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Gennaio January

www.arcadata.com

La rivista internazionale di architettura, design e comunicazione visiva The international magazine of architecture, design and visual communication

LA SCENA DELLA CULTURA THE CULTURE SCENE GUEST EDITOR KENGO KUMA

GUEST EDITOR

LA SCENA DELLA CULTURA THE CULTURE SCENE

KENGO KUMA

GRAPHIC DESIGN

PLUM

Mensile Monthly Testo italiano e inglese Italian and English text IVA assolta dall’editore - Periodico mensile - Poste Italiane Spa Sped. in A.P. D.L. 353/03 (conv. in L. 27.02.04, n° 46), art. 1, c. 1, - LO/MI

P 14,90 A 19,00

9,00

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01_EDIT_265:EDITORIALE 16/12/10 16:02 Pagina 1

Cesare Maria Casati

Si mormora

L’area è modellata come un paesaggio unico – un’isola circondata da un canale d’acqua – e strutturata intorno a due assi perpendicolari di forte impatto simbolico: il Cardo e il Decumano della città romana…”. Con queste parole iniziava la presentazione ufficiale del 26 aprile 2010 al Teatro Strehler di Milano del Master Plan della prossima Expo 2015 di Milano la quale proseguiva annunciando che tutti i Paesi partecipanti avrebbero avuto spazi affaccianti sull’asse principale, dove veniva indicato a ciascuno la possibilità di realizzare veri e propri “orti” per documentare i loro processi di produzione agricola. Immagini renderizzate molto acquarellose raccontavano come tutti gli spazi pubblici sarebbero stati protetti da teli, forse veli, tesi orizzontali tra esili pali verticali. Inoltre all’ingresso del sito, delle serre e dei campi coltivati avrebbero rappresentato un percorso per scoprire le risorse della natura. Nuove indicazioni precise sull’uso del sito dopo l’Expo non furono precisate; restava sempre in sospeso l’indicazione, fornita nella prima presentazione del progetto, della costruzione di un nuovo quartiere residenziale e di centri commerciali. Anche quest’ultima presentazione sollevò molte perplessità, soprattutto tra gli architetti, non solo italiani, i quali, certamente non incantati dalla storia del “Cardo e Decumano” (impianto uguale a quello della vicina Fiera di Fuksas), vedevano spostate in secondo, se non in terzo piano, eventuali loro possibilità (tipiche di tutte le Expo) di progettare e sperimentare edifici e trasporti innovativi. Ora mancano solo cinquantadue mesi, che però, se togliamo gli ultimi dodici, nei quali tutti i giochi devono essere fatti e tutte le decisioni devono essere già prese, si riducono a quaranta: tre anni e poco più. Quello che mi allarma è il silenzio che da mesi è caduto intorno al progetto: si mormora che gli “orti” saranno ridotti al minimo, che ogni nazione realizzerà liberamente il proprio padiglione, che le serre presentate ad aprile, enormi e di difficile realizzazione e gestione, saranno ridotte, che i canali non saranno più navigabili, e che, dopo le dimissioni di Stefano Boeri, non esiste più un vero responsabile che firmi il progetto. Sono anche preoccupato perché non sono ancora stati banditi gli annunciati concorsi di architettura per le strutture principali dell’Expo e perché altri mormorii segnalano la decisione di Expo spa di procedere solo a concorsi appalti, data la brevità dei tempi per progettare e costruire. Soluzione che purtroppo ancora una volta omologherà al basso la qualità formale e sostanziale dei progetti. La mia più grande gioia sarà di essere smentito e in quel caso ne darò sicuramente pubblico riconoscimento. Un’altra riflessione è che una Expo Universale non può essere solo un fatto di Milano, ma, come la storia ci ha sempre dimostrato nelle Expo precedenti, è un evento decisamente internazionale, che ha sempre coinvolto i migliori talenti progettuali del mondo, sia per realizzare strutture comunicative formidabili per documentare ai visitatori i contenuti del tema della manifestazione, sia per presentare al pubblico situazioni ambientali e spaziali di forte impatto emotivo, che hanno sempre anticipato brani di futuro. L’Expo di Shanghai, da poco conclusa, ne è una testimonianza. Credo anche che nel 2015 sicuramente anche i nostri comportamenti ludici e informativi saranno in parte modificati rispetto a oggi, e che anche la situazione mondiale relativa alla nutrizione potrà avere nuove prospettive: tutte situazioni che occorre prevedere e intercettare oggi per sapere poi utilizzare anche le nuove tecnologie di comunicazione disponibili nel 2015. Allora occorrerà ottenere la partecipazione delle migliori menti creative italiane e internazionali, e per individuarle per tempo si dovrebbe da subito lanciare dei concorsi di idee aperti a tutto il mondo e relativi a tutti gli spazi di rappresentanza dell’Expo. Ancora più stimolante sarebbe che la città di Milano lanci un grande concorso internazionale per ottenere proposte e progetti per la trasformazione del sito, alla conclusione dell’Expo, in un “pezzo” di città nuovo, veramente sostenibile nel senso della migliore qualità architettonica e urbana, e che dia la possibilità di sperimentare nuovi organismi abitativi adeguati ai costumi di vita del prossimo futuro destinati alle giovani generazioni. Come avvenne a Montreal nel ’67 con la Terre des Hommes.

Rumour has it

The area is designed like one single setting – an island surrounded by a channel of water – and structured around two symbolically striking perpendicular axes: the Cardo and Decumanus of a Roman city...”. These were the opening words of the official presentation of the master plan for the forthcoming Expo 2015 held at the Strehler Theatre in Milan on 26th April 2010. It went on to announce that all the countries taking part would have spaces facing along the main axis, where each would have the chance to construct some genuine “garden plots” to document their processes of farm production. The very watercolours-style renderings showed how all the public spaces would be protected by canvases, possibly veils, stretched horizontally between slender vertical stanchions. There would also be glasshouses and cultivated fields at the entrance to the site to represent a pathway to discovering the resources of nature. No further indications were given as to how the site would be used after the Expo; the date for the initial presentation of the project to construct a new residential district and shopping centres was not given either. This latest presentation has caused considerable consternation, particularly among architects and not just in Italy, who certainly are not particularly taken by the “Cardo and decumanus” idea, a similar building plan to the nearby Trade Fair designed by Fuksas, which would see their possibilities (typical of all Expos) for designing and experimenting with buildings and innovative forms of transportation pushed into the background or even right off the map. It is now only 52 months to the Expo and, if we subtract the final 12 when all the decision-making will have to already be completed, then there are only forty to go: just over three years. What I am concerned about is the silence which has enshrouded the project for months now: there are rumours that the “garden plots” will be reduced to a minimum, that every country will be free to design its own pavilion, that the glasshouses presented in April, huge and hard to build and manage, will be reduced in number, that the canals will not in fact be open to vessels and that, after Stefano Boeri handed in his resignation, nobody is really in charge of the project any more. I am also concerned that the architectural competition tenders for the main Expo structures have not been launched yet and, again according to rumours, Expo spa has decided to resort solely to contracted tenders given the lack of time left for carrying out design and building work. Unfortunately this decision will once again result in a general lowering of the stylistic standard and substance of the projects. I would be more than delighted to be proven wrong and, if that happens to be the case, I will admit it publicly. Something else worth mentioning is that a world Expo cannot just be about Milan, but as history has always shown with previous Expos, it is a decidedly international event which has always involved the world’s most talented architectural designers, both to create wonderful communication structures to inform visitors about the main theme of the exhibition and also to provide the general public with emotionally striking spatial and environmental situations pointing ahead towards what the future will hold. The Shanghai Expo, which has just finished, bears witness to this. I believe that our play-information behavioural patterns will, at least to some extent, change between now and 2015, and there might also be new prospects as regards the world food situation; all states of affairs which we need to envisage now and deal with, in order to be ready to use the new communication technology which will be available in 2050. This means we need to get the best Italian and international creative minds involved and, in order to find them in time, we need to immediately launch ideas competitions open to the whole world for designing all the distinctive spaces characterising the Expo. It would be even more exciting if the City of Milan launched a major international competition to gather projects and ideas about how to transform the site into a “piece” of new cityscape after the Expo finishes. Somewhere really sustainable in the sense of raising architectural and urban standards and providing the chance to experiment with new organisms for living carefully adapted to the lifestyles of the coming future and aimed at the younger generations. As was the case in Montréal in 1967 with “La Terre des Hommes”.

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Kengo Kuma

Storia di copertina

Cover story

A lungo sono stato interessato al mattone di adobe. Può sembrare un sogno infantile, ma pensavo che con il mattone qualunque persona (non professionista) potesse fisicamente costruire la propria casa, si potrebbe così creare un mondo veramente democratico. Tuttavia, in realtà il mattone è un po’ troppo pesante e pericoloso da maneggiare. Stavo cercando qualcosa che lo sostituisse. Un giorno, passeggiando per strada, ho inciampato in delle taniche dalla forma strana. Erano messe in fila all’ingresso di un cantiere stradale per evitare alle persone o alle auto di entrarci. In questi posti, vengono portate le taniche vuote e poi vengono riempite di acqua. Così le taniche diventano stabili e resistenti a sufficienza per fungere da barriere, resistono al vento e, quando il cantiere viene concluso, si svuotano semplicemente dall’acqua e diventano di nuovo abbastanza leggere per essere trasportate. Ho pensato che questo si poteva applicare alla mia idea di costruzione di mattoni – un sistema architettonico facile e flessibile. Questo è stato il punto di partenza del ”Water block”.

I have long been interested in adobe block. It may be sound like a childish dream, but I thought that with adobe even ordinary person could physically build their own house, which would create a truly democratic world. However in reality, adobe is just a little too heavy and dangerous to be handled manually. I was searching something to replace adobe. One day, when therefore I was walking on a street, I bumped into some strange-shaped polytanks. They were arranged in line at the entrance of a roadwork site to prevent cars or people coming in. In those places, tanks are brought in empty to the site and then water is poured in. Thus the tanks can be stable and strong enough to function as barricade, resisting strong wind, and after the roadwork is finished, you simply let the water out so that they become light again enough to carry. I thought this could be applicable to my idea of block building – easy and flexible system of architecture. That was the starting point of Water Block.

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Tutte le immagini sono per gentile concessione di / All images are courtesy of Kengo Kuma & Associates

Guest editor KENGO KUMA Kengo Kuma & Associates Kengo Kuma Maria-Chiara Piccinelli Mariko Inaba Maurizio Mucciola

Kengo Kuma & Associates 2-24-8 BY-CUBE 2F Minamiaoyama Minato-ku Tokyo 107-0062 Japan www.kkaa.co.jp Graphic design PLUM Milano www.plumdesign.it

Copertina/Cover: Fotografia / Photo: ©Maurizio Mucciola Waterbranch in Omotesando–Tokyo Ad eccezione di/except for: Sullo sfondo/on the back: pagg. (10-11) top: ©Masaru Yutani ONE Omotesando building – / Designing GYM Kengo Kuma & Associates pag. (19): ©Antje Quiram pagg. (22-23): ©Yoshie Nishikawa pag. (24): ©Masao Nishikawa


L’ architettura come flusso Ho considerato il perché non mi piace il cemento da diversi punti di vista. E’ duro e se ci si sbatte la testa ci si fa male. E’ freddo al tatto. Ci sono molti aspetti del cemento che non mi piacciono e, probabilmente, potrei pensarne molti altri, ma credo che la cosa principale che non me lo fa piacere sia che inizialmente è un liquido, poi si coagula e diventa rigido in un batter d’occhio. Un fluido gorgogliante viene mescolato e versato dalla betoniera in una cassaforma e trasformato in un solido rigido. Più ci penso, più mi suona come “morte”. I corpi delle cose viventi sono fatti di fluidi che scorrono. La biologia ci ha recentemente insegnato che l’espressione “fatti” non è accurata. Le cose viventi non sono fatte di liquidi... ci sono cose viventi in luoghi dove fluiscano liquidi e gas. I biologi (come Shinichi Fukuoka, col quale ho registrato un’intervista) hanno affermato ripetutamente che l’essenza delle cose viventi non è il fatto che siano liquide, bensì il fatto che fluiscono. Se anche qualcosa è costituito da un liquido, se non è anche in continuo fluire, è come fosse una cosa morta. In effetti, quasi tutti i materiali nel corpo umano fluiscono continuamente e poiché sono cellule rinascono continuamente a una velocità sorprendente. In altre parole, vengono prodotte nuove cellule e nuovi materiali e le vecchie vengono eliminate e la velocità di tale flusso è assai superiore a quanto si possa immaginare. Le cose viventi sono, in essenza, un flusso, e un flusso molto veloce. Ho iniziato a capire che questa è la ragione principale per cui non amo il cemento. Il XX secolo è stato caratterizzato come il secolo del cemento. Il cemento esisteva al tempo dei Romani, ma solo nel XX secolo il suo uso si è diffuso nel mondo come materiale ubiquo. Gli edifici del XX secolo sono stati fatti col cemento, e l’economia, la cultura, la politica dipendevano tutte da questo materiale e su di esso si sono basate molte normative. Penso che il XX secolo sia stata un’epoca nella quale non si poteva sfuggire alla qualità “prefissata” del cemento – che equivale a “morte” – e che la maggior parte delle persone abbia perduto di vista le qualità di libertà, informalità e grazia ottenibili con qualcosa che “fluisse”. Perciò, ho continuato la mia ricerca di materiali da costruzione che potessero sostituire il cemento. Negli ultimi venti anni, ho creato edifici utilizzando materiali quali il legno, la carta, la pietra in modo che fossero indipendenti, invece che applicare semplicemente questi materiali sul cemento. Questi materiali hanno un enorme potenziale. Ma gli edifici realizzati con questi materiali mi lasciavano sempre insoddisfatto perché rimanevano ben lontani dall’essere simili a cose viventi. La ragione è che sebbene fossero morbidi e caldi, non raggiungevano un livello adeguato di “flusso”. E se l’edificio non fluisce, non può essere

definito una cosa vivente. Per eliminare tale frustrazione dalla mia mente, ho continuato a costruire piccoli padiglioni sperimentali in parallelo alle mie architetture pratiche. L’ho fatto perché ciò mi consentiva di creare strutture che avessero un “flusso”, per quanto modeste. In questi piccoli padiglioni, mi sono concentrato sull’acqua e sull’aria. Perché l’acqua e l’aria sono i materiali più distanti dal cemento. Quando l’architettura è fatta di acqua e aria diviene naturalmente morbida. Tuttavia, il solo fatto di essere morbida non la mette a sufficiente distanza dal cemento. Quando si crea architettura usando acqua e aria, diventa necessario incorporare il “flusso” nel progetto, e il problema del “flusso” diventa molto evidente. E’ questo lo scarto decisivo tra l’architettura fatta con l’acqua e l’aria e quella fatta col cemento. Tuttavia, è tutt’altro che facile incorporare il “flusso” nel progetto. Il padiglione di acqua e aria che abbiamo progettato inizialmente racchiudeva l’acqua e l’aria in scatole e membrane e questi elementi non avevano l’adeguato livello di flusso. Penso che di recente abbiamo raggiunto il punto in cui possiamo costruire un padiglione nel quale possiamo penetrare queste scatole e membrane e permettere all’acqua e all’aria di fluire continuamente. Stiamo creando un padiglione in cui il flusso avviene nello stesso modo in cui le cellule in un corpo vivente penetrano attraverso le membrane e il liquido continua a fluire. (Ne sono un esempio la casa sperimentale Water Branch realizzata per la mostra alla Gallery MA nel 2009 o l’Air Brick di Shanghai, 2010). E’ interessante che quando si crea questo tipo di flusso, diventa possibile per il gas o il liquido che fluiscono attraverso le diverse aree assolvere il ruolo aggiuntivo di sostegno alla struttura. Inoltre, incorporando nella struttura sistemi per scaldare il liquido con la luce del sole e per facilitare il flusso di questo liquido attraverso l’edificio, l’intera struttura può essere riscaldata e l’acqua calda può essere usata per riempire delle vasche e fare il bagno. In caso di terremoto o di altri disastri, le persone possono bere questo liquido (acqua) per sopravvivere. In altre parole, dal momento che si crea il “flusso”, quel padiglione diviene improvvisamente una cosa vivente. Una volta trovata la direzione, vengono in mente una dopo l’altra varie altre idee, e la nuova architettura creata, simile a una cosa vivente, comincia a evolversi. Un padiglione realizzato usando acqua e aria si evolverà da solo, senza che siano gli architetti a progettarne lo sviluppo. Queste pagine sono un racconto di questa evoluzione. Credo che il fatto che gli edifici abbiano iniziato a evolversi come cose viventi, più che l’avere soltanto una struttura simile alle cose viventi, dimostri questo più di ogni altra cosa.

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Architecture as flow I have considered why I do not like concrete as a material from a variety of angles. It is hard and you can hurt yourself if you hit it with your head. It is cold to the touch. There are many aspects of concrete that I do not like, and I could probably think of many more, but I think that the foremost thing that I dislike about concrete is that even though it starts out as a liquid, it coagulates and becomes fixed in what seems like the blink of an eye. A fluid that was making sounds similar to gurgling in a cement mixer is poured into tight-fitting forms and transformed into a stiff solid. The more I thought about it, the more it seems like “Death” to me. The bodies of living things are made from fluids that are in flux. Biology has recently taught us that “made” is not an accurate expression. Living things are not made from liquids… there are living things in places where liquids and gases are flowing. Biologists (such as Shinichi Fukuoka who I recorded the interview with) have repeatedly stated that the essence of living things is not that they are liquids, the essence of living things is the fact that they are flowing. Even if something consists of a liquid, if it does not continue to flow, it is the same as if it was dead. In fact, almost all materials in the human body continue to flow, and since they are cells, they are continuously reborn at an amazing speed. In order words, new cells and other materials are produced, and old ones are excreted, and the speed of this flow far exceeds what most people can imagine. Living things are in essence a flow, and this flow is very fast. Compared to this, the material known as concrete is very different from something that flows. I have started to realize this is the foremost reason why I dislike concrete. The 20th century can be characterized as the century of concrete. Concrete existed during Roman times, but it was not until the 20th century that the use of concrete swept around the world as such a ubiquitous material. Buildings in the 20th century have been made from concrete, and the economy, culture, and politics have all depended on this material known as concrete, upon which many regulations have been based. I think that the 20th century was an age in which you could not get away from the “fixed” quality of concrete that is like “death”, and most people lost sight of the freedom, laid-back and gracious qualities that can be attained when something is “Flowing.” Therefore, I have continued to look for building materials that can replace concrete. I have been creating buildings over the last 20 years using such materials as wood, paper and stone in a manner where they are self-reliant, rather than simply applying these materials on top of concrete. These materials have a lot of potential. But I am always dissatisfied with the buildings that have been made with these materials because they

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are a long ways away from being similar to living things. The reason for this is that while they may be soft and warm, an adequately level of flow was not achieved. And if the building does not flow, it cannot be called a living thing. In order to put this frustration out of my mind, I have continued to build small experimental pavilions in parallel with making practical architecture. I did this because it enabled me to create a structure that had a flow, even though it may be modest. I focused on water and air in these small pavilions. Because water and air are materials that are the furthest away from concrete. When architecture is made with water and air, it naturally becomes soft. However, just being soft does not set it apart a long way from concrete. When architecture is created using water and air, it becomes a necessity to incorporate “flow” into the design, and the problem of “flow” becomes very apparent. This is the decisive gap between architecture made with the elements of water and air, and architecture made from concrete. However, it is anything but easy to incorporate “flow” into the design. The water and air pavilion that we initially designed enclosed water and air in boxes and membranes, and these elements did not have an adequate amount of flow. I think we have recently reached the point where we can build a pavilion where we can break through these boxes and membranes, and allow water and air to continue to flow. We are in the process of creating a pavilion where there is a flow in the same manner that cells in living things break through the enclosures formed by membranes and the liquid continues to flow. (For example, the experimental house of Water Branch for Gallery MA exhibition 2009 and Air Brick in Shanghai, 2010). And interestingly, when this type of flow is created, it becomes possible for the liquid or gas that flows through these areas to serve the additional role of supporting the structure. And by incorporating devices into the structure that warm the liquid with sunlight and facilitating the flow of this liquid throughout the building, the overall structure can be warmed, and the hot water can be used to fill bathtubs for bathing purposes. In the event of an earthquake or other disaster, people can drink this liquid (water), sustaining life. In other words, when flow is created, that pavilion all of the sudden begins to look like a living thing. Once this kind of direction is found, various other ideas come to mind one after another, and the new architecture that has been created that is similar to a living thing starts to evolve. A pavilion made using water and air will evolve by itself, without the architects coming up with evolving designs. This issue is a record of this evolution. I think that the fact that buildings have started to evolve like living things attests to this more than anything else, rather than the buildings simply having a structure that is similar to living things.



(biologo molecolare)

Shinichi Fukuoka ha fatto conoscere al mondo l’“equilibrio dinamico”, un’antica verità secondo la quale tutti gli organismi viventi, dal punto di vista biologico, esistono nell’ambito di un flusso specifico. Il modo in cui ciascuna cellula riesce a imparare il ruolo che svolge nel relazionarsi alle altre cellule e a completarsi a vicenda coincide con la forma che dovrebbero assumere in futuro le città e l’architettura.

Il corpo cambia per non cambiare Kuma – Ho intuito che la differenza tra la visione meccanicista della vita e la visione della vita come flusso è simile alla differenza tra quella che, all’inizio XX secolo durante l’era del Modernismo, veniva chiamata architettura organica e la nuova architettura organica della quale ho qualche vaga idea. Per questa ragione, ho voluto parlarne con te. Credo che l’architettura all’inizio del XX secolo fosse fondamentalmente concepita come un tipo di macchina. Questo era vero per il Modernismo, di cui Le Corbusier è definito il padre, e per l’architettura organica proposta da Frank Lloyd Wright. Il modello della macchina veniva usato allora per spiegare tutti i tipi di fenomeni nel mondo. Credo che la differenza maggiore tra il XX e il XXI secolo sia il passaggio a una visione del mondo come qualcosa che “fluisce”, come hai descritto tu. Fukuoka – Sì, è giusto. Perciò, la base materiale o fisica non è la vita, bensì la vita è un fenomeno che esiste come tipo di interazione su una base materiale. La natura complementare dei pezzi di un puzzle è una funzione temporale e comprende tre elementi. Questi elementi sono costituiti da “materia”, “informazione” ed “energia” e dall’interazione che avviene tra loro. Di conseguenza se si pensa all’architettura come a qualcosa che taglia fuori questi elementi, essa sarà sempre meccacinista. Kuma – Il concetto di “Metabolismo” che fu proposto da Kisho Kurokawa negli anni Sessanta è il risultato del suo perseguimento della teoria meccacinista. Era un uomo intelligente che aveva 6 l’ARCA 265

studiato biologia, e pensava di poterne applicare i concetti in architettura. Credo che non fosse sbagliato il modo in cui vedeva le cose, ma pensava a relazioni tra gli spazi che lasciavano fuori altri elementi e si concentrava sulla funzione. Ma la base di ogni cosa era chiusa. Perché le capsule stesse nella Nakagin Capsule Tower erano chiuse. Fukuoka – Sì. Credo che il concetto fosse di rimpiazzare le capsule quando diventavano vecchie, ma non c’era relazione con gli elementi circostanti. Infatti, gli organismi viventi non rimpiazzano le parti quando diventano vecchie. Gli organismi viventi rimuovono rapidamente parti del corpo anche quando sono nuove. La biologia nel XX secolo si è concentrata su come le proteine vengono prodotte nelle cellule, su come si crea la struttura a doppia elica del DNA, e su altri aspetti del come le cose avvengono negli organismi viventi. Si è lavorato alacremente per studiare come funzionano questi processi perché è molto interessante. Questo ha portato a enormi passi avanti nella biologia molecolare e si è scoperto che la proteina ha una struttura molto raffinata ma che esiste un solo modo per formare e produrre tale struttura. Tuttavia, negli ultimi 20 o 30 anni, la tendenza della biologia cellulare ha spostato la ricerca su come le cellule si dividono più che su come sono fatte. C’è un solo modo di fare le cellule, ma attualmente sappiamo che ci sono almeno dieci modi in cui si separano, e potrebbero essercene di più. Non importa a quanto stress è sottoposto il corpo, anche se sta morendo di fame non smette di rimuovere le

cellule. Il corpo rimuove inesorabilmente la proteina anche quando è nuova e in eccellenti condizioni. Perciò, è in questo che gli organismi viventi sono diversi dalla Nakagin Capsule Tower. Kuma – Semplicemente, la Nakagin Capsule Tower non include un metodo per rimuovere le capsule in modo che possano essere sostituite individualmente. Dunque, l’unica cosa che si può fare è sostituirle tutte o demolire l’edificio. Fukuoka – Questo porta a chiedersi perché le cellule impegnino così tanto per auto-rimuoversi e perché questa rimozione delle cellule non sia un gettare via. Questa è “Entropia” (la proprietà macroscopica di un sistema che è una misura del disordine microscopico all’interno del sistema stesso). Non importa quanto qualcosa sia fatto in modo ordinato, il principio fondamentale dello spazio è la regola per cui l’Entropia aumenta. Anche quando una scrivania è stata organizzata perfettamente, di solito diventa disordinata in due o tre giorni, il caffè caldo si raffredda dopo un po’, le persone che sono profondamente innamorate tendono a perdere la passione iniziale (ride). Quando si lascia qualcosa a se stessa, l’entropia si accumula e la struttura si distrugge. Perciò, la legge che l’entropia aumenta dà come risultato che gli organismi viventi distruggono da soli le cellule e le buttano via rapidamente prima che si accumuli l’entropia. La ragione di questo è che è il solo modo per preservare l’ordine nel corpo. E’ molto paradossale, ma è il modo adottato per far sì che Il Corpo Cambi per Non Cambiare (per rimanere lo stesso) (ride).


L’equilibrio dinamico non ha controllo Kuma –Non ero al corrente di questi concetti in biologia, ma credo che ciò che stavo tentando di fare sia in linea con questi concetti per due aspetti. Il primo è che considero l’architettura più come “particelle” che come “macchine”. La biologia contemporanea considera gli organismi viventi come un insieme di molecole o geni più che come un insieme di organi. L’architettura funzionalista del XX secolo era essenzialmente qualcosa di estremamente non sofisticato, che poteva essere chiamato architettura organica, in cui ogni organo corrispondeva a una certa funzione. Io penso alle “particelle” non solo all’interno degli organismi viventi, ma anche a come esse circolano all’interno degli organismi come un tutt’uno. Fukuoka – Sì. Kuma – Cerco di scoprire elementi che in architettura siano come “particelle”. Potrebbe essere un elemento frangisole o un singolo mattone, che in architettura è un’unità molto più piccola rispetto all’organo usato come modello per l’architettura da Le Corbusier e Frank Lloyd Wright. Cerco il più possibile di rendere questa unità aperta piuttosto che chiusa e presumo che le cose funzioneranno se distribuisco attraverso la struttura le “particelle” che instaurano varie relazioni all’interno e all’esterno dell’edificio. Credo di avere abbastanza fiducia e convinzione di non dover risolvere tutto io personalmente. Se il prodotto finale funziona bene, l’architettura sopravviverà, se non funziona, qualcun altro lo metterà a posto, quindi non c’è nulla di cui debba preoccuparmi veramente. Fukuoka – Uno dei trabocchetti in cui è caduta la società moderna è la tendenza a dividere in parti gli organismi viventi e l’architettura e di pensare che tutti i misteri del mondo potessero essere svelati se si fossero descritte queste parti. La premessa assunta come basilare era che una certa parte ha una funzione specifica. Successivamente si è presunto che una certa funzione potesse essere svolta semplicemente sistemando quella determinata parte nella posizione desiderata. In realtà, ogni singola parte non si limita a una funzione. La funzione è determinata dalla relazione con le altre parti circostanti. Dunque, anche quando le parti sembrano essere le stesse, esse hanno una funzione diversa quando sono impiegate in contesti diversi e una particella non ha mai una determinata funzione di per sé. Recentemente, ho avuto l’opportunità di parlare con Takeshi Okada, l’allenatore della squadra giapponese alla Coppa del Mondo 2010 che mi ha raccontato di aver letto il mio libro. Ha detto “Penso che il Giappone non perderebbe se incorporasse l’equilibrio dinamico nel modo in cui gioca a calcio”. Ho risposto “Forse hai ragione, ma ricorda, che nell’equilibrio dinamico non c’è l’allenatore”. (ride) Kuma – (ride) Fukuoka – Gli organismi viventi non hanno un modo di guardare se stessi da una posizione dominante centrale o dall’alto, a volo d’uccello, così ciascuna singola cellula non sa del corpo intero. La cosa interessante è che l’intero corpo può essere costruito se ogni cellula conosce la propria relazione con le cellule sopra, sotto, a destra e a sinistra. Così, gli organismi viventi differiscono dai meccanismi

e dalle strutture create dall’uomo. Perciò l’allenatore Okada è in una posizione difficile, non credi? (ride)

Gli organismi viventi si adattano “perdendo” Kuma – In passato, gli architetti hanno assunto un approccio dall’alto verso il basso, simile a quello di un allenatore o di un supervisore. Tuttavia, il layout originario delle case in Giappone era una “pianta quadrata (la risaia) “ divisa solo dalle porte scorrevoli Fusuma e Shoji, in cui l’uso dello spazio interno non è deciso dagli abitanti in un modo dall’alto verso il basso. La sola cosa di cui ci si preoccupava era che funzionasse. Alla fine, in una struttura che funziona, le particelle sono libere di stabilire relazioni reciproche tra loro ed è questo tipo di condizione, in cui le particelle agiscono come quelle di un organismo vivente, che viene in Giappone definito come “qualcosa che funziona”. E non viene interpretato come una situazione in cui le proprietà complementari possono essere garantite dai particolari di qualcosa. Credo che il pensiero tradizionale giapponese fosse estremamente simile alla vera essenza degli organismi viventi. Vorrei dimostrare alla gente, attraverso l’architettura, “Che va bene che il mondo sia imperfetto”. Fukuoka – L’Equilibrio Dinamico è impregnato della filosofia per la quale “Non importa cosa tu faccia, alla fine perdi sempre”. Un’altra parola chiave che tu usi è “perdere”. Questa è, infatti, una cosa che le cellule fanno sempre. Gli organismi viventi perdono sempre contro l’ambiente, almeno una volta. Non importa quali siano le circostanze. Gli organismi viventi riescono a creare un nuovo equilibrio dinamico perdendo. E’ così che si “adattano”. Gli organismi viventi non sono in grado di stabilire un obiettivo e di fare ciò che è necessario per raggiungere un obiettivo. Il mutamento che avviene negli organismi viventi non ha un obbiettivo in sé o per sé. Dunque, da un certo punto di vista, gli organismi viventi perdono di continuo. Ma la vita ha mantenuto una linea e un ordine ininterrotti pur modificandosi per un periodo di 3,8 milioni di anni. Perciò, perdere è come un carico di virtù che gli organismi viventi hanno adottato per adattarsi (ride). E’ una funzione temporale. Quando si pensa alle cose in questo modo, la biologia e l’architettura sono abbastanza vicine. Kuma – Non cerco più di raggiungere la perfezione quando progetto gli edifici. Virtualmente, ci sono varie soluzioni per ogni problema e io ormai ho un approccio rilassato alla mia architettura, compresi i miei fallimenti. Immagino di poter sistemare qualcosa che non funziona successivamente, o demolire una parte e, se necessario, modificarla. Credo che parte del lavoro di un architetto sia riconoscere che non può raggiungere la perfezione. Fukuoka – Non esiste un organismo vivente perfetto. Tutti provano a fare quel che possono per andare avanti nonostante gli elementi di imperfezione che hanno in sé. Kuma – Sarà interessante vedere che tipo di architettura verrà creata partendo da un punto di vista orientato verso gli organismi viventi. Fukuoka – Gli edifici, attualmente, sono progettati per proteggere gli abitanti dal mondo esterno con

un alto grado di isolamento e con caratteristiche stagne, sono una barriera. Ma mentre gli organismi viventi sono circondati da cellule, la membrana della cellula stessa non è importante. La membrana della cellula ha il ruolo vitale di raffinare lo scambio di informazioni, energia e materiali con il mondo esterno. Agisce come una specie di filtro. Dunque, la membrana di una cellula garantisce il flusso delle cose piuttosto che bloccarlo, lo mantiene in movimento, e credo che in questo modo favorisca il benessere dell’organismo vivente. E’ difficile esprimere questo in maniera tangibile, ma ritengo che sia questo il principio basilare. Kuma – Adesso, c’è il supporto della tecnologia per questo tipo di architettura che non inibisce il flusso, e penso che abbiamo raggiunto un punto in cui si possa realizzare. Spero che con l’aiuto della tecnologia moderna, l’architettura evolva verso una forma fluente o, in altre parole, “metabolizzi col tempo mentre controlla il flusso”. La maggior parte delle persone crede che la tecnologia sia orientata all’ottenimento della perfezione, ma, in effetti, il mio desiderio è che la tecnologia evolva là dove il presupposto è l’imperfezione.

Shinichi Fukuoka Nato a Tokyo nel 1959. Laureato alla Kyoto University. Ha lavorato come Dottore di Ricerca alla Harvard Medical School ed è stato Assistente Professore alla Kyoto University. Attualmente è Professore al College of Science and Engineering della Aoyama Gakuin University. E’ autore di Between Living Things and Non-Living Things (Seibutsu to Museibutsu no Aiuda), pubblicato nel 2007 (Kodansha Library for Knowledge) e che ha ricevuto il Suntory Literary Prize. Il libro è diventato un bestseller vendendo oltre 650.000 copie. E’ autore di vari altri libri, tra cui Dynamic Equilibrium (Kirakusha) e You Would Not Understand the World Even if You Divided It Up (Sekai wa Waketemo Wakaranai, Kodansha Library for Knowledge) nel 2009 e Blue Color of Ruruboshi Praying Mantis (Bunshun) nel 2010.

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Conversation between Kengo Kuma and Shinichi Fukuoka (molecular biologist)

BldX – I have intuitively felt that the difference between the mechanistic view of life and the view that life is flowing is similar to the difference between what was called organic architecture at the beginning of the 20th century during the age of Modernism and the new organic architecture of which I have a somewhat vague idea. For this reason, I have wanted to talk with you. I think that architecture at the beginning of the 20th century was fundamentally thought of as a type of machine. This was true for the Modernism of which Le Corbusier was called the father, and the organic architecture proposed by Frank Lloyd Wright. The machine model was used at the time to explain all types of phenomenon in the world. I think that the foremost difference between the 20th century and 21st century is the change to view the world as something that is “flowing” as you have described.

=lblfbX– Yes, that’s right. Therefore, the material or physical base is not life, but rather, life is a phenomenon that exists as a type of interaction on a material base. The complementary nature of pieces in a jigsaw puzzle is a time function, and is comprised of three elements. These elements consist of “materials”, “information” and “energy,” and of the interaction taking place between them. Consequentially, if architecture is thought of as something that blocks out these elements, it will always be mechanistic. B – The concept of “Metabolism” that was proposed by Kisho Kurokawa in the 1960s is the result of his pursuit of mechanistic theory. He was an intelligent man who studied biology, and he thought that he could use concepts from 8 l’ARCA 265

this field in architecture. I think that the way he looked at things was not mistaken, but he thought of relationships in spaces that blocked out other elements and focused on the function. But the basis for everything was closed. Because the capsules themselves in the Nakagin Capsule Tower are closed. = – Yes. I guess the concept was to replace the capsules when they got old, but there is no relationship with the surrounding elements. In fact, living things do not replace parts because they have gotten old. Living things rapidly break down parts of the body even when they are new. Biology in the 20th century focused on how protein is produced in cells, how the DNA double helix structure is created, and other aspects of how things are made in living things. People naturally worked very hard to investigate how this process works because it is more interesting. This brought about dramatic advancements in molecular biology, and it was found that protein is made with this very exquisite structure, but there is only one way to form or produce this structure. However, over the last 20 or 30 years, the trend in cellular biology has shifted to conducting research on how cells are broken down rather than how they are made. There is only one way to make cells, but we currently know that there are at least 10 ways in which cells are broken down, and there may be more. No matter how much stress the body is under, and even when the body is starving, it never stops breaking down cells. The body unsparingly breaks down protein even when it is brand spanking new. Therefore, living things differ from the Nakagin Capsule Tower in this way.

Shinichi Fukuoka made the world aware of “dynamic equilibrium”, an ancient truth that all living things exist within a certain “flow” from the perspective of biology. The way that each cell manages to learn the role it plays as it relates to other cells and complement each other overlaps with the form that cities and architecture of the future should take.

B – Quite simply, the Nakagin Capsule Tower did not incorporate a method to break down the capsules so they could not be replaced individually. Therefore, the only thing that can be done is replace them all or tear down the building. = – This leads to the question why cells work so hard at breaking themselves down, and doesn’t breaking down the cells result in something being thrown away. This is “Entropy” (a macroscopic property of a system that is a measure of the microscopic disorder within the system). Now matter how well ordered something is made, the foremost principle of space is the rule that Entropy increases. Even when a desk has been completely organized, it usually becomes disorganized in two or three days, hot coffee gets cold after a while, and people that are intensely in love tend to lose the initial passion (laugh). When something is left alone, entropy accumulates and the structure breaks down. Therefore, the law that entropy increases has resulted in living things breaking down cells themselves and rapidly throwing them away before entropy accumulates. The reason for this is that it is the only way to preserve order in the body. This is extremely paradoxical, but it consists of a means adopted under which The Body Changes in Order to Not Change (Remain the Same) (laugh).


B – I was not cognizant of these concepts in biology, but I think that what was I attempting to do is in sync with these concepts in two areas. The first is I consider architecture to be “particles” rather than “machines.” Contemporary biology thinks of living things as a collection of molecules or genes rather than a collection of organs. The functionalistic architecture of the 20th century was in essence something extremely unsophisticated that could be called organic architecture where each organ corresponded to a certain function. And I think of “particles” not only within living things, but how “particles” circulate within things as a whole. = – Yes. B – I attempt to discover things that are like “particles” within architecture. This may be a louver or a single block, which is a much smaller unit in architecture than the organ that was used as the model for architecture by Le Corbusier or Frank Lloyd Wright. As much as possible I try to make this unit open rather than closed, and to assume that things will work out if I scatter “particles” throughout the structure that create various relationships within and outside the building. I guess I have a certain trust or belief that I do not need to solve everything myself. If the end product works well, that architecture will survive, and if it does not work, someone else will fix it, so there is nothing that I really need to worry about. = – One major pitfall that modern society has encountered is the tendency to divide living things and architecture into parts, and think that all of the mysteries of the world can be unraveled if these parts are described. The basic premise that was assumed at this time was that a certain part has a specific function. The further assumption was made that a certain function can be provided by simply bringing that part to the desired location. In actual practice, each and every part is not limited to one function. The function is determined by the relationship with the other parts around it. Therefore, even when parts appear to be the same, they have a different function when used in a different context, and one particle never has a certain function by itself. Recently, I had the opportunity to talk with Takeshi Okada, Japan’s Coach for its World Cup Team 2010, and he told me that he had read my book. He said “I have the feeling that Japan would not lose if it incorporated dynamic equilibrium into the way it plays soccer.” I answered “You may be right coach, but remember, in dynamic equilibrium, there is no coach.” (laugh) B – (laugh) = – Living things do not have a way of looking at themselves from a central

sovereign position or from above that could be called a bird’s eye view, and each and every cell does not know about the overall body. The interesting thing is that the overall body can be built if each cell knows its relationship with the cells above and below, and to the left and the right. In this way, living things differ from the mechanisms or structures created by people. Therefore, Coach Okada is in a difficult place, isn’t he? (laugh)

B – In the past, architects have taken a top down approach like a coach or supervisor. However, the original layout of houses in Japan was a “square (rice field) shaped plan” that was only separated by Fusuma and Shoji sliding doors, in which how the space inside is used is not dictated to the residents in a top down manner. The only thing that was thought of was something that would work. In the end, in a structure that works, the particles are free to establish mutual relationships with each other, and it is this type of condition where particles act like the ones in living things is referred to as “something that works” in Japan, and not thought of as a situation where the complementary properties can be guaranteed from the details of something. I think that the traditional Japanese method of thinking was extremely similar to the true essence of living things. B – I would like to show people through architecture “That it is OK for the world to be imperfect.” = –Dynamic Equilibrium consists of a philosophy under which “You always lose in the end no matter what you do.” = – Another key word that you use is “lose.” In fact, this is something that cells are always doing. Living things always lose to the environment at least once. No matter what the circumstances are. Living things succeed in creating a new dynamic equilibrium by losing. This is how it “adapts.” Living things are not capable of establishing an objective and doing what is necessary to achieve this objective. The change that takes place in living things has no objective in and of itself. Therefore, from a certain perspective, living things are continually losing. But life has maintained an unbroken line and order while changing over a period of 3.8 billion years. Therefore, losing is like a bale of virtue that living things have adopted in order to adapt (laugh). It is a time function. When you think of things in this way, biology and architecture are quite close. B – I no longer attempt to achieve perfection when I design buildings. There are various solutions to virtually any issue, and I now take an easy-going approach to my architecture, including my failures. I figure that I can fix something that doesn’t

work later, or tear down a portion and modify it if necessary. I think that part of the job of an architect is to recognize that you cannot achieve perfection. = – There is no perfect living thing. All living things just try to do what they can to get by in spite of the elements of imperfection that they incorporate. B – It will be interesting to see what kind of architecture will be created from a point of view oriented towards living things. = – Buildings are currently designed to protect the inhabitants from the external world with a high level of insulation and air-tight characteristics, and are a barrier. But while living things are surrounded by cells, the cell membrane itself is not what is important. The cell membrane serves the vital role of rectifying the exchange of information, energy and materials with the external world. It acts like a type of filter. Therefore, the cell membrane guarantees the flow of things rather than blocking off the flow, keeping the flow from stopping, and I think in this way it promotes the well-being of the living thing. It is difficult to express this in a tangible manner, but I think this is the basic principle. B – There is now technical support for this type of architecture that does not inhibit flow, and I think we have reached the point that it can be realized. I hope that with the support of modern technology, architecture evolves towards a flowing form, or in other words, “it metabolizes with age while controlling the flow.” Most people believe that technology is oriented towards achieving perfection, but in fact it is my wish that technology evolves where imperfection is the premise.

Shinichi Fukuoka

Born in Tokyo in 1959. Graduated from Kyoto University. Worked as Doctor Research Fellow at Harvard Medical School and Assistant Professor at Kyoto University. Currently Professor of the College of Science and Engineering at Aoyama Gakuin University. Author of Between Living Things and Non-Living Things (Seibutsu to Museibutsu no Aida) that was released in 2007 (Kodansha Library for Knowledge), and received the Suntory Literary Prize. Book became bestseller of over 650,000 copies. Author of various other books, including Dynamic Equilibrium (Kirakusha) and You Would Not Understand the World Even if You Divided It Up (Sekai wa Waketemo Wakaranai) (Kodansha Library for Knowledge) in 2009 and Blue Color of Ruruboshi Praying Mantis” (Bunshun) in 2010.

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Con il materiale chiamato ETFE (etilene tetrafluoroetilene) abbiamo creato una cellula che forma un’unità e con queste cellule abbiamo messo a punto una struttura simile a una creatura. E’ uno studio per realizzare un’architettura più grande come insieme di piccole cellule a struttura pneumatica. In questo progetto, una cellula unità è stata creata da una membrana trasparente tridimensionale di ETFE, che può essere collegata ad altre senza limiti. Questo è il sistema creato per costruire l’architettura. Ogni cellula è gonfiata con aria e le cellule sono collegate tra loro tramite tubi. Immettendo ed estraendo aria da una singola cellula, tutta la pressione (nell’intera architettura) può essere regolata e la forma complessiva può essere controllata. Fin dai tempi di Frank Lloyd Wright, nel XX secolo, molti architetti sono stati fautori dell’“architettura organica”. Tuttavia, ciò che chiamavano “organico” era dopo tutto solo una forma esterna ondulata. Era ben distante dell’essenziale morbidezza e flessibilità delle cose viventi. Le cellule sono collegate in modi diversi e tra esse circolano varie sostanze. Solo una tale flessibilità, che chiamiamo morbidezza organica, permette di affrontare i bruschi cambiamenti del nostro ambiente. Là, le cose scorrono liberamente. Anche la vita è un flusso. Per rimpiazzare l’integralità occidentalizzata e altamente meccanizzata del secolo scorso, noi miriamo a raggiungere un’interezza di tipo asiatico basata sulla fluidità e flessibilità organica. Questo progetto, “Air Brick” (mattone d’aria), è stato preparato per la mostra “Three on the Bound” alla Shanghai Gallery of Art.

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Unità “Etfe” “Etfe” units

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Sezione oggetto A Section object A

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Unità di collegamento sistema Units connection system

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Sezione oggetto B Section object B


L O C AT I O N : Shanghai Gallery of Art, Three on the Bund, China D E S I G N I N G P E R I O D : 4 Jun 2010-8 Aug 2010 C O N S T R U C T I O N P E R I O D : Jun 2010 D E S I G N : Kengo Kuma & Associates Kengo Kuma/Ko Minoru/Maria-Chiara Piccinelli C O N S T R U C T I O N : Kyoritsu Iindustries co., LTD S I T E A R E A : 700 sqm B U I L D I N G A R E A : (40+40 sqm) T O TA L F L O O R A R E A : (80 sqm) U S E : pavilion M A X H E I G H T : 4.5 m S T R U C T U R E : 1 story

With the material called ETFE (ethylene tetrafluoroethylene), we created a cell forming a unit, and devised a creature-like structure from these cells. It is a study to realize bigger architecture as a collection of tiny cells of pneumatic structure. In this project, a cell unit was created from ETFE’s three-dimensioned transparent membrane, which can be connected without limits. This is the device we used to build the architecture. Each cell is charged with air, and they are linked with tubes. By pouring in and out the air from a single cell, the entire air pressure (in the architecture) can be adjusted and the whole shape can be controlled. Since the time of Frank Lloyd Wright in 20th century, many architects have advocated “organic architecture.” However, what they call “organic” was after all a wavy external form. It was far from the essential softness and flexibility of living things. Cells are joined in different ways and various substances circulate among them. Only such flexibility can cope with the harsh change in our environment, which we call organic softness. Things flow freely there. Life is also a flow. To replace the westernized, highly mechanized wholeness of the last century, we aimed at gaining an Asian-type entirety based on the organic fluidity and flexibility. This project, “Air Brick” was prepared for the exhibition at Shanghai Gallery of Art, Three on the Bund.

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Sistema strutturale Structural system

Struttura collegamento orizzontale Horizontal connection structure

Struttura collegamento aria verticale Vertical connection air

Unità Units


Alla ricerca di un’architettura morbida, calda, biologica Testo di / text by Kengo Kuma

Aiming For Soft, Warm, Biological Architecture

Ho sempre avuto il desiderio di rendere l’architettura più “morbida”. Volevo fare una struttura architettonica morbida come un corpo vivente. Il XX secolo è stata l’epoca caratterizzata dal cemento. Anche l’architettura è stata dominata dal cemento come Sistema Operativo. Il cemento è troppo forte, duro, pesante, freddo e minaccioso per le creature viventi. Il legno e il bambù sono molto più flessibili, caldi e confortevoli per noi. Ci siamo messi alla ricerca di materiali ancora più morbidi e caldi. Poi, mi sono imbattuto in un materiale chiamato ETFE. Con l’ETFE abbia creato una cellula che formava un’unità e abbiamo realizzato una struttura biologica fatta di queste cellule. La morbidezza dell’architettura non equivale alla morbidezza del materiale con cui è realizzata. La meraviglia è che piccole unità si uniscano insieme, si separino, si spostino e guadagnino flessibilità per affrontare i severi cambiamenti dell’ambiente ed in questo risiede la morbidezza di un organismo. Le cellule di ETFE hanno la stessa flessibilità nel congiungersi e disconnetersi in modo variabile.

I have always had a desire to make architecture “softer.” I wanted to make architectural structure as soft as a living body. The twentieth century was the age determined by the material called concrete. Architecture was also driven by concrete as OS. It is too strong, hard, heavy, cold, and threatening to living creatures. Wood and bamboo are so much more flexible, warmer, and comfortable to us. This time, we looked for even softer and warmer materials. Then I encountered a material called ETFE. With ETFE, we created a cell forming a unit, and devised a biological structure from these cells. Softness of architecture is not equal to softness of its material. The amazement that small units join together, separate, move around and gain flexibility to cope with severe changes in environment is itself the softness of an organism. ETFE cells also have the flexibility to connect and disconnect in variation. The connection here is not merely a mechanical one.

La connessione qui non è solo meccanica. Attraverso la connessione delle cellule, l’aria nella struttura è tutta collegata e forma un grande flusso che va oltre la piccola esistenza delle unità. Con l’ETFE, abbiamo cercato di creare un legame biologico, simile a quello delle cellule, che sorpassasse il concetto convenzionale di struttura dipendente solo da connessioni meccaniche. A causa della sua bassa plasmabilità e grazie ai vantaggi che offriva in termini di durata, resistenza alle intemperie e basso rischio di espansione, l’ETFE era sempre stato usato solo per grandi membrane. Tuttavia, per la prima volta ora è diventato possibile plasmare l’ETFE in tre dimensioni, sigillandolo col calore e con un nastro sempre di ETFE. Questo ha reso possibile la realizzazione delle “cellule” con cui si è creata la struttura architettonica biologica. Il tema dell’architettura e dell’urbanistica del XXI secolo sarà quello di realizzare una interezza di tipo asiatico basata su una maggiore flessibilità e modificabilità. Questa “cellula” è un piccolo esperimento per fare un passo in avanti in tale direzione.

Through the connection of cells, the air in the structure is linked and makes a large stream that goes the small existence of units. With ETFE, we aimed to create a cell-like, biological tie that would surpass conventional structure dependent solely on mechanical connection. For its low moldability, ETFE had always been used only for massive membrane while having advantages of durability, weatherability and low risk of expansion. It has, however, become possible to mold ETFE into three dimensions for the first time, by sealing with heat and ETFE tape. This made it possible to manufacture ETFE “cells”, which realized biological structure in architecture. The theme of architecture and cities for 21st century will be to obtain an Asian-type entirety based on more flexibility and changeability in the twenty-first century city and architecture. This “cell” is a modest experiment to take one step forward in this movement.

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L O C AT I O N :

Seoul, Korea - Living Design Fair 2008 Feb-March C O N S T R U C T I O N P E R I O D : 2008 March D E S I G N : Kengo Kuma& Associates Kengo Kuma / Shuhei Kamiya C O N S T R U C T I O N : D.P.Balloon (Yasuhiko Asai) U S E : Chair M A X H E I G H T : 775 (Size is W720 D750 H775) S T R U C T U R E : Membrane-Structure DESIGNING PER IO D:


Dopo tutto, sembra che una casa del tè sia una sorta di dispositivo di realtà virtuale. Lì si può produrre qualsiasi tipo di realtà che è completamente tagliata fuori dal mondo reale. Ciò a cui puntavamo in Fuan era la sensazione di “corpo flottante”. Per ottenere questo, abbiamo creato un enorme pallone gonfiato con l’elio, e avvolto lo spazio con un tessuto straordinariamente leggero, chiamato “super organza”, che pesa 11 g per 1 m3. In una leggenda giapponese è la veste celestiale di un angelo. Fuan è l’architettura temporanea essenziale dentro la quale si può fluttuare al vento e andare dove si vuole.

It seems that a teahouse is a kind of device of virtual reality. You can produce every kind of reality there that is completely cut off from the real world. What we aimed in Fuan was a sense of ‘floating body’. In order to achieve this, we created a huge balloon packed and floated by helium gas, and surrounded the space with an extraordinarily light cloth called ‘super organza’, that weights only 11g per 1 m3. It is precisely a celestial robe of an angel in a Japanese legend. Fuan is the ultimate temporary architecture in which you can drift about in the wind and go wherever you like.



BALLOON

(HEL IUM

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Pianta Floor plan G A S) SUPER ORG ANZ A

TATA M I

WEIGHT

FLOOR

PEBBLE

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Sezione Section

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Pianta copertura Roof plan


L O C AT I O N : Shizuoka, Japan Convention Arts Center / Beijing, China / National Building Museum (National Cherry Blossom Festival) Washington, USA D E S I G N I N G P E R I O D : 4 Jun 2010-8 Aug 2010 C ONS TRUC T ION PER IO D:

September-October 2007 / April 2009 Kengo Kuma & Associates Kengo Kuma / Shuhei Kamiya S I T E A R E A : 7.29 sqm U S E : tea room MA X HEIGHT: 4 m S T R U C T U R E : 1 story DESIGN:



Andando un passo avanti rispetto all’“Architettura Annullata”, ho pensato di creare un’“Architettura che respira”. Un’architettura “annullata” ha un atteggiamento passivo e unilaterale rispetto all’ambiente. “Respirare” significa avere una comunicazione interattiva tra gli ambienti. A volte, l’architettura diventa piccola mentre trattiene il respiro, altre volte respira profondamente e diventa più grande. E’ un nuovo stile dinamico per l’architettura. Tecnicamente, è stato utilizzato un nuovo materiale chiamato Tenara per creare una membrana a due strati con un’intercapedine d’aria. Le due membrane sono connesse da una stringa di poliestere. Le giunture tra la membrana e le stringhe sono distribuite a un passo di circa 600 mm e appaiono come puntini sulla membrana. Diversamente dalle membrane convenzionali, quella di Tenara non è a base di fibra di vetro e per questo è soffice e leggera. La membrana di Tenara è stata scelta per questo progetto anche per la sua capacità di espandersi e contrarsi come se respirasse. Inoltre, il Tenara ha un alto grado di trasparenza e consente così di ottenere una intermediazione tra realtà e mondo immaginario, una trama differente. I materassi Tatami sono disposti all’interno per creare lo spazio per la Cerimonia del Tè. Le Sale da Tè derivano in origine da spazi temporanei detti “Kakoi”. Questa architettura che respira è un tentativo di avvicinarsi alla Sala da Tè originaria, e mira a opporsi alle architetture di cemento, che non respirano, del XX secolo.

Going one step further than “Defeated Architecture”, I thought of creating a “Breathing Architecture”. A “Defeated” architecture has a one-way passiveness towards the environment. “To Breathe” is to have an interactive communication between the environments. At times architecture becomes small as it holds its breath, and at other times it breathes in deeply to become grander. A new dynamic style for architecture was devised. Technically, a membrane using a new material called Tenara was used to create a double membrane with air inserted in between. The two membranes are connected by a polyester string. The joints of the membrane and the strings are placed approximately in a 600mm pitch, as they can be seen as dots on the membrane. Unlike conventional membrane materials, Tenara does not use glass fibers as a base material; therefore it is soft and light. As the membrane expands and contracts as though it breathes, Tenara was chosen as the membrane for this project. Furthermore, as Tenara is highly transparent, it achieves intermediacy between reality and the imaginary world, a distinct texture. Tatami mats are laid inside to install space for the Tea Ceremony. Tea Rooms originally came from a temporary space called a “Kakoi”. This breathing architecture is an attempt to approach the original Tea Room, aiming to oppose to the non-breathing 20th century concrete architectures.


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Pianta Floor plan

Piano interrato “Basement” plan

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Sezione longitudinale Longitudinal section

L O C AT I O N : Museums für Angewandte Kunst Frankfurt, Germany D E S I G N I N G P E R I O D : May. 2005-April. 2007 C O N S T R U C T I O N P E R I O D : May. 2007-July. 2007 D E S I G N : Kengo Kuma & Associates Kengo Kuma / Takumi Saikawa / Katinka Temme S T R U C T U R E E N G I N E E R : Form TL GmbH, Taiyo Europe GmbH

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Sezione trasversale Transversal section

C O N S T R U C T I O N : B A S E M E N T : Takenaka Europe GmbH / Membrane structure : Cannobio S.p.A B U I L D I N G A R E A : 31.3 sqm U S E : tea house M A X H E I G H T : tea room F2403 mm, preparation room F2200 mm S T R U C T U R E : air-inflated membrane structure

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Questo progetto è iniziato con l’intenzione di proporre un nuovo tipo di “casa temporanea”. Abbiamo progettato di utilizzare materiali comunemente reperibili nei mercati, per facilitare la costruzione. Il prodotto che abbiamo scelto, un “ombrello”, è stato sviluppato e migliorato per essere leggero, facile da trasportare piegandolo e, soprattutto, ripara effettivamente dalla pioggia. Abbiamo pensato di poter dar vita a un nuovo prodotto, a un nuovo tipo di architettura, montandone vari insieme in modo tridimensionale. Questa “Casa Ombrello” è un icosaedro regolare in cui ogni triangolo è sostituito da un ombrello. Un triangolo fatto con le stecche di un ombrello funge da trave strutturale, e ogni singolo dettaglio è un adattamento di una parte di un comune ombrello. Le connessioni tra gli ombrelli sono realizzate con le cerniere stagne delle mute da sub; così si può realizzare un nuovo spazio in uno spazio aperto semplicemente aprendo gli ombrelli e chiudendo le cerniere. La dimensione dell’ombrello è definita dagli spazi che si vogliono creare, per esempio pochi ombrelli possono creare una piccola copertura o un divisorio, mentre 15 ombrelli possono creare un riparo. Il materiale della superficie dell’ombrello è un tessuto non tessuto di poliestere chiamato “Tyvek”, prodotto da DuPont, che ha una grande qualità di impermeabilità e resistenza all’umidità ed è facile da cucire così da potervi applicare comodamente le cerniere. In un giorno di pioggia, diventa un riparo. In un giorno di sole, diventa un piccolo albero che, aprendo le cerniere, lascia penetrare la luce naturale e la brezza. La “Casa Ombrello” può diventare una “casa temporanea” del futuro.

L O C AT I O N :

Milano, Italy

D E S I G N I N G P E R I O D : November, 07 – March, 08 C ONS TRUC T ION PER IO D:

February, 08 – May, 08 Kengo Kuma & Associates Kengo Kuma/Javier Villar Ruiz/Shuhei Kamiya S T R U C T U R E E N G I N E E R : Ejiri Structural Engineers DESIGN:

CONS TRUC T ION: UMBRELL A MAK ING:

Iida KasaT E N S P E C I A L J O I N T M A K I N G : Super Robot B U I L D I N G A R E A : 15 sqm U S E : housing prototype S T R U C T U R E : steel& membrane

Finishing material FTyvek (DuPont)

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This project started under the condition of suggesting a new kind of a ‘temporary house’. What we planned considering the ease of construction and building was to utilize materials, which are commonly distributed in markets. The product we have selected, an ‘umbrella’, has been developed and improved to be light weight, easy to carry by folding, and above all, in effectively keeps off the rain. We thought that we could produce a new product, a new kind of architecture by putting them up in three dimensional ways. This “Casa Umbrella” is composed of each triangle on a regular icosahedron replaced by an umbrella. A triangle created by the bones by an umbrella is utilized as a truss structure, and every single detail is adapting the detail of a common umbrella. The connection detail of the umbrellas is the water cut-off fasteners used for a diving suit; therefore you can produce a new space in an open space, by simply opening the umbrella, fastening the zipper. The size of the umbrella is defined based on the intended spaces to be created - a few umbrellas can produce a small roof or a partition, while 15 umbrellas can create a shelter. The material of the umbrella surface is a polyester non-woven fabric called ‘Tyvek’ produced by DuPont, which has an outstanding quality in water proofing and moisture proofing that is easy to sew as it also goes well together with zipper. On a rainy day, it becomes a rain shelter. On a fine day, it becomes a small arbor by opening a zipper to bring in a natural light and a gentle breeze. “Casa Umbrella” becomes to be a ‘temporary house’ of new days.

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Sistema strutturale Structural system



L O C AT I O N : Japan Dental Show, Pacifico Yokohama, Japan D E S I G N I N G P E R I O D : Early 2004 (6 months) C O N S T R U C T I O N P E R I O D : One day for fit-up for the exhibit D E S I G N : Kengo Kuma & Associates Kengo Kuma / Hironaka Ogawa C O N S T R U C T I O N : Koei Sangyo T O TA L F L O O R A R E A : 880 sqm U S E : showcase booth M A X H E I G H T : 3.42 m S T R U C T U R E : water block

Tokyo è una città fluida. E’ fluida in un modo completamente diverso da Venezia. Supponiamo che la città tradizionale sia solida e la città virtuale del futuro sia vapore. Tokyo sta tra queste due. Tokyo, come liquido, sta a metà tra solido e vapore. Abbiamo proposto il Mattone d’Acqua pensando che sarebbe stato il materiale costruttivo più idoneo per realizzare questo stato fluido. Il Mattone d’Acqua non è simile a un liquido per il fatto che contiene acqua. Mettendo e levando l’acqua il mattone può vagare tra le realtà del solido e del vapore, peregrinare tra gli stati di gravità e di non-gravità. Questa è la natura dell’essere fluido.

Tokyo is a fluid city. It is fluid in a completely different way from Venice. Suppose that traditional city is solid and virtual city in the future is vapor. Tokyo comes in between of the two. Tokyo as liquid exists in the midway from solid to vapor. We proposed that Water Block would be the most appropriate building material in order to realize this fluid state. Water Block is liquid-like not because it contains water. By letting the water in and out the block can wander about between the realities of solid and vapor, traveling between gravity and gravity-free states. That is the nature of being fluid.


Come dimostra questo progetto, preconizziamo che nel prossimo futuro ci sarà un’era di “auto-costruzione” della casa. Significa che invece di chiedere a qualcun altro di progettare e costruire una casa per noi, ci creiamo uno spazio da soli, lo sviluppiamo, lo personalizziamo, cosa che appare del tutto naturale. Tale pratica, infatti, è profondamente radicata nella tradizione giapponese. Per esempio, i fusuma (partizioni scorrevoli) e gli schermi shoji servono entrambi a dividere e a unificare gli spazi. I giapponesi danno per scontato che lo spazio non sia qualcosa di rigidamente fisso, e sistemi come i fusuma e gli shoji fanno sì che lo spazio possa essere modificato secondo le necessità. Questo ci riporta anche al concetto di base che lo stile di vita non è uno stato solido, ma qualcosa che continua a fluire e a modificarsi a seconda delle condizioni proprie e dell’ambiente circostante.

As expressed in this project, we predict that housing will see the age of ‘self-made in the near future. It means that rather than asking someone else to design and make a house for you, you create a space on your own, develop it, and customize it, which seems only natural. This practice in fact had been deeply rooted in the ancient life of Japanese. For example, fusuma (sliding partition) and Shoji screen both divide and connect spaces. The Japanese have taken it granted that space is not something rigidly fixed, but such devices as fusuma and shoji could make it possible to change the space at our own need. It also draws us back to the basic fact that lifestyle is not a solid state, but something that keeps flowing, changing according to its condition and surroundings.

L O C AT I O N : Superstudio Piu, Tokyo Design Room for Milano Salone, Italy D E S I G N I N G P E R I O D : Early 2007 C O N S T R U C T I O N P E R I O D : 17-23 April, 2007 D E S I G N : Kengo Kuma & Associates Kengo Kuma / Kazuhiko Miyazawa D E S I G N C O L L A B O R AT O R :

Mika Ninagawa (photographer) Koei Sangyo, Studio TAD T O TA L F L O O R A R E A : 56.00 sqm U S E : Pavilion M A X H E I G H T : 1.98 m S T R U C T U R E : Block structure CONS TRUC T ION:

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Sezione unità d’acqua Water branch unit

L O C AT I O N : Museum Of Modern Art, New York MOMA Home Delivery Fabricating the Modern Dwelling E X H I B I T I O N D U R AT I O N : July 20 to Oct 20, 2008 D E S I G N : Kengo Kuma & Associates Kengo Kuma / Kazuhiko Miyazawa / Shin Ohba / Tomoko Sasaki T E C H N I C A L S U P P O R T : DuPont L I G H T N I N G S U P P O R T : Color Kinetics Japan B U I L D I N G A R E A : 5 sqm U S E : shelter prototype system M A X H E I G H T : 2.5 m S T R U C T U R E : water branch


Il mattone d’acqua è costituito di taniche di plastica. Impilandole, si può costruire qualsiasi cosa, da un mobile a una casa. Una tanica è molto leggera e facile da trasportare. All’interno si può versare acqua o un altro liquido. A seconda di come si connettono le singole taniche cubiche di 100x100 mm si possono ottenere molte forme diverse. Inoltre, si può realizzare una struttura solida congiungendo saldamente le parti concave con quelle convesse. Il peso del mattone d’acqua può essere regolato con la quantità di liquido che vi si versa dentro, e può anche essere usato per tenere una riserva di acqua in caso di emergenza. Collegando le taniche dall’apertura, il liquido può fluire tra una e l’altra. Così facendo, il mattone d’acqua può assumere altre funzioni oltre a quella di struttura: Isolante termico, Rete di cavi, Sistema di purificazione dell’acqua attraverso il filtraggio a precipitazione tra le parti concave e quelle convesse, Ammortizzatore di urti, grazie al materiale “morbido” di cui è composto, Apparecchio per l’illuminazione, Serbatoio per l’acqua piovana, Vegetalizzazione di pareti e pavimenti, Modifica della propria funzione in base al materiale con cui si riempie (fango, sabbia, cemento, liquido opaco ecc.), Generatore idroelettrico. Inoltre, il mattone d’acqua è anche un esperimento per l’utilizzo e lo smaltimento nel terreno del PTE, poliestere idro/ biodegradabile. Se l’esito sarà positivo, si realizzerà un nuovo sistema di riciclo sostenibile che segue il percorso contenitore, materiale da costruzione, terreno.

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Water block is a piece of plastic tank. By piling them up, you can build anything from furniture to a house. It is very light and easy to carry around. Water or other types of liquid can be stored inside. According to how each cube of 100×100 mm is connected staggeringly they can be turned into a variety of shapes. Furthermore, it can form a strong structure by joining its concave and convex firmly. The weight of Water Block can be adjusted by the volume of liquid that you pour inside, and it also can be used as a safe to keep the water for emergency. By connecting the pieces, liquid can flow into the next block and run around within the tanks. By doing so, Water block can function not only as a structure but also as many other roles: Thermal insulation, Network wiring, Filtering by concave and convex, water purification system with precipitation tank, Absorbing shock with its soft material, Lighting equipment, Storing rainwater, Greening of wall and floor Change its role by the thing you put inside (such as mud, sand, concrete, opaque liquid, etc.), Hydroelectric generation, Moreover, Water block is a trial case of using PET, the Hydro/Biodegradable polyester that can eventually go back to the ground. If it is successful, a new sustainable recycling system will be realized that takes the route from a container, to construction material, and to soil.

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Sistema di impilatura Piling system

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Sistema di circolazione Circolation system

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Sistema di incastro Joint system

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Montaggio del modulo base Assembling pattern


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L O C AT I O N : Japan Dental Show, Pacifico Yokohama, Japan D E S I G N I N G P E R I O D : Latter half of 2008 C O N S T R U C T I O N P E R I O D : one day as fit-up for the exhibit D E S I G N : Kengo Kuma & Associates C O N S T R U C T I O N : Union Peck T O TA L F L O O R A R E A : 880 sqm U S E : Showcase booth M A X H E I G H T : 2.55 m S T R U C T U R E : block structure

Questo progetto mostra come stiamo migliorando l’idea del mattone d’acqua, presentato originariamente nel 2004 allo stesso stand della mostra e che ora assume una struttura più sviluppata. This is to show how we are improving the idea of Water Block, which was originally presented at the same exhibition booth in 2004, now a more full-fledged structure.

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Prospetto Elevation

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L’idea dei mattoni di poliestere è scaturita dalle “politaniche”, cioè le taniche di poliestere usate nei cantieri per portare l’acqua. Senza acqua dentro, la “politanica” in sé è piccola e leggera. Il tema di questa casa è quello di una casa ecologica del futuro. I mattoni sono connessi l’uno all’altro in modo che l’acqua possa circolare tra loro. Riempiendo i mattoni con acqua calda, la casa si riscalda senza bisogno di sistemi meccanici. Inoltre, poiché il materiale è molto leggero e maneggevole, non c’è bisogno di camion e gru durante il processo costruttivo. Non c’è bisogno di dire che il mattone d’acqua ha una forma unica. Si possono combinare perfettamente cinque cubi, anche se tra loro rimangono delle intercapedini. Perciò, la superficie della casa non è regolare. Come sistema strutturale, anche se non si utilizzano pietre, le intercapedini danno alla casa l’apparenza di una struttura di muratura. Si può scegliere la dimensione delle aperture, accatastando i mattoni in modo casuale. Non ci sono due case identiche fatte con questi mattoni. Quando sono stati presentati al MoMA, i mattoni erano riempiti con acqua colorata e fungevano da parete scenografica per un’affascinante mostra. Non era assolutamente una casa. Ora, nel mondo reale, stiamo cercando di costruire una casa sfruttando le qualità e le caratteristiche dei mattoni. Per esempio, i mattoni con dentro l’acqua si scaldano al sole e l’acqua diventa un collettore termico. La connessione tra i mattoni permette poi all’acqua di circolare attraverso tutta la casa. Il progetto mostra la possibilità di un nuovo materiale e di un nuovo processo costruttivo. Durante il XX secolo, gli edifici erano per lo più di acciaio e cemento. Ora, questa è l’occasione per prendere in considerazione nuovi materiali e processi costruttivi, attenti ai problemi ambientali. C’è la possibilità di usare la casa di mattoni d’acqua come rifugio in catastrofi come i terremoti. La circolazione dell’acqua e il controllo della temperatura è utile alle vittime che hanno perso le proprie case.

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Pianta Plan

Sezione Section

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Prospetto est East elavation

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Prospetto sud South elavation

The idea of the polyester bricks was born from the “polytank” which is a polyester tank used at construction sites to carry water. Without water, the “polytank” itself is light and small. The theme of this house is an environmental future house. The bricks are connected with each other so water can circulate through the connected bricks. By filling the bricks with hot water, the house heats up without the need of machinery. Also, because the material is very light and small, trucks and cranes are not needed for the construction process. The water brick needless to say has a unique shape. The 5 cubes fit together although there are gaps between each other cube. Therefore, the surface of the house is not even. As a structure system, even though stones are not used, the gaps give the house an image of masonry structure. People can choose the sizes of the openings by loading the bricks randomly. There are never two exact same brick houses. At the time of MoMA, the bricks were filled with colored water to make walls for an impressive exhibition. It was not a house at all. Now in the real world we are trying to build a house using the strategy of the characteristics of bricks. For example, the water in the bricks which are heated by the sun can become a heat collector. The connectivity between the bricks enables the water to circulate all through the house. The project shows the possibility of a new material and a new construction process. During the 20th century buildings were mostly consisted by steel and concrete. Now, this is the chance to take into thought about new materials and new building processes concerning environmental problems. There is a possibility to use the brick house at the shelter for an earthquake catastrophe. The water circulation and temperature control work well for victims who have lost their homes.


L O C AT I O N : Exhibition “Studies in Organic”, Gallery MA, Tokyo D E S I G N I N G P E R I O D : 2009.6-2009.10 C O N S T R U C T I O N P E R I O D : 2009.10 D E S I G N : Kengo Kuma & Associates S I T E A R E A : 104.5 m2 T O TA L F L O O R A R E A : 12.25 m2 U S E : exhibition M A X H E I G H T : 2.7 m S T R U C T U R E : water branch

Involucro: membrana trasparente Envelop: trasparent sheet

Sistema costruttivo muratura Masonry costruction system

Volta: 750 mattoni Arch: 750 bricks Diagramma deformazione Deformation diagram Muratura: 800 mattoni Wall: 800 bricks

Piano: 250 mattoni Floor: 250 bricks Previsione della distorsione di carico acque Prevent distorsion by water weight

Sistema circolazione acqua Water circulation system

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Aldo Castellano

IL DONO DELLE MUSE THE GIFT FROM THE MUSES Per quale motivo andiamo al museo? La ragione più frequente sembra quella di poter vivere l’esperienza estetica che scaturisce dal godimento visivo delle opere d’arte. E’ la loro qualità il motivo principale e talvolta esclusivo che ci spinge a lunghi viaggi per ammirare i capolavori dell’arte antica, moderna e contemporanea. Seppure importante e prestigiosa, la cornice architettonica che conserva le opere – come palazzi reali e principeschi o templi neoclassici – sembra passare generalmente in secondo piano nel nostro ricordo. La memoria pare, tutta, concentrarsi sulle opere. In genere del contesto ricordiamo, semmai, gli aspetti negativi: l’illuminazione mal disposta; l’eccessiva ristrettezza o ampiezza degli ambienti che sembrano soffocare o disperdere l’"energia” promanante dalle opere; la mancanza di punti di sosta, che forza a estenuanti tour de force podistici di stanza in stanza; l’assenza di angoli appartati per la riflessione... Per andare al museo ci sottoponiamo a lunghe code con paziente sopportazione, anzi quasi con piacere, e per alcune delle più celebri istituzioni museali ci assoggettiamo anche, di buon grado, a prenotare la nostra visita con larghissimo anticipo. E’ vero, come scriveva Edgar Wind nel 1963, che l’arte d’oggi ha perso il suo legame diretto con la nostra esistenza ed è così diventata una splendida superfluità; tuttavia essa “non smette per questo di essere goduta ampiamente e intensamente [... e] nulla ci dà tanto piacere quanto questa nostra comunione con immagini così libere” (Art and Anarchy, 1963). Per lo più, con lo stesso spirito sembra ora ci accostiamo anche all’arte del passato. Sono, infatti, lontani i tempi nei quali le Muse (l’Arte) raccontavano “le cose che ci sono,/le cose che saranno, e quelle cose/che sono state nei tempi passati,/con le voci intonate in armonia”, rallegrando il cuore e la mente di chi assiste (Esiodo, Teogonia). Erano epoche nelle quali il dono delle Muse distoglieva gli uomini dalle loro pene. Oggi, invece, ce le andiamo quasi a cercare nei perpetui “fortissimo” di tanta arte contemporanea. Resta, comunque, che anche oggi “l’arte non perde la sua qualità d’arte“ (E. Wind). E questo è davvero sorprendente. Le nove figlie di Zeus e Mnemosine continuano tuttora a ispirare artisti, ma loro non si degnano neppure di invocarle. Anzi. Richard Serra, scultore minimalista, quarant’anni fa affermava con una certa hybris, “io non faccio dell’arte, io sono impegnato in un’attività; se poi qualcuno vuole chiamarla arte, sono affari suoi, ma non sta a me stabilirlo. Questa è un’operazione successiva”. All’esegesi di queste parole provvedeva nel 1973 Joseph Kosuth, uno dei pionieri dell’arte concettuale: l’arte di Serra è frutto delle sue azioni compiute dopo che l’attività ha avuto luogo, e precisamente del fatto che, oltre a essere legato a molte gallerie e a vendere ai collezionisti d’arte, egli mette “i residui fisici della sua attività nei musei”. Perciò un oggetto diventa arte solo quando è posto nel “contesto dell’arte”. Per spiegare meglio il meccanismo, ecco un altro esempio di Kosuth: una delle forme a scatola del minimalista Donald Judd, riempita di detriti e posta in un ambito industriale, “non sarebbe identificata con l’arte”: ergo, “il capirla e il considerarla come un’opera d’arte è necessariamente a priori rispetto alla presa di contatto con essa, per ‘vederla’ come un’opera d’arte”. Dunque, è il museo che “fa” l’opera d’arte, per lo meno dal Concettuale e dintorni. Poi sembra che il meccanismo sia stato apprezzato un po’ da tutti gli artisti, la cui attività è sempre più intimamente legata alla consacrazione museale, e ai suoi innumerevoli cascami derivati, sino all’esposizione dell’opera in una mostra: se è esposta al pubblico, vuol dire, certamente, che è un’opera d’arte. Con questa singolare ideologia, si operava un ribaltamento a 360 gradi della tradizionale procedura di invocazione alle Muse prima dell’inizio dell’opera: ora, invece, s’invoca la protezione (e certificazione) museale dopo. Di qui emerge con forza il tema del museo quale luogo di consacrazione artistica. E’ probabile, infatti, che l’architettura museale abbia assunto una nuova centralità nella produzione architettonica contemporanea, soprattutto dopo gli anni Ottanta del secolo scorso proprio per quel ragionamento di Kosuth, insieme alla perdita del legame diretto dell’arte con la nostra esistenza e, dunque, alla nostra incapacità di comprendere l’arte. 34 l’ARCA 265

Il prestigio dell’edificio espositivo è sempre stato una caratteristica del museo sin dalle prime gallerie nei palazzi residenziali. Poi, in epoca neoclassica, venne l’idea di costruire dei veri e propri tempi alle Muse con profusione di timpani e colonnati. Tuttavia gli interni conservarono sempre il carattere residenziale e aulico delle dimore principesche, dove le opere esposte potevano essere contemplate e studiate in libero e religioso raccoglimento. Il pubblico di intenditori e amanti dell’arte non era, d’altronde, così numeroso da spezzare il clima magico di quelle sale silenziose. Invero, questo modello museale è durato sino a quasi i nostri giorni, consegnandoci capolavori architettonici straordinari e, insieme, perfette ”macchine espositive” come, ad esempio, il Kimbell Art Museum a Forth Worth, Texas, di Louis Kahn del 1969-72. Una caratteristica saliente di quel modello architettonico era la sostanziale libertà di movimento del visitatore nel lay-out ordinato degli interni, presupposto irrinunciabile per l’efficacia del “dono delle Muse”. Ma non tutti i progettisti ne condividevano il presupposto, spinti da irresistibili istanze pedagogiche o dall’ossessione dell’ordine, non già architettonico, bensì comportamentale. E, prima, fu il caso del criticatissimo progetto di Le Corbusier per il Mundaneum di Ginevra del 1929, a forma di ziggurat monumentale, poi tradotto nell’idea del Musée à croissance illimitée del 1939. E poi, la costruzione del Guggenheim Museum a New York di Frank Lloyd Wright, del 1959, ma studiato sin dal 1943, che ribaltava “a testa in giù” un suo precedente progetto per il Gordon Strong Automobile Obiective and Planetarium a Sugar Loaf Mountain, Maryland, del 1925 – a spirale centripeta invece che centrifuga come nel museo – e soprattutto trasformava la precedente rampa automobilistica in percorso pedonale elicoidale. John Updike ha descritto con delizioso sarcasmo, nel racconto Museums and Women del 1972, l’esperienza della visita a una mostra d’arte contemporanea nel Guggenheim insieme all’amica di un amico: le grandi tele rettangolari strappate e imbrattate, quasi impossibili a vedersi per mancanza di profondità della rampa-galleria; l’esile e basso muro di protezione attorno alla cavità centrale, quasi invitante a un tuffo nelle profondità sottostanti; il procedere rispettoso, ma anche in stato confusionale lungo la rampa senza altra via d’uscita che alla fine, come bloccati dall’incantesimo di un mago (Wright); e, poi, il passo falso dell’accompagnatrice del nostro autore, colpita dalla visione di una pittura "particolarmente esplosiva”, e i tacchi alti ingannati dal pendio, e la brusca caduta della donna su di lui, arrestata appena in tempo, aggrappandosi al suo braccio; e, così avvinghiati l’una all’altro, la prudente discesa per tutto il resto del museo sino alla salvezza sulla strada, quando i due corpi si separarono, senza mai più toccarsi. Con il Guggenheim di New York ha, forse, inizio la lunga serie di architetture museali, volte a gareggiare con, se non a predominare sulle opere d’arte contenutevi. L’elenco è lungo e s’infittisce sempre più dagli anni Ottanta sino a oggi. Da tempio austero delle Muse, il museo si è così trasformato vieppiù in "opera d’arte” del progettista, sempre più consapevole del ruolo strumentale che esso gioca nel processo di certificazione artistica delle opere esposte. Il ragionamento è semplice: quanto più prestigioso e artistico è il contenente, tanto più lo sarà anche ciò che vi è contenuto, per una sorta di transfert di artisticità dall’esterno all’interno. E nell’ottica dell’arte, intesa alla maniera dei Concettuali, il progettista del museo artistico sembra muoversi anche nei rapporti col contesto: per lo più, sovrana indifferenza per quanto lo circonda. Si è parlato di non-luoghi. Non lo so. Possono talora condensare con la loro forza iconica, oltre che con la loro funzione attrattiva, paesaggi urbani altrimenti dispersi e senza una precisa riconoscibilità; ma il più delle volte paiono opere disposte in un ambiente a priori considerato neutrale, come le sale di un museo tradizionale, ma che neutrale non è affatto: è la città con i suoi diversi paesaggi, più o meno riconoscibili, che – credo – meritino sempre attenzione. Anche a questo tema l’architettura museale (e non) dovrebbe, forse, pensare. Altrimenti a chi lasciamo la città: solo a operatori economici, politici, amministratori o urbanisti?


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Why do we go to visit museums? The most common reason is apparently to enjoy the aesthetic experience coming from viewing works of art. Their quality is the main and sometimes only reason why we undertake long journeys to admire masterpieces of ancient, modern and contemporary art. Although the architectural frameworks holding these works are also important and prestigious – such as royal or princely palaces and neoclassical temples – they seem to be pushed to the back of our memories. Our recollections all seem to focus on the works. Generally speaking, what we tend to remember about the setting is just its negative aspects: poorly arranged lighting; rooms which are either too big or too small and appear to suffocate or disperse the “energy” coming from the works; a lack of rest areas, which means we end up tramping without respite from room to room; and also a lack of little areas where we can pause for thought.... It is quite true, as Edgar Wind wrote in 1963, that nowadays art has lost its direct bonds with our life and has, therefore, turned into something wonderfully superfluous; nevertheless this “never stops it from being deeply and intensely enjoyed (...and) nothing gives us as much pleasure as our communion with such free images” (Art and Anarchy, 1963). Moreover, we now seem to be approaching great art from the past in this same spirit. Gone are the days when the Muses and (Art) told us about “the things that are,/ that will be and those things/ which were in times gone by,/with all their voices in unison” cheering up the hearts and minds of those witnessing them (Hesiod, Theogony). Those were the days when the gift from the Muses distracted men from their suffering. Nowadays, we almost seem to search for them amidst all the vast array of contemporary art. Nevertheless, in any case, it is still true that even today “art has not lost its quality of being art” (E. Wind). And this was truly surprising. The nine daughters of Zeus and Mnemosyne keep on inspiring artist, but they do not even bother to invoke her. Quite the contrary 40 years ago the minimalist sculptor Richard Serra stated, with a certain degree of detachment, that “ I do not create art, I am involved in an activity; if somebody wants to call it art, then that is their business, but it is not for me to say. This operation comes later”. In 1973 Joseph Kosuth, one of the leading figures in conceptual art, provided his own interpretation of these words: Serra’s art is the result of actions he carries out after the activity has taken place and, more specifically, from the fact that, as well as being linked to lots of galleries and also selling to art collectors, he puts “the physical residue of his work into museums”. So an object only becomes art when it is placed in “the context of art”. To explain this more clearly, here is another example from Kosuth: one of the box-shaped forms by the minimalist artist Donald Judd, filled with waste and placed in an industrial setting, “would not be associated with art”: so, “understanding it and considering it to be a work of art is necessarily a priori to coming into contact with it, in order ‘to see it’ as a work of art”. So it is the museum which “makes” the work of art, at least in the case of Conceptual art and so forth. It would also seem that this mechanism has been appreciated by more or less all artists, whose work is increasingly more closely tied to museums and all kinds of other spinoffs, right until the work is actually displayed in an exhibition: if it is displayed to the public, then that most certainly means it is a work of art. This strange line of thinking has brought about a complete turnaround compared to the traditional process of invoking the Muses before beginning work: nowadays, in contrast, it is the museum’s protection (and certification) that is invoked. This really brings the question of museums as places for consecrating artistry right to the very fore. Indeed, it is likely that museum architecture has become a central aspect of contemporary architectural design, particularly from the 1980s onwards, basically due to what Kosuth said, as well as the loss of any direct link between art and our life and, hence, our inability to understand art. The prestige associated with exhibition buildings has always been a distinctive feature of museums right from the very first galleries in residential palaces. Then, during the neoclassical period, somebody

had the idea of building authentic temples dedicated to the Muses with a whole array of tympanums and colonnades. But the interiors retained the residential and courtly nature of stately homes, where the works on display could be admired and studied with free and almost religious intimacy. Art lovers and connoisseurs were not, after all, so numerous that they broke the magical feel of these silent rooms. In actual fact, this kind of museum has endured almost right down until the present day, leaving us with some extraordinary architectural masterpieces which are also perfect “exhibition machines”, such as, for example, the Kimball Art Museum in Fort Worth, Texas, designed by Louis Kahn 1969-72. A key feature of this kind of architecture was the visitor’s freedom to move around the carefully arranged layout of the interiors, an absolute necessity for guaranteeing the effectiveness of the “gift from the Muses”. But not all architects shared this assumption, driven along by their own pedagogical urges and obsession with order, not architectural order but behavioural order. This began with Le Corbusier’s project for the Mundaneum in Geneva from 1929, designed like a monumental ziggurat, later translated into the idea for a Musée à croissance illimitée in 1939. Then there was the construction of the Guggenheim Museum in New York designed by Frank Lloyd Wright in 1959, but first devised in 1943, which literally turned “upside down” a previous project for the Gordon Strong Automobile Objective and Planetarium in Sugar Loaf Mountain, Maryland, from 1925 – with its centripetal spiral rather than the centrifugal spiral in the case of the museum – and, most significantly, it converted the previous car ramp into a winding pedestrian path. In a story entitled Museums and Women written in 1972 John Updike showed his usual delicious sarcasm in describing the experience of visiting the Guggenheim contemporary art exhibition together with the girlfriend of a friend of his: the huge ripped and soiled rectangular canvases, almost impossible to see due to the lack of depth of vision from the galleryramp; the slender and low protective wall around the central cavity, almost inviting you to dive down below; the respectful but also confusing pathway along the ramp with no other way out, as if we were trapped by some magician’s spell (Wright); and then the slipup by the lady accompanying our writer, who, struck upon seeing a “particularly explosive” painting, caught her high heels along the slope and suddenly collapsed onto him, just managing to save herself in time by grabbing his arm; and then, entangled together, their very prudent descent through the rest of the museum before being saved by the street, where the two bodies separated never to touch each other again. The Guggenheim Museum in New York marked, perhaps, the start of a long sequence of museum designs intended to compete with, if not actually dominate over, the works they contain. The list is long and has continued to grow ever since the 1980s to the present day. Once the austere temple of the Muses, museums have increasingly transformed into the designer’s own “work of art”, as he has become increasingly aware of the instrumental role they play in artistically certifying the works they exhibit. The reasoning is simple: the more prestigious the artistic container is, the more prestigious and artistic what it contains will inevitably be, due to a sort of transfer of artistry from the outside to the inside. From the artistic viewpoint of Conceptual artists, the designer of an art museum appears to relate in a very definite way to the setting: basically showing sovereign indifference towards the surroundings. There has been talk of non-places. But I am not so sure. Sometimes they can use their iconic force and magnetic function to draw together otherwise dispersed urban settings with no definite identity; but more often than not they appear to be works set in a context considered a priori to be neutral, like the rooms of a traditional museum, but they are not neutral at all: I believe that the city, with all its different more or less recognisable landscapes, deserves greater attention. Museum (and other) architecture ought, perhaps, to think more about this issue. Otherwise who will the city be left to: just economic and political operators, administrators and town-planners? 265 l’ARCA 35


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LaM, LILLE MÉTROPOLE Manuelle Gautrand

Inserito in parco di sculture di 23.000 metri quadrati a Villeneuve d’Ascq, il LaM Museo d’arte moderna, d’arte contemporanea e d’art brut di Lille Métropole, è stato inaugurato il settembre scorso dopo quattro anni di cantiere e un investimento di 28 milioni di euro. Il progetto firmato da Manuelle Gautrand, vincitrice di un concorso internazionale bandito nel 2002, vede il rinnovamento del museo esistente, opera di Roland Simounet del 1983, e la costruzione di una nuova estensione di 3.000 metri quadrati. Situato in un territorio al crocevia tra Parigi, Bruxelles e Londra, il nuovo museo reppresenta uno dei fiori all’occhiello di una politica culturale particolarmente dinamica promossa dalla Communauté Urbaine Lille Métropole, dalla Région Nord Pas de Calais con il contributo dello Stato francese. Un progetto che, facendo leva su una posizione geografica strategica e sulla scia del successo di Lille 2004 Capitale della cultura europea, punta al rinnovamento e al potenziamento della rete museale esistente di cui la Piscine de Roubaix, il Museo des Beaux Arts, il Fresnoy, il Tri Postal o le Maisons Folies a Lille, la Cité internationale de la Dentelle et de la Mode di Calais, e il futuro Louvre Lens segnano alcune delle tappe più significative. Con una collezione di 4.500 opere, composta dalla donazione d’arte moderna di Jean e Geneviève Masurel, arricchita dalle successive acquisizioni di opere contemporanee e dalla principale collezione francese d’art brut proveniente dalla donazione de L’Aracine, oggi il LaM ha – come sottolineato dal presidente di Lille Métropole, Martine Aubry – "l’ambizione di divenire uno dei primi musei per l’arte moderna dell’Europa del Nord". Un concetto di museo aperto “accogliente e accessibile” declinato da un’architettura fluida che coniuga nuovo ed esistente orchestrando spazi, percorsi e materiali in un dialogo continuo con le opere e con il paesaggio. Il progetto di Manuelle Gautrand parte proprio da questo presupposto, prolungare l’opera di Roland Simounet e “inventare un luogo per ospitare una magnifica collezione d’art brut” articolando i diversi campi artistici in un processo di osmosi tra le opere. La nuova estensione si inserisce nel dolce pendio del parco con una forma morbida, che da ovest a est “abbraccia letteralmente” il museo aprendosi sulla parte est in una sorta di ventaglio, una mano aperta a cinque dita. Un gesto avvolgente che innervando le funzioni esistenti, dichiara la volontà di incontro, di sintonia, di prolungamento con il vecchio edificio senza rinunciare ad affermare un nuovo linguaggio, espressione di contemporaneità. Il registro geometrico, lineare e rigoroso che articola i volumi monolitici dell’architettura di Simounet, viene completato da una forma più morbida, di matrice organica, che si profila nel parco seguendo gli stessi ritmi, le altezze, le sequenze del museo esistente. Il nuovo volume, pur nella continuità con l’esistente, afferma il suo statuto di edificio contemporaneo grazie a una scelta costruttiva coraggiosa che metabolizzando l’ossatura in cemento di Simounet, la trasforma in una nuova superficie realizzata in cemento di fibra di ultima generazione. L’involucro dei nuovi volumi è infatti composto da pannelli in Ductal lavorati con un delicato traforo, sorta di mucharabieh, che protegge le superfici vetrate delle sale espositive dosando al luce naturale e lasciando filtrare scorci di paesaggio. Sulle parti cieche, come il corpo addossato a nord e le pareti laterali dei corpi a est, il motivo della lavorazione è ritagliato nella materia che acquista maggior peso e volume. All’interno le sale che accolgono i circa 4.000 pezzi di art brut, sono animate da una luce morbida e calibrata sulle particolari esigenze delle opere che per la fragilità della loro natura impongono un’atmosfera poco luminosa (50 lux massimo). Il percorso museale si svolge in sequenza dal parco al museo esistente dove è ospitata la collezione di arte moderna e contemporanea, allo spazio riservato alle esposizioni temporanee, fino alla nuova ala riservata all’art brut, offrendo una piacevole esperienza che pone naturalmente e in un’atmosfera intima e contemporanea a contatto con la preziosa esperienza dell’universo artistico. Elena Cardani 36 l’ARCA 265

Un ampliamento che dosa in una forma organica e avvolgente omaggio all’architettura esistente e affermazione di un registro linguistico contemporaneo.


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Credits Projet: Manuelle Gautrand Architecture Project manager, associate in construction phase: Yves Tougard

Museography: Renaud Pierard Structure: Khephren Plants: Alto Economy: LTA (studies),

Guesquière-Dierickx (construction) Multimedia: Roger Labeyrie Fire proofing: Casso Roof and facades renovation of existing

building: Etienne Sintive Landscaping: AWP Renovation Contractors: Chevalier Nord (facades),

Waterproofing (Nord Asphalte), Security (Inaccess), Finishings (PMN) Extension Contractors: Tommasini (General Contractor), Loison (Metal works),

Betsinor (BFUP prefabrication), Smac (Wather proofing), Jean Bernard (gypsum), Module (Ceiling), SGTC (ceramics), Ferrantelli (floors),

Thyssen Krupp (elevators), Goppion (exhibition furniture), INEO Média System (Multimedia) Client: Lille Métropole Communauté Urbaine

Vista aerea durante la fase di cantiere dell’estensione del Museo d’arte moderna Lille Métropole a Villeneuve d’Ascq inaugurato nel settembre del 2010.

Aerial view of building work on the extension to the Lille Métropole Modern Art Museum in Villeneuve d’Ascq, which opened in September 2010.

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Set in a park of sculptures covering 23,000 square metres in Villeneuve d’Ascq, the LaM Museum of Modern Art, Contemporary Art and Art Brut in Lille Métropole, officially opened last September after four years of building work and an overall investment of 28 million Euros. The project designed by Manuelle Gautrand, which won an international competition organised in 2002, involves upgrading the existing museum designed by Roland Simounet in 1983 and constructing a new 3,000 square metres extension. Located in an area at the crossroads between Paris, Brussels and London, the new museum is the flower in the buttonhole of a particularly dynamic cultural policy promoted by Communauté Urbaine Lille Métropole and Région Nord Pas de Calais with the aid of the French government. A project which, exploiting its strategic geographical position and following in the wake of the success of Lille 2004, European Capital of Culture, is aimed at renewing and reinforcing the existing museum network, some of whose most important landmarks include the Piscine de Roubaix, the Fine Arts Museum, Fresnoy, Tri Postal and Maisons Folies in Lille, the Cité internationale de la Dentelle et de la Mode in Calais and the Louvre Lens planned to be built in the near future. Boasting a collection of 4,500 works, composed of the donation of modern art made by Jean and Geneviève Masurel, enhanced by subsequent purchases of contemporary works, and the most important French collection of art brut coming from the L’Aracine donation, the LaM now has – as was pointed out by the President of Lille Métropole, Martine Aubry – “the ambition to become one of the leading modern art museums in northern Europe”. A “warm and welcoming” open museum concept based on fluid architecture, which combines the new and old by orchestrating its spaces, corridors and materials in a constant state of interaction with the works on display and surrounding landscape. Manuelle Gautrand works on the assumption of extending Roland Simounet’s construction and “inventing a place for hosting a magnificent collection of art brut”, bringing together various fields of artistry through a process of osmosis between the works. The new extension fits into the gentle slope of the park through a soft form, which “literally embraces” the museum from west to east opening up along the east part into a sort of fan, an open hand with five fingers. A welcoming gesture which, while reinforcing existing facilities, asserts the desire to come together with, fit into and extend the old building drawing on its own new language, an expression of modern-day society. The geometric, linear and rigorous layout of the monolithic structures characterising Simounet’s architecture is completed by a softer form of an organic nature, which fits into the park following the same patterns, heights and sequences as the existing museum. While establishing a sort of continuity with the existing construction, the new building asserts its status as a modern-day construction thanks to a bold building approach, which metabolises Simounet’s concrete skeleton and transforms it into a new surface made out of the latest generation of cement fibre. The shell over the new structures is actually composed of delicately perforated Ductal panels, a sort of Mashrabiya, which protects the glazed surfaces of the exhibition rooms while carefully dosing the amount of natural light and allowing views of the surroundings to filter in. Over on the blank sections, such as the structure on the north side and the side walls of the east structures, the decorative pattern is actually cut into the material to give it greater weight and volume. On the inside, the rooms accommodating about 4,000 pieces of art brut are enlivened by soft lighting geared to the specific needs of the individual works, whose fragility calls for a dimly-lit setting (50 Lux at most). The museum layout runs from the park to the old museum, where the modern and contemporary art collections are kept, and then on to the space hosting the temporary exhibitions and new wing reserved for art brut. Visitors get the chance to enjoy a very pleasant museum experience bringing them naturally into contact with the world of art in a very intimate and contemporary way. Elena Cardani 38 l’ARCA 265

An extension which pays tribute to the existing building in an organic and enveloping form designed in a very contemporary language.

Schizzi di Manuelle Gautrand. L’estensione del museo preesistente, progettato da Roland Simouet, è strutturata in una forma avvolgente che circonda il museo sul lato nord per aprirsi a ventaglio sul lato est proiettandosi nel parco.

Sketches by Manuelle Gautrand. The extension to the existing museum designed by Roland Simouet is constructed around an enveloping form which runs round the north side of the museum before opening up like a fan into the park.

Vista aerea dell’estensione nel suo rapporto con l’esistente.

Aerial view of the extension showing how it interacts with what is already there.


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Nella pagina a fianco, pianta del piano terreno e sezione longitudinale del complesso museale costituito dall’edificio costruito nel 1983 e dalla nuova estensione. In questa pagina, scomposizione delle cinque braccia del nuovo museo dove è ospitata un’importante collezione di Art Brut.

Opposite page, plan of the ground floor and cross section of the museum complex composed of the building constructed in 1983 and the new extension. This page, breakdown of the five arms of the new museum holding an important collection of Art Brut.


Max Lerouge - LMCU

Max Lerouge - LMCU

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Max Lerouge - LMCU

Philippe Ruault

Philippe Ruault


Max Lerouge - LMCU

Max Lerouge - LMCU

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Previous page, external views of the new structure made of high-performance cement fibre (BFUP) enhanced by perforation work allowing natural light to flow into the exhibition rooms, in accordance with the special lighting conditions required by the works on display. These pages, the new exhibition rooms holding the collection of over 4000 pieces of art brut donated by L’Aracine.

Max Lerouge - LMCU

Nella pagina precedente, vedute esterne del nuovo volume realizzato in cemento in fibra a elevate prestazioni (BFUP) impreziosito da una lavorazione a traforo che filtra la luce naturale nelle sale espositive mantenendo le particolari condizioni di illuminazione richieste dalle opere. In queste pagine, le nuove sale espositive che ospitano la collezione di oltre 4.000 pezzi di art brut proveniente dalla donazione de L’Aracine.

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ROLAND HALBE

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CENTRE POMPIDOU-METZ Shigeru Ban and Jean de Gastines


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Pianta del livello a quota +7,00. Plan at height of +7.00. Galleria 1/gallery 1 Ristorante/restaurant Cucina/kitchen Sala delle commissioni utilities room 5. Terrazza tecnica/technical terrace 6. Laboratorio pedagogic teaching laboratory 7. Deposito di prossimità/storage 8. Laboratorio manutenzione edificio building maintenance laboratory 9. Laboratorio/laboratory 10. Deposito illuminazione ed elettrico lighting and electrical storage 11. Laboratorio elettricità electrical workshop 12. Spazio giovani space for young people 13. Spazio esposizione exhibition space 1. 2. 3. 4.

Pianta del piano terreno. Ground floor plan. 1. Ingresso/entrance 2. Forum 3. Biglietteria/informazioni ticket-information office 4. Libreria/bookstore 5. Guardaroba/cloakroom 6. Accoglienza gruppi reception area for groups 7. Centro informazioni e risorse information and resources centre 8. Alloggio individuale e gruppi individual and group accommodation 9. Navata/main aisle 10. Café/coffee bar 11. Studio di creazione creative workshop 12. Retro scena verso il giardino rear view towards the garden 13. Foyer auditorium e studio di creazione/auditorium foyer and creative workshop 14. Deposito/storage 15. Deposito/storage 16. Auditorium 17. Sala di ricevimento e spedizione reception and shipment hall 18. Sala quarantena e infermeria quarantine hall and sickbay 19. Sala preparazione esposizioni exhibition preparations room 20. Posto centrale di sicurezza central security area 21. TGBT Sicurezza/TGTB security 22. Locale tecnico/technical room 23. Binario di consegna merci goods delivery platform

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Nelle pagine di apertura, viste di giorno e notturna del Centre Pompidou-Metz caratterizzato dalla morbida copertura che culmina con un’antenna di 77 metri.

Opening pages, daytime and night-time views of the Pompidou Centre in Metz featuring a soft roof terminating in a 77-metre-tall antenna.


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Pianta del livello a quota +22,14. Plan at height of +22.14. 1. Galleria 3/gallery 3 2. Deposito di prossimità/storage 3. CTA Galleria e Grande navata CTA gallery and main aisle 4. Esposizioni in copertura/roof exhibitions

Planimetria generale/site plan.

Pianta del livello a quota +14,57. Plan at height of +14.57. Galleria 2/gallery 2 Conservatore capo/head conservationist Sala riunioni/meeting room Dir. Tecnico/technical office Segreteria/secretary’s office Diffusione/diffusion Vice associato/associate Relazioni pubbliche/public relations Relazioni scuole e insegnanti PR with schools and teachers 10. Relazioni T.O. /T.O. relations 11. Pianificazione visite e gruppi/ planning office for tours and group visits 12. Preparazione presentazione esposizioni preparation of exhibition presentations 13. Deposito prossimità/storage 14. Spazio giovani/young people’s space 15. Esposizioni in copertura/roof exhibitions 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

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Linee morbide e fluttuanti disegnano il nuovo Centro Pompidou–Metz che grazie a spazi flessibili e accoglienti e un programma culturale pluridisciplinare diviene il fulcro di una nuova vitalità urbana.

Soft, fluctuating lines shape the new Pompidou Centre in Metz, whose flexible and welcoming spaces and multi-disciplinary programme become the hub of lively new urban life.

Inaugurato nel maggio del 2010, il Centro Pompidou-Metz costituisce la prima decentralizzazione del Centre Pompidou di Parigi. Frutto di una cooperazione tra un’istituzione culturale nazionale e le collettività territoriali (Metz Métropole e la Ville de Metz), il nuovo museo sviluppa una programmazione completamente autonoma nelle scelte scientifiche e culturali con l’atout di poter beneficiare di un patrimonio di 65.000 opere d’arte moderna e contemporanea della collezione della struttura madre. Costruito in prossimità della stazione del TGV e del centro città, il nuovo museo firmato da Shigeru Ban e Jean de Gastines segna una tappa decisiva di un ambizioso progetto di riqualificazione urbana (Nicolas Michelin), coniugando in un segno poetico ed evocativo un programma variamente articolato. Configurato come un gigantesco tendone da circo, l’edificio emerge dal grande piazzale e dai due giardini che lo collegano con la stazione e il centro città dispiegando una struttura dai toni “chiari e luminosi, imponente e nel contempo leggera…un’architettura – come nelle intenzioni dei progettisti – che traduce la mescolanza delle culture e dello stare bene in una relazione immediata e sensoriale con l’ambiente circostante”. Un’avvolgente struttura esagonale sembra fluttuare attorno a un’antenna centrale alta 77 metri coprendo l’insieme degli spazi interni. Completamente realizzato in legno, questo manto di 8.000 metri quadrati è formato da una struttura a moduli esagonali rivestita da una membrana impermeabile a base di fibra di vetro e di Teflon (PTF o Poly-Tetra-Fluoro Etilene). La copertura è indubbiamente l’elemento che connota con maggior forza e carisma la presenza del museo. In essa confluiscono tecnologia, grande maestria di realizzazione e savoir-faire industriale. Per la realizzazione della sola struttura in legno (95% abete austriaco e svizzero), composta da 18 km di travi di multistrato sono occorsi niente di meno che 10 mesi di lavorazione e quattro di posa. La realizzazione delle travi, tutte diverse le une dalle altre, e la definizione della struttura sono totalmente computerizzate. La grande copertura ondulata è poi supportata da una struttura metallica composta da un anello a 37 metri altezza e una parte conica nell’innalzamento sormontato dall’antenna. Il rivestimento in membrana tessile, fabbricata in Giappone, assicura l’impermeabilizzazione dell’edificio e protegge la struttura in legno dagli agenti esterni lasciando filtrate il 15% della luce naturale e di notte, quando il museo è illuminato dall’interno, il gioco di intrecci esagonale. Il volume sottostante si articola in tre corpi parallelepipedi, tre gallerie che si sovrappongono e si incrociano proiettandosi al di fuori della linea di copertura su punti strategici della città come la cattedrale, la stazione o il Parc de la Seille. Circa 11.000 metri quadrati, la superficie totale del museo di cui 5.000 di spazi espositivi, oltre al giardino di sculture, il forum, la terrazza del ristorante o le zone superiori delle gallerie che offrono spazi supplementari per le opere. L’interno del museo accoglie i visitatori in un’atmosfera luminosa declinata sui toni del bianco delle pareti e del grigio perla dei pavimenti in cemento. Gli ambienti del museo rispondono a un concetto di flessibilità e modularità particolarmente innovativo. Il grande volume della navata centrale (1.200 metri quadrati), la diversità dei luoghi di esposizione, tra cui tre gallerie di oltre 1.000 metri quadrati ciascuna, l’alternarsi di piani liberi a spazi più intimi sono un invito alla scoperta e alla lettura delle diverse forme di arte moderna e contemporanea. Un auditorium, uno studio di creazione, un caffé e un ristorante completano le dotazioni del museo che affianca alle esposizioni temporanee, una programmazione pluridisciplinare (spettacoli dal vivo, cinema, conferenze), come nello spirito del Centre Pompidou. E. C.

The Pompidou Centre in Metz, which opened in May 2010, is the first step in decentralising the Pompidou Centre in Paris. The result of a joint-venture between the National Cultural Institute and local authorities (Metz Métropole and Ville de Metz), the new museum is completely autonomous in terms of its scientific and cultural decision-making, with the added bonus of benefiting from receiving a heritage of 65,000 modern and contemporary works of art from the collection belonging to the main facility in Paris. Built near the TGV station and city centre, the new museum designed by Shigeru Ban and Jean de Gastines is a decisive step forward in an ambitious urban redevelopment project (Nicolas Michelin), integrating a very striking and poetic landmark into an extremely varied and elaborate programme. Designed like a giant circus tent, the building emerges from the large plaza and two gardens linked to the station and city centre through a structure which the designers wanted to be “clear and brightly lit, imposing and at the same time light.... a work of architecture which translates a mix of cultures and sense of well-being through immediate sensorial interaction with the surrounding environment”. An enveloping external structure appears to float around a central antenna, which is 77 metres tall, covering all the interior spaces. Made entirely out of wood, this surface covering 8,000 square metres is formed out of a structure composed of hexagonal modules covered by an impermeable membrane made of glass fibre and Teflon (PTF or polytetrafluoroethylene). The roof is unquestionably the most distinctive and powerfully charismatic feature of the entire museum. It combines technology, great construction expertise and industrial know-how. If took no less than ten months’ work and four months’ installation operations just to construct the wooden structure (95% Austrian and Swiss fir). The beams, all different from each other, and design of the main structure were all carried out on a totally computerised basis. The large undulating roof is supported by a metal structure composed of a 37 metre tall ring and a cone-shaped section in the raised part with the aerial on top. The textile membrane coating, manufactured in Japan, ensures the building is waterproof and protects the wooden structure against outside agents, allowing 15% of natural light to flow in. At nighttime, when the museum is lit from the inside, there is a clever interplay of hexagonal weaves. The underlying structure is composed of three parallelepiped units, three galleries which overlap and criss-cross as they project outside the line of the roof towards strategic points of the city, such as the cathedral, station and Parc de la Seille. The museum covers a total surface area of approximately 11,000 square metres, including 5,000 devoted to exhibitions, as well as the sculpture garden, forum, restaurant terrace and upper sections of the galleries, which provide supplementary spaces for the works. The inside of the museum is brightly lit with various shades of white for the walls and pearl grey-coloured cement floors. The museum premises comply with a particularly innovative concept of flexibility and modularity. The large central aisle structure (1,200 square metres), the diversity of the exhibition facilities, including three galleries each measuring over 1,000 square metres, and the alternating combination of free floors and more intimate spaces, invite visitors to discover and interpret the various forms of modern and contemporary art on display. An auditorium, creative studio, coffee bar and restaurant complete the facilities of the museum, which combines temporary exhibitions with a multi-disciplinary schedule (live shows, films, conferences), in accordance with the spirit of the original Pompidou Centre.

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Particolare della struttura in legno formata da 18 km di travi in multistrato. Il rivestimento in membrana tessile ne assicura la protezione e l’impermeabilizzazione.

Detail of the wooden structure composed of 18 km of plywood beams. The cloth membrane coating protects and waterproofs.

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Da sinistra a destra, prospetto sud e sezione sul forum/from left to right, south elevation and section across the forum.

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1. Forum 2. Galleria 1/gallery 1 3. Galleria 2/gallery 2 4. Galleria 3/gallery 3 5. Auditorium

Da sinistra a destra, sezione sulla grande nave e prospetto ovest. Sotto, particolari della struttura in legno. From left to right, section of the main aisle and west elevation. Below, details of the wooden structure.

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ROLAND HALBE

Viste delle sale espositive. Tutti gli spazi sono modulabili per consentire letture originali dell’arte moderna e contemporanea.

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Views of the exhibition rooms. All the spaces are modular to allow original readings of modern and contemporary art.


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CONSERVATORIO DI MUSICA IN MAIZIÈRE-LÈS-METZ

Eugéni Pons/Guillaume Wittmann

Dominique Coulon

Logica di contrasti tra materiali, luce e colori; uno scrigno monolitico che nasconde ambienti caldi e luminosi per la musica e l’apprendimento.

Contrasting materials, light and colours; a monolithic case concealing warm and brightly-lit facilities for music and learning.

Situato nel quartiere di Val Madera, comune di Maizière-lès-Metz nella regione Lorena, l’edificio del nuovo conservatorio di musica segna, grazie al suo volume monolitico sollevato su un’ampia spianata la porta d’ingresso alla città. Il progetto di Dominique Coulon, tra i vincitori dell’International architecture Award del Chicago Athenum Museum of Architecture and Design nel 2010, è calibrato su una logica di contrasti netti. Contrasti di materiali, cromatici e di luce che confluiscono in una marcata dissociazione tra interno ed esterno. Il volume lungo 10 metri per 40 di larghezza è situato perpendicolarmente alla strada principale. Una scala monumentale porta alla corte interna e all’atrio d’ingresso principale individuato da un grande spazio a cielo aperto rivestito da una pittura fosforescente che fino a sera irradia una luce particolare. Il programma misto è strutturato in locali per i ragazzi del quartiere, uno spazio per attività parascolastiche, una sala divertimento, un auditorio e il conservatorio di musica. La complessità del programma è organizzata all’interno di un unico corpo in cui ogni entità è mutuamente valorizzata per opposizioni. A parte le ampie vetrate che lasciano intravedere l’attività dei ballerini nella sala delle feste, l’involucro monolitico non lascia trasparire le altre funzioni che si svolgono al suo interno. La luce naturale viene abbondantemente filtrata da una configurazione a patii colorati che proteggono nel contempo gli ambienti interni dai rumori della vicina autostrada. Il concetto volumetrico non si riduce alla semplice estrusione di un monolite. Il suo involucro si dispiega progressivamente fino ad assorbire i due piani occupati dal conservatorio di musica. Questo gesto dinamizza la sagoma generale e le linee di fuga dei volumi appaiono stranamente deformate. Alle superfici esterne in cemento grezzo, fanno eco per contrasto i materiali preziosi degli spazi interni. La sala principale è trattata in legno chiaro, il soffitto lascia trasparire dai grandi alveoli delle delicate superfici dorate che danno alla luce una tinta piacevolmente calda. L’auditorio è rivestito da fili tesi sulle tre facciate, basta un leggero soffio per far animare le pareti dando la misura del suo spessore. Anche l’acustica, regolata da velette comandate, scompare dietro questo filtro elegante. Il legno di wengé rafforza inoltre l’effetto scrigno e la solennità di questo luogo. Infine le aule per le attività parascolastiche sono completamente monocromatiche, il colore arancio satura lo spazio, la resina brillante del pavimento potenzia il suo aspetto artificiale.

The building holding the new music academy, which is located in the Val Madera neighbourhood in the borough of Maizière-lès-Metz in the Lorena region, features a monolithic structure raised above a spacious clearing marking the gateway to the city. The project designed by Dominique Coulon, one of the winners of the International Architecture Award presented by Chicago Athenum Museum of Architecture and Design in 2010, is gauged around an interplay of clear-cut contrasts. Contrasts in materials, colours and light, which flow together into a clearly demarcated dissociation between the inside and outside. The structure, which is 10 m long and 40 m wide, is set perpendicular to the main road. A monumental staircase leads to the inner courtyard and main entrance lobby marked by a large open-air space coated with phosphorescent paint, which radiates with a very special light right through into the evening. This mixed program is structured around rooms for local children, a space for para-scholastic activities, a games room, an auditorium and the music academy. All these elaborate facilities are set inside one single construction, in which each separate entity is reciprocally enhanced through opposition. Apart from the wide glass windows revealing dancing activities in the room designed for hosting festivities, the monolithic shell does not reveal the other functions going on inside. Natural light is filtered in abundance through a configuration of coloured patios, which, at the same time, protect the interiors from noise coming from the nearby motorway. The structural concept cannot be reduced to just an extruded monolith. Its shell gradually spreads out to absorb the two floors taken up by the music academy. This gesture injects life into the overall outline and the vanishing points of the structures seem to be strangely deformed. The outside surfaces made of rough concrete are echoed, by means of contrast, in the precious materials used for the interior spaces. The main hall is made of clear wood, the ceiling has large honeycomb-shaped sections with delicate golden surfaces which create a particularly warm tone. The auditorium is clad with taut wires over three facades and it only takes a gentle gust of wind to enliven the walls and provide a sense of the auditorium’s thickness. Even the acoustics, remotely controlled by means of veils, vanish behind this elegant filter. The wengé wood also enhances the case-like effect and austerity of this place. Lastly, the para-scholastic classrooms are all in one single colour, the colour orange saturates the space and the shiny resin on the floor reinforces its artificial appearance.


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In basso, il volume monolitico del conservatorio di musica di Maizères-lèsMetz che segna l’ingresso della città. Sotto, schema assonometrico dello sviluppo del volume.

Rapporti tra volumi pieni e vuoti. Interaction between solid structures and empty spaces.

Sistemi di circolazione. Circulation systems.

Curvature e avvolgimenti distributivi. Distributional curves and patterns.

Elementi del programma. Aspects of the programme.

Bottom, the monolithic structure of Maizères-lèsMetzmusic Academy marking the entrance to the city. Below, axonometric diagram of the structural design.

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Sezione longitudinale. Longitudinal section.

Pianta del primo piano. First floor plan. 201. Sala di piano/piano room 202. Sale di formazione strumentale rooms for instrument practice 203. Sala di solfeggio singing practice room 204. Sala prova/rehearsal room 205. Locale di ventilazione/ventilation room

Pianta del piano terreno. Ground floor plan.

1.01. Ingresso principale/main entrance 1.02. Strada interna – hall inside pathway - hall 1.03. Bar 1.04. Spogliatoi/locker rooms 1.05. Sala delle feste/party room 1.06. Depositi/storage 1.07. Locali tecnici/technical rooms 1.08. Cucina/kitchen 1.09. Giardino/garden 1.10. Hall parascolastica+Associazioni para-scholastic and associations room

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1.11. Spazio polivalente associazioni multi-purpose associations room 1.12. Spazio parascolastico para-scholastic space 1.13. Cucina/kitchen 1.14. Giardino/garden 1.15. Hall conservatorio/conservatory hall 1.16. Spazio d’attesa/waiting area 1.17. Auditorium 1.18. Sala batteria/drums room 1.19. Corridoio scarico merci goods unloading bay

1.20. Sala percussioni/percussions room 1.21. Studio percussioni percussions studio 1.22. Sala di piano/hall 1.23. Segreteria/secretary’s office 1.24. Ufficio direttore/director’s office 1.25. Zona pausa professori teachers’ break area 1.26. Spazio giovani/young people’s space 1.27. Sala attività/activities room 1.28. Ufficio animatore co-ordinator’s office

Vista dal piazzale dell’angolo nord-est del conservatorio e nella pagina a fianco, la facciata sud.

View of the plaza over in the north-east corner of the music academy and, opposite page, the south facade.


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In alto, vista sud, sotto l’ampia spianata d’ingresso che corre sotto il volume dell’edificio. In basso vista est.

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Top, south view below the entrance clearing which runs beneath the main building. Bottom, east view.


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In alto a sinistra, il bar e a destra, l’ingresso del conservatorio di musica.

Top left, the bar and, right, entrance to the music academy.

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PAVILION 21 MINI OPERA SPACE MUNICH Coop Himmelb(l)au/Wolf D. Prix /W. Dreibholz & Partner ZT GmbH

Un “paesaggio sonoro” smontabile, la cui architettura è stata progettata traducendo in geometria le frequenze sonore di brani musicali.

A dismountable “soundscape” which architecture is designed translating into geometry the sound frequences of music pieces.

Il compito da risolvere in questo progetto era di creare uno spazio con 300 posti a sedere (o 700 posti in piedi) per spettacoli sperimentali dell’Opera di Stato Bavarese. Il Padiglione doveva essere smontabile, trasportabile, rimontabile e doveva, attraverso la propria forma, caratterizzare lo spazio urbano. Per una buona acustica, la massa, e dunque il peso, sono criteri decisivi. La concezione del Pavilion 21 MINI Opera Space ha dovuto quindi superare una contraddizione: progettare una costruzione leggera, che potesse essere smontata e rimontata velocemente, ma che allo stesso tempo soddisfacesse le esigenze acustiche di una sala da concerti. Dunque, come creare le condizioni per una buona acustica pur avendo una massa ridotta? Già le prime considerazioni, fermate coi disegni, mostrano il concetto di base del Padiglione di introdurre elementi che sono da una parte la trasformazione spaziale delle frequenze sonore e, dall’altra parte, sviluppare le proprietà di riflessione e assorbimento del suono attraverso la loro forma piramidale: “paesaggio sonoro”. L’idea di combinare l’architettura con la musica non è nuova. Neppure il termine “paesaggio sonoro” lo è. In modo simile all’architettura del paesaggio, esso implica la Gestalt. Il “paesaggio sonoro” ha origine negli anni Quaranta e definisce un metodo compositivo. In architettura, Le Corbusier e Iannis Xenakis si dedicarono insieme al tema della musica e dell’architettura quando pensarono all’applicazione tridimensionale di composizioni musicali (il Philips

Pavilion e la partizione delle finestre a La Tourette di Le Corbusier). Qui la strategia per realizzare il paesaggio sonoro è composta da tre passaggi: primo, realizzare l’effetto scudo tra la piazza e la strada, secondo conformare la geometria del Padiglione in modo tale che la superficie defletta il rumore, e terzo progettare la superficie del Padiglione in modo che rifletta e assorba il suono. Come punto di partenza per l’astrazione della musica in una forma spaziale, è stata fatta una trascrizione di una sequenza della canzone Purple Haze di Jimi Hendrix e di un passaggio dal Don Giovanni di Mozart. Attraverso l’analisi di sezioni delle frequenze di questi brani musicali e attraverso la combinazione con il modello tridimensionale generato al computer, le sequenze sono state tradotte in “costruzioni appuntite” piramidali grazie a uno scripting parametrico. Per raggiungere l’obiettivo dell’acustica spaziale interna, le pareti interne e le superfici dei soffitti sono state dotate di una combinazione di pannelli sandwich forati e lisci, assorbenti e riflettenti. Il pavimento del Padiglione è trattato come quello di un palcoscenico liscio e riflettente. Si è evitato di inserire superfici fono-riflettenti di pareti e soffitti parallele e si sono invece sistemate in modo inclinato e obliquo. Lo sviluppo degli elementi acustici è stato portato avanti insieme al dipartimento di acustica di Arup, mentre l’esecuzione e la fornitura dei materiali è stata messa a punto con Frener & Reifer. Wolf D. Prix

Superfici fonoriflettenti Accoustically reflecting surfaces Superfici trasparenti fonoassorbenti Accoustically trasparent absorbent surfaces Pannelli fonoassorbenti Accoustically absorbing panel Pavimento semi-assorbente Semi-absorbing floor Rumore d’ambiente (traffico, lavoro) Ambient sound (traffic noise, work noise) Suono riflesso in alto e all’esterno Sound reflected up and away Nessun suono riflesso in basso No sound is reflected downwards

Sezione verticale e proprietà acustiche della facciata. Vertical section and acoustical proprerties of the facade.


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The task which we had to solve with our design was to create a space with 300 seats (or 700 standing spectators) for experimental performances of the Bavarian State Opera. The Pavilion should be dismountable, transportable and re-mountable and make the respective urban space distinctive through its shape. Mass and therefore weight are the decisive criteria for good acoustics. The conception of the Pavilion 21 MINI Opera Space therefore had to overcome a contradiction: to design a lightweight construction which must allow to be dis- and re-assembled quickly, but which at the same time meets the acoustical requirements of a concert hall. Hence how do we create the conditions for good acoustics despite a reduction of mass? Already the first considerations fixed in drawings show the basic concept of the Pavilion to introduce elements which are on the one hand the spatial transformation of sound sequences, and which on the other hand develop sound reflecting and absorbing properties through their pyramid-like shape: “Soundscaping”. The idea to combine architecture with music is not new. Also the term soundscaping is not new. Similar to landscaping it involves Gestalt. Soundscaping originates in the 1940’s and designates a method of composing. In architecture, Le Corbusier and Iannis Xenakis together engaged in the topic of music and architecture when they thought about three-dimensional implementation of musical compositions (Le

Corbusier’s Philips Pavilion and the partition of the windows in La Tourette). Our strategy to achieve soundscaping comprises three steps: Firstly, to realize the shielding effect between square and street, secondly, to shape the geometry of the Pavilion in such a way that the surface deflects noise, and thirdly, to design the surface of the Pavilion in such a way that it reflects and absorbs sound. As a starting point towards the abstraction of music into spatial form, a sequence from the song Purple Haze by Jimi Hendrix and a passage from Don Giovanni by Mozart were transcribed. Through the analysis of frequence sections from these pieces of music and through the combination with the computer generated 3D model, the sequences are translated into pyramidal “spike constructions” by means of parametric “scripting”. In order to implement the objectives of the interior spatial acoustics, the interior wall and ceiling surfaces were fitted with a combination of perforated absorbing and smooth reflecting sandwich panels. The flooring of the Pavilion is carried out as a reflecting even “stage floor”. Sound reflecting, parallel wall and ceiling surfaces are avoided and are therefore tilted or skewed. The development of the acoustical elements was carried out together with the acoustics department of Arup; the applied construction and materials were worked out with Frener & Reifer.


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SEZIONE FREQUENZA FREQUENCY SECTION

SONOGRAMMA SONAGRAM

DEFINIZIONE DELLA DIMENSIONE DELLE PUNTE DETERMINES THE SIZE OF THE SPIKES

SEZIONE FREQUENZA FREQUENCY SECTION

SONOGRAMMA SONAGRAM

DEFINIZIONE DELLA DIMENSIONE DELLE PUNTE DETERMINES THE SIZE OF THE SPIKES

Sopra il concept scripting derivato dalle sezioni di frequenza di Purple Haze di Jimi Hendrix e dal Don Giovanni di Mozart. Sotto, studio per lo sviluppo delle punte.

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Above, scripting concept, developed from frequency sections of Jimi Hendrix’s Purple Haze and Mozart’s Don Giovanni. Below, development drawing spikes.


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PIATTAFORMA PLATFORM

Sezione longitudinale e, sotto, pianta del piano terra.

LOUNGE/BAR LOUNGE/BAR

AUDITORIUM PER 300 PERSONE AUDITORIUM FOR 300 PERSONS

DIETRO LE QUINTE BACKSTAGE

Longitudinal section and, before, plan of the ground floor.

1. Piattaforma/Platform 2. Lounge/bar 3. Auditorium per 300 persone/for 300 people 4. Dietro le quinte/Backstage

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Duccio Malagamba

Analisi del livello del suono nello spazio urbano (Marstallplatz). Viste a volo d’uccello del Pavilion 21 MINI Opera Space a Monaco di Baviera.

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Sound level analysis in urban space (Marstallplatz). Bird’s eye views of the Pavilion 21 MINI Opera Space in Munich.


Duccio Malagamba

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Duccio Malagamba

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Credits Project: Coop Himmelb(l)au/Wolf D. Prix /W. Dreibholz & Partner ZT GmbH Design Principal: Wolf D. Prix Project Partner: Paul Kath Project Architect: Volker Kilian Design Architect: Sophie-Charlotte Grell Project Team: Daniel Bolojan, Wendy W Fok, Martin Jelinek, Daniela Kröhnert, Valerie Messini, Judith Mussel, Martin Neumann, Renate Weissenböck Models: Sebastian Buchta, Paul Hoszowski Visualizations: Isochrom / Armin Hess General Contractor: Frener & Reifer Metallbau Acoustcis: ARUP, London, UK Media Technology: CAT-X Concept: Hannes Köcher, Florian Prix Programming: Hannes Köcher Project Management: Florian Prix, Claudia Oriold On-Site Setup: Geari Schreilechner, Ruben Bunka, Hannes Köcher, Florian Prix Client: The Free State of Bavaria represented by The Bavarian State Opera Munich, Germany

Opposite page, detail of the pyramidal spikes characterizing the facade. Right, the lounge bar inside the pavilion. The architectural design of the inner space is complimented and enhanced by an installation in the lounge developed by Cat-x. The complex multiple projection not only illuminates the interior of the lounge, but changes the perception of the space, so that the architecture seems to move.

Duccio Malagamba

Nella pagina a fianco, particolare delle punte piramidali che caratterizzano la facciata. A destra, il bar all’interno del padiglione. Il progetto architettonico dello spazio interno è arricchito dall’installazione nella lounge sviluppata da Cat-X. Le proiezioni non solo servono a illuminare l’ambiente ma modificano la percezione dello spazio così che l’architettura sembra in continuo movimento.

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Duccio Malagamba

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Duccio Malagamba

La particolare forma del padiglione è stata studiata per realizzare l’effetto scudo tra la piazza e la strada, per conformarne la geometria in modo tale che la superficie defletta il rumore, e

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perché la superficie rifletta e assorba il suono.

The distinctive shape of the pavilion has been studied in order to realize the shielding effect between square

and street, to shape its geometry in such a way that the surface deflects noise, and to design the surface in such a way that it reflects and absorbs sound.


Duccio Malagamba

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Duccio Malagamba

Per raggiungere l’obiettivo dell’acustica spaziale interna, le pareti interne e le superfici dei soffitti sono state dotate di una combinazione di pannelli sandwich forati e lisci assorbenti e riflettenti. Il pavimento

è trattato come quello di un palcoscenico liscio e riflettente. Si è evitato di inserire superfici fono-riflettenti di pareti e soffitti parallele e si sono invece sistemate in modo inclinato e obliquo.

In order to implement the objectives of the interior spatial acoustics, the interior wall and ceiling surfaces were fitted with a combination of perforated absorbing and smooth reflecting sandwich

panels. The flooring of the Pavilion is carried out as a reflecting even “stage floor”. Sound reflecting, parallel wall and ceiling surfaces are avoided and are therefore tilted or skewed.

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NUOVO MUSEO DELL’ACROPOLI, ATENE NEW ACROPOLIS MUSEUM Bernard Tschumi Architects

Con 21.000 metri quadrati di area totale e una superficie espositiva di circa 8.000 metri quadrati, il Museo dista meno di 400 metri dal Partenone nel quartiere storico di Makryianni. L’ultimo piano con la Galleria del Partenone offre una panoramica a 360° sull’Acropoli e sulla parte moderna di Atene. Il progetto del Nuovo Museo dell’Acropoli ha posto varie sfide a cominciare dalla responsabilità di ospitare le più strabilianti sculture dell’antica Grecia. Questa collezione di oggetti ha definito il programma ancor prima che si scegliesse il sito adatto. Le polemiche sulla ubicazione dell’edificio hanno aggiunto altri livelli di responsabilità al progetto. L’area scelta, ai piedi dell’Acropoli, poneva il confronto con gli scavi archeologici sensibili, con la presenza della città contemporanea, con la sua trama di strade e con lo stesso Partenone, uno degli edifici che più hanno influenzato la civiltà Occidentale. Combinate con il clima caldo in una regione soggetta a terremoti, queste condizioni ci hanno spinto a progettare un museo semplice e lineare con la chiarezza matematica e concettuale dell’antica Grecia. Per prima cosa abbiamo articolato l’edificio in una base, parte mediana e copertura, progettate attorno alle necessità specifiche di ciascuna parte del programma. La base del museo poggia su pilotis sollevata sopra gli scavi archeologici, proteggendo e celebrando il sito con una rete di colonne collocate seguendo attentamente le indicazioni degli esperti così da non interferire con le aree sensibili. Questo livello contiene il salone di ingresso e gli spazi per esposizioni temporanee, un auditorium e tutti i servizi di supporto. Una rampa di vetro, affacciata sugli scavi archeologici conduce alle gallerie della porzione mediana che si presenta come uno spettacolare ambiente a doppia altezza sostenuto da alte colonne. Questo livello ospita i reperti dal periodo Arcaico a quello dell’Impero Romano. La parte più in alto, costituita dallo spazio rettangolare della Galleria del Partenone organizzata attorno a una corte interna, è leggermente ruotata per assumere l’orientamento originale che aveva il Fregio del Partenone secoli fa. Le sue pareti trasparenti, che utilizzano le tecnologie del vetro più all’avanguardia per proteggere la galleria dal caldo e dalla luce eccessivi, offrono una illuminazione ideale per le sculture Sezione trasversale del nuovo Museo dell’Acropoli ad Atene con studio prospettico del rapporto con il Partenone. In alto nella pagina a fianco, schizzo di Bernard Tschumi.

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Cross-section of the new Acropolis Museum in Athens showing a perspective study of how it interacts with the Parthenon. Opposite page top, Bernard Tschumi’s sketch.

With 21,000 square meters of total area with 8,000 square meters of exhibition spaces the Museum stands less than 400 meters from the Parthenon in the historic of Makryianni district. The top-floor Parthenon Gallery offers a 360-degree panoramic view of the Acropolis and modern Athens. che sono così in diretto contatto visivo con l’Acropoli. Questa nuova ambientazione offre un contesto senza precedenti per comprendere al meglio le qualità del complesso dell’Acropoli. Uno degli obiettivi di questa galleria è quello di riunire tutto il Fregio del Partenone, attualmente disperso in vari musei del mondo. Il percorso espositivo è una narrazione che si sviluppa come una ricca esperienza spaziale dal livello della strada e della città per addentrarsi nella storia dei diversi periodi della ricerca archeologica. Il visitatore attraversa gli spazi del museo in una sorta di cerchio tridimensionale, una “promenade” architettonica e storica, che va dagli scavi archeologici, visibili dal pavimento vetrato della galleria all’ingresso, al Fregio del Partenone, nella galleria che offre anche ampie panoramiche sulla città, e poi di nuovo ridiscende attraverso il periodo Romano. Il movimento nel e attraverso il tempo è un aspetto importante dell’architettura e di questo museo in particolare. Con una previsione di circa 10.000 visitatori al giorno, la sequenza del movimento attraverso le opere esposte nel museo è progettata in modo da essere la più chiara possibile. Anche i materiali sono stati scelti con criteri di semplicità e sobrietà: vetro, cemento e marmo. Le vetrate perfettamente trasparenti filtrano delicatamente la luce tramite un sistema di serigrafie. Il cemento (sia prefabbricato che gettato in opera) costituisce la struttura principale dell’edificio e fa da sfondo alla maggior parte delle opere esposte. Il marmo sottolinea i pavimenti: nero per gli spazi di circolazione e beige chiaro per le gallerie. La costruzione è stata portata avanti seguendo standard meticolosi così che l’edificio invecchierà in modo elegante nonostante la massiccia frequentazione di pubblico cui lo sottopone il suo essere una destinazione per il turismo internazionale. Bernard Tschumi


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Credits Project: Bernard Tschumi Architects Principal Architect: Bernard Tschumi Associated Architect: Michael Photiadis/ARSY BTA Team: Adam Dayem, Aristotelis Dimitrakopoulos, Jane Kim, Eva Sopeoglou, Kim Starr, Anne Save de Beaurecueil, Jonathan Chace, Robert Holton,

Valentin Bontjes van Beek, Liz Kim, Daniel Holguin, Kriti Siderakis, Michaela Metcalfe, Justin Moore, Joel Aviles, Georgia Papadavid, Allis Chee, Thomas Goodwill, Véronique Descharrières, Christina Devizzi ARSY Team: George Criaparacos, Nikos Bakalbassis, Philippos Photiadis Consultants: ADK, Arup (structures);

MMB Study Group, Arup (fluids); Michanniki Geostatiki, Arup (engineering); Arup (lighting) Main Contractor: Aktor Museum Installations: Goppion Client: Organisation for the Construction of the New Acropolis Museum (private institution managed by a board named by the Greek Ministry of Culture)

The challenges of designing the New Acropolis Museum began with the responsibility of housing the most dramatic sculptures of Greek antiquity. This collection of objects shaped the program even before a site was chosen. The building’s polemical location added further layers of responsibility to the design. Located at the foot of the Acropolis, the site confronted us with sensitive archeological excavations, with the presence of the contemporary city and its street grid and with the Parthenon itself, one of the most influential buildings in Western civilization. Combined with a hot climate in an earthquake region, these conditions moved us to design a simple and precise museum with the mathematical and conceptual clarity of ancient Greece. We first articulated the building into a base, middle and top, which are designed around the specific needs of each part of the program. The base of the museum floats on pilotis over the existing archeological excavations, protecting and consecrating the site with a network of columns placed in careful negotiation with experts so as not to disturb the sensitive work. This level contains the entrance lobby as well as temporary exhibition spaces, an auditorium, and all support facilities. A glass ramp overlooking the archeological excavations leads to the galleries in the middle, in the form of a spectacular double-height room supported by tall columns. This level accommodates displays from the Archaic period to the Roman Empire. The top, which is made up of the rectangular Parthenon Gallery arranged around an indoor court, rotates gently to orient the marbles of the Frieze exactly as they were at the Parthenon centuries ago. Its transparent enclosure provides ideal light for sculpture in direct view to and from the Acropolis using the most contemporary glass technology to protect the gallery against excessive heat and

light. This new setting will offer an unprecedented context for understanding the accomplishments of the Acropolis complex. One of the goals of the top gallery is to reunite the Parthenon Frieze, currently dispersed in several world museums. A circulation route narrates a rich spatial experience from the city street into the historical world of the different periods of archeological inquiry. The visitor’s route through the museum forms a clear three-dimensional loop, affording an architectural and historical promenade that extends from the archeological excavations, visible through a glass floor in the entrance gallery, to the Parthenon Frieze in a gallery with views over the city, and back down through the Roman period. Movement in and through time is an important aspect of architecture, and of this museum in particular. With more than 10,000 visitors expected daily, the movement sequence through the museum artifacts is designed to be of the utmost clarity. Materials have been selected for simplicity and sobriety: glass, concrete, and marble are the materials of choice. Perfectly transparent glass gently filters the light through a silkscreen-shading process. Concrete (both precast and cast-in-place) provides the main building structure and is the background for most of the artwork. Marble marks the floor: black for circulation, light beige for the galleries. Construction has progressed according to exacting standards so that the building will age gracefully, despite the heavy traffic of an international travel destination.

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Schizzi di Bernard Tschumi e, sotto, planimetria generale. Nella pagina a fianco, vista aerea del complesso museo/Acropoli.

Sketches by Bernard Tschumi and, below, site plan. Opposite page, aerial view of the museum complex/Acropolis.


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Nikos Daniilidis


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A sinistra, dal basso, pianta del primo livello, pianta del terzo livello e sezione trasversale. Sotto, l’ampia pensilina che segna l’ingresso al museo, vista aerea dell’edificio, e vista del vuoto centrale che si apre sugli scavi archeologici. Nella pagina a fianco, vista notturna delle vetrate perimetrali del museo e del percorso trasparente che permette di vedere gli scavi archeologici sottostanti.

Left, from the bottom, plans of the first and third levels and cross section. Below, the wide canopy marking the entrance to the museum, aerial view of the building, and view of the central space opening up towards the archaeological digs. Opposite page, nighttime view of the glass perimeter windows of the museum and transparent corridor providing views of the archaeological digs below.

Christian Richters Bernard Tschumi Architects Christian Richters

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Peter Mauss/Esto

Peter Mauss/Esto

Peter Mauss/Esto

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In alto a sinistra, lo scenografico colonnato della Sala Arcaica; a destra, le statue del Portico delle Cariatidi che accolgono i visitatori all’ingresso del museo.

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Sopra, viste della Galleria del Partenone che ospita porzioni del Fregio. Nella pagina a fianco, vista notturna degli scavi archeologici visibili nell’atrio del museo.

Top left, the striking colonnade of the Arcaica Room; right, the statues of the Portico of Caryatids welcoming visitors at the entrance to the museum. Above, views of the

Parthenon Gallery holding sections of the Frieze. Opposite page, night-time view of the archaeological digs which can be seen in the museum’s entrance lobby.


Peter Mauss/Esto

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MUSEO DI STORIA NATURALE IN VENICE Lorenzo Greppi

Un museo profondamente rinnovato nell’approccio museologico e museografico, inteso non più solo come luogo di raccolta e conservazione, ma soprattutto, come grande contenitore di suggestioni e sensazioni.

A museum which has been profoundly redeveloped in terms of both its museological and museographic approach, no longer viewed as just a place for collecting and conserving, but, above all, as a container for striking effects and sensations.

Ospitato all’interno del monumentale edificio del Fondaco dei Turchi, a Santa Croce, Venezia, il Museo di storia naturale di Venezia, riaperto nel marzo 2010, si ripresenta al grande pubblico con un innovativo allestimento multisensoriale, progettato da Lorenzo Greppi e realizzato da Permasteelisa Interior per conto della Fondazione Musei Civici di Venezia. Il nuovo allestimento è un percorso tra luci e ombre, chiari e scuri, suoni e ritmi, immagini fisse e in movimento, colori, forme e materiali, per un itinerario espositivo che si dipana all’interno di tre grandi sezioni tematiche, dedicate rispettivamente a “Sulle tracce della vita”, “Raccogliere per stupire / raccogliere per studiare” e “Le strategie della vita” (in fase di completamento). “Sulle tracce della vita”, ovvero la paleontologia, è il racconto dell’origine e dell’evoluzione della vita sulla terra attraverso un allestimento contrassegnato da una percorrenza integrata – al tempo stesso fisica, multisensoriale e conoscitiva – sulle tracce della vita. Qui l’allestimento impone modalità di visita e di fruizione fortemente immersive: dalla gigantesca ombra che accoglie il pubblico sulla soglia dell’itinerario di visita per rivelargli solo in ultimo il mistero dei mitici “serpenti di pietra” delle leggende Tuareg ritrovati tra le sabbie del Sahara; alle teche a pavimento disposte lungo il percorso che di fatto obbligano il visitatore a calibrare il proprio passo su quello scandito dalle antichissime “piste fossili”; alle teche a pozzetto incastonate all’interno di un impianto scenografico organicamente modellato a curve di livello quale rappresentazione volutamente stilizzata di un sottosuolo capace al tempo stesso di inghiottire, conservare e restituirci intatte le testimonianze cristallizzate di vite scomparse altrimenti non documentabili; alle grandi lanterne magiche girevoli, sospese a proiettare nel vivo degli ambienti le sagome in movimento di organismi preistorici variando nel contempo l’intensità luminosa e la temperatura dei colori; fino all’alternanza di luci e ombre, chiari e scuri, suoni e microsuoni, pieni e vuoti, che coinvolgono ed avvolgono lo spettatore. “Raccogliere per stupire / raccogliere per studiare”, ovvero l’evoluzione del collezionismo naturalistico, è una singolare sezione espositiva per raccontare e riflettere sui tanti modi diversi di guardare all’universo della storia naturale nell’ambito di un percorso storico in divenire che, da una parte, vuole tracciare l’evoluzione del concetto di “collezionismo naturalistico” e, dall’altra, seguire la storia della “museologia e della museografia” di stampo naturalistico, partendo dalle prime wunderkammer cinquecentesche (caratterizzata in questo caso da un impianto ottagonale sormontato da una cupola a spicchi a tutto sesto, nelle cui nicchie e sulle cui pareti si affacciano e si affollano migliaia di reperti) per arrivare ai più recenti sistemi interattivi. Con un percorso allestitivo esperienziale che, tra le suggestioni offerte dai reperti, dai colori, dalle luci, dalla grafica, dai suoni e dai ritmi messi in mostra, conduce il visitatore dall’impianto ormai storicizzato della sala dedicata alla collezione Miani (che ripropone il fascino delle vecchie armadiature dell’allestimento originario collocandole alla luce di una fruizione più moderna e suggestiva supportata a pavimento da una grande mappa delle esplorazioni e, lungo le pareti) a una serie di apparati scenografici e documentari ripresi dagli appunti di viaggio dello stesso esploratore, all’eccentrico arredamento delle sale De Reali, ingombre di trofei, pelli, arredi e di una insolita paccottiglia kitsch, sulla falsariga dei salotti della sua ricca dimora veneziana, fino all’area di scavo interattiva della sala Ligabue, improntata invece all’uso delle nuove tecnologie applicate alla ricerca scientifica.

Hosted inside the monumental Fondaco dei Turchi building in Santa Croce, Venice, the Natural History Museum, which reopened in March 2010, now offers the general public an innovative multisensory layout designed by Lorenzo Greppi and constructed by Permasteelisa Interior on behalf of the Fondazione Musei Civici di Venezia. The new layout is a pathway through light and shadow, darkness and brightness, sounds and rhythms, still-shots and moving pictures, colours, forms and materials, creating an exhibition installation which stretches through three large thematic sections devoted respectively to “On the trail of life”, “Collecting to astound/collecting to study” and “The strategies of life” (currently being completed). “On the trail of life” or, in other words, paleontology tells the story of the origins and evolution of life on earth through a layout based on an integrated physical, multi-sensorial and cognitive survey tracking the origins and development of life. The installation is designed to be visited and used on a deeply interactive basis: from the giant shadow welcoming visitors across the threshold into the guided tour, only revealing at the very last moment the mystery of the mythical “stone snakes” from Tuareg legends found out in the sands of the Sahara Desert; to the showcases fitted in the floor set along the special layout forcing visitors to gauge their steps to the pattern of age-old “fossil tracks” and manhole-style showcases set in a carefully staged setting structurally shaped to contours as a deliberately stylised representation of underground space capable, at the same time, of swallowing up, conserving and restore to us intact the crystallised relics of life that has now vanished and could not otherwise be documented; and then the giant revolving magic lanterns suspended in the air to project moving shadows of prehistoric organisms right inside the various premises, simultaneously varying the lighting intensity and temperature of the colours, right through to the light and dark alternating combinations of shadows and light, sounds and microsounds, structures and spaces, which draw in and envelop the onlooker. “Collect to astound/collect to study” or, in other words, the special exhibition showing how naturalistic collections have evolved is designed to describe and analyse the various different ways of looking at the world of natural history as part of a gradually evolving his pathway or layout, which, on one hand, sets out to trace developments in the concept of “naturalistic” and, on the other, to trace the history of “museology and museography” from a naturalistic viewpoint, starting with the very first 16th century wunderkammers (in this case with an orthogonal design with a dome divided into sections across the top, whose niches and walls are decorated with thousands of) and coming right down to the very latest interactive systems. This experiential layout, featuring a wide range of strikingly museum pieces and a vast array of colours, lights, graphics, sounds and rhythms, leads the visitor from the old installation of the room devoted to the Miani collection, whose old-fashioned cabinets from the original layout still conserve all their charm even now that they have been put to more modern and visually striking usage backed up by a giant map of his expeditions set on the floor and a series of documentary artefacts taken from the explorer’s own travelogues, to the eccentric furnishing of the De Reali rooms, full of trophies, skins, furniture and a strange array of kitsch junk, vaguely reminiscent of the chambers of his wealthy Venetian home, and eventually to the interactive excavation area of the Ligabue room designed, in contrast, around the use of new technology applied to scientific research.

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Credits Museography and Installations: Project and Works Management: Lorenzo Greppi Collaborators: Daniela Andreozzi (RUP), Romeo Scarpa (worksite security),

Matteo Calza e Valeria Fedrigo (assistants at d.ll) Museology and Scientific Communication Project: Mauro Bon, Luca Mizzan, Margherita Fusco, Nicola Novarini, Enrico Ratti

Collaborators: Barbara Favaretto, Raffaella Trabucco, Marco Uliana, Cecilia Vianello e Silvia Zampieri (assistants), Valentina Carrer e Paolo Reggiani (items restorations), Giacomo Masato (library), Gioiella D’Este

(naturalistic graphics), Silvia Toffano (secretariat), Nevio Anoè, Flavio Bacchia, Alessia Bernardi, Bruno Berti, Fabrizio Bizzarini, Bruno Bizzotto, Centro Studi e Ricerche Ligabue, Paolo Mietto, Riccardo Miolo,

Pierluigi Papinutto, Camillo Tonini e Alice Toso Communications Project: Studio Tapiro, Monica da Cortà Fumei Collaborators: Ludovica Taddeo e Xiao Mei U

General Contractor: Permasteelisa Interiors Contractors: Archi&Media (execution and logistic), Biagiotti & Bertini (scenographies), Ottart (microinstallations), RT Group (lighting), Unitecnica

(plasterboards), Vimage (audiovisual and interactive systems), Nicola Cavina, Stefano Corsi & Lorenzo Greppi (original music) Client: Fondazione Musei Civici Venezia

Pianta del nuovo allestimento del Museo di Storia Naturale di Venezia.

Plan of the new installation for the Natural History Museum inVenice.

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Nella pagina a fianco, in alto, la sala “Sulle tracce della vita”, dedicata alla paleontologia, caratterizzata da proiezioni e giochi di colori, luci e ombre che coinvolgono il visitatore; in basso,

particolare della Sala della Collezione Miani che ripropone il fascino delle vecchie armadiature dell’allestimento originario collocandole alla luce di una fruizione più moderna e suggestiva.

In alto, la wunderkammer della sezione “Raccogliere per stupire / raccogliere per studiare”, ovvero l’evoluzione del collezionismo naturalistico. Sopra, la sala dedicata alla biodiversità.

Opposite page, top, the “On the trail of life” devoted to palaeontology, featuring rejections and interactive colours, light and shadows which capture the visitors imagination; bottom, detail of the

Miani Collection Room, whose old-fashioned cabinets from the original layout still conserve all their charm. Top, the wunderkammer in the “Collect to astound/collect to study” section or, in

other words, overview of how naturalistic collections have developed. Above, the room devoted to bio-diversity.

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KRING_KUMHO CULTURE COMPLEX SEOUL UnSangDong Architects

Un complesso multiculturale, inteso come “spazio-immagine” per promuovere un marchio aziendale attraverso un’architettura di forte impatto e l’offerta di un’ampia gamma di attività.

A multicultural centre viewed as an “image-space” for promoting a corporate brand through highly striking architecture and the availability of a wide range of facilities.

Il progetto dello spazio e la forza dell’architettura come elementi guida per convogliare l’immagine di un’azienda e promuovere la sua capacità comunicativa col pubblico. Questo è il concetto alla base del progetto di UnSangDong Architects, giovane studio di Seoul guidato dagli architetti Yoon Gyoo Jang e Chang Hoon Shin, per il Complesso Culturale Kring voluto dalla Kumho Engineering & Construction, una società leader nel settore immobiliare coreano. Il Kring (in olandese “cerchio”) è stato realizzato a Daechi-dong nel quartiere Gangman-gu di Seoul e si presenta come un’enorme “macchina” urbana in grado di scambiare la propria energia con la città e i suoi abitanti. La superficie esterna di acciaio è segnata da grandi stratificazioni circolari, sottolineate la sera da vividi colori di tubi al neon che trasformano l’interno edificio in una gigantesca scultura luminosa. La scansione ritmica della facciata è un rimando quasi onirico alla propagazione del suono e al riverbero dell’eco, una serie di vortici che sembrano attirare all’interno la città e le persone, ma che allo stesso tempo riversano la propria energia all’esterno, in un continuo rimando armonico di informazioni. Da uno di questi cerchi si accede all’interno, dove il visitatore si trova immerso in uno spazio, quasi surreale, con pareti, pavimenti e soffitti completamente bianchi e replicano la trama dei cerchi in facciata. I gradini bianchi della scala principale, che parte dall’atrio a tutta altezza e illuminato dalle ampie vetrate trasparenti, sono tenuamente illuminati da una luce bluastra.

A project which takes architectural space and its force as guidelines for conveying a corporate image and promoting the company’s capacity to communicate with the general public. This is the concept underscoring the project by UnSangDong Architects, a young design firm based in Seoul headed by the architects Yoon Gyoo Jang and Chang Hoon Shin, to design the Kring Cultural Centre commissioned by Kumho Engineering & Construction, a leading company in the Korean real-estate sector. The Kring (Dutch for “circle”) Centre is built in Daechi-dong in the Gangman-gu neighbourhood of Seoul and looks like a giant urban “machine” capable of exchanging its own energy with the city and its inhabitants. The external steel surface is covered with large circular stratifications, which really catch the eye in the evening due to coloured neon tubes which turn the entire building into a giant luminous sculpture. The rhythmic pattern of the facade is an almost dreamlike allusion to how sound propagates and echoes reverberate, a series of vortexes which seem to draw the city and people into the building, while, at the same time, spilling its own energy outwards in a continuous harmonious exchange of information. One of these circles leads to the inside, where visitors find themselves immersed in an almost surreal kind of space, with all-white walls, floors and ceilings replicating the pattern of circles on the facade. The white steps in the main hall, which start in the full-height lobby lit through wide transparent glass panels, are dimly illuminated in a bluish light.

Il programma culturale offerto è vario. Al piano terra ci sono: il Kring Cinema, una piccola sala cinematografica da 64 posti destinata soprattutto alla proiezione di film d’arte indipendenti; un’area Internet; tre sale conferenze di diverse dimensioni. Al piano superiore ci sono invece due sale espositive per mostre e sfilate di moda, una piccola sala per concerti e un bar che si affaccia sull’atrio sottostante. Infine, l’ultimo piano ospita degli atelier/residenza, utilizzabili dagli artisti di volta in volta in mostra, lo sky garden e uffici. Grande attenzione è stata posta nell’esprimere l’identità dell’edificio come puro spazio culturale (per esempio, non è in alcun modo riportato il logo della società committente) e nel lasciare ai visitatori la più ampia libertà nella fruizione delle molteplici attività che si svolgono all’interno. In generale, il progetto è improntato alla proposizione di un nuovo tipo di marketing, definito dagli architetti “spatial design marketing”, in cui la diffusione dell’immagine e del marchio di un’azienda è promossa attraverso la soddisfazione dei desideri della clientela e l’offerta di un’esperienza spaziale di grande impatto.

A wide range of cultural facilities are available. The ground floor holds: the Kring Cinema, a small film theatre with 64 seats mainly designed for projecting independent art films; an Internet area; three different sized conference rooms. On the other hand the top floor holds two exhibition rooms for exhibitions and fashion shows, a small concert hall and a bar facing onto the lobby below. Lastly, the top floor accommodates workshop/residential facilities, which can be used by the artists whose works are on display at the time, a sky garden and offices. Very careful attention has been paid to expressing the buildings identity as a pure cultural space (for example, the client company’s logo is not displayed anywhere) and to allowing visitors as much freedom as possible in making use of the various facilities available inside. Generally speaking, the project works around proposing a new kind of marketing, which the architects themselves describe as “spatial design marketing”, according to which the corporate image and trademark of a company is promoted by meeting the customer’s requirements and offering a highly forceful spatial experience.

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Sergio Pirrone, BongKyun Kim

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1. Salone Hall 2. Sala concerti Concert Hall 3. Toilette Restrooms 1

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3

The low, ground floor plan. Above, first floor plan.

Sotto, pianta del piano terra. Sopra, pianta del primo piano.

3

7

6

1

3

1

2

2

1

4 5

1. 2. 3. 4.

Atrio/Atrium Sala espositiva/Exhibition room Cinema Sala riunioni/Meeting room

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Below, second floor plan. Above, plan of the roofs.

Sotto, pianta del secondo piano. Sopra, pianta delle coperture.

1

4

8

5. Ufficio/Office 6. Toilette/Restrooms 7. Magazzino/Storage 8. Sala impianti/Machinery room

1. UnitĂ residenziali-espositive/Residential-exhibition unit 2. Salone/Hall 3. Sala Consiglio/Council Chamber 4. Ufficio/Office


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La superficie esterna di acciaio del Kring_Kumho Culture Complex a Seoul è segnata da grandi stratificazioni circolari, sottolineate la sera da vividi colori di tubi al neon che trasformano l’interno edificio in una gigantesca scultura luminosa. L’interno è caratterizzato da uno spazio, quasi surreale, con pareti, pavimenti e soffitti completamente bianchi e replicano la trama dei cerchi in facciata. I gradini bianchi della scala principale, che parte dall’atrio a tutta altezza e illuminato dalle ampie vetrate trasparenti, sono tenuamente illuminati da una luce bluastra.

The steel outside surface of the KringKumho Cultural Complex in Seoul features large circular stratifications, brought to the fore in the evening by the brightly coloured neon tubes, which turn the entire building into a gigantic luminous sculpture. The interior is an almost surreal space, with all white walls, floors and ceilings replicating the pattern of circles on the facade. The white steps of the main stairway, which starts from the fullheight lobby brightly lit through wide transparent glass windows, are gently lit up by a dim bluish light.

Credits Project: Unsangdong Architects Design Architects: Yoon Gyoo Jang, Chang Hoon Shin with Kim Kyeung Tae Design Team: Kim Sung Min, Moon Sang Ho, Kim Se Jln, Kang Seung Hyeun, Kim Bong Kyun, Goh Young Dong, Yi Na Ra Client: Kumho E&C

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NUOVA IDENTITÀ IN PALERMO

Progetto artistico-architettonico di rifunzionalizzazione delle due gru scaricatori nel porto di Palermo quale futuro luogo simbolo dell'interazione porto-città.

Vincenzo Latina (team leader)

Il progetto, vincitore di un concorso di idee internazionale, diventa un’occasione per ridisegnare un tratto del waterfront del porto, e recuperare una vasta area riconnettendola alla città. Il progetto di modifica e ampliamento dei moli pone le due gru in posizione baricentrica all’interno del bacino del porto, tra l’area di attracco delle grandi navi da crociera e quella delle imbarcazioni da diporto. Il sistema costituito dalle due gru, nord e sud, situato sulla linea di confine tra acqua e molo, assume il ruolo strategico di una nuova centralità, che lo rendono simile a uno “strumento”, un artefatto, che diventa anche un centro di attrazione. La finalità è quella di interagire con l’area circostante in modo da costituire una cerniera tra il mare e la città retrostante. Così come richiesto dal bando, si è usato l’input della rifunzionalizzazione, come occasione per l’ideazione di edifici a carattere misto: ludico, culturale e sportivo; pertanto il progetto ricerca rispondenze nel “gioco” spettacolare del contesto, gioco che vede, a livello progettuale, permanere la struttura principale delle gru, contaminata da elementari prismi: un parallepipedo, un cubo e una geometria a “L” capovolta, che costituiscono dei corpi “aggiunti” alla struttura del caricatore. Questi diversi volumi diventano così contenitori di attività, donando all'area l'operatività che è mancata alle gru per anni, e che è differente per ognuno dei tre edifici, infatti, mentre la gru sud è stata interamente destinata ad attività ludiche, sportive e ricreative, divenendo contenitore per una palestra, un’arrampicata sportiva e un trampolino di bungee jumping, la gru nord manifesta una vocazione ad attività turistico-culturali, pertanto alloggia l'approdo della teleferica, un ristorante e un bar, un museo della marina mercantile, uno spazio commerciale e uno spazio espositivo per mega-istallazioni. 90 l’ARCA 265

Gli interventi previsti mirano a ridurre al minimo l’impatto con l’ambiente circostante e garantire una buona integrazione con il paesaggio. I corpi aggiunti risultano infatti quasi invisibili nelle ore diurne, per accendersi in quelle crepuscolari, diventando elementi luminosi galleggianti. La struttura portante dei due edifici è costituita da una essenziale griglia di acciaio, rivestita all’esterno da una parete continua di “canali” traslucidi di vetro strutturale, di colore bianco “latte”, intervallati da ampie finestre trasparenti, immaginate come ampie visuali sul paesaggio circostante. All’interno, il rivestimento perimetrale è costituito da una soluzione continua di lastre di vetro acidato. Il progetto è pertanto altamente sostenibile: concentra la sua attenzione sull’utilizzo dei materiali che rispondono alle norme sul risparmio energetico e i nuovi limiti di isolamento termico ed efficienza energetica, prevede il riciclo del ferro, degli inerti e del materiale degli edifici demoliti, e l’uso di materiali prevalentemente riciclabili e rinnovabili. Poiché le gru non sono mai entrate in esercizio, e quindi non sono mai state un soggetto attivo dell’economia del porto, ma astratti oggetti, che rimandano a funzioni mai attivate, si prevedono applicazioni di colore che realizzano la perdita della coscienza, della memoria negativa e l’assunzione di una nuova identità, una rinascita di opportunità. L’interpretazione artistica del corpo delle gru sarà conferita da un intervento di action painting. Si coinvolgeranno artisti contemporanei i quali con applicazioni di vernici colorate fluorescenti reinterpreteranno il corpo delle gru, così da realizzare una “pelle” colorata. Il gioco, il movimento, lo svago, l’ambiguità sono valori percettivi di nuovi territori, nuove identità.


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Credits Project: Vincenzo Latina (team leader) Design team: Raimondo Impollonia, Placido Impollonia (structures); Enrico Reale, Giudice Massimiliano, Saverio Renda, Jorge Garces (project designers); Vivaengeenering,

Arplan (project and furniture designers); Angela Tortorella (plants); Giuseppe Falzea (plants and mechanics) Consultants: Nicola Impollonia (structures consultant), Michele Ciacciofera (interior spaces artistic consultant) Collaborators: Daria De Seta, Emanuela

Reale, Rossella D’Angelo, Cristina Speranza, FabioTantillo, Bruno Artimino, Egidio Sandron, Daniela Bandiera, Daniela Federico, Giovanni Picciuca, Luigi Amore, Silvia Scerrino, Ana Rita Marques dos Santos Jorge Client: Autorità Portuale di Palermo

Artistic-architectural project for re-functionalising two destined to become a symbolic setting for interaction between the port and city.

This project, which won an international ideas competition, provides a fresh opportunity to redesign a section of the port waterfront and also salvage a vast area of land by reconnecting it to the city. The project to alter and extend the docks involves placing the two cranes in a barycentric position inside the harbour between the area where giant cruise ships are moored and the section for pleasure vessels. The system formed out of the two north and south cranes, situated on the borderline between the water and dock, takes on a strategic role in creating a new central area, which makes it similar to an “instrument” or artefact which inevitably also becomes the focus of attention. The aim is to interact with the surrounding area in order to construct a sort of hinge between the sea and the city lying behind it. As stipulated in the tender, the input from re-functionalisation operations has been taken as an opportunity to design buildings serving entertainment, cultural and sports purposes; this means the project attempts to embrace the spectacular “playfulness” of the setting, interaction which, on a design level, means retaining the main structure of the cranes, contaminated by simple prisms: a parallelepiped, cube and upturned “L”-shaped form, which are “added on” to the loading facility. This makes these various structures containers for various activities, bringing the cranes back into use after years. Each of the three buildings serves a different purpose. The south crane has been entirely allocated for entertainment, sports and recreation purposes and now holds a gym, free climbing wall and bungee jumping trampoline, while the north crane serves tourist-cultural purposes, accommodating the landing point of the aerial tramway or cable car, a restaurant and bar, Merchant Navy Museum,

retail space and exhibition space for mega-installations. The planned operations are aimed at reducing impact on the surrounding environment to a minimum and ensuring everything blends in nicely with the setting. The additional structures actually seem to be almost invisible during the daytime, ready to light up at dusk and turn into floating luminous features. The bearing structure of the two buildings is formed out of a simple steel grid covered on the outside by a curtain wall of translucent “channels” made of “milky” whitecoloured structural glass, interrupted by large transparent windows designed to afford wide views across the surrounding landscape. On the inside the perimeter coating is made of a seamless sheet of glass. This means the project is highly sustainable: concentration is focused on the use of materials which meet energy-saving standards and the latest heat-insulation and energy-efficiency limits. It also involves recycling iron, inert material, and material from demolished buildings, not to mention the use of mainly recyclable and renewable materials. Because the cranes were never actually brought into operation and hence have never been an active player in the port’s economy, just abstract objects evoking functions never actually implemented, it is planned to use colours representing this loss of consciousness, negative memory and taking on of a new identity, a blossoming of new opportunities. The artistic interpretation of the main crane structure will draw on action painting. Contemporary artists will be asked to apply fluorescent coloured paints to revamp the structures of the cranes and create a coloured “skin”. Play, motion, leisure and ambiguity are the perceptual values of new realms and new identities. 265 l’ARCA 91


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In alto, studi delle fasi di progetto e della composizione della gru sud. Sopra, rendering per la simulazione diurna e notturna della nuova configurazione

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delle due gru. Sotto, vista panoramica del porto di Palermo.

Top, studies of various stages in designing and composing the south crane.

Above, rendering for the daytime and night-time simulation of the new configurations of the two cranes. Below, panoramic view of Palermo port.


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In alto, simulazioni della gru sud. A sinistra, schemi per l’interpretazione artistica del corpo delle gru. Sopra, simulazione dell’illuminazione della gru nord.

Top, simulations of the south crane. Left, diagrams for the artistic interpretation of the main structure of the cranes. Above, simulation of how the north crane will be illuminated.

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CERAMIC CLOUD CASALGRANDE (REGGIO EMILIA) Kengo Kuma & Associates

We were asked by the world wide known ceramic tile maker Casalgrande Padana to create a monument for a road roundabout in front of their facilities’ entrance. Being able to work with such a capable manufacturer, we took the challenge of involving the ceramic tile as an architectural element itself, avoiding its conventional use as a mere cladding. Just after developing with Casalgrande Padana’s team the specific detail of how to panel and connect their standard ceramic tiles, we understood the possibilities of how to assembly and organize them creating different structures. With this unique structure we wanted to avoid creating a monument that stands in the middle of the site: we wanted it to become part of the site. Therefore we decided to create a wall that simply divides the site in two making it a special place with a dual character, far from the usual and banal roundabouts.

go, abbiamo quindi deciso di costruire un dispositivo che divide in due lo spazio, rendendolo speciale e connotandolo con una doppia personalità, un risultato ben diverso dalle consuete rotonde. Il nostro approccio antimonumentale si è spinto sino ad allineare la direzione della parete ceramica alla strada che vi conduce, facendo sì che l’opera sembri quasi dissolversi: avvicinandosi con l’automobile si percepisce la rotonda divisa da una linea verticale; solo volgendo intorno ad essa, assecondando il movimento della vettura, la parete prende forma sino ad apparire nei suoi 45 metri di lunghezza. Nelle nostre architetture prendiamo ispirazione spesso dai principi di antidimensione e antivolume, ma per un progetto e per un sito così particolari – raggiungibile solo in automobile – abbiamo voluto sperimentare il rapporto di questi concetti con i principi dinamici di tempo, movimento e percezione sequenziale. Osservando la parete innalzarsi durante i mesi di costruzione abbiamo compreso con quanto dinamismo la trasparenza della sua struttura e la diafana rifrazione del grès porcellanato bianco interagiscano con l’ambiente circostante e con gli elementi climatici. Questo comportamento dinamico ci è sembrato seguire un approccio sinuoso, impalpabile e in continuo divenire, come le nuvole: motivo per cui abbiamo scelto il nome di Casalgrande Ceramic Cloud. Kengo Kuma

Our anti-monumental approach went far enough to decide aligning the direction of the ceramic wall with the road that leads to it so as to make it almost disappear: when reaching the site, drivers will only perceive a roundabout divided by a vertical line. Only when going around it, along the movement of the car the wall extends until appearing with its whole length of 45 meters. In our buildings we usually work with concepts of anti-dimension or anti-volume but in a project like this with such a especial site (a roundabout only approachable by cars) we wanted to experiment on these concepts’ relationship with dynamic principles such as time, movement and sequential perception. Seeing this wall growing during its months of construction, we realized how dynamically its light structure’s transparency and the subtle reflection of its fine glazed white ceramic where interacting with the surrounding site and the weather. This other way of dynamism appeared to us as a very unique soft, light and ever-changing phenomena… and that is why we have named it as a Ceramic Cloud.

Marco Introini

Casalgrande Padana, produttore di ceramiche noto in tutto il mondo, ha chiesto al nostro studio professionale di realizzare un’opera monumentale destinata alla rotonda stradale posta all’ingresso principale dello stabilimento dell’azienda. Convinti dell’assoluta importanza del nostro committente, abbiamo accolto la sfida pensando di trasformare la piastrella ceramica in un elemento architettonico fondamentale, evitando quindi il convenzionale utilizzo come elemento di rivestimento. Dopo la fase di sviluppo dei dettagli tecnici relativi alla disposizione e collegamento degli elementi ceramici standard dell’azienda, lavorando a stretto contatto con il team di Casalgrande Padana, abbiamo compreso come disporli e organizzarli creando strutture inconsuete. Questa struttura singolare ha consentito di evitare la costruzione di un’opera che occupi semplicemente una porzione dello spazio circostante; volevamo che la realizzazione facesse parte integrante del luo-

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Nuova porta simbolica del distretto ceramico emiliano, la struttura realizzata da Kengo Kuma si trova nel comune di Casalgrande, provincia di Reggio Emilia, su un’area di oltre 2800 metri quadri destinata a verde pubblico. La struttura tridimensionale, che per la prima volta sperimenta il materiale ceramico in forma strutturale, è composta da nove piani di lastre in grès porcellanato tecnico di grandi dimensioni – elementi di produzione standard di Casalgrande Padana – sovrapposte fra loro e connesse da sottili barre filettate obliterate alla vista.

New symbolic gateway to the ceramics district in Emilia. The structure designed by Kengo Kuma is located in the borough of Casalgande in the province of Reggio Emilia and covers an area of over 2800 m² of public landscaping. The threedimensional construction, which experiments with structural ceramics for the first time, is composed of nine layers of large hightech glazed stoneware tiles – part of Casalgrande Padana’s standard production – which overlap and are connected by thin threaded bars hidden from view.

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Sopra, particolari costruttivi delle lastre di grès porcellanato e sezione trasversale della struttura. L’opera, lunga e affusolata alle estremità e alta quasi 12 m, raggiunge nella sezione centrale lo spessore massimo di un 1,70 m.

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Above, construction details of the stoneware tiles and cross-section of the structure. The long structure, which tapers at the end and is almost 12 metres tall, reaches a maximum thickness of 1.70 m in the central section.


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Credits Project: Kengo Kuma & Associates: Kengo Kuma (principal charge); Javier Villar Rujz; Ryuya Umezawa Project Manager and Cost Control: Mauro Filippini,

Casalgrande Padana Engineering: Ejiri Structural Engineers (Tokyo) Norihiro Ejiri and Pieter Ochelen Client Consultants: Alfonso Acocella, Luigi Alini (architecture);

Angelo Silingardi (CCdP, urban planning); Enrico Rombi, Alberto Zen (CCdP, structures); Cesare Brizzi, Luigi Massa, Casalgrande Padana (plants); Mario Nanni (lighting

principal charge); Federica Soprani (lighting) Client: Casalgrande Padana

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Rubriche e articoli sul mondo della progettazione, della produzione e della ricerca. Design, production and research.

Culture digitali In Paris Progetto: Manuelle Gautrand Inaugurato nel 1862, il Teatro della Gâité Lyrique di Parigi riaprirà al pubblico il 2 marzo completamente trasformato nei suoi spazi interni e nell’offerta culturale. Dopo oltre vent’anni dalla chiusura, la città di Parigi ha deciso sotto l’impulso di Bertrand Delanoë – sindaco della capitale – di realizzare al suo interno un luogo dedicato alle culture digitali. Completamente ripensato da Manuelle Gautrand, la Gâité Lyrique si propone come una struttura proiettata sul futuro, una piattaforma evolutiva, uno strumento tecnologico modulabile dai toni neutri, ritmato da pezzi di arredo colorati. Il progetto conserva la facciata e il foyer storico del vecchio teatro, riorganizzando totalmente gli spazi interni come luoghi di relazioni e convergenze. L’edificio, dotato di tecnologie all’avanguardia, è trasformato in un luogo di vita dove si intrecciano dinamismo e sperimentazione. L’interattività è al centro del progetto. Gli spazi, accoglienti e conviviali, uniscono, connettono e mettono in rete esplorando le culture digitali sotto le sue diverse forme: dalla musica alla grafica, ai video giochi, al cinema, il teatro, la danza, la moda, il design e l’architettura. L’edificio di 9.500 metri quadrati e otto piani, organizza un’ampia sala modulabile per concerti, spettacoli multimediali e opere immersive (300 posti seduti/800 in piedi); una sala più piccola completamente configurabile (da 10 a 180 posti); spazi espositivi su più livelli, una camera sonora, spazi intimi d’ascolto, uno spazio per i video giochi, un auditorium di 130 posti, un centro risorse, 1.000 metri quadrati di studio e atelier di creazione, una boutique e il foyer storico. Per la sua inaugurazione, dal 2 al 6 marzo, la Gâité Lyrique proporrà un percorso interattivo dove un insieme di personaggi accompagnerà il pubblico come in un video gioco reale, immaginato dal duo francese I Could Never Be A Dancer.

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Inaugurated in 1862, the Theater of the Gâité Lyrique in Paris will reopen to the public on March 2nd, completely renovated in its interior and in its cultural offer. More than twenty years after its closure, incentivized by Bertrand Delanoë – the mayor of the capital – the city of Paris has decided to provide the theater with an area devoted to digital culture. Completely redesigned by Manuelle Gautrand, the Gâité Lyrique is cast into the future, it is an evolutionary platform, a modular technological tool with neutral tones, marked by pieces of colored furniture. The project involves preserving the old theater’s historical façade and foyer, but the interior areas are to be totally renewed as meeting and relational places. The building, which will be equipped with cutting edge technologies, is to be converted into a hub of dynamism and experimentation. Interactivity is the central thread of the project. The interior areas, which are welcoming and convivial, unite, connect and create networks by exploring digital culture in its various forms: from music to graphics, from video games to the cinema, theater, dance, fashion, design and architecture. The 9,500 square-meter building hosts a large modular concert hall, multimedia performances and immersive operas (300 seats/800 standing); a completely modular smaller hall (from 10 to 180 seats); exhibition areas on various levels, an audio room, intimate listening areas, an area for video games, a 130-seat auditorium, a resource center, a 1,000-square-meter studio and creative atelier, a boutique and the historical foyer. For its inauguration, which is to be from 2 to 6 March, the Gâité Lyrique will propose an interactive itinerary where a group of characters will accompany visitors as though they were in a real video game: this novelty was designed by the French duo I Could Never Be A Dancer.


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Playcloud Art Pavilion Progetto: Nameless | Unchung Na + Sorae Yoo Playcloud, progetto vincitore del Premio BSA/AIA per le Architetture Non Costruite, indaga il potenziale narrativo di una struttura pneumatica e di tessuto. Il progetto prende avvio dalle caratteristiche del luogo in cui il padiglione temporaneo dovrebbe sorgere. Governors Island, che si trova a circa 600 metri da Manhattan, è stata chiusa al pubblico fin dal 2004. La proposta di Nameless per questa nuvola artificiale mira ad aumentare la conoscenza dell’isola da parte della gente. Il padiglione è una struttura ibrida fatta di poliuretano, tessuto cordura 600 Denier e filamenti di lana-nylon e sarà visibile sia da lower Manhattan che dalle altre isole circostanti. Il progetto è pensato per interagire col pubblico, che può toccare la struttura, entrarvi e sedersi al suo interno. Queste interazioni con la struttura pneumatica producono cambiamenti nella pressione dell’aria, causando un leggero ondeggiamento del padiglione. Inoltre, la tenda di filamenti crea un effetto illusorio tra la struttura e lo spazio. La sua trasparenza e opacità è determinata dalla densità dei filamenti e anche dall’attività umana. Le persone, toccando la tenda di filamenti, possono modificarne il grado di apertura o chiusura. Playcloud interagisce anche con l’ambiente circostante. La struttura pneumatica infatti ondeggia lentamente con la brezza, si espande e si contrae, come se respirasse, a seconda delle variazioni di pressione e temperatura. Questo leggero movimento ricorda quello di una medusa. La leggerezza della sua struttura rende questo padiglione sostenibile. Infatti, non sono necessarie fondazioni in quanto è autoportante e può quindi essere realizzato senza alterare o danneggiare le condizioni del sito. I volumi di trasporto e immagazzinamento sono inoltre ridotti al minimo. Playcloud, winner of BSA / AIA Unbuilt Architecture Award, explores the narrative potential of a pneumatic and fabric structure. The project starts from the temporary pavilion’s site-specific characteristics. Governors Island, which is about 600 metres away from Manhattan, had been closed to the public until 2004. To overcome the public’s low awareness of the island, Nameless proposes that an artificial cloud pavilion be built. It would consist of an inflatable hybrid structure of polyurethane, 600 Denier polyester fabric, and wool nylon yarns. People would be able to see this floating cloud from lower Manhattan and other neighbouring islands. It aims to interact with people. People are allowed not only to touch the inflatable structure but also to sit and lean on it. All these interactions with the inflatable structure produce changes in air pressure, causing the structure to gently sway. Moreover, the yarn curtain would create an illusion between the structure and the space. Its transparency, translucency, and opaqueness would be determined by the threads’ density as well as by human activity. People touch the curtain and control the degree of openness as the occasion arises. Playcloud also aims to interact with its surrounding environment. Air structure would gently sway it horizontally with the wind. It would also expand and contract with air pressure and temperature, appearing almost to breathe. The movement of the inflatable structure would cause yarns hanging from the balloon to sway. This subtle motion of the pavilion would be reminiscent of a swimming jellyfish. The light structure makes the pavilion sustainable. It would not require a thick foundation, as it would be a light, freestanding structure; therefore, a temporary pavilion would be built without damaging historic site conditions. The transport and storage volumes of the inflatable structure are minimal.

Credits Project: Nameless | Unchung Na + Sorae Yoo Inflatable Consultant: ABR Sponsors: Emerging New York Architects (AIANY | ENYA), Structural Engineers Association of New York (SEAoNY), New York Action Art League Client: Figment Art Organization

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12 campus del XXI secolo Per far fronte all’urgenza dell’offerta immobiliare universitaria francese, che vede un terzo dei locali in condizioni vetuste, il Presidente della Repubblica francese ha bandito nel 2008 l’Operazione Campus, un programma di ampia portata sostenuto da un investimento di cinque miliardi di euro. Si è trattato di far emergere 12 campus di ecellenza che saranno la vetrina della Francia e rafforzeranno l’attrattività e la presenza dell’università francese nel territorio nazionale e a livello internazionale. Su 66 dossier presentati dai gruppi candidati, una giuria internazionale ha selezionato 12 progetti valutati in base a quattro criteri principali: l’ambizione scientifica e pedagogica del progetto; l’urgenza della situazione immobiliare e la capacità di ottimizzarne il patrimonio; lo sviluppo della vita nel campus; l’inserimento del progetto in un tessuto regionale socio-economico e il carattere strutturante e dinamizzante. Aix-Marseille Université, Université de Bordeaux, Campus Condorcet, Grenoble Université de l’innovation, Lyon Cité Campus, Campus Montpellier-Sud de France, Universités de Paris, Campus du plateau de Saclay, Université de Strasbourg, Université de Toulouse e i due progetti supplementari Campus Grand Lille e Campus Lorrain, sono i 12 grandi poli universitari destinati a rappresentare l’eccellenza francese. Gli schemi di sviluppo presentati nel 2010 sono stati realizzati da gruppi di architetti, di urbanisti e paesaggisti selezioanti dalle università e che hanno lavorato in stretta collaborazione con le collettività e con gli uffici urbanistici. Tutti i progetti si organizzano attorno a campus verdi, con una marcata dimensione di vita studentesca (biblioteche universitarie di nuova cocezione, tipo learning center, dei centri sportivi, di centri medici, delle sale conceri ecc.). La creazione di un Atelier des campus assicura la qualità urbana e architettonica di ogni progetto nel rispetto degli impegni del Grenelle de l’environnement. 58 cantieri sono già stati avviati e le prime inaugurazioni sono attese a partire da quest’anno. I 12 campus. Università di Bordeaux. Organizzazione di grandi spazi emblematici, quali la spianata e il parco sul campus di Talence-Pessac-Gradignan al fine di riconquistare i grandi spazi pubblici per l’insieme dei frequentatori. Saclay. Valorizzazione del paesaggio del pianoro in modo da mettere in luce la sua particolare struttura. Una geografia amplificata, che prolunga, potenzia e arricchisce le vallate e le ampie zone boscose, permette di integrare le nuove infrastrutture. Lyon, riunificazione dei due campus esistenti e maggiore internazionalizzazione. Condorcet a Aubervilliers, con la creazione di un nuovo campus, e l’operazione Campus Paris intra-muros permettono di elaborare il concetto di un nuovo campus urbano aperto sulla città in grado di accompagnare il suo sviluppo offrendo a studenti e ricercatori un insieme completo di servizi. Anche i Campus di Aix-Marseille, Montpellier e Lorrain saranno rinnovati seguendo lo stesso principio. Campus Giant a Grenoble. Valorizzazione paesaggistica del sito con una particolare valorizzazione dell’elemento vegetale e dei fiumi, trasformando l’insieme della penisola di Grenoble in un quartiere integrato alla città pur mantenendo la propria autonomia a livello di servizi e commercio. Toulouse. Il progetto del campus Grand Sud-Est è finalizzato a trasformare il campus di Rangueil esistente in Villa Parco strutturato attorno al Canal du Midi, integrando l’università nella città. Strasbourg. Realizzazione di un campus verde aperto sulla città creando un parco sugli assi centrali perpendicolari al campus Centrale. Lille. Integrazione dei campus alla città e sviluppo della vita del campus sviluppando in modo particolare un campus verde senza auto sulla Città Scientifica e valorizzando il paesaggio naturale attorno al forum centrale nel sito di Pont de Bois.

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6 1. Aix-Marseille Université 2. Université de Bordeaux 3. Campus Condorcet 4. Campus Grand Lille 5. Grenoble Université de l’Innovation 6. Université de Strasbourg

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Twelve twenty-first century campuses

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So as to meet the urgency of the real estate offer of French universities, one third of whose premises is currently in precarious conditions, in 2008 the President of the French Republic announced the Campus Operation, an extensive program backed by an investment of five billion euros. This entailed the renovation of 12 campuses par excellence, all of which will constitute a showcase of France, and will strengthen the attractiveness and number of French universities on national and international territory. Twelve projects were selected by an international jury among the 66 dossiers presented by the candidate groups: the scientific and pedagogic ambition of projects; the urgency of the real estate situation and the ability to optimize its heritage; the development of life on campus; the integration of the project in a regional socioeconomic fabric and its structuring – and dynamizing – character. Aix Marseille Université, Université de Bordeaux, Campus Condorcet, Grenoble université de l’innovation, Lyon Cité Campus, Campus Montpellier-Sud de France, Universités de Paris, Campus du plateau de Saclay, Université de Strasbourg, Université de Toulouse and the two supplementary projects Campus Grand Lille and Campus Lorrain are the 12 great Universities that are to represent French excellence. The development schemes presented in 2010 were realized by groups of architects, urban planners and landscapers selected by universities that worked closely with urban communities and offices. All of the projects are organized around green campuses with a marked dimension of student life (new-concept university libraries that are practically learning centers, sports centers, medical centers, concert halls, etc.). The creation of an Atelier des campus ensures the urban and architectural quality of each project, abiding by the commitments of the Grenelle de l’environment. Fifty-eight construction sites have already opened, and the first inaugurations are to begin this year. Bordeaux University: Great emblematic areas are organized on the Talence-Pessac-Gradignan campus, such as a large clearing and a park, with the aim of reclaiming spacious public areas. Saclay: upgrading of the landscape so as to highlight its special structure. An amplified geography that lengthens, develops and enriches its valleys and large wooded areas allows it to integrate with the new infrastructures. Lyon: union of two existing campuses and their internationalization. Condorcet and Aubervilliers: with the creation of a new campus and the Campus Paris intramuros operation, the two sites allow to develop the concept of a new urban campus that is open to the city and is able to follow its development, offering students and researchers a complete organization of services. The same principles will be adopted to renovate the Aix-Marseille, Montpelllier and Lorrin Campuses. Campus Giant in Grenoble. Landscape development of the site, especially through enhancement of greenery and rivers, turning the entire Grenoble peninsula into a quarter that integrates into the city but keeps its own independence in terms of services and trade. Toulouse. The project for the Grand Sud-Est aims to develop the Rangueil campus extant in Villa Parco around the Canal du Midi, merging the university with the city. Strasbourg: A green campus that is open to the city is to be created with a park on the central axes perpendicular to the Central campus. Lille: Integration of the campuses with the city, and development of campus life, especially by developing a green pedestrian area on the Scientific City, and enhancing the natural landscape around the central forum on the Pont du Bois site.

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7. Campus Lorrain 8. Lyon Cité Campus 9. Université de Toulouse 10. Universités de Paris 11. Campus du plateau de Saclay 12. Campus Montpellier Sud de France

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K-Z Project Timeline Spiral Progetto: Makoto Sei Watanabe Il progetto “K-Z” può essere definito uno sviluppo (seppur a scala maggiore) del progetto “K-Museum”. Quest’ultimo era stato proposto a un concorso a inviti per il progetto di un museo di storia nazionale da realizzare ad Astana, la capitale del Kazakhstan. La proposta di Makoto Sei Watanabe non è stata selezionata, ma essa rimane un’interessante sperimentazione per futuri progetti di architetture per spazi espositivi. Questa architettura è composta tra tre elementi: lo sferoide, il cerchio radiale e l’ellissoide. Lo sferoide, parzialmente interrato, ha l’asse maggiore lungo 240 metri. Il cerchio radiale si sviluppa attorno allo sferoide ed è costituito da una serie di bracci che si irradiano da esso verso l’esterno. L’ultimo elemento ha una forma affusolata che si innalza verso il cielo da un ellissoide. I visitatori che accedono al museo iniziano la visita discendendo con una scala mobile nella profondità dello sferoide attraverso un vuoto sotterraneo. Alla base dello sferoide si trovano su una superficie leggermente in pendenza dove è allestito uno spazio espositivo dedicato al periodo più antico della storia della nazione. Da questo livello, che rappresenta l’origine del Paese, il percorso espositivo ascende gradatamente lungo una spirale su cui si aprono a intermittenza varie sale espositive. I visitatori dunque risalgono lungo le curve della spirale fino alla cima dove questa si trasforma in un lungo spazio lineare dedicato al presente. Oltre questa sezione, si apre una sala dedicata al futuro il cui pavimento sale in obliquo verso il cielo. La distribuzione delle sale espositive lungo l’asse verticale segue la linea temporale: dunque salire e scendere attraverso questa architettura corrisponde a un passaggio dal vecchio al nuovo. Per i visitatori è come un viaggio avanti e indietro nel tempo, sebbene l’organizzazione a spirale degli ambienti espositivi non imponga un percorso obbligatorio. Infatti una serie di scale mobili attraversa lo sferoide in uno schema non relazionato all’ordine sequenziale degli spazi espositivi. Queste scale mobili sono una sorta di bypass che permettono ai visitatori di passare liberamente da un contesto storico a un altro, saltando attraverso il tempo. Il progetto K-Z e quello per il K-Museum condividono alcuni elementi tra cui: un “paesaggio” in movimento, rappresentato dalla totalità dell’architettura; la relazione tra gli elementi collocati sotto terra, quelli sopra terra e, infine, quelli flottanti che si slanciano verso il cielo; la forma di base, col suo asse flottante; un marcata direzionalità; l’interpretazione del tutto come composizione di parti.

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The “K-Z” project is much larger in scale, but it could be called a further development of “KMuseum”. This was a proposal for an invited competition for a museum of national history to be built in Astana, the capital of Kazakhstan. The project by Makoto Sei Watanabe was not selected, but it remains as an experimentation for future projects of architectures destined to host exhibitions This architecture consists of three parts: the spheroid, the radiation circle, and the ellipsoid. The spheroid has a major axis of 240 meters, half buried below ground level. The radiation circle surrounds the spheroid and is made up of arms radiating out from it. The last is a spindle shape that rises up into the sky from the ellipsoid. Visitors arriving at the museum start by descending via escalator down through the spheroid deep into an underground void. At the bottom they step off onto the gently sloped surface at the base of the spheroid. Here is an exhibition space devoted to the oldest period in the history of the country. From this floor, which represents the origins of the country, a series of intermittent exhibition spaces spirals upward. Visitors ascend up through the space by traversing the curves of the spiral. At the end, the spiral unwinds into a long straight space devoted to the present. Beyond that, there is an exhibition space devoted to the future with a floor that slants up toward the sky. The distribution of the exhibiting rooms on the vertical axis follows the timeline: up and down in this architecture corresponds to old and new. For the visitors to descend and ascend through the spaces of the museum is like to travel back and forth through time. The spiral arrangement of the exhibition spaces does not enforce a particular itinerary. Escalators crisscross the spheroid in a pattern unrelated to the order of other spaces. These escalators function as bypasses, allowing visitors to freely leap across time. Common features between K-Z project and the KMuseum project include: the rolling landscape, the totality of which is also architecture; the relation between elements located below ground, elements that extend outward above ground, and elements that float in the air; the basic form, with its floating axis; the strong directionality; and the whole as a compound of the parts.


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Silk Road Map Evolution Progetto: OFL Architecture Silk Road Map Evolution è un progetto che nasce dalla volontà di rifondare e rigenerare l’attuale tracciato della via della seta attraverso una riqualificazione sociale, economica, politica e architettonica dello storico tratto della via che fu di Marco Polo. E’ l’idea di un progetto che integra fortemente l’infrastruttura con l’architettura e, attraverso una nuova main line su binari gravitazionali, segue il tracciato che va da Venezia fino a Xian, Shanghai, Tokyo, estendendo le sue “braccia” composte da nuove infrastrutture, servizi commerciali e residenze. Si tratta di una filiforme “città motore” che corre in aiuto di realtà urbane ed economiche in difficoltà. La città diffusa (lineare) incontra altre microcittà, in modo che la realtà più grande agganci la realtà più piccola per aiutarla a non morire e, come una sorta di pompa economica, fa fluire la sua linfa vitale di città nodo verso le realtà più piccole e disagiate. I 15.000 km della via della seta saranno intervallati da torri bioniche che rappresenteranno il centro delle nuove conurbazioni. Mentre nuovi percorsi si dirameranno dalla linea principale della silk road per costituire un grande indotto economico, di cui la nuova silk road line ne è generatrice. Dal punto di vista urbanistico e architettonico Silk Road Map Evolution è costituito da due sistemi urbani bio-ecologici integrati: il primo elemento, le torri, è composto da tre diversi tipi di grattacieli che si innalzano per una altezza media di 400 metri. Il secondo elemento, la linea ferroviaria, costituisce la linea principale della Via della Seta ed è una linea di trasporto commerciale e pubblica con treni che viaggiano su campi gravitazionali polarizzati e uniscono l’Oriente con l’Occidente. La pelle esterna dell’intero progetto è composta da un sistema innovativo caratterizzato da un cemento a base di biossido di titanio che riduce significativamente l'inquinamento atmosferico e, grazie a una particolare clorofilla sintetica, genera una reazione fotocatalitica che produce aria pulita per una quantità pari a 500 litri di ossigeno al giorno ogni 200 metri quadrati di superficie. Inoltre un innovativo sistema energetico è posto all’interno della linea ferroviaria. E’ composto da diversi pannelli con un sistema piezoelettrico integrato che, grazie al transito dei treni che producono un'onda di pressione, raccolgono l’energia e la trasformano in elettricità. Linearità e tridimensionalità sono il motore di questa sfida culturale e tecnica per la città futura. Secondo questo nuovo modello, che possiamo ascrivere all'interno dell’urbanesimo spaziale, la città non va più pensata come un oggetto isolato, ma al contrario integrato insieme ad altri attraverso un sistema di collegamenti che crei una vera e propria infrastruttura urbana in cui vi sia una circolazione orizzontale e verticale. Scopo fondamentale di questo innovativo progetto di città spaziale sarà quello di ridurre al minimo la percentuale di suolo impiegata per la costruzione della struttura urbana, al fine di contenere i problemi di sviluppo architettonico delle grandi megalopoli di fronte al problema dell’incremento demografico e della sovrappopolazione delle città attuali. Scompariranno sobborghi marginali e quartieri periferici che creano grosse problematiche sociali.

Silk Road Map Evolution is a project born out of the will to revive and regenerate the current layout of the silk road. This is to be accomplished by means of a social, economic, political and architectonic redevelopment of the historic stretch of the road that once belonged to Marco Polo. The project deeply integrates infrastructure with architecture and by means of a new railway system functioning on gravitational platforms follows the trail from Venice to Xian, Shanghai and Tokyo, extending its "arms" to create new infrastructures, commercial services and residences. A wiry “motor city” extends itself to help out urban realities and struggling economies. The (linearly) diffused city runs into other micro-cities in such a way that the greater entity hooks onto the smaller ones to help them survive and, like an economic pump, extends life from the greater nodes to the smaller and poorer extremities. The 15,000 km of the silk road shall be broken up by bionic towers which will represent the centers of new urban sprawls. The new silk road line will also serve as the generator of other paths that will branch off of the main course of the road to develop a larger economic armature. From an architectonic and urban point of view, SRME is made up of two urban, ecological integrated systems. The first element, that of the towers, is composed of three different types of skyscrapers which will rise to a median height of 400 meters. The second element, that of the railway system, is made up of the main path of the silk road as well as a new line of commercial and public transport with trains that travel on polarized gravitational fields uniting the Orient with the Occident. The external skin of the entire project is composed of an innovative system made up of a cement based on titanium dioxide. This significantly reduces atmospheric disturbance and thanks to a particular synthetic chlorophyl generates a photocatalytic reaction that produces clean air for a quantity equal to 500 liters of oxygen a day for every 200 square meters of surface. An unprecedented energy system is also placed on the inside of the train tracks. This is composed of various piezoelectric panels integrated into the tracks which capture energy created by waves of pressure resulting from train traffic and transform it into electricity. Linearity and three-dimensionality are the driving forces of this cultural and technical venture for cities of the future. Following this new model which can be categorized within spatial urbanism, the city will no longer be thought of as an isolated organism. It will instead be integrated with others along a system of ligaments that creates a real and proper urban infrastructure in which circulation exists both horizontally and vertically. The fundamental goal of this innovative project of the spatial city is that of reducing to a minimum the percentage of soil disrupted for construction and urban structures. This also addresses the problems of architectonic development in large metropolises as well as overpopulation and increasing demographics of existing cities. Marginal suburbs and peripheral cities which cause great social problems will disappear.

Credits Project: OFL architecture Design Team: Francesco Lipari, Vanessa Todaro, Andrea Debilio,

Alejandro Liu Cheng (parametric design consultant) Competition Organizer: New Italian Blood (www.newitalianblood.com)

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Godere la natura In Turin

Ceramica contemporanea Potters Today

La rassegna biennale internazionale “Creare Paesaggi” nata nel 2002 è giunta alla sua V edizione e nel dicembre scorso ha presentato al pubblico la mostra “Paesaggio e bellezza - Enjoy the Landscape” negli spazi del Museo Regionale di Scienze Naturali a Torino. La mostra ha illustrato, attraverso oltre 120 immagini, 28 casi tra progetti, realizzazioni, piani, modi di gestione del paesaggio e si è articolata in tre sezioni: Il progetto per il godimento del paesaggio, Lo spettacolo della natura, Lo sguardo sulla città. Con questa edizione “Creare Paesaggi” prosegue il suo itinerario nella cultura del paesaggio contemporaneo indagandone gli aspetti di percezione individuale e collettiva; a partire dalla riflessione sui cambiamenti e sul significato attuale della fruizione del paesaggio, la rassegna ha promosso il confronto con esempi internazionali di progettazione e pianificazione, quali la creazione di percorsi attrezzati e punti di osservazione, la regolamentazione per la protezione degli aspetti scenici e percettivi, la gestione tanto dei paesaggi naturali quanto di quelli urbani. Un invito quindi a tornare a occuparsi e a godere delle bellezze naturali e culturali e degli aspetti scenici del paesaggio (visuali e multisensoriali) e a migliorarne la fruizione pubblica, attraverso progetti di luogo e di rete e modalità di gestione del territorio.

“Favole contemporanee”, l’esposizione presentata alla Galleria Jean-Jacques Dutko di Parigi fino al 29 gennaio offre un affascinante panorama sulla creazione contemporanea nel campo della ceramica. Organizzata da Jean Jacques Dutko, antiquario gallerista eclettico, e Mouvements Modernes, l’esposizione riunisce le opere di una decina di ceramisti internazionali che, sotto l’impulso dalla loro ricerca e stimolati dal mondo dell’arte, hanno trovato una nuova dimensione espressiva per dare una testimonianza contemporanea dei valori plastici di questo materiale. Le figure tutelari, quali Kristin McKirdy, Ursula Morley Price, Nicholas Rena o ancora Betty Woodman, hanno saputo apportare a questo materiale ancestrale un approccio specifico, una ricerca legata al superamento della pratica tradizionale. Così le opere di Nicholas Rena si svuotano delle loro funzioni originali per diventare degli oggetti del silenzio, delle sculturepresenza. I giovani talenti, dal canto loro supportati da una storia della ceramica ormai riabilitata e inventariata come vero e proprio campo artistico, vengono influenzati dalle esperienze provenienti da altre discipline. Le metafore familiari di Dawn Youll, trattate con effetti che sfumano dal lucido all’opaco ottenuti con particolari smalti, le fa sembrare per esempio dei quadri in 3D. Akashi Murakami, presenta invece un paesaggio immaginario popolato da vegetali che trasforma con i suoi calchi. Esplorare i limiti, le tensioni i punti di rottura della terra sono i temi che percorrono le opere di altri artisti come Matthew Chambers, Cheryl Ann Toas, Nathalie Derouet o ancora Merete Rasmussen che trovano un giusto equilibrio tra creatività e vincoli tecnici imposti dalla natura della ceramica. Ed è propiro grazie alla maestria tecnica e all’apertura verso nuovi orizzonti espressivi che talvolta questi artisti si consentono degli slittamenti più critici e velati di humor rispetto alla ceramica purista. Ne è un esempio l’opera di Louise Hindsgavl che si rifà alle figurine di porcellana teatralizzate che popolavano le vetrine di certi buffet o mensole di altri tempi.

The International biennial show “Creare Paesaggi” (Creating Landscapes), founded in 2002, has now come to its 5th edition. Last December, it presented the exhibition “Landscape and beauty – Enjoy the Landscape”, held at the Regional Museum of Natural Science in Turin. The event was promoted and organized by the OAT – Order of Architects Foundation in Turin in cooperation with the Piedmont Region – Regional Museum of Natural Science, under the patronage of the Polytechnic University of Turin and the FAI (Italian Environment Fund) – Turin delegation and with the support of AIAPP, the Italian Association of Landscape Architecture – Piedmont and Valle d’Aosta Section. The curators of the show are Francesca Bagliani and Claudia Cassatella, in collaboration with Luigi La Riccia, Chiara Martini, Pierpaolo Tagliola, Bianca Seardo. With more than 120 images, the exhibition illustrates 28 works including projects, implementations, plans, and ways of managing the landscape, and is divided into three sections: Project for the enjoyment of the landscape, The wonder of nature, A view over the city. With this edition, “Creare Paesaggi” continues its itinerary through the culture of the contemporary landscape, examining aspects related to individual and collective perception. Beginning with reflection on the changes and the current significance of landscape enjoyment, the event offers the opportunity to measure national work with international projects and planning, such as the creation of equipped trails and observation points, regulations for the protection of scenic and perceptive aspects, the management of both natural and urban landscapes. Thus, with the aim of improving public enjoyment of sceneries, and through site-specific and network projects and territory management, the event fosters the pursual and enjoyment of natural and cultural beauties, as well as of the panoramic (visual and multisensory) aspects of the landscape.

Contemporary fairy tales, an exhibition on show at the Jean-Jacques Dutko Gallery of Paris through January 29th, offers an enticing survey of contemporary creation in the field of ceramics. Organized by Jean Jacques Dutko – an eclectic antiquarian gallerist – as well as Mouvements Modernes, the exhibition gathers work by about a dozen international potters who, inspired by their research and galvanized by the world of art, have found a new expressive dimension, a contemporary interpretation of this material’s plastic values. The protagonists – Kristin McKirdy, Ursula Morley Price, Nicholas Rena and Betty Woodman – have made a specific approach to this ancestral material, with research meant to overcome traditional practice. Thus, Nicholas Rena’s works, for instance, have shaken off their original functions to become objects of silence, or presence sculptures. The young talents, who are supported by a ceramic history that has now been re-established and inventoried as an actual art, are influenced by experiences coming from other disciplines. Dawn Youll’s familiar metaphors, which are treated with effects that shade off from shiny to opaque through the use of particular enamels, make them look like 3D paintings. Akashi Murakami, on the other hand, presents an imaginary landscape occupied by plants which he transfigures with his modeling. The other artists’ works are an exploration of the limits, the pressure and the breaking points of clay, for instance Matthew Chambers, Cheryl Ann Toas, Nathalie Derouet or Merete Rasmussen, who find the right balance between creativity and the technical constraints imposed by the nature of ceramics. And it is precisely due to their technical mastery and to their opening up to new expressive horizons that these artists allow themselves more critical shifts characterized by a veiled humor if compared to more purist ceramic art. An example of this if Louise Hindsgavl’s work, which hints at the theatrical porcelain figures that used to be placed on counters or shelves in olden times.

1. Tourist Route: Aurlandsfjellet, FV 243, Lookout Point (architects: Todd Saunders, Tommie Wilhelmsen; consulting engineers: Node Radgivende Ingeniorer; photo: Nils Vik). 2. Piano nazionale per la fruizione del paesaggio dei fiordi in Norvegia. Punti di osservazione e riparo realizzati con materiali resistenti agli agenti atmosferici/National plan for Norway Fjords landscape exploitation. Lookout points and shelters realized with weather resistant materials, Havøysund (project: Pushak arkitekter; photo: Anne Olsen-Ryum for Statens vegvesen) 3. Bay East, Gardens by the Bay, Singapore (designer and partners: Gustafson Porter Ltd, Ove Arup & Partners, Davis Langdon, Seah Singapore Pte Ltd, Hamilton Architects). 4. Matthew Chambers, Threeway, 2009.

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Precisazione Beta unopuntozero Tecno In merito all’articolo “L’ufficio evolutivo”, pubblicato ne l’Arca 263 (Novembre 2010) a pagina 94, precisiamo che i progettisti del sistema Beta unopuntozero Tecno (www.tecnospa.com/beta) sono Pierandrei Associati: Fabrizio M. Pierandrei, Alessandro M. Pierandrei, Stefano Anfossi (www.pierandreiassociati.it).

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Regarding the article “The Evolutionary Office”, published in l’Arca 263 (November 2010), page 94, we would like to precise that the designers of the Beta unopuntozero Tecno (www.tecnospa.com/beta) system are Pierandrei Associati: Fabrizio M. Pierandrei, Alessandro M. Pierandrei, Stefano Anfossi (www.pierandreiassociati.it).


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Fotografare chi siamo In Chiasso La manifestazione Biennale dell’immagine (Bi7) di Chiasso è una rassegna culturale focalizzata sull’arte fotografica e sulle arti visive contemporanee. La rassegna, organizzata fino al 20 gennaio, si articola in 8 eventi espositivi disseminati in diversi luoghi di Chiasso, fra cui lo Spazio Officina e il m.a.x. museo che ospitano le due mostre principali. Allo Spazio Officina è allestita la mostra “Chi siamo/About us”, che raccoglie gli sguardi di 12 fotografi e performance di

video arte in cui, con approcci diversi, ci si interroga sul nostro essere nel mondo. Il m.a.x. museo presenta la mostra “Sergio Libis fotografo a Milano 1956-1995”, dedicata al fotografo svizzero Sergio Libis, che si trasferì a Milano nel 1956 grazie alle sollecitazioni e all’amicizia di Max Huber. The Biennial show of photography (Bi7) of Chiasso is a cultural event that revolves around the art of photography and contemporary visual

arts. The show, which will be open through January 20th, is split into 8 sections spread throughout Chiasso: the two most important displays are at the Spazio Officina and the m.a.x. museum. At the Spazio Officina “About us”, with snapshots by 12 photographers and video art performances. The m.a.x. museum presents the show “Sergio Libis photographer in Milan 1956-1995”, devoted to the Swiss photographer Sergio Libis, who moved to Milan in 1956.

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NEWS/DOSSIER Nuova scultura In Milan A distanza di cinque anni dalla mostra sulla scultura italiana del XX secolo che inaugurava la nuova sede della Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano, gli spazi di via Solari 35 ospitano, fino al 30 gennaio, un’esposizione che traccia un primo bilancio delle ultime tendenze italiane nel campo delle discipline plastiche. Curata da Marco Meneguzzo, “La scultura italiana del XXI secolo” presenta le opere di 80 artisti, tutti nati nella seconda metà del secolo scorso, dagli ormai storicizzati Nunzio e Dessì, agli esponenti delle generazioni più recenti, quali Cattelan, Bartolini, Dynys, Esposito, Arienti, Moro, Beecroft, a quelle ancora più giovani, con Cecchini, Sissi, Demetz, fino alle ultimissime come Sassolino, Simeti, Previdi, Gennari che verificheranno di quanto siano mutati i confini linguistici della scultura e se questi esistano ancora. La mostra è testimone delle più diverse

espressioni di quella che si potrebbe configurare come “la nuova tendenza della scultura”, oggi la disciplina più difficile da definire: i linguaggi si sono definitivamente ibridati, i codici tradizionali sono stati rapidamente abbandonati negli ultimi trent’anni, e quella che era la disciplina artistica più “certa” nelle definizioni è divenuta di fatto la più incerta. Infatti, la scultura oggi rientra nel campo del transitorio tanto che quella pretesa di durata, segnata dall’uso di materiali quasi eterni come il bronzo e il marmo, rischia di essere percepita come anacronistica non solo dall’artista, ma anche dal suo pubblico. Five years after the show on twentiethcentury Italian sculpture, which inaugurated the new headquarters of the Arnaldo Pomodoro Foundation in Milan, the exhibition area in via Solari 35 hosts a show

that analyzes the latest Italian trends in the field of plastic disciplines. Curated by Marco Meneguzzo, “Twenty-first century Italian sculpture”, open through January 30th, presents works by 80 artists, all born in the second half of the last century, from the now historic Nunzio and Dessì to the exponents of more recent generations, such as Cattelan, Bartolini, Dynys, Esposito, Arienti, Moro, Beecroft, to the even younger Cecchini, Sissi and Demetz, to the very latest: Sassolino, Simeti, Previdi and Gennari. This itinerary will serve to verify to what extent the linguistic boundaries of sculpture have changed, and whether they still exist at all. The exhibition bears witness to the most diverse interpretations of what might be identified as “the new trend of sculpture”, which is today the most difficult discipline to define. Indeed, there is a definitive crossbreeding of languages, in the past thirty years the traditional codes have been rapidly

abandoned, and what was once the most “certain” artistic discipline in terms of definition has actually become the most uncertain. In fact, today sculpture falls into the transitory sphere; its claim to immortality, through the use of almost eternal materials such as bronze and marble, runs the risk of being perceived as obsolete not only by artists but by their public, as well.

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Per aiutare l’Africa In Padua Nel cuore di Padova, nel Liston, la vasta area pedonale prospiciente l’antica Università e lo storico Caffè Pedrocchi, un tunnel di luce accoglie i visitatori della mostra “NeraMadre”, promossa per ricordare i primi sessant’anni di lavoro di Medici con l’Africa Cuamm (www.cuamm.org) e aperta fino al 31 gennaio. L’istallazione, nata da una collaborazione artistica e creativa di Aldo Cibic e di Enrico Bossan, “inghiotte” il visitatore lungo un percorso che va dall’esclusione, dalla negazione del diritto alla salute, alla sua ricerca, fino al desiderato conseguimento: il conforto, la consolazione del ricevere assistenza, cura, formazione. Suoni, immagini, video-interviste rendono il visitatore partecipe di un viaggio nel “lavoro che non ha mai fine”, quello continuo e silenzioso di chi cerca salute, guarigione, assistenza, protezione e di chi la offre, una guerra combattuta dai medici ai confini del mondo, verso l'ultimo miglio. A emergere, al di fuori e al di là di ogni retorica celebrativa, sono il senso, il valore, la fatica, il quotidiano di un percorso nell’affermazione concreta, tangibile del diritto alla salute per i più svantaggiati: mamme e bambini.

In the Liston, a vast pedestrian area in the heart of Padua overlooking the ancient University and the historical Caffé Pedrocchi, a tunnel of light welcomes visitors to the show “NeraMadre” (Black Mother), open through January 31st, and promoted to commemorate the first sixty years of work by the organization Medici con l’Africa Cuamm (www.cuamm.org). The installation, which stems from artistic and creative cooperation between Aldo Cibic and Enrico Bossan, “swallows up” visitors along an itinerary that ranges from the exclusion to the denial of the right to health, health-related research and what is to be achieved through the latter: comfort, the consolation of receiving assistance, treatment, training. Sounds, images, and video-interviews make visitors take part in a trip through “work that never ends”, the continuous, silent work of those who look for health, healing, assistance, protection, and those who offer all of this; a war fought by doctors at the borders of the world, towards the last mile. What emerges – beyond any kind of celebrative rhetoric – are the meaning, the value, the effort, the daily work of a path leading to concrete achievement which is tangible in terms of health for the most disadvantaged: mothers and children.

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1. Sergio Libis, Mare grande mare Manifesto per la Rinascente, 1969. 2. Diamante Faraldo, A nord del futuro. 3. Etiopia, foto di/photo by Enrico Bossan. 4. Aldo Cibic per NeraMadre.

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Movimento globale At CCA Montreal

Tre mostre a Trieste For De Chirico

Il Canadian Centre for Architecture (CCA) di Montreal presenta fino al 13 marzo la mostra “Journeys: How travelling fruit, ideas and buildings rearrange our environment” (Viaggi: come il movimento della frutta, delle idée e degli edifici riorganizza il nostro ambiente). In un’epoca in cui la mobilità globale è aumentata, la mostra esamina l’impatto trasformativo di questa continua migrazione. In particolare, si focalizza sui cambiamenti fisici innescati dagli scambi tra i parametri ambientali, architettonici e geo-politici per riflettere sui territori ibridi del mondo di oggi. I visitatori “viaggiano” attraverso una raccolta di 15 “storie” che esplorano i temi posti dall’aumento del movimento a livello mondiale e possono osservare l’impatto che ne ricevono i diversi luoghi.

Fino al 27 febbraio, le Scuderie del Castello di Miramare di Trieste ospitano la mostra “Giorgio De Chirico. Un maestoso silenzio”. L’iniziativa, curata da Roberto Alberton e Silvia Pegoraro, presenta 90 opere – settanta dipinti, e una ventina tra disegni, acquerelli e inchiostri – realizzate da Giorgio De Chirico (Volos, 1888 Roma, 1978) nella prima metà del Novecento. La mostra è parte del progetto “Dalla Metafisica all’Arte” che, sempre fino al 27 febbraio, vede le Scuderie del Castello di Miramare ospitare anche la personale di “Fabio Mauri, Un sognatore della ragione” con cinque grandi installazioni, oltre a dipinti e disegni degli anni Cinquanta, realizzati dell’artista romano il quale, rielaborando le proprie traumatiche esperienze degli anni dell’adolescenza e della guerra, viene a concretizzare la storia nelle cose realizzando, come in un grandioso fermo immagine, le vicende umane. All’interno del Castello è la mostra “Gli specchi dell’enigma. Artisti intorno a De Chirico”, con opere di 15 artisti contemporanei, quali Adami, Ceroli, Chia, De Dominicis, Natham, Schifano e altri, che hanno reso omaggi più o meno espliciti a De Chirico e che si richiamano alla sua poetica.

The Canadian Centre for Architecture (CCA) in Montreal presents the exhibition “Journeys: How travelling fruit, ideas and buildings rearrange our environment”, on view to 13 March. In an age of heightened global mobility, this exhibition examines the transformative impact of global movement. In particular, it addresses the physical changes triggered by exchanges across environmental, architectural, and geo-political parameters in order to reflect on the hybrid territories of today’s world. Visitors travel through a collection of 15 narratives to explore the issues raised by increased global movement and observe its impact on the experience of different sites.

Until February 27th, the Scuderie of the Castle of Miramare in Trieste host the show “Giorgio De Chirico” A majestic silence”. The initiative, curated by Roberto Alberton and Silvia Pegoraro, presents 90 works – seventy of which are paintings, the other twenty including drawings, watercolors and inks – created by Giorgio De Chirico (Volos, 1888 – Rome, 1978) in the first half of the twentieth century. The exhibition is part of the project “From Metaphysics to Art”, which, also through February 27th, sees the Scuderie hosting a solo exhibition: “Fabio Mauri, A dreamer of reason”. The show consists of five large installations, as well as paintings and drawings the artist created in the 1950s, which are like a reinterpretation of his own traumatic experiences during his teenage years and the war. History is thus materialized in the history of things, and human experiences are realized in what looks like great still images that are full of drama and rare beauty. The interior of the Castle hosts the show “The mirrors of enigma. Artists around De Chirico”, with works by 15 contemporary artists such as Adami, Ceroli, Chia, De Dominicis, Natham, Schifano and others who more or less explicitly have paid tribute to De Chirico and who somehow bring to mind his poetics.

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A Eindhoven LEDs are changing the world Installazioni di luce poetiche e vitali di Daan Roosegaarde, un vestito da sera che si illumina di più o di meno sotto l’influsso del livello di CO2 nell’aria, una parete luminosa interattiva come gioco per bambini, luci e oggetti luminosi sorprendenti di designer e artisti internazionali. Questa è “Liberation of Light”, aperta fino al 30 gennaio al Designhuis di Eindhoven, in cui si mostra come i LED siano molto più di semplici e piccole “luci” a lunga durata. Mentre si è detto e scritto molto sul consumo, il prezzo e la durata dei LED, molta meno attenzione è stata data agli effetti, assai più travolgenti, della loro adozione come nuove fonti luminose. I progettisti potranno disegnare oggetti luminose con varie altre forme, materiali e funzioni di quelle utilizzate finora. La luce artificiale potrà essere misurata, fatta su misura e essere interattiva. Gli ambienti, sia esterni sia interni, saranno illuminati in modi differenziati. La luce naturale e quella artificiale diverranno più simili tra loro. E anche il controllo e l’uso della luce artificiale si modificheranno considerevolmente.Una rivoluzione della luce naturale è alle porte, grande tanto quanto, se non di più, di quella portata dall’invenzione delle lampadine a bulbo 150 anni fa. Poetic, living installations of light by Daan Roosegaarde, an evening dress that lights up more or less under the influence of the CO2level in the air, an interactive light wall as educational children’s toy, surprising lights and lighting objects by international leading artists and designers. The exhibition “Liberation of Light”, at Designhuis Eindhoven, until 30 January, shows that LEDs are much more than just

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smaller and more durable “lights”. While a lot is said and written about the consumption, price and life span of LEDs, there is a lot less attention for the much more sweeping effects of the adoption of these new light sources. Designers will be making light objects with other forms, materials and functions than usual so far. Artificial light can now be controlled, made to measure and even interactive. Spaces, both indoors and outdoors, will be lit in different ways. Daylight and artificial light are getting closer. And the use and control of artificial light too will change considerably. A revolution in artificial light is announcing itself, as big as or even bigger than the invention of the light bulb almost 150 years ago.

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1. Pulling a structure across the ice to Conche, Newfoundland (Resettlement Collection, Maritime History Archive, Memorial University). 2. Giorgio De Chirico, Mobili nella valle, olio su tela/oil on canvas, 82x100 cm, 1927.

Intenso Quincoces La Galleria Barbara Frigerio Contemporary Art di Milano presenta dal 13 gennaio al 12 febbraio la mostra “Alejandro Quincoces. Sussurri e grida”. Nella poetica di Quincoces i paesaggi assurgono spesso a simbolo e personificazione di stati d’animo ed emozioni. Dalle vedute romantiche ed idealizzate di fiumi o paesaggi periferici agli scorci urbani, attimi rubati alla vita frenetica delle grandi metropoli, in ogni pennellata, in ogni graffio o segno si percepiscono le sensazioni e le dichiarazioni di un artista che mette davvero se stesso in ogni opera. In questa nuova esposizione affronta, accanto a temi già noti, lacerazioni e drammi più profondi affidando ancora una volta al paesaggio e al mondo circostante grida e disperazione. Terre desolate, devastate da incendi o inondazioni, segni inequivocabili della forza della natura, che travolge ogni cosa e lascia soltanto una manciata di polvere. Vedute dai toni quasi monocromi, giocati sul grigio e nero, quasi come se il dramma vissuto dalla terra ne avesse oscurato anche i colori. Un grido di allarme, una denuncia fatta anche nei confronti dell’uomo e della guerra, vista attraverso macerie e aride pietre, dove

colonne di fumo invadono il cielo oscurando anche la luce del sole. Opere di grande intensità realizzate lavorando con la materia pittorica, distesa sulla superficie della tavola, che viene anche incisa e graffiata, per sottolineare ancora di più la forza delle immagini rappresentate.

4 3. PlantLab, Plantparadise. 4. Alejandro Quincoces, Un edificio negro y al fondo las luces de la ciudad, tecnica mista su tavola/mix technique on board, 150x150 cm.


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Chagall, Kupka e il Cantico dei Cantici L’esposizione presentata al Museo Marc Chagall di Nizza fino al 14 marzo mette in prospettiva l’evocazione del Cantico dei Cantici dipinta da Marc Chagall tra il 1955 e il 1966 e un’altra lettura del testo, quella che Franck Kupka realizzò tra il 1905 e il 1931 per una edizione illustrata. Attorno ai quadri di Chagall sono riuniti dei disegni preparatori, per lo più al pastello e raramente esposti per la fragilità della loro natura. L’ispirazione del pittore si sviluppa partendo dalle tre dimesioni del poema, carnale, musicale e religiosa. Il lavoro di Kupka è, dal canto suo, presentato grazie al prestito del Museo d’arte e di storia del Giudaismo di Parigi. Riguarda in particolare due serie di gouache: quella delle illustrazioni in francese e quella in ebraico. Kupka

L’arte di ri-fare

rappresenta i personaggi del Cantico dei cantici in un contesto che si rifà storicamente e geograficamente a un Oriente babilonese il cui carattere immaginario rimane ugualmente evidente. Chagall, al contrario, mescolando il suo stile, la sua storia e quella del popolo ebraico, dipinge gli amanti del Cantico in un Paradiso immaginario i cui riferimenti sono del tutto personali. L’esposizione riunisce in una prima sala una sessantina di opere di Kupka, disegni, gouache e libri, messi a disposizione dal Museo d’arte e di storia del Giudaismo. Questa selezione è affiancata da una quaratina di dipinti di Chagall, tra disegni preparatori, pastelli, inchiostro di china e gouache, esposti nella sala del Cantico del Museo di Nizza.

In linea con la cresciuta attenzione che molti artisti rivolgono oggi all’evoluzione futura del mondo contemporaneo, l’esposizione “Rehab”, l’arte di ri-fare in corso allo spazio Fondation EDF a Parigi fino al 20 febbraio, presenta una selezione di opere dalle qualità estetiche rivelatrici che trasformano oggetti familiari, domestici o d’uso comune in nuove esperienze creative. Senza confondersi con un ready-made o un remake-pastiche, senza diventare delle nostalgiche del verde, queste opere sono il frutto di una riscoperta di materiali che sembravano ormai fuori moda o messi da

parte, dal mobile in formica fino al cartone per imballaggi. Sculture, video, fotografie o istallazioni mettono in luce gli strumenti e i medium espressivi privilegiati dalla quindicina di artisti riuniti in questa occasione. La ricchezza del loro lavoro illustra la capacità che hanno gli artisti di percepire e fare propria la doppia dimensione del materiale di scarto: essere nel contempo assolutamente contemporaneo per le sua proprietà fisiche ambiziose e coerente alle problematiche sociali più pressanti come il tema della tutela dell’ambiente.

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Il mondo magico degli Inuits 1

Le frontiere dell’immagine “Image-Mouvement (I-M)” è una piattaforma dedicata all’immagine in movimento nelle sue diverse forme. Inaugurato nel dicembre scorso dal centro d’Arte Contemporanea di Ginevra, questo evento integra la ricerca teorica e la riflessione sull’attualità della produzione e delle diffusione dell’immagine in movimento e sul suo impatto nella cultura attuale. Primo atto della manifestazione, I-M 2010 fa il punto sulla malleabilità dell’immagine esplorata dagli artisti contemporanei. L’idea è di speculare e destabilizzare l’immagine in movimento

riprendendo le nozioni di album, archivio o biblioteca. All’interno di questo contesto l’esposizione “Atlas. Truths, intervals, details and the afterlives of the image”, fino al 13 febbraio, presenta le opere di una dozzina di artisti svizzeri e internazionali, il cui lavoro ribalta la nozione dell’immagine come prodotto specifico, come cristallizzazione di verità. L’immagine stessa è vissuta come un processo, allo stesso modo in cui la realtà, la memoria e la storia sono delle costruzioni. Concepita come un album di fotografie, la mostra è sensibile agli intervalli, sia temporali sia fisici, tra le immagini.

4 1. Marc Chagall, Le Cantique des Cantiques II, matita e china su carta/ pencil and China ink on paper, 1957 (Musée National Marc Chagall Nice © musée national Marc Chagall - cliché RMN Gérard Blot). 2. Marjan Teeuwen, Verwoerst Huis 2, 155x231,5 cm, 2009 (Centre National des Arts Plastiques - Ministère de la culture

et de la communication - © DR / CNAP). 3. Georges Duthuit, Une fête en Cimmérie, litografie originali di/original lithographs by Henri Matisse, tavola XXX, Tériade, éditeur, Paris 1963 (Donation Barbara et Claude Duthuit Le Cateau-Cambrésis Musée, départemental Matisse © Succession H. Matisse).

La mostra in corso fino al 6 febbraio al Museo Matisse Château-Cambrésis invita alla scoperta del mondo magico degli Inuits attraverso le litografie dei volti degli eschimesi che Henri Matisse realizzò per illustrare il libro di Georges Duthuit Une Fête en Cimmérie (Tériade, 1963). La prima parte dell’esposizione si focalizza sulla figura di Georges Duthuit, eminente critico d’arte, storico e scrittore e suo figlio Claude Duthuit, che arricchì il museo con i disegni, le incisioni e i documenti realizzati attorno a questo libro. La seconda parte rigurda più propriamente il libro Une Fête en Cimmérie, accompagnato da 31 litografie, l’acquatinta, le prove annotate e i disegni di studio di Matisse che si rifanno al testo di Duthuit, ai racconti e alle fotografie di esploratori. Questo universo tra l’esoterico e l’etnografico è illustrato da una

prestigiosa collezione di maschere Inuits e da una parte della celebre collezione di maschere di eschimesi del museo di Boulogne-sur-Mer. La terza parte della mostra offre invece un ricco panorama delle maschere disegnate da Matisse.

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Mondrian/De Stijl Al centro dell’esposizione presentata fino al 21 marzo al Centre Pompidou di Parigi, gli intrecci tra uno dei movimenti più fecondi della modernità europea, il De Stijl (19001920) e il percorso artistico del suo più noto rappresentante, Piet Mondrian (18721944). La mostra si articola in due grandi capitoli. Il primo, consacrato a Mondrian, si concentra sulle sue opere, dipinti e disegni realizzati a Parigi tra il 1912 e 1938. Un centinaio tra le opere principali mostrano l’evoluzione del pittore, dal Cubismo al Neoplasticismo, dalla realtà naturale a quella astratta e riflette il fermento artistico generato dalla sua attività nella capitale francese. Il secondo capitolo dell’esposizione investe il territorio del gruppo di De Stijl e traccia, in parallelo, la storia del movimento dalle sue origini attraverso un insieme di dipinti, disegni e fotografie. L’esposzione è pronciplamente fondata sulle pratiche transdisciplinari degli attori del movimento rispetto alle tre fugure centrali che lo hanno

animato, oltre Piet Mondrian, Theo Van Doesburg e Gerrit T. Rietveld, mettendo in luce la complessità delle collaborazioni nate tra artisti, designer e architetti dell’epoca.

5 4. Mirza_Butler, Museum of Non Participation. 5. Gerrit Rietveld, Red and Blue Chair, 1918.

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Esoterismo in arte

Rivisitare il passato La mostra “Roma e l’Antico.- Realtà e visione nel ‘700” è in corso fino al 6 marzo 2011 presso i nuovi spazi espositivi del Museo della Fondazione Roma nel Palazzo Sciarpa Colonna. La manifestazione è promossa dalla Fondazione Roma presieduta da Emmanuele Francesco Maria Emanuele, organizzata da Artemisia Group con la collaborazione dei Musei Capitolini e di quelli Vaticani e con l’Accademia Nazionale di San Luca. Curata da Carolina Brook e Valzer Curzi, la mostra riunisce opere d’arte e reperti archeologici con l’impegno di dare visibilità ed evidenza alla Roma del Settecento e all’Antichità Classica quale parametro di riferimento per le arti, l’erudizione e il gusto che condizionarono il contesto europeo. L’evento si articola mediante un nucleo straordinario di 140 opere, tra sculture, dipinti e raffinati oggetti d’arte decorativa, provenienti da importanti istituzioni museali italiane e straniere, nonché dai più celebri Musei romani, dalle Gallerie nazionali di Parma, Torino e Firenze, dal Museo canoviano di Possano, dal Museo del Prado, dal Palazzo Reale e dal Museo Archeologico di Madrid, dal Louvre, dal Victoria & Albert Museum di Londra, dal Museo Archeologico di Dresda, dall’Hermitage di San Pietroburgo e dalle Accademie Reali di Londra e Madrid. La mostra pone a confronto capolavori del passato e opere del Settecento per evidenziarne i significativi parametri di riferimento che animavano le arti romane del tempo. Le sculture antiche presenti comprendono: l’Apollo Citaredo e l’Erma di Pericle dei Musei Vaticani, la Flora e l’Eros Capitolini, la Musa e la Testa di Serapide dal Prado, l’Athena Lemnia dal Kunstsammilungen

di Dresda e la Minerva d’Orsay del Louvre quale esempio di restauro con integrazioni settecentesche. Le testimonianze del Settecento attento alla romanità del passato sono documentate attraverso artisti come: Antonio Canova, Jacques Louis David. Anton Raphael Mengs, Giovan Battista Piranesi e da molti altri maestri del tempo. Di notevole riscontro anche la ricostruzione virtuale degli interni della Domus Aurea, studiati da Stefano Borghini e Raffaele Carlani. Il percorso della mostra si articola in sette sezioni che comprendono: Il gran teatro delle rovine e il fascino della statuaria antica; La “resurrezione” dell’Antico: scavare e conservare; Restaurare, reinventare, falsificare e vendere l’Antico; Il mercato dell’Antico: le botteghe di Bartolomeo Cavaceppi e Giovanni Battista Piranesi; Formarsi sull’Antico: il gusto e la decorazione degli interni; Gli artisti nella sfida con l’Antico.

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interamente in plastica, furono esposte nel 1967. Identificata come elementosimbolo della società industriale e del consumismo, e trasformata in linguaggi ora sarcastici ora profetici e mai banali, la plastica è presente in questa mostra con una serie di personaggi grotteschi ed esilaranti, che fanno il verso ai luoghi comuni e ai comportamenti di una società scontata e nevrotica. Molte anche le opere espresse nelle cravatte che l’artista considerava emblema dell’uomo moderno e interpretava utilizzando plastiche manipolate con un’ironia creativa, intrigante e ludica.

1. Giovanni Battista Piranesi, Capriccio architettonico, china e inchiostro bruno su carta/China and brown ink on paper, 50x38 cm, 1748-1752 (Roma, Collezione privata; © Foto Giuseppe Schiavinotto). 2. Mikolaius Konstantinas Ciurlionis, Serenity, pastello su carta/pastel on paper, 42,2x72,7 cm, 1903-1904. 3. Enrico Baj, Serigrafia a colori su plastica/serigraphy on plastic, 56x39 cm (Editore: Soleil Noir Editions, Parigi).

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evocando simbologie, segni onirici e intuizioni trascendentali. Il suo impegno con la pittura fu breve e intenso (1902-1909) come la sua vita (muore a 36 anni), ma seppe cogliere il progredire dell’arte verso nuove espressività e messaggi, anticipando le intuizioni trasmesse da Kandinskij, Kupka e Mondrian. Attraverso le sue opere l’artista manifesta conoscenze di cosmologia, astronomia, fisica e geologia, filosofia tedesca, orientale e indiana. Čiurlionis esercitò inoltre poteri parapsicologici come l’ipnosi a distanza e la pranoterapia. In mostra, oltre ai dipinti dell’artista, anche una serie di scritture musicali (300 le composizioni scritte da Čiurlionis) che, grazie ai molti eventi collaterali, si potranno ascoltare.

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Plastiche d’arte Da novembre, presso la Fondazione Marconi, è in corso la mostra Enrico Baj – Plastiche, quale documentazione della ricerca, dedicata dall’artista (1963-1970) a queste materie che tanto ispirarono il suo immaginario artistico. Le prime plastiche impiegate da Baj nel 1963 furono le famose mattonelle del “Lego”, allora una novità, che anticiparono gli altri materiali plastici presenti nelle sue opere, molte delle quali,

A cura di Gabriella Di Milia e Osvaldas Daugelis, è in corso al Palazzo Reali di Milano, fino al 6 febbraio 2011, la mostra “Čiurlionis – Un viaggio esoterico 18751911”, promossa dal Comune di Milano, e prodotta da Palazzo Reale, dalla Fondazione Antonio Mazzotta e dal Museo Nazionale d’Arte M. K. Čiurlionis. E’ sottintesa la collaborazione con l’Ambasciata di Lituania e del Consolato della Lituania in Milano. Si tratta della prima retrospettiva in Italia del pittore e musicista Mikalojus Kostantinas Čiurlionis; artista straordinario ed emblematico presentato con un centinaio di opere che lo indicano come fondatore dell’arte moderna Lituana. Čiurlionis fu un artista denso di contenuti esoterici e misteriosi che traspaiono nelle sue “visioni d’altri mondi”, dove si spersonalizza

Sinistra sontuosità a Firenze Curata da Francesco Bonami, promossa dal Comune di Firenze, Assessorato alla Cultura e alla Contemporaneità e dai Musei Civici Fiorentini, e prodotta e organizzata da Artemisia Group, è in corso fino al 1 maggio, a Palazzo Vecchio di Firenze, la mostra “Damien Hirst – for the love god”. Protagonista assoluto dell’evento è un teschio; il calco di un teschio umano in platino, sinistramente e sontuosamente rivestito da 8.601 diamanti purissimi per un totale di 1.106,18 carati. Soverchia la suggestiva e uniforme preziosità “epidermica” dell’artefatto, un gigantesco diamante rosa a forma di goccia (già noto come “la stella del teschio”); trionfale emblema posato sulla fronte. E turba la vista dei denti incastonati che, assolutamente veri e di remota appartenenza, completano questo

implacabile quanto innocente simulacro, reso divinità e monito, per apparenza e ruolo, dal suo creatore Damien Hirst.. Quali le riflessioni? Rappresenta l’accanimento umano che, ambizioso e intrigante, diventa riscatto e trascendenza per complessi e rivalse? Forse. Oppure è un’occasione di riscontro per rallegrarsi dei sintomi e delle reazioni espresse alla vista di una tale strepitosa e diamantifera profusione? Tale da confonderne il senso? Nel frattempo qualcuno, come lo storico d’arte olandese Rudi Fuchs, lo presenta così: “… il teschio è sovrannaturale, quasi celestiale. Proclama la vittoria della decadenza. Al tempo stesso rappresenta la morte come qualcosa di infinitamente più implacabile rispetto alla lacrimosa tristezza di una scena di vanitas; Il Teschio di Diamanti è gloria pura”. Riflettiamoci! For the love of God è stato presentato nel 2007 presso la Galleria di Damien Hirst a Londra, e nel 2008 al Rijksmuseum di Amsterdam dove, viene riferito, furono più di 250.000 i visitatori: più di quanti andarono ad ammirare i Bronzi di Riace?

Damien Hirst, For the Love of God, teschio umano e diamanti/human skull and diamonds, 2007.


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Nuovissimo!

Su misura Sistem Costruzioni ha realizzato a Riva del Garda (TN) due identiche palazzine che, di tre piani fuori terra, sono totalmente costruite in legno. Si tratta di strutture verticali portanti e di solai in pannelli a strati incrociati e incollati XLam (compresi il vano scale e il vano ascensore fino al piano interrato), mentre la copertura è in legno lamellare. Per definire la struttura Sistem Costruzioni è intervenuta sopra il piano/cantina garage, realizzato in calcestruzzo armato, rendendo le palazzine pronte chiavi in mano, complete di impianti e finiture interne ed esterne. La tecnologia utilizzata è a secco, e i solai interni, come la copertura, sono stati realizzati posando successivi strati di materiali coibenti e fono-isolanti.Gli edifici, che ospitano 12 appartamenti ciascuno, sono stati certificati dall’Agenzia Casa Clima di Bolzano come Casa Clima A. I lavori di cantiere, iniziati nel marzo

2010, si sono conclusi nell’ottobre 2010 per la prima palazzina, e nel dicembre 2010 per la seconda. www.sistem.it

Acqua ed Energia, l’accoglienza secondo un percorso ideale dei prodotti e dei sistemi delle aziende espositrici, per consentire una visione particolarmente estesa e completa su quanto di più innovativo esiste in funzione del confort, dell’efficienza e del risparmio energetico. www.mcexpocomfort.it

Per esigenze specifiche Con tre nuove e singolari linee di intonaci, Gyproc Saint-Gobain razionalizza la storica gamma di prodotti a marchio Vic, e risponde alle esigenze dell’edilizia avanzata con: ecoVic, intonaci e finiture ecocompatibili; tecnoVic, prodotti tecnologicamente avanzati per la protezione dal fuoco, per l’isolamento termo-acustico e il risanamento; prontoVic, prodotti premiscelati a base cemento per un’elevata resa applicativa. Si tratta di un risultato importante che gratifica l’impegno di Ricerca & Sviluppo del Gruppo SaintGobain, determinato a offrire al mercato le

un migliore isolamento termico. Ciò ha portato le due aziende a realizzare infissi mai esistiti in passato: fermi a una portata che al massimo raggiungeva i 150 Kg, garantendo la massima versatilità in fase progettuale. Il sistema, ideato e progettato da Maico, consente di realizzare finestre e porte con funzione di anta e ribalta. www.forster.it

Comunicare eccellenze

Ottime premesse MCE – Mostra Convegno Expocomfort 2012, l’evento programmato dal 27 al 30 marzo 2012 in Fiera Milano, manifesta fin d’ora premesse indubbiamente incoraggianti grazie all’adesione già confermata dalle aziende impegnate nei settori relativi all’impiantistica civile e industriale, alla climatizzazione e alle energie rinnovabili, segnalando la necessità di un ampliamento dello spazio espositivo. Questi riscontri testimoniano segnali di ripresa del mercato e incoraggiano a considerare l’edizione del 2012 un appuntamento di rilancio dell’intera filiera produttiva e distributiva. Tra le iniziative ipotizzate anche un nuovo layout espositivo che prevede, nei 4 comparti dell’evento dedicati a Caldo, Freddo,

L’ennesima e innovativa proposta Tu.bi.fer, importatrice e distributrice per l’Italia dei profili per serramenti Forster in acciaio e acciaio inox, condivide con Maico, azienda leader nella produzione di ferramenta per serramenti, il successo di un innovativo sistema di ferramenta a nastro per finestre, dalla straordinaria portata di 180 Kg per anta. Si tratta di un risultato eccezionale che risponde alle esigenze di un mercato interessato a specchiature sempre più ampie, e quindi pesanti, garantendo sicurezza e una superiore luminosità agli ambienti, nonché

Si è ancora una volta affermata positivamente l’impostazione specialistica di Marmomacc Meets Design (MMD) che, giunta alla quarta edizione, si distingue, nell’ambito della 45ª fiera di Marmomacc a Verona, come la manifestazione più professionale e seducente del settore marmo e pietra in termini di progettualità, sistema produttivo, specialistico e per la comunicazione visiva. Il tema svolto nell’edizione 2010 è stato: “Irregolare – Eccezionale”, riferimento nel quale si sono misurate sette aziende rappresentative del contesto litico italiano, con la partecipazione creativa di designer internazionali. Tra le varie iniziative promosse ha riscosso una particolare attenzione l’intervento organizzato nella città di Varese che, grazie all’Accademia di Architettura di Mendrisio, è diventata location di un progetto di arredo urbano coordinato da Riccardo Blumer con un gruppo di studenti, impegnati a realizzare piccole edicole-sculture. La Regione Puglia ha invece scelto di puntare sui giovani

progettisti e ha dato incarico a noti designer come Luca Nichetto, Philippe Nigro, Thomás Alonso e Stefan Diez di approfondire le potenzialità e le qualità delle pietre locali (Apricena, Trani, Fasano, Lecce). La manifestazione è stata inoltre l’occasione per insignire del Best Communicator Award (premio assegnato ai migliori allestimenti), a quattro progetti distintisi in fiera. www.marmomacc.com

Riferimento per architettura e sport soluzioni edilizie più innovative. Questi speciali intonaci dimostrano in opera la loro qualità, e trovano applicazione nel residenziale, nell’industria e nel terziario, sia in nuove costruzioni sia per recuperi edilizi che richiedano, oltre alle alte prestazioni tecniche, qualità estetica. www.gyproc.it

Specializzato in superfici ceramiche e selezionato come riferimento privilegiato per gli impegni contratti con il grande sport (ha il logo sulla SpeedUp ed è Partner ufficiale con la McLaren), il Gruppo Del Conca si è recentemente distinto per le forniture prestigiose relative a interi quartieri residenziali in Corea del Sud, e per Le Coco Beach Hotel di Belle Mare sulla costa est di Mauritius. Inoltre, grazie al prestigio internazionale acquisito in termini di qualità tecnica e valore formale, il Gruppo si è confermato non solo come

riferimento per le progettazioni di pregio ma, in virtù di un marchio confermato, non ha subito ripercussioni significative nonostante la crisi dell’edilizia Infatti ha registrato un +10% nei primi 6 mesi del 2010, e la chiusura dell’anno 2010 prevede un fatturato di 137 milioni (+7%), a fronte di investimenti per 6 milioni di euro. www.delconca.com

complesso evidenzia, tra i materiali impiegati, calcestruzzi ad altissima resistenza con inerti riciclati provenienti da demolizioni o scorie d’altoforno. Per alcune pareti è previsto l’utilizzo di i.light®, il nuovo è già molto noto cemento trasparente Italcementi. Pannelli solari garantiranno l’acqua calda, mentre pannelli fotovoltaici verranno installati per la produzione

di energia elettrica pulita. Il Centro sarà inoltre dotato di un impianto geotermico in grado di garantire la perfetta climatizzazione interna mediante 51 pozzi che penetreranno il terreno per 100 metri, assicurando lo scambio termico del sottosuolo. Il rivestimento esterno dell’edificio verrà realizzato con TX Active®, il cemento mangia-smog Italcementi che riduce gli

inquinanti presenti nell’aria. i.lab Italcementi ha già ottenuto importanti riconoscimenti a livello internazionale fra i quali si distingue l’European Greenbuilding Award, assegnato dalla Commissione Europea nel maggio 2010. www.italcementigroup.com

Alta tecnologia “green” Progettato da Richard Meier, i.lab Italcementi è un Centro di Ricerca in costruzione, ideato per esprime il meglio delle tecnologie “Green” attualmente disponibili. Realizzato con l’impiego di materiali innovativi e alternativi, come richiesto dalla certificazione LEED (sistema di valutazione e sostenibilità ambientale per l’edilizia più autorevole), il nuovo

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Al via il premio Dedalo Minosse

Riflessioni postume

Si chiuderanno il 31 gennaio le iscrizioni relative all’ottava edizione (2010/2011) del Premio Internazionale Dedalo Minosse alla Committenza d’Architettura che, promosso da ALA – Assoarchitetti, indica nella figura del Committente il riferimento fondamentale e strategico del processo costruttivo. L’evento è stato precedentemente presentato nello Spazio Thetis - 12ª Biennale di Architettura di Venezia con il titolo: “Committente e Architetto tra internazionalizzazione e valorizzazione del territorio”. Aperto ai committenti pubblici e privati di tutto il mondo, il Premio seleziona e propone architetture connotate da una contemporaneità di qualità dove la figura del committente e quella dell’architetto sono imprescindibili. L’edizione 2010/2011 è programmata secondo il seguente calendario: - campagna di iscrizione: 11 ottobre 2010 - 31 gennaio 2011 - tavola rotonda: 23 giugno 2011

Con “Brasilia. Un’utopia realizzata.19602010”, è in corso, fino al 23 gennaio presso la Triennale di Milano, una mostra sulla capitale brasiliana a 50 anni dalla sua fondazione. Ne viene illustrata la storia intrigante e complessa, segnata dalle vicende politiche, culturali e sociali di un Brasile in grande fermento ed espansione. La rassegna è impostata secondo un percorso cronologico mediante documentazioni che, risalenti all’epoca coloniale, conducono all’oggi mettendo in evidenza materiale tecnico, documenti storici e segnalando aneddoti, storie personali nonché esponendo oggetti e testimonianze che rivelano esempi di esistenza quotidiana nella città. Vengono insomma approfonditi i presupposti che resero possibile un’impresa ciclopica e paradossale qual’è stata la realizzazione di una città-capitale, fondata secondo volontà moderne determinate a stravolgere regole e riferimenti a una continuità scontata. La mostra invita a riflettere sui tempi e gli sviluppi che segnano i contesti della città, intesa nei propri spazi e nella sua vitalità, per dibatterne le ragioni, i criteri

- conferenza stampa: 24 giugno 2011 - cerimonia di premiazione: 24 giugno 2011, Teatro Olimpico - inaugurazione mostra dei progetti premiati: 24 giugno 2011 – 20 settembre 2011 Palazzo Barbaran da Porto, sede del CISA-Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio. La scorsa manifestazione di Dedalo Minosse (settima), ha avuto come sedi celebrative il Teatro Olimpico di Andrea Palladio in Vicenza per la premiazione, e il Palazzo Valmarana Braga per l’esposizione in mostra dei progetti. Sono stati oltre 500 i candidati provenienti da 30 Paesi. La mostra, successivamente, ha seguito un tour itinerante che l’ha portata in città italiane tra le quali Bolzano, Salerno, Milano, Trieste, Bologna e Torino, e in città straniere quali Manila, Bruxelles, Vienna, Mosca, Berkley, San Francisco, Hanoi, Kiev e Riga. www.dedalominosse.org

progettuali e urbani nonché la vivibilità. Le sezioni che illustrano la mostra sono quattro, impostate secondo i diversi aspetti delle tematiche relative alla fasi che hanno determinato la nascita di Brasilia capitale, la sua realizzazione, le celebrazioni, le critiche, le contraddizioni e il significato attuale. www.triennale.org

Design per sviluppare cultura Si è svolto lo scorso novembre a Roma, organizzato dal ministero italiano della Pubblica Amministrazione e dal ministero cinese per la Scienza e la Tecnologia, un forum Italia-Cina sull’Innovazione che, in presenza del Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, il Vicepresidente della Commissione Europea Antonio Tafani, il ministro italiano per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta e il ministro cinese per la Scienza e la Tecnologia Wan Gang, ha indicato nel design un fattore di cultura e di sviluppo. Infatti una delle sessioni tematiche del Forum era intitolata “Dialogo sul Design” e affidata all’ADI – Associazione per il Disegno Industriale e alla Tongjj University

di Shanghai. Co-chair per l’Italia è stata Giovanna Talocci, del Comitato direttivo nazionale di ADI. I temi trattati hanno compreso il design dei servizi, la collaborazione tra Cina e Italia nel settore del design e la tutela del diritto d’autore. Tra i relatori italiani si sono alternati Luisa Bocchietto, Presidente Nazionale ADI, Massimo Arlechino, Presidente della Fondazione Valore Italia e Pasquale de Micco, del Ministero dello Sviluppo Economico. www.adi-design.org

Il controllo accessi L’insostituibile fiore all’occhiello della Business Line Site Protection di Gunnebo è sempre stato il controllo accessi che, rappresentato sin dall’inizio dai tornelli a tripode quale varco ottimale per tecnologia ed estetica, è tuttora protagonista del rinnovamento della gamma di tornelli a tripode con risultati eccellenti in termini di praticità, ingombro ridotto, robustezza e uso intuitivo - quali dogmi basilari. Le modifiche riguardano una sempre rigorosa ma accentuata ricercatezza che comprende la scelta dei materiali e delle finiture e, soprattutto, la possibilità di risolvere ogni esigenza e desiderio di personalizzazione e integrazione. Fra i nuovi modelli si evidenzia per rigore formale il nuovo TriStile, dal cassonetto a forma di elisse (TriStile EL) o con le estremità arrotondate (TriStile RO) che, con versione base in acciaio inossidabile, sono disponibili anche con coperchio in legno o in marmo. Il tornello consente il passaggio di una sola persona alla volta, previa autorizzazione da parte del sistema di controllo accessi; la direzione del passaggio e l’accessibilità sono segnatati da indicatori LED. TriStile può rimanere chiuso aprendosi al segnale di autorizzazione, o restare aperto chiudendosi solo in occasione di situazioni anomale.

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La configurazione “normalmente aperto”, oltre a limitare consumo, attrito e usura, aumenta anche la capacità di flusso. Di singolare rigore e ricercatezza anche i modelli della linea SlimStile che si evidenzia particolarmente con l’ultra compatto SlimStile BA nelle versioni con piedistallo o montato a parete, consentendo elevati livelli di sicurezza anche in situazioni di spazi angusti. Quale modello più notevole della gamma si distingue SlimStile EV ATT, per le prestazioni di sicurezza straordinarie consentite da fotocellula a sensore a raggi infrarossi per attivare un allarme in caso di passaggio non autorizzato, mentre il coperchio sensibile alla pressione e la funzione ITC (Improper Transit Control) eliminano le possibilità di scavalcamento. www.gunnebo.com

Anche la Grande Mela Manhattan evidenzierà, secondo l’accordo promosso da FederlegnoArredo e Cosmit con la collaborazione di ICE/ Istituto Nazionale per il Commercio Estero e il supporto del Ministero dello Sviluppo Economico per la promozione del sistema arredo italiano negli USA, il marchio “I Saloni Milano”. L’iniziativa-evento, in calendario dal 29 novembre 2010 al 6 gennaio 2011, ha preso il via all’insegna di “Italian Design Street Walking” che ha previsto un circuito costituito da 20 showroom di aziende italiane presenti a New York, caratterizzate da una comune immagine coordinata e curata dallo Studio Cerri & Associati. Ai commenti positivi e propositivi espressi per l’occasione da Carlo Guglielmi presidente Cosmit, si sono aggiunti quelli di Rosario Messina presidente di FederlegnoArredo che ha auspicato eccellenti esiti per la diffusione e conoscenza dell’arredamento italiano e di altre iniziative culturali contemporanee, che anticipano e promuovono l’anno dedicato al Design Italiano per i 50 anni del Salone del Mobile.

Nell’ambito dell’iniziativa è compresa, presso il Center 546, l’istallazione “Perchance to Dream” curata da Robert Wilson, che accosta videoritratti di Roberto Bolle (étoile del Teatro alla Scala) a immagini di elementi di arredo italiani. Di poderoso impatto anche il suggestivo allestimento dell’Ultima Cena di Leonardo interpretata da Greenaway che, riedizione della precedente installazione presentata a Milano nel corso del Salone del Mobile 2008, è in programma al Park Avenue Armory. Queste le aziende partecipanti: Artemide, B&B Italia, Boffi, Cesana, Flos, Flou, FontanaArte, Giorgetti, Glas Italia, Kartell, La Murrina, Lualdi, Luceplan, Matteograssi, Molteni & C. – Dada, Pedini, Poltrona Frau, Poliform – Varenna, Scavolini, Tre P & tre Più. www.cosmit.it

Oltre le ipotesi Lo scorso novembre 2010, presso l’Aula Magna dell’ISIA di Faenza, Elena Marinoni, Managing Director dell’istituto di ricerca GPF, ha trattato il tema “Tomorrow Now” che, considerati i veloci cambiamenti di un mercato fluido dove le tendenze del mercato dei consumi si trasformano rapidamente, considera essenziale anticiparne le conferme. E in questa direzione si sviluppano gli studi e le ricerche di Elena Marinoni e della società GPF, avvalendosi del trendwatching, un metodo di valenza internazionale che, per l’appunto,

opera in una rete di urbanwatcher (osservatori) in 25 città del mondo, quali riferimenti di maggior espressività e ricettività che anticipano le tendenze di massa. La Marinoni ha inoltre organizzato nel 2009 il Capri Trendwatching Festival, primo osservatorio di tendenze internazionali riunendo relatori come Alberto Abruzzese, Li Edelkoort, Bruce Sterling, e il guru Wired Chis Anderson. Tra le aziende che, attente allo Trendwatching, chiedono la collaborazione di GPF: Telecom, Enel, Fiat e Unicredit. Per ulteriori informazioni: www.isiafaenza.it.


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Paesaggi contemporanei Contemporary Landscapes Sophia Barbaux Jardins écologiques. Ecology, Source of Creation ICI Interface (ICI Consultants), Paris 2010, 720 ill. a colori, testi in francese e inglese, 320 pp Dopo Giardini creativi, pubblicato alla fine del 2008 per ICI Interface dove si delineava uno sguardo sul Festival Internazionale dei Giardini di Chaumontsur-Loire creati dal 1992 al 2008, questa nuova pubblicazione si concentra sull’ecologia, un soggetto particolarmente d’attualità sotto l’aspetto della progettazione del paesaggio. Esplorando nella sua dimensione ambientale la progettazione dalla scala del giardino al paesaggio, questo libro mostra che l’ecologia è una fonte di esperimenti scientifici e sociali, ma anche di creazioni: reali mediatori per sensibilizzare, incoraggiare al rispetto, massimizzare il riciclaggio, riqualificare, incitare la biodiversità, imparare a condividere, il giardino, così come il mondo. E’ una riflessione sull’ecologia come fonte della creazione contemporanea, sia formale sia pratica, che guida alla scoperta delle diverse concezioni, materiali e attori che a livello internazionale danno vita ai paesaggi “d’autore” di oggi. Messaggeri: gli artisti, architetti, architetti paesaggisti, urbanisti lo sono quotidianamente, dando forma e sostanza. Prospettico, ma ovviamente non esaustivo, questo panorama riunisce oltre 100 progetti internazionali, realizzati o no, dove alcuni non sono al 100% ecologici, ma scelti per la loro pertinenza. Da aree desolate a giardini condivisi, da progetti temporanei a parchi pubblici, da installazioni d’artisti a eco-quartieri, da aree gioco a cimitero-foreste... il lettore scopre le loro varie sfaccettature che partecipano all’interrelazione dei sensi e della coscienza estetica, o meglio l’indispensabile evoluzione delle nostre società. Le parole chiave, che definiscono ai vari capitoli del libro sono: Sensibilizzare, Rispetto, Ottimizzare, Riciclo, Riqualificare, Biodiversità, Condividere.

After Creative gardens, published at the end of 2008 for ICI Interface, which cast a glance at the International Garden Festival of Chaumont-sur-Loire created from 1992 to 2008, this new publication focuses on ecology, a matter that is especially topical from the point of view of landscape planning. By exploring the planning involved in what goes from a garden scale to the landscape in its environmental dimension, this book shows that ecology is a source of scientific and social experiments. Yet, it is also a source of creation, the real mediator that serves to build awareness of-, encourage respect for-, optimize the recycling of-, upgrade, foster biodiversity of-, and learn to share gardens, just like the world at large. The volume reflects upon ecology as a source of both formal and practical contemporary creation, leading to the discovery of the various concepts, materials and players who give life to “copyright” landscapes today. The messengers are artists, architects, landscape architects, urban planners… they are messengers on a daily basis, giving form and substance to their work. The book is a non-exhaustive survey of 100 planned or implemented international projects, where some are not 100% ecological, but were selected for their relevance. From desolate areas to shared gardens, from temporary projects to public parks, from artists’ installations to eco-districts, from play areas to forest-graveyards… the reader discovers the various facets of these places, which take part in the interrelation between senses and esthetic conscience, or the indispensable evolution of our societies. The keywords that defined the various chapters of the book are: Building awareness, Respect, Optimizing, Recycling, Upgrading, Biodiversities, Sharing.

Segnalazioni 20 anni di Miniartextil: 1991-2010 Vanilla Edizioni, Savona 2010, 3 volumi, 1836 pp Un’opera editoriale imponente e completa che celebra i 20 anni (1991-2010) di una manifestazione, Miniartextil, punto di riferimento della fiber art internazionale. Un cofanetto, impreziosito dalla serigrafia dell’opera “Tersicore_2010” dell’artista e cofondatore di Miniartextil, Mimmo Totaro, racchiude tre volumi che ripercorrono le tappe della storica manifestazione comasca indissolubilmente legata all’arte tessile. 1100 artisti, 2650 opere e 1836 pagine sono i numeri che avvalorano un’opera davvero unica. È inoltre disponibile, in tiratura limitata a 300 copie, l’edizione contenente il disegno originale di Mimmo Totaro, numerato e autografato. Volume, prodotto da Associazione Culturale Erodoto, presentato in occasione di Miniartextil 2010, Como (25 settembre - 21 novembre 2010). Stewart Brand Una cura per la Terra. Manifesto di un ecopragmatista

Traduzione di Fjodor Ardizzoia e Ilaria Spreafico Codice Edizioni, Torino 2010 Esplosione demografica, riscaldamento globale, inquinamento e urbanizzazione stanno cambiando il volto del nostro pianeta. Sono forze potenti, con conseguenze imprevedibili che potrebbero mettere a repentaglio la sopravvivenza della società così come la conosciamo oggi. Siamo insomma alle porte di una profonda trasformazione: il punto non è come evitarla, ma come affrontarla per evitare che ci travolga. E il modo migliore è lasciarsi alle spalle trent’anni di un dibattito pubblico troppo compromesso da ideologie e politicizzazioni e troppo poco informato, e dire le cose come stanno senza paura di essere ruvidi, scomodi, eretici. L’urbanizzazione è un fattore di sviluppo, e come tale va trattato. L’energia nucleare è oggi necessaria per liberarci dalla dipendenza dei combustibili fossili. Gli organismi geneticamente modificati non sono il “cibo di Frankenstein”, e potrebbero sfamare milioni di persone.

La geoingegneria, la scienza che interviene a modificare il clima, non va demonizzata. Non si tratta solo del passaggio a una nuova ideologia: è un cambiamento più profondo, è il totale abbandono di qualsiasi ideologia a favore del più lucido e laico pragmatismo. Ivan Leonidov1902-1959 a cura di Alessandro De Magistris e Irina Korob’ina Electa, Milano 2010, 370 ill., 324 pp Il volume restituisce, attraverso una raccolta di saggi e documenti, un profilo completo, articolato e inedito della vita e dell’attività di Ivan Leonidov, uno dei massimi esponenti dell’avanguardia e della cultura russa del Novecento, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, riconsiderandone il percorso creativo, professionale e la collocazione all’interno della vicenda architettonica russa e internazionale.

Qual è la differenza tra un ibrido, un’auto elettrica e una range extended? I biocombustibili sono davvero la soluzione? Tra metano e Gpl, quale inquina di meno? Arriverà mai il giorno in cui le nostre automobili saranno alimentate dall’energia solare? A queste e a molte altre domande risponde. Questo manuale che, dopo aver illustrato i danni all’ambiente provocati da un uso eccessivo dell’auto, presenta le alternative verdi e delinea una proposta di mobilità sostenibile in grado di ridurre traffico e inquinamento, facendoci risparmiare. Arricchito da 25 schede di auto ecologiche e da un inserto a colori dedicato ai prototipi, traccia un quadro aggiornato delle soluzioni già in commercio.

Roberto Rizzo Guida all’auto ecologica. I prodotti di oggi e le idee per il futuro Edizioni Ambiente, Milano 2010, 336 pp

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