appartamenti offrono diverse tipologie residenziali, con doppie o triple esposizioni, garantendo oltre al confort visuale un migliore orientamento al fine di evitare sia problemi di surriscaldamento sia di dispendio di energie durante i periodi invernali. Lyon Island (2, 3), il programma sviluppato da Bouwfonds Marignan, è costituito da 12 edifici “sostenibili” a firma di Massimiliano Fuksas, Enzo Amantea, Clément Vergely e Franck Vella. Rivestiti in acciaio, inox e rame, gli edifici sono articolati lungo la darsena e richiamano nella loro disposizione come nella scelta dei materiali, i container del porto fluviale. Tutti gli appartamenti sono traversanti e offrono prestazioni di alto livello e tutte le più avanzate tecnologie di gestione e confort abitativo. Gli spazi interni hanno pavimentazioni in ceramica contemporanea e parquet, spazi comuni particolarmente curati, impianti elettrici conformi alle esigenze più evolute ecc. Le energie rinnovabili sono parte pregnante del progetto, con pannelli solari e fotovoltaici in copertura o sistemi di riscaldamento misto legno e gas. Il Monolithe (5, 6) è un programma misto realizzato da ING Real Estate Development e Atemi con il contributo di cinque architetti, MVRDV/Winy Maas, Erick van Egerraat, Manuelle Gautrand, Emmanuelle Combarel e Dominique Marrec, Pierre Gautier. Attorno a un giardino centrale, aperto da un lato sullo spazio pubblico, l’edificio è composto da oltre 14.000 metri quadrati di uffici, più 12.000 metri quadrati tra alloggi sociali, alloggi intermediari, libero mercato e 1.500 metri quadrati di spazi commerciali. La varietà dei materiali e delle texture, legno, cemento lavorato, inox e alluminio, si riferisce alla complessità delle facciate urbane. Le texture di ogni facciata esprimono la diversità e la flessibilità dei progettisti e della tecnica costruttiva. A nord, Erick van Egeraat propone una facciata costituita da un mélange aleatorio tra grandi pannelli di larice naturale e vetro smaltato grigio e bianco. Emmanuel Combarel e Dominique Marrec realizzano la parte in cemento varato colorato in ocra dorato. Manuelle Gautrand ha invece scelto l’inox lucidato. Pierre Gautier ricorre al cemento lavorato grigio antracite. La facciata sud, firmata da MVRDV (Winy Maas) è composta da pannelli in alluminio grigio naturale.
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Intermodalidà a Nizza New Dynamics Il comune di Nizza ha avviato un’importante operazione di rinnovamento e ridinamizzazione della città che coinvolge oltre ad alcuni quartieri periferici dequalificati, l’arricchimento delle zone a verde e la costruzione di un nuovo stadio di 35.000 persone – uno dei primi eco-stadium del mondo – anche il potenziamento dei sistemi di trasporto e di collegamento. Alla nuova linea di tram superveloce che ha permesso la pedonalizzazione di gran parte del centro cittadino, nuovi importanti progetti sono in corso di elaborazione. Tra questi, la ristrutturazione della stazione centrale (Gare Thiers) e il nuovo polo di scambi multimodale Nice-Aéroport. Il rinnovamento della Gare Thiers (1, 2), che si inscrive nel potenziamento delle linee ad alta velocità, rappresenta uno degli elementi chiave di una visione urbana della città come dimensione di riferimento per qualità di vita, di spazi e di trasporti. Il progetto prevede la conservazione e la rivalorizzazione del vecchio edificio storico (1867) che grazie a nuova estensione permetterà di riorganizzare il traffico viaggiatori (destinato a passare dai 7 milioni/anno a 11 milioni all’orizzonte del 2020) dinamizzandone il rapporto con l’insieme della città. Elemento emblematico della futura stazione, il nuovo edificio viaggiatori (Arep) che garantirà il collegamento diretto con la linea del tram a est. L’edificio, con un potenziale di 16.000 metri quadrati integrerà una galleria commerciale e un grande magazzino. Il volume dalle linee arrotondate e l’ampia trasparenza delle superfici consentiranno di riequilibrare con un segno contemporaneo la cesura della sopraelevata che separa il settore verso nord alle spalle della stazione, dal centro città. I lavori inizieranno quest’anno con la sistemazione dell’edifico viaggiatori, del piazzale antistante la stazione, dei sistemi di accesso e del collegamento con la linea del tram. Una seconda fase vedrà la costruzione di una passerella di collegamento con in quartieri a nord. Costo totale dell’operazione 80 milioni di euro. Il progetto del nuovo Polo di scambi multimodale Nice-Aéroport (3, 4) garantirà invece i collegamenti tra la fascia costiera e la valle del Var, oggetto quest’ultima di un’imponente Operazione di Interesse Nazionale (circa 10.000 ettari di territorio coinvolto) per la creazione un polo misto d’eccellenza (uffici, alloggi, commerci, ricerca, sport e svago) esemplare in materia di sviluppo sostenibile. Il nuovo polo di interscambio costituisce il primo anello di una sistema di poli multimodali che attraverseranno l’Eco-Vallée al servizio della mobilità sostenibile. Il progetto si articola in quattro momenti fondamentali, un efficace collegamento dei diversi sistemi di trasporto (aeroporto, ferrovia, tram, bus, autobus e in futuro l’LGV), la creazioni di una connessione tra i quartieri limitrofi e le principali strutture presenti nella Vallée du Var, il potenziamento strategico ed economico del territorio con la costruzione di un moderno quartiere d’affari con la realizzazione di un centro esposizioni e congressi, un elemento di innovazione nel quadro del progetto di Eco-città in termini di concezione, funzionamento e gestione. L’inizio dei cantieri (una volta stabiliti i finanziamenti) è previsto per il 2013 in vista di una conclusione lavori per il 2016. Elena Cardani Nice City Council has started up an important operation to redevelop the city and inject it with fresh dynamism, which will also affect certain dilapidated suburban neighbourhoods. This will involve landscaping work, the construction of a new stadium with a seating capacity of 35,000 – one of the world’s first eco-stadiums – and the reinforcing of transport and link systems. Some important new projects are currently being devised to back up the new high-speed tram line, which has enabled most of the city centre to be pedestrianised. These projects include the redeveloping of the main station (Gare Thiers) and new Nice-Aéroport transport hub. The renovating of Gare Thiers (1, 2), which is part of plans to reinforce the existing high-speed lines, is one of the key features of an urban vision of the city based on quality of life, spaces and transport systems. The project involves conserving and enhancing the old historical building (1867), whose new extension will allow the flow of passengers to be reorganised (destined to increase from 7 million/year to 11 million by 2020), injecting fresh life into its interaction with the rest of the city. As a landmark for the future station, the new passenger building (Arep) will provide a direct link with the tram line to the east. The building, which could potentially cover 16,000 sq.m, will be integrated into a shopping arcade and department store. The rounded structure with its highly transparent surfaces will draw on a highly cutting-edge design to bridge the gap with the flyover separating the sector to the north behind the station from the city centre. Work will begin this year by revamping the passenger building, plaza out in front of the station and accessconnection systems to the tram line. The second phase will see the construction of a connecting passage way to northern neighbourhoods. The overall operation will cost a total of € 80 million. The project for the new multimodal transport hub NiceAéroport (3,4) will provide links between the coastal strip and Vallée du Var, which is currently undergoing a major National Interest Operation (approximately 10,000 hectares of land involved) to create a multipurpose centre of excellence (offices, housing, retail, search, sport and leisure) of exemplary nature in terms of sustainable growth. The new transport hub is the first link in a chain of transport hubs destined to run right across the so-called Eco-Vallée in the name of sustainable mobility. The project is divided into four basic parts: an efficient link between the various transport systems (airport, railway, tramline, bus and coach service and, in the future, the LGV), the creation of a link between bordering neighbourhoods and the main structures found in Vallée du Var, and the strategic and economic strengthening of the territory through the construction of a modern business quarter involving the construction of an exhibition and conference centre adding something innovative to the Eco-city project in terms of design, operating and management. Building work (once all the financial details have been taken sorted out) is planned to begin in 2013 and is expected to be completed by 2016.
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Still in Llove In Tokyo Suzanne Oxenaar è il direttore artistico e, con Otto Nan, la promotrice del Lloyd Hotel & Cultural Embassy di Amsterdam (www.lloydhotel.com), che propone costantemente un variegato programma di mostre, letture, lezioni e conferenze, sempre interagendo con i suoi ospiti internazionali. E’ stato costruito nel 1921 come albergo per i migranti, un luogo di passaggio per coloro che transitavano dall’Europa dell’Est diretti in Sudamerica. Nel 2004, l’albergo ha riaperto, dopo essere stato rinnovato da MVRDV, come primo hotel a cinque stelle del mondo. E’ tornato a essere un luogo di passaggio, trasformazione, incontro e scambio culturale. Oltre cinquanta designer e artisti olandesi hanno partecipato alla realizzazione delle 117 stanze e dei vari spazi pubblici comuni adatti per mostre, presentazioni e incontri. Il concetto di “Llove” è ora per Suzanne Oxenaar il coronamento del sogno di una vita. L’idea le venne al tempo in cui risiedeva in Giappone e venne a conoscenza di quelli che in Giappone chiamano gli hotel dell’amore (love hotel) con le loro “reception modeste” e “la libertà di scegliere la stanza a seconda del proprio umore”. La sua interpretazione era quella di “alberghi pieni d’amore”. Il produttore di Llove è l’architetto Jo Nagasaka. Il suo Happa Hotel incorporava (e incrinava) tutte le caratteristiche che avevano colpito la Oxenaar quando era venuta a contatto con la nozione di love hotel.Così chiese a Nagaska di collaborare con lei nella realizzazione del concetto di Llove Hotel che aveva in mente da tempo. Nagasaka da parte sua era affascinato da questa idea. Dalla questa collaborazione è nata la mostra “Still in Llove” (www.llove.jp), che si è svolta lo scorso novembre al Daikanyama i Studio di Tokyo. “Stll in Llove” si è svolta in uno spazio espositivo allestito come un albergo con le stanze create da designer olandesi e giapponesi durante le celebrazioni dei 400 anni di relazioni culturali e commerciali “Olanda-Giappone 2008-2009”. Ma la mostra non consisteva solo in una visita, si potevano realmente prenotare le stanze e passarci una notte, sperimentando uno degli allestimenti artistici specificatamente realizzati per l’evento. Gli architetti e designer che hanno partecipato sono stati: Richard Hutten (5), Pieke Bergmans (9), Hideyuki Nakayama (1, 2), Yuko Nagayama (7), Jo Nagasaka, Ryuji Nakamura, Joep van Lieshout (3), and Jo Nagasaka con gli studenti del Llove Creative Team (8, con il coordinamento artistico di Aoyama Meguro). Per completare l’esperienza del visitatore/ospite, sono state realizzate anche una caffetteria (6) e la Bathroom Gallery (10), una galleria d’arte allestita in un bagno in stile giapponese tradizionale (coordinamento artistico: Aoyama Meguro).
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EVENT DETAILS Initiator: Suzanne Oxenaar Organizers: Embassy of the Kingdom of the Netherlands, Nara Prefecture Executive Committee: Jo Nagasaka/Schemata Architecture Office, Naoko Aono, Yoko Shimada/Labo85, Nobuyuki Fukui/Roovice, Florianne Eshuis and Renate Schepen/Lloyd Hotel & Cultural Embassy Hotel&Café Operation: Transit General Office Photos: Takumi Ota
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Suzanne Oxenaar is the artistic director and coinitiator, with Otto Nan of the Lloyd Hotel & Cultural Embassy in Amsterdam(www.lloydhotel.com) , which proposes a constant changing program of exhibitions, readings, lectures, conferences always in interaction of international guests. It was built in 1921 as a migrant hotel, a place of transition for migrants from Eastern Europe on their way to South America. In 2004 the hotel re-opened, after having been transformed by MVRDV, as the first one to five star hotel in the world. It’s now still a place of transition, transformation, meeting and cultural exchange. Over 50 representatives Dutch designers and artists participated in the interior with its 117 different rooms and different public spaces fit for exhibitions, presentations and meetings. The concept of “Llove” is the realization of the lifelong dream of Suzanne Oxenaar. This idea stems from the time when Oxenaar lived in Japan and got to know the concept of the Japanese love hotel and its facets such as “an inconspicuous reception” and “freely selecting a room according to your mood”. She interpreted these hotels as “hotels filled with love”. The architect Jo Nagasaka is the producer of Llove. His Happa Hotel incorporated (embodied) the three characteristics that impressed Oxenaar when see learned about the Japanese love hotels. Oxenaar asked Nagasaka to collaborate in the realization of the Llove Hotel concept which she had had on her mind for some years. Nagasaka on his part was fascinated by Oxenaar’s Llove Hotel concept. Their collaboration has evolved in the exhibition “Still in Llove” (www.llove.jp), held in Daikanyama I Studio in Tokyo, last November. “Still in Llove” has been held in a hotel space exhibition, consisting of guest rooms created by Dutch and Japanese designers to celebrate 400 years of trade and cultural relations “Netherlands in Japan 2008-2009”. It was not just an exhibition which you could visit, but you could actually book an overnight stay and experience a night in an artistic space which has been created specifically for this event by designers and architects. The rooms were designed by: Richard Hutten (5), Pieke Bergmans (9), Hideyuki Nakayama (1, 2), Yuko Nagayama (7), Jo Nagasaka, Ryuji Nakamura, Joep van Lieshout (3), and Jo Nagasaka together with students of Love Creative Team (8, art coordination by Aoyama Meguro). To complete the experience of the visitor/guest, also a café (6) and a Bathroom Gallery (10), Yokujo, featuring an art gallery in a Japanese style bathroom (art coordination: Aoyama Meguro).
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Aga Khan Award for Architecture 2010 L’Aga Khan Award for Architecture è stato fondato nel 1977 da Sua Altezza l’Aga Khan per identificare e incoraggiare l’eccellenza in architettura e in altre forme di intervento nell’ambiente costruito nelle società in cui i Mussulmani sono una presenza significativa. Il premio viene attribuito ogni tre anni e dà riconoscimento a progetti ed edifici di qualsiasi tipologia e scala. L’iniziativa non premia solo gli architetti, ma individua anche le amministrazioni comunali, i costruttori, i committenti, gli artigiani e gli ingegneri che hanno giocato un ruolo fondamentale nella realizzazione dei progetti. I premi sono attribuiti da una Giuria Master indipendente, incaricata da una apposita commissione ogni tre anni. Per questo ciclo, i nove membri della giuria erano: Souleymane Bachir Diagne, Omar Abdulaziz Hallaj, Salah M. Hassan, Faryar Javaherian, Anish Kapoor, Kongjian Yu, Jean Nouvel, Alice Rawsthorn, Basem Al Shihabi. Nella loro relazione finale, hanno sottolineato come nella loro scelta il ruolo centrale sia stato quello dei temi dell’identità e della pluralità e del rapporto degli interventi con il mondo sempre più globalizzato. Hanno enfatizzato le visioni generose e pluralistiche riflesse dai progetti vincitori e il loro ruolo nel trasformare e migliorare la qualità dell’ambiente costruito. I progetti vincitori dell’edizione 2010 sono stati scelti tra 19 finalisti da un totale di 401 proposte presentate. I cinque progetti selezionati sono: Wadi Hanifa Wetlands, Riyadh, Arabia Saudita (1); Rivitalizzazione del Hypercentre di Tunisi, Tunisia (2); il Museo Madinat Al-Zahra, Cordoba, Spagna (3); Industria Tessile Ipekyol, Edirne, Turchia (4); Bridge School, Xiashi, Fujian, Cina (5). The Aga Khan Award for Architecture was established by His Highness the Aga Khan in 1977 to identify and encourage excellence in architecture and other forms of intervention in the built environment of societies where Muslims have a significant presence. The Award is given every three years and recognises all types of building projects that affect today’s built environment, from modest, small-scale projects to sizable complexes. The Award not only rewards architects, but also identifies municipalities, builders, clients, master craftsmen and engineers who have played important roles in the realisation of a project. The Awards are selected by an independent Master Jury appointed by the Steering Committee for each three-year Award cycle. The nine members of the 2010 Master Jury were: Souleymane Bachir Diagne, Omar Abdulaziz Hallaj, Salah M. Hassan, Faryar Javaherian, Anish Kapoor, Kongjian Yu, Jean Nouvel, Alice Rawsthorn, Basem Al Shihabi. In their statement, the Master Jury noted that a central concern in making their selection had been the issues of identity and plurality and their intersection in an increasingly globalised world. They emphasised the generous and pluralistic visions reflected through the winning projects, and the transformative roles they have played in the improvement of the quality of the built environment. The winning projects of the 2010 Edition were selected from a shortlist of 19 projects announced in May 2010. A total of 401 projects were presented for consideration for the 2010 Award. The five projects selected by the 2010 Master Jury are: Wadi Hanifa Wetlands, Riyadh, Saudi Arabia (1); Revitalisation of the Hypercentre of Tunis, Tunisia (2); Madinat Al-Zahra Museum, Cordoba, Spain (3); Ipekyol Textile Factory, Edirne, Turkey (4); Bridge School, Xiashi, Fujian, China (5).
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Il nuovo Orto Botanico di Padova For International Year of Biodiversity Progetto: VS.associati Nell’anno internazionale della biodiversità si è aperto il cantiere del nuovo Orto Botanico di Padova. E’ l’Università di Padova a gestire l’evoluzione dell’orto più antico del mondo, attraverso un ampliamento dei suoi confini storici, per dotarsi di un’avveniristica struttura dove saranno ricreati gli ambienti naturali della superficie terrestre. Elaborato da Giorgio Strappazzon dello studio VS.associati, il progetto si inserisce nel contesto già esistente e ne rappresenta una naturale continuazione, che nell’arco di due anni porterà alla creazione di un atlante di tutta la biodiversità del pianeta. Innovazione nella continuità: è questo il filo conduttore delle scelte progettuali. Il nuovo orto infatti, assieme ad una serie di interventi di restauro già iniziati, ha il compito di integrare l’aspetto storico-culturale dell’antica istituzione a quello sperimentale-espositivo del nuovo edificio, conferendo a questo luogo una fisionomia peculiare e unica al mondo. Tre i temi centrali: partendo dalla relazione tra pianta e ambiente il progetto attraversa il rapporto tra pianta e uomo per arrivare al futuro della botanica, ovvero la pianta nello spazio. Fondato nel 1545 dalla Repubblica di Venezia per la coltivazione e lo studio delle piante medicinali, l’istituzione patavina è “all’origine di tutti gli altri orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra natura e cultura”, motivazione che nel 1997 lo ha reso Patrimonio Mondiale dell’Umanità. La sua antica struttura, un quadrato inscritto in un cerchio, rimanda all’ideale di un hortus conclusus, giardino segreto e fantastico, destinato ad accogliere chi è alla ricerca del rapporto tra l’individuo e l’universo. Da questo patrimonio parte il progetto del nuovo orto per realizzare cinque serre in una galleria di vetro e acciaio – 110 metri di lunghezza per 18 di altezza e 30 di profondità – che riproducono le cinque zone climatiche (biomi) del globo. Grandi vasche per le piante acquatiche, un modernissimo visitor center, realizzato nella parte storica dell’orto, con spazi funzionali, sezioni espositive e un nuovo sistema di percorsi dentro il tema della biodiversità. Seguendo un tracciato ideale lungo un meridiano terrestre in direzione nord-sud, il visitatore si troverà ad attraversare gli ecosistemi del nostro pianeta che si susseguono dalle regioni tropicali a quelle subartiche. L’estensione di ogni zona climatica e quindi di ogni serra corrispondente racconta come cambiano i livelli di temperatura, luce e acqua attraverso le zone bioclimatiche, fino a giungere alla piccola superficie dedicata al clima sub-artico, in cui la biodiversità raggiunge livelli minimi. Il percorso si conclude con le nuove frontiere della scienza botanica: la pianta nello spazio. Un ambiente che si propone di illustrare come sia possibile esportare la vita oltre la superficie terrestre, ricreando le condizioni per l’innesto della fotosintesi. I visitatori potranno immergersi in un ambiente dove sono riprodotte le diverse situazioni che gli enti aerospaziali internazionali stanno studiando, una navicella, una colonia lunare e una marziana, e verificare le condizioni di vita extraterrestre.
planet’s biodiversity will be created. The central thread of the decision for this project is innovation in continuity. Indeed, along with a series of restoration operations that have already begun, the new garden is to integrate the ancient institution’s historical-cultural aspect to the new building’s experimental-exhibitive building, endowing the site with a peculiar physiognomy that is unique in the world. There are three main themes: beginning with the relationship between plants and the environment, the project extends over the relationship between plants and man to reach the future of botany… plants in space. Founded in 1545 by the Republic of Venice for the cultivation and study of medicinal plants, the Paduan institution is “at the origin of all the other botanical gardens in the world and represents the cradle of science, of scientific exchanges and comprehension of the relations between nature and culture”, a motivation that made it be declared a World Heritage of Humanity in 1997. Its ancient structure, a square inscribed in a circle, is reminiscent of the ideal of a hortus conclusus, a secret, fantastic garden that is to host those who seek the relationship between the individual and the universe. It is from this heritage that the project for the new garden was born: five greenhouses in a glass and steel gallery – 110 meters in length, 18 in height and 30 in depth – which reproduce the world’s five climatic zones (biomes). Great pools for aquatic plants, an ultra-modern visitor center that was created in the historical part of the garden, with functional areas, exhibitive sections and a new system of routes through the theme of biodiversity. By following an ideal trail along a terrestrial meridian running north-south, visitors will find themselves going through our planet’s ecosystems, from the Tropics to the subarctic regions. Each climatic zone’s extension, and thus each corresponding greenhouse shows how temperature, light and water levels change across the bioclimatic zones, up to the small surface devoted to the subarctic climate, in which biodiversity reaches minimum levels. The itinerary ends with the new frontiers of botanical science: plants in space. An environment that is meant to illustrate how it is possible to bring life beyond the Earth’s surface, and which recreates the conditions for the grafting of photosynthesis. Visitors will be able to immerse themselves in an environment where the various situations that international aerospace enterprises are studying are reproduced: a space shuttle, and a Moon and Mars colony, as well as the analysis of the conditions necessary for extraterrestrial life.
Credits Project: Giorgio Strappazzon (team leader) Coordination: Fabrizio Volpato Architectonic Project: VS.associati, Stanton Williams Plants Project: SINT Ingegneria Structural Project: Simoncello Associati Collaborator: Andrea Spoldi Consultants: Ingeo (engineering and geology), Maria Speranza (botanic), Paola Rossi Pisa (agronomy), Maria Malvina Borgherini (history), Stefano Tuzzato (archaeology) Client: Università degli Studi di Padova
In the International Year of Biodiversity, works on the site of Padua’s new botanical garden have begun. Through the extension of the garden’s historical boundaries, the University of Padua is the institution that is managing the evolution of the most ancient vegetable garden in the world: the natural environments on the Earth’s surface will be recreated in a futuristic facility. Developed by Giorgio Strappazzon of the VS.associati studio, the project integrates with the extant context and is a natural continuation of it. Within the next two years, an atlas with all the
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Onda Parametrica At MAXXI Rome
Intonaco premiato Ecola Award
Progetto: Studio Kami (Emanuele Custo ed Emanuele Mantrici)
I vincitori del Premio Internazionale Ecola per l’“Uso dell’intonaco in architettura” sono stati selezionati. La giuria, presieduta da Michael Szyszkowitz, ha assegnato due primi premi, due menzioni speciali e un riconoscimento di merito per un edificio ottimizzato rispetto alle emissioni di carbonio. Al concorso avevano partecipato 144 progetti provenienti da 11 Paesi. Il premio biennale, sponsorizzato da Sto AG da Bundesverband Ausbau und Fassade im Zentralverband des Deutschen Baugewerbes, è giunto alla sesta edizione e richiede l’uso dell’intonaco come elemento formativo dell’architettura. E’ diviso in due categorie: Rinnovo/Restauro/Conservazione (che ha visto 40 progetti partecipanti) e Nuovi Edifici (con 104 proposte). Con questo premio, Ecola vuole celebrare quei progetti che uniscono la necessità dell’efficienza energetica con la qualità creativa.
Il progetto architettonico “Onda parametrica”, inaugurato lo scorso dicembre, svolge all’interno del MAXXI di Roma la funzione di parete audio-video e di consultazione dell'archivio fotografico. L’intervento nasce dall’idea di connettere la morfologia dell’oggetto a dati di natura ambientale, per rispondere alla funzione principale della sala: quella audio-visiva. La sfida è stata quella di creare una parete attrezzata sulla base di parametri sonori, che definiscono una geometria complessa: l’estetica stessa dell’oggetto deriva dall’analisi matematica del sonoro. Attraverso l’utilizzo di software specifici, è stato possibile associare, in modo matematico, i dati relativi al comportamento delle onde sonore con la forma della parete. L’onda parametrica è quella forma che, più di altre forme, contiene e assorbe l’urto dell’onda acustica, evitando il fenomeno del riverbero attraverso le sue geometrie, i suoi concavi, i suoi convessi e i suoi elementi frangisuono. The “Parametric wave” architectural project, inaugurated last December at the MAXXI in Rome, plays the role of an audio-video wall and can be used to consult the museum’s photographic archive. The work stems from the idea of connecting object morphology to elements of an environmental nature so as to meet the hall’s main function: that of an audiovisual theater. The designers were faced with the challenge of creating a wall that was equipped with sound parameters that were to define a complex geometry: the very esthetics of the object comes from the mathematical analysis of sound. Through the use of specific software, in a mathematical way it was possible to associate facts related to the behavior of sound waves with the shape of the wall. The shape of the parametric wave is the one that most contains and absorbs the collision of the sound wave, thus avoiding the phenomenon of reverberation through its geometries, its concave and convex curves and its sound breaking elements.
The winners of the 2010/11 international Ecola Award for “Use of render/plaster in architecture” have been chosen. The jury, headed by chairman Michael Szyszkowitz, awarded two 1st prizes, two special commendations and a special merit for carbon-optimised building. 144 projects from 11 countries had been nominated for the competition. Presented every two years, the Ecola Award has now been awarded for the 6th time. Sponsored by Sto AG and the Bundesverband Ausbau und Fassade im Zentralverband des Deutschen Baugewerbes the competition required the use of plaster or render as a formative architectural element: 40 projects were entered under the category of Renovation/Refurbishment/Conversion, with 104 entered in the New Building category. Through this award, Ecola pays tribute to projects featuring a design which unites the necessity of energy-efficient planning with creative quality.
I Vincitori/Winners Primo Premio/1st Prize 1. Moritzburg Museum extension, Halle, DE Architects: Nieto Sobejano Arquitectos, Madrid, ES (Renovation/Refurbishment/Conversion) 2. DBM + extension, German Mining Museum, Bochum, DE Architects: Benthem Crouwel Architects, Amsterdam, NL (New Building) Menzioni d’onore/Special commendations 3. Former hospice St. Gotthard, St. Gotthard, CH Architects: Miller & Maranta, Basel, CH (Renovation/ Refurbishment/Conversion) 4. Apartment complex Liesing brewery, Vienna, AT Architects: Delugan Meissl Associated Architects, Vienna, AT (New Building) Riconoscimento per un edificio ottimizzato nelle emissioni di CO2 Special merit for carbon-optimised building 5. Personnel block Areal Koch, Samedan, CH Architects: Mierta & Kurt Lazzarini Architects, Samedan
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Libertà russa In occasione del 2011, anno della cultura e della lingua russa in Italia e della cultura e della lingua italiana in Russia, Spazio Carbonesi a Bologna (via Val D’Aposa) presenta fino al 27 febbraio “Svoboda”, mostra collettiva di arte contemporanea russa a cura di Daria Khan. Svoboda significa libertà in russo – ma scritta in caratteri latini perde il compimento del suo significato e diventa solo una parola, una metafora per la percezione della libertà in Russia.
Nella cornice dello storico Palazzo Zambeccari, opere site specific di undici artisti interpreti di quella generazione che ha vissuto i recenti conflitti tra le élite artistiche e la classe dirigente in Russia che hanno toccato la questione del coinvolgimento politico e religioso degli artisti e della loro responsabilità etica. L’indagine si concentra sul concetto di libertà spaziale, associata alla possibilità oggettiva di viaggiare ma soprattutto al
superamento virtuale dello spazio, per esplorare l'interazione tra spazio e arte, attraverso un viaggio nel panorama artistico contemporaneo della Russia, Paese che sempre più appare destinato a irrompere sulla scena internazionale. Gli artisti in mostra sono Yuri Avvakumov, Kiril Ass & Anna Ratafieva, Peter Belyi, Alexander Brodsky, Dmitry Gutov, Maxim Ksuta, Roman Sakin, Rostan Tavasiev, Yulia Zastava, Anya Zholud, Irina Korina.
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NEWS/DOSSIER Catturare la realtà Japan Culture in Lugano Fino al 27 febbraio a Lugano, quattro mostre e numerosi eventi compongono un percorso che coinvolge gli spazi espositivi della città e illustra la cultura del Giappone: dalle origini dell'arte e dalle antiche tradizioni fino alle forme artistiche più contemporanee, inclusi i grandi interpreti della fotografia. Tra queste al Museo d’Arte-Villa Malpensata fino al 20 febbraio “Araki Love and Death”, che presenta le immagini di Nobuyoshi Araki. Curata da Fuyumi Namioka, la retrospettiva ne ripercorre la carriera documentando tutti i temi sviluppati, proponendo anche una serie di scatti inediti, realizzati dal fotografo giapponese nelle settimane immediatamente precedenti la mostra. La fotografia di Araki esprime e riattualizza molti dei temi che più strettamente si legano alla cultura giapponese: dall’esaltazione del mutare delle stagioni, alla bellezza caduca dei fiori e della sensualità femminile. A contraddistinguere i suoi lavori vi è anche l’urgenza di catturare il continuo mutare della realtà attraverso una documentazione fotografica
serrata. Tale urgenza è restituita in mostra dalle numerose polaroid scattate da Araki nel corso degli anni e allestite in modo da formare un grande mosaico. Four shows will be open through February 27th in Lugano, hosted by the city’s various exhibition areas and illustrating Japan’s culture: from the origins of art and ancient traditions to more contemporary art forms, including great photographers. One of the exhibitions is “Araki Love and Death”, open at the Art Museum – Villa Malpensata through February 20th, presenting pictures by Nobuyoshi Araki. Curated by Fuyumi Namioka, the retrospective retraces his career, documenting all of the themes he has developed, also proposing a series of new snapshots that the Japanese photographer took in the weeks immediately preceding the exhibition. Araki’s photography expresses and raises many of the themes that are most closely linked to Japanese culture: from the exaltation of the changing seasons to the ephemeral beauty of flowers and feminine sensuality. His works are also distinguished by the urgency of capturing the continuous
shift of reality through serried photographic documentation. This urgency is evident in the show, with a great number of Polaroids that Araki took throughout the years, laid out to form a great mosaic.
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Artisti e Sciamani Malindi Biennal Dopo il successo delle precedenti edizioni, torna a Malindi (Kenya) fino al 28 febbraio 2011, all’African Dada Resort Casuarina, la Biennale Internazionale d’Arte (www.labiennaledimalindi.com). Questa terza Biennale, dedicata a Pietro Calabrese e curata da Achille Bonito Oliva, approfondisce il tema “Safari: Artisti e Sciamani”. Partendo dal significato della parola “safari” – in arabo spostamento, movimento – si pone l’attenzione sul comportamento delle “tribù artistiche” contemporanee, caratterizzate da una prospettiva trans-nazionale e multimediale, e costituite da soggetti il cui processo creativo si basa su un costante confronto culturale. I quarantatre artisti selezionati provengono da Africa Meridionale, Europa, Canada, India, Cina e Giappone. Le opere presentate consentono di creare un
parallelismo tra la figura dell’artista e quella dello sciamano che, nel rispetto della libertà di ogni singolo individuo, svolge un ruolo fondamentale nell'evoluzione della società di cui fa parte. After the success it saw in the previous editions, the International Biennial of Art (www.labiennaledimalindi.com) will take place in Malindi (Kenya) again this year at the African Dada Resort Casuarina, and will be open through February 28th. This third Biennial, devoted to Petro Calabrese and curated by Achille Bonito Oliva, focuses on the theme “Safari: Artists and Shamans”. Beginning with the meaning of the word “safari” – which in Arabic means shift, movement – the behavior of contemporary “art tribes” is highlighted, as they are characterized by a trans-national and multimedia perspective, and made up of
subjects whose creative process is based on constant cultural interaction. The forty-three selected artists come from Southern Africa, Europe, Canada, India, China, and Japan. The presented works allow for the creation of a parallelism between the figure of the artist and that of the shaman, who, while respecting the freedom of each single individual, plays a fundamental role in the evolution of the society to which he/she belongs.
1. Rostan Tavasiev, Naughtiness. 2. Nobuyoshi Araki, courtesy the artist and Yoshiko Isshiki Office, Tokyo. 3
3. Hellen Anyango, The Kiss.
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Frac: Next Generation Lille
Alle radici dello “stile italiano” In Cantù
I FRAC (fonds régionals d’art contemporaine dedicati alla diffusione pubblica e aperta dell’arte contemporanea) si rinnovano, grazie anche al sostegno del Ministero della Cultura francese. Una mostra ospitata fino al 26 marzo dalla Maison de l’Architecture et de la Ville della Regione Nord-Pas de Calais fa il punto sui progetti dei Frac di nuova generazione. Costruzioni nuove o riabilitazioni queste operazioni sono mosse dall’ambizione di dotare i FRAC dei mezzi necessari per migliorare i loro servizi quali, per esempio, depositi adatti alla costituzione delle collezione, spazi dedicati alla meditazione o ancora all’educazione artistica. La mostra presenta cinque importanti progetti di Frac in corso in diverse regioni della Francia, il Frac Nord-Pas de Calais a Dunkerque di Lacaton & Vassal (ulminazione prevista nel 2012), il Frac Franche-Comté a Besançon, progetto Kengo Kuma & Associates (consegna prevista nel 2012), il Frac Bretagne a Rennes di Odile Decq et Benoît Cornette (nella foto) che verrà inaugurato alla fine di settembre di quest’anno, il Frac Provence Alpes Côte d’Azur a Marsiglia, di Kengo Kuma & Associates e il Frac Centre a Orléans, progetto di Jakob-Mac Farlane, anch’essi previsti per il 2011.
Fino al 17 aprile, negli spazi della ex basilica di S. Ambrogio a Cantù è allestita la mostra “Eccellenze di design”, che mira a ribadire come Cantù e il suo territorio siano stati alle origini del design, visto che le prime collaborazioni tra artigiani del mobile e architetti risalgono ai primi anni del ‘900. La rassegna, che presenta una serie di ricerche compiute a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, e che ha individuato materiali interessantissimi prodotti soprattutto a partire dagli anni Trenta e Quaranta, punta a mostrare “eccellenze” di manufatti, che portano le firme prestigiose di autori oggi considerati fra i massimi progettisti del ‘900: da Franco Albini a Carlo Enrico Rava, da Gio Ponti a Ico Parisi e tanti altri. Attraverso l’analisi delle opere esposte è facile percepire un percorso evolutivo del progetto del mobile che non è fuori luogo qualificare come “design per l’artigianato” che si inserisce a pieno titolo nella più complessa e articolata storia del design italiano, e di quello che Ponti e Parisi definirono “uno stile italiano”.
The French Ministry of culture will be providing further backing for FRAC projects (regional funds for promoting contemporary art among the general public). An exhibition being held at the Maison de l’Architecture et de la Ville della Regione Nord-Pas de Calais will take stock of the latest generation of Frac projects. These operations, either brand-new constructions or renovations, are designed to provide FRAC with the necessary means to improve their services, such as for example storage facilities for collections, spaces devoted to study or even artistic education. The exhibition presents five important Frac projects currently under way in various regions of France, Frac Nord-Pas de Calais in Dunkerque by Lacaton & Vassal (planned to be completed by 2012), Frac Franche-Comté in Besançon, project designed by Kengo Kuma & Associates (planned to be completed by 2012), Frac Bretagne in Rennes by Odile Decq et Benoît Cornette (photo belowe) which is supposed to open at the end of September this year, Frac Provence Alpes Côte d’Azur in Marseille, designed by Kengo Kuma & Associates, and Frac Centre in Orléans, project designed by Jakob-Mac Farlane, also planned to be finished in 2011.
The show “Excellence in design” will be on through April 17th in the former Basilica of St. Ambrose in Cantù. The purpose of the exhibition is to stress how Cantù and its territory are at the origins of design, as the first instances of collaboration there between furniture craftsmen and architects date back to the first years of the twentieth century. The show presents a series of researches conducted from the 1980s onwards, and has identified some very interesting materials and products starting from the 1930s and 1940s. It aims to show the “excellence” of manufactured products by prestigious authors that are considered today to be among the
leading designers of the twentieth century: from Franco Albini to Carlo Enrico Rava, from Gio Ponti to Ico Parisi and many others. Through the analysis of the works on show, it is easy to perceive an evolution in furniture design that can be called “design for craftsmanship”, and that fully deserves to be inserted in the complex, multi-faceted history of Italian design. Indeed, Ponti and Parisi defined it as “an Italian style”.
Franco Albini, Tavolo da pranzo per casa Ferrarin, in legno di ebano Macassar con profili in alpacca e intarsi in avoriolina/Macassar ebony with argentan profiles and ivory inlays, 1932/33.
Storie di vino At SFMOMA
Vibrazioni d’arte In Tokyo
Fino al 17 aprile, il San Francisco Museum of Modern Art presenta “Come il vino è diventato moderno: Design+Vino dal 1976 a oggi”. La mostra, allestita su progetto di Diller Scofidio + Renfro, combina modelli architettonici e oggetti di design con opere d’arte e presentazioni multimediali, oltre a oggetti derivati dalla viticoltura e dalla vita quotidiana. I visitatori si confrontano con questi materiali immersi in un ambiente scenografico che mette alla prova tutti i loro sensi, compreso l’olfatto. La storia ha inizio nel 1976, anno dell’ormai noto “Giudizio di Parigi”. In quell’occasione, durante un assaggio alla cieca, nove esperti di vino francesi dichiararono un certo numero di vini nordcaliforniani superiori a stimate riserve francesi. Giusta o meno la decisione, che fu poi criticata e ripetutamente rivista, l’evento fu come un’onda d’urto che attraversò tutto il mondo e conferì alla nascente viticoltura californiana, e a molti viticoltori in tutto il mondo, una nuova consapevolezza, credibilità e visibilità.
L’NTT Inter Communication Center [ICC] in Tokyo (www.ntticc.or.jp) presenta fino al 27 febbraio la mostra “Vibrations of Entities”. Il disegnatore tedesco di cartoni animati Oskar Fischinger, noto per la sua collaborazione con Walt Disney nelle prime fasi di produzione di Fantasia (1940), disse una volta: “Ogni cosa nel mondo ha il proprio spirito e questo spirito diviene udibile se lo si fa vibrare”. Questa affermazione vuole ricordare che l’origine della parola “animazione” è animare (cioè “soffiare vita dentro qualcosa”), ma, ancor più di questo sembra implicare che tutti gli oggetti contengono in se stessi un’energia. Ispirato dalle parole Di Fischinger, il compositore americano John Cage ha portato avanti la sua ricerca per trovare la sede del suono all’interno degli oggetti, tentando di estrarre il suono dalle cose, un suono che non si vedeva né sentiva. Questa mostra presenta opere contemporanee che esprimono un “potere invisibile”, che può essere interpretato con un’ampia accezione come in relazione con le diverse vibrazioni che si manifestano in forma di energia e fenomeni che si rifanno a tali concetti.
Until April 17, the San Francisco Museum of Modern Art presents “How Wine Became Modern: Design + Wine 1976 to Now”. The exhibition, designed by Diller Scofidio + Renfro, combines architectural models and design objects with works of art and multimedia presentations, as well as objects drawn from viticulture and everyday life. Viewers encounter artworks, objects, and information within immersive, quasitheatrical environments that engage multiple
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senses including smell. The story begins in 1976, the year of the now-famous Judgment of Paris. There, in a blind taste test, nine French wine experts pronounced a number of Northern California wines superior to esteemed French vintages. However apt the decision, which was later criticized and repeatedly restaged, the event released shock waves across the globe as it gave the nascent California wine industry, as well as winemakers in many other parts of the world, new confidence, credibility, and visibility.
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NTT Inter Communication Center [ICC] in Tokyo (www.ntticc.or.jp) presents “Vibrations of Entities” exhibition.until 27 February. German animator Oskar Fischinger, who is famous for his collaboration with Walt Disney in the early stages of production for Fantasia (1940), once said that, “Everything in the world has its own spirit, and this spirit becomes audible by setting it into vibration.” This
statement can be said to be a reminder that the origin of the word “animation” is animare (meaning “to breathe life into”), but more than that it can be said to imply that all kinds of objects contain an energy dwelling within them. Ever since being inspired by Fischinger's words, American composer John Cage continually sought out the sound dwelling within objects, attempting to draw out the sound of from within things that cannot be seen and things that cannot be heard. This exhibition introduces contemporary works that express an “invisible power” that can be interpreted broadly in relation to various vibrations in the form of energies and phenomena such as these.
2 1. Kami no Shizuku, Drops of God, 2004-ongoing; (© Tadashi Agi/Shu Okimoto/Kodansha Ltd.). 2. Formant Brothers, “Haunted House”, 2010.
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Un capitolo affascinante In Rimini “Parigi. Gli anni meravigliosi. Impressionismo contro Salon” è aperta al Castel Sismondo di Rimini fino al 27 marzo. Questa mostra, attraverso 96 dipinti e sculture provenienti da musei e collezioni private sia europei che americani, ripercorre quella vicenda della storia dell’arte che ha fatto di Parigi, e di tutto il territorio francese, soprattutto nella seconda metà del XIX secolo, il vero centro del mondo. Si indaga quel capitolo affascinante dell’arte quando il nuovo giunge e un grande muro gli viene opposto. Ma anche quando attraverso quel muro, il muro del Salon, passa il fascino che accende e accompagna la dimensione della pittura. Non a caso Frédéric Chevalier, in un articolo sul Salon del 1877 per la rivista “L’Artiste”, intitolato L’impressionismo al “Salon”, afferma: “L’Impressionismo ha finito per entrare al Salon ufficiale”. Infatti, al Salon sono stati accettati Manet, Monet e Pissarro, Sisley e Degas, Bazille e Renoir, Cézanne e Guillaumin, Morisot e Fantin-Latour, solo per dire dei principali artisti più o meno riconducibili all’Impressionismo e tutti presenti in questa mostra. La mostra quindi, dopo un breve incipit (“Via, via dalla pazza storia”) di soli tre quadri (Ingres, Bouguereau, Carrière), articolandosi in tre sezioni di carattere tematico (la prima “Volto, corpo e figure”, la seconda “Nature sospese”, la terza “Lo specchio della natura”) pone a confronto sui medesimi soggetti i pittori del Salon con gli Impressionisti e prima di loro con gli artisti legati a Barbizon. “Paris. The wonderful years. Impressionism against Salon” is open at a castle in Rimini, Castel Sismondo, through March 27th. Through 96 paintings and sculptures coming from private European and American collections, this show retraces the events in the history of art that made Paris and all the French territory – especially in the second half of the nineteenth century – the true center of
the world. The exhibition analyzes a fascinating chapter in the world of art: when change appeared and it was faced with a great wall. But it also shows how the spell that ignited and accompanied the dimension of painting passed through that wall: the Salon’s wall. Indeed, in an article on the Salon from 1877 for the magazine L’Artiste, entitled “Impressionism at the Salon”, Frédéric Chevalier stated: “Impressionism has ended up at the official Salon”. In fact, the main artists that in one way or the other are connected with Impressionism, all of which are on display at the exhibition, including Manet, Monet and Pissarro, Sisley and Degas, Bazille and Renoir, Cézanne and Guillaumin, Morisot and Fantin-Latour, were all accepted at the Salon. Therefore, after a brief incipit (“Away, away from senseless history”) featuring only three paintings (Ingres, Bouguereau, Carrière), and with three thematic sections (the first: “The face, body and figure”, the second: “Suspended nature”, the third: “The mirror of nature”), the show compares the Salon painters with the Impressionists, and, before them, with the artists linked to Barbizon.
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“avventura del vetro” a Venezia, dall’arrivo in laguna, in età classica, di vetri provenienti da aree anche lontane, fino al connubio sempre più stretto tra vetro e design che rappresenta il presente e il futuro della produzione vetraria muranese. Sullo sfondo di questo evento, la prossima ricorrenza dei 150 anni della nascita del Museo avvenuta nel 1861 grazie all’Abate Zanetti, nonché la prospettiva di espandersi nei futuri spazi delle vicine Conterie con la speranza di incentivare ulteriori donazioni di opere novecentesche.
1. Edouard Manet, Bagnanti sulla Senna, olio su tela/oil on canvas, 132x98 cm, circa 1862 (San Paolo, Museu de Arte de São Paulo Assis Chateaubriand). 2. Nicola Djulgheroff, Città grigia, 1920.
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Fino al 6 marzo, presso il Guangdong Museum of Art di Canton, è aperta la mostra “A+B+C/F=Futurismo” che propone al pubblico asiatico i più importanti manifesti della storia del Futurismo. Il percorso espositivo illustra il Futurismo nella sua essenza più vera quella di prima avanguardia globale capace di contaminare con le sue idee arte, letteratura, cinema, musica, teatro, moda, cucina, arti applicate, grafica pubblicitaria e fotografia. Sono esposte opere di Giacomo Balla della collezione Artecentro, di Carlo Carrà, di Pampolini di Allimandi di Fillia e Djulgheroff, di Munari, Palladini, Depero, Farfa e Mori. La Città di Alessandria, da cui è partita l’iniziativa, contribuisce con tre opere appartenenti alla collezione della Pinacoteca Civica Città grigia di Djulgheroff, L’uomo meccanico di Fillia e Costruzione di donna o nudo femminile di Osvaldo Bot primo esempio di sferopittura, tutti del 1928. Presenti inoltre sculture di Mino Rosso, Thayhat e Bertelli, aereofotografie di Masoero, fotografie di Castagneri, Guarnieri, Caminada e Alfieri, manifesti pubblicitari di Depero, Mastroianni, Carboni, Ratalanga, Di Lazzaro, Marinetti. Il percorso espositivo si chiude con opere di artisti contemporanei che hanno assimilato il germe del Futurismo contestualizzando in epoca contemporanea le esperienze e le linee del movimento.
On show are works by Giacomo Balla from the Artecentro collection, by Carlo Carrà, Pampolini, Allimandi, Fillia and Djulgheroff, Munari, Palladini, Depero, Farfa and Mori. The city of Alexandria – from which the initiative started – contributes with three works belonging to the collection at the Municipal picture gallery: Gray city by Djulgheroff, The mechanical man by Fillia and Construction of a woman or feminine nude by Oswaldo Bot (the first example of spherical painting), all from 1928. Sculptures by Mino Rosso, Thayhat and Bertelli are also on display, as well as aero photographs by Masoero, photographs by Castagneri, Guarnieri, Caminada and Alfieri, and advertising posters by Depero, Mastroianni, Carboni, Ratalanga, Di Lazzaro, Marinetti. The exhibition closes with works by contemporary artists that have absorbed the seed of Futurism by contextualizing their experiences and the lines of movement in contemporaneity.
The Guangdong Museum of Art in Canton hosts “A+B+C/F=Futurism”, which presents the Asian public with the most important manifestos of the history of Futurism. Open through March 6th, the show illustrates Futurism in its truest essence: as the first global avant-garde that is capable of contaminating art, literature, cinema, music, theater, fashion, cuisine, applied arts, advertising graphics and photography with its ideas.
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Viaggi d’arte
Spazio al vetro Il Museo Correr di Venezia dedica fino al 25 aprile i suoi spazi espositivi al vetro con la mostra “L'avventura del vetro”. La mostra, a cura di Aldo Bova e Chiara Squarcina, rappresenta la più ampia rassegna sul tema dopo la grande esposizione del 1982 a Palazzo Ducale, Museo Correr e Museo del Vetro. Organizzata cronologicamente in quattro sezioni – vetri archeologici; dal XV al XVIII secolo; XIX secolo, XX secolo – e con oltre trecento opere esposte, la grande rassegna al Correr ripercorre tutte le tappe della straordinaria
Il Futurismo va in Asia In Canton
3. Pietro Bigaglia, Ruo in filigrana a reticello bianco, acquamare e rubino/white, bluemarine, rubin filigree mesh plate, 1845-1848 (Museo del Vetro, Murano).
Il Museo Pecci Milano (www.centropecci.it) presenta fino al 26 marzo, la mostra ”Invito al viaggio. Parte 1 | proposte dalla collezione del museo: ambienti”, curata da Stefano Pezzato e dedicata alla collezione del Museo con opere di Pinot Gallizio, Fabio Mauri, Mario Merz, Superstudio. La mostra rappresenta la prima parte del più ampio progetto espositivo, concepito sia come tema comune alle opere selezionate, sia come metafora dello spostamento spaziale e temporale del Museo (la cui sede madre a Prato è in fase di rinnovamento)
per un'esplorazione fisica e mentale da parte del pubblico, che prosegue con una seconda esposizione, a partire dal 3 febbraio, dal titolo ”Invito al viaggio. Parte 2 | Proposte dalla collezione del museo: ambienti e opere”, nella quale, agli ambienti dei quattro artisti scelti per l’apertura del progetto, vengono affiancate opere di Loris Cecchini, Enzo Cucchi, Remo Salvadori e Gilberto Zorio, al fine di delineare un'inedita panoramica nell'arte italiana degli ultimi cinquant’anni con particolare riferimento al tema letterale e simbolico del viaggio.
Superstudio, Supersuperficie, visualizzazione prospettica del microambiente realizzato al/perspective visualization of the microenvironment realized at MoMa di New York, 1971-72.
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Sommi capricci e geniali bizzarrie Dal 10 febbraio al 21 maggio, è in corso a Milano, nella spazialità di Palazzo Reale, la mostra ArCimBoLdo – Artista milanese tra Leonardo e Caravaggio; evento che dà visibilità al talento geniale di Giovanni Arcimboldo, artista del Cinquecento straordinariamente attivo presso la corte Asburgica a Vienna e a Praga. Formatisi nel contesto artistico milanese e lombardo, Arcimboldo studiò Leonardo assimilandone i concetti che trasferì nelle proprie personalissime interpretazioni, raggiungendo onori e fama. La mostra intende mettere in evidenza la molteplicità delle opere dell’artista, che comprendono non solo la grande creatività espressa mediante le notissime e allegoriche teste composte, o le sontuose interpretazioni di nature morte o le emblematiche “pitture ridicole”, ma anche per importanti studi naturalistici, e per coreografie, cortei e feste che in quel tempo erano eventi di assoluta rinomanza e significato. La mostra, prodotta da Palazzo Reale e Skira editore, con la collaborazione di Musei, trai quali il prestigioso Kunsthistorisches Museum di Vienna e di Sopraintendenze qualificate, nasce in stretto collegamento con la National Gallery of Art di Washington, che condivide con una propria mostra questo evento e il nucleo fondamentale delle “Teste” di Arcimboldo. Curatrice della manifestazione è Sylvia Ferino, direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum di Vienna – presente con il nucleo più corposo di opere, in collaborazione con un prestigioso Comitato Scientifico. La grande rassegna si sviluppa in nove sezioni, lungo un
percorso che evidenzia disegni, pitture e una preziosa oggettistica realizzata dalle rinomatissime officine milanesi del tempo. Dopo le due prime sezioni, che danno visibilità alla cultura artistica milanese del Cinquecento, con riferimenti a Leonardo e alle sue influenze nell’ambito lombardo, e con una rassegna di oggetti realizzati dalla singolare creatività artigianale milanese completata da altri prestigiosi reperti di provenienze museali straniere, spicca la sezione Arcimboldo a Milano, che illustra le opere giovanili dell’artista e dei più noti maestri operanti a Milano. Quindi si giunge alla sezione che riguarda “l’illustrazione naturalistica in Italia e in Lombardia”, che racconta come la straordinarietà delle nuove razze di animali e vegetali, arrivati in Europa a seguito della scoperta dell’America, coinvolse e obbligò a nuovi e curiosi aggiornamenti del repertorio naturalistico. Subito, nella successiva sezione, si trovano esposte le straordinarie “Teste Composte di Arcimboldo (Stagioni ed Elementi)”, e più oltre, nella sezione sulla “pittura ridicola”, compaiono disegni eccezionali di figure grottesche. La settima sezione mostra infine un repertorio di cinquanta bellissimi disegni che illustrano i meccanismi ideati dal maestro per quelle “feste di corte” che tanto amava progettare. L’ottava sezione è dedicata al “ritorno di Arcimboldo a Milano” e comprende un suo autoritratto. La mostra chiude con la sezione “teste reversibili e la natura morta”, che evidenzia capolavori quali “L’ortolano” e la “Testa reversibile con canestra di frutta”.
Percorso multimediale Si svolge fino al 15 febbraio, presso gli spazi di Palazzo Reale a Milano, la manifestazione “Milano ultimo atto d’amore”; un omaggio a Mimmo Rotella e ad Alda Merini che, ideato e progettato da Pierpaolo Venier, si rivela una ineffabile occasione d’incontro che li unisce lungo un percorso multimediale ed espositivo, capace di evocarne il ricordo comune. Si tratta di richiami e filmati emblematici e suggestivi finalizzati a comunicare, nei rispettivi linguaggi, un confronto che
già l’artista e la poetessa avevano condiviso nel 2005, ispirandosi all’icona di una sontuosa Marilyn Monroe e del suo mito. Il percorso mette in evidenza venti opere di grande formato eseguite da Mimmo Rotella tra gli anni Ottanta e il 2000 e dieci ritratti décollage di Marilyn Monroe eseguiti tra gli anni Sessanta e il 2004, mentre Alda Merini è presente con manoscritti originali e corrispondenza inedita. E Milano si rivela come lo spazio ideale che ne relaziona le pulsioni e l’identità.
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Suggestioni visionarie
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Esuberanza e impatto Dal 20 marzo al 10 luglio, la Pinacoteca Comunale Casa Rusca, di Locarno, ospita una mostra di Botero che, curata da Rudy Chiappino con la collaborazione dell’artista stesso, ne evidenzia la produzione artistica degli ultimi quindici anni. Fortemente connotato dalla sua particolare impostazione e interpretazione stilistica che crea atmosfere illusionistiche e di suggestiva e sensuale esuberanza, usando il colore nella sua pura essenzialità, Botero si racconta nelle sessanta opere di grande formato che, presenti in mostra, alludono, enfatizzano e reinterpretano i grandi capolavori del passato, i nudi, i ritratti di religiosi, la corrida, le nature morte, il circo, la gente e la vita 4 latino-americana.
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Al Palazzo Grimani di Venezia, fino al 20 marzo, è in corso la mostra “Bosch a Palazzo Grimani” che, promossa dalla Soprintendenza Speciale ai Musei e alle Gallerie Statali della Città di Venezia, organizzata e prodotta da Artemisia Group, è stata curata da Vittorio Sgarbi. Massimo ed emblematico pittore fiammingo, Hieronymus Bosch viene evidenziato con tre opere straordinarie; Visione dell’Aldilà (1500 – 1503), il Trittico di santa Liberata (1505) e il Trittico degli Eremiti (1510), (provenienti da Palazzo Ducale di Venezia); la città nella quale si ritiene abbia soggiornato tra il 1499 e il 1502. Di inquietante e suggestivo impatto emozionale, l’opera di Bosch illustra la morale e i concetti religiosi del tempo con trascendenze emblematiche, e riporta ai Bestiari medioevali evocando un’umanità oppressa dal peccato. Le tre straordinarie opere esposte facevano parte della collezione del cardinale Domenico Grimani che, grazie al suo lascito testamentario, divennero proprietà di Palazzo Ducale. 1. Giuseppe Arcimboldo, L’Inverno, olio su legno di tiglio/oil on lime board, 66,6x50,5 cm, 1563 (Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gamäldegalerie inv. GG 1590). 2. Giuseppe Arcimboldo, Vertunno (Ritratto di Rodolfo II), olio su tavola/oil on board, 68x56 cm, 1590 (Castello di Skokloster, Svezia inv. 11615). 3. Alda Merini, Mimmo Rotella, Eterno firmamento.
5 4. Fernando Botero, Freschi sposi, olio su tela/oil on canvas, 206x157 cm, 2010. 5. Hieronymus Bosch, Visione dell’Aldilà, Ascesa all’Empireo, olio su tavola/oil on canvas, 88,5x41,5 cm, 1500-1503.
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Legno che arreda e ispira Alpi, leader mondiale nella produzione di legno multilaminare, ha trasformato in manufatti evoluti idee e propositi nati da una creatività suggestiva e alchemica, da una sapienza tecnologicamente avanzata e da una coscienza scrupolosa in termini di rispetto ambientale e risorse naturali, dando vita alla collezione Alpilignum, una combinazione che intreccia aspetto e sostanza. Si tratta di una gamma da poco entrata in produzione che, costituita da tranciati Alpi, è già in fase di ampliamento e diversificazione secondo inusuali tipologie di essenze, imponendosi nelle applicazioni importanti e significative quali rivestimenti per elementi di design, per completamenti di interni, nonché impieghi e applicazioni in arredi residenziali e commerciali come hotel, ospedali, uffici, negozi, imbarcazioni, ristoranti, e interni di vetture. Realizzato come foglio decorativo in legno, Alpilignum è disponibile in numerosissime versioni e combinabile negli spessori, proponendo, nel colore e nelle venature, le particolarità di tutti i legni
conosciuti nonché fantastiche e inusuali soluzioni creative, prestandosi con estrema facilità a essere intagliato, giuntato, fresato o lavorato senza limiti, come qualsiasi legno. Altri vantaggi riguardano l’uniformità, la perfetta ripetitibilità del colore e delle venature, nonché la facilità delle giunte e la possibilità della verniciatura. Come tutta la produzione dell’azienda, anche i legni utilizzati per la realizzazione di Alpilignum Collezione hanno provenienza controllata e certificata FSC. www.alpi.it
Casa Passiva Underhill House è stata la Casa Passiva isolata da Dow Building Solutions e certificata come la prima in Inghilterra. Si tratta di un progetto pionieristico, impostato sull’eco-sostenibilità, che, ideato da Helen Seymour-Smith, riguarda una costruzione sorta in collina, sulle rovine di un fienile del 300, in una zona di straordinaria bellezza paesaggistica. La Casa Passiva è stata scavata nella collina ed è invisibile al paesaggio circostante tanto da escluderne l’impatto ambientale e visivo. La struttura, realizzata in calcestruzzo internamente per sfruttare al meglio i vantaggi termici, presenta una vetrata rivolta a sud che aiuta l’accumulo di calore, ed è altamente isolata nel pavimento, nel tetto e nelle pareti grazie a Styrofoam™, Floormate™ 300-A, Roofmate™ SL-A, e Perimate™ DI-A. Le lastre azzurre Dow sono state scelte poiché viene affermato che “… solo l’isolante in polistirene estruso ha il giusto livello di resistenza all’umidità e
mantiene le prestazione termiche per tutta la vita dell’edificio, ed è Styrofoam™ A l’unico prodotto del suo genere nel Regno Unito con queste caratteristiche”. Tutti i test per ottenere la certificazione di Casa Passiva, nonché le prove di tenuta d’aria, sono stati superati. Il progetto conferma quindi come una combinazione di materiali efficaci e un’ottima idea architettonica, possano determinare un’ottima funzionalità e un ambiente abitativo di massima efficienza e corretto riferimento ambientale. http://building.dow.com/
Analisi in corso Valorizzare il design Si è svolta lo scorso novembre 2010, presso la Triennale, la presentazione dell’annuario ADI Design Index 2010 completo dei prodotti che, preselezionati, saranno premiati dalla giuria del Compasso d’Oro. L’occasione ha consentito agli organizzatori di annunciare che il prossimo Premio Compasso d’Oro 2011 si terrà a Roma, in occasione delle celebrazioni per il Centocinquantenario dell’Unità d’Italia. La relativa mostra, quale momento ufficiale per l’assegnazione dei Premi, sarà completata per l’occasione con tutti i pezzi selezionati negli ultimi tre Index e accompagnerà una rassegna più istituzionale dedicata alla storia degli ultimi cinquanta anni, evidenziando i pezzi premiati con il Compasso d’Oro nell’arco della sua esistenza. L’iniziativa si è valsa della collaborazione di Fondazione Valore Italia, che gestirà l’operazione con ADI e Fondazione ADI, in relazione a un
progetto che assicurano più organico e a tutela del prodotto italiano, voluto dal Ministero dello Sviluppo economico. Il Premio tornerà a Milano nel 2014 in occasione del Compasso - 2014, e in coincidenza con l’apertura della prevista nuova sede permanente dell’ADI e della Collezione Storica del Compasso d’Oro, in attesa che prenda avvio l’Expo del 2015. www.adi-design.org
E’ in corso la più completa valutazione del ciclo di vita (Life Cycle Assessment – LCA) mai compiuta nel settore internazionale del legno di latifoglie, che sarà resa pubblica nel corso del prossimo (EcoBuild, la più notevole fiera di edilizia in Gran Bretagna) presso lo stand modulare di AHEC (American Hardwood Export Council). Questa verifica permetterà di redigere le Dichiarazioni Ambientali di Prodotto (EPD) per le specie e i prodotti in latifoglie americane, confermate e riconosciute come la fonte più attendibile di informazioni sul profilo ambientale di un dato prodotto, e considerate affidabili dai sistemi di certificazione di bioedilizia quali BREEAM e DGNB: un riferimento imprescindibile per i materiali. Lo studio riferirà inoltre la valutazione separata dell’impronta di
carbonio lasciata dal legname e dall’impiallacciato di latifoglie americane trasportati in Europa, secondo lo standard britannico PAS 2050 e il protocollo internazionale sui gas a effetto serra (GGP). L’iniziativa LCA è un notevole impegno per AHEC, che potrà riferirne i risultati finali appena possibile. www.americanhardwood.org
All’insegna dell’ecofriendly
relative a quest’ultima edizione di ExpoEdilizia, oltre alla constatazione del minore afflusso di visitatori, affermano che è però stato molto significativo l’afflusso di professionisti di settore, che hanno particolarmente apprezzato la qualità dei sistemi e confermato l’interesse per il loro utilizzo. www.forster.it
Omnidecor, riferimento di altissima gamma per lastre in vetro satinato per architettura, design e arredamento, ha partecipato alla manifestazione GlassBuild America con i propri manufatti realizzati considerando l’eco-sostenibilità e il rapporto responsabile con le risorse ambientali, evidenziandosi per l’impegno in queste tematiche mediante una rassegna di prodotti proposti come: Omnidecor Green Thinking >> Use of ecofriendly materials and manufacturing systems since 2002>> Responsible management of environmental resources. Questi i prodotti presentati: Decorflou extrachiaro, Decorflou Design Bifuzzy – Crossed Fuzzy – Laurel – Bicannes – Birain, a dimostrazione di come l’azienda abbia
saputo reinterpretare il vetro (al 100% riciclabile) mediante nuove tecnologie e un’originalissima creatività. Infatti, per merito di una tecnica singolare di lavorazione, il vetro raggiunge aspetti e consistenze inusuali, ottenendo una tattilità morbida e piacevole, nonché una migliore resistenza e un forte impatto creativo. www.omnidecor.net
tratta di un prodotto che, grazie alle proprietà fotocatalitiche, è in grado di ridurre l’inquinamento nelle città. Misurazioni scientifiche su strada (a Bergamo e Parigi) e in un tunnel (a Roma sotto il Quirinale) hanno certificato un abbattimento degli agenti
inquinanti pari al 30%, mentre a Milano è in fase di ultimazione la più significativa fra le realizzazioni firmate TX Active® con l’innovativo complesso eco-tecnologico del quartiere Lorenteggio. Si tratta di tre torri, alte rispettivamente 60, 55 e 42 metri, e di un
auditorium, pensate secondo i più moderni criteri ambientali di eco-sostenibilità. Il complesso, di circa 67mila metri quadri ospiterà i 3mila dipendenti di Vodafone del Nord Italia. www.italcementigroup.com
Novità in Fiera Forster e Tu.bi.fer hanno partecipato alla quarta edizione di ExpoEdilizia, svoltasi lo scorso novembre nella Nuova Fiera di Roma, mettendo in evidenza le novità più significative e, pur con una regressione di presenze nel contesto fieristico, hanno riscosso notevole attenzione e riscontro, oltre a Foster Unico Hi quale evoluzione del sistema di profili a taglio termico Forster Unico, altre singolari novità tra le quali la nuova ferramenta a nastro Maico con una portata di 180 Kg per anta. Le considerazioni di Antonio Bizzozzero,
Per la sostenibilità E’ stato punto di eccellenza ad Ecomondo 2010, la 14ª Fiera Internazionale del Recupero di Materia ed Energia e dello Sviluppo Sostenibile svoltasi lo scorso novembre alla Fiera di Rimini, “TX Active®”, il cemento mangia-smog di Italcementi. Si
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I tempi del recupero Con la conferenza stampa di FederlegnoArredo, datata 14 dicembre 2010, il presidente Rosario Messina ha commentato che la chiusura del 2010 concede il recupero di un punto e mezzo percentuale, indicando una crescita modesta del comparto e presupponendo tempi di recupero piuttosto lunghi pur se rassicuranti. La riflessione conferma che la positività del 2010 non cancella la negatività dei riscontri emersi nel 2009 nonché nel 2008. Tra le varie previsioni ed emblematiche supposizioni generali, sono emersi dati che danno il recupero del giro di affari per la filiera del legno-arredamento (+ 1,9%) e dell’illuminazione (+2,3%), nonché dei comparti che producono componenti come quello dei pannelli e dei semilavorati (+6,4%), come pure di altre produzioni non destinate all’edilizia (+4,7%), mentre altri settori, come il sistema ufficio, non sono purtroppo ancora positivi. Messina ha sottolineato inoltre che: “… le imprese italiane non sono state passive, ma hanno ripensato in modo nuovo i propri prodotti e la propria organizzazione produttiva e commerciale, creando prodotti diversi, per esigenze meno onerose, con posizionamenti diversi per attuare politiche commerciali e
I primi 50 andare incontro alla domanda. E in questo processo - la Federazione ha investito molto mediante il progetto social Housing, che riguarda l’abitare di qualità a costi contenuti, a cui hanno aderito e stanno aderendo molte aziende”. E’ emerso inoltre che FederlegnoArredo ha molto lavorato sui mercati esteri a supporto dello sviluppo di internazionalizzazione di tutto il sistema, e per promuovere iniziative fieristiche e di comparto con workshop e presenze collettive nei mercati più nuovi e interessanti. La Federazione si è anche mostrata impegnata in modo determinante per la modifica del Codice della Proprietà Industriale (D.Lgs n.30/2005) entrata in vigore nel settembre 2010, introducendo una importante novità positiva per l’industria italiana, relativa al settore dell’arredamento con l’introduzione della modifica dell’art. 239 per l’inserimento di una nuova previsione sulla protezione del diritto di autore per le opere di design. L’implicazione fondamentale della modifica rende, da ora, tutti i prodotti-copia, realizzati in Italia dopo il 19 aprile 2006 e quelli importati dopo il 19 aprile 2001, perseguibili come contraffazioni. www.federlegno.it
E’ in preparazione la 50ª edizione del Salone del Mobile, e già traspare il grande impegno che anima le attività, e definisce i termini e le iniziative previste per assicurare alla manifestazione la continuità e le energie capaci di confermarne il successo a livello mondiale. Inoltre la crescita e la rinomanza dei Saloni, in controtendenza rispetto ai risultati riduttivi di molte altre fiere internazionali, si conferma con la lunga lista delle aziende in aspettativa di spazi disponibili, e si evidenzia la qualità sempre più elevata dell’evento, contraddistinto dalle numerose iniziative promosse e in fase di organizzazione anche all’estero. E a ciò ha alluso il presidente di Cosmit Carlo Guglielmi puntualizzando, nel corso della conferenza stampa condivisa con FederlegnoArredo lo scorso dicembre a Milano, che a New York è tuttora in corso un articolato programma che mette in evidenza il prodotto italiano mediante operazioni culturali talmente singolari da stupire gli americani. Queste e altre premesse anticipano insomma il successo della cinquantesima edizione del Salone del Mobile, che usufrirà anche dell’opportunità che vede FederlegnoArredo e Cosmit investire ingenti risorse finanziarie private con l’importante contributo di ICE e del Ministero dello Sviluppo Economico. Nel corso della conferenza è stato ancora ribadito che il punto focale e di riferimento
comune ai Saloni di Aprile 2011 sarà l’innovazione, intesa come forza rigenerante e prioritaria per confermare e costruire percorsi preferenziali al made in Italy nel mondo. Tra le iniziative che precederanno i Saloni, anche una rappresentazione teatrale affidata a Laura Curino e promossa da Cosmit in collaborazione con Fondazione Bassetti, FederlegnoArredo, la Camera di Commercio di Milano e quella di MonzaBrianza, che traccerà il profilo dei protagonisti milanesi impegnati nel design e nell’imprenditoria del design. Nella Triennale di Milano, per la quarta edizione del Museo del Design, verrà inoltre messa a punto una retrospettiva dedicata al Salone del Mobile. Ed è previsto anche l’allestito di un “Boschetto” in zona Piazza della Scala Piazza San Fedele, che ricorderà l’antica memoria di un popolo locale che venerava il ”Lucus”: antico bosco sacro, mentre in Piazza del Duomo sarà allestita “Principia”; una mostra immaginifica sul futuro, secondo un percorso composto da otto ambienti progettati da Denis Santachiara in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti e noti artisti, scienziati e designer. Sarà inoltre data una speciale visibilità, nell’ambito del Salone del Mobile, alle biennali Euroluce e Salone Ufficio: presente dopo tre anni di assenza. www.cosmit.it
Premiati interior designer In occasione del 60° Salone Internazionale dell’Accoglienza SIA Guest, svoltosi lo scorso novembre 2010 presso la Fiera di Rimini, si è tenuta la premiazione del 2° Concorso Internazionale per interior designers “Welcome in Hotel” indetto da AIPi - Associazione Italiana Progettisti d’interni. Importante la partecipazione e l’impegno dei molti professionisti di settore confrontatisi con progetti mirati alla qualità e a una creatività innovativa. Molte le presenze di personaggi illustri alla cerimonia di assegnazione dei Premi, tra questi anche Cesare Casati Direttore de l’Arca, Antonella Ferrari dello Studio Scacchetti, Shashi Caan di New York, Presidente di IFI – International Federation of Interior Architects/Designers, l’interior designer Elisabetta De Strobel e lo scultore Pippo Contarino che ha creato la scultura “Un gioco di linea” quale primo premio per la Categoria Professionisti. Presieduta da Sebastiano Raneri, presidente AIPI, la cerimonia ha reso noti i nomi dei rispettivi vincitori della Categorie Professionisti e della Categoria Studenti alla quale non è stato assegnato il primo premio per irregolarità nella presentazione del progetto, ma si sono comunque distinti i secondi classificati con il progetto innovativo e di singolare spazialità di Liu Ying, e i terzi
classificati con Paola Capellino e Bruno Giuliano per un progetto di ottima strategia distributiva, che ha privilegiato brillanti intuizioni e la sostenibilità. Per la Categoria Professionisti si è evidenziato al 1° posto il gruppo costituito da Ramón Gámez Guardiola e Manuel Aguirrebengoa Garzón, con un progetto di notevole spirito innovativo capace di sviluppare e creare accoglienza. Al 2° posto si è distinto il gruppo composto da Donato Gerardi, Adriana Rosa e Paola Sola con un progetto che ricorda i caratteri della tradizione uniti all’innovazione e alla correttezza formale e funzionale. Il 3° posto è stato assegnato al gruppo che comprende Giovanni Poli, Nicola Da Paoli e Matteo De Stefani, con Mirko Raftopulos e David Bertoli, distintisi per l’estrosa interpretazione dei simbolismi, delle curiosità e dei riferimenti locali. La cerimonia è stata inoltre occasione per conferire l’Attestato di “Socio Onorario AIPi” a Elisabetta De Strobel, a Cesare Casati, a Luca Scacchetti e a Michele Trevisan, quali professionisti impegnati in attività che portano prestigio al sistema progettuale architettonico. Ha concluso l’evento la presentazione del 3° Concorso Internazionale AIPI. www.aipi.it
Sostenibilità e nuove tecnologie E’ presente a Francoforte, dal 15 al 19 marzo 2011, ISH, la fiera leader mondiale che, dedicata al bagno, alle tecnologie per il risparmio energetico, alla climatizzazione e automazione degli edifici e alle energie rinnovabili, evidenzia le soluzioni più innovative per utilizzare l’acqua in modo sostenibile. Infatti l’industria idrosanitaria, mediante la campagna informativa “Blue Responsibility”, ne è la referente comunicando il concetto di sostenibilità con assoluta chiarezza. Saranno oltre 2.300 le aziende presenti, compresi i marchi leader di mercato e i
principali produttori di tecnologie nazionali e stranieri, che esporranno le proprie specificità in termini di design innovativo per l’ambiente bagno, tecniche sanitarie sostenibili e tecnologie ecocompatibili per edifici. Nell’ambito della campagna Blue Responsability sarà presentato il nuovo Water Efficiency Labelling (WELL); un sistema di classificazione europeo di rubinetterie per sanitari, cucine e docce, doccette e tubi flessibili per doccette, sciacquoni per orinatoi e WC e accessori. www.ish.messefrankfurt.com
e operanti in Roma. Nelle Clip, “Vivere l’architettura” visiterà le più importanti Istituzioni Culturali straniere presenti a Roma, interpellandone i responsabili per approfondimenti sulle tematiche delle varie puntate. La Facoltà di Architettura a Valle Giulia concorre e collabora mediante la banca dati della mediateca. La trasmissione è ideata da Andrea Giunti con la collaborazione di Valentina Piscitelli, mentre la consulente di redazione è Marina Natoli e la regia in studio
è di Bruno Maurizi e di Claudio Zaccaria per le Clip. La conduzione è affidata a Maria Agostinelli ed è permanente la presenza in studio di Silvio Riccobelli. Il programma va in onda tutti i mercoledì alle ore 23,00 in replica il sabato ore 12,30, e la domenica alle ore 13 sull’emittente Romauno – satellite SKY CH. 860 – analogico CH 31, in streaming su www.romauno.tv E’ possibile rivedere tutte le puntate andate in onda sul sito: www.fjfm.it
12 nuove puntate E’ partita la VI serie delle puntate trasmesse dall’emittente televisiva Romauno relative al programma “Vivere l’architettura”, prodotto da FJFM. Si tratta di un programma che, già particolarmente apprezzato, sviluppa per l’occorrenza, in 12 puntate, concetti di approfondimento, introspezione e divulgazione di tematiche dedicate all’architettura contemporanea con particolare riferimento a Roma. Infatti le puntate si articolano nel confronto tra “Roma
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e le altre”; le “altre” intese quali capitali europee come Parigi, Berlino, Londra, Madrid, Amsterdam, Vienna, Copenaghen e Atene, discutendone i parametri e le singole tematiche visti nel contesto dei problemi della contemporaneità architettonica e urbanistica. Sono coinvolti, come di consueto, protagonisti ed esperti di rilievo in termini di urbanistica, progettazione, critica, nonché docenti universitari e giornalisti rappresentativi del contesto culturale europeo
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Dai codici al progetto Preprint Codes Jürgen Mayer H. Wirrwarr Texts by Philip Ursprung, graphic design by Vanessa Enríquez 2010, German/English text, 100 ills. in duotone, 216 pp Jurgen Mayer H. (Stoccarda 1965, www.jmayerh.de) combina nelle sue opere l’architettura, il product design, la grafica e l’arte. Numeri e date codificati in schemi coerenti sono elementi ricorrenti nelle sue architetture, nei suoi disegni e negli oggetti che progetta. In particolare il suo interesse si rivolge ai metodi di protezione dei dati e alle retrostampe utilizzate dalle banche per comunicare i codici, password e numeri PIN ai propri clienti. Questi metodi di protezione dei dati garantisce che solo il ricevente della comunicazione possa leggere l’informazione. Attraverso la sua ricerca Jurgen Mayer H. è giunto sino alla radice di queste forme di comunicazione, che risale al 1913 e che nel corso degli anni ha accumulato una collezione di circa quattrocento diversi schemi. Questa pubblicazione di grande formato presenta un centinaio di queste diverse retro stampe, che formano la base per molti dei suoi edifici, disegni, sculture e oggetti di design.
Jürgen Mayer H. (1965 in Stuttgart, www.jmayerh.de) combines architecture, product and graphic design, and art in his work. Numbers and dates encrypted into patterns make up a recurring element in his architecture, drawings, and objects. He is especially interested in the data protection methods and preprints used by banks to encrypt pass codes or PIN numbers in letters to customers. Data protection patterns guarantee that no one but the recipient can see the information. His research led Mayer H. to the oldest source of these forms, which date back to 1913, and over the years he has amassed a collection of around four hundred different patterns. This large size publication features one hundred different preprints, which form the basis for many of his buildings, drawings, sculptures, and design objects.
Segnalazioni Le ricette dei designer. 70 progetti in punta di forchetta Introduzione di Ferran Adrià Editrice Compositori, Bologna 2009, 184 pp Come spiega Ferran Adrià “tutto ciò che può contribuire a moltiplicare le sensazioni date da un piatto fa parte della cucina e l'armonia abbraccia non soltanto gli ingredienti ma anche il modo di servirli”. 70 designer si mettono in gioco, svelandosi nelle loro ricette preferite e disegnandone la preparazione. Dimostrando come la tecnica si nasconda anche dietro la più semplice delle preparazioni. Completano il volume due approfondimenti sugli strumenti in cucina e i metodi di cottura. Premio Selezione Bancarella Cucina 2010. Luce nelle Chiese – Atti dei convegni AIDI Roma Milano Venezia A cura di Donatella Forconi Ediplan Editrice, Milano 2010, 240 pp Il volume rientra nella collana Luce Arte e Design diretta da Silvano Oldani, con il Coordinamento Editoriale di Mauro Bozzola. Si tratta di un libro che ha impegnato biblisti, liturgisti, teologi, storici dell’architettura, progettisti della luce, esperti e docenti di varie discipline,
proponendosi come riferimento per scambi culturali e come stimolo per riflessioni e indagini di natura teologica, scientifica e tecnica. Il testo, elaborato dopo i vari convegni organizzati da AIDI, approfondisce e dibatte le problematiche liturgiche, nonché la responsabile attenzione e cura riservata e dovuta alle opere d’arte conservate nelle chiese che, nello specifico, sono chiamate a dotarsi di buone soluzioni illuminanti. In tale direzione il libro espone il lavoro svolto dalla commissione scientifica che, già approvato dalla CEI, prevede le linee guida per la progettazione della luce negli spazi liturgici. Cristina Paredes Benitez e Alex Sánchez Vidiella Piccole case ecologiche Logos 2010, ill. a colori, 480 pp Il volume illustra una sequenza numerosa e insolita di abitazioni che, selezionate nelle varie parti del mondo, sono state costruite utilizzando materiali locali e prevedendo accorgimenti naturali per la climatizzazione e lo sfruttamento delle acque piovane. Vi sono evidenziate inoltre soluzioni inusuali per razionalizzare al meglio ogni possibile impiego e sfruttamento degli spazi.
Piuarch – opere e progetti + works and projects A cura di Luca Molinari e Simona Galateo Skira editore, Milano 2010, edizione bilingue (italiano inglese), ill. a colori, 256 pp Il volume illustra i progetti eseguiti nei primi 15 anni di attività dello studio di architettura Piuarch costituito nel 1996 da Francesco Fresa, Germàn Fuenmayor, Gino Garbellini e Monica Triario. Vi compare una rilevante sequenza di progetti, realizzati in Italia e all’estero, relativi a edifici pubblici, complessi per uffici, palazzi residenziali, spazi commerciali, piani urbanistici, interni di prestigio, nonché segnalazioni di numerosi concorsi vinti. L’impostazione progettuale dello studio privilegia, con la qualità architettonica, l’utilizzo dei materiali e della luce naturale, con attenzione scrupolosa al dettaglio e al contesto ambientale. Rubini L., Sangiorgio S., Le Noci C. Il nuovo edificio green. Soluzioni per il benessere abitativo e l'efficienza energetica Hoepli, Milano 2010, VIII-214 pp L’edilizia si sta muovendo rapidamente nella direzione della sostenibilità ambientale, con soluzioni che guardano
al futuro. Quali sono i materiali più adatti, tra quelli già disponibili da tempo in commercio, e quali invece le novità proposte di continuo dalla ricerca di settore. Come sfruttare il sole, la fonte energetica più abbondante e gratuita che abbiamo a disposizione, per riscaldare e illuminare l'edificio. Come garantire il benessere abitativo, per rendere la casa un luogo piacevole e salutare. E inoltre, come ridurre le dispersioni e autoprodurre l'energia fino a rendere pressoché nullo il bilancio energetico dell'edificio, grazie alle tecnologie di efficienza energetica e alle soluzioni basate sulle fonti rinnovabili. Questi e altri aspetti sono esposti con completezza e competenza nel testo, rivolto sia al professionista che si accinge a progettare in modo sostenibile, sia a chi non è del settore e vuole saperne di più. Le numerose immagini, gli esempi e i dati dei produttori offrono al lettore una panoramica completa sulle potenzialità e i nuovi sviluppi del settore green.
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