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Cesare Maria Casati

E’ un sogno?

Is it a dream?

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n modo, almeno per noi, per riuscire a esorcizzare il pessimismo e la depressione che si sta diffondendo nel mondo finanziario, dopo aver scoperto che una legge della scienza risaputa da tutti, che “dal nulla non si crea nulla” e pertanto la creatività nell’economia è solo velenosa e distruttiva, sarà quello di approfittare con entusiasmo di tutte le occasioni per progettare e riprogettare il panorama fisico del pianeta. Un tema straordinario che chiama l’attenzione etica e creativa di tutti i progettisti che, nel corso degli ultimi secoli, hanno trovato sempre una palestra formidabile nella realizzazione, sempre in diversi Paesi, delle Expo Universali. Expo che hanno visto storicamente coinvolte le capacità precognitive e innovative della scienza, dell’industria e dell’architettura in un’unica arena dove nell’arco di soli sei mesi vengono presentati nella loro realtà fisica, e non virtualmente, gli ultimi traguardi raggiunti nel progresso democratico e civile dell’umanità intera. L’architettura, proprio perché l’Expo è una manifestazione reale, è sempre stata chiamata a rappresentare oltre a tutte le innovazioni strutturali e materiali, anche l’evoluzione nei vari Paesi del mondo, dei diversi linguaggi espressivi e le anticipazioni formali e scientifiche del prossimo futuro. Le architetture più contemporanee, concepite dai maestri del progetto e della costruzione in tutto il mondo con strutture metalliche e membrane trasparenti (spesso dimenticando la verticalità e la geometria) e che impropriamente definiamo “tecnologiche”, devono il loro linguaggio espressivo ed estetico ai loro lontani progenitori nati col Crystal Palace dell’Expo del 1851, la Torre Eiffel del 1889, l’Expo del 1929 di Barcellona e così via. Lascio al lettore di proseguire il gioco dell’albero genealogico nel ritrovare i “progenitori” che hanno dato origine allo stato attuale dei valori del progetto. Ecco quindi che occorre che i progettisti ritrovino l’entusiasmo tradizionale nel fornire idee e progetti per Expo di Milano del 2015, nonostante il grande silenzio che ancora l’avvolge. Sono sicuro che anche Milano, come sempre è avvenuto nel passato nelle diverse città che hanno ospitato e organizzato queste esposizioni universali, saprà lanciare una serie di concorsi internazionali e nazionali che possano coinvolgere tutti, dico tutti, senza trucchi o inganni. Certamente occorrerà partire da un concorso internazionale per il “master plan” dell’Expo che raccolga da tutto il mondo le migliori proposte e idee su come distribuire l’area della mostra e del possibile utilizzo dopo, in modo che tutte le infrastrutture e servizi necessari all’Expo siano poi utili anche alla città di Milano che in quell’area sicuramente si svilupperà. Subito dopo dovrebbero seguire tutta una serie di concorsi mirati ai vari edifici effimeri o perenni che evidentemente dovranno rappresentare la migliore capacità inventiva ed emozionale necessaria a chiamare, prima, milioni di visitatori e poi a lanciare i nuovi “geni” che dovranno impollinare i linguaggi architettonici del prossimo futuro. Non so se questo mio è un sogno ma spero vivamente che si avveri.

ne way, at least for us, to manage to shake off the pessimism and depression which is spreading through the financial world after discovering that a scientific law familiar to everybody (i.e. “nothing is created from nothing” and hence that creativeness in economics is just toxic and destructive) would be to enthusiastically take advantage of all those opportunities to design and redesign the physical landscape of our planet. An extraordinary topic attracting the ethical and creative attention of all those designers who, down the centuries, constantly discovered that World Expos held in all different countries were a great training ground for honing their skills. Expos which, historically, have drawn the precognitive and innovative skills of the science of industry and architecture into one single arena, where the latest achievements in the democratic and civil progress of the whole of mankind are presented as they are physically and not virtually, in the space of just six months. Because Expos are real events, architecture has always been expected to represent not just structural and material innovations but also the state of development of various countries around the world, various stylistic idioms, and the formal and scientific inventions of the near future. The latest cutting-edge projects designed by masters of design and construction working around the world, invented out of metal structures and transparent membranes often forgetting vertical thrust and geometry, which we incorrectly refer to as “technological”, owe their stylistic and aesthetic language to their very distant forerunners responsible for the Crystal Palace at the 1851 Expo, the Eiffel Tower from 1889, the 1929 Expo in Barcelona etc. I will leave it to our readers to trace back the genealogy of these “forerunners”, who laid the foundations for the current state of architectural design. Architects must rediscover that old-fashioned enthusiasm in order to come up with ideas and projects for Milan Expo 2015, despite the great silence presently enshrouding it. I am sure that, as has always been the case in the various cities which have hosted and organised these world trade fairs in the past, Milan too will manage to launch a number of international and national competitions getting everybody, and I mean everybody, involved with no tricks or deceptions. It will certainly take an international competition to design the master plan for the Expo, drawing in all the very best projects and ideas from all over the world about how to lay out the exhibition area and the put it to use after the event, so that all the infrastructures and services required for the Expo may then serve the city of Milan as it develops into that part of the city. Right after the event, there ought to be a series of competitions for the various temporary or permanent buildings, which will of course have to represent the most inventive and emotional ways of attracting millions of visitors and then spreading the new “genes” destined to pollinate the architectural languages of the near future. I do not know whether this is just a dream of mine, but I sincerely hope it comes true.

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Relazioni urbane Urban Relations

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redo che se si voglia avere, attraverso la lettura sintetica di alcune immagini, la chiara comprensione di come sia cambiato negli ultimi trent’anni il modo di porsi degli architetti rispetto allo spazio pubblico occorra andare all’ultima Biennale di Venezia e, precisamente, all’Arsenale. E’ là infatti che è allestita “Uneternalcity” accanto alla ricostruzione di una mostra di trent’anni più vecchia, “Roma Interrotta”, che la ha ispirata. “Roma Interrotta”, come alcuni ricorderanno, fu inaugurata nel 1978 ed ebbe un certo successo, almeno tra gli addetti ai lavori, perché proponeva una ricetta per le città che appariva efficace. Consisteva nella proposta di agire sui tessuti consolidati – nel caso: Roma e il suo centro – con interventi sui vuoti urbani e con lo scopo di ridisegnare una immagine che nasceva dal dialogo con la storia. A tal fine – non dimentichiamoci che erano gli anni dello storicismo e del post moderno – i progetti traevano ispirazione dalla forma urbana descritta dalla mappa settecentesca del Nolli. Uneternalcity parte da un presupposto diverso. E cioè che non sia più possibile ipotizzare un disegno unitario. Anche perché la città oggi non è solo quella storica consolidata ma ingloba il territorio metropolitano. Motivo per il quale bisogna ragionare non più in termini di fili stradali, composizione delle facciate, alternarsi di strade e piazze (sempre per ricordare: due anni dopo la mostra “Roma Interrotta”, fu lanciata da Portoghesi alla Biennale del 1980 la Strada Novissima e sono gli anni dei progetti dell’IBA a Berlino) ma più astrattamente: pensando, per esempio, all’organizzazione dei flussi, al recupero delle periferie ma senza l’ansia di conformarle come se fossero città ideali, ai progetti sostenibili, alle concrete esigenze degli abitanti i quali oggi comunicano in molti modi non tradizionali: per esempio via internet. Con il risultato che, pur apprezzando la città antica e le sue relazioni, non disdegnano di incontrarsi in un centro commerciale ubicato sulla tangenziale o di vedere uno spettacolo a casa piuttosto che a teatro. Contro questo modo di vedere e di concepire la città, problematico ma certamente stimolante e aderente ai tempi, si scagliano da sempre gli architetti tradizionalisti. Leon Krier, che era uno dei protagonisti di “Roma Interrotta”, è probabilmente uno dei più brillanti e dei più simpatici. E che le sue idee abbiano ancora un certo credito lo dimostra la fiducia del Principe Carlo d’Inghilterra di cui è stato uno dei consiglieri e delle numerose amministrazioni comunali che lo chiamano come consulente. Per un certo periodo, sembrava che ci fosse anche quella capitolina capitanata dal neosindaco Alemanno che pareva aver apprezzato le sue idee per trasformare in una città a misura d’uomo il quartiere dell’EUR. Vi è poi Vittorio Gregotti che non perde occasione di tuonare, dalle pagine di “Repubblica”, contro quella che lui chiama la maggioranza rumorosa. Alla quale – ma sarà proprio così? – imputa di avere una spiccata preferenza per la biennale di Betsky e di non godere le gioie del disegno urbano di quartieri quali la Bicocca a Milano o lo storico quartiere Zen a Palermo, da lui medesimo disegnati. Per quanto le critiche di questi ultimi personaggi appaiano ripetitive e, per molti aspetti, ingenue nella comprensione delle dinamiche – non tutte, come pretenderebbero loro, negative – che

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disegnano le metropoli contemporanee, resta il fatto che colgono un punto. E cioè che oggi, più che mai, si pone il problema dello spazio pubblico e del ruolo che devono assumere gli edifici che ospitano le attività destinate alla collettività. Due soluzioni sembrano profilarsi. La prima recupera, attualizzandola, l’idea di Colin Rowe di Collage City. Se non si può disegnare la città nel suo insieme almeno realizziamone dei frammenti. Oggi sarebbero meno disegnati di quanto avrebbe voluto il teorico inglese (che questa idea presentò anche nella mostra “Roma Interrotta”), ma comunque tali da avere un certo impatto metropolitano: come è successo con i Docks a Londra o, in forma di parodia, con le cosiddette nuove centralità a Roma. La seconda strategia punta agli edifici icona, pensati come stimolatori e facilitatori del cambiamento. È quello che è successo con il sin troppo citato Guggenheim di Bilbao o con l’auditorium di Renzo Piano a Roma. E, nella sua versione liberista, continuamente succede a Tokyo dove l’edificio landmark stimola all’emulazione i developer dei lotti vicini. Questa seconda soluzione appare sicuramente più semplice, anche perché bypassa alcune problematiche legate alla gestione dei piani. E non è detto che i risultati che produce siano peggiori. Infatti, come ci mostra la storia passata, alcuni quartieri eccessivamente disegnati sono alla fine deprimenti mentre aree a debole coefficiente di pianificazione (debole, non nullo) sono vitali. Bisogna però chiarire un possibile equivoco che consiste nel pensare che basti progettare un’icona riuscita per migliorare il contesto urbano. Ciò non è affatto vero. Anzi, come ci dimostra proprio il Guggenheim di Bilbao, per funzionare come catalizzatori del cambiamento gli edifici devono rispondere ad almeno tre requisiti. Il primo è che siano pensati all’interno di una strategia urbana di un certo respiro. Il secondo è che siano gestiti da un organismo all’altezza. Per capirci la fondazione Guggenheim e non i burocrati di un ministero. Senza queste condizioni, infatti, l’edificio sarebbe, infatti, diventato in breve tempo un cumulo di ammassi ferrosi, così come, senza il supporto dello stato francese, lo sarebbe diventato il Pompidou a Parigi. Il terzo è che l’edificio attivi relazioni con l’intorno. Qualcuno ha sostenuto che il Guggenheim di Gehry fosse un’astronave caduta dal cielo. Affatto. L’edificio è stato progettato per attivare un dialogo serrato con il fiume che lo lambisce, con il ponte che collega le due rive, con la città ottocentesca sulla quale si apre, con la città antica rispetto alla quale si pone come antipolo. Lo stesso si può dire per numerosi edifici-icona realizzati da Hadid, Tschumi, Libeskind, Koolhaas e altri protagonisti della ricerca architettonica. Ciò non toglie, però, che, soprattutto negli ultimi periodi, gli architetti dello Star System, disorientati dal loro stesso successo e oberati dai troppi numerosi incarichi, si siano lasciati andare preferendo la facile scappatoia dell’edificio firmato a quella del buon progetto. A volte, sono gli stessi developer a imporre le scorciatoie. Certo è che, come mostrano i progetti che in questo numero della rivista presentiamo, le strade sono tante e il dibattito rimane aperto. Luigi Prestinenza Puglisi


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f you want to get a clear idea of how the way architects relate to public spaces has changed over the last 30 years by taking a quick look at some pictures, then I think you need to go to the latest Venice Biennial and, more specifically, to the Arsenal. That is where the “Uneternalcity” exhibition is on display alongside a reconstruction of an exhibition held 30 years earlier, “Roma Interrotta”, which inspired it. As some people will remember, “Roma Interrotta” opened in 1978 and was reasonably successful, at least with the experts, because it proposed what seemed to be an effective recipe for cities. It suggested a means of taking action on well-established urban fabrics, specifically Rome and its city centre, by means of projects designed for empty urban spaces intended to redesign an image based on interaction with history. In order to achieve this - let's not forget that that was the period of historicism and the postmodern movement - the projects drew inspiration from the urban form depicted in Nolli’s 18th-century map. “Uneternalcity” works on a different assumption or, in other words, on the fact that a unitary design is no longer possible because today's city is not just that familiar well-established historical site but also encompasses the metropolitan borough. That is why reasoning in terms of rows of streets, facade designs and alternating roads and squares (for the record, two years after the “Roma Interrotta” exhibition, Portoghesi launched the Strada Novissima at the 1980 Biennial and that was also the period of the IBA projects in Berlin) is no longer feasible and a more abstract approach must be adopted: thinking, for example, about the organisation of flows, regenerating the suburbs (but without worrying about conforming them as if they were ideal cities), sustainable projects and the real needs of the city's inhabitants, who now communicate in hitherto unconventional ways: for example, on the Internet. This means that, while still admiring the ancient city and its various relations, people are quite happy to meet up in a shopping mall located out on a highway or to watch a show at home or at the theatre. Conservative architects are inevitably against this new way of seeing and envisaging the city, tricky but most definitely stimulating and up-to-date. Leon Krier, who was one of the leading figures of “Roma Interrotta”, is probably one of the most brilliant and friendliest of the old school and the fact that his ideas still have some credit is shown by the trust Prince Charles of England placed in him (by appointing him to be one of his consultants) and all the various borough councils which have asked for his advice. At one point it even seemed that the new Mayor of Rome, Mr Alemanno, might even choose his ideas to transform the EUR neighbourhood into a people-friendly fragment of cityscape. Then there is Vittorio Gregotti, who never misses the chance to criticise what he calls the noisy majority when writing for the “Repubblica” newspaper. He accuses this majority – but is he right? – of showing a distinct preference for Betsky’s Biennial and of not appreciating the urban design of districts like Bicocca in Milan or the historic Zen district in Palermo, which he himself designed. However repetitive criticism from these characters might seem and, in many respects, naive in terms of understanding the dynamics –

which are not all, as they claim, negative -– underpinning the design of modern-day metropolises, it cannot be denied that they hit the mark. In other words, the obvious fact that today, more than ever, we need to tackle the issue of public space and the role which buildings catering for community activities are supposed to play. Two solutions appear to stand out. The first draws on and updates Colin Cowe’s idea for a Collage City. If it is, in fact, impossible to design the city in its entirety, let's at least construct some fragments. Nowadays cities are less designed than this English theoretician would like (he first presented this idea at the “Roma Interrotta” exhibition), but they are sufficiently well-designed to have a certain metropolitan impact: as in the case with the Docks in London or, in the form of parody, the so-called “new central locations” in Rome. The second strategy focuses on iconic buildings designed to stimulate and encourage change. That is what has happened with the far too often quoted case of the Guggenheim in Bilbao and Renzo Piano’s Auditorium in Rome. And, in a sort of liberalist rendition, it is what constantly happens in Tokyo, where landmark buildings encourage developers to copy their approach on nearby building lots. This second solution seems to be much simpler, partly because it bypasses certain problems connected with managing building plans. And it does not necessarily mean that the end results are any worse. In actual fact, as past history shows, certain over-designed neighbourhoods are ultimately depressing, while areas with low planning coefficients (low, not nil) are lively. Nevertheless, it must be emphasised that designing an icon is not enough to improve its urban setting. That is quite untrue. On the contrary, as the Guggenheim in Bilbao clearly shows, buildings must meet at least three requisites if they are to trigger off change. Firstly they must be designed as part of a far-reaching urban strategy. Secondly they must be managed by a competent body, such as, in the aforementioned case, the Guggenheim Foundation and not bureaucrats from some ministry. Without satisfying these conditions, the said building would, in no time at all, have become a pile of metal, as would have been the case with the Pompidou Building in Paris without the backing of the French Government. The third requisite is that a building must trigger off relations with its surroundings. Somebody once said that Gehry’s Guggenheim was like a spaceship fallen to earth. Not at all. The building was designed to set up closely tied relations with the river running past it, with the bridge connecting the two banks, with the 19th-century city it opens up to, and with the ancient city it stands in contrast to. The same may be said of various icon-buildings designed by Hadid, Tschumi, Libeskind, Koolhaas and other leading exponents of architectural research. Nevertheless, over recent times the architects of the Star System, disoriented by their own success and overloaded with too many commissions, have tended to opt for the easy way out of designing a signature building rather than a good project. Sometimes, it is the developers themselves who have imposed these shortcuts. One thing for certain is that, as can be seen from the projects presented in this issue of the magazine, there are plenty of options available and it is still very much an open issue.

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9J9K ;@ADD <9J9 F99K Heneghan Peng Architects

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a Contea di Kildare e il Comune di Naas, in Irlanda, hanno voluto riunire in un’unica collocazione centrale i propri uffici per rendere più accessibili ed efficienti i servizi offerti al pubblico. A tale scopo hanno bandito un concorso, vinto da Heneghan Peng Architects, per realizzare la nuova sede in un’area di 32.900 metri quadrati, precedentemente occupata da caserme, nei pressi del centro della cittadina di Naas. Oltre agli uffici per 420 impiegati, a una sala consiliare per la Contea e una per il Municipio, si richiedeva un parcheggio per 430 automobili, e un alto grado di accessibilità e sostenibilità ambientale. Il nuovo edificio è stato organizzato come parte e prolungamento di un nuovo giardino pubblico che dalla centrale Limerick Road risale in leggero pendio. Questo parco viene concluso dalle due stecche sfalsate che ospitano gli uffici, unite da un volume trasversale, permeabili alla luce e alle viste sulla città. Le due stecche, con struttura di cemento armato a vista, sono caratterizzate, sui lati rivolti verso l’esterno, da facciate vetrate con pannelli singoli di diversi gradi di opacità e trasparenza, protetti da frangisole e sistemi di oscuramento che consentono di regolare il clima interno. Sui lati che si affacciano sul giardino centrale, le facciate sono schermate da una parete continua di vetro a tutta altezza i cui pannelli sono serigrafati con motivi vegetali che creano all’interno un’atmosfera accogliente e una sensazione di ombreggiamento naturale. All’interno, l’elemento di riferimento principale è la lunga rampa che, a partire dal giardino e dall’atrio di ingresso, collega tutte le funzioni dell’edificio risalendo i vari piani lungo le facciate: una vera strada pubblica interna, ma aperta verso la città.

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Hisao Suzuki

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ounty Kildare and Naas Town Council in Ireland decided to combine their offices in one single central location, in order to make the services they offer the general public more accessible and efficient. With this in mind, they organised a competition, which was won by Heneghan Peng Architects, to build their new headquarters on an area covering 32,900 square metres, previously housing barracks, close by the town centre of Naas. In addition to offices for 420 staff, a council chamber for the County Council and another for the Borough Council, the project also included a car park for 430 vehicles and was designed to provide a high degree of accessibility and environmental sustainability. The new building is constructed to be part of (and an extension to) a new public garden, which rises up a gentle slope from centrally located Limerick Road. The park ends with two staggered blocks holding the offices, joined together by a transversal structure which is permeable to light and opens up views of the city. The two blocks, with exposed reinforced concrete structures, feature glass panels on the sides facing outwards composed of single panels of different degrees of opacity and transparency, sheltered by shutters and screening systems allowing the climate inside to be carefully controlled. The facades along the sides facing onto the central garden are sheltered behind a fullheight curtain wall, whose panels are serigraphed with vegetablestyle patterns creating a warm and welcoming atmosphere inside and a sense of natural shading. The most distinctive feature on the inside is the long ramp, which, starting from the garden and entrance lobby, connects together all the building functions as it rises up the various levels along the facades: an authentic internal public road, which also opens up to the city.


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Nella pagina di apertura, la piazza pubblica davanti all’ingresso dei nuovi uffici della Contea di Kildare e del Municipio di Naas, realizzati su un piano leggermente inclinato che forma un nuovo parco pubblico. Nella pagina a fianco, vista notturna dell’ingresso

principale con in evidenza lungo le facciate l’elemento di circolazione principale costituito dalla rampa. Sopra, sezione attraverso l’atrio e la sala consiliare verso sud. Sotto, pianta del primo piano. In basso, planimetria generale.

Opening page, the public square in front of the entrances of the new offices of Kildare County Council and Naas Borough Council, built on a gently sloping level which also forms a new public park Opposite page, night-time view of the main entrance

showing the main circulation feature along the facades formed by a ramp. Above, cross-section of the lobby and council chamber over towards the south. Below, ground floor plan. Bottom, site plan.

Credits Project: Heneghan Peng Architects Associated Architects: Arthur Gibney and Partners Engineering: RFR Glass facades: Eiffel Client: Kildare County, Naas Town Council

1. Uffici/Office 2. Sala riunioni/Meeting room 3. Banchi servizio/Service counters 4. Sala d’attesa/Waiting area 5. Area bambini/Children’s area 6. Camera di Consiglio/Council Chamber 7. Sala stampa-galleria pubblica/Press-public gallery 8. Sala comitato/Committee room 9. Area espositiva/Exhibition area

1. Via pedonale attraverso il Parco Comunale/Pedestrian route through Civic Park 2. Giardino superiore/Upper garden 3. Parco Comunale/Civic Park 4. Ingresso principale dell’edificio/Main building entrance 5. Padiglione Lanterna conservato/Retained Lantern Building 6. Via pedonale dal parcheggio/Pedestrian route from car park

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Sopra, vista dal giardino sud con la rampa e gli schermi inclinati delle facciate interne che formano una corte interna. A sinistra, sezioni longitudinale e trasversale dell’edificio che collega le due stecche.

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Above, view from the south garden showing the ramp and sloping screens of the internal facades forming an interior courtyard. Left, longitudinal and cross sections of the building connecting together the two blocks.


Sopra, vista della via pedonale che attraverso il nuovo Parco Comunale conduce all’ingresso principale dell’edificio. Sotto, la facciata sud della stecca ovest, con i pannelli vetrati di diversa gradazione

di trasparenza e opacità.

Above, view of the pedestrian path crossing the new Borough Park to the main entrance of the building. Below, the south facade of the west

block showing the glass panels with different degrees of transparency and opacity.

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Nella pagina a fianco, particolare della rampa. La rampa è concettualmente un’estensione del pavimento sebbene la sua superficie di legno contrasti con quella di pietra e moquette dell’atrio e

dell’attacco della rampa stessa. Sopra, particolare dello schermo vetrato della stecca ovest.

Opposite page, detail of the ramp. The ramp is conceptually an extension of the floor,

although its wooden surface contrasts with the stone and carpet of the lobby and point where the ramp itself is attached. Above, detail of the glass screen belonging to the west block.

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F9LAGF9D L@=9LJ= :=ABAF? Paul Andreu

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l progetto si iscrive nel cuore di Beijing, a circa 500 metri da Piazza Tien An Men e dalla Città Proibita. E’ un edificio di circa 1.500 metri quadrati di superficie totale individuato da un volume bombato che emerge come un’isola al centro di un lago. Il guscio rivestito in titanio è un mega ellissoide di 213 metri sull’asse principale, 144 metri su quello minore e un’altezza di 46 metri. Una vetrata curva di 100 metri di base seziona in due il volume. Di giorno, permette d’illuminare l’interno dell’edificio; la notte, ne rileva il contenuto. Al suo interno sono riunite le tre sale di spettacoli, un’Opera di 2.416 posti, una sala per concerti di 2.017 posti, un teatro di 1.040 posti. Per accedere all’edificio, il pubblico deve attraversare una galleria trasparente lunga 60 metri, costruita sotto il bacino in modo da lasciare intatta la sagoma esterna dell’edificio. Lo spazio pubblico interno, aperto a tutti, è quello di un quartiere urbano con strade e piazze, zone commerciali, ristoranti e zone di riposo e d’attesa. I vari luoghi di spettacolo si affacciano su questo spazio. Al centro del progetto, l’Opera è l’elemento principale, il teatro e l’auditorium la affiancano sui due lati opposti. Il volume dell’Opera è avvolto da un tessuto in metallo dorato, opaco in corrispondenza degli ambienti non illuminati, e parzialmente trasparente davanti alle altre zone creando un senso di profondità. Tutto il progetto è quindi un gioco di involucri successivi, di passaggi e attraversamenti, di trasperenze e di luce. Così il titano all’esterno è doppiato con una pelle interna di legno rosso, l’Opera protegge la sua sala rivestita d’un rosso acceso con una maglia dorata che si fa trasparente, i volumi dell’auditorium e del teatro si rivelano per il loro involucro argenteo. All’ultimo piano sotto il tetto, un foyer offre una panoramica a 360° sulla città.

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Fred Hutchinson

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he project is set in the heart of Beijing, approximately 500 m away from Tein An Men Square and the Forbidden City. The building covers a total area of approximately 1500 square metres and features a rounded structure emerging like an island in the middle of a lake. The titanium-clad shell is a giant ellipsoid measuring 213 m along the main axis, 144 m along a minor axis and is 46 m tall. A 100 m curved glass window at the base cuts the curve in two. During the daytime, it allows light to flow into the building; at night-time it reveals what is going on inside. The interiors are composed of three entertainment halls, an opera theatre with 2,416 seats, a concert hall with 2,017 seats, a theatre with 1,040 seats. To enter the building the general public has to walk through a transparent arcade, which is 60 m long, constructed below the basin to ensure the building’s outside outline is left intact. The interior public spaces, open to everybody, is like an urban neighbourhood with streets and squares, shopping areas, restaurants and relaxation/waiting areas The various entertainment facilities face onto this space. The opera hall in the middle of the project is the main feature, the theatre and auditorium are set along its two opposing sides. The opera house structure is enveloped in a golden metal fabric, which is opaque near those premises which are not lit up, and partly transparent by the other areas creating a feeling of depth. The entire project is an interplay of successive shells, landscapes, passageways, transparency and light. The titanium on inside is doubled up by an internal skin made of red wood. The opera hall’s red colour is embellished with a golden web that turns transparent, the auditorium and theatre stand out for their silver-coloured shell. A foyer on the top floor beneath the roof allows the to enjoy a 360° panoramic view across the city.


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Nelle pagine precedenti, il volume in titanio grigio e vetro del Gran Teatro Nazionale di Cina a Beijing che emerge al centro di un lago, come un’isola nel cuore della capitale. Il vetro svela l’edificio come una tenda che si apre mostrando il suo contenuto: teatri, spazi espositivi e dove passeggiare. Il titanio protegge e riveste, crea zone d’ombra più segrete. In questa pagina, a sinistra planimetria dell’area dove sorge il Gran Teatro Nazionale, in basso pianta del livello -7 e planimetria generale del complesso che ospita l’Opera di oltre 2.400

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posti, una sala concerti di oltre 2.000 posti e un teatro di oltre 1.000. Nella pagina a fianco, lo spazio pubblico protetto dalla grande vetrata curva di 100 metri di lato alla base che taglia in due il guscio in titanio.

Previous pages, the grey titanium and glass structure of the Chinese Grande National Theatre in Beijing, which emerges from the middle of a lake like an island in the heart of the capital city. The glass reveals the building like a curtain drawing back to show what lies behind it: theatres, exhibition

spaces and passageways. The titanium, which protects and coats, creates more segregated shadowy areas. This page, left, site plan of the area where the Grande National Theatre stands, bottom plan of level -7 and site plan of the complex holding the 2,400seat opera hall, an over-2,000-seat concert hall and a theatre with seating for over 1,000. Opposite page, the public area sheltered behind the 100 m curved glass window alongside the base cutting the titanium shell in two.


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Nella pagina a fianco, particolari costruttivi e assonometria della struttura del mega ellissoide del volume esterno di 213 m (asse principale)x144 m (asse minore)x46 m (altezza). In questa pagina schizzi di progetto, assonometria della galleria di ingresso del pubblico che corre sotto il lago e del sistema di organizzazione del complesso.

Opposite page, construction details and axonometry of the structure of the mega ellipsoid of the outside volume measuring 213 m (main axis) x 144 m (minor axis) x 46 metres (in height). This page, project sketches, axonometry of the public entrance arcade running under the lake and system for organising the complex.

Credits Project: Paul Andreu Assistant: François Tamisier (ADPi) avec Hervé Langlais International Department: Alain Le Pajolec (ADPi) Engineering: Felipe Starling (ADPi) Structure and technical studies: Setec Acoustic: M. Vian (CSTB) Scenography: M. Rioualec Artistic Consutlant: Mme Ruling Zhang Blein Model: Artefact Illustrations: AXYZ, Antoine Buonomo, Bernard Dragon, Hervé Langlais Client: The Grand National Theatre Committee

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In alto, particolare della struttura vetrata che si apre nel volume di titanio. A destra, l’involucro del guscio in titanio è rivestito all’interno da una pelle in legno rosso scuro, e qui a fianco, la sala concerti.

Top of page, detail of the glazed structure opening up inside the titanium block. Right, the titanium shell is clad on the inside by a dark red wooden skin and, opposite, the concert hall.

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Sopra, la sala del teatro e a fianco, la sala dell’opera rivestita di un rosso acceso.

Above, the theatre hall and, opposite, the opera hall covered in a bright red colour.

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Silvio d’Ascia, Tecnosistem

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Barbara Jodice

l progetto di ammodernamento e completamento della Stazione di Montesanto, tappa importante del Piano Regionale dei Trasporti e nodo centrale della futura Metropolitana Regionale, risponde a un duplice e ambizioso obiettivo: trasformazione e rifunzionalizzazione della Stazione storica in moderno nodo intermodale fra trasporti regionali e metropolitani, rinnovando l’interpretazione dell’edificio stazione da “non luogo” a moderno Polo di Scambio polifunzionale a scala urbana, regionale e territoriale; attivazione di un processo di riqualificazione urbana del centro storico circostante a partire dalla trasformazione dell’edificio antico della stazione in moderno “faro” del quartiere, testa di ponte di un potenziale dispositivo collinare di attrezzature culturali di straordinaria qualità (Trinità delle Monache, Certosa di San Martino, Castel Sant’Elmo). Il progetto ha previsto la necessaria demolizione delle numerose e progressive superfetazioni realizzate nel corso del XX secolo ai vari livelli della stazione e il fedele restauro stilistico e il consolidamento statico dell’antico corpo di fabbrica originario realizzato nel 1889: il portico centrale con loggiato superiore con struttura in ghisa e i due torrini laterali in muratura di tufo. Partendo dall’analisi di immagini d’epoca e dall’archivio fotografico della Sepsa è stata compiuta la riapertura delle due ali laterali del portico di ingresso preesistente della facciata principale, come nella sua configurazione originaria, per favorire la permeabilità funzionale e visiva tra l’edificio della stazione e la rinnovata piazza Montesanto, parzialmente pedonalizzata. La realizzazione di un’ampia hall vetrata al piano banchine, zona d’attesa comune, è stata ottenuta ripetendo tre volte la restaurata loggia Liberty – balcone urbano su piazza Montesanto – con un sistema di tre

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capriate longitudinali in acciaio e vetro che reiterano la sagoma della struttura antica preesistente differenziandosi dall’originaria per l’uso di un sistema strutturale diverso: capriatine Polenaceau per le nuove e ad arco per l’originaria. Attraverso l’integrazione funzionale e fisica delle due stazioni della funicolare esistenti – Sepsa Funicolare ANM – fino a ieri separate, in un unicum spaziale e volumetrico, è stata garantita una maggiore fluidità dei percorsi e è stato utilizzato un’intermodalità chiara ed efficace. La hall alta della loggia storica come spazio di arrivo in comune con il sistema di trasporti regionali. Il nuovo volume esterno in struttura d’acciaio e lamelle di vetro autopulente per la Funicolare, disegnate seguendo il ritmo orizzontale delle bugne del torrino storico sul fronte nord, si propone come nuovo elemento qualificante l’intervento a scala urbana, come nuova facciata longitudinale della stazione sagomata dalla diagonale dei flussi in uscita della Funicolare. Il volume introduce con la sua sagoma dinamica il sistema di risalita collinare del fianco nord delle antiche murature Vicereali verso la collina del Vomero. Nell’ambito dei lavori della stazione si è potuto integrare il design di elementi di arredo e segnaletica con l’obiettivo della definizione e la concezione di un manuale della segnaletica dell’insieme dei trasporti pubblici delle due reti di trasporti regionali della Campania usando Montesanto come caso campione con l’elaborazione di un esempio di POG, Plan d’Organisation de la Gare. Lo scopo del progetto studio è di generare una segnaletica funzionale, semplice a capirsi, omogenea e moderna, cercando prima di tutto di creare qualcosa di realizzabile e al tempo stesso innovativo per l’insieme delle stazioni delle linee regionali.


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he project to modernise and complete Montesanto Station, an important part of the Regional Transport Program and focal point of the future Regional Underground system, serves two ambitious purposes: to transform and re-functionalise the old station into a modern intermodal hub for regional and metropolitan transport, re-interpreting a station building from being a “non place” into a modern multipurpose urban, regional and territorial-scale Interchange; this will also trigger off a process for redeveloping the surrounding historical city centre by transforming the old station building into a modern “beacon” in the neighbourhood, the bridgehead for a possible hillside package of cultural services of extraordinary quality (Trinità delle Monache, Certosa di San Martino, Castel Sant’Elmo ). The project necessarily involved knocking down numerous superfetations constructed during the 20th century on various station levels and faithfully stylistically renovating and statically reinforcing the original construction built in 1889: the central gateway with an upper arcaded loggia with a cast-iron structure and two small side towers made of tuff masonry. Working from a study of period pictures and photographs from the Sepsa archives, the two lateral wings of the old entrance gate on the main facade was reopened in its original layout, in order to foster functional and visual permeability between the station building and revamped Piazza Montesanto, now partly pedestrianised. Hall. The construction of a spacious glazed hall at platform level, a public waiting area, was achieved by reiterating three times the restored Liberty-style loggia – an urban balcony overlooking Piazza Montesanto

In queste pagine, immagini d’epoca (1890 circa) della Stazione Montesanto a Napoli e dell’attuale Stazione recentemente restaurata. Particolare attenzione è stata riservata al design della segnaletica e degli arredi.

These pages, period pictures (around 1890) of Montesanto Station in Naples and of the station as it is today after recently being renovated. Special attention was focused on the design of the signposting and furnishing.

– drawing on a system of three steel and glass longitudinal trusses, which reproduce the outline of the old structure, differing from the original in that a Polanaceau mini-truss system has been for the new loggia and an arched loggia for the original. Funicular Railway. The two old stations – Sepsa Funicolare ANM – have been functionally and physically integrated (until now they were two separate entities) into one single spatial and structural unicum, thereby guaranteeing more fluid pathways and clear and efficient intermodality using the tall hall of the old loggia as an arrivals space shared with the regional transport system. The new outside structure made of a steel structure and self-cleaning glass lamellas for the Funicular Railway, designed following the horizontal pattern of the ashlars of the old tower on the north front, provides a new feature enhancing the urban-scale project, as does the new longitudinal station facade shaped by the diagonal flows leaving the Funicular. The dynamic design of the structure leads through to the uphill transportation system on the north flank of the old Vicereali walls facing towards Vomero hill. Signposting and furnishing. Work on the station also encompasses the design of signposting and furniture, in order to devise and design a signposting handbook for all public transport services on the two regional transport networks in the Campania region, using Montesanto as a test case by developing an example of POG, Plan d’Organisation de la Gare. The aim of the study project is to create practical signposting, which is easy to understand, standardised and modern, trying first and foremost to invent something which can actually be produced and which is, at the same time, something innovative for all the stations on the regional lines.

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Nelle pagine precedenti, schizzi di progetto di Silvio d’Ascia. Tra gli obiettivi dell’intervento, l’attivazione di un processo di riqualificazione urbana del centro storico circostante. Dettaglio di uno spazio interno della Funicolare corrispondente alla grande vetrata. In basso due sezioni del complesso.

Detail of an interior space of the Funicular by the large glass front. Bottom, two sections of the complex. Previous pages, project sketches by Silvio d’Ascia. The goals of the project included triggering off a process of urban redevelopment in the surrounding historical city centre.

In questa pagina, planimetria generale, piante e sezioni. Il nuovo funzionamento del complesso prevede la netta separazione dei flussi di ingresso.

This page, site plan, plans and sections. According to the new way in which the complex functions, the entrance flows have been clearly separated.

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Credits Project: Silvio d’Ascia (mandator), A.T.I.: Tecnosistem (team leader mandatary) Collaborators: M.Boenders, R.Camarda, A.Cossin, D.Dorell, A.Rocca (images), T.Raynaud (video), A.Cornuau, F.Levêque, M.Roggwiller, E.Macor Rosa, J.Edwards-Ibarra, V.Benini, A.Dubouz, E.Seif, C. de Sainte Marie Engineering: Tecnosistem (Gianfranco Fiore) Project responsibles: G.Paone, M.Damonte, E.Franco Strucutural Works: F.Cavuoto, G. Falconio Transports Studies and Flows Models: Sintra Worksite Secutiry: Ing. Falcone Process Responsible: Armando Allagrande Works Management: L.Campobasso

Project and Execution Concessionary: A.T.I.: Costruire (team leader mandatary), I.G.C. 2 Ingegneria e Costruzioni Generali (mandator) Metal Structures and Metal Works Funicular: Castaldo Under-foundations: SI.CO.S. Facade Cladding and Funicular Sunscreening: Outokumpo, Sheet; Acciai Vender; Otefal; Saint Gobain Glass Building “A” Glass Roof: Saint Gobain Glass; Marcegaglia; Bodega Platforms Roof: Italves Protect; Kerafix 2000; Saint Gobain Glass Metal sub-structures: Sideralba, Industrie sideurgiche Ilva Bridge Building: Saint Gobain Glass; Promat Glass Partitions: Pilkington Walls and Internal Partitions: Gasbeton, Cad, Mapei; BPB Rigips, Placopatre Italiana; BPB Italia Frameworks: Dierre, Ninz, Locher; Besam; AZ Perasole Flooring and Cladding: Fiengo Ceramiche, Casalgrande Padana, Teknofloor, Atlas Concorde, Labor Legno, Meridionali Grigliati, Ceramica Ligure False Ceilings: Armstrong, Guerrasio, BPB Italia Waterproofing: Divisione Imper Electrical and Special Plants: A.T.I.: Duesse Impianti. – S.M.AG. Multimedia (installer); ABB SACE; Panasonic; Bosch; Notifier Italia Lighting Systems: Zumtobel, iGuzzini, Schreder Air Conditioning: Climaveneta, Sabiana Security: Nexera Tickets Supervision and Control: Automation Service impianti Turnstiles and Automation: Firema Trasporti Escalators and Lifts: Thyssen Krupp Elevator Signals and Furniture: Carannante Triax Automation: Linea Città Multimedia Interactive Kiosks: IPM Group Consolidation Works for the Linking Tunnel: Consorzio Icotekne Railways Equipment: Simeone e Figli; Nuova Elettrofer; Cief Sud Ferrovie Cumana e Circumflegrea User Company: S.E.P.S.A. (Presidente Raffaelo Bianco) Client: Commissariato Straordinario di Governo, art. 11 - Legge 887/1984; Presidente della Giunta Regionale della Campania: Antonio Bassolino; Assessore ai Trasporti Regionali: Ennio Cascetta

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In alto, la vetrata della Funicolare e una vista della copertura.

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Top, the glass front of the Funicular and a view of the roof.


In alto, interno della Funicolare e, sopra l’edificio ponte sospeso sopra i binari allestito come open space polivalente.

Top, the interior of the Funicolar, and above, the building bridging over the rail tracks, which is a multifunctional open space.

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Studio Damilano

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erritorio, Città, Periferia, Natura: sono soprattutto luoghi ma anche “oggetti” con cui giocare senza eluderne la destinazione abitativa. “Coni rovesci” è un esempio di gioco intrigante, pone il progetto di architettura su un piano ludico estremamente creativo. Si tratta di un contenitore, o meglio, una grande teca in cui si svolge un racconto per immagini, una storia di oggetti urbani ma anche frammenti di paesaggio, suggestioni, emozioni ripescate nella memoria collettiva e personale. Il complesso – formato da due unità distinte: un edificio produttivo e una sede di rappresentanza che accoglie spazi amministrativi – sorge nella periferia di Cuneo, un contesto abbastanza grigio e dall’identità decisamente legata al lavoro seriale, senza però la preziosa connotazione di archeologia industriale. Il che vuol dire capannoni prefabbricati, edifici senza qualità. Ciò che distingue l’edilizia dall’architettura è, per sottrazione quantitativa, il ridurre al massimo il banale e sostituirlo con opere che rimandino a un altrove decisamente fuori dagli schemi, esente da quell’equazione che, “dove si produce si deve ottenere il massimo puntando sul minimo di investimento economico”. Purtroppo, ciò avviene spesso e in maniera diffusa soprattutto in Italia, dove si possono realizzare chilometri e chilometri di anonimi capannoni senza rispettare una normativa che preveda una seppur minima piantumazione arborea. E’ dunque attraverso una grande teca a scala urbana contenente un microcosmo definito che può rendere lo spazio del lavoro un’oasi fuori dalla “pazza folla” della bruttezza architettonica? Certamente sì. Se non risolve radicalmente il problema, almeno aiuta a vivere meglio. Anche grazie a finte stalattiti da cui emerge la memoria delle origini dell’uomo che, all’alba della sua storia terrestre, abitava caverne e anfratti rocciosi. Insomma, paradossalmente, più il progetto è in grado di definire raffinatezze architettoniche più emerge un passato antropologicamente problematico, seppure mediato dal fascino del primordiale. Grazie alle ampie pareti vetrate, l’interno mantiene uno stretto rapporto con l’intorno attraverso il variare della luce naturale, l’avvicendarsi delle stagioni. Gli abitanti della “serra” vivono così un rapporto denso e partecipativo con un intorno filtrato dalla messa in scena di un paesaggio sotto vetro ricco di atmosfera. Gli uffici sono immersi in una rigogliosa vegetazione mantenuta vitale grazie alla tecnica idroponica. Le piante, orientate per caduta o per salita, producono flussi continui imitando paesaggi tra il naturale e il fantastico, una sorta di mondo esente dalle molestie della civiltà della minaccia del fungo atomico o del disastro ecologico. Tutte le funzioni direzionali e non sono allocate in volumi conici, stalattiti levigate, luminose dove trovano posto sale riunioni e postazioni operative. Il tutto davvero di grande impatto da cui si gode uno spazio unitario morfologicamente interpretato come un grande tableau vivant in cui piattaforme euclidee ingaggiano pacifiche guerre stellari con astronavi che traboccano di idilliaci rampicanti al posto di bocche da fuoco al laser o quant’atro di più distruttivo possa fornire la tecnologia bellica spaziale. Un grande soppalco, fondendosi prospetticamente con conicità dai vertici opposti pare citare la spirale del Guggenheim Museum di Wright, divide orizzontalmente lo spazio e supporta elementi proiettanti fasci di luce verso il basso. Conclude il tutto, un pavimento cosparso di foglie dove poltrone floreali dai petali rosso fuoco rimandano a un sofisticato “sensismo” epicureo che trascende il quotidiano in nome di una verità esistenziale fondata sul criterio del bene e quindi del piacere. Carlo Paganelli 28 l’ARCA 241

Andrea Martiradonna

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erritory, City, Suburbs, Nature: these are first and foremost places, but they are also “objects” which can be played around with, without evading their living purpose. “Upturned cones” is an example of an intriguing game, it places an architectural design on an extremely creative playful level. It involves a container or rather a large showcase in which a story is told in images, a story about urban objects and also fragments of landscape, illusions, emotions retrieved from both collective and individual memory. The complex - formed out of two separate units: a manufacturing building and representational offices holding administration spaces - lies in the suburbs of Cuneo, a rather grey setting whose identity is closely tied to mass production, but without any valuable connotations in terms of industrial archaeology. This means there are nothing but prefabricated warehouses, buildings with no qualities and not much else. What distinguishes building from architecture is, by quantitative subtraction, reducing banality as far as possible and replacing it with works which evoke something else decidedly against the grain, steering clear from the equation according to which “production places must produce the maximum through the minimum in terms of financial investment”. Unfortunately that is very often the case, particularly in Italy, where miles and miles of faceless warehouses are constructed without complying with the regulations, which stipulate that there must be at least some tree-planting to reduce the dramatic impact on the surroundings. So can a giant urban-scale showcase holding a clearly defined microcosm make a working environment an oasis away from the “mad crowd” of architectural ugliness? Yes, it certainly can. It may not provide a radical solution to the problem, but it does at least make life more pleasant. Partly by means of fake stalagmites and stalactites evoking the very distant past and origins of man, who, at the dawning of history on earth, lived in caves and rocky gorges. So, paradoxically, the more effectively a project defines refined architectural touches the more an anthropologically tricky past emerges, although it is mediated through the charm of the primeval. Thanks to the wide glass walls, the interior is kept in close relations with its surroundings through variations in natural light and the changing seasons. The inhabitants of the "greenhouse" live in deeply tied and collaborative relations with their surroundings filtered through the staging of a landscape beneath glass brimming with atmosphere. The offices are immersed in luscious vegetation kept alive through hydroponics, which allow plants to live satisfactorily even indoors. The plants, growing both downwards and upwards, create seamless flows imitating landscapes lying somewhere between the natural and imaginary, a sort of world which has not been molested by civilisation and the threat of the atomic mushroom or ecological catastrophe. So if work is carried out in relaxing settings where the air breathed and surroundings are qualitatively excellent, everything flows beautifully. All the managerial functions etc. are located in cone-shaped structures, smooth and luminous stalactites and stalagmites providing space for meeting rooms and operating stations. Everything really is striking, creating a uniform space morphologically interpreted as a giant tableau vivant in which Euclidean platforms engage in peaceful star wars with spaceships emerging from idyllic climbing plants instead of outlets for laser fire or anything else of devastating destructive power that bellicose space technology has to offer. A huge split upper level, blending in with cone-shaped structures with opposing tips evoking the spiral of Wright’s Guggenheim Museum, divides up the space horizontally and supports features projecting beams of light downwards. Everything is concluded by a floor covered with leaves, where floral armchairs with fiery red petals allude to a sophisticated form of Epicurean “sensationalism”, which transcends the every day in the name of existential truth based on the criterion of goodness and hence pleasure. Carlo Paganelli

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Nelle pagine di apertura, particolare degli spazi interni della sede Damilano Group e vista esterna dell’edificio, le cui facciate vetrate mostrano l’articolata disposizione distributiva delle funzioni in cui viene

svolta l’attività lavorativa. Nelle pagine precedenti, dettagli del soppalco da cui spuntano piante coltivate con tecniche idroponiche. In questa pagina, l’effetto serra appare ancora più evidente nelle ore notturne.

Opening pages, details of the interiors of the Damilano Group headquarters and exterior view of the building, whose glass facades show the intricate distributional layout of functions where

work is carried out. Previous pages, details of the upper split level where plants sprout forth grown by means of hydroponics. This page, the greenhouse effect is even more striking at night-time.


Dall’alto, sezione, il primo piano e il piano terra. Il complesso sorge su un lotto di 44.000 mq, l’edificio produttivo è di 15.000 mq e l’edificio “Coni rovesci” di 1.000 mq.

From top, section, the first floor and the ground floor. The complex stands on a 44,000-square-metre lot, the manufacturing building covers 15,000 square metres and the “Upturned Cones” building covers 1,000 square metres.

Credits Project: Duilio Damilano, Corrado Tesio Colaborator: Claudia Allineo Graphics 3D: Alberto Pascale

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;=FLJG H=J D¿AF>9FRA9 HGFR9FG ;@AD<J=F HGFR9FG N=F=LG LJ=NAKG! Alberto Campo Baeza

L’

edificio del Centro Infanzia Ponzano Children sorge su un’area di circa 9.500 metri quadrati adiacente la sede centrale di Benetton Group a Ponzano Veneto (Treviso). Operativo da un anno, ospita circa cento bambini suddivisi tra le sezioni di Scuola Materna e Nido. Nella costruzione di questo servizio educativo, il Gruppo Benetton consapevole del ruolo etico e sociale della cultura di impresa, ha voluto mettere al centro del progetto la relazione, la ricerca, il benessere della comunità, affidando la consulenza pedagogica a Reggio Children, centro internazionale per la difesa e la promozione dei diritti e delle potenzialità dei bambini e delle bambine, che opera nell’ambito degli asili nido e delle scuole d’infanzia. Si occupa prevalentemente di diffondere un’idea forte legata ai bambini, ai loro diritti, alle loro potenzialità e risorse. Un’esperienza pedagogica basata su avanzate riflessioni teoriche, un costante impegno nella sperimentazione e nella ricerca, una singolare organizzazione del lavoro. Il tutto in un progetto che tende a valorizzare l’unicità del soggetto che apprende, così come tutti i linguaggi espressivi, il valore delle differenze, la partecipazione delle famiglie e dei cittadini. L’intervento architettonico ha riguardato tre aree distinte. Il corpo centrale dell’asilo a forma quadrata per una superficie coperta di circa 1.030 metri quadrati, al cui centro sorge una “torre” sempre a pianta quadrata, ma di altezza molto superiore al resto del fabbricato. L’area racchiusa tra il muro perimetrale circolare e il corpo centrale dell’asilo, replicata sui quattro lati dell’edificio, in parte come superficie coperta e in parte come spazio a cielo aperto. Le quattro aree a cielo aperto, ognuna di circa 155 metri quadrati, dedicate all’attività didattica e ludica dei bambini, sono prospicienti le aule e il refettorio dell’asilo e realizzate in quattro materiali diversi: sabbia, legno, pietra ed erba. La corona che delimita questo spazio è, oltre che muro di cinta, uno spazio coperto della larghezza costante di due metri che contiene magazzini per il materiale, spazi giochi per i bambini e servizi igienici per le stagioni più calde dell’anno.

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Lo spazio verde esterno, circa 4.710 metri quadrati è suddiviso in due aree: il frutteto, con alberi da frutto piantati secondo linee ordinate, e il bosco, composto di piante ad alto fusto, di essenze diverse, posizionate in ordine sparso. Il progetto è stato realizzato dall’architetto Alberto Campo Baeza, che così descrive il proprio intervento: “In un bellissimo racconto di Borges, l’Imperatore Giallo mostra il suo palazzo al poeta e lo conduce lungo viali rettilinei che, come magnificamente scrive l’autore ‘s’inflettono in una curva molto dolce e sono segretamente circolari’. Volevamo che l’asilo nido di Benetton offrisse ai bambini, in maniera più semplice, qualcosa di questo spirito di Borges. La nostra proposta è una scatola rotonda inserita nella zona verde e aperta al cielo come un giardino segreto, che attira e tende l’aria al proprio interno. Al centro della scatola rotonda abbiamo posto una costruzione quadrata, che ospita le aule e i locali di servizio dell’asilo nido. Il contrasto esistente tra le due figure geometriche crea una forte tensione, mentre il senso di continuità spaziale è affidato alla parete curva. La struttura della costruzione centrale è una griglia composta da nove quadrati di 11x11 metri. Il quadrato centrale, che funge da vestibolo principale, riceve la luce da una serie di fori aperti nel soffitto, molto più alto rispetto a quello degli altri vani. L’accesso dal cortile circolare a questo spazio centrale avviene attraverso quattro passaggi; quello dell’ingresso, il principale, è anche il più ampio. Il soffitto dei quattro corridoi è basso, cosicché giungendo nel vestibolo centrale si ha un forte senso di dilatazione spaziale. Le aule e gli altri locali si aprono sul cortile circolare per mezzo di grandi vetrate. Il muro che racchiude il cortile circolare, altro tre metri e spesso due, è cavo: al suo interno può nascondere i giochi segreti dei bambini, oltre ai bagni. Lo spazio tra l’edificio quadrato e quello circolare sarà in parte coperto, creando dei porticati al riparo dalla pioggia e dal sole. Abbiamo cercato di costruire un asilo nido non solo funzionalmente impeccabile, ma anche capace di offrire una serie di sequenze spaziali diverse; un edificio vivo in cui i bambini possano sognare ed essere felici”.


Credits Progect: Alberto Campo Baeza Worksite Management: Massimo Benetton Coordination: Michele Zanella (Property Management Benetton) Structures: Andrea Rigato Plants: Studio ESA Main Contractors: CEV, Eurogroup, Angelo Saran & C., La Quercia, ISAFF Client: Benetton Group

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he Ponzano Children’s Centre stands on a plot of land measuring approximately 9500 square metres alongside the headquarters of the Benetton Group in Ponzano Veneto (Treviso). The centre, which has been open for a year, accommodates about 100 children in its primary and nursery school sections. Well aware of the ethical and social role of corporate culture, when building this education facility the Benetton Group wanted to focus the project on interrelations, research and community well-being, drawing on the educational expertise of Reggio Children, an international centre for protecting and promoting children's rights and potential operating in the realm of infant schools and nursery schools. It mainly works on spreading a powerful idea of children and their rights, potential and resources. Educational experience based on cuttingedge theoretical reflections, a constant commitment to research and experimentation, and a very unusual work organisation. All this in a project which tends to bring out the uniqueness of the learner, as well as expressive languages, the value of differences, and the involvement of families and communities. The architectural design involves three separate areas. The central square-shaped nursery school facility covering a built-up area of approximately 1030 square metres with another square-based “Tower” in the middle, which is actually much higher than the rest of the construction. The area enclosed within the circular perimeter wall and central nursery construction, replicated along all four sides of the building, partly as a covered area and partly as an outdoor space. The four outdoor spaces, each measuring approximately 155 square metres devoted to children's teaching and play activities, face onto the classrooms and nursery school refectory and are made of four different materials: sand, wood, stone and grass. The circular crown marking this space is, in addition to being a perimeter wall, a covered area measuring two metres in width which contains storerooms for materials, play spaces for children and hygienic facilities for the warmest times of year.

The outside landscaping, covering approximately 4710 square metres, is divided into two areas: the orchard with fruit trees planted in carefully set-out lines, and the wood with tall-stemmed plants of various essences set out randomly. The project was designed by the architect, Mr Alberto Campo Baeza, who describes his own project as follows: “In a wonderful little story by Borges, the Yellow Emperor shows off his palace to a poet leading him around its straight paths, which, as the author magnificently writes ‘bend around a very gentle curve and are secretly circular’. We wanted the Benetton Nursery School to offer children, as simply as possible, something of this spirit described by Borges. Our project is for a round box inserted in an outdoor area of greenery like a secret garden, which draws fresh air inside. We have placed a square construction in the middle of the round box, which holds the classrooms and utilities serving the nursery school. The contrast between the two geometric figures creates powerful tension, while the sense of spatial continuity comes from the curved wall. The structure of the central construction is a grid composed of nine squares measuring 11x11 metres. The central square, which acts as the main hall, is lit up through a set of open holes in its ceiling, which is much higher than the rest of the ceilings. The entrance to the central space from the circular courtyard is along four corridors; the entrance corridor, which is the main corridor, is also the most spacious. The ceiling of the four corridors is low, so that you get a powerful sense of dilated space when entering the main hall. The classrooms and other premises open onto the circular courtyard through large glass windows. The wall around the circular courtyard, which is 3 m high and 2 m thick, is hollow: children’s secret games can be concealed inside it, along with the bathrooms. The space between the square and circular buildings will be partly covered to create porticos providing shelter from rain and sunshine. We have tried to construct a nursery school which is not just functionally impeccable, but also capable of providing a set of various different spatial sequences; a lively building in which children can dream about being happy”.

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Nelle pagine precedenti, vista frontale dell’asilo Ponzano Children. La struttura è fortemente segnata dall’elemento centrale a torre, che diventa il fulcro sia per gli accessi all’asilo durante il giorno sia per tutte le attività interne, che necessariamente

devono transitarvi. L’architetto ha ricercato per la torre un’ideale illuminazione naturale diurna, attraverso un articolato posizionamento dei lucernari circolari sul tetto e sulle pareti verticali. Nella pagina a fianco, lo spazio tra il corpo centrale e il muro

perimetrale. Sopra, pianta del piano terra e sezione. Le aule per l’attività didattica (scuola materna, nido e lattanti) e il refettorio sono posizionati sui quattro lati del corpo asilo principale per ricevere un’illuminazione ottimale. Gli adiacenti spazi tecnici, quali

servizi igienici, spogliatoi e altri locali, sono situati all’interno del fabbricato e ricevono illuminazione dai lucernari circolari posti sul tetto.

Previous pages, front view of Ponzano Children kindergarten. The structure is highly characterised by its

central tower shaped elements, which is the linchpin for entering the kindergarten during the day and all the activities going on inside, which necessarily have to enter the building. The architect tried to create ideal natural daytime lighting for the tower through the intricately positioned

circular skylights on the roof and vertical walls. Opposite page, the space between the central unit and perimeter wall. Above, plan of the ground floor and section. The classrooms (primary school, nursery and crèche) and the refectory are

located along the four sides of the main kindergarten building to benefit from optimal lighting. The adjacent technical spaces, such as the restrooms, changing rooms and other premises, are located inside the building and lit up through circular skylights placed on the roof.

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Sia l’interno centro infanzia sia il muro perimetrale sono dominati dal colore bianco: dall’intonaco dei muri esterni e interni al pavimento in pietra di “Trani Biancone“, alle porte interne, ai profili in

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ferro dei serramenti esterni, al pavimento in linoleum della torre centrale, fino ai pavimenti e rivestimenti in gres porcellanato dei servizi igienici e degli spogliatoi. L’unica eccezione di colore

riguarda il pavimento di linoleum delle aule didattiche e del refettorio, che vira verso un giallo leggermente spento.

Both the interior of the children’s centre and perimeter wall

are dominated by the colour white: from the plaster on the outside and inside walls to the floor made of “Trani Biancone” stone, the inside doors, the iron outside window frames, the linoleum

floor of the central tower, and the porcelain enamelled floors and coatings of the restrooms and changing rooms. The only exception in terms of colour concerns the linoleum floor in the

classrooms and refectory, which tends towards a slightly dull yellow.


Planimetria generale, e schizzi di Alberto Campo Baeza. Grande attenzione è stata prestata ai dettami della sostenibilità: sul tetto sono stati posizionati pannelli fotovoltaici per la produzione di energia a servizio dell’asilo per una potenza di circa 6 Kw e pannelli solari per la produzione di acqua calda per l’impianto sanitario dell’asilo; l’impianto di condizionamento prevede l’utilizzo di acqua prelevata da un pozzo in profondità,

appositamente eseguito, sia per il ciclo di raffreddamento estivo sia per quello di riscaldamento invernale; l’interno dell’asilo, inoltre, è stato realizzato con pannelli radianti a pavimento e con un impianto di ventilazione che controlla l’umidità e i ricambi di aria previsti per legge, per assicurare un’ottimale funzionalità del sistema.

Site plan and sketches by Alberto Campo Baeza. Very careful attention has been paid to sustainability guidelines: photovoltaic panels

have been placed on the roof to generate approximately 6 kW of energy for the kindergarten, along with solar panels for heating water for the kindergarten’s

sanitary system; the air-conditioning system involves using water taken from a deep well, specially constructed, both for the summer cooling cycle and

winter heating cycle; the inside of the kindergarten has also been fitted with radiant floor panels and a ventilation system for controlling the humidity level and

exchanging the air as stipulated by law, in order to ensure the system functions as well as possible.

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L

a città di Fatima ha una popolazione di circa 8.000 abitanti, il cui sostegno dipende quasi interamente dai milioni di pellegrini che ogni anno visitano questo luogo. La nuova Chiesa della Santissima Trinità si trova quasi al centro della vasta piazza e a sud rispetto alla Basilica esistente (1928-1953). E’ uno spazio vastissimo sia per dimensioni che per numero di persone che può contenere. Misura 600 metri da nord a sud e 150 metri da est a ovest e può contenere fino a 500.000 persone in speciali occasioni e circa 30.000 nei giorni normali durante l’anno. Il programma di progetto richiedeva la realizzazione di una nuova chiesa con circa 9.000 posti a sedere. Oltre all’aula principale, si dovevano realizzare varie Cappelle, di capacità tra 200 e 600 persone, dotate di servizi accessori (confessionali, sale di attesa ecc.), una sala riunioni per 1.500 persone e, infine, tutte le necessarie aree di supporto e gli studi per trasmissioni televisive. La forma circolare dell’edificio è quella che più di ogni altra consente la massima vicinanza e i migliori angoli visuali per tutti i fedeli verso il centro dell’attività (altare-presbiterio) e la maggior economia di spazio, considerazione importante dato il numero di persone e la grandezza richieste. E’ anche la forma che dà a ciascuno il senso di appartenere all’intera comunità. Infine il cerchio offre il più efficace sistema di flusso delle grandi masse di fedeli. In combinazione con la pianta circolare dell’edificio è il secondo elemento principale del progetto, costituito da due travi gemelle di cemento che attraversano il cerchio sull’asse nord-sud. Oltre a essere gli elementi principali di sostegno della struttura della copertura (insieme al muro perimetrale di cemento) segnano anche l’asse centrale e la direzione del movimento delle proces-

;@A=K9 <=DD9 K9FLAKKAE9 LJAFAL9¿ ;@MJ;@ G> L@= EGKL @GDQ LJAFALQ Alexandros N. Tombazis

Credits Project Architects: Alexandros N. Tombazis and Associates Architects Project Team: Stavros Gyftopoulos (architect in charge), Sophia Paraskevopoulou (competition phase), execution of design in collaboration with the Portuguese teams Architectural Design and Coordination in Portugal: Paula Santos Arquitectos, Paula Santos, Joana Delgado Structural Design,

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Security and Hygiene Planning: Eteclda – Escritório Técnico de Engenharia Civil Mechanical Engineers: Edifícios Saudáveis – Consultoria Sanitary and Sewage Engineers: Vitor Abrantes – Consultoria e Projectos de Engenharia Electrical engineers: OHM - E, Gabinete de Engenharia Electrotécnica Acoustics and Electroacoustics Design: Vitor Abrantes – Consultoria

e Projectos de Engenharia/SOPSEC/ LPL Landscape design: Laura Costa Energy consultants: University of Athens, Department of Applied Physics, Prof. M. Santamouris Natural and Artificial Lighting: Bartenbach Lichtlabor Acoustics Consultants: C.S.T.B. Graphic Design: Francisco Providência Advisor: E. Corsepius Client: Sanctuary of Fatima

sioni dalla Basilica esistente, attraverso lo spazio di preghiera all’aperto, verso l’altare della nuova chiesa. Queste due travi centrali inoltre organizzano l’intera composizione in uno spazio tripartito: l’asse centrale e due navate laterali. Il terzo elemento fondamentale del progetto è l’inclinazione delle due travi e della copertura che è più bassa sul lato nord dove c’è l’ingresso e più alta a sud, sopra il presbiterio. Al di là del smbolismo che questa composizione implica, essa serve a guidare lo sguardo verso l’infinità del cielo, in linea con la leggera salita del percorso all’esterno della chiesa. Così il cielo con la sua luce cangiante diviene parte dell’insieme. Un quarto elemento è la creazione di un edificio in cui la sostenibilità, la luce e la ventilazione naturali giocano un ruolo di prim’ordine. Non solo per ragioni ecologiche e di risparmio energetico, ma anche per creare un ambiente piacevole e tranquillo che induce alla preghiera e alla contemplazione. Una calda luce zenithale penetra all’interno lungo l’asse principale, sottolineando il percorso delle processioni, mentre i due lati semicircolari sono protetti da una copertura a shed rivolti verso nord con una struttura di travi di acciaio che consente l’ingresso di una luce più fredda e uniforme. La composizione a shed della copertura non è visibile dall’interno, poiché è mascherata da una serie di membrane opache appese al soffitto dall’esterno grazie alla geometria della sezione dell’edificio. Le finestre della parte superiore della navata possono essere oscurate con persiane elettriche controllate da un programma computerizzato che consente di ottenere diverse combinazioni di luminosità. Un quinto e importante elemento del progetto è stata la ricerca della sintesi tra un luogo di pellegrinaggio storicamente unico come Fatima e una nuova chiesa con tutte le più moderne dotazioni, così da valorizzare il vecchio, il nuovo e l’eterno.


T

he town of Fatima presently has a population of approximately 8,000 totally dependent on the millions of pilgrims who visit the place each year. The new Church of the Most Holy Trinity is situated at approximately the centre of the vast plaza and to the south of the existing Basilica (1928-1953). The scale of the space is vast both in physical dimensions and in the number of people it can contain. It measures 600 metres from north to south and 150 metres from east to west. It can contain some 450-500,000 persons on special occasions and 20-30,000 on many occasions during the year. The design brief called for the design of a new Church for some 9.000 seated persons. Further to the main hall to be provided, were a number of Chapels, varying in size from 200 to 600 persons with facilities (booths, waiting rooms etc.), a multipurpose meeting hall for some 1,500 persons and all the necessary support areas and provision for full coverage by TV. The circular shape of the building is the shape which more than any other allows for the greatest proximity and best viewing angles of people to the centre of activity (the Altar-Presbytery) and gives the greatest economy of space, an important consideration, given the number of people and the size needed for the hall. It is also the shape which gives every individual the feeling that he is part of the entire congregation. Finally it is the circle that provides for the most effective flow of large masses of people around it. Combined with the circular plan of the building is the second main element of design which is the twin north-south concrete beams that span the circle. These serve two purposes as, further to serving (together with the perimetric circular concrete wall) the main

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Schizzi preliminari di Alexandros Tombazis per la nuova chiesa della Santissima Trinità realizzata nel Santuario di Fatima.

Preliminary sketches by Alexandros Tombazis for the new church of the Most Holy Trinity realized at Fatima Sanctuary.

structural supporting element of the roof structure, they mark the central axis and direction of movement and processions from the existing Basilica and open-air praying area into the Church and the Altar. The two central beams furthermore organize the whole composition in a tripartite way, the central axis of movement and the two lateral flanks of congregation. The third main design element of the overall composition is the inclination of the two beams and roof which are lower on the north entrance end and higher on the south over the Presbytery. Apart from the symbolism that this implies it further guides one’s vision to the vastness and infinity of the sky above, very much in line with the rising slope of the ground in front of the Church. Thus the sky and its ever-changing light and cloud condition very much become part of the whole synthesis. A fourth design element is the creation of a building in which sustainability, natural lighting and ventilation play a major role. And this not only for ecological and energy saving reasons, but also in order to create a soft, low-key, agreeable environment indusive of pray and contemplation. Zenithal warm daylight enters the space all along the main axis, accentuating the main line of processions, while the two semi-circular sides of the plan are covered by steel frame trusses in the form of a north-facing saw-tooth roof that introduces colder uniform north light into the space below. The saw-tooth construction is invisible from within as a series of translucent membranes are hung below and from the outside due to the geometry of the section of the building. The north-facing clerestory windows can be darkened by way of electrical movable blinds controlled by a computer programme which allows for different lighting configurations. A fifth and last important design consideration was the aim to provide a synthesis of a unique historic pilgrimage place – Fatima – and a new Church with all its present-day requirements in a way that enhances the old, the new and the eternal. 241 l’ARCA 41


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Nella pagina a fianco, dall’alto, sezione sull’asse centrale, planimetria generale con la definizione degli elementi paesaggistici, e pianta del piano interrato. In questa pagina dall’alto, sezione longitudinale, particolari costruttivi delle sezioni longitudinale e sull’asse centrale, pianta del piano terra.

Opposite page, from top, section of the central axis, building plan showing the landscaping elements, and plan of the underground level. This page from top, longitudinal section, construction details of the longitudinal section and central axis, ground-floor plan.

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Alexandros N. Tombazis

costruzione. In basso, l’aula principale che ha una capacità di 9.000 posti a sedere ed è suddivisibile in spazi più piccoli. Nella pagina a fianco, la grande piazza che collega la nuova chiesa alla basilica

esistente: uno spazio vastissimo sia per dimensioni che per numero di persone che può contenere. Misura 600 metri da nord a sud e 150 metri da est a ovest e può contenere fino a 500.000 persone in speciali occasioni e

front of the main entrance and one of the 13 entrances along the perimeter of the construction. Bottom, the main hall with seating from 9000, which can be divided into smaller spaces. Opposite page, the

circa 30.000 nei giorni normali durante l’anno.

Above, comparing the scale of St Peter’s in Rome and the Sanctuary at Fatima and, right, the old basilica. Below, the portico in

Fernando Guerra

Fernando Guerra

Fernando Guerra

Sopra, la comparazione di scala tra San Pietro a Roma e il Santuario di Fatima e, a destra, la basilica esistente. Sotto, il portico antistante l’ingresso principale e uno dei tredici ingressi lungo il perimetro della

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large square connecting the new church to the old basilica: a vast space in terms of its size and the number of people it can hold. It measures 600 m from north to south and 150 m from east to west and can

accommodate 500,000 people on special occasions and approximately 30,000 on ordinary days throughout the year.


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Alexandros N. Tombazis


Fernando Guerra Fernando Guerra

L’ingresso principale con i portali di bronzo raffiguranti la Santissima Trinità realizzati da Pedro Calapez. Nella pagina a fianco, lo specchio d’acqua a lato dell’ingresso principale.

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The main entrance showing the bronze portals depicting the Holy Trinity designed by Pedro Calapez. Opposite page, the pool of water alongside the main entrance.


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Alexandros N. Tombazis


Fernando Guerra

simboleggia la Nuova Gerusalemme (dall’Apocalisse di San Giovanni) realizzato da Padre Marco Ivan Rupnik. L’Altare è un monolite di marmo di 3,60x1,90x0,90 m, mentre gli altri elementi del presbiterio sono di marmo Branco do Mar e legno di ciliegio. Sotto a destra: il piazzale antistante il complesso con al lato della chiesa

il crocefisso alto 33 m di acciaio corten realizzato da Robert Schad; particolare dei pannelli di vetro serigrafati con frasi in tutte le lingue, opera di Jerry Joe Kelly che delimitano l’atrio di ingresso; scorcio dell’ingresso principale. Nella pagina a fianco, l’installazione di Maria Loizidou Venite Adoremus Dominum che segna l’ingresso principale: è composta

can be reached up curved stairways at the front and ramps at the sides; the rear section is characterised by a 50 m long curved wall with a mosaic of golden pieces symbolising New Jerusalem (from St John's Revelation) designed by Father Marco Ivan Rupnik. The altar is a marble block measuring 3.60x 1.90x 0.90 m, while the presbytery

da reti di fili d’acciaio inossidabile e da angeli di bronzo sospesi tra le due travi principali che proiettano le loro ombre sulle pareti e sul pavimento con effetti cangianti a seconda delle ore e delle stagioni.

Above and below left, details of the hall, presbytery and altar. The presbytery is built on a raised platform, whose various levels

Fernando Guerra

Fernando Guerra

Sopra e sotto a sinistra, particolari dell’aula, del presbiterio e dell’altare. Il presbiterio è realizzato su una piattaforma rialzata i cui diversi livelli sono accessibili tramite scalini curvilinei davanti e da rampe laterali; nella parte retrostante è caratterizzato da una parete curva lunga 50 m con un mosaico di tessere dorate che

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features are made of Branco do Mar marble and cherry wood. Below right: the small square in front of the complex showing the 33 m tall corten steel crucifix alongside the church designed by Robert Scad; detail of the serigraphed glass panels with writings in all languages, designed by Jerry Joe Kelly, which border around the entrance lobby; partial view of the main entrance.

Opposite page, the installation designed by Maria Loizidou called Venite Adoremus Dominum, which follows the main entrance: it is made of meshes of a stainless steel wires and bronze angels suspended between the two main beams, which cast their shadows on the walls and floor to create shimmering effects according to the time of day and year.


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Fernando Guerra


Laura Cantarella

;=FLJ9D= <A ;G?=F=J9RAGF= 9D:9HGO=J 9D:9 ;MF=G! Studio A.S.

I

l progetto di schermatura e inserimento ambientale della nuova centrale di cogenerazione di Alba (Cuneo) è stato completato nell’autunno 2007. L’opera di rivestimento è stata commissionata da Albapower S.p.A., nuova società costituita da Ferrero S.p.A. ed Egea al fine di produrre energia per lo stabilimento Ferrero e alimentare il teleriscaldamento della città di Alba. L’impianto è composto da una turbina a gas della General Electric, di derivazione aeronautica, in grado di sprigionare una potenza di 41.650 kW elettrici ed è composto da un sistema (GE Sprint) atto a compensare i cali di potenza dovuti all’aumento della temperatura ambiente. Sotto il profilo ambientale, questo tipo di turbina di nuova generazione permette di ridurre di circa la metà, rispetto a una turbina tradizionale, gli ossidi di carbonio, mentre la caldaia di recupero, posta a valle della turbina a gas, concorre a dimezzare le emissioni di monossido di carbonio nell’aria. Ubicata nelle vicinanze del centro storico, la centrale, è stata oggetto di un particolare studio progettuale finalizzato a migliorare l’inserimento nel contesto ambientale. L’intervento è stato realizzato sugli edifici industriali composti da una struttura prefabbricata in cemento armato della volumetria di circa 40.000 metri cubi, da quattro serbatoi per il contenimento dell’acqua e da una caldaia per il recupero del calore. L’ispirazione nasce dal territorio collinare limitrofo: lo skyline delle colline delle Langhe suggerisce un disegno curvilineo delle schermature che rivestono come una doppia membrana l’impianto industriale. Anche i colori si ispirano alla natura circostante, il verde della vegetazione e 50 l’ARCA 241

dell’acqua del Tanaro per le sezioni inferiori, il grigio azzurro del cielo per il coronamento dell’edificio. La scelta dei materiali è finalizzata alla realizzazione di una cortina che si trasforma a seconda di come la luce solare vi si riflette passando dall’effetto della trasparenza a quello della schermatura. Si possono individuare tre tipologie differenti di elementi di rivestimento, sorretti da travi reticolari in acciaio zincato. Il primo è rappresentato dalle sei vele a “scandole”, utilizzate per le parti basse della facciata, costituite da elementi in acciaio, che mascherano completamente le pareti in pannelli di cemento armato, montati su telai metallici caratterizzate da sagome di forma variabile. Il secondo elemento sono le vele in pannelli di lamiera di alluminio microforato preverniciato, che rivestono le parti superiori del complesso. La scelta dell’alluminio microforato deriva da motivazioni sia tecniche (evitare nelle zone esposte l’effetto del vento), sia compositive (alleggerire la schermatura e renderla mutevole a seconda dell’intensità e della direzione della luce solare). Infine, una quinta in pannelli di rete metallica in acciaio zincato che funge da supporto a una schermatura vegetale di piante rampicanti. Il grande pergolato curvilineo posto in copertura, oltre ad assolvere una funzione statica di controventatura delle vele, è stato progettato e dimensionato per poter accogliere in futuro un sistema di pannelli fotovoltaici che concorreranno alla produzione di energia elettrica.


Credits Architectonic Project: Studio A.S. Architetti Associati: Edoardo Astegiano, Renzo Conti, Federico Morgando; Daniela Casalino; Paolo Brosio Structural Project and Works Management: Piergiuseppe Volante,

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he project to create a screen for the new co-generation power station in Alba (Cuneo) and incorporate it in its environmental setting up was completed in autumn 2007. The cladding was commissioned by Albapower S.p.A, a new company set up by Ferrero S.p.A. and Egea to generate electricity for the Ferrero factory and supply the city of Alba’s tele-heating network. The system is composed of a General Electric gas turbine borrowed from the aeronautical industry, capable of supplying 41.650 kW of power and incorporating a system (GE Sprint) which can compensate for power drops due to the rise in outside temperature. Environmentally speaking, this kind of new generation turbine can reduce the amount of carbonic oxides generated by about half compared to a conventional turbine, while the recovery boiler, placed downstream from the gas turbine, helps halve the carbon monoxide emissions into the air. Located near the old city centre, the power station, which was built to serve the new energy needs of the Alba area and Ferrero factory, was very carefully designed to ensure it is incorporated in the surrounding environment as effectively as possible. The project was carried out on existing industrial buildings consisting of a prefabricated structure made of reinforced concrete taking up approximately 40,000 cubic metres of space, four tanks for holding water, and a boiler for recovering heat. Inspiration for the project came from the surrounding hillside: the skyline

Francesco Ravizza (Progest) Electrical and Special (scenographic lighting) Plants Project and Works Management: Sergio Berno (E.L. Engineering Services) General Coordinator and Works Manager: Edoardo Astegiano

Metalworks and Screening Microforated Steel Sails: Marzero Costruzioni in ferro Sails’ Metal Cladding Arcelor (serie PMA Caiman) Client: Albapower

of the hills in the Langhe region suggested giving the shields a curve-shaped design so that they would cover the industrial plant like a twin membrane. The colours are also inspired by surrounding nature, the green of the vegetation and water in the River Tanaro for the lower sections, the sky-blue and grey shades of the skies for the top of the building. The choice of materials used is aimed at constructing a curtain wall, which transforms according to how sunlight is reflected, ranging from a transparent effect to complete screening. There are three different types of coating elements supported by reticular zinc-coated steel beams. The first consists of the six “shingle” veils used for the lower part of the facade constructed out of steel elements, which totally conceal the walls with reinforced concrete panels fitted on metal frames with various shaped sections. The second element consists of veils made of micro-perforated pre-painted aluminium sheet panels covering the top parts of the complex. The choice of micro-perforated aluminium was due to both technical reasons (to void any wind effect in exposed areas) and stylistic reasons (to lighten up the shielding and allow it to change according to the intensity and direction of sunlight). Finally, there is also a curtain structure made of zinc-coated mesh metal panels, which acts as a support for and vegetable coating of climbing plants. The large curved pergola set on the roof does not just serve static wing-bracing purposes for the veils, it was also carefully designed and sized to hold a future system of photovoltaic panels which will help generate electricity 241 l’ARCA 51


Pianta delle coperture e sezione della vela di schermatura della Centrale di Cogenerazione AlbaPower ad Alba (Cuneo). La schermatura è costituita da tre tipologie di rivestimento sorrette da travi reticolari di acciaio zincato: sei vele a scandole in acciaio nelle parti basse della facciata; vele in pannelli di lamiera di alluminio microforato preverniciato nelle parti superiori; una quinta di pannelli di rete di acciaio zincato che sostiene una schermatura vegetale di piante rampicanti.

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Plan of the roofs and section of the veil of shielding over the AlbaPower Co-generation Power Station in Alba (Cuneo). The shielding takes the form of three types of cladding supported by reticular zinc-coated beams: six veils made of steel shingles in the lower parts of the facade; veils made of micro-perforated pre-painted aluminium sheet panels in the top parts; a curtain of zinc-coated meshed steel panels supporting vegetable screening in the form of climbing plants.


Sezione longitudinale e vista complessiva dell’impianto, realizzato per erogare energia elettrica e termica allo stabilimento della Ferrero, energia termica alla rete di teleriscaldamento della città di Alba ed

energia elettrica per i clienti Egea. Il progetto di schermatura è stato commissionato da AlbaPower al fine di migliorare l’inserimento della Centrale nel contesto ambientale circostante.

Nelle pagine successive, particolari della schermatura, che si ispira al territorio collinare limitrofo, sia nel disegno curvilineo sia nei colori.

Longitudinal section and overall view of

the plant, designed to supply electricity and thermal energy to the Ferrero factory, thermal energy to the city of Alba’s teleheating network, and electricity serving Egea clients. The shielding project was commissioned by

AlbaPower to improve how the Power Station is incorporated in the surrounding environment. Following pages, details of the shielding, which is inspired by the surrounding hillside, both in its

curve-shaped design and colour scheme.

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Vincent Callebaut: Effervescenza digitale Digital Effervescence

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l campionamento prospettico è un modo di creazione che consiste nel mescolare un’indagine scientifica e culturale con un approccio informatico computerizzato allo scopo di trascrivere in architettura distorsioni paesaggistiche e astrazioni ecosistemiche. Ogni progetto architettonico a qualsiasi scala cerca di anticipare i futuri stili di vita attraverso questa ibridazione digitale e inventando nuovi mondi immaginari. Mondi più poetici. Mondi più equi. Mondi più naturali. Insomma, mondi più umani!

Agora Dreams and Visions

Un architetto oggi deve seguire tattiche trasversali. In un mondo globale, il campionamento prospettico offre possibilità infinite di interferenze e apre nuovi piani di azione con le Scienze, le Arti, la Letteratura. L’architetto diventa proprio come un Disc Jockey delle informazioni planetarie costruendo lo spazio attraverso un mix e una riduzione delle diverse pratiche provenienti da campi estranei a quello dell’architettura. “Credere nel mondo, è questo che più ci manca: il mondo ci è completamente estraneo, ne siamo stati privati. Credere nel mondo significa anche creare eventi, anche insignificanti, che vadano fuori controllo, o creare un nuovo spazio-tempo, seppur di grandezza ridotta (…) è al livello di ogni tentativo che si può giudicare la capacità di resistenza o, al contrario, l’assoggettamento” (Deleuze in “Pourparler”, Editions de Minuit, Paris 1990, Réed coll. “Reprise”, 2003). Considerando questo contesto globale, tutti i progetti condividono anche una visione di paesaggio progressivo basata su proiezioni biomimetiche e fisioniche. Le mie architetture abbandonano l’inerzia e sono ispirate dalla miracolosa perfezione del corpo umano e del suo funzionamento. Sono molto flessibili ed evolvono come veri organismi viventi, capaci di muoversi, modificarsi e svilupparsi in osmosi col proprio ambiente con una completa autonomia energetica. Questi progetti di trasformazione evolutiva dell’urbanità contemporanea si impregnano dell’ambiente per meglio adattarvisi grazie a nuove biotecnologie e a nuovi sistemi di telecomunicazione che offrono la massima flessibilità spaziale e temporale. L’architettura diviene un importante e complesso scambiatore di sensazioni variabili secondo le emozioni, i sentimenti, le atmosfere, gli usi, ma anche il clima, la geografia, le catene alimentari e tutti gli altri cicli della natura. Si tratta di creare luoghi di intermediazione sociale che penetrino nel territorio senza purificarlo e fare in modo che la gente diventi conscia dell’impatto che ha sullo sviluppo duraturo del pianeta. Le ambizioni strategiche di questa architettura “interattiva”, con il suo ambiente per uno sviluppo sostenibile, sono l’auto-gestione, il riciclo di materiali organici, industriali e domestici, la configurazione in tempo reale, l’eco-morphing, la diversità biologica e genetica, e tutto ciò che conduce a geografie artificiali e a ecosistemi dinamici in grado di avviare nuovi cicli vitali. Per delineare un prima ricerca su questa architettura “vivente”, tutti i miei progetti recenti utilizzano la “digitalizzazione” non solo come un processo teorico di concezione che porti a un primo saggio di intelligenza artificiale in architettura, ma anche come uno strumento di costruzione utile a ritrascrivere le architetture virtuali nel mondo concreto e reale! “Vincent Callebaut si interroga sempre, secondo una visione rinnovata e intricata, su una visione (non formattata, televisiva o asettica) di un territorio abitato ma non fissato. Propone edifici come entità viventi, che partecipano allo sviluppo individuale e sociale… che mostrino al mondo i desideri di ciascuno. E’ un’architettura che cerca di aprire una porta sul futuro, per condividere l’opinione che il mondo sia in divenire e non alla fine, non arrotolato su se stesso”. (Agnès Martin in “Walking on the wild side”, “New Worlds, Vincent Callebaut Architectures”, Editions Damdi, Seoul 2005, pp.7-10). Anticipare. Esplorare. Toccare. Questa è la grande sfida di reinventare e migliorare giorno per giorno la vita dei cittadini del mondo! Vincent Callebaut 56 l’ARCA 241

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he prospective sampling is a new way of creation which consists in mixing a scientifical and cultural survey with a computer programmatic approach in order to transcribe in architecture landscape distortions or ecosystem abstractions. Each architectural project at any scale, wants to anticipate through this digital hybridization, the future lifestyles by inventing new imaginary worlds. More poetic worlds. More equitable worlds. More natural worlds. Actually, more humanistic worlds! As in the contemporary art universe, a young architect must nowadays follow transversal tactics. He must be very flexible such as a free electron reforming itself in every new project according to a different structure. It is a real challenge to carry out parasite strategies which are beyond the partitioning between practices. In a global world, the prospective sampling offers infinite possibilities of interferences and opens new action plans with Sciences, Arts and Literature. The architect becomes a true Disc Jockey of the planetary information building the space by mixing and reducing the practices coming from everywhere else outside the field of architecture. “To believe in the world, this is what we miss the most: the world is completely lost to us, we have been deprived of it. To believe in the world also means to create events, even insignificant ones, that gets out of control, or create new spacetimes, even in reduced surfaces or volumes (...) it’s on the level of each attempt that the capacity of resistance or, on the contrary, submission to control may be judged.” (Deleuze in “Pourparler” Editions de Minuit, Paris 1990, Réed. coll. “Reprise”, 2003). Considering this global context, all the projects share also a view of the progressive landscape based on biomimetic and physionic projection. My architectures leave actually the inertia and are inspired by the miraculous perfection of the human body and its functioning. They are very flexible and evolve like real living organisms able to move, to change and to develop themselves in osmosis with their environment and in entire energetic autonomy. These projects of evolutionary transformation of contemporary urbanity become impregnated with the environment in order to better adapt themselves there thanks to new biotechnologies and new telecommunication systems which offer a maximal spacial and temporal flexibility. The Architecture becomes an important and complex exchange of variable sensations according to emotions, feelings, atmospheres, uses, but also to climates, geographies, food chains and all other cycles of the nature. When people are aware of the impact, they have on the lasting development of their own planet; it deals with creating first intermediary places of sociability which grasp territories without purifying them. The strategic ambitions of this “interactive” architecture, that means in total interaction with its environment for a sustainable development, are the self management, the recycling of organic, industrial and domestic material, the configuration in real time, the eco-morphing, the biological and genetical diversity, everything leading to artificial geographies and dynamical ecosystems beginning new life cycles. In order to outline the first research of this “living” architecture, all the recent projects use the “digitalization” not only like a theoric process of conception leading to a first essay of artificial intelligence in architecture, but also like a useful tool of construction to retranscribe the virtual architectures in the real and concrete world! “Vincent Callebaut always questions, by our renewed and intrigued vision, (and not formatted, televised, asepticzed) a vision of a territory inhabited but not fixed. He proposes the building as a living entity, participating in the individual and social development … It’s to demonstrate ones desires to the world. It’s trying to open a gate towards the future, to join the opinion that the world is in becoming and not ending, curled up on itself. It’s giving the best of oneself, a generosity, to be in complicity with the other, it’s trying to have an opinion of ones own about our society and the world we live in (is this how people live ?), where everything that steps out of the boundaries of commonplaces seems to be prohibited. There is no watchword, if it isn’t “resist”. Resist to everything and to oneself.” Agnès Martin in “Walking on the wild side” ("New Worlds, Vincent Callebaut Architectures". Editions Damdi. Séoul 2005. pp.7-10). To anticipate. To prospect. To touch. This is the great challenge to reinvent and to implement day by day the life of the worldwide citizen!


Ecocoon for Recycling Belgium, 2003

Project: Vincent Callebaut Client: A.P.C.I. / E.D.F. _ Watt’s in the Air?

Ecocoon è un mix tra una centrale eolica e residenze urbane. Il fine è quello di ridurre il ciclo energetico dalla produzione al consumo. E’ un’enorme batteria in cui fauna e flora coabitano e in cui parte dell’energia eolica accumulata è utilizzata per riciclare gli scarti e rigenerare i diversi elementi naturali, come aria, acqua e terra, grazie a prodotti riciclati. Ecocoon appare come come un bozzolo peloso ancorato al terreno. I suoi “peli” sono in realtà dei catalizzatori di carbonio che generano acqua raccogliendo vapore e producono luce e calore trasformando le vibrazioni dell’aria in energia elettrica ed elettrostatica tramite

l’attrito. Sotto la sua doppia pelle gonfiata da condutture di policarbonato, strati di batteri biodegradano i rifiuti e gli inquinanti mentre batterie bio-reattive connesse all’impianto eolico convertono la corrente diretta in corrente alternata, la immagazzinano e la ridristribuiscono alla rete elettrica. Il bozzolo appeso a più di 30 metri dal suolo agisce come un terminal interattivo tra le pale eoliche (produzione) e la gente (consumo). La sua attività interna di trasformazione dell’energia eolica in alta tensione e di riciclo dei rifiuti corrisponde a un cambiamento cromatico dei suoi “peli”.

Ecocoon is a mixing between wind power supply and urban housing. The purpose is to reduce the energy cycle from production to consumption. It is a huge battery where fauna and flora can cohabit and where a part of the stocked wind energy is used to recycle the waste products and to regenerate the various natural elements like air, water and earth thanks to recycled products. Ecocoon looks like a hairy cocoon anchored in the ground. Its “hairs” are actually carbon catalysers that generate water by collecting water vapour and produce light and heat by transforming air vibrations in electric energy or electrostatic energy by friction.

Under its double skin blown up by flexible polycarbonate pipes, strata of bacterial beds biodegrade waste and pollutants whilst bioreactive batteries connected to the wind park convert direct current into alternating current. They stock it and supply it throughout the electricity network. The cocoon hung to more than 30 meters of height acts as an interactive terminal between wind machines (production sites) and the people (consumption site). Its inner activity of wind-driven energy transformation in high power and of recycling of waste corresponds to a change of colorimetry of its hairiness.

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Collocato in paesaggi sfigurati dall’inquinamento del mare, dell’agricoltura, dell’industria, della città, Ecocoon è soprattutto un laboratorio interattivo che vuole essere considerato come un’interfaccia didattica tra le mutazioni del paesaggio e i cittadino allo scopo di proteggere e rispettare l’ambiente per le generazioni a venire. In Belgio I problemi dell’inquinamento sono rilevanti. I fiumi, come la Meuse, che è la principale risorsa di acqua potabile, sono inquinati dai concimi, dagli scarti delle fattorie e delle industrie metallurgiche.

L’inquinamento dell’aria, dovuto alle attività industriali e al traffico delle auto è in parte responsabile dell’effetto serra e delle piogge acide nei Paesi vicini, mentre i nuovi sistemi agricoli stanno inquinando i terreni adatti alle coltivazioni. Ecocoon propone una eco-architettura che può interagire con le energie verdi e produre efficaci vaccini contro l’inquinamento.

Located in landscapes disfigured by sea, farming, industrial or urban pollution, Ecocoon is above all an interactive laboratory that wants to be considered as a didactic interface between the landscapes’ mutations and the citizens in order to protect and to respect environment for the next generations. In Belgium pollution problems are the most considerable. Rivers like the Meuse that is a main drinking water source are polluted by manure, farming waste and waste from steel production.

The air pollution by industry and by the road traffic is partly responsible for the greenhouse effect and for acid rains in the nearby countries whereas the new farming methods are polluting lands suitable for cultivation. Ecocoon proposes an eco-architecture that can interact with green energies and produce true vaccines against the pollution of the landscape.

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Il funzionamento degli Ecocoon è direttamente legato alla produzione di energia eolica. Il processo di trasformazione e immagazzinamento consente di fornire l’energia vitale dei vari componenti degli Ecocoon (letti di batteri, bioreattori, dermi tubolari ecc.) con una produzione minima di calore e umidità necessari al funzionamento di questi organismi viventi, totalmente integrati nel ciclo naturale delle energie soft. Questa interazione corrisponde a una variazione di luminescenza dell’epidermide e dei peli dell’Ecocoon. Questa luminescenza cromatica varia a seconda del grado di energia eolica prodotta e della domanda energetica delle persone. Diventa così un vero faro nel paesaggio che indica chiaramente la propria presenza e il ruolo innovativo: prendersi cura del territorio ferito. Ecocoon è un nuovo prototipo di eco-architettura che ibrida la fonte di energia e l’abitazione. Le serre fotosintetiche, i bioreattori, i coni di compostaggio, gli acquari con dischi organici che riciclano l’acqua e le sacche digestive anaerobiche diventano realtà in un’espressione futuristica dello spazio… nel prossimo futuro, l’interazione tra architettura, paesaggio e agricoltura definirà una nuova politica ambientale nel rispetto delle generazioni future. I luoghi di produzione e di consumo saranno riuniti negli Ecocoon.

The functioning of the Ecocoons is directly linked to the production of energy of the wind machine park. The process of transformation and storage enables to supply the vital energy to the different components of the Ecocoons (bacterial beds, bioreactors, tube-shaped dermis, etc.) by the minimum production of heat and dampness necessary to the functioning of these true living organisms totally integrated in the natural cycle of the soft energies. This interaction corresponds to a variation of the luminescence of the epidermis and the hairiness of Ecocoon. This chromatic luminescence varies thus according to the rate of wind driven energy production and the energetic demand of the people. It changes thus into a true lantern in the landscape indicating clearly its presence and its innovative role: to take care of wounded landscapes. Ecocoon is a new prototype of eco-architecture hybridizing energetic source and lodging. The photosynthetic greenhouses, the bioreactors, the composting cones, the aquariums with organic discs recycling the used waters and the anaerobic digestive pouches come true in a futurist expression of the space In the next future, the interaction between architecture, landscape and agriculture will define the new environmental policy in the respect of the future generations. Production and consumption sites will be gathered: Ecocoon.

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Ecomic Mexico City, 2007 Project: Vincent Callebaut Project Team: Rescubika (Benoit Patterlini and Marco Sikic) + Aurélie Cottin Competition organization: Arquine

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La Piazza delle Tre Culture, nell’area di Tlatelolco, è un luogo dalla grande storia. Da un lato, vi è la base di una piramide Azteca con il Tempio di Santiago, dall’altro numerosi edifici moderni. Qui gli Aztechi guidati da Cuauhtémoc combatterono la loro ultima battaglia contro i Conquistadores il 13 agosto del 1521. Il 2 ottobre 1968, la piazza fu teatro del “Massacro di Tlatelolco” in cui più di 300 studenti furono uccisi dalla polizia e dall’esercito. L’obiettivo del progetto Eco-Mic (Centro Infografico Ecologico e Metropolitano) è di riunire gli spazi di esposizione in un paesaggio verticale contemporaneo e di mantenere la relazione con il

sito archeologico. La colonna spinale della torre è determinata dai sistemi di circolazione verticale. I volumi scatolari e i giardini pensili appesi alla facciata contengono il denso programma museale. Le varie espressioni grafiche del territorio di Città del Messico (codici preispanici, piante coloniali e contemporanee, le aree sismiche, i diagrammi delle infrastrutture) sono in esposizione. Questi dati infografici vengono mostrati sulle facciate interne ed esterne con una scenografia diffusa lungo tutta l’altezza della torre attraverso una rete di fibre ottiche con nastri elettromagnetici integrati nella struttura.


Three-Cultures Square, located in Tlatelolco area, is a place with a big story. On one side, we find the base of an Aztec pyramid with the temple of Santiago, on the other side a lot of modern buildings. Here the Aztecs led by Cuauhtémoc made their last combat against the Conquistadores on August 13th , 1521. On October 2nd , 1968, the square was the scene of “Massacre of Tlatelolco”: more than 300 students were killed by the police and army. The aim of the Eco-Mic project (Ecological and Metropolitan Infographic Center) is to join spaces of exposures in a contemporary vertical landscape and deal

with the current archaeological course. The spinal column of the tower is created by verticals circulations. Hanging boxes and gardens contain the dense program of the museum. The various graphic expressions of the territory of Mexico City (prehispanic codes, colonial and contemporary plans, the seisms areas or the infrastructures charts) are exposed here. This infographic data are shown on interiors and exteriors façades with a scenography spread along through an optical fibre network of electronic tapes integrated in the structure.

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Neuronal Alien Reykjavik, 2007 Project: Vincent Callebaut Proponent: The Planning and Building Department of the City of Reykjavik on behalf of the City Council

Vatnsmyri è una grande area pianeggiante, di circa 150 ettari, vicina al centro di Reykjavik. Attualmente, l’area è occupata da un aeroporto che, nei programmi del Municipio, dovrebbe essere riposizionato entro il 2024. Questo aeroporto serve principalmente passeggeri locali e voli turistici e di addestramento. Era stato costruito dall’esercito britannico all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Lo scopo del progetto Neuronal Alien è di ottimizzare l’opportunità offerta da Vatnsmyri per rinforzare e ampliare la città interna per il XXI secolo, offrendo qualità e un forte senso comunitario. Questo master plan futuristico rinsalderà il ruolo internazionale di Reykjavik creando un tessuto urbano dinamico e contemporaneo con l’elevata flessibilità richiesta da aziende di ricerca, tecnologia e cultura mescolate a case e a nuove forme residenziali. La struttura del Neuronal Alien copre l’attuale pianta delle piste di atterraggio e decollo. Il Neuronal Alien si estende tra la fauna e la flora locali per ricostruire un nuovo multi-biotopo. Questo si svilupperà come un organismo metabolico e poroso, capace di rigenerarsi tramite l’assorbimento del paesaggio circostante. Un nuovo frammento, intricato e intessuto, del territorio che tende a lasciarsi penetrare fin nella profondità delle sue escrescenze alveolari. E’ un corpo abitabile con un processo reattivo verso una nuova socialità urbana. Attraverso la rete tridimensionale di fenditure cellulari si mescolano i flussi urbani, informativi, biochimici, fisiologici, spaziali e climatici che ci tengono sospesi ai quartieri circostanti e alla vita di questa isola di ghiaccio.

Vatnsmyri is a large flat area, approximately 150 hectares, near the centre of Reykjavik. The area is presently occupied by an airport that, according to the current municipal plan, is to be relocated by 2024. This airport serves primarily domestic passenger, recreational and pilot training flights. It was built by British military forces in the beginning of the Second World War. The goal of the Neuronal Alien’s project is to maximize the opportunity offered by Vatnsmyri to strengthen and enlarge the inner city for the 21st century, providing quality and a strong sense of community. This futuristic master plan will strengthen the international role of Reykjavik by creating a dynamic and contemporary urban fabric with the high flexibility required for research, technology and knowledge based enterprises mixed with housings and new residential forms. The structure of the Neuronal Alien covers the existing layout of the taking off and landing tracks of the airport. The Neuronal Alien extends itself between the fauna and the local flora to rebuild a new multi-biotope. This will develop itself as a metabolic and porous organism, able to regenerate itself by the absorption of the surrounding landscape. A new tangled and interwoven fragment of the territory tends to let itself penetrate deep down in its alveolar excrescences. It is a habitable body in reactive process to a new urban sociability. Through the three-dimensional network of cellular crevices come to mix together the urban, informative, biochemical, physiological, spatial and climatic flows that hang thus to the surrounding quarters and to the life of this ice island.

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Nelle principali arterie stradali di questo progetto filo-high-tech, tutte le funzioni del parco scientifico si confondono con la terra, il cielo e lo spazio. I poli di ricerca, tecnologia e conoscenza si fondono con la rete residenziale cellulare a essi interconnessa. L’epidermide del substrato organico si modifica in un paesaggio progressivo trafiggendosi con bolle cristalline. L’interno e l’esterno della filo-struttura sono abitabili e offrono un mix di spazi pubblici e privati, in cui l’uomo e l’ambiente sono indivisibili e l’uno diviene il sistema neurale dell’altro, andando a formare un unico corpo.

In the main arterial streets of this Phylo-High-Tech project, all the functions of the science park come to mix between earth, sea and space. The poles of research, technology and knowledge merge in the interconnected cellular housing network. The epidermis of organic substrate changes itself into progressive landscape by transfixing itself by crystalline bubbles. The interior and the exterior of the Phylo-structure are habitable mixing thus private and public spaces, where the man and the environment are indivisible and the one becomes the nervous system of the other, the whole forming only one body.

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Landscript Geneva, 2005 Project: Vincent Callebaut Competition promotors: Fédération des architectes suisses, comité de la section genevoise

Il progetto Landscript mira a densificare, per il 2020, un’area marginale di 220 ettari, fino a ora dedicata esclusivamente ad attività industriali. “Un minimo di spazi pubblici per un massimo di spazi duali”, questo è l’obiettivo del progetto che raddoppia le intenzioni del programma realizzando alloggi per oltre 100.000 nuovi abitanti oltre a tutti i nuovi servizi necessari e trasforma la vecchia periferia in un nuovo spazio centrale transfunzionale. Propone uno scenario evolutivo basato su un nuovo fenomeno di auto-clonazione del territorio. Il concetto di questo progetto deriva dai geni territoriali per ristabilire un ecosistema equilibrato tra il magma costruito e una ritrovata biodiversità. Il terreno, situato in una piana alluvionale e confinante con una morena derivante dal ritiro di un ghiacciaio, ha perso tutte la sua storia territoriale. Non c’è più vegetazione. Solo una cintura di legno che accompagna il declivio boscoso che separa Bâtie au Bachet e Pinchat. E proprio da questa fascia Landscript prende avvio per ritessere un’effervescenza e una rete vegetale auto-riproduttiva a lungo termine. Per oltre 15.000 anni, questa area è stata forgiata e modellata dalla forza delle acque e della morena glaciale. Durante la sua evoluzione, il vecchio delta formato dai tre fiumi Aire, Drize e Arve è stato ricoperto. L’acqua, elemento essenziale del paesaggio ginevrino, non irriga più la superficie del territorio. Solo l’Arve, al limite nord del sito, la cui linea di confine è stata corretta e ha vissuto imponenti inondazioni, rimane come infrastruttura naturale con una forte identità. Landscript propone di restaurare questi flussi di acqua che

si intrecciano tra loro e con i viadotti dell’autostrada della Jeunes, sottolinenando così il principlae ingresso da sud a Ginevra. Questi fiumi riaperti costituiscono le direttrici principali nel nuovo paesaggio artificiale. L’Aire e il Drize sfociano nell’Arve, all’inizio del lago la cui costa viene ridisegnata per accogliere anche il progetto storico del porto fluviale collegato al nodo ferroviario così da creare un polo multimodale di intrattenimento nel centro della città. Landscript rappresenta un terzo livello dell’evoluzione urbana mondiale. In effetti, dopo aver costruito la città nel paesaggio, il paesaggio ricostruisce se stesso sulla città. In tale prospettiva, tutti gli edifici sono considerati come astrazioni di geografie e distorsioni di ecosistemi. Di volta in volta bozzoli, atolli o montagne abitate, essi assorbono le attività. Al centro del progetto, le montagne abitate sono collocate direttamente sull’autostrada Jeunes che attualmente elimina la possibilità di un continuum naturale. Ai piedi di questi mega edifici, l’Aire e il Drize collegano una nuova rete di lagune al porto fluviale e alla direttrice principale costituita dall’Arve. E’ una nuova geografia geneticamente modificata dall’acqua e dalle montagne che integrano tutte le funzioni dei servizi pubblici (scuole, teatri, musei, centri commerciali) mescolandoli alle abitazioni e alle attività secondarie e terziarie. Queste architetture, con silhouette organiche che si fondono col paesaggio naturale, sono auto-sufficienti poiché producono l’energia necessaria (con biogas, cellule fotovoltaiche, impianti eolici), riciclano i propri rifiuti (tramite bio inceneritori e letti batterici) e le acque reflue attraverso il filtraggio in stazioni di purificazione e lagune.

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The Landscript project aims to densify, before 2020, a marginal area of 220 hectares, until now exclusively dedicated to industrial activities. “A minimum of free spaces for a maximum of dual spacesâ€?, this is the objective of the project that doubles the intentions of the programme by accommodating more that 100,000 new inhabitants as well as all the new necessary equipments and transforms the old periphery into a new transfunctional central space. It proposes an evolution scenario based on a new self-cloning phenomenon of the landscape. The concept of the project comes from the territorial genes in order to restore an equilibrated ecosystem between the built magma and a rediscovered biodiversity. The site, located in a alluvial plain and bordered by a moraine coming from the retreat of the glacier, lost all its territorial history. There is no more vegetation now inside the site. Just a timbered cord which accompanies the wood slope separation of the Bâtie au Bachet and Pinchat. It is precisely from this timbered cord that Landscript begins to reweave an effervescent and self-reproductive planted web for a lasting growth. For more than 15,000 years, the site has been forged and modelled by the power of the water and the glacial moraine. During its evolution, the old big delta formed by the three rivers Aire, Drize and Arve, has been covered. The water, essential element of the Genevan landscape, does not irrigate anymore the territory in surface. Just Arve at the north limit of the site, whose border line has been corrected and encountered important floods, remains a natural infrastructure with a strong identity. Landsript proposes to restore these water flows which interlace themselves between the via-

ducts of the Jeunes freeway, outlining thus the main south entry in the city of Geneva. These reopened rivers are the main lines of the new artificial landscape. Aire and Drize arrive on Arve, at the head of the lake whose contours are redrawn in order to welcome the historical project of the river harbour linked to the buckle of the railroad so as to create a true multimodal pole of entertainment in the centre of the city. Landscript represents the third step of the worldwide urban evolution. Indeed, after having built the city on the landscape, the landscape rebuilt itself on the city. In this perspective, all the buildings are considered as abstractions of the geographies and distortions of ecosystems. Sometimes cocoons, atolls or inhabited mountains, they absorb the activities. In the centre of the project, the inhabited mountains are set up directly on the Jeunes freeway which takes currently away all the possibilities of a continuous nature. At the foot of these mega buildings, Aire and Drize connect a new network of lagoons to the river harbour and to the main line that Arve constitutes. It is a new geography genetically modified by water and mountains that integrates all the programmation of the public equipments (schools, theatres, museums, shopping malls) by mixing them to the housings and to the secondary and tertiary activities. These architectures, with organic silhouettes merging with the natural landscape, are self-sufficient as they produce their own energy (by biogas, photovoltaic cells and wind mill energy), recycle their waste (by bio burning and bacterial beds) and their used waters by natural filtration in purification stations and lagoons.


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Caro Cesare, guarda un po’ come vanno le cose. L’intenzione del Direttore dell’undicesima Biennale di Architettura di Venezia, come da lui stesso per ogni dove e più volte dichiarato, era quella di “…esplorare un’architettura oltre il costruire…resuscitare un’architettura dell’immaginazione, fuori dalle defunte carcasse degli edifici”. Al di là del fatto di condividere o meno questa chiave critica comunque ambiziosa e quindi lodevole proposta da Aaron Betsky, dispiace non poter fare altro che constatarne, de visu, il fallimento. Difficile d’altra parte che potesse finire diversamente, vista la natura insidiosamente aporetica di un tale assunto di partenza. Si ha anche l’impressione che non ci sia mai stata, durante i lunghi mesi di gestazione, una qualche reale consapevolezza della selva degli agguati da ciò derivanti, che, se affrontati adeguatamente, avrebbero invece garantito risultati di cui ora non vi è traccia. Peccato, si sentiva davvero il bisogno di un colpo d’ala, di un riscatto, dopo l’edizione di due anni fa, dilapidata fra resoconti sociologici gigantografati, ammiccamernti di urban policies, sterminate distese deliranti di murature di pietra, deprimenti cataloghi tipologici per sorprendenti new towns padane. Così, all’Arsenale vengono perpetrati nuovi sfregi a un insieme di spazi che, come è noto, hanno per conto loro del miracoloso e meriterebbero di ospitare presenze temporanee almeno dignitose. Invece, continuamente interrompendone, cancellandone, rifiutandone le sequenze, lungo i trecento metri delle Corderie si affastellano senza capo né coda ventidue installazioni incongrue. Una vera e propria Via Crucis che con l’architettura non ha proprio nulla a che vedere, né al di qua né al di là delle “defunte carcasse degli edifici”, come si sarebbe voluto. Dolorosa questo sì, perché incomprensibile nel succedersi di episodi comunque brutti, anche perché non sorretti da una ratio allestitiva degna di questo nome, ridotta a squallidi divisori fatti di elementi di plastica bianchi e neri, una sorta di pixel giganti materializzati e incastrati l’un l’altro. Un prodotto deprimente e depressivo dell’agenzia olandese Thonik, celebrata poi più oltre in un altro luogo a lei appositamente dedicato, dove se ne dimostra una vena prevalentemente grafica, e neppure delle più esaltanti e raffinate. Non si sa bene cosa dire o cosa fare. Sicuramente non è il caso di prendere tutto quest’insieme troppo sul serio, questo no; come invece alcuni, comprensibilmente irritati, hanno tentato di fare, finendo con l’attribuire spessori eccessivi ad una intelaiatura critica di fondo che è soltanto debole e confusamente velleitaria. Anche purtroppo diseducativa, questo sì, ed è l’aspetto veramente riprovevole e da rigettare in toto, specie di questi tempi, nei quali l’architettura si sta slabbrando fra gli exploits degli involucri spettacolari e la mediocrità diffusa e condivisa dei milioni di metri cubi giornalmente costruiti e immessi sul mercato stressato. Ecco allora che dispiace molto il continuo cedimento alle lusinghe di una incorporeità assorbita per via dell’incessante diluvio dei trattamenti digitali, che porta a travisare le immagini, o i microclimi, o i led e i circuiti stampati, per spazi; o, peggio, gli arredi brutti, bislacchi o volgarotti per espressione di supposti nuovi bisogni fisici di società in muta72 l’ARCA 241

zione. E ugualmente stupisce la scarsa capacità di resistenza alle suggestioni dei media, che sta presumibilmente alla base delle scelte curatoriali che hanno portato a questo mélange espositivo davvero inconcludente e incomrensibile composto di troppo noti, meno noti, ignoti. (Rimane soltanto il conforto di Greg Lynn che in un angolino un po’ nascosto pare chiamarsi fuori, spiegando garbatamente come la casa in cui abita a Venice, una Sears Roebuck del 1903 ordinata all’epoca su catalogo, rimanga a tutt’oggi una casa davvero casa, insuperata). Personali, ma non soltanto, inveterate diffidenze verso qualunque variante dell’urbanistica Italian style postbellica escono rafforzate attraversando, dopo le Corderie, la sezione “Uneternal City”, dove Roma, poveretta, viene scannata facendo variamente ricorso alla diffusione di virus definiti benefici che si nutrono di vita ed energia già presenti nell’urbanità (sic); un’orgia di rendering e trucchi digitali, che riesce difficile non considerare soltanto come divagazione alla fin fine certo involontariamente ma inesorabilmente complementare al nuovo esecrabile piano di recente adottato dall’Urbe. Mentre nel Padiglione italiano, forse anche per inconscia ammenda dell’uso fattone due anni fa, si scrutano, in dodici corner ben poco emozionanti, eventuali alternative residenziali, spronate dallo slogan “l’Italia cerca casa”. Nella totale trascuratezza di un qualche sensato assetto di allestimento, nello stanzone (questo alla fine rimane come inevitabile conseguenza) stillano dai muri perimetrali disdegno per gli scempi avvenuti (quelli in corso non risultano del tutto chiari), impegno sociale, doverosa consapevolezza dei dettati della sostenibilità e dell’ecocompatibilità, simpatie per motivi low-tech forse implausibili ma considerati à la page. A suo modo anche un revival: dopo tutto una variante aggiornata di alcuni dei motivi portanti del neorealismo, che rimane la spina dorsale della nostra cultura engagé degli ultimi sessant’anni. Tracce politically correct e un retrogusto un poco burroso di buonismo, direbbe un enologo. Totale sincronia con l’attuale temperie italica; ma attenzione: se certamente dessous les pavés c’est la plage, qui invece dietro l’angolo ci sono i consueti vizi nostrani delle rifritture astratte o ideologiche, e soprattutto le favelas. Anni luce comunque di distanza e tutt’altre cose rispetto all’imbarazzante gnocco grigiastro di polistirolo purtroppo appositamente secreto per la Mostra dalla città di Milano, con il dichiarato intento di proclamare in tal modo un proprio oscurissimo manifesto, e abbandonato lì sulla riva, inosservabile e per fortuna del tutto inosservato, grazie alla presenza vigile e vincente della grande vecchia gru di Armstrong, Mitchell &Co., delle Gaggiandre e di un piccolo shelter kazako. Se l’Arsenale piange, ai Giardini molto non si ride. Al di là delle differenze che intercorrono fra i vari padiglioni nazionali, alcuni dei quali, come la Spagna per esempio, o la Francia, optano per una controllata e interessante impostazione documentaria, mentre altri preferiscono la via dell’installazione o della monografia, serpeggia nel complesso un leit-motif di sottofondo, comprensibilmente costituito dall’attenzione rivolta alla sostenibilità, alla ecocompatibiltà, e così via. Si tratta di temi da molto tempo all’ordine del giorno dei mass media; eppure visitando le varie esposizioni si ha l’impressione che l’architettura non riesca ad andare oltre gli slogan e le dichiarazioni di intenti, o le rassegne di componenti disponibili sul mercato, o ancor peggio agli sconfinamenti sociologici. Ne risulta un quadro piuttosto noioso, molto prevedibile, che tra l’altro smorza anche parecchio le potenzialità festosamente euristiche della natura di kermesse da sempre caratteristica di questa sezione. Come è ormai purtroppo consuetudine, il Padiglione Italia, che avrebbe almeno il compito di fare gli onori di casa, presenta un’insondabile accozzaglia di materiali disparati, riuscendo una volta ancora a fare caso a sé. Oscillando senza posa fra riverenti omaggi agli scarti messi con distratta nonchalance a disposizione dai big del international jet-set, strizzatine d’occhio e attenzioni dedicate a frange marginali di aspiranti e improbabili nouvelles vagues, incredibili scivoloni di comprendonio (Frank Gehry, Leone d’oro alla carriera di questa edizione, “pensa con gli scarabocchi”), testimonia uno stato di affannoso e preoccupante disorientamento. E riesce perfino, con la deprecabile installazione imputabile a Herzog e De Meuron, nella difficile impresa di dare al pubblico un esempio da manuale di analfabetismo allestitivo. Eppure non dovrebbe essere poi così difficile fare queste cose, perfino le Mostre come la Biennale di Architettura, in modo diverso. Almeno più utile, più interessante, più aggiornato. Più bello. Vale la pena di pensarci? Forse sì. Parliamone, magari evitando di appoggiarci al cippo eretto pochi giorni fa al Lido sotto un enorme e desolato tendone vuoto per reggere la prima pietra del nuovo Palazzo del Cinema: potrebbe rivelarsi rischioso, non si sa mai. Intanto saluti carissimi. Maurizio Vogliazzo


Dear Cesare, just look how things sometimes turn out.

The Director of the 11th Venice Biennial of Architecture’s intention, as he himself has stated on several occasions, was to “… explore architecture beyond building… revive an architecture of the imagination, beyond the dead carcasses of buildings”. Regardless of whether we agree with this certainly ambitious and hence praiseworthy critical approach proposed by Aaron Betsky, upon closer scrutiny we must, unfortunately, note that it has failed. And, after all, this was rather inevitable bearing in mind the insidiously aporetic nature of such an initial assumption. You also get the impression that, throughout all the long months of preparation, nobody was really aware of all the potential traps involved, which, if dealt with properly, might in fact have produced the kind of results of which there is now no trace. What a pity, we really did need some sort of revival or redemption after the edition held two years ago, squandered amidst blown-up sociological reports, mimics of urban policies, endless stretches of stone walls and depressing typological catalogues about startling new towns in the Po Valley. So, further wounds are being inflicted on the Arsenal’s spaces, which, as we know, have something miraculous about them and deserve to host at least dignified temporary presences. Alas, twenty-two incongruous installations, with neither head nor tail, constantly interrupt and break them down, rejecting their sequences along the 300 metres stretch of Corderie. An authentic Via Crucis which has absolutely no bearing on architecture, nothing more than “abandoned carcasses of buildings” and not what was needed. This is all very painful, because they are an incomprehensible part of a series of rather ugly episodes, which are not backed up by any kind of carefully thought out layout, actually reduced to just squalid divisions composed of black and white plastic elements, some sort of giant pixels which have materialised and been slotted together. A depressing and disappointing product of the Dutch agency Thonik, celebrated elsewhere in another place specially devoted to it, where it shows a certain distinctly graphic tendency which is anything but refined or exalting. It is hard to know what to say or do. Certainly there is no need to take all this too seriously, certainly not; which is what, understandably irritated, others have tried to do, ending up by giving far too much importance to an underlying critical framework which is just too weak and overambitious in a confused way. Unfortunately, it is also un-educational and that is the most reprehensible and regrettable thing of all, particularly nowadays when architecture is crumbling under the weight of those spectacular shells and the widespread and highly popular mediocrity of millions of cubic metres built every day and launched onto an overstressed market. It is extremely regrettable that we are constantly falling prey to a kind of insubstantiality absorbed by an incessant flood of digital works, meaning that images, microclimates, LEDs and printed circuits end up being mistaken for spaces; or, worse still, ugly, crazy or just plain vulgar furnishing being taken for what are, allegedly, the new physical needs of changing society. It is equally startling to note the failure to resist the temptations of the media, which, presumably, underscore certain curator’s decisions, which have led to this hotchpotch display which is truly inconclusive and incomprehensible and features too many well-known, lesser known or unknown characters. (All that is left to console us is Greg Lynn, who, hidden away in a corner, manages to keep out of the fray, elegantly explaining that the house in which he lives in Venice, a Sears Roebuck from 1903 ordered by catalogue back then, is still a real house of unrivalled quality). Personal (but not just personal) mistrust of any variation on post-war Italian-style town planning emerges reinforced (after the Corderie) by the “Uneternal City” section, where Rome, poor thing, is ravaged by what are described as beneficial viruses nourishing themselves on the life and energy already found in the urban environment (sic); an orgy of renderings and digital tricks, which it is hard not to see as ultimately just an involuntary but inevitably complementary digression from the horrible new plan recently adopted by the capital city. Meanwhile, in the Italian Pavilion, perhaps subconsciously to make amends for how it was treated two years ago, in twelve rather unexciting corners, we can see some housing alternatives under the slogan “Italy is looking for a home”. Totally bereft of any kind of sensible layout, the walls in the main room (which, in the end, is still there as a sort of inevitably consequence) display a total disdain for the massacres that have taken place (those still happening are not really clear), social engagement or any due awareness of the dictates of sustainability and eco-compatibility, sympathy for low-tech ideas, which are perhaps implausible but viewed as trendy. In its own way this is actually a revival: ultimately an updated varia-

tion on certain key motives of neo-realism, which remains the backbone of our engaged culture over the last 60 years. Traces of the politically-correct and a taste for the retro which is all rather too nice, so an oenologist might say. Totally in synch with the current climate in Italy; but take note: if dessous les pavés c’est la plage, here on the other hand the usual Italian mistakes of making abstract of ideological rehashes are just around the corner, as are, most significantly, the favelas. In any case, light years away and something quite different from the embarrassing greyish lump of polystyrene used for the exhibition on the city of Milan with the openly avowed intent of thereby proclaiming its own manifest bleakness. Out of sight and fortunately totally ignored over there on the edge, thanks to the watchful and striking presence of the big old crane designed by Armstrong, Mitchell &Co., the Gaggiandre and a small Kazakh shelter. If things are bad at the Arsenal, then they are not much better at the Gardens. Apart from the differences between the various national pavilions, some of which, like Spain’s or France’s for example, have opted for a carefully controlled and interesting documentary layout, whereas others have gone for the installation or monographic approach, the underlying leitmotif weaving throughout the complex is (understandably) based on sustainability, ecocompatibility etc. These issues have been on the mass media’s day's agenda for some time now; yet visiting the various exhibitions you get the impression that architecture is incapable of going beyond slogans and statements of intent or just reviews of components available on the market or, worse still, forays into sociology. The end result is a rather boring and extremely predictable overall picture, which actually manages to really dampen the joyfully heuristic spirit which has always characterised this section. As unfortunately is now the custom, the Italian Pavilion, which should at least have had the task of doing the honours as the host nation, actually presents an unfathomable hotchpotch of random materials, once again managing to make a show of itself. Oscillating between reverent tributes to waste nonchalantly made available to the big names of the international jet set, focusing on and nodding its head at marginal fringe movements of would-be (but highly unlikely) nouvelles vagues, and even lapses into incredible stupidity (Frank Gehry, awarded the Golden Lion for his career’s work at this edition, “thinks in scribbles”), all bear witness to a state of desperate and worrying disorientation. And it even succeeds, through the deplorable installation which Herzog and De Meuron are responsible for, in the tricky intent of providing the general public with a textbook example of how not to create an installation. And yet it should not be so difficult to do these things – even exhibitions like the Biennial of Architecture – in a different way. At least a more interesting, useful and updated way. More beautiful. Might it be worth reflecting on this? Perhaps it would. Let's talk about it, perhaps while taking care not to lean on the stone set up a few days ago at the Lido inside a huge and desolate empty tent in order to support the first stone of the new Palazzo del Cinema: be careful, it might be rather risky, you never know. In the meantime I bid you all a fond farewell. Maurizio Vogliazzo

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l nuovo ponte è stato realizzato a monte del Ponte di Rialto, primo ponte a passare sopra al Canal Grande alla fine del XVI secolo, e dei ponti degli Scalzi e dell’Accademia, risalenti agli inizi degli anni Trenta. Il ponte di Calatrava, commissionato dal Comune di Venezia attraverso un processo di selezione pubblica avviato nel novembre 1999, si trova in una posizione molto strategica collegando la stazione ferroviaria Santa Lucia, sulla riva nord del Canal Grande, col Piazzale Roma a sud. La massima attenzione è stata posta nell’integrare il ponte con le banchine. Le scale e le rampe sono state progettate per aggiungere vitalità a entrambi i lati del canale, mentre i piedritti a forma di mezzaluna ampliano la libertà di accesso dei pedoni alle banchine. Le aree alle estremità agiscono come estensioni del ponte, creando nuovi spazi celebrativi per Venezia. Sul lato sud, si è realizzato anche un nuovo passaggio tra Piazzale Roma e le piattaforme di ormeggio dell’ACTV (il sistema di trasporto pubblico via acqua). Il ponte è lungo 94 metri, con un luce centrale di 81 metri. La larghezza varia dai 5,58 metri metri alle estremità ai 9,38 metri al centro. L’altezza del ponte sul livello dell’acqua è di 3,2 metri alle estremità e di 9,28 metri al centro. L’elemento strutturale completamente di acciaio è costituito da un arco centrale di raggio molto ampio (180 metri) con due archi laterali e due archi sottostanti. A unire questi archi sono travi fatte da elementi tubolari e lastre di acciaio, posizionate radialmente rispetto al raggio principale. Gli scalini e il piano del Ponte sono realizzati con sezioni alternate di vetro di sicurezza temprato e pietra naturale d’Istria, che riprende il disegno dei piani di molti altri ponti veneziani. I piedritti sono di cemento armato e rivestiti della stessa pietra. Il parapetto è tutto di vetro con ringhiere di bronzo vetrificato. Di notte, luci fluorescenti posizionate all’interno della ringhiera illuminano il percorso, aumentando l’effetto scenografico già offerto dall’illuminazione dal basso del piano trasparente. Luci spot nella parte inferiore dei muti alle estremità del ponte, ne illuminano gli accessi.

Paolo Emilio Sfriso

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he new bridge takes its place up-stream from the Rialto Bridge, the first bridge to span the Grand Canal at the end of the 16th century, and the Scalzi and Accademia Bridges which date from the early 1930s. Calatrava’s bridge, which was commissioned by the Municipality of Venice through a public selection process in November 1999, is sited at an extremely strategic point, connecting the railway station (Stazione Santa Lucia) on the north side of the Grand Canal with the Piazzale Roma on the south. Care has been taken to integrate the bridge with the quays on either side. The steps and ramps are designed to add vitality to both sides of the canal, while the crescent-shaped abutments leave pedestrians with free access to the quays. The areas at either end act as extensions of the bridge, creating new celebratory spaces for Venice. On the south side, the design also provides a new passage between the Piazzale Roma and the mooring platforms for the ACTV water transport. The bridge is 94 meters long, with a central span of 81 meters. The width varies, from 5.58 meters at either landing to 9.38 meters at the midpoint. The bridge rises from a height of 3.2 meters at the landing to 9.28 meters at midpoint. The all-steel structural element consists of a central arch of very large radius (180 m), with two side arches and two lower arches. Joining the arches are girders made of steel tubes and plates, which form closed section boxes and are placed radial to the main radius. The steps and deck of the bridge are made of alternating sections of tempered security glass and natural Istria stone, picking up the design of the existing pavement in many bridges in Venice. The abutments, made of reinforced concrete, are clad in the same stone. The parapet is entirely glass, with a glazed bronze handrail comprising its upper edge. At night, fluorescent bulbs set within the handrail illuminate the path, adding to the stage-set effect created by illumination from below the transparent deck. Spotlights set low on the walls illuminate the ground on either end of the bridge. 241 l’ARCA 75


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Bel tema, la questione delle abitazioni, almeno da Engels in qua un must per l’architettura, se non addirittura proprio il must. Anche se forse non di rado esagerando, visto lo spazio smisurato che questo tema ha finito per occupare, talvolta sovraccaricandosi di ideologia, nei dibattiti di settore e in generale nella letteratura, di fatto contribuendo non poco a lasciare troppo in ombra altre cose forse altrettanto importanti, come le fabbriche, i luoghi del lavoro terziario, i servizi, il paesaggio, e così via. Sta di fatto che una Biennale di Architettura come si deve non può non occuparsene, non sarebbe neppure politically correct, e quindi inammissibile. Infatti anche “Out there”, come si vede , lo fa, o almeno ci prova. 78 l’ARCA 241

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Si sa come il mondo sia dall’ultimo dopoguerra cambiato, e come stia cambiando senza posa: trasformazioni che lasciano dietro di loro infiniti problemi, difficili non soltanto da risolvere, ma anche soltanto da percepire. Con la generic sociology e i poco affidabili derivati delle urban policies non si va lontano, questo lo si era appreso dalla scorsa edizione veneziana di burdettiana memoria. Mentre quest’anno si dichiara di voler giocare d’attacco, proposito ovviamente più che condivisibile. Ed invece ecco schierata una squadra di ottuagenari e oltre, neppure palestrati. Appaiono soltanto qua e là, nella sezione tematica soprattutto ma anche in generale, dell’edilizia abbastanza corrente o


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delle proposte molto déjà vu, anche se tutto quanto non manca mai di essere venato da empiti di sedicente, ma non convincente, sostenibiltà: una delusione, ma anche un peccato, visto appunto ciò che sta avvenendo sul nostro pianeta. Viene da chiedersi: ma gli Smithson? E Metabolism? E Fuller? E l’Experimental Architecture? O anche semplicemente tre generazioni di New Towns? Dimenticato tutto. Forse, il futuro è davvero dietro le spalle. (M.V.)

1. Mathias Woo, Hong Kong Pavilion 2. Hamonic + Masson, “Villiot Rapée” Residences, Paris. French Pavilion 3. Raphaëlle Hondelatte et Mathieu Laporte, David Pradel, Florence Champiot, Sophie Dugravier et Emmanuelle Poggi, Nathalie Franck, Bernard Bülher, Patrick Hernandez, Les Diversités, Bordeaux / France. French Pavilion

4. Studio Albori, L’ecomostro addomesticato. Uno scheletro edilizio abbandonato diventa una casa 2008. Italian Pavillon (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia) 5. Block, Ghostbunker, Nantes. French Pavillon 6. Atelier d’architecture Brenac & Gonzalez et Martinie, DORA Building, Toulouse. French Pavillon

7. Estudio Teddy Cruz, A housing Urbanism made of waste, Italian Pavillon (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia) 8. The Foundation for Achieving Seamless Territory (FAST), One Land and Platform Paradise, a new view for Ein Hawd. Italian Pavillon (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)

9. LOT-EK (Ada Tolla + Giuseppe Lignano), LOT-EK O+O / highway-crop, Italian Pavillon (Courtesy: LOT-EK e Fondazione La Biennale di Venezia) 10. Recetas Urbanas, Cartel UH, Italian Pavillon (© Recetas Urbanas, Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)

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Housing has always been a good topic, and even a must (if not the must) for architecture, at least ever since Engels. Possibly often actually over-exaggerating the issue, bearing in mind all the ink spilt over this issue, sometimes even overloading it with ideology when debating or writing about it and inevitably pushing other perhaps equally important things into the background, such as factories, services facilities, utilities, the landscape etc. But the fact is that a proper Biennial of Architecture is obliged to look at this matter; after all it would not even be politically correct and hence inadmissible. In actual fact even “Out there”, as we can see, does so or at least it tries to. We all know how much the world has changed since the 80 l’ARCA 241

war and how much it is still constantly changing: transformations leaving endless problems in their wake, not just difficult to solve but even tricky to spot. Generic sociology and the rather unreliable off-spins of urban policies are not much good, as we found out at the last edition of the exhibition in Venice. But this year there is apparently an intent to go on the attack, an idea which, of course, we are in favour of. But in actual fact all we have is the usual team of eighty-year-olds, who are not even in particularly good shape. Only here and there, mainly in the theme section and also the general section, is there any relatively up-to-date building and rather déjà vu ideas, despite all the lashings of what is allegedly


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(but we have our doubts) sustainability: disappointing but also a real shame, bearing in mind what is happening on our planet. We cannot help wondering what has happened to the likes of Smithson, Metabolism, Fuller and Experimental Architecture. Or even just those three generations of New Towns. All completely forgotten. Perhaps the future really is already behind us. (M.V.)

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8 1, 2. Mario Cucinella, Housing Evolution e la casa da 100K_. Evoluzione degli stili abitativi, 2008. Italian Pavillon 3. Jason Carlow et al., Hong Kong Pavillon 4. Takuya Onishi / Launchpad05, APMS (Alumium-Pneumatic Modular System) (phase 1) (2004-06), ATAS (Aluminium Tube Assembly System) (phase 2), Client: SUS Corp. Italia Pavillon (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)

5. ZUS [Zones Urbaines Sensibles], Schouwpodium, Rotterdam, 2001. Italia Pavillon (photo montage © 2001 ZUS, Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia) 6. Buep Architects, Soccer City Nasrec Precinct, Johannesburg. Locating 2010

7. Urban - Think Tank, Metro Cable –Manguitos Station with San Agustin Music Theater, San Agustin, Caracas, Venezuela, 2007/08, Urban – Think Tank archive. Italia Pavillon (Courtesy: Urban – Think Tank e Fondazione La Biennale di Venezia) 8. Boeri Studio, Torre ZIP, 2008, Padova. Italia Pavillon (© Boeri Studio, Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)

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La condizione felice e impegnativa in cui si trova, e sempre si troverà, l’allestimento, versante dell’architettura, al quale è affidato il compito difficile di dar luogo alla esistenza temporanea di spazi, forme, ambienti specialmente rivolti a mostrare e comunicare oggetti e idee, non dovendo più di tanto fare i conti con i pesanti fardelli vitruviani e nello stesso tempo però affrontando compiti perfino più ardui di natura emotiva, estetica, mediatica, sembrerebbe rispondere su misura ai desideri di Betsky di un’esplorazione “oltre gli edifici”, per rilanciare una tensione, una ricerca. Ritornano in questo senso continuamente in gioco, non di rado brillando come fari nella notte e segnando vere e proprie svolte nella storia dell’architettura, allestimenti memorabili, 82 l’ARCA 241

grandi firme da Albini a Baldessari, tanto per rimanere a casa propria e nel classico, e tante Triennali milanesi dell’età dell’oro. Oppure almeno il novanta per cento di quelli dei Castiglioni. Non era poi neppure male la sezione “Environments” di “Italy: The New Domestic Landscape”, al MOMA, tanto per fare un altro esempio di mostra-ricerca intelligente. Ancora più vicina, in questo caso letteralmente ad un passo, la veneziana “Strada novissima”, capostipite delle Biennali di Architettura. E invece niente. Raramente capita di doversi aggirare in un evento espositivo, per di più ambizioso e di grande stazza, totalmente muto come quello della sezione tematica all’Arsenale quest’anno e nel Padiglione Italia ai Giardini.


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Allestimento zero, ambienti uccisi, comunicazione nulla. Spazi émouvant? Nessuna traccia, se si eccetua la parte à la Boltansky del padiglione seminascosto della Repubblica Popolare Cinese. Soltanto corner, corner per ogni dove, disposizione desolata del quasi nulla, mancando ovviamente l’appeal delle merci delle boutiques e dei grandi magazzini. Anche la casualità distratta e volgarotta di molta parte degli annuali “fuori salone” milanesi. Una vendetta deliberata? Magari fosse così. Purtroppo non lo è. (M.V.)

1. Ball-Nogues Studio, Unseen current, 2008. Italia Pavillon 2. Chilean pavilion, a view of the exhibition 3. Barkow Leibinger Architects, formation[RE]formationInside view installation, 2008. Arsenale 4. French Pavilion, Giardini (© Mark Smith)

5. Herzog & de Meuron and A. Weiwei, Italia Pavilion installation, 2008 6. Penezic & Rogina architects, Who’s afraid of big bad wolf in digital age? Arsenale 7. Matthew Ritchie & Aranda/Lasch, in collaboration with Arup AGU, The Evening Line 2008. Arsenale (Commissioned by Thyssen Bornemisza Art Contemporary)

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The happy yet tricky situation in which installations find themselves (and will always find themselves) – that side of architecture which is expected to bring temporary spaces, forms and settings into being specially designed to shift and convey objects and ideas, free from any heavy burdens of the Vitruvian kind while, at the same time, tackling perhaps even more tricky issues of an emotional, aesthetic and media-related nature – would appear to be custommade to satisfy Betsky’s desires to explore “beyond buildings” in the name of research. This keeps on calling to mind (often shining out like beacons in the night and marking authentic turning points in the history of architecture), those memorable installations by such leading figures as 84 l’ARCA 241

Albini and Baldessari, keeping it here at home and in the classical line, and also lots of Triennials from the golden age in Milan. Or at least ninety percent of those designed by the Castiglioni brothers. The section of the MOMA entitled “Environments” of “Italy: The New Domestic Landscape” was not so bad either, just to give another example of a smart exhibition-research project. And even closer to home, in this case literally a step away, the “Strada novissima” in Venice, the best of the Biennials of Architecture, is also worth mentioning. But here we have nothing. Rarely do you ever wander around an exhibition event, particularly one which as ambitious as this and of such notable status, in complete


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silence, as is the case of the theme section at the Arsenal this year and in the Italian Pavilion out in the Gardens. No installation, dead settings and zero communication. So where are all the beguiling spaces? There is no trace of them, except for the Boltansky-style part of the semi-concealed pavilion belonging to the People's Republic of China. Just corners all over the place, a desolate layout featuring almost nothing, clearly lacking the appeal of goods on display in shops and department stores or even the rather distracted and slightly vulgar randomness of many of the annual “off the show” events in Milan. Deliberate revenge? If only it were. But unfortunately it is not. (M.V.)

1. Jakob+MacFarlane, Evolutive space of conflict. Italia Pavilion 2. Greg Lynn FORM, Toy furniture. Arsenale (Courtesy: Greg Lynn FORM and Fondazione La Biennale di Venezia) 3. An Te Liu, Cloud. Arsenale (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)

4. Nigel Coates, Hypnerotosphere installation, 2008. Arsenale (Courtesy: Nigel Coates and Fondazione La Biennale di Venezia) 5. Ton Matton Technical paradise, an installation with 50 apple trees and medical facilities. German Pavilion 2008

7. Zaha Hadid Architects, Lotus, Perspective – Open, 2008. Arsenale (Computer Generated Image. Courtesy: Zaha Hadid Architects and Fondazione La Biennale di Venezia)

6. Erik Adigard/M-A-D, Chris Salter, AirXY Concept View Outside, 2008. Arsenale (Courtesy: M-A-D and Fondazione La Biennale di Venezia)

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1 3 1. Zaha Hadid Architects, Tatlin Tower and the Tektonic “Worldwind”, The Great Utopia, Museo Guggenheim Museum exposition, New York 1992, Acrilico e colori ad acqua su cartridge, 177x101 cm. Italia Pavillon (© Zaha Hadid Architects, Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)

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2. MVRDV, Nathalie de Vries, Jacob van Rijs, Winy Maas, Skycar City, 2008. Arsenale (Courtesy: MVRDV and Fondazione La Biennale di Venezia)

3. M Fuksas D, Kensington Gardens (Everyday Life Scenes, Daytime Interior), 2008. Arsenale (Courtesy: Studio Fuksas and Fondazione La Biennale di Venezia)

4. MAD Office, Super Star_A Mobile China Town in Rome. Arsenale (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)


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Stando alla lettera, e tentandone un’esegesi, il programma della undicesima Mostra di Architettura della Biennale di Venezia, se da un lato suona come un manifesto, dall’altro espone un vero e proprio programma di ricerca, anche abbastanza ambizioso. Ricerca il cui obbiettivo sarebbe, andando oltre il costruire e attraverso l’esposizione di una oculatissima selezione di progetti e non meglio definiti esperimenti compiuti o in corso da parte di architetti particolarmente sensibili al cambiamento e agguerriti per tecnologie possedute, linguaggi ben controllati, consapevolezze sociologiche, quello di giungere a dimostrare la possibilità di costruire (eventualmente) edifici prodotti dal desiderio di creare una relazione tra noi stessi, il mondo che 88 l’ARCA 241

ci circonda e i nostri simili. Nel caso, addirittura senza gli edifici. Con particolare attenzione ai detriti che ci lasciamo alle spalle. Sotto il profilo epistemologico, e forse anche semplicemente logico, ci sarebbe parecchio da ridire; ma la natura declaratoria potrebbe aiutare a mettere al riparo da troppa critica questi intenti, spostando l’attenzione sul piano dell’entusiamo e della generosità euristica, anche un poco sconclusionata, che non di rado è propria dell’architettura. E qui casca il palco. Il mélange indecifrabilmente eterogeneo che viene proposto, oltre alla noia di fondo che rende difficilmente sopportabile una visita completa della mostra (che ne sarebbe, senza il soccorso dei luoghi che la ospitano?), risulta, rispetto alle intenzioni del programma, completamente fuori campo. Si


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ripropongono infatti i Leitmotif più triti di uno Zeitgeist colto purtroppo al suo livello più corrivo: ecosostenibilità non ben precisata, riammagliamenti sociali da associazioni di animatori, risparmi implausibili tramite l’accorpamento di scarti, diagrammi ritenuti à la page disperatamente afisici e afasici, e così via. Reimpastando, se del caso, riproposizioni rivedute e corrette di quarant’anni fa (ma come? Allora si era più avanti?!). E pensare che sarebbe bastato cercare, guardarsi intorno. L’architettura dopo tutto, sovrastata com’è ora da gestioni mediatiche spregiudicate di exploits spettacolari, se lo sarebbe questa volta proprio meritato. (M.V.)

1, 2. COOP HIMMELB(L)AU, Feedback Space. Arsenale (© COOP HIMMELB(L)AU Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia) 3. Guallart Architects, Hyperhabitat. Arsenale (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)

4. STEALTH.unlimited, Cut for Purpose – with an intervention by Robbert de Vrieze, 2006. Italia Pavillon (Courtesy: STEALTH.unlimited and Fondazione La Biennale di Venezia) 5. NL Architects, Città da crociera / Crociera da città Cruise City /City Cruise, 2003. Italia Pavillon (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)

6. 2012Architecten, Espressobar *K, Delft 2007-2008. Italia Pavillon (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia) 7. Emmanuel Combarel Dominique Marrec architectes, (ECDM), Erick Van Egeraat, Pierre Gautier, Manuelle Gautrand, MVRDV, Le Monolithe, Lyon Confluence. French Pavilion Lyon, France

8. ecoLogicStudio (Claudia Pasquero, Marco Poletto), Tuspa (Nilüfer Kozikoglu), Fibrous room installation, Garanti Gallery, Istanbul, collaborators: AKT structural engineer, Londra; Architectural Association School of Architecture, Londra, Università ITU, Istanbul. Italia Pavillon (Sponsor Lafarge, Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)

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Taken literally and attempting to unravel it, the programme for the 11th Architecture Exhibition at the Venice Biennial sounds, on one hand, like a manifesto but, on the other, sets down a genuine research programme of a relatively ambitious nature. The aim of the research – moving beyond building and studying the display of very carefully selected projects and unqualified experiments carried out (or currently being carried out) by architects who are particularly sensitive to change and at the cutting-edge in terms of technology, carefully gauged design idioms and sociological awareness – is to prove the possibility of (eventually) constructing buildings resulting from a desire to create interaction between ourselves, the surrounding world and our fellow man. In this 90 l’ARCA 241

specific case even without producing any buildings. Mainly focusing on the waste we leave behind. From an epistemological and perhaps even simply logical viewpoint, there is plenty to object; but the declaratory nature of these intents ought to safeguard them against too much criticism, shifting attention to the enthusiasm and heuristic generosity (albeit of a rather inconclusive kind) which frequently is so characteristic of architecture. And that is where it all falls apart. The indecipherably heterogeneous mix on display does not just make it almost too boring to complete a visit around the entire exhibition (what would it be, without the support of the places hosting it?), it also turns out to be completely off the radar compared to


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what was set down in the programme. In actual fact it merely re-proposes the most trite Leitmotifs of a Zeitgeist captured, alas, at its most overindulgent: an indeterminate form of ecosustainability, a hotchpotch of social measures, implausible savings by accumulating waste, allegedly cutting-edge diagrams which are desperately nonphysical and aphasic etc. If necessary even remixing ideas from 40 years ago after reviewing and correcting them (What? Were we so far ahead back then?!). And in the end all that was really needed was to take a look around. After all architecture, currently so overwhelmed by media-influenced overemphasis on spectacular exploits, would have genuinely deserved it this time. (M.V.)

1. Erich van Egeraat, Tatarstan National library in Kazan, Russian Pavilion 2. Emmanuel Combarel Dominique Marrec,architectes (ECDM), Erick Van Egeraat, Pierre Gautier, Manuelle Gautrand, MVRDV, Le Monolithe, Lyon Confluence. French Pavilion

3. Andrea Branzi con Facoltà del Design, Politecnico di Milano, Milano, Casa madre, 2008. Italian Pavillon (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia) 4. Salottobuono, Venezia, Altri inquilini. Del Favero Complex, Cagliari, 2008. Italian Pavillon (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)

5, 6. cloud 9, Thirst Pavillon, Expo Saragozza, Spagna 2008, Collezione: cloud 9. Italia Pavillon (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia) 7. AOC, The Lift, a demountable performance and meeting space, 2008, Digitial media. Italia Pavilion (TWOc, Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)

8. Husos (Diego Barajas e Camilo García con Francisco Amaro), Edificiogiardino con spazio e piante con nettare per le farfalle della California EGSPNFC/Garden building with host and nectar plants for cali’s butterflies. Italia Pavillon (Courtesy: Fondazione La Biennale di Venezia)

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+ europaconcorsi

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+ europaconcorsi

COMPETITIONS


COMPETITIONS + europaconcorsi

Arabia Saudita/Saudi Arabia – Dhahran

Vincitore/Winner Snøhetta

King Abdulaziz Center for Knowledge and Culture Concorso a inviti per la progettazione del King Abdulaziz Center for Knowledge and Culture, che diverrà punto di riferimento nazionale e internazionale e una volta completato sarà sede di diverse attività culturali tra cui un auditorium, un cinema, una biblioteca, una sala mostre, un museo e un archivio Invitational competition for the design of the King Abdulaziz Center for Knowledge and Culture, destined to be a national and international reference point. It will host various cultural activities such as an auditorium, cinemas, library, exhibition space, museum, archive Committente/Client: la Saudi Aramco Oil Company

Gran Bretagna/Great Britain – London London 2008 Adaptable Architecure Gallery Concorso per una Galleria di Architettura mobile per contenere e distribuire – sia metaforicamente che letteralmente – idee per la città. L’installazione deve spostarsi lungo il Tamigi connettendo così vari spazi artistici Competition for the project of a mobile architecture gallery to contain and distribute – both metaphorically and literally – ideas for the city. The installation will travel along the River Thames, connecting various artistic places

1° Sergio Araya, Duks Koschitz, Orkan Telhan, Alexandros Tsarnis 2° Daniel Azuero, Pablo Forero, Julian restrepo, Manuela Mosquera, Andrés Gutiérrez 3° Rodney Robles, Alejandro Miyar

Organizzatore/Organizer: www.arquitectum.com

Italia/Italy – Guastalla (Reggio Emilia) Palazzetto dello Sport Concorso di progettazione del Palazzetto dello sport. Il nuovo impianto dovrà essere dimensionato tenendo presente che verrà utilizzato sia per le partite di campionato per la squadra di basket, che per gli allenamenti di pallavolo, pallamano, judo e calcetto Sports Hall Competition for the new Sports Hall. The new facility must be dimensioned to host basketball, volleyball, handball, judo, indoor soccer

1° Massimo Del Seppia, Luigi Pierotti, Andrea Cecconi, Claudio Stacchini, Sandro Bonannini, Pierluigi D’Acunto 2° Azzurra Carli, Marco Odorizzi, Cristina Chersi, Cristiano Bertelli

Committente/Client: Comune di Guastalla 2°

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3° Laboratorio di Architettura


COMPETITIONS 1°

+ europaconcorsi

Italia/Italy – Roana (Vicenza)

1° Santagostino – Margarido: Giorgio Santagostino, Monica Margarido, Olga Chiaromonte, Claudio Chiodi

Concorso per l’Istituto Europeo per la Montagna Concorso per un piano di riqualificazione per un complesso edilizio nel territorio del Comune di Roana, su uno spazio libero pianeggiante in ambito parzialmente isolato, funzionale alla creazione di un Istituto di ricerca multidisciplinare per le problematiche sociali, economiche, agricole, ambientali, culturali e turistiche nelle aree montane Competition for the refurbishment of a building complex in the Roana area, in a almost isolated flat land, to be refunctionalized as a research institute dedicated to social, economic, agricultural, environmental, cultural and tourist issues in mountain areas

2° Luca Barcella, Eros Zanelli, Marco Aceti 3° Studio TAMassociati, Silvia Dalla Costa, Simone Sfriso, Silvia Beccacece, Simona Ventura, Adriano Pelagatti

Committente/Client: Comuni di Asiago, Enego, Foza, Gallio, Lusiana, Roana e Rotzo

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COMPETITIONS + europaconcorsi

Italia/Italy – Roma

Vincitore/Winner ATI con capogruppo mandataria la società Teching S.r.l., Barletti - Del Grosso & Associati, PBA International, Exen, S.p.i.b.s., Massimo Guidi, Batimat, Emiliano Giuffrida

Città dell’Acqua e del Benessere Concorso di progettazione per la “Città dell’acqua e del Benessere” nell’area dell’ex Velodromo Olimpico di Roma Design competiton for the City of Water and Wellbeing” in the area of the former Olympic Velodrome in Rome Giuria/Jury: Giorgio Grimaldi, Marcello Ciampoli, Federica Galloni, Laura Ricci, Amedeo Schiattarella, Solange Signorini Committente/Client: EUR S.p.A

Messico/Mexico – Ciudad de Mexico Plaza y Simbolo de Bicentenario de la Independencia y Centenario de la Revolución Concorso di idee in due fasi per la nuova sistemazione della piazza Tlaxcoaque e la creazione di un simbolo/icona con motivo della celebrazione del bicentenario della independenza e per il centenario della rivoluzione Ideas competition in two phases for the refurbishment of Tlaxcoaque Square and the realization of a symbol/icon for the celebration of the bi-centenary of the independence and the centenary of the revolution Committente/Client: SEDUVI Secretaría de Desarrollo Urbano y Vivienda

Vincitore/Winner Bruschi Esposito studio di architettura, Antonio Esposito (BA), Elena Bruschi

Spagna/Spain – Barcellona

Vincitore/Winner muf architecture/art con Allford Hall Monaghan and Morris: Barking Town Square Londra (2005-2007)

Premio Europeo dello Spazio Pubblico Urbano 2008 V edizione del Premio Europeo dello Spazio Pubblico Urbano 2008 ha avuto per oggetto gli interventi di riqualificazione e creazione di spazi pubblici effettuati nelle città europee negli anni 2006-2007 5th European Prize for Urban Public Spaces, awarding interventions for the creation or the re-enhancement of public spaces in European cities, realized in 2006-2007 Organizzatore/Organizer: Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona (CCCB) – http://urban.cccb.org

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Menzioni/Mentions: Froetscher Lichtenwagner: centrum.odorf Innsbruck (Austria) Strange Cargo Arts Company: Other People’s Photographs, Folkestone (UK) Antonio Jimenez Torrecillas: Torre del Homenaje, Huéscar (Spagna) 1°


LA PAGINA GIALLA/ THE YELLOW PAGE

Carmelo Strano

Il senso della pittura The Meaning of Painting a pochi anni (2003), l’arte ha la sua nuova Marilyn. Icona seriale ad opera D di Andy Warhol, prima; icona “irripetibile”

e antiseriale, ora, grazie al pennello di Beppe Devalle. Questa Marilyn fa parte del repertorio di ritratti che l’artista è andato elaborando dagli inizi del decennio in corso: una (auto) “lezione americana” maturata nel suo studio di New York. Anche Marilyn, come Diana e il suo Al-Fayed, Jackson Pollock o Sarah Kane, Richard Avedon o Francesca Woodman, racconta la sua storia in modo emblematico, solo per cenni narrativi, senza insistenza nei dettagli. L’attrice è “messa in situazione”, non più legata al consumismo, ma esposta a un confronto diretto col pubblico. Questa Marilyn fissa dunque il passaggio dall’icona-mito consumistica e neoavanguardistica all’icona-mito del nostro tempo “nuovoclassico” lontano dalla mimesi e piuttosto ricco di attraversamenti culturali, iconologici, citazionistici. Insomma, il passaggio dalla quantità alla qualità. Certo, esperienza, questa, iniziata già dalla metà degli anni Settanta (secolo passato), ma consumata sul terreno del soggettivismo pieno, del brutalismo, nel neoespressionismo, del neoprimitivismo. Non ancora sul terreno del messaggio transitivo e dell’iconografia oggettiva. Qui il problema è condividere con la Pop Art questo ambito oggettivo, ma per staccarsene prontamente e profondamente e approdare a esiti formali, poetici, etici, semantici persino opposti. Con questa galleria di ritratti, ma già da prima, Devalle non solo volta pagina (dopo il ben noto impegno nel fotomontaggio e nel collage), ma implicitamente solleva un problema che, oltre a essere (stato) suo, è di tutti, oggi: che senso dare alla pittura? o, se si vuole, se la pittura ha un senso. Sbrigativamente si potrebbe dire: oggi tutto è possibile, siamo legittimati a far tutto. Ma responsabilmente sarà opportuno dire: Devalle ha dimostrato che, in presenza di idee originali sul piano formale, linguistico, eticamente supportate, e sul piano di un proprio rapporto “scientifico” con momenti di qualsivoglia periodo del passato artistico, tela e colore possono ancora suscitare interesse anche nei palati smaliziati e determinare nuovi contributi al cammino dell’arte (il senso di marcia ovviamente è ormai libero). “You are my destiny” è il titolo con cui questi personaggi sono stati esposti recentemente al Museo Diocesano di Milano in un ambiente “aureolato” nel quale si è realizzato un vibrante dialogo tra queste opere e altre del passato. Grandi tele, trattate con olio e acrilico, solennemente impaginate senza interferenze tra di esse. Saggi eminentemente pittorici, che tradiscono tuttavia un lunga esperienza disegnativa. L’una e l’altra cosa assieme consentono a Devalle tanta duttilità espressiva, sicché ogni personaggio ha una sua precisa forza di attrazione. E tu sosti interessato a cogliere tanto l’esito pittorico quanto l’espressione del personaggio. “You are my destiny” (you share my reverie, completerebbe la famosa canzone dei tempi del primo Warhol) è, in questa nuova dimensione poetica ed esistenziale di Devalle, una sorta di “Spoon River

Anthology”. Come i personaggi di Edgar Lee Masters, i ritrattati di Devalle si affacciano sulla scena quotidiana per raccontare la propria storia. Ma lo fanno in modo emblematico (contestualizzazione con carne e ossa, malgrado l’elegante levità del dire devalliano), e in un clima quasi oltremondano, di assoluto siderale (decontestualizzazione dovuta all’impaginazione su un fondale monocromo e netto, sicché, diversamente dalla soluzione empatica figura-spazio di Bacon, il personaggio parla per forza di elettricità circoscritta e autonoma). Gli occhi, “metafisicizzati”, lasciano la parola a pochi, essenziali gesti rivelatori del “destino” di ognuno. La tavolozza è complessa. Talune tinte “crude” farebbero pensare al primo espressionismo, ma sei subito disorientato da un segno che scava, ben oltre le apparenze dei “valori tattili”, e ti prendi la conferma non appena di rendi conto che la spinta coloristica non manipola soggettivamente il personaggio ma ne esalta i tratti somatici emblematicamente colti. In ogni caso, il laboratorio coloristico presenta la semplicità che è frutto di complessità esperita anche col contributo di altri modi espressivi tra otto e novecento e anche del passato più lontano (a dispetto di tutto, Devalle sa propinarti anche una sua forma inusuale di velatura). Una cosa è chiara: non si tratta di pittura fine a se stessa, pur nel rigoroso rispetto delle esigenze espressive. “Marry me”, in cui Cristo e Simone Weil, ebrea-cristiana ma mai battezzatasi, è un grande “affresco” della contempopraneità, ricco di rimandi sociali, religiosi, culturali, non senza venature esistenziali.

the last few years (2003), art has its new Marilyn. First of all it was FAndyorhadWarhol’s mass-produced icon and

now it is an “unrepeatable” and antimass-produced icon, thanks to Beppe Devalle’s brushstrokes. This Marilyn is part of the repertoire of portraits which the artist has gradually created since the beginning of this millennium: a (self-taught) “American lesson” developed in his studio in New York. Marilyn, like Diana and her Al-Fayed, Jason Pollock or Sarah Kane, Richard Avedon or Francesca Woodman, tells her story in emblematic fashion, just a few pieces of narrative without insisting on the details. The actress is “placed in situation”, no longer linked with consumerism but open to direct confrontation with the general public. This Marilyn marks, once and for all, the transition from the consumerist and neo-avant-garde icon-myth to the icon-myth of our new “new-classical” age, a far cry from mimesis but rather full of cultural, iconological and citationist crossovers. In other words, the transition from quantity to quality. Of course this experiment actually began in the mid-1970s, but was carried out along the fully subjectivist lines of brutalism, neo-expressionism and neo-primitivism. It has not yet reached the terrain of transitive messages and objective iconography. Here the problem is sharing this objective domain with Pop Art,

day goes on) is, thanks to the new poetic and existential dimension it is given by Devalle, a sort of “Spoon River Anthology”. Like Edgar Lee Masters’ characters, Devalle’s portraits move into everyday life in order to tell their own story. But they do it in an emblematic way (setting in context through flesh and blood, despite Devalle’s elegantly light touch) and in an almost otherworldly setting of sidereal absoluteness (decontextualised by being set out against a clear-cut monochrome backdrop, so that, in contrast with Bacon’s emphatic figure, the character speaks with circumscribed and autonomous electrical force). The eyes, “rendered metaphysical”, leave it to just a few simple revealing gestures to tell of each character’s “destiny”. Some “crude” colours evoke early expressionism, but you are immediately disoriented by signs which delve well beyond the appearances of “tactile values”, and you immediately realise that the colouristic thrust does not subjectively manipulate the character but actually exalts its somatic features, which are captured emblematically. In any case, the colour scheme has the kind of simplicity which is the product of complexity, drawing on the contribution of other expressive means from the 19th and 20th centuries and even the more distant past (despite everything, Devalle manages to thrust home his own unusual form of veiling). One thing is clear: this is not painting for painting’s sake, even though it does rigorously respect expressive needs. “Marry me”, in which Christ and Simone Weil, a Jewish-Christian who was never baptised, form a giant “fresco” of striking modernity, full of social, religious and cultural allusions, certainly not lacking in distinctly existential touches.

while making a clean and deep break with it, so as to achieve what might actually be conflicting formal, poetic, ethical and semantic results. Thanks to this gallery of portraits (but even before it), Devalle does not just turn over a new page (after his well-known work on photomontages and collages), he also implicitly raises an issue which, as well as being (having been) his own, is now everybody’s: what is the meaning of painting? Or, if you prefer, does painting actually have a meaning. A quick answer might be that, nowadays, everything is possible, we are entitled to do anything. But more responsibly it would be better to say: Devalle has shown that, when dealing with original ideas on a formal, linguistic and ethically supported level and on the level of one’s own “scientific” relations with moments from any period in the artistic past, canvas and colour can still stimulate the interest of even for the most difficult palettes and make fresh contributions to art as it progresses (of course it is now free to move in any direction). “You are my destiny” is the title under which these characters were recently displayed at the Diocesano Museum in Milan in a “hallowed” setting in which vibrant interaction was created between these works and others from the past. Large canvases, worked on with oil and acrylic, solemnly set out without interfering with each other. Eminently pictorial essays, which nevertheless betray plenty of experience in drawing. These two things together allow Devalle to display plenty of stylistic ductility, so that each character has its own specific magnetic force. The onlooker is captured by both the pictorial outcome and the character’s expression. “You are my destiny” (you share my reverie, is how the famous song from Warhol’s

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3 1. Devalle, Marry Me, 2008, acrilico su tela acrylic on canvas, (Simone Weil ), 355 x 219,5 cm, (Gesú Cristo), 355x235 cm. 2. Devalle, Diane Arbus, 2008, olio su tela/oil on canvas, 58x57 cm. 3. Devalle, Pablo Picasso, 2003, olio e acrilico su tela/oil and acrylic on canvas, 70x70 cm. 4. Devalle, Vieniviaconme, 2007, olio e acrilico su tela/oil and acrylic on canvas, 366x252 cm.

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Rubriche e articoli sul mondo della progettazione, della produzione e della ricerca. Design, production and research.

Pelle cosmo-bio-logica The Solar Tower Progetto: Zoka Zola La maggior parte dei grattacieli progettati attualmente sono proposte formali stravaganti. I grattacieli sono di moda ma molti di essi non tengono conto delle problematiche legate al presente e al futuro. In tal modo una grande quantità di grattacieli che vengono progettati oggi risulta datata. Gli architetti devono cogliere questo periodo con grande responsabilità e sviluppare strategie sostenibili per i grattacieli in modo da sfruttare tutte le energie fisiche e sociali a disposizione, soprattutto perché i grattacieli possono contribuire più di ogni altra tipologia edilizia alla sostenibilità ambientale. Se si vuole produrre la massima quantità di energia rinnovabile si deve sfruttare quanto possibile l’ampia superficie esterna offerta dal volume di un grattacielo, infatti nei grattacieli la superficie delle facciate è più ampia della copertura o di qualsiasi altra superifcie. Ciò premesso, questo progetto indaga sulla possibilità di ottimizzare il modo in cui un grattacielo cattura energia. La Sola Tower è dotata di pannelli solari agganciati alla sua superficie esterna. I pannelli sono montati su aste orizzontali e ruotano con un meccanismo di pulegie che li fanno ruotare durante il giorno e le stagioni in modo da avere sempre la faccia rivolta verso il sole a un angolo di 90°. E’ stato dimostrato che il pannelli fotovoltaici che “seguono il sole” catturano il 30-40% in più di energia solare rispetto a quelli fissi anche se a un angolo ottimale. Oltre a catturare energia solare, è di grande interesse la possibilità di convertire in energia anche la forza del vento che esercita la sua pressione sul meccanismo di rotazione. La funzione di questi pannelli “traccianti” si estende anche ai benefici dell’energia passiva. I pannelli infatti ombreggiano l’interno dell’edificio e, allo stesso tempo, consentono l’ingresso della luce naturale e le viste verso l’esterno, combinazione difficile da ottenere con altri sistemi di ombreggiamento. La Solar Tower consente ai suoi abitanti non solo di godere del panorama di fronte a loro, ma anche di vedere il cielo e la base dell’edificio. E la città guadagna la visione della pelle cosmo-bio-logica del grattacielo.

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Majority of the towers designed these days are extravagant formal propositions. Towers are in vogue but most of them are unconcerned with the issues of today or the future. In this way, the flood of towers designed these days is outdated. Architects must seize this time of the greatest responsibility and develop sustainable strategies for towers to use all the physical and social energies of their sites; especially, because towers sustain the environment maybe better than any other building type. It is undeniable that the large exterior surface of a tower’s body must be used if maximum amount of renewable energy is to be produced, because the exterior wall of a tower is a much larger surface than a tower’s roof . With this understanding, this project looks into potentially optimizing the way a tower captures solar energy. The Solar Tower has sun-tracking solar panels attached to the tower’s exterior wall. The solar panels are mounted on horizontal poles with a mechanism (of weighted pulleys) that rotates the panels throughout the day and year to face the sun at an angle of 90°. There is some consensus that “sun-tracking” solar PV panels capture 30% - 40% or more solar energy than fixed panels at an optimal angle. Besides capturing solar power, the potential to convert the wind power is of extreme interest. The wind exerts pressure on the holding mechanism that can theoretically become usable energy. The sun-tracking panels’ function is extended to a “passive” solar benefit. The panels shade the interior of the building, while the daylight and views nevertheless penetrate the interior. This is hard or impossible to achieve with other shading systems. The Solar Tower allows its inhabitants to not only view the scenery in front of them, but also the sky and the ground below. Finally, the city gains a view of this tower’s cosmo-bio-logical looking skin.


Tour Signal, Parigi At La Défense Progetto: Jean Nouvel E uno dei progetti che ha attirato maggiormente l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica francesi nella scorsa primavera, la tour Signal sarà infatti il simbolo dell’ambizioso progetto di rinascita de La Défense. Jean Nouvel si aggiudicato il concorso vincendo su una rosa di impegnativi e rinomati finalisti, Daniel Libeskind, Norman Foster, Jean Michel Wilmotte e Jacques Ferrier. Complesso ed esigente il programma del concorso dettagliato dall’EPAD (Etablissement public pour l’aménagement de La Défense). Architettura contemporanea e comportamento ambientale esemplare in linea con le tre direttrici del sviluppo sostenibile; quindi un progetto dalle soluzioni innovative, economico a livello di energie, sociale per l’attenzione alla qualità della vita e al benessere degli abitanti, ambientale per il limitato impatto ambientale. La tipologia è un’altra importante caratteristica della tour Signal che si afferma come prima torre mista in Francia dove convivranno uffici, abitazioni e commercio. Il progetto di Nouvel declina il programma del concorso con un linguaggio immediato, facilmente assimilabile, che si carica dell’impegnativo ruolo di emblema con una solennità e una fermezza che sembrano non temere confronti. 140.000 metri quadrati per un’altezza di 301 metri in 71 piani, concentrati in un volume parallelepipedo formato da 4 blocchi sovrapposti. Il processo di funzionamento e sviluppo dell’edificio, come si legge dalle piante e dalle sezioni, organizza la compresenza delle diverse tipologie sfruttando le possibilità di assemblaggio offerte dalle geometrie elementari. Quattro cubi, che nella loro “semplicità” accolgono un contenuto tecnologico all’avanguardia, soprattutto dal punto di vista del risparmio energetico, lasciando nel contempo i necessari gradi di libertà per creare una dinamica di vuoti e pieni funzionali ai diversi spazi. Ogni modulo è infatti organizzato attorno a un grande atrio affacciato verso l’esterno a formare delle ampie finestre impilate in modo alternato sulle facciate opposte. Le tipologie saranno suddivise nei diversi blocchi: in alto gli appartamenti (33.000 mq), un hotel (39.000 mq), gli uffici (50.000 mq), alla base della torre gli spazi commerciali e i ristoranti (10.000 mq) e i servizi pubblici (8.000 mq). Cemento e vetro creeranno il cuore della struttura doppiata da una pelle in acciaio inossidabile da cui traspariranno gli ampi polmoni colorati degli atri aperti in facciata. La scelta del sito alla Porta Ovest verso il comune di Puteaux ha l’ambizione di creare una forte polarità nel centro dell’Ile de France e sviluppare una maggiore attrattività e appartenenza al quartiere mettendo in relazione la torre con l’intorno costruito e naturale. Ispano-francese la cordata che affianca Nouvel nella realizzazione della Tour Signal, prevista per la fine del 2013. Si tratta del gruppo Layetana, attivo principalmente nei settori immobiliare e alberghiero e con cui Nouvel aveva già lavorato nel progetto della Torre Agbar a Barcellona, e Medea, filiale francese del gruppo Cresa, principale azionario di Metra-Vesca e Sacresa, gruppi immobiliari leader nel settore immobiliare spagnolo. Circa un miliardo di euro, di cui 600 milioni per la costruzione, l’investimento previsto. Elena Cardani

The Tour Signal, which represents the rebirth of the La Défense district, is one of the main projects that, ever since last spring, have been drawing the attention of the French media and general public. Jean Nouvel won the competition, although participants included renowned finalists such as Daniel Libeskind, Norman Foster, Jean Michel Wilmotte, and Jacques Ferrier. The competition schedule published by the EPAD (Etablissement public pour l’aménagement de La Défense) was complex and demanding. It called for a work of contemporary architecture that was to be a perfect example of environmental friendliness, abiding by the three main points of sustainable development. Thus, the project was to find innovative solutions in terms of energy saving, social attention to the quality of life, and a limited environmental impact. Another important characteristic of the Tour Signal is that it is the first skyscraper in France that is to combine offices, living quarters and shopping areas. Nouvel’s project interprets the competition guidelines spontaneously, with a language that is easily digestible; the solemnity and resoluteness with which he tackles the skyscraper’s role as a symbol is beyond comparison. The structure covers 140,000 square meters of surface area, and with its 71 stories it soars 301 meters into the sky; it is a parallelepiped made up of 4 superimposed blocks. The plans and sections of the building reveal how the simple geometric layouts allow for different options for its various functions. In their “simplicity”, the four cubes embody avant-garde technology, especially concerning energy saving, and at the same time offer enough leeway to create functional full and void areas in the various spaces. Each unit is organized around a great entrance hall facing outdoors, with wide, alternately glazed and solid walls on the opposite sides. The various blocks will hold different functions: the apartments, covering 33,000 square meters, will be at the top, as well as a hotel (39,000 sq m) and office area (50,000 sq m). The shopping areas and restaurants (10,000 sq m), as well as public restrooms (8,000 sq m), will be on the ground floor. The heart of the structure is to be built in concrete and glass, covered by a stainless steel skin from which the large, colored façade entrances open up. The choice of the site, the western gate of Paris facing the Puteaux municipality, is meant to serve as a magnet in the center of the Ile de France, and to develop a connection with the district by relating the skyscraper with the built-up area around it and its natural surroundings. A Spanish and French group will work with Nouvel to build the Tour Signal, which should be completed by 2013. Nouvel had already worked with Layetana – a group which mainly works in the real estate and hotel sectors – on the project for the Torre Agbar in Barcelona. The French division of the Cresa group, Medea , which will also work jointly with Nouvel, is the main shareholder of Metra-Vesca and Sacresa, leading groups in Spain’s real estate sector. The budget for theTour Signal is about one billion euros, 600 million euros of which are to be allocated to its construction.

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Ibrido tipologico Housing Variability Progetto: Donner & Sorcinelli Architetti (collaboratori: Francesco Greguol, Michele Sbrissa, Michele Coppe) Il sito (area PEEP, in area Presina nel Comune di Piazzola sul Brenta, Padova) nel quale si inserisce il progetto, vincitore del concorso A3 Housing, si colloca all’interno di un contesto paesaggistico veneto di tipo diffuso, dove il concetto di limite edificatorio spesso non esiste, e dove il tessuto urbano è frazionato e disomogeneo. E’ pertanto stata attuata una strategia, mirata a sviluppare il concetto di “limite”, non in senso restrittivo o come barriera, ma nel più ampio significato di “conclusione”. La scelta attuata alla base del progetto è stata di delimitare una porzione di tessuto urbano, ponendo un limite fisico all’area verde pubblica retrostante. Disponendo il fabbricato a “L” posto a conclusione di una viabilità volutamente cieca, è stato marcato il concetto di limite e non solo. La morfologia dell’edificio, infatti, è nata dall’ottimizzazione dell’orientamento a favore di uno sfruttamento ottimale dell’irraggiamento solare durante tutto l’arco dell’anno e dalla previsione al contempo di una ampia fascia di verde pubblico a ridosso del campo sportivo, dotata di pista ciclo-pedonale connessa al verde retrostante l’intervento. L’ibrido tipologico adottato, nasce inoltre dalla necessità di dare risposte abitative diversificate a una futura utenza sempre più variegata e con stili di vita differenti. La mixità sociale perseguita ha perciò condotto a una tipologia mista, costituita da simplex, duplex e da una tipologia ibrida su due livelli con garage, giardino, lavanderia e ingresso al piano terra e l’alloggio vero e proprio al primo piano, come un comune appartamento. Tale articolata composizione, darà la possibilità a ogni nucleo familiare, più o meno numeroso, di indirizzare la propria scelta verso l’unità abitativa che meglio rispecchia il proprio modo di vivere. A typical Venetian landscape where the concept of building limits is often nonexistent, and where the urban fabric is broken up and uneven is the site (PEEP area, Presina area in the Town of Piazzola sul Brenta, Padua) for the winning project of the A3 Housing competition. A strategy was thus adopted so as to develop the concept of a “limit”—not as a restriction or barrier, but in its broader sense, as a “conclusion”. A part of the urban fabric was marked off, creating a physical limit to the green public area at the back. The building is in an “L” shape, purposely built at the end of a road: the concept of a “limit” (and more) is thus highlighted. Indeed, the morphology of the building stems from its orientation, which makes optimum use of sunlight throughout the year. At the same time, a broad public green strip lies behind a sports field, which includes a bike/pedestrian track linked to the park at the back. The composite design stemmed from the need to find different housing solutions for a future population that will be more and more diversified, with various lifestyles. Therefore, the idea of social mixture led to a mixed typology, with simplexes, duplexes, and mixed two-floor apartments complete with a garage, laundry room and a ground-floor entrance, with the actual living quarters on the ground floor, as in ordinary apartments. This articulated housing composition will allow smaller or larger families to select the housing unit that best reflects their own lifestyle.

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Qualità e continuità In Milan Progetto: Piuarch L’obiettivo, posto da Fondazione Collegio delle Università Milanesi, ha trovato riscontro nel progetto dello studio milanese Piuarch, che si è aggiudicato il concorso a inviti per l’ampliamento del Complesso. Piuarch riceve il “testimone” da uno dei maestri dell’architettura e del design milanese, Marco Zanuso, ideatore e creatore, negli anni Settanta, dell’edificio che ospita oggi la sede del Collegio. Il nuovo intervento, che riprende il colore, l’altezza e la forma ramificata del complesso esistente, crea un dialogo armonico tra passato e presente, utilizzando, al tempo stesso, un linguaggio contemporaneo come quello che contraddistingue i progettisti. Il progetto riguarda un nuovo edificio sviluppato su tre piani per un totale di 3.200 metri quadrati, che ospita 50 unità abitative per studenti. Seguendo il principio dei corpi esistenti, le unità abitative sono disposte in due blocchi continui rivolti uno a sud/ovest l’altro sud/est con affacci mai contrapposti a quelli esistenti. Ciascun alloggio si affaccia sull’esterno con una grande vetrata, in parte fissa, che rimane rientrante rispetto al profilo di facciata, permettendo la creazione di un terrazzo di pertinenza. La facciata si struttura come un nastro continuo, alleggerito e reso trasparente dalle aperture di forma quadrata a dimensione e intensità variabile: se le vetrate degli alloggi sono ampie e creano grandi buchi di luce, le finestrature diventano via via più piccole, segnando il passaggio dagli spazi abitativi a quelli di ritrovo e di circolazione. An invitational competition for the extension of the complex hosting the Fondazione Collegio delle Università Milanesi was won by the Milanese studio Piuarch. The latter has designed an addition to a building by one of the masters of Milanese architecture and design, Marco Zanuso, who, in the 1970s, designed the structure that hosts the College today. The extension picks up the color, height and branching shape of the existing complex, creating a harmonic dialog between the past and present , and at the same time using the contemporary language that distinguishes these designers. The project is for a new three-story building covering a 3,200- square- meter surface that is to host 50 student housing units. Following the line of the existing volumes, the housing units are laid out in two continuous blocks, one facing southwest and the other southeast, their aspects never obstructing the ones of the existing structure. Each unit opens up to the exterior thanks to a great, partially openable recessed window that leaves room for an individual terrace. The façade is structured like a continuous ribbon that is made lighter and transparent by windows of different sizes: while the housing units are provided with large windows that create great lit-up areas, the windows gradually become smaller and smaller, marking the shift from housing units to meeting places and common areas.

Princess Elisabeth Antarctica, International Polar Foundation Nel numero de l’Arca 239 (settembre 2008) e de l’Arca International 84 (settembre/ottobre 2008), pagine 62-67, sono stati pubblicati alcuni dati imprecisi riguardo alla stazione di ricerca polare “Princess Elisabeth”. Su incarico del governo federale belga, la International Polar Foundation (IPF) ha progettato, costruito e finanziato la prima stazione di ricerca antartica a “zero emissioni”. Si tratta di una stazione polare e non solare, come erroneamente riportato nell’articolo sopracitato. La forma generale e gli equipaggiamenti interni della stazione polare sono stati progettati dal team IPF secondo le necessità ingegneristiche del caso, tra cui, i criteri di aerodinamica e l’efficienza energetica. Lo studio Samyn & Partners ha collaborato al progetto; il loro know-how e la loro esperienza hanno contribuito alla concezione e allo sviluppo dei sistemi costruttivi della stazione. In l’Arca issue 239 (September 2008) and l’Arca International 84 (September/October 2008), at pages 62-67, a few discrepancies were published concerning the “Princess Elisabeth” Antarctic polar research station. With a commission from the the Belgian federal government, the International Polar Foundation (IPF) set out to design, build and finance the first “zero emission” research station in Antarctica. This is not a “solar” station, as written in our previous issue, but a “polar” research station. The general shape and interior equipment of the polar station were designed by the IPF team according to engineering requirements with, amongst other things, criteria of aerodynamics and energy efficiency. Samyn & Partners collaborated to the project; their know-how and expertise contributed to the conception and development of the station’s construction systems. Credits immagini e disegni/Picture and drawing credits: Foto/Photographer: IPF

Copyrights: International Polar Foundation Per ulteriori informazioni/More information available at the station’s website: www.antarcticstation.org

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Cromatologia emozionale In Florence Progetto: Maurizio Barabesi (Comune di Firenze direzione servizi tecnici p.o. arredo e immagine urbana) Il colore come struttura comunicazionale. In questo caso il rosso è protagonista come segno forte per fare di piazza Antonelli uno spazio confortevole e accogliente. La piccola piazza lungo la via più trafficata, via di Cento Stelle, è un elemento scenografico, una quinta rossa, una virgola energetica entro cui sostare, protetti dalla vista del traffico, sospesi all’interno di uno spazio pensato per essere vissuto piacevolmente. Il manufatto, lungo più di 16 metri., è realizzato in scatolare di acciaio e rifinito con colore rosso opaco a buccia d’arancia. Nella piazza ha trovato spazio vitale una grande quercia, opportunamente preparata in un vivaio specializzato, destinata a crescere e diventare vecchia e monumentale. Una lunga, scultorea panchina, realizzata in acciao sabbiato, accoglie chi decide di godere, nella bella stagione, del venticello che proviene dalla collina. Non mancano, sottese alla semplice architettura, tecnologie al servizio di una migliore qualità ambientale: la pavimentazione in cemento ad azione fotocatalitica assorbe, in proporzione variabile dal 20 all’80 per cento, gli inquinanti atmosferici che ammorbano l’aria cittadina e il suo colore chiaro, anche se destinato a scurirsi un poco nel tempo, pensato per evitare il suo surriscaldarsi nelle estati torride fiorentine. Tecnologico anche il tipo di ancoraggio al terreno della quercia realizzato con cavetti di acciaio interrati e totalmente invisibili che permettono sin dal primo giorno di apprezzare la vista dell’albero senza interferenze di elementi di supporto statico. Color as a communication structure. In this case, the strength of red is to make piazza Antonelli a comfortable, welcoming space. The small square is on the busiest street, via di Cento Stelle. It is a scenographic element, a red landmark, an energetic, comma-shaped stopping point that is concealed from oncoming traffic, a place designed for comfort. The realization, which is more than 16 meters long, features a steel framework covered with a rough, opaque red finish. A great oak has found its place in the square; the tree was grown in a nursery for this purpose, and is destined to grow ancient and monumental. A long, sculpted bench in sandblasted steel is a welcoming place to rest for those who like to sit in the light breeze coming from the hills in spring and summer. The simple architecture also includes high-tech elements for a better environmental quality: in variable proportion, the photocatalytic concrete floor absorbs from 20 to 80% of the air pollutants that poison the city air. Although it will darken a bit through time, the floor is in a light color that is meant to stop it from overheating in the sweltering Florentine summers. The way the oak is anchored to the earth is also highly technological; this was done with small, totally concealed underground steel cables that set the tree in full view without any visible, static sort of support.

Precisazione Expo Shanghai 2010 Precisiamo, scusandoci con gli interessati per l’involontaria omissione, che il gruppo di progettazione del progetto vincitore del concorso per il Padiglione Italiano per l’Expo Shanghai 2010, pubblicato ne l’Arca 238 a pagina 88 è composto dai seguenti professionisti: Giampaolo Imbrighi (capogruppo), Teresa Crescenzi, Antonello De Bonis, Cosimo Dominelli, Francesco Iodice, Giuseppe Iodice, Marcello Silvestre May those concerned please accept our apologies for the unintentional omission of their names in the winning project for the Italian pavilion at the Expo Shanghai 2010, published in l’Arca 238, p. 88. In fact, the group includes the following professionals: Giampaolo Imbrighi (team leader), Teresa Crescenzi, Antonello De Bonis, Cosimo Dominelli, Francesco Iodice, Giuseppe Iodice, Marcello Silvestre.

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Nuova vita per la Torre di Battiggio Progetto: Gianni Bretto La Torre detta “dei Cani” si trova tra la frazione Battiggio e la sponda del torrente Anza, nel territorio del comune di Vanzone con S.Carlo. L’appartenenza della torre alla famiglia del famigerato Facino Cane, capitano di ventura del XV sec., si perde nella leggenda e non ha finora incontrato riscontri documentali. (cfr. E. Bianchetti, “L’Ossola inferiore”, Torino,1878). La sua funzione più probabile, oltre a quella di segnalazione, era probabilmente quella daziale, visto che ai piedi della torre transita l’antica mulattiera della valle Anzasca. Non è da escludere nemmeno un legame con il vicino sito di lavorazione del materiale aurifero proveniente dalla miniera dei Cani, che stando a Luigi Rossi (L. Rossi “Valle Anzasca e Monte Rosa”, Domodossola, 1928) doveva essere attivo già dal XIII sec. in concessione alla famiglia De Cagna (il nome Cani potrebbe essere quindi un derivato). La torre, se fosse valida questa ipotesi, avrebbe potuto ospitare una piccola guarnigione a protezione degli opifici limitrofi, poteva inoltre custodire l’oro ricavato dall’amalgamazione della pirite aurifera, in attesa del suo trasporto. Certa è la sua appartenenza alla famiglia Borromeo tra gli ultimi scorci del XVI sec. sino alla seconda metà dell’800 (cfr. documenti e mappe all’Archivio di Stato di Torino, Catasto Teresiano, 1722, e Rabbini, 1873). Grazie a un’accurata opera di recupero ha ora assunto la nuova funzione di Ecomuseo e Centro di Documentazione per il turismo culturale, con spazi per l’allestimento di mostre temporanee e altre attività culturali. Il progetto ha riutilizzato la volumetria esistente, mediante il consolidamento delle murature con malte a base di calce idraulica simile all’originaria, l’inserimento di una esile struttura metallica, portante i solai e le scale, appesa a un sistema bidirezionale di travi in acciaio vincolate al cordolo inserito nella muratura a quota +15 metri, e la ricostruzione del volume dell’ultimo piano e del tetto sino all’altezza totale di 21 metri misurata al colmo. I piani sono quattro, compreso il piano terra, per una superficie complessiva di circa 130 metri quadrati. Il progetto di recupero si è sviluppato secondo due linee guida. La prima prevede il recupero della torre pensata come museo di se stessa: il progetto rende leggibili le strutture murarie superstiti nella loro funzione originaria di difesa, avvistamento e segnalazione, tutti gli elementi significativi (feritoie, porte, finestre, imposte dei solai) sono raggiungibili e fruibili per mezzo della nuova struttura interna. La seconda è tesa a creare uno spazio suggestivo adatto alla nuova funzione museale. Per questo si è scelto di differenziare, come nelle integrazioni pittoriche al tratteggio, la texture del paramento murario consolidato da quello nuovo, mediante una lieve variazione del giunto. Ciò ne garantisce la leggibilità a distanza ravvicinata, mentre da lontano, fa salvo l’effetto d’insieme da quello, sgradevole, di rappezzo. Il linguaggio architettonico impiegato trae insegnamento dallo studio dell’architettura ossolana storica e media con i linguaggi del progetto contemporaneo: le parti nuove sono chiaramente distinguibili e ascrivibili al nostro tempo, ma “dialogano” in contrapposizione con quelle antiche. Le nuove strutture, non invasive e leggere sino al limite consentito dai materiali, sono completamente smontabili, garantendo così la reversibilità dell’intervento. L’Ecomuseo della Torre di Battiggio fa parte dell’Associazione Musei d’Ossola.

Credits Project and Works Management: Gianni Bretto Collaborators: Maurizio Bracco, Marilena De Biase, Manuele Tini, Piero Revellino CAD: Francesco Bellezza Quater, Andrea Fre, Daniele Tini

Executive CAD: Giancarlo Nostrali per Ecogeotech Security: Marilena De Biase Geology Consultant: Studio Bossalini & Cattin Main Contractor: COGEIS Worksite Director: Giuseppe Vercelli Process responsible:

Alberto Rabaglietti (UTC Comune di Vanzone con S. Carlo) Representative of Soprintendenza ai Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte: Lisa Accurtio Metalworks: Ecogeotech Special Works for the Walls:

Silvio e Stefano Tabachi Piode Cladding: EDT di Luca Vanoli Woodworks: Dinetti Bois Bow-windows: S.C.S. Frameworks: OMR Painting: Roberti, A. Avena Limes: Tassullo

Steels: Ossola acciai Security Glasses: Vetreria Azzimonti, Vetreria Olivero Wood: Bionda Client: Comune di Vanzone con S. Carlo

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Mostra itinerante e convegno Realizzato da Paolo Riani per conto della Fondi Rustici, il progetto San Verano Spa in Piccioli (Pisa) è indagine e approfondimento sul rapporto in essere fra insediamenti urbani e campagna limitrofa, con la definizione di nuove funzioni compatibili. Valutabile come riferimento di primaria importanza per la pluralità dei piani di applicazione e degli ambiti connessi, il progetto esprime esemplari potenzialità in significati e suggerimenti ambientali per valenze storiche, economiche e sociali legate al contesto. Proposto anche quale tema del lavoro didattico riservato al Corso di Composizione Architettonica IV della facoltà di Ingegneria/Architettura dell’Università degli Studi di Pisa per l’anno 2007/8, il progetto San Verano Spa ha promosso studi e soluzioni di un tale interesse, da rendere gli elaborati meritevoli di una mostra che, promossa dalla stessa Università, ha richiamato singolare interesse. Il progetto è stato inoltre presentato da Paolo Riani al seminario internazionale dedicato al tema Architettura del territorio, tenutosi nell’ottobre 2007, nell’ambito di uno scambio culturale tra facoltà universitarie di architettura italiane e giapponesi.

1 1.2.3. Gli elaborati degli studenti Barale (1), Bonannini (2) e Bruno (3) per il progetto di Paolo Riani San Verano Spa nel territorio di Piccioli (Pisa), che è stato anche tema del lavoro didattico nel Corso di Composizione Architettonica IV della Facoltà di Ingegneria/ Architettura dell’Università degli Studi di Pisa.

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The works by students Barale (1), Bonannini (2) e Bruno (3) for the San Verano Spa project (by Paolo Riani) in the Piccioli (Pisa) area, which was a theme of the Architectonic Composition IV Course at Facoltà di Ingegneria/Architettur a dell’Università degli Studi di Pisa.

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Ricostruire per la pace E’ visitabile fino al 9 novembre la mostra sull’architettura contemporanea dei Balcani, dei Baltici e del Medioriente allestita presso la Casa dell’Architettura di Roma e intitolata “Peacebuilding – Architetture e identità nelle aree di conflitto” (coordinatore Giuseppe Ciorra, curatori Alessandro d’Onofrio, Federica Morgia, Donata Tchou; Enti promotori Comune di Roma, Casa dell’Architettura, Ordine degli Architetti PPC di Roma e Provincia). L’esposizione è nata dall’osservazione di tre scenari di guerra nello scacchiere europeo-mediterraneo: dal Medio Oriente, Balcani ePaesi Baltici. Si tratta di tre contesti politicamente diversi: i Paesi Baltici usciti senza gravi scontri dalla dissoluzione dell’URSS; la regione balcanica scossa per dieci anni da violenti conflitti politici ed etnici e ora proiettata verso una modernizzazione veloce; il Medio Oriente che versa in

una cronica condizione di conflitto/ricostruzione simultanea, in cui i lavoro degli architetti e degli urbanisti assume di volta in volta un ruolo e un significato diverso, sempre terribilmente carico di responsabilità. Tematica portante della mostra è la ricerca architettonica contemporanea, con particolare attenzione a quei progetti che coniugano lo sviluppo economico a quello sociale e ambientale e non perdono di vista la specificità geografica e storica di ogni luogo. Obiettivo dei curatori, presentare il contributo degli architetti alla ricostruzione delle regioni danneggiate dagli eventi bellici degli ultimi vent’anni, provocati dai profondi mutamenti geopolitici e dall’instabilità dei confini tra i nuovi stati. Eventi che fanno di chi progetta le città il costruttore di identità future, necessariamente poggiate su speranze concrete di civile convivenza. 4. Misselwitz Hilala, Al Quasas Plazas Fawwar Refugee Camp. 5. Siiri Valner, Soviet Occupation Museum.

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6. Njiric Architect, Holocaust Museum Jasenovac.

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Un nuovo spazio per l’arte Le opere della nuova collezione del FRAC Fondo Regionale Arte Contemporanea sono in mostra fino all’ 8 dicembre al Centro Culturale Cittadella a Boves, cittadina a circa 10 chilometri da Cuneo. Il FRAC , già in mostra nella primavera scorsa a Vercelli, giunge a Boves e inaugura un nuovo spazio espositivo e polifunzionale, realizzato con il sostegno di Città di Boves e Regione Piemonte. L’attuale Centro Culturale Cittadella nasce

dalla ristrutturazione dell’edificio ex Filanda Favole, che da diversi anni è oggetto di una riflessione da parte degli enti del territorio per definire un suo recupero e utilizzo. Oggi l’edificio viene destinato – dopo i lavori di ristrutturazione che ne hanno mantenuto la struttura originale di edificio proto-industriale – a centro culturale polifunzionale, per ospitare mostre d’arte ma anche eventi culturali di diverso tipo. Le opere in mostra a Boves sono state acquisite

all’interno dell’ultima edizione (novembre 2007) della fiera d’arte contemporanea Artissima, grazie all’istituzione del FRAC, un fondo regionale di 150.000 euro annui, finalizzato all’acquisizione di opere di giovani artisti emergenti, italiani e stranieri. Gli artisti in mostra sono: Keren Cytter, Sam Durant, Jimmie Durham, Cyprien Gaillard, Vidya Gastaldon, Ian Kiaer, Josephine Meckseper, Tom Molloy, Evariste Richer, Ignacio Uriarte. 1

NEWS/DOSSIER Per una casa sostenibile In Madrid Il Centro de Convenciones Mapfre di Madrid ospita il 13 e 14 novembre il I Congresso Internazionale per le Abitazioni Sostenibili, organizzato dalla Asociación Nacional para la Vivienda del Futuro (ANAVIF). A Congresso sono chiamati i migliori professionisti del panorama internazionale che, nella loro attività abbiano portato avanti ricerche e sperimentazioni relative alla sostenibilità degli edifici residenziali e che ne abbiano applicato gli esiti nelle loro realizzazioni, aldilá di leggi inefficienti e proposte commerciali manipolatrici e opportunistiche. In questo modo, il congresso lontano dal voler solo dibattere, riflettere o sensibilizzare su questo importante tema, si pone l’obiettivo di offrire esempi di soluzioni concrete direttamente appicabili sul campo. I principali temi che verranno affrontati sono quelli relativi alle possibili soluzioni economiche, amministrative, urbanistiche, ecologiche, di efficienza energetica, bioclimatiche, funzionali, sanitarie, tecnologiche, tipologiche e formali. Per informazioni sul programma e gli esiti del congresso: www.anavif.com

aims to offer examples of positive solutions that are directly applicable to the field. The main topics that will be dealt with are possible solutions in terms of economy, administration, city planning, ecology, energy efficiency, bioclimatic, functional, and sanitary issues, technology, typologies, and formal concerns. For information on the schedule and the upshot of the congress: www.anavif.com

On November 13th and 14th, the Centro Convenciones Mapfre Madrid is hosting the International Congress on Sustainable Housing, organized by the Asociación Nacional para la Vivienda del Futuro (ANAVIF). Some of the best professionals on the international scene were called to participate; prerequisites for participants include research and experimentation devoted to the sustainability of residential buildings, as well as the implementation of their ideas in their work, beyond inefficient laws and manipulative and opportunistic business propositions. Thus, the congress – which is not only meant for debate and reflection, and to sensitize the designers’ awareness of this important issue –

Arte in scena Ortus Artis L’evento “Natura e Arte in Certosa: Ortus Artis e Fresco Bosco”, legato al complesso monumentale della Certosa di San Lorenzo a Padula e al suo secolare parco, è una manifestazione di arte contemporanea aperta a interventi di artisti famosi mediante sculture, opere pittoriche, fotografie, installazioni, performance e la realizzazione di giardini contemporanei nelle celle dei monaci. L’evento, promosso dalla Soprintendenza di Salerno e Avellino e ideato e curato da Achille Bonito Oliva, si è inaugurato il 5 settembre e proseguirà a tempo indeterminato. Il curatore ne commenta così i contenuti e la singolarità: “se Ortus Artis porta con sé la nuova sfida del confronto con un passato non direttamente tangibile, quasi immaginario,

per riportare alla luce le celle di cui quasi nulla si è conservato, Fresco Bosco segna lo slittamento dell’arte dall’interno della Cerosa all’esterno e reinvesta il Parco, mettendo in scena eventi di grande spettacolarità in un’atmosfera di festa barocca”. “Natura e arte in Certosa: Ortus Artis e Fresco Bosco” is an event linked to the monumental complex of the Certosa di San Lorenzo in Padula and its secular park. It is a show of contemporary art open to famous artists, who participate through sculptures, paintings, photographs, installations, performances and the design of contemporary gardens in the monks’ cells. The event, promoted by the Superintendence of Salerno and Avellino and organized by Achillle Bonito Oliva, was inaugurated on September 5th and will continue indefinitely. The curator commented on the content and singularity of the event: “while Ortus Artis is a new challenge to a past that is not directly tangible and is almost imaginary, and is meant to bring the cells – of which almost nothing was preserved – back to light, Fresco Bosco marks the shift of art from the interior to the exterior, or the Park of the Certosa, staging spectacular events in the atmosphere of a Baroque Festival.”

1. Josephine Meckseper, March for Peace, 2007.

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2. Giancarlo Neri, Voi siete qui, diametro 2,50 m.

MIPIM Horizons prima edizione Importante appuntamento a Cannes al Palais de Festival. Dal 2 al 4 dicembre si terrà la prima edizione di, il nuovo salone dei professionisti dell’immobiliare dedicato ai Paesi a forte crescita dove verranno principalmente analizzate le possibilità di sviluppo residenziale e alberghiero. I mercati immobiliari di Europa centrale e orientale, Federazione Russa, Asia Centrale, Turchia, Africa, Medio Oriente e

America Latina saranno presentati agli investitori e utilizzatori finali che avranno modo di approfondire le loro conoscenze per individuare le oppuntunità di intervento in questi nuovi territori. Un programma di 150 conferenze, compresi focus geografici, finanziari e legali, presentazioni negli stand e sessioni di “speed matching” completerà la formula espositiva con il

coinvolgimento di ospiti eccezionali. De Frauke Kraas, esperta di sviluppo urbano e direttrice del dipartimento di geografia all’Università di Colonia che interverrà sul problema delle megalopoli nell’era della mondializzazione (il 2/12); a Khaled Awad, direttore dello sviluppo immobiliare di Masdar – Abu Dabi, la prima città a zero emissioni di gas carbonico alimentata alimentata al 100% con

energie rinnovabili, che animerà la conferenza “Masdar City: Today’s Source for Tomorrow’s Energy” (Costruire edifici sostenibili nei Paesi emergenti il 3/12). Sono circa 3.000 i professionisti dell’immobiliare attesi per questo evento che riunirà i progetti di oltre 24 Paesi emergenti su una superficie espositiva di quasi 4.000 metri quadrati. Elena Cardani

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Una rapida trasformazione Post-socialist Balkans “Balkanology”, la mostra allestita presso il Swiss Architecture Museum di Basilea fino al 28 dicembre, apre un nuovo campo al dibattito architettonico: la poco nota architettura del periodo post-socialista e i risultati di uno sviluppo urbano incontrollato e senza regole nei Paesi del sud-est dell’Europa. La mostra si incentra sull’impatto dei recenti mutamenti socio-politici sull’architettura e sull’urbanistica. Nella parte occidentale dei Balcani, il crollo dei sistemi economici socialisti in Yugoslavia e Albania ha dato il via a un’intensa attività di edilizia informale che rappresenta una nuova forma di urbanizzazione. La questione che si pone è quanto tali trasformazioni urbane possano essere indicative del futuro sviluppo delle città europee in generale. La mostra utilizza esempi di progetti recenti a Belgrado, Zagabria, Kotor, Pristina e Tirana per illustrare il modo in cui architetti, artisti, urbanisti e professionisti in genere si stiano rapportando a questi rapidi e nuovi processi di trasformazione.

“Balkanology”, the exhibition ojn show until December 28th at Swiss Architecture Museum in Basel, opens a new field of architectural discourse: the little-known architecture of the post-socialist period and the result of unregulated, uncontrolled urban planning in the countries of South Eastern Europe. The exhibition focuses on the impact of recent socio-political changes on architecture and urban planning. In the western Balkans, the collapse of the socialist economic system in Yugoslavia and Albania has given rise to extensive informal building activity that represents a new form of urbanisation. The question is: how far do such urban transformations indicate patterns of future development for European cities in general? The exhibition uses examples from projects in Belgrade, Zagreb, Kotor, Prishtina and Tirana to illustrate the way architects, artists, urbanists and activists are dealing with these rapid new transformation processes.

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Un ideatore visionario La Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia ospita fino al 16 novembre la prima personale di Markos Novak (1957, Caracas) oltre che artista e architetto, uno dei maggiori teorici mondiali delle arti nell’epoca del cyberspazio. La mostra nasce in collaborazione con la Garanti Gallery di Istanbul e avrà luogo negli spazi di Palazzetto Tito (Dorsoduro 2826, Venezia). La mostra è divisa in due sezioni. La prima vicino all’ingresso è caratterizzata da una installazione interattiva; un grande cubo, munito di videocamere in grado di catturare il movimento delle persone e di microfoni, è collegato a un computer, a un impianto audio e a un proiettore. Il visitatore è invitato a entrare nel cubo tenendo dei sensori in mano e perlustrare l’architettura invisibile seguendo la guida del suono e della visualizzazione. La seconda parte della mostra presenta una serie di “sculture turbolente” elaborate da un software concepito per questo scopo. L’opera di Novak introduce un’idea visionaria di design e scultura ma anche in scala più allargata un nuovo modo di “abitare lo spazio”. Si tratta così di immaginare una nuova architettura come risultato di interazione di forze invisibili, che partendo dalla progettazione nel

virtuale possa emergere nel reale con caratteristiche innovative. Infatti, le possibilità sempre crescenti della progettazione virtuale e digitale permettono di collegare corpo e spazio, tecnologia e biologia, esperienza visiva e uditiva; tutto questo si può riassumere nell'idea di architettura trasmissibile in grado di collegarsi ad altri campi in modo ipermediale superando continuamente i suoi confini disciplinari; gli artisti e gli architetti del futuro progetteranno attraverso questi strumenti. Novak è l’ideatore di molti termini ormai ampiamente diffusi tra i quali: “transvergenza”, “transarchitetture,” “transmodernità,” “architettura liquida”, “musica navigabile”, “cinema abitabile”, “archimusica,” “allogenesi,” e molti altri, che hanno anticipato molti dei successivi sviluppi dell’arte, dell’architettura e musica digitale, nonché delle ricerche sulla realtà virtuale, alternativa, combinata, accresciuta. I suoi attuali interessi e ricerche coinvolgono le nano e bio tecnologie, ipotizzando che oggi ci si trovi in una fase culturale caratterizzata da “The Production of the Alien”, sulla base di un parallelismo con l’idea rinascimentale del “Production of Man”. 1. Andrija Mutnjakovi_: Biblioteca/Library, Prishtina, Kosovo, 1982 (©Wolfang Thaler). 2., Team Plot, JDS, Bruce man Design (Bjarke Ingels, Julien De Smedt, Andreas Pedersen, Anne Luoise Breiner, Dan Slubbergard, David Zahle, Mads Birgens, Teis Draiby): Superharbour, 2003/04.

Archilab Europe 2008 In Orleans L’importanza che riveste l’Unione Europea nel contesto dell’urbanistica e dell’architettura contemporanee è al centro di Archilab Europe in corso fino al 25 dicembre a Orléans. Omar Akbar, direttore della Fondazione Bauhaus a Dessau e curatore della manifestazione di quest’anno, giunta alla sua ottava edizione, ha operato una sezione stratigrafica dell’Europa che si sta costruendo illustrando le trasformazioni in atto in 30 città – capitali economiche, politiche culturali o città medie – attraverso una cinquantina di progetti, realizzati o in corso, per la maggior parte cofinanziati dall’Unione Europea. Il sottotitolo “Architettura strategica” mette in luce il ruolo decisivo dell’architettura e degli interventi urbanistici come strumenti per lo sviluppo di città e regioni illustrando il legame esistente con gli organismi di finanziamento nel quadro della Comunità Europea. I progetti, i programmi e gli architetti coinvolti attivamente in questa dinamica; lo spazio lasciato alla creazione e all’innovazione; l’esistenza di un’azione europea a favore dell’urbanistica e della qualità della vita; l’integrazione della rivoluzione informatica; l’esistenza di nuovi dispositivi d’organizzazione urbana, sono alcuni dei temi proposti al pubblico che può confrontarsi con i processi di riconfigurazione del suo territorio. Due sezioni e due luoghi espositivi scandiscono la complessità dei temi proposti. Nello spazio industriale del FRAC Centre, una sorta di paesaggio in profondità è creato da elementi scenografici le cui forme sono dettate dai contorni geografici delle nuove Regioni Europee. Nella collegiale Saint-Pierre-lePuellier sono invece in mostra i progetti d’architettura classificati secondo tre tipologie “Insediamento” “Rianimazione” “Polimerizzazione”. I trenta casi-studio, provenienti da diciassette Paesi europei tra cui Islanda, Svezia, Finlandia, Lettonia, Pologna, Germania, Francia, Italia, Austria, Slovacchia e Turchia, sono presentati attraverso carte storiche e attuali, modelli, istallazioni, fotografie e filmati.

Archilab Europe, under way through December 25th in Orléans, focuses on the importance of the European Union in the sphere of contemporary urban planning and architecture. Omar Akbar, the director of the Bauhaus Dessau Foundation and curator of this year’s event, which is now at its eighth edition, made a stratigraphic section of the Europe which is now being built, illustrating the changes being made in 30 cities – economic, political and cultural centers or medium-sized cities – through more than four dozen projects that have been realized or are still under way, and that are mostly cofinanced by the European Union. The subtitle, “Strategic architecture”, highlights the decisive role of architecture and urban planning events as tools for the development of cities and regions, illustrating their connection with financing bodies within the European Community. Some of the themes offered to the public – who is faced with reorganization processes for its territory – are projects, programs and architects actively involved in these dynamics; room left for creation and innovation; the existence of a European force favoring urban planning and life quality; integration of the information revolution, and the existence of new operations for urban organization. Two sections and exhibition areas underline the complexity of the proposed themes. In the industrial area at the FRAC Centre, a sort of deep landscape is created by scenographic elements created with the geographical outlines of the new European Regions. On the other hand, at the Saint-Pierrele-Puellier Collegiate, architectural projects classified according to “Settlement”, “Recovery”, and “Polymerization” are on show. The thirty case studies, coming from seventeen European countries, including Iceland, Sweden, Finland, Latvia, Poland, Germany, France, Italy, Austria, Slovakia, and Turkey, are presented with the aid of historical and modern maps, models, installations, photographs, and films.

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3. YEAN (Wolfgang Andexlinger, Pia Kronberger, Stefan Mayr, Kersten Nabielek, Cédric Ramière, Claudia Staubmann): Tirolcity, 2005. 4. Bjarke Ingels Group (BIG): Pont habitable, Copenhagen, 2005.

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Omaggio a Cocteau In Milan

Philippe Pastor At Centre Culturel

“Jean Cocteau le joli cœur. Omaggio ‘alla moda’ di un seduttore” è una manifestazione che, attraverso diversi eventi, intende presentare al pubblico, fino al 4 dicembre il talento poliedrico del poeta e artista francese. Ospitata presso la Galleria del Centro Culturale Francese all’interno del Palazzo delle Stelline a Milano, la mostra presenta disegni originali, autografi, litografie, affiches, libri d’artista (il rarissimo ed enigmatico Maria Lani con originali di Matisse, De Chirico e Derain) e le illustrazioni erotiche realizzate per il Libro Bianco. Verrà esposto inoltre uno dei due Ritratti di Roland Garros di Raoul Dufy, disegno eseguito dal celebre artista per la rivista “Le Mot” di Cocteau e Iribe, poi misteriosamente firmato “Jim” (Cocteau). Il secondo disegno, recentemente acquistato dal Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris è esposto nell’ambito dell’esposizione dedicata a Raoul Dufy che si terrà negli spazi del museo parigino fino al 18 gennaio 2009. Accanto a opere originali del poeta è esposta per la prima volta nella sua completezza la Collezione Uroburo, work in progress avviato nel 2005 comprendente opere grafiche e pittoriche in omaggio a Cocteau di artisti contemporanei italiani.

Vive tra Monaco e Saint Tropez, sedi dei suoi atelier di pittura, ma la sua casa preferita è un’antica bergerie nelle montagne del Var dove si rifugia immerso nella natura inseguendo il suo istinto creativo. Philippe Pastor, classe ’61, monegasco, è un pesonaggio fuori dagli schemi. Artista autodidatta, in una decina d’anni si è affermato in campo internazionale con mostre in Francia, Italia e Stati Uniti e la partecipazione lo scorso anno alla 52a Biennale di Venezia ospite alla Fondazione Riva. Mi accoglie nel suo atelier di Monaco prima di partire per Milano dove allestirà la mostra che gli dedica il Centro Culturale Francese dal 20 settembre fino al 4 dicembre. Qui espone una serie delle opere più emblematiche della sua carriera, gli Alberi bruciati in cui si concentra la poetica e l’impegno dell’artista contro la distruzione dell’ambiente. Sono sculture realizzate con tronchi d’albero bruciati dagli incendi che hanno devastato nel 2003 la foresta della Garde Freinet, nel Massiccio dei Maures (Var). La salvaguardia della natura, la rivolta contro la negligenza dell’uomo nei confronti del nostro pianeta sono una delle principali preoccupazioni di Philippe Pastor, che attraverso questi tronchi solenni, calcinati e trattati con elementi ricavati dalle carozzerie delle auto persegue il suo impegno a favore del programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e la campagna Piantiamo per il Pianeta. Con la sua Associazione Arte Ambiente, l’artista partecipa ai programmi di rimboschimento e di sensibilizzazione dei bambini sui problemi ambientali. “Quello che più mi colpisce è come i bambini partecipino alle mie opere, come ne colgano il senso più profondo”. Gli Alberi bruciati fanno eco alla sua ultima serie di quadri Il cielo guarda la terra. Come il cielo, l’artista osserva quello che di più terribile sta stravolgendo il nostro pianeta, catastrofi naturali o a opera dell’uomo, guerre, attentati, violenza… In queste opere i pigmenti puri vengono combinati con altri materiali, terra, sabbia, rete metallica, schegge di legno, cartone e metallo arrugginito. Anche qui si viene colpiti dalla spontaneità del gesto, dall’immediatezza di un messaggio tracciato con un segno veloce che viene dal cuore e che dichiara la cifra stilistica di Pastor. Elena Cardani

Through various events, “Jean Cocteau le joli cœur. Homage to ‘the trend’ set by a seducer” presents visitors with work by the multi-talented French poet and artist until December 4th. The show – which is hosted by the Gallery of the French Cultural Center at Palazzo delle Stelline in Milan – presents original drawings, autographs, lithographs, affiches, artist’s books (the very rare, enigmatic Maria Lani, with original works by Matisse, de Chirico, and Derain), and the erotic illustrations the artist created for the famous White Book. In addition, one of Raoul Dufy’s two Portraits of Roland Garros is to be displayed: the famous artist

created the drawing for Cocteau and Iribe’s magazine Le Mot, but, mysteriously, it was then signed “Jim” (Cocteau). The second drawing, which was recently purchased by the Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, is to be shown in an exhibition devoted to Raoul Dufy, which will be on at the Parisian museum until January 18th 2009. In addition to the poet’s original works, for the first time the entire Uroburo Collection, Work in Progress, will also be exhibited: begun in 2005, the collection features graphic and pictorial works by contemporary Italian artists, in tribute to Cocteau. 1

1. Jean Cocteau, Les anges s’étonnent, disegno autografo, inchiostro nero su cartoncino/signed drawing, black ink on cardboard, 4,4x17,1 cm, 1950 circa. 2. Philippe Pastor, Alberi bruciati, Cannes 2007.

Al Jeu de Paume L’influenza della città sul comportamento umano è al centro delle preoccupazioni di Jordi Colomer, classe ’62 di Barcellona che spartisce la sua vita tra la città natale e Parigi. La mostra che gli dedica il Jeu de Paume fino al 4 gennaio presenta una serie di istallazioni video dove l’architettura e la città fanno da sfondo alla quotidianità della gente. Attento agli aspetti sociologici, psicologici e filosofici, ma anche alle deviazioni, alle incongruenze o alle evidenze dimenticate della vita di tutti i giorni, Colomer documenta con grande lucidità la normalità delle piccole cose della vita, l’indifferenza o il

malessere causati dall’architettura e dalla città. In contemporanea, il Jeu de Paume ospita un restrospettiva su Lee Miller, affascinante figura del XX secolo, famosa modella, musa ispiratrice dei surrealisti, compagna di Man Ray e infine fotografa. Con 140 opere provenienti dagli archivi Lee Miller, conservati al Victoria and Alber Museum di Londra, la mostra raggruppa una selezione delle migliori stampe originali dell’artista accompagnate da esemplari originali di Vogue, di disegni, collages e di un estratto del film di Jean Coucteau, Le Sang du Poète (1931) di cui la Miller è protagonista.

the international scene, with shows in France, Italy, and the United States, and with his participation last year in the 52nd Venice Biennale, hosted by the Fondazione Riva. Before setting off for Milan – where he was to show his work at an exhibition organized by the French Cultural Center from September 20th to December 4th – he welcomed me to his gallery, Monaco Modern Art. On display are some of his most emblematic works , such as Burned Trees, in which the artist’s commitment against the destruction of the environment is concentrated, revealing his poetics. The sculptures are made of tree trunks that were burned in the fires that devastated the Garde Freinet in the Massif des Maures (Var). Safeguarding nature and his rebellion towards man’s negligence of our planet are some of Philippe Pastor’s main commitments. Through these solemn trunks, which are treated with lime and elements taken from car body shells, he pursues his commitment to the United Nations Environment Programme, and to the Plant for the Planet campaign. With his Art and Environment Association, the artist takes part in reforestation programs and sensitizes children about environmental problems.“What strikes me most is how children participate in my works, how they grasp its deepest significance.” Burned Trees echoes his latest series of paintings, The sky watches the earth. Like the sky, the artist watches the terrible things that are devastating our planet: natural or man-induced catastrophes , wars, attacks, violence… In these works, pure pigments are combined with other materials, such as earth, sand, metal mesh, wood splinters, cardboard and rusty metal. Here, too, we are struck by the artist’s spontaneity, the immediacy of a message transmitted through a rapid sign coming from the heart, which reveals Pastor’s stylistic code.

Philippe Pastor lives between Monaco and Saint Tropez, where his painting studios are located, but his favorite home is an old bergerie in the Var mountains, where, following his creative instinct, he retreats into nature. The Monegasque artist, who was born in 1961, is an unconventional figure. He is a self-taught artist, and within the space of ten years he has distinguished himself on 2

Lacroix, creatore e scenografo Una mostra inedita, quella allestita fino al 31 dicembre ad Arles, nella prestigiosa sede del Museo Reattu, Museo delle Belle Arti nel rinascimentale Gran Priorato dei Cavalieri di Malta. Protagonista con le sue creazioni e ideatore del singolare dispositivo scenografico è Christian Lacroix, che con questo evento rende omaggio sia all’edificio storico, sia alla sua città natale. Il corpo, la piega, la capigliatura … sono i temi intorno a cui ruota l’esposizione.

Tutte le sale del museo, i corridoi fino agli spazi esterni sono investiti dall’allestimento dell’artista che intreccia collezioni antiche e contemporanee, rivisita le sue crezioni e coinvolge artisti contemporanei (da Daniel Firman a Marc Turlan e Jean-Michel Othoniel). Un’esposzione di interesse generale che illustra le possibili interferenze tra discipline artistiche diverse, moda, fotografia, arti plastiche, ma anche patrimonio storico e modernità.

3. Jordi Colomer, Anarchitekton (Osaka), video, 1’49’’, 2004 (Collection du Fonds régional d’art contemporain de Bourgogne; © Adagp, 2008; Production: Maravills, Barcelone et Fundación Botín, Santander).

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4. Modelli di Christian Lacroix, Haute-Couture (© Olivier Amsellem)

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Visioni magiche

A Cortona Etruscan Masterworks

Fino al 6 dicembre la Galleria Melesi di Lecco presenta la mostra “Franco Fontana – Presenze Assenze”, una serie di immagini (stampate su carta Kodak Metal Professional), realizzate tra la fine del 1979 e i primi anni Ottanta. L’attività di Franco Fontana ha inizio negli anni Sessanta, ma si caratterizza in modo personale solo più avanti quando passa alle cose: “muri, materiali, oggetti, paesaggi, fino a una progressiva essenzialità del mio discorso, che penso coerente nella sua successione”. Tutta la sua produzione e in particolare quella proposta in questa mostra va a segnare la presenza dell’uomo attraverso ciò che di più immateriale lo può rappresentare, vale a dire la sua ombra. Una presenza quindi – diremmo oggi – virtuale, che è visibile ma non palpabile, presente solo in quanto mediata dalla luce e dalla sua assenza. I luoghi raccontati (le architetture, i muri, le strade, e i loro colori) vivono del pensiero che li ha interpretati: “La visione magica del mondo – dice Fontana – è sempre in quello che si immagina più che in quello che si vede.”

La mostra “Capolavori Etruschi Dall’Ermitage”, in corso dal 7 settembre all’11 gennaio 2009, presso il MAEC-Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona, propone, come immagine del proprio logo e riferimento indicativo, l’urna cineraria in bronzo rinvenuta in una necropoli nei pressi di Perugia nel 1842 raffigurante un adolescente disteso su un Kline. Il pezzo, considerato uno dei capolavori assoluti della scultura etrusca di età classica (databile attorno alla metà del IV secolo a.C.), appartiene al museo di San Pietroburgo che per l’occasione concede in prestito alla città di Cortona trenta importanti pezzi della propria collezione etrusca, avviando così una collaborazione di grande impatto scientifico e culturale con la Fondazione Ermitage Italia. La mostra, a cura di Elena Ananich, Nadezda Gulyaeva, Paolo Bruschetti e Paolo Giulierini, è stata organizzata dal Villaggio Globale International e, per l’occasione, si sono aperte sei nuove sale nel percorso espositivo del MAEC.

As an image of its logo and a guiding reference point, Etruscan Masterworks from the Hermitage, open from September 7th to January 11th 2009 at the MAEC-Museum of the Etruscan Academy and the City of Cortona, showcases a bronze cinerary urn that was found in a necropolis near Perugia in 1842, representing an adolescent boy lying on a kline. The piece, which is considered to be one of the absolute masterpieces of classical Etruscan sculpture (it can be dated around the middle of the fourth century B.C.), belongs to the museum of St. Petersburg. For the occasion, the latter has lent the City of Cortona thirty masterpieces from its Etruscan collection, thus opening a collaboration that has a great scientific and cultural impact with the Fondazione Ermitage Italia. The exhibition, curated by Elena Ananich, Nadezda Gulyaeva, Paolo Bruschetti and Paolo Giulierini, was organized by Global Village International, and six new halls were opened for this exhibition at the MAEC.

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La Biennale di Liverpool Art in the City Fino al 30 novembre è in corso la Liverpool Biennial, con varie mostre ed eventi in diverse gallerie della città (www.afoundation.org.uk). Le mostre principali della rassegna, tutte imperniate sulla produzione artistica più recente, sono: “Artists Anonymous: Communication and Association”, labirintica installazione del collettivo artistico berlinese negli spazi della Furnace Gallery; ”Fantasy Studio Project”, una selezione di sette artisti coreani contemporanei che agiranno come in un proprio atelier all’interno del complesso della A Foundation; ”Far West Metro”, progetto intra-artistico che esplora le nuove relazioni tra consumatore e cultura emergenti dallo slittamento economico del mondo verso Oriente; ”Manuel Vason: Encounters”, in cui Vason filma dal vivo artisti che realizzano le loro performance appositamente per lui in luoghi e condizioni che permettono loro di sperimentare nuove relazioni col proprio corpo. Infine, “Bloomberg New Contemporaries 2008” (fino al 22 novembre), la mostra più estesa che occupa gli spazi della Blade Factory e del Coach Shed con le opere di 57 artisti scelti tra gli oltre 1400 che avevano partecipato alla selezione curata da Richard Billingham, Ceal Floyer e Ken Lum (www.newcontemporaries.org.uk).

The Liverpool Biennial will be open through November 30th, with various exhibitions and events in different galleries around the city (www.afoundation.org.uk). The main shows taking part in the event all focus on the latest art production, and include: “Artists Anonymous: Communication and Association”, a labyrinthine installation designed by the Berlin based collective at the Furnace Gallery; “Fantasy Studio Project”, a selection of seven contemporary Korean artists who will work as though they were in their own studio within the A Foundation complex; “Far West Metro”, an intra-artistic project that explores the new consumer and cultural relationships that are emerging as the world’s economic center shifts towards the East; Manuel Vason: Encounters”, in which Vason films artists live as they perform purposely for him in places and conditions that allow them to experiment new relationships with their bodies. Finally, “Bloomberg New Contemporaries 2008” (until November 22nd), the largest exhibition, is laid out at the Blade Factory and the Coach Shed, with works by 57 artists selected among the 1,400 that had participated in the selection curated by Richard Billingham, Ceal Floyer, and Ken Lum (www.newcontemporaries.org.uk).

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Arte del riciclo Shafik Recycling La terza edizione della rassegna “Mongarte Racconti plurimi del Riciclaggio” è dedicata quest’anno allo scultore egiziano Medhat Shafik. La mostra è allestita negli spazi della Chiesa del Suffragio, della Cappella Paolotti, di Palazzo Ripa, di Palazzo Nardini e per le strade del borgo cittadino di Sogliano al Rubicone (FC) e rimarrà aperta fino all’8 dicembre. Come sempre, è il “materiale di scarto recuperato” (mongo) il ganglio centrale della rassegna, che lo scultore ha intitolato Lo Scarabeo, animale sacro per gli egiziani, su cui realizza le installazioni per questa edizione. Opere dal diverso significato, appositamente pensate per i luoghi che le ospiteranno e che utilizzano materiali diversi come il sale, il vetro e la carta nepalese, quali simboli di nascita, spiritualità, cammino.

This year, the third edition of “Mongartemultiple recycling stories” is devoted to the Egyptian sculptor Medhat Shafik. The show, organized at the Chiesa del Suffragio, the Paolotti Chapel, Palazzo Ripa, Palazzo Nardini and son the streets of the village of Sogliano al Rubicone (FC), will be open through December 8th 2008. As always, the central ganglion of the event is “recovered waste material” (mongo), with which the sculptor has created his installations for this edition. The sculptor entitled the show after a sacred animal for Egyptians, “The Beetle”. His site-specific works have different meanings, and were made with various materials, such as salt, glass, and Nepalese paper, as symbols of birth, spirituality, and the path of life.

1. Franco Fontana, Zurigo, 1981. 2. Coperchio di urna cineraria rappresentante un giovane reclinato, bronzo/bronze top of cinerary urn with a leaning young man, 76xh 42 cm, Perugia, IV secolo a.C. (San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage). 3. Artists Anonymous The Gunslinger Mirror-Box, AA Galleries Grand Opening, Berlin, 2007.

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4. Medhat Shafik, Untitled, carta a mano, foglia d’argento, acrilici, oilbar, fusaggine, bitume, stucco, colla, carta povera, ruggine di ferro su tela di Juta/handmade paper, silver leaf, acrylics, oilbar, prickwood, stucco, glue, simple paper, iron rust on canvas, 100x120 cm, 1999.

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Scelta corretta

Nuovo sistema tenda

Pensato da Vimar per chi desidera valutare e analizzare gli elementi che costituiscono l’impianto elettrico abitativo, è attualmente consultabile uno strumento che ne permette la selezione più adeguata all’interno della vasta gamma di serie civili Vimar. A tal fine è sufficiente ciccare www.failasceltagiusta.com, ed è semplice combinare e personalizzare numerosissime forme, colori e materiali diversi, quali alternative per una personale e consapevole scelta. Successivamente sarà compito dell’installatore di fiducia attuare l’impianto.

Con ScreenLine; sistema innovativo studiato da Pellini per consentire il sollevamento della tenda tramite magneti, è stato eliminato il problema della manutenzione, conservando immutata la funzione d’oscuramento. Il meccanismo, brevettato, si applica sulle tende alla veneziana, plissé o rulli, collocando l’oscurante fra due lastre di vetro all’interno di una vetrocamera, salvaguardando estetica e funzionalità. Numerosi i modelli commercializzati ScreenLine; come la veneziana orientata tramite un pomolo magnetico integrato nel serramento, o quella che gira con il moto rotatorio di una coppia di magneti interfacciati e un comando frontale che consente il sollevamento manuale. Per mansarde e sottotetti è stata invece studiata una tenda plissé, che si alza e abbassa mediante un sistema magnetico manuale tramite una manopola asportabile. Il sistema ScreenLine è adattabile a ogni tipo di serramento, grazie all’intercapedine di vetrocamera variabile, ed è idoneo per qualsiasi ambiente.

lluminazione museale Osram si avvicina ai contesti dedicati all’arte proponendo una nuova “illuminazione interpretativa” mediante l’uso dell’esclusiva tecnologia LED, caratterizzata da una precisa selezione del bianco definita “fine binning”. Questa particolare illuminazione è possibile solo se la precisione della selezione del singolo LED è accompagnata da un’ampia gamma di temperature colore, tra cui poter scegliere – tonalità di bianco caldo per enfatizzare i colori caldi, e tonalità più fredde per mettere in evidenza i colori freddi delle opere. Il nuovo concept, progettato da Francesco Iannone e individuabile con il nome MU.SE, è stato collaudato in esclusiva mediante l’impiego nella mostra di Giovanni Bellini, allestita dal 30 settembre 2008 all’11 gennaio 2009 presso le scuderie del Quirinale a Roma,.

Il progetto aziendale Art Light Lab, è definibile come un laboratorio in continuo divenire, volto all’impegno per la “luce intelligente” e la costanza in ricerche sull’innovazione. La particolarità del sistema riguarda la possibilità di creare un wall-washing o flusso lineare di luce lungo l’intera superficie dell’opera, consentendo singolarmente, a ogni pezzo artistico, un’illuminazione focused/mix con cromaticità differenti di luce bianca (il flusso lineare illumina in maniera diffusa la superficie del quadro, contemporaneamente un mix di spot a differenti luci bianche fa risaltare la ricchezza e la profondità dell’opera). In termini progettuali, il risultato consente una visione dell’opera eccellente, superiore a ogni soluzione finora ottenuta con le tradizionali sorgenti luminose, con il vantaggio di una grande versatilità.

Oltre ai prodotti ScreenLine, Pellini è presente sul mercato con un linea di tende per interni realizzate con lamelle e tessuti di elevatissima qualità, tra i quali Aerosol, le cui fibre sono completamente rivestite di molecole di alluminio.

Per architetture di interni Elemento di spicco della manifestazione “Casa Deco”, organizzata dal 4 al 25 settembre presso gli spazi di Palazzo Villa a Torino, Lea Ceramiche si è distinta per aver rivestito la pavimentazione riservata allo spazio espositivo con la collezione City ideata da Diego Grandi. L’evento, dedicato a chi opera nell’architettura d’interni, è stato un’occasione di incontro tra professionisti del settore, industrie produttrici e pubblico, in grado di evidenziare un percorso di ambienti abitativi capace di aggiornare e approfondire il tema su cos’è oggi il design e quali sono le possibili tendenze. Nel contesto evocato, City testimonia il grado di evoluzione formale ed espressivo di Lea Ceramiche, che entra nella struttura interna dell’abitare con energica e singolarità mediante una texture in rilievo dall’effetto metallizzato ed esclusivo.

Il prodotto è disponibile nel formato 60x60 cm nei colori antracite, bronze e steel, mentre la fascia di 30x60 cm, è di color antracite e bronze.

Strategie abitative

Considerare il costruito “Constructa”, giunta alla terza edizione con il tema “REgeneration, nuova vita a spazi e costruzioni”, è un’iniziativa che apre a un evento ideato, promosso e organizzato da fischer Italia, con partner di qualità come BASF, SACAIM, SOLON, Uniflair, Despe e Banca Antonveneta – MPS, impegnati nel tema del recupero del patrimonio edilizio esistente. Si tratta di una manifestazione che si svolge dal 6 all’8 novembre 2008 a Venezia Lido, presso gli spazi congressuali dell’Hotel Excelsior, con la finalità di generare un meeting di conoscenza e relazioni tra pratiche innovative, tendenze progettuali nonché valutazioni socio politiche e visualizzazioni di workshop esplicativi in termini di esempi concreti,

già applicati, che evidenziano soluzioni e realizzazioni ad alto contenuto innovativo per tecnologia e metodi. Il forum illustra quindi le grandi opzioni tecnologiche di cui dovranno essere dotate le costruzioni e le infrastrutture delle città, prevedendo sviluppi relativamente a: materiali e performance (passive e attive) di carattere energetico, acustico, statico; infrastrutturazione di secondo livello a completamento delle grandi reti di mobilità, come ulteriore strumento di riqualificazione delle città; prassi realizzativa complessivamente sostenibile; individuazione e approfondimento degli intralci ai processi di recupero con elaborazione delle proposte di soluzione.

In occasione della 23ª edizione di “Abitare il Tempo”, L’INVISIBILE by Portarredo si è distinto quale sponsor alla mostra Architetture d’Interni mediante il progetto The Face House di Roberto Semprini. Si è trattato di una proposta esclusiva, evocatrice di sintesi e configurazioni studiate per una casa ideale che non prevede spazi chiusi, ma un flusso continuo di tipologie d’uso, emozioni, funzioni e benessere. Lo sviluppo del progetto The Face House ha evidenziato l’inserimento dei prodotti L’INVISIBILE; costituiti

da un sistema brevettato di porte a totale filo-muro che elimina stipiti, coprifili e cornici creando continuità assoluta tra porta e parete. Per l’evento sono stati utilizzati il nuovo Bilico Verticale Filo 10, una porta Battente e due Chiusure Speciali. Le prime due tipologie sono state personalizzate con particolari carte da parati di Effeitalia, mentre per le Chiusure Speciali è stato scelto un originale rivestimento con ceramiche realizzate a mano da Paola Orsoni.

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Rivestimenti in alluminio laminato

Ad alto isolamento acustico

La nuova realizzazione dell’esclusivo aeroporto di Farnborough costituito da torre di controllo di 35 m. di altezza, prestigioso terminal di 4.000 mq e hangar di 12.000 mq, proclamato vincitore del premio RIBA Award, e studiato dallo studio REID Architecture, si distingue particolarmente per la struttura di rivestimento della torre di controllo, assolutamente singolare nel contesto riguardante le torrette realizzate negli altri aeroporti. In effetti la plasticità della struttura si evidenzia mediante una pelle esterna in scandole di laminato in alluminio, che aderiscono perfettamente al corpo in cemento armato. Le strisce di laminato, tagliate a forma di “mattonella”, sono state singolarmente applicate a una sottostruttura, sempre in alluminio, dallo spessore di 2 mm. Questa tecnologia di realizzazione si è particolarmente differenziata, rispetto alla tradizionale doppia aggraffatura, vitalizzando e impreziosendo l’opera. Il risultato si deve al laminato in alluminio EXinALL di Novelis; un materiale leggero, eccezionalmente durevole, facilmente lavorabile che consente il colore e l’aspetto formale dell’acciaio inossidabile.

La sala destinata a Centro Congressi del Savoia Regency Hotel di Bologna, capace di accogliere sino a 600 persone in un unico spazio polivalente, divisibile a sua volta in 8 aree di diverse dimensioni e capienza, modulari tra loro, ha trovato la soluzione ottimale grazie a un attento progetto sviluppato in termini di modulazione degli elementi scorrevoli MAXPARETE HSP di Oddicini Industrie, in grado di sfruttare un reticolo che, partendo da un corridoio centrale, può diramarsi, a seconda delle esigenze, verso i pilastri portanti presenti sul perimetro del locale, creando un sistema ortogonale di guide, solo a soffitto, che permette di non avere elementi a pavimento ingombranti e invasivi. Anche nella sala ristorante del medesimo Hotel, l’esigenza di ottenere uno spazio “riservato”, modulabile a sua volta, ha consentito la realizzazione di due partizioni. La prima, realizzata mediante l’impiego di MAXPARETE HSP con pannellature in tinta Wengè, ha permesso la separazione dell’area

All’eccellente resistenza dell’alluminio, EXinALL combina l’impiego di vernici specificatamente studiate, che escludono i raggi UV e qualsiasi agente aggressivo o corrosivo. L’eccezionale flessibilità dell’alluminio preverniciato EXinALL ha assicurato massima libertà progettuale, garantendo precisione anche durante la fase di piegatura.

“privè”, mentre la seconda partizione si è attuata all’interno dell’area “privé” con l’impiego di MAXPARETE HighLigt e la finitura in vetro opalino. MAXPARETE HSP ( High Sound Proofing) determina pareti manovrabili a elevato isolamento acustico, in grado di suddividere dinamicamente gli ambienti mediante diversi elementi che, prelevati dalla loro zona di raccolta, scorrono lungo una guida ancorata solo a soffitto capace di creare un vero e proprio muro. Gli elementi, una volta accostati gli uni agli altri, formano una parete continua, perfettamente complanare e acusticamente isolante. Si tratta quindi di una parete manovrabile ad alto isolamento acustico, particolarmente adatta alle strutture alberghiere e congressuali, che si integra perfettamente agli ambienti, ed è silenziosa nello scorrimento a soffitto, nonché facile e semplice nell’uso e assolutamente duratura nel tempo. L’intero ciclo produttivo Oddicini ha ottenuto le certificazioni di qualità ISO 9001.

Miriadi le finestre Nei due alti corpi architettonici, tra loro parallelepipedi e pur divergenti, che, ideati da Dominique Perrault con funzione di alberghi appartenenti alla catena NH Hotels, concorrono a personalizzare lo skyline del nuovo polo fieristico milanese di Rho, spiccano, caratterizzandone l’impatto ambientale e alleggerendone la compattezza, le 1250 finestre di provenienza Metra, diverse nelle dimensioni e nel ritmo compositivo. Alte rispettivamente 72 e 65 metri, le torri divergono mediante un’inclinazione di 5 gradi ciascuna e alternano un aggetto di poco superiore agli 11 cm ogni metro di altezza. Una pensilina trasparente collega gli alberghi con il Centro Congressi e con i giardini previsti nell’area adiacente, mentre un atrio luminoso, a sua volta trasparente in vetro e metallo perforato color oro con pianta a crociera, collega alla base

le torri. Ed è sui fronti, costituiti da facciate ventilate per offrire le migliori prestazioni termoacustiche, che si articolano le numerosissime finestre realizzate con il Sistema Metra NC 65 STH nella finitura elettrocolore nero E8C dalla marchigiana Alltek in cinque diverse tipologie, con vetri termoacustici altamente performanti.

La trasparenza dell’innovazione In occasione di “Gasstec 2008”, il salone biennale di Düsseldorf che, svoltosi tra il 21 e il 24 ottobre, è dedicato agli specialisti del vetro, AGC Flat Glass Europe si è particolarmente distinta evidenziando, in un stand di sorprendente singolarità articolato in coloratissime zone tematiche (600 mq), le più recenti novità del Gruppo, relativamente ai vetri di elevata tecnologia tra i quali: lo specchio

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ecologico Mirox 3G, il vetro antibatterico, il vetro elettroluminiscente Glassiled. La manifestazione ha riscosso notevole interesse, e si è rivelata di straordinario richiamo la zona “The Innovation Lab”, dove è stata esposta l’ampia gamma di prodotti innovativi sviluppati direttamente nei laboratori di AGC, fra i quali il nuovo rivestimento superisolante per vetrate triple e la recente collezione di vetri laccati.

Meccanica architettonica Il complesso bancario Hypo Alpe Adria Center, progettato dallo studio Morphosis Architects, di forte e complessa caratterizzazione strutturale e di potenti singolarità geometriche e meccaniche, è costituito da quattro articolati edifici, e presenta il corpo volumetrico racchiuso da sezioni opache e da sezioni vetrate, a tutta altezza, incastonate nella ripetizione tematica delle facciate. All’interno della struttura sono state costruite due sale conferenze con coperture realizzate da Stahlbau Pichler. La sala dell’Auditorium Grande (1200 posti) con dimensioni 30x40 m, presenta una trave reticolare in acciaio costituita da due parti di 15 m l’una, prodotte in officina e finite e saldate in cantiere. La struttura secondaria è stata realizzata

con travi HEA 180, appoggiate sulla trave reticolare tubolare. Per consentire usi differenti di una sala con tali dimensioni, una trave reticolare centrale sopporta il carico di una parete mobile su rotaie, sostenuta esclusivamente dalla trave stessa, e non a pavimento come normalmente avviene.

Il rivestimento a cappotto Con il D.lgs 311 si procede nella direzione dell’efficienza energetica secondo metodi di progettazione, realizzazione o ristrutturazione di edifici riconoscendo nel “sistema cappotto” una funzione di assoluta importanza. Non secondaria è la prerogativa di essere considerata come la soluzione progettuale più corretta dal punto di vista costruttivo. Ed è nei termini di evidenziarne vantaggi e qualità che IVAS propone con www.termoK8.com, il primo strumento di lavoro quotidiano per la progettazione del “sistema cappotto”. Si tratta di un nuovo sito che offre il proprio know-how acquisito da oltre 30 anni di esperienza diretta in cantiere, e messo a disposizione di chi opera secondo criteri di isolamento, protezione e recupero. Comunque non si impone quale vetrina prodotto, nonostante TermK8®, con la vasta

gamma di sistemi, accessori, complementi e finiture, rappresenti una delle offerte più complete e flessibili del mercato. Il sito deve essere inteso come strumento di lavoro quotidiano che assicura conoscenze, idee, risposte e documenti per facilitare correttamente e rapidamente scelte e metodi per la progettazione del sistema a cappotto.


Dal 1745 a oggi An History of Architecture Marco Biraghi Storia dell’architettura contemporanea Einaudi, Torino 2008, 2 voll., ill. b/n, 982 pp Suddivisa in due parti (il primo volume va dal 1745 al 1945, il secondo dal 1945 a oggi), questa storia non fa mistero, fin dalle proporzioni della trattazione, del suo interesse per una contemporaneità intesa in senso stretto, al punto che le vicende della disciplina precedenti la metà del Novecento finiscono col presentarsi come premessa agli sviluppi successivi, che ci immergono rapidamente nell'immediatezza dell'attualità. Il risultato più vistoso di questa scelta è il passaggio dal modello sintetico e storico che ispira il primo volume al modello analitico e critico che caratterizza maggiormente il secondo. Scelta forse inconsapevole, e comunque legittima e non pregiudizievole per l'omogeneità dell'esposizione; ma scelta, anche, che dà conto dei differenti registri interpretativi inevitabilmente adottati sul filo della posizione temporale degli argomenti. In pratica, si passa gradatamente dalla riflessione densa e profonda dei primi capitoli al tono più cronachistico e quasi censorio delle ultime pagine, nelle quali l'urgenza del presente costringe a giudizi netti e a un'argomentazione, per così dire, più concitata.

Ma si tratta dello scotto da pagare per una storia ampia ed esaustiva, che sottolinea lo sviluppo quasi virulento dell'architettura negli ultimi cinquant'anni, con la sua coda di problemi, interrogativi e polemiche, sullo sfondo di scenari in continuo mutamento. Biraghi regge con maestria le fila di una vicenda sempre più ramificata e mobile, seguendo con puntiglio il principio della completezza dell'informazione, senza tuttavia cedere più di tanto alla tentazione del puro repertorio. Così la complessa materia di questa storia si adatta docilmente alle due funzioni storiografiche principali – quella della consultazione rapida e completa e quella della convincente visione d'assieme – fornendo uno strumento conoscitivo, culturale e didattico del quale da tempo si lamentava la mancanza e che ora fa sentire la sua corposa presenza, per le domande che solleva non meno che per le risposte che fornisce. Maurizio Vitta

This history book, which is divided into two volumes (the first covers the period from 1745 to 1945, the second from 1945 to today) makes no mystery of the author’s interest in contemporaneity in the strict sense of the term. This is clear due to the proportion of facts covering the era of contemporaneity; indeed, the architecture produced before the mid twentieth century is presented as a basis for later developments, which quickly plunge us into the immediacy of current issues. What immediately jumps to the eye is the shift from the synthetic historical model presented in the first volume to the analytic, critical model that characterizes the second. Perhaps the author was unaware of this, but he made a legitimate and irreproachable choice, sas the presentation is homogeneous. Inevitably, different registers of interpretation are adopted according to the temporal position of the various subjects. One gradually passes from the deep reflection of the first chapters to the chronicle-like, almost censorious tone of the last pages, in which the urgency of the present leads to sharp judgement and a more keyed-up argumentation.

This is the price to pay for a broad, exhaustive history that highlights the almost virulent development of architecture in the past fifty years, with its repercussions, enigmas, and controversies, a backdrop to continuously changing scenarios. Biraghi masterfully deals with a more and more ramified, mobile situation, meticulously following a principle of comprehensive information, but nevertheless without being led into the temptation of a purely repertorial account. Thus, the complex matter dealt with in this history adapts malleably to two main historiographical functions: the book can be easily consulted, is comprehensive, and offers a convincing overall view. It is thus a knowledge, cultural, and didactic tool that has long been missing and that now makes its massive presence felt, both for the questions it raises and, no less, for the answers it provides.

Milano incompiuta. Interpretazioni urbanistiche del mutamento A cura di Matteo Bolocan Goldstein, Bertrando Bonfantini Quaderni del Dipartimento di Architettura e Pianificazione, Politecnico di Milano 2007, ill. in b/n, 192 pp Il volume nasce da un’indagine su Milano nel mutamento e si occupa di forme dei processi, dei progetti e dei fenomeni urbanistici e territoriali, avanzando alcune ipotesi sui caratteri di incompiutezza del capoluogo lombardo. Il periodo della ricerca si focalizza sugli anni dal 1990 a oggi, ponendo in relazione le dinamiche del mercato urbano a partire dai comportamenti degli operatori immobiliari e al loro rapporto con la sfera pubblica e con i possibili benefici collettivi.

Attraverso la propria esperienza e grazie al lavoro di coloro che l’hanno influenzato – la colorista Jacqueline Carron, gli architetti Bruno Taut, Emile Aillaud, André Wogenski, Luis Barragan… – Servantie chiarisce in queste pagine il ruolo fondamentale del colore come elemento architettonico.

indicazioni sui materiali utilizzati e i costi di costruzione, i dati dimensionali relativi alla superficie totale dell’edificio e a quella specificamente espositiva, alcuni brevi cenni sulla collezione, l’indirizzo web del museo. In chiusura del volume, un’intervista a Germano Celant, scelto per il suo ruolo centrale all’interno della Fondazione Guggenheim.

Segnalazioni Malara Associati – Urbanistica & Architetura Skira, Milano 2007, ill. a colori, 208 pp Fin dagli anni Sessanta, i problemi della città e dell’ambiente, insieme ai temi più specificatamente architettonici, caratterizzano l’operato dello studio milanese. Questa raccolta di opere di quasi cinquant’anni di attività si snoda seguendo un andamento centrifugo: dal centro di Milano,alla Lombardia, fino alla Calabria. Marcello Guido Architetto Testi di Laura Thermes, Giovanni Damiani, Franco Rossi, Antonio Cuono, Alessandro Adriano Gruppo Mancosu Editore, Roma 2007, ill. a colori, 152 pp Il volumetto illustra, attraverso alcuni progetti salienti, la personale via all’architettura dell’architetto cosentino Marcello Guido. Sono architetture dalle radici profonde e nobili che esprimono, con un linguaggio fatto di elisioni, rotture, sfalsamenti e giustapposizioni, la discontinuità dell’approccio ai problemi delle città, dell’economia, della pianificazione. Nell’ultima parte del libro, un’interessante intervista di Damiani a Guido. Marzorati Ronchetti – Architecture Design Sculpture since 1922 Skira, Milano 2008, ill. a colori, 192 pp Il volume racconta 86 anni di storia dell’azienda Marzorati Ronchetti, le cui opere esprimono una combinazione fra cultura artigianale, sperimentazione e tecnica. Specializzata nella lavorazione di tutti i metalli immaginabili e nella loro applicazione al design, all’architettura e all’arte, l’azienda ha collaborato con i più importanti progettisti italiani e internazionali (da Ron Arad a Norman Foster, da Italo Rota ai Future Systems, da Nicholas Grimshaw ad Antonio Citterio), contribuendo alla realizzazione di interni privati e commerciali, gallerie d’arte, musei, edifici pubblici, di eventi culturali come la Biennale di Venezia o il Salone del Mobile.

Percorsi diversi-Itinerari nella contemporaneità A cura di Alessandro Suppressa Settegiorni Editore, Pistoia 2007, foto a colori e b/n, 152 pp Il libro presenta le esperienze e le tensioni di una nuova generazione di architetti che operano a livello locale. Si propone una lettura non univoca delle questioni urbane e del fare architettura di qualità in un contesto condizionato da logiche di mercato e quantitative e dalla sostanziale assenza di promozione culturale dei temi architettonici. Vengono presentati inoltre i lavori, per lo più partecipanti a concorsi nazionali, di una decina di giovani architetti toscani. Marie-Pierre Servantie Chromo-Architecture. L’art de construire en couleur Editions Alternatives, Paris 2007, ill. a colori, 160 pp Componente essenziale del nostro mondo, il colore è ancora poco utilizzato in architettura dove potrebbe invece giocare un ruolo primario. L’arte di costruire col colore è stata definita da Servantie, architetto e autore di questo libro, “chromo-architettura.

Sistemi solari fotovoltaici e termici. Strumenti per il progettista A cura di Orio De Paoli, Michele Ricupero Celid, Torino 2007, ill. in b/n, 192 pp Come funzionano gli impianti solari termici e fotovoltaici? Perché utilizzarli? Come si progettano? Secondo quali modalità e secondo quali principi il professionista può curarne la diffusione e l’integrazione in architettura? A queste e ad altre domande è stata data risposta nei corsi di formazione sulla progettazione di sistemi solari termici e fotovoltaici organizzati dalle Fondazioni e dagli Ordini di Architetti e Ingegneri della Provincia di Torino. Il presente volume ne raccoglie l’esperienza per fornire uno strumento pratico ed efficace agli operatori del settore e per diffondere la cultura dell’Utilizzo di energie da fonti rinnovabili. Stefania Suma Musei II-Architetture 2000-2007 Motta Architettura, Milano 2007, 195 ill. b/n e 200 colori, 280 pp Il volume analizza i caratteri assunti dalle nuove architetture museali, compiendo una lettura delle loro connotazioni spaziali e morfologiche e di eventuali trasformazioni tipologiche in atto. A continuazione e completamento del precedente volume curato da Luca Basso Peressut Musei architetture 1990-2000 prosegue l’indagine sull’evoluzione, sui cambiamenti e sulla continua, costante e particolare attenzione riservata agli enti museali. Ciascun progetto è presentato con una dettagliata documentazione grafica, da un testo descrittivo da una scheda informativa, in cui saranno riportati i dati dei progettisti, le

Carlo Vinti Gli anni dello stile industriale 1948-1965 Marsilio Editori, IUAV di Venezia, 2007, ill. a colori Sono le illustrazioni, a partire dalla copertina di Walter Ballmer, che si aggiunge a quelle di Egidio Bonfante, Giovanni Pintori, Bruno Munari ecc., protagonisti degli anni d’oro della grafica italiana, a stimolare l’attenzione per un libro che prova a ricostruire i caratteri peculiari della stagione del boom economico, mettendo a confronto, in particolare, l’attività di due grandi realtà industriali, Italsider e Pirelli. Con “stile industriale” si fa riferimento a un’idea molto frequente all’epoca secondo cui l’industria, per presentarsi al pubblico e far accettare la sua presenza sempre più ingombrante nel Paese, avesse bisogno di uno stile, come ben testimoniato dalla trattazione del caso Olivetti. Weiss/Manfedi – Surface/Subsurface Premessa di Moahen Mostafavi Introduzione di David Leatherbarrow Princeton Architectural Press,, New York 2008, ill. a colori, 208 pp Il volume, riccamente illustrato presenta nove progetti realizzati dallo studio newyorkese dal 200 a oggi. Tra gli obiettivi dei due progettisti vi è quello di catturare il potenziale delle condizioni che sottendono alla “superficie” dei loro lavori per generare un nuovo linguaggio per ciò che si vede e di equilibrare la frizione tra architettura, arte, infrastruttura e paesaggio.

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