Cesare Maria Casati
Avviene qualche volta It sometimes happens
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on puntualità, purtroppo periodica, nel nostro Paese insorgono spesso strane pulsioni di conservatorismo, ricche di prevenzioni e rivolte sempre contro quelle nuove testimonianze di buona architettura contemporanea che raramente vengono realizzate nelle nostre città. Strani movimenti politico-culturali e irresistibili nostalgie provinciali tentano, talora prevalendo, di fermare le lancette del tempo per non affrontare il sacrificio di tentare l’aggiornamento delle proprie conoscenze relative all’innovazione culturale, almeno per quanto avviene in Europa. Queste volontà di intervenire su progetti già realizzati, manomettendoli in parte e magari eliminandoli completamente, oltre a essere culturalmente riprovevoli riescono, creando precedenti pericolosi, a disconoscere l’architettura come opera unica di un professionista, dimenticando le elementari norme sul diritto di autore per equipararla a un comune prodotto industriale, anonimo e quindi, una volta acquistato modificabile, distruggibile e persino rottamabile. Parlo di opere di architetti internazionalmente affermati, come è stato il caso dell’Urban Center di Bologna, il quale, strapubblicato sulle migliori riviste di architettura nel mondo e riconosciuto come progetto significativo e originale dalla buona critica, un bel giorno, dopo aver raccolto ragli sparsi e ammantati di critica colta che salivano nel cielo della città, per un’ordinanza del Sindaco è stato bellamente abbattuto. Decisione presa localmente, dimenticando che un’opera d’arte, quale era questa costruzione, appartiene alla storia dell’architettura contemporanea italiana e quindi alla totalità dei cittadini del mondo, non solo italiani. Questo è avvenuto appena pochi anni fa ai danni nostri e di Mario Cucinella. Ora però, a Roma, i soliti liberi pensatori, gestiti anche da professionisti frustrati per non aver ricevuto personalmente l’incarico a suo tempo e da pensatori con matrice certamente conservatrice e vernacolare, vorrebbero che la pubblica amministrazione capitolina mettesse mano sull’Ara Pacis; e dato che a demolire tutto si passerebbe di diritto nella storia mondiale delle bestialità, preferiscono modificare l’edifico di Richard Meier con un tocco qua e uno là… togliendo una quinta e un piccolo muro, in modo – e col pretesto – di rendere meglio visibili le facciate delle due chiese vicine. Quello che mi sorprende e mi lascia interdetto è che a nessuno di questi personaggi “responsabili” sia passato per la testa che esiste una protezione internazionale per le opere di autore, e che in questo caso, poiché il progettista è un famoso architetto di New York, stimato in tutto il mondo e perfettamente operante, forse sarebbe stato meglio interpellarlo prima di diffondere qualsiasi decisione, evitando con questo precedente non solo di commettere una dabbenaggine volgare, ma anche di creare situazioni imbarazzanti riguardanti opere che gli architetti italiani hanno realizzato all’estero. Penso, tanto per fare un esempio, al contestato colore rosso dell’edificio che ospita l’Istituto di Cultura Italiana in Tokyo, progettato da Gae Aulenti, opera anch’essa criticata dal club degli sprovveduti nipponici.
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egular as clockwork, unfortunately, our country inevitably reveals its conservative face, resisting those new instances of fine modernday architecture which are rarely built in our cities. Strange political-cultural movements and nostalgic provincial desires try, sometimes exceeding, to hold back time, so as not to have to make the sacrifice required to come to terms with cultural innovation, at least as regards what is happening in Europe. Playing around with built projects, partly altering them or perhaps even completely eliminating them, is not just culturally deplorable, creating dangerous precedents, it also denies architecture's status as a unique work by a professional, forgetting those elementary norms concerning copyright as architecture is relegated to the status of just an ordinary product or anonymous industrial machine and hence, once acquired, liable to be modified destroyed or even scrapped. I am talking about the works of internationally acclaimed architects, which, as was the case with the Urban Center in Bologna (published in all the world’s leading architecture magazines and acknowledged by critics of the highest standard as being significant and original project) was ordered to be simply knocked down by the local mayor after being criticised by cultured critics in academic robes whose words reverberated around Bologna. A decision taken locally forgetting that a work of art (which this construction was) belongs to the history of modern-day Italian architecture and hence to everybody around the world, not just Italians. Something similar happened just a few years ago to the our detriment and that of Mario Cucinella, but now in Rome the usual freethinkers, headed by frustrated professionals who failed to win the tender when it was up for grabs, thinkers of a distinctly conservative and vernacular bent, want the capital city’s public administration to get their hands on Ara Pacis, and considering that demolishing everything would really get them into the history books for vicious blunders, they just want to alter Richard Meier’s building with the odd touch here and there… removing a curtain structure and a small wall; in order to, and with the excuse of, making the facades of two nearby churches more clearly visible. What surprises me and leaves me dumbstruck is that none of these “responsible” characters has even considered there might be some sort of international protection for works like this, and since in this case the designer is a famous architect from New York, esteemed the world over and still fully active, it might have been better to speak to him first before making a decision. As well as avoiding any vulgar and foolish mistakes, they would not have set this woeful precedent which is likely to cause embarrassing situations regarding works which Italian architects have designed abroad. I am referring to the highly contested red colour of the building hosting the Italian Cultural Institute in Tokyo designed by Gae Aulenti, another work which has been highly criticised by the club of naive Japanese critics.
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Il paradigma dell’ospedale
E
ra successo tutto così rapidamente da non lasciargli il tempo di pensare. Una normale visita di controllo dal vecchio medico, il consiglio – meglio vederci chiaro! – di un’ecografia, la faccia un po’ rabbuiata dello specialista dinanzi a quelle immagini da fantascienza, la prescrizione di ulteriori analisi, e alla fine, nel giro di pochi giorni, era finito in una stanza d’ospedale, in pigiama, insieme a un giovane grasso, con la testa rasata, che giaceva immobile, accigliato e silenzioso, in un letto davanti al suo. Gli altri due letti, per il momento, erano vuoti. L’Architetto non si raccapezzava. Sdraiato su quel giaciglio bianco e ferrigno, così alto rispetto al normale, fissava lo sguardo sulle pareti nude della stanza, cercando di mettere a fuoco le nuove visuali, quell’ambiente scarno, asettico, racchiuso fra tramezzi mobili, con la grande finestra che lasciava trapelare solo un cielo vacuo e sbiadito, l’arredamento metallico, minimale, e tutto quell’intrico di tubi, interruttori, manopole, aste, ganci che incombeva alle sue spalle. I pochi oggetti personali che aveva conservato – una bottiglietta d’acqua minerale, gli occhiali e il libro non letto sul comodino, il vestito occhieggiante dall’armadietto socchiuso, l’incongruo cappello a larghe tese appeso a un gancio dell’attaccapanni – gli ricordavano un altro mondo, un’altra identità, che egli faticava a mettere in relazione con quella presente, improvvisamente anonima e governata da forze incomprensibili. Si sentiva cambiato, ma non sapeva definire questo mutamento. C’erano gli orari stravolti, naturalmente, gli incogniti rituali dei prelievi, dei controlli, delle pulizie, il ritmo del sonno e della veglia alterato, i pasti frettolosi e insipidi. Ma soprattutto c’era un diverso senso del proprio corpo, costretto in uno spazio inatteso, organizzato in geometrie aliene, incanalato lungo percorsi frammentati e oscuri, ciecamente guidato da pochi indizi sfuggenti – la segnaletica rigorosamente normalizzata, il numero di ciascuna stanza, il colore di una porta. Quel corpo, fino a poco prima quasi ignorato, e che ora lo costringeva perentoriamente ad ascoltarlo, a seguirne ogni minimo guizzo, palpito o pulsazione, si ritrovava incastonato in uno spazio non suo, che non lo lasciava più libero di abbandonarsi al flusso dell’esistenza pienamente vissuta, ma lo modellava sullo stampo della malattia, della menomazione, della cura. Un corpo che ormai gli apparteneva solo nella dimensione negativa del male, accolto in uno spazio cui poteva a sua volta appartenere soltanto nel suo nuovo ruolo di malato, figura ironicamente pirandelliana. Lo spazio dell’ospedale è un non-luogo, pensò l’Architetto. Ma gli venne subito da ridere, per quell’idea così compuntamente professionale, e oltretutto banale e scontata. Del resto, non era nemmeno un’idea sua: l’aveva letta da qualche parte, in un libro che trattava delle “istituzioni di cura”. E poi, fino a che punto è corretto parlare di “non-luogo”, almeno nell’interpretazione più rigorosa del termine, a proposito di un ospedale? La riflessione fu interrotta dall’ingresso di due infermiere, ridanciane e sbrigative. Bisogna prepararsi all’operazione, dissero allegramente. Restare a letto, a digiuno, bere intrugli svariati, iniziare
la flebo. Rassettarono cuscini e lenzuola, gli infilarono un ago nel braccio, gli fecero bere un liquido sieroso e dolciastro. Prima di uscire, la più anziana gli batté una mano sulla spalla: “Bene, bene! Non è contento? Presto sarà tutto finito!”. Espressione ambigua, non poté impedirsi di borbottare fra sé l’Architetto. Che cosa esattamente sarà finito, io o il male? Ora era inchiodato al letto, immobilizzato da quell’ago, quel tubicino trasparente, quel recipiente floscio che gli pendeva sulla testa, lasciando passare gli alimenti indispensabili, una goccia per volta. Il suo spazio vitale si era ulteriormente ristretto, affidando alla vista, all’udito, talvolta all’olfatto il compito di controllare il mondo esterno. Non-luogo?, si ripeté l’Architetto. Sì, forse, almeno se si tiene conto della enigmaticità di questi spazi, del loro darsi all’esperienza in modo indecifrabile, non perché siano privi di una loro logica istitutiva, ma perché questa rimane per lo più ignota al malato. Forse sarebbe più esatto parlare di altro-luogo. In effetti, accade qui quel che succede in certi romanzi di fantascienza, quando per uno slittamento di piani spaziotemporali l’eroe si ritrova in un altro mondo, del tutto diverso dal suo e retto da leggi ignote. Ma nemmeno questo è sufficiente a descrivere la mia situazione attuale, pensò. Quello che mi accade ora è più esattamente una contrazione dello spazio, un restringersi dei suoi limiti, un improvviso accorciarsi di tutti i movimenti. Doveva essersi appisolato mentre era immerso in questi pensieri, perché di colpo si accorse che era calata la sera, i rumori s’erano attutiti, la luce sul suo letto brillava fioca, mentre quella del suo compagno di stanza era già spenta. A svegliarlo era stato probabilmente uno stimolo fisico. Devo andare in bagno, si disse. Ma non era così facile. Impacciato dalla flebo, dovette ingegnarsi a trovare un equilibrio con l’asta e l’ago infilato nel braccio, e cominciò a muoversi strisciando i piedi con una lentezza da vecchio, verso la porta. I pochi passi necessari per varcarla durarono un tempo incalcolabile, e quando si trovò nel corridoio pensò per un attimo che non sarebbe mai stato in grado di coprire la distanza, apparentemente infinita, fra lui e il bagno. La contrazione dello spazio, si ripeté sottovoce. Tutto il mondo mi si riduce a ciò che posso toccare allungando il braccio o mettendo con cautela un piede davanti all’altro. Anche la vista mi si è ristretta: non vedo al di là di questo pezzo di corridoio in penombra, sono cieco dinanzi a ciò che potrei sbirciare dagli spiragli degli usci socchiusi, riesco solo a vedere, a sentire, a percepire con tutto me stesso la porta sulla quale spicca – forse più nella memoria che nello sguardo – la figurina stilizzata dell’ometto che mi indica soavemente il gabinetto degli uomini. Al ritorno, di nuovo adagiato sul suo giaciglio metallico, l’Architetto si sentì esausto. La degenza in ospedale sovverte tutti i criteri dell’ergonomia, pensò scoraggiato. Ma subito il pensiero lo divertì. Avrebbe mai tenuto conto di questo problema nel suo lavoro di progettista? Da quanto riusciva a ricordare, la progettazione di un ospedale fa perno su un diagramma di funzioni tutte relative alle
procedure di diagnosi e d’intervento. Protagonista dell’architettura ospedaliera è il protocollo della cura, a proposito del quale si è a lungo discusso sulla scelta tra orizzontalità e verticalità delle strutture, sui criteri di comunicazione tra un reparto e l’altro, sui rapporti di lontananza o vicinanza stabiliti dalla concatenazione dei ruoli. Intorno a questa ossatura funzionale dell’edificio ospedaliero bisognava poi prevedere i sistemi nervosi delle apparecchiature di servizio e i delicati meccanismi dell’aspetto alberghiero della degenza. Tutte queste cose l’Architetto le ricordava perfettamente. Quello che però gli sfuggiva era la collocazione del malato all’interno di questo complesso sistema. Il malato è il soggetto o l’oggetto dell’istituzione ospedaliera? L’interrogativo lo strappò al sopore nel quale era caduto. Ragioniamo con calma, si disse, cercando di accomodarsi meglio sui cuscini. Queste idee non sono certo nuove. Ma fino a che punto sono state messe in pratica? Nei casi migliori, l’attenzione progettuale si è concentrata sulla malattia, prima ancora che sulla cura. Ciò vale soprattutto per gli ospedali specialistici – geriatrici, per esempio, o dedicati a un’omogenea famiglia di patologie. Anche in questo caso, però, il malato è rimasto ai margini delle intenzioni progettuali: a contare sono sempre state le caratteristiche, per così dire, morfologiche della malattia, non il loro incarnarsi in figure corpose, reali, vive. Il malato, in questo contesto, s’identifica con la sua infermità, diviene il Vecchio, il Diabetico, il Cardiopatico, e la sua fisionomia è disegnata dai caratteri propri del male. Si realizza anche qui, sull’estremo lembo dell’esistenza, quell’irrigidirsi della Vita in Forme sempre più astratte, che tanto assillò sociologi e filosofi dei primi del Novecento. Ma l’Architettura dovrebbe superare questa strozzatura della nostra società, si disse l’Architetto, avvertendo dentro di sé come una fitta d’orgoglio per quel lavoro che gli parve in quel momento destinato, invece, a trasformare le Forme in Vita, sia pure a partire dal loro rovescio negativo. Lo spazio del malato come paradigma progettuale dello spazio della cura: era questa la soluzione? Avesse avuto tra le mani un foglio e una matita, l’avrebbe disegnato anche subito, quello spazio, così come se lo sentiva premere tutt’intorno al suo corpo. Dovette invece accontentarsi di immaginarselo, di vedere sfilare davanti ai suoi occhi i tenui filamenti grafici d’un progetto sognato, inseguito sul filo di un’immaginazione che gli parve ricca di spunti, di innovazioni, di problemi agevolmente risolti. Ci pensava ancora mentre, poche ore dopo, lo portarono, disteso su una cigolante lettiga, in sala operatoria. E quando l’anestesia cominciò a fare effetto, vide distintamente davanti a sé la soluzione, il progetto definitivo, l’Opera inarrivabile, nella quale tutti gli aspetti del problema, il Male, il Corpo, la Cura, lo Spazio, la Funzione, si sarebbero fusi nell’armonia di un’unica figura architettonica. Devo ricordarmi tutto appena uscirò di qui, si disse. Poi si abbandonò fiducioso all’oblìo dell’anestetico, cullato dal lieve tintinnio di ferri e dal mormorio di quelle lontane presenze vestite di verde. Maurizio Vitta
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The Paradigm of the Hospital
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t all happened too quickly for him to realise what was going on. A regular check-up at his old doctor’s, the advice – we had better take a closer look! – of a scan specialist, the rather gloomy expression on his face when studying the science-fiction-like images, the decision to carry out some further tests and, in the end, within just a few days he had ended up in a hospital room in his pyjamas, together with a fat young boy with a shaven head who lay motionless, frowning and silent in the bed opposite his. For the time being the other two beds were empty. The Architect could not figure it out. Lying on that white, iron bed, so much higher than an ordinary bed, he stirred at the blank walls of his room, trying to focus on something different in that bare ascetic environment enclosed between sliding walls with a large window revealing the empty and faded skies, the minimal metal furnishing and all those tubes, switches, levers, stands and hooks behind his back. The few personal objects he had with him – a small bottle of mineral water, his glasses and a book he had not read on the bedside table, his suit peering out of the half-open wardrobe and the strange wide-brimmed hat hanging on the coat stand – reminded him of a different world, a different identity, which he struggled to relate to where he was now, which was suddenly so anonymous and incomprehensible. He felt changed, but he could not describe in words what was different. Of course his usual schedule was turned upside down as he was forced to give blood, undergo tests, be cleaned up, change his pattern of sleep and wakefulness, and eat tasteless meals in a hurry. But above all his body felt different, as if it had been forced into an unexpected space arranged along alien lines, channelled along dark and fragmented pathways, blindly guided by just a few fleeting clues – the carefully regimented signposting, the number on each room, the colour of the door. His body, which until just then he had almost ignored and which was now forcing him to listen to it, to follow even its tiniest flickers, beats or palpitations, found itself trapped in a space which it did not belong to, which no longer allowed it to let itself go with the flow of fully lived the life, but rather shaped it to the mould of illness, handicap and treatment. A body which now only really belonged to him in the negative sense of illness, accommodated in a space which, in turn, it could only belong to though its new role as somebody ill, an ironically Pirandellian figure. Hospital space is a non-place, so the Architect thought. But he immediately felt like laughing at such a very professional idea, which, above all, was so obvious and bland. After all, it was not even his idea: he had read it somewhere a book about “health care institutes”. And then just how accurate is it to talk about a “non-place”, at least in the most precise meaning of the word, in relation to a hospital? His thoughts were interrupted by two nurses coming in, both very busy and cheerful. You need to get ready for your operation, they said brightly. Stay in bed, do not eat anything, drink various concoctions, start the drip. They rearranged the pillows and sheets, stuck a
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needle in his arm and made him drink a bitter-sweet tasting syrupy liquid. Before leaving, the elder nurse patted him on the shoulder “Right then! Aren’t you happy? It will all be over soon!”. An ambiguous expression, so the architect thought to himself. Just what will be over, me or the illness? Now he was stuck in bed, unable to move because of the needle in his arm, the transparent tube and that floppy bag hanging above his head allowing those vital drugs to drip into his body. His living space had been made even smaller, so that he now relied on his sight, hearing and even his sense of smell sometimes, in order to control the outside world. So this is a non-place?, the Architect kept saying to himself. Yes, perhaps it is, at least if you take into account the enigmatic nature of these spaces and the way they lend themselves to experience in such an indecipherable way, not because they are lacking in their own basic logic but because this logic is unknown to the patient. Perhaps it would be more accurate to talk about an “other-place”. In fact what happens here is what happens in certain science fiction novels, when the hero finds himself in some different world due to a slip in the spatiotemporal planes, a world which is quite different from his own and governed by unknown laws. But not even this is enough to describe my present situation, so he thought. What is happening to me now is more like a contracting of space, a narrowing of its bounds, a sudden shortening of all my movements. He must have dozed off while he was lost in these thoughts, because he suddenly realised it was evening, everything had quietened down and the light above his bed was shining dimly, while his roommate’s had already been switched off. He was suddenly awoken by some physical stimulus. I have to go to the bathroom, he thought to himself. But that was no easy matter. With the drip hampering his movements, he struggled to gain his balance with the stand and a needle in his arm, so he began dragging his feet slowly across the floor like an old man as he headed towards the door. It took him an incalculable length of time to take those few steps out of his room, and when he found himself in the corridor he thought for a moment that he would never have managed to cover the apparently endless distance between him and the bathroom. Space is contracting, he muttered to himself. The entire world is being reduced to what I can touch by stretching out my arm or carefully placing one foot in front of the other. Even my sight has worsened: I cannot see beyond this short stretch of corridor in semidarkness, I am blind to everything I should be able to see through the half-open doors. I can only see, hear and feel (with all my being) the door on which there is – something I can remember it more than actually see it – a stylised figure of a man pointing suavely towards the men's toilet. Back lying on his metal bed, the Architect felt exhausted. Staying in a hospital upturns all the rules of ergonomics, he thought despondently. But then he was suddenly distracted by a thought. Had he ever taken this issue into account in his own design work? As far as he could remember, designing a hospital hinged around a diagram
of functions all connected with diagnosis and operating procedures. The key aspect of hospital architecture is the protocol of health care, in relation to which there had been lengthy debate about whether to opt for horizontality or verticality when designing their structures, about how the various wards are interconnected and the distance or nearness established by the concatenation of different roles. The building’s functional backbone is designed to hold in place the various nervous systems formed by the service structures and delicate workings of the accommodation side of the hospital. The Architect could remember all this perfectly. But what he just could not quite call to mind was how the patient fitted into this intricate system. Is the patient the subject or object of a hospital facility? The question woke him from his slumber. Let's think this over calmly, he said himself, as he tried to make himself comfortable on his pillows. These are certainly not new ideas. But to what extent have they actually been put into practice? In the best of cases, design has focused on the illness rather than its cure. This particularly applies to specialist hospitals - geriatric, for example, or those devoted to some set of pathologies. Here again, however, the patient is not really the focus of design: what counts have always been the morphological traits of the illness, in a manner of speaking, not the way they are actually physically embodied in real living entities. Within this context the patient identifies with his ailment, he becomes the Old Man, the Diabetic, the Heart Patient, and his physiognomy is designated by the characteristic traits of the illness. Even here on the very edge of existence, Life is set in increasingly abstract Forms, which have been plaguing sociologists and philosophers ever since the early20th century. But Architecture ought to be able to break free from this strangling of our society, so the Architect told himself, as he felt a twinge of pride inside his body about a job which, at that very instant, seemed destined to turn Forms into Life, even though it worked backwards from their negative side. The patient’s space as a design paradigm for health care space: was that the solution? If he had had a piece of paper and pencil in his hands, he would have designed that space straight away, just as he felt it pressing all around his body. But he had to just settle for a imagining it, envisaging the graphics of his dream project flicker before his eyes, tracing the thread of his imagination which seemed so full of input, new ideas and easily solved problems. He was still thinking about this when a few hours later they took him to the operating room lying on a squeaking trolley. And as the anaesthetic began to take its effect, he could clearly envisage the solution, a final project, the unattainable Work in which every aspect of the problem, the Illness, Body, Care, Space and Function melded smoothly into one single architectural design. I must remember all this when I get out of here, he said to himself. Then he let himself drift off into nowhere, gently rocked by the faint sound of surgical instruments and the murmur of those distant presences dressed in green. Maurizio Vitta
Prospetto ovest del futuro Ospedale Princesse Grace di Monaco che metterà a dispozione circa 480 letti su una superficie di circa 80.000 mq.
West elevation of the future Princes Grace of Monaco Hospital, which will have about 480 beds over an area of approximately 80,000 square metres.
;=FLJ= @GKHAL9DA=J HJAF;=KK= ?J9;= EGF9;G Vasconi Associés et Patrick Raymond
C Credits Project: Vasconi Associés/Claude Vasconi + Patrick Raymond Technical Studies: Ingerop, Iosis Client: Principauté de Monaco
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ontinuano i grandi progetti che vedranno Monaco nei prossimi anni affermarsi come un luogo di eccellenza per l’architettura e l’urbanistica internazionale. Dopo la presentazione nel marzo scorso al Principe Alberto II degli cinque interventi finalisti per l’urbanizzazione sul mare (l’Arca International 82) ecco che un altro importante progetto è stato aggiudicato nell’aprile scorso. Si tratta del nuovo ospedale di Monaco, una struttura dal concetto innovativo destinata a divenire un polo di riferimento a livello internazionale nel campo della salute. Un concorso in due fasi lanciato nel 2006 ha visto una prima selezione di 5 équipe e una tappa successiva con la scelta di due progetti finalisti. Il raggruppamento formato da OTH Ingénierie/Vasconi Associés/ Patrick Raymond, Ingerop si è aggiudicato il primo premio in competizione con quello di Jean-Philippe Pargade/Gabriel Viora/Tech-
nip Tps/SIRR Ingénierie. La proposta di Vasconi (Parigi) e Raymond (Monaco) si concentra su due elementi fondamentali, la qualità dei servizi offerti al paziente, sia a livello di accoglienza e confort degli spazi, sia di efficienza delle cure mediche, e l’inserimento nel contesto monegasco con l’intento di esaltarne le caratteristiche paesaggistiche. L’edificio si configura come una preziosa onda vetrata incastonata nel rocher in posizione dominante. La particolarità e l’unicità del paesaggio monegasco e le difficoltà imposte dalla limitatezza del territorio edificabile sono confluiti in un progetto che si appropria del luogo, ne assorbe le peculiarità e le traduce in un’architettura che utilizza lo stesso vocabolario della natura che lo ospita. E’ un edificio che rende omaggio al suo intorno e lo arricchisce di un nuovo segno, portatore di una raffinata contemporaneità. Il complesso, inserito nella zona ovest di Monaco in posizione
dominante tra rue Pasteur alta e bassa, si compone di due entità distribuite a partire dal livello 0. Un corpo di base che raggruppa gli otto piani inferiori dove sono riunite le parti logistiche medicali e delle degenze, i reparti di dialisi e i parcheggi, 1.100 posti auto, nella parte nord. E’ questo un edificio trattato come un blocco minerale in pietra, rivestito di vegetazione che si cala con discrezione nel contesto paesaggistico attenuandone l’impatto e ponendosi a ideale continuazione delle terrazze a verde sottostanti. Altro registro espressivo per la parte in elevazione declinata all’insegna del movimento e della trasparenza e che sembra abbracciare con un gesto morbido e solare le suggestioni della baia di Monaco. Dal livello 0, che ospita la Galleria pubblica e il belvedere orientato a sud, i progettisti hanno disegnato un volume ondivago completamente vetrato che riunisce le camere dei pazienti, tutte dotate di una loggia proiettata sul mare e la città sottostante. Le diverse unità
(medicina, chirurgia, ginecologia, psichiatria) sono collegate agli studi medici e ai blocchi tecnici, concentrati a nord, con capienti ascensori. Il livello 0 o di riferimento, è invece trattato come una vero e proprio belvedere pubblico servito da una caffetteria e pensato come un luogo aperto e conviviale dove poter ricavarsi un angolo di serenità godendo della piacevolezza del panorama naturale. La struttura, che occuperà una superficie di 80.000 metri quadrati e disporrà di una capienza di 482 letti, adotta rigorosi criteri di edilizia sostenibile con una particolare attenzione al contenimento degli sprechi di energia e al ricorso a tecnologie a impatto 0. Il programma dei lavori prevede per il 2010 l’avvio delle operazioni preparatorie, entro il 2013 l’ultimazione del 100% delle unità di medicina, chirurgia e settori logistici. Le diverse fasi di concluderanno nell’arco di un po’ più di dieci anni per un costo complessivo valutato intorno ai 630 milioni di euro. Elena Cardani 240 l’ARCA 7
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Nella pagina a fianco, rendering del progetto e planimetria generale. La struttura, i cui lavori iniziaranno nel 2010, è inserita in posizione sopraelevata con vista panoramica sulla baia e sul Principato. In basso, pianta del piano tipo.
Opposite page, rendering of the project and site plan. The structure, on which work will begin in 2010, is in a raised position offering a panoramic view across the Principality’s bay. Bottom, plan of a standard floor.
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he major projects, which will make Monaco one of the most striking locations of international architecture and town-planning over coming years, are continuing. After the five finalist projects in a competition to urbanise the seafront were presented to Prince Alberto 2nd last March (l’Arca International 82), another important project was awarded last April. The project is for a new hospital in Monaco, an innovatively designed facility which will become an international benchmark in the field of health care. The competition, which was organised in two stages and launched in 2006, involved the initial selection of five teams and then a further selection of two finalist projects. The team formed by OTH Ingénierie/Vasconi Associés/ Patrick Raymond, Ingerop won first prize in the competition with Jean-Philippe Pargade/Gabriel Viora/Technip Tps/SIRR ingenerie. The design by Vasconi (Paris) and Raymond (Monaco) focuses on two key features, the quality of patient services in terms of accommodation, comfort and the efficiency of medical care, and the way the project fits into the Monaco landscape with a view to enhancing the characteristics of its setting. The building looks like a precious glass wave set dominantly in the rocks. The peculiarities and uniqueness of the Monaco landscape, and the difficulties posed by the small amount of buildable land available, were catered for in a project which takes possession of its location, absorbing its distinctive traits and translating them into a work of architecture drawing on the same vocabulary as the natural setting in which it is accommodated. The building pays tribute to its surroundings and enhances them by introducing a new landmark of elegant cutting-edge topicality. The centre, set in the west of Monaco in a dominant position
between upper and lower Rue Pasteur, is constructed out of two entities set out starting from level 0. A base construction groups together the eight lower levels containing the medical-logistical parts and patient wards, dialysis departments and parking facilities, 1100 spaces for cars in the north section. The building is actually treated like a stone block clad with vegetation, which slots neatly and discreetly into its surroundings, reducing the impact to a minimum and acting as an ideal continuation of the landscaped terraces below. The elevation section is designed along quite different lines in the name of motion and transparency, actually appearing to gently embrace striking Monaco Bay. From level 0, where the public gallery and south-facing observation deck are located, the designers have created an all-glass wave-shaped structure holding the patient rooms, all equipped with their own loggia looking out to sea and the city below. The various units (medicine, surgery, gynaecology, psychiatry) are connected to the medical studios and technical blocks (all located to the north) by means of spacious lifts. Level 0 (or the reference level) is, on the other hand, treated like a public observation deck served by a cafeteria and designed to be an open and convivial place, where you can find a quiet corner to enjoy this delightful natural setting. The structure, which covers an area of 80,000 square metres and has a total of 482 beds, is carefully constructed along sustainable building guidelines, notably focusing on saving energy and using zero impact technology. The works programme stipulates that preparatory operations will begin in 2010 and 100% of the medical, surgery and logistical units will be completed by 2013. The various building stages will be completed in about 10 years at an overall cost estimated at around 630 million Euro. Elena Cardani
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Sezione trasversale e modello. L’edificio è composto da due corpi principali che si sviluppano in elevazione e verso il basso, a partire dal livello terreno. Il corpo di base raggruppa i reparti medicali, delle
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degenze, logistici e i parcheggi. Quello superiore le camere dei pazienti.
Cross section and model. The building is composed of two main sections, which extend upwards and downwards starting
from ground level. The base construction contains the medical premises, patient facilities, logistics and car parks. The top section is devoted to patient care.
La sagoma ondivaga della parte in elevazione calata nel paesaggio monegasco. Sotto, la terrazza belvedere del livello zero proietatta sul mare è pensata come un vero e proprio spazio pubblico, dove
sono organzzati gli spazi d’ingresso e la caffetteria.
The wave-shaped design of the elevation section set in the Monaco landscape. Below, the observation deck at
level zero projecting across the sea is designed like an authentic public space holding the entrance and cafeteria spaces.
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FMGNG GKH=<9D= <A E=KLJ= N=F=RA9! Studio Altieri, Emilio Ambasz
I
l progetto del nuovo ospedale si compone di due elementi principali: la Piastra tecnica, costituita da due livelli fuori terra e uno interrato, e l’Edificio delle degenze che si eleva per sei piani sopra di essa. Nella Piastra tecnica sono localizzate, al piano interrato, le aree tecnologiche e gli spogliatoi del personale, al piano terra i servizi di diagnosi e cura e, al primo piano, le aree destinate all'accoglienza dei visitatori. Parte della rilevante volumetria risulta completamente nascosta: la Piastra è ricoperta dal verde così da porsi come nuovo piano di fondazione per il corpo delle Degenze. Elemento caratterizzante del nuovo complesso è la hall con la grande vetrata, alta quanto l’edificio, che si sviluppa per tutta la lunghezza del corpo di fabbrica e che dà vita, al piano terra, a un ampio e luminoso atrio su cui si attestano tutti i servizi e gli spazi di relazione. L’ospedale è disposto con l'asse longitudinale sull'orientamento sud ovest – nord est ed è costruito con un progressivo sfalsamento dei piani di degenza di 2.50 metri verso sud est: questo consente, nella facciata a nord est, di creare dei terrazzamenti a giardino che aumentano la qualità dello spazio di pertinenza delle
singole stanze e nel prospetto verso sud ovest di diminuire l’effetto dovuto all’irraggiamento solare, grazie alla zona d’ombra creata dall'aggetto dei piani. L’elemento che mette in relazione la Piastra con le Degenze è l’ampio e luminoso atrio. La grande vetrata ha anche il ruolo di migliorare il comfort ambientale per le camere di degenza esposte a sud ovest ponendosi come filtro al rumore prodotto dalla linea ferroviaria. L’area dell’ospedale appare come un parco con due grandi specchi d'acqua che, oltre a svolgere importanti funzioni quale riserva in caso di incendio e regolazione idraulica, contribuiscono a migliorare l’effetto paesaggistico e a dare l'impressione di un’oasi naturale. Il prato riveste ogni costruzione, sale fino a coprire i parcheggi, il sistema tecnologico ed economico e la Piastra, per “arrampicarsi” infine lungo il sistema a scalare dell’edificio, avvolgendolo completamente. La nuova costruzione si propone come una sorta di barriera verde allo sviluppo urbano: lo slogan progettuale del nuovo Ospedale di Mestre potrebbe così essere: “si restituisce al paesaggio il verde che gli viene tolto”.
T
he new hospital project features two main elements: the technical platform with two levels above ground and one underground, and the hospital building, which looms up six storeys above it. The underground level of the technical platform holds the technological areas and staff locker rooms, while the ground floor level accommodates the diagnosis and treatment facilities, and the first floor contains the reception areas for visitors. Part of this notable structural design is completely concealed: the platform is landscaped with greenery so that it looks like a new foundation level of the main hospital facility. The most distinctive feature of the new complex is the hall with its large glass partition as tall as the building itself, which runs right along the entire length of the construction and, on the ground floor, leads through to a spacious and brightly-lit lobby where all the services and relational spaces are located. The hospital is set along the longitudinal axis running in a southwest-northeast direction and is constructed around a gradual 2.50-metre staggering of levels towards the southeast: this allows garden terraces to be created in
the northeast facade, which enhance the quality of the space in the various individual rooms and reduce the effects of solar radiation in the southwest facing elevation, thanks mainly to a shaded area created by the overhanging levels. The spacious and bright hall brings together the platform and hospital facility. The large glass partition also serves to make the hospital rooms exposed to the southwest more comfortable, acting as a filter from noise coming from the railway line. The hospital area looks like a park with two large pools of water, which, in addition to serving important purposes such as providing a reservoir of water in case of fire or for nourishing the water supply, also helps enhance the landscape and create the impression of a natural oasis. Lawns cover all the buildings, even the car parks, technological and economic system and the platform, eventually "climbing up" along the graded building to envelop it completely. The new construction acts as a sort of “green” barrier against urban development: the design slogan for new Mestre Hospital might be: “the landscape is given back the greenery which has been taken from it.”
Nella pagina di apertura, schizzo preliminare di progetto. In basso, schema del telaio strutturale tipo in acciaio. A fianco, piante del piano seminterrato e del livello +3.18 dellâ&#x20AC;&#x2122;edificio triangolare, collocato a sud-ovest dellâ&#x20AC;&#x2122;edificio principale, che ospita la Banca degli Occhi; a destra, piante dei livelli +7,18 e +11,18.
Opening page, preliminary project sketch. Bottom, diagram of the standard steel structural frame. Opposite, plans of the +3.18 semiunderground level of the triangular building set to the south-west of the main building, which holds the Eyes Bank; right, plans of levels +7.18 and +11.18.
14 lâ&#x20AC;&#x2122;ARCA 240
Sezione trasversale dellâ&#x20AC;&#x2122;edificio principale e planimetria generale.
Cross section of the main building and site plan.
240 lâ&#x20AC;&#x2122;ARCA 15
The Eyes Bank, holding the headquarters of Eidon, a cutting-edge oculist research and training centre, a 450-seat auditorium, administration offices, laboratories and a research and experimentation centre for developing surgical applications of stamina cells. Opposite page, general views of the main building, set along the southwestnorthwest longitudinal axis and featuring a gradual staggering of the various levels towards the southeast at 2.50 m intervals. This allows terraces to be created in the northeast facade to enhance the quality of the various wards and, in the southwest elevation, notably reduces glinting due to sunlight thanks to the shaded area created by the overhangs.
16 l’ARCA 240
Giulia Andreotti
La Banca degli Occhi ospita la sede dell’Eidon, un centro avanzato di formazione e ricerca oculistica, un auditorium da 450 posti, uffici amministrativi, i laboratori e un centro di ricerca e sperimentazione per lo sviluppo di applicazioni chirurgiche di colture di cellule staminali. Nella pagina a fianco, viste generali dell’edificio principale, orientato lungo l’asse longitudinale sudovest-nordest e connotato da un progressivo sfaldamento dei piani di 2.50 m l’uno rispetto all’altro verso sudest. Questo consente, nella facciata nordest, di creare dei terrazzamenti che aumentano la qualità dello spazio di pertinenza delle singole degenze e, nel prospetto sudovest, permette di diminuire notevolmente l’effetto dovuto all’irraggiamento solare grazie alla zona d’ombra determinata dagli aggetti.
240 l’ARCA 17
Dal basso, piante del piano terra e del primo piano.
From bottom, plans of the ground and first floors.
18 lâ&#x20AC;&#x2122;ARCA 240
Dal basso, piante delle quote +16.48, +20.20, +23.92 e +27.64, particolari costruttivi della facciata attiva sud e particolari delle facciate.
From bottom, plans of levels+16.48, +20.20, +23.92 e +27.64, construction details of the active south facade and details of the facades.
240 lâ&#x20AC;&#x2122;ARCA 19
20 l’ARCA 240
La grande copertura vetrata che protegge i due livelli dellâ&#x20AC;&#x2122;atrio è stata concepita per migliorare il confort ambientale interno e per ridurre gli effetti acustici della vicina linea ferroviaria.
The large glass roof covering the two lobby levels is designed to make the interior environment more comfortable and reduce noise from the nearby railway line.
240 lâ&#x20AC;&#x2122;ARCA 21
Sezione trasversale e particolare di una pianta tipo delle Degenze. Il nuovo polo ospedaliero è organizzato secondo uno schema consolidato che prevede una Piastra tecnica e l’Area di degenza. La Piastra si sviluppa su tre piani, di cui uno interrato. Nella pagina a fianco, in alto, particolare di una delle aree di degenza e, sotto, viste degli studi. Il Nuovo Ospedale di Mestre ha un totale di 680 posti letto.
22 l’ARCA 240
Cross section and detail of a standard plan of the various wards. The new hospital facility is designed along well-established lines, featuring a technical platform and wards area. The platform is constructive over three levels, including one underground. Opposite page, top, detail of one of the wards and, below, views of the studies. New Mestre Hospital has a total of 680 beds.
Credits Project: Studio Altieri-Alberto Altieri, Emilio Ambasz (artistic consultant) Collaborators: Lucas Fornari, Luca Cerutti, Giulio Altieri, Valentina Altieri, Alessandro Melotto, Francesco Viero, Chiara Urso, Giulia Andreotti A.T.I. for Project and Construction: C.O.MES. scrl Costruzione nuovo Ospedale di Mestre Società Consortile a Responsabilità Limitata among: Astaldi (mandatary), Ing. E. Mantovani (building company), Mattioli
Mechanical Plants: Cofathec Progetti (project): STEAM (consultants) Electrical Plants: Gemmo Impianti (project), TIFS (consultants) Consultants: Prof. Vitaliani, TIFS Façade System (glass sail): Teleya Frameworks (patients area facades): Permasteelisa Lighting: Disano Flooring: Marazzi Lifts: Schindler Climatisation: Cofatech Electrical Plants: Gemmo Impianti
240 l’ARCA 23
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N
el vasto programma di riqualificazione del Policlinico Ca’ Granda ora Fondazione Policlinico Mangiagalli Regina Elena, l’intervento previsto di demolizione e ricostruzione del Padiglione Monteggia (padiglione dedicato alle neuroscienze), in via Francesco Sforza 35 a Milano, assume un ruolo fondamentale sia perché permette un primo riassetto di alcune funzioni specialistiche, sia perché si qualifica come il primo importante intervento di “sostituzione” che prelude a una più vasta strategia di trasformazione urbana dove nuove connessioni estese, nuove modalità di fruizione degli spazi pubblici e rinnovati rapporti con il contesto urbano di margine trasformano e reintegrano la città. La necessità di conformare, sulla medesima impronta dell’esistente padiglione, una nuova e contemporanea architettura, in grado di proporsi sulla scena del futuro quartiere sanitario di Milano, è stata stimolo per una attenta e delicata ricerca nel definire i due aspetti connotanti l’architettura: una presenza di austera leggerezza del fronte pubbico attraverso “piccoli movimenti” del rivestimento in cotto, manifesto della commoditas contenuta, e un “discreto ristoro”, determinato dal piccolo chiostro verde, conchiuso dallo slancio di un giardino verticale al tempo stesso fronte privato (contrapposto, ma non antagonista, al fronte pubblico) e gradevole vista d’affaccio, che muta con il passare delle stagioni in una ricca variazione cromatica e paesaggistica. Così come indicato dalla committenza, la struttura è in grado di rispondere in modo completo ai bisogni di ricovero (nelle sue varie modalità e livelli di intensità assistenziali) e di prestazioni specialistiche ambulatoriali per pazienti afferenti prevalentemente alle discipline delle Neuroscienze. Nel nuovo edificio, che si sviluppa su otto livelli, sono quindi
24 l’ARCA 240
previste e realizzate le seguenti aree funzionali ciascuna delle quali occupa uno o più piani: Blocchi operatori e radiologia interventistica; Servizi speciali di diagnosi e cura, diagnostiche per immagini, ambulatori, laboratori; Formazione e didattica; Degenze ordinarie, diurne e di terapia intensiva. L’ubicazione delle suddette funzioni ai vari livelli è coerente con la logica di garantire maggiore tranquillità e riservatezza alle funzioni prettamente sanitarie e tra queste a quelle con un minor flusso di utenza, e una più facile accessibilità alle funzioni cosiddette pubbliche o semipubbliche come la formazione e la didattica. In base a questi criteri tutte le degenze (sia speciali che ordinarie) sono ubicate agli ultimi quattro livelli (2, 3, 4, 5), il comparto operatorio e la diagnostica per immagini ai livelli più bassi (-2, -1) e infine le funzioni con maggior flusso di utenza (ambulatori, formazione e didattica) ai piani terra e primo. Il progetto individua in ogni modulo un’area di accesso che comprende la reception, il soggiorno e l’attesa parenti con annessi servizi igienici; un’area lavoro del personale che comprende il lavoro infermieristico e spazi per il lavoro medico; un’area operativa rappresentata dalle camere di degenza, dal soggiorno e dalle medicherie; un’area dei servizi che comprende i depositi, il bagno assistito e gli spogliatoi per il personale. La sintesi antinomica, l’uno in sé diverso, il pubblico e il privato, il manifesto e il nascosto, la statica dinamicità e il mutevole iperstatico… tante sono le suggestioni che questo edificio bifronte suggerisce nel suo apparire sulla scena urbana; ciò che non appare, invece, è la sua natura profonda: sintesi storica e materica degli aspetti locali (utilizzo del cotto), applicazione tecnologica avanzata (montaggio a secco) rispondente alle necessità contemporanee, tensione allo stupore e alla meraviglia.
Groupe 6 architectes, Studio Rame Architetture, EET Cobolli Gigli e Monico, Lenzi Consultant, RO TRE, HC Hospital Consulting
T
he demolition and reconstruction of the Monteggia Pavilion (serving neuroscience purposes) at no. 35, Via Francesco Sforza in Milan is a key part of the overall programme to redevelop Ca’ Granda Polyclinic (now known as the Fondazione Policlinico Mangiagalli Regina Elena), both because it allows certain specialist functions to be provisionally reorganised and also because it is the first major “substitution” project as a prelude to a more extensive strategy of urban redevelopment, which will transform and integrate the city through new extensive links, new means of using public spaces and revamped relations with the urban landscape. The need to adapt a new cutting-edge architectural design to the old pavilion, capable of making its mark on Milan’s future health district, guided carefully balanced and delicate experimentation into designing the architecture’s two most distinctive aspects: an austerely light public front based on “tiny movements” in the brick cladding, a manifesto of carefully constrained commoditas, and the “discrete restoration” deriving from the small green cloister enveloped by a thrusting vertical garden providing both a private side (counterbalancing but not conflicting with the public side) and also a pleasant facade design changing with the seasons. As the clients specified, the structure can fully cater for all hospitalisation (in various ways and according to care requirements) and specialist clinical needs of patients using the neuroscience facilities. The new eight-storey building will be equipped with the following functional areas, each taking up one or more floors: surgical and radiology blocks; special diagnosis and treatment services (imaging diagnosis, wards, labs); training and teaching facilities;
ordinary wards, day clinics and intensive care units. The location of the aforementioned functions on various levels is geared to providing more peace and quiet and privacy for the health care facilities and easier access to the so-called public and semi-public services, such as training and teaching. Based on these guidelines, all the beds (for special and ordinary patients) are located on the top four levels (2, 3, 4, 5), the surgical ward and imaging-diagnostic ward are on the lower levels (-2, -1) and, finally, the busiest departments (clinics, training and teaching) on the ground and first floors. The project gives each unit an entrance zone encompassing the reception, lounge and waiting room for relatives with adjoining restrooms; a work area for staff including spaces for medical work and nursing; an area with beds for patients, a lounge and outpatients facilities; a services area including storerooms, specially equipped bathroom and staff locker rooms. Antinomic synthesis, public and private, visible and concealed, static and dynamic, and ever-changing hyperstatics... all this is evoked by this two-fronted building as it appears on the cityscape; what cannot be seen, on the other hand, is its deepest nature: a synthesis in terms of materials and history of local aspects (use of brick), cutting-edge technology (dry assembly) geared to all the latest requirements, and a desire to startle and surprise. Nella pagina a fianco, fotomontaggio di una vista aerea dell’area milanese con l’inserimento del nuovo Padiglione Monteggia.
Sopra, particolare della facciata ondulata in cotto.
Opposite page, photo-montage of an
aerial view of Milan showing the new Monteggia Pavilion. Above, detail of the undulating brick facade.
Credits Project: Groupe 6 architectes (team leader: Olivier Felix Faure), Studio Rame Architetture (Giovanni Cucini), EET Cobolli Gigli e Monico (Stefano Cobolli Gigli, Riccardo Monico, Sergio Cobolli Gigli, Giorgio Monico), Lenzi Consultant (Braccio Oddi Baglioni), RO TRE (Francesco Catalfamo), HC Hospital Consulting (Marco Della Tommasina) Collaborators: Davide Brembilla (Studio Rame Architetture); Luigi Brognoli (EET); Marcella Fedele, Laura Grimaldi, Silvio D’Amico (Lenzi Consultant); Fabrizio Gastoldi (RO TRE); Luca Sani, Paolo Bigianti, Massimiliano Landini (HC Hospital Consulting) Consultants: Andrea Bianchi, Salvatore Malfa, Giorgio Roscio General Contractor: Consorzio di Cooperative di Costruzioni di Bologna, Cooperativa di Costruzioni Lavoranti Muratori di Milano, Cooperativa di Costruzioni di Modena in A.T.I. con Siram (technical works manager: Pasquale Pio Ferrara) Metal Works: Aliva, Map Carpenteria Facade Systems: Aliva, Cotto Impruneta Glasses: Isocristal Frameworks: GEC.AL, Gastaldello Sistemi, Schüco Shading: Pellini Mural Painting: Gruppo Ivas Lighting Systems: Philips Internal Floors: Tarkett, Forbo, Marazzi, Ceramica Vogue Quality Wall Cladding: Braendli&C. Partition Walls: Knauf, BPB Interior Doors: Tecnic’al Lifts: Thyssen Krupp Elevator Climatisation: Siram, CGI-CLIMA Electrical Plants: I.T.I. Impianti Furniture Systems: Walco Roofing: Map Carpenteria (sandwich panel Eurocopre Unimetal) Water- and Soundproofing: Drytech (white tank system), Derbit (waterproofing covering) Person in charge of all the Process for the Fondazione I.R.C.C.S.: Santo De Stefano Client: Fondazione I.R.C.C.S. (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico di natura pubblica) Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e Regina Elena di Milano
240 l’ARCA 25
Dal basso, piante del secondo e del primo piano seminterrato. Il livello -2 è occupato dalla diagnostica per immagini ed è strutturato secondo un impianto che rispetta requisiti spaziali ed organizzativi di ottimo livello. Questa diagnostica raggruppa tutte le funzioni della radiologia con due RMN, due TAC, una angiografia monoplanare, una angiografia biplanare. Al livello -1 è ubicato il comparto operatorio, quindi in una zona protetta da interferenze esterne e comunque facilmente comunicante con collegamenti rapidi e dedicati alle terapie intensive ubicate al livello secondo e contigua alla centrale di sterilizzazione. Lo schema adottato è quello a doppio corridoio che ottimizza i percorsi dei materiali e quelli dei pazienti e dei medici. Allo stesso livello è presente anche una RM interventistica. Nella pagina a fianco, particolare della congiunzione delle due diverse porzioni di facciata, che esprimono il dialogo tra storia, tradizione e rinnovamento tecnologico.
26 l’ARCA 240
From bottom, plans of the second and first underground floors. Level -2 accommodates the diagnostics by imaging department and is set out to conform to spatial and organisational requirements of the highest standard. The diagnostics department groups together all the various radiology functions, including two RMNs, two TACS, a mono-planar angiograph and bi-planar angiograph. Level -1 holds the operating unit and is therefore a special area sheltered from any outside interferences, providing quick and dedicated links to the intensive care units situated on the second level and set alongside the sterilisation unit. The layout is based on two corridors optimising the movements of materials, patients and doctors. There is also an operating RM on the same level. Opposite page, detail of how the two sections of facade are joined to express interaction between history, tradition and technological renewal.
240 l’ARCA 27
Dal basso, piante del piano terra e del primo piano. Il piano terra accoglie attività specialistiche ambulatoriali ed è dotato di venti ambulatori e dei necessari locali di supporto. Di facile accesso l’area prevede, in prossimità dell’ingresso, una ampia zona dove sono collocati la reception con il punto informazioni da dove i pazienti vengono indirizzati in due distinte aree di attesa. Il primo piano è totalmente assegnato alla formazione e alla didattica. A questo piano si trovano le due aule per la formazione specialistica, con una capienza di circa 60 posti, e gli studi medici, alcuni dei quali appositamente attrezzati per favorire lo scambio di informazioni e l'interdisciplinarietà. Il settore dedicato alle aule, situato in zona baricentrica, ha una struttura a emiciclo e un ottimo livello di accessibilità dovuto ai due ingressi che si affacciano sul punto di arrivo delle scale e dei due ascensori. A questo livello è ubicata anche la biblioteca.
From bottom, plans of the ground and first floors. The ground floor caters for specialist day hospital operations and is equipped with twenty clinics and support rooms. This easily accessible area has a spacious zone near the entrance where the reception is located, complete with an information point from where patients are sent off to two separate waiting areas. The first floor is entirely devoted to training and teaching. This floor has two specialist training rooms with seating for approximately 60 and medical studios, some of which are specially equipped to foster the exchange of information and interdisciplinary activities. The area devoted to the teaching facilities, right in the middle of this zone, has a hemicyclic structure and is very easy to access thanks to its two entrances, which are located right by two lifts and stairways. This level also holds the library.
28 l’ARCA 240
Dal basso, piante del secondo e del terzo piano. Il secondo piano è interamente dedicato alle Terapie intensive con nove posti letto (di cui uno per isolamento) e la stroke-unit con otto posti letto. Ai piani tre, quattro e cinque sono ubicate le degenze ordinarie e di day hospital. L’area delle degenze è organizzata con un layout a corpo triplo, schema che garantisce illuminazione e aerazione naturale sia alle stanze che ai locali di supporto infermieristico. Complessivamente ogni piano può ospitare fino a 30 posti letto.
From bottom, plans of the second and third floors. The second floor is entirely devoted to intensive therapy with nine beds s(one in isolation) and the stroke unit with eight beds. The third, fourth and fifth floors hold the regular patients’ beds and day hospital. This area has a triple-sectioned layout to provide natural lighting and airing to both the patients’ rooms and nurses’ support facilities. Overall, each level can accommodate up to 30 beds.
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Particolari della facciata caratterizzata da un dinamico sviluppo a onda, il cui “movimento” è ulteriormente scandito dalle vibrazioni visive determinate dal rivestimento di leggere lamelle in terracotta montate a secco.
Details of facade with its dynamic wave-shaped design, whose “motion” is further enhanced by visual vibrations coming from the light dry-assembled terracotta cladding
240 l’ARCA 31
Viste generali della facciata esterna e di quella sulla corte giardino interna del Padiglione Monteggia. Nella pagina a fianco, viste degli spazi interni. Il nuovo edificio si sviluppa su otto livelli in cui sono organizzate le seguenti aree funzionali ciascuna delle quali occupa uno o più piani: blocchi operatori e radiologia interventistica; servizi speciali di diagnosi e cura, diagnostiche per immagini, ambulatori, laboratori; formazione e didattica degenze ordinarie, diurne e di terapia intensiva Il progetto individua in ogni modulo un’area di accesso che comprende la reception, il soggiorno e l’attesa parenti con annessi servizi igienici; un’area lavoro del personale che comprende il lavoro infermieristico e spazi per il lavoro medico; un’area operativa rappresentata dalle camere di degenza, dal soggiorno e dalle medicherie; un’area dei servizi che comprende i depositi, il bagno assistito e gli spogliatoi per il personale.
32 l’ARCA 240
General views of the facade and facade looking onto the internal garden of Monteggia Pavilion, and sviews of the interiors. The new building is constructed over eight levels accommodating the
following functional areas, each of which takes up one or two levels: operating and radiology blocks; special diagnosis and care services, diagnosis by imaging, clinics, laboratories; training and teaching
facilities, day hospital units and intensive care units. Each module of the project contains an access area including the reception, lounge and relativesâ&#x20AC;&#x2122; waiting area with adjoining restrooms; a staff work area
including nursing services and spaces for medical work; an area incorporating the patientsâ&#x20AC;&#x2122; rooms, lounge area and treatment rooms; the services area including storerooms, a special bathroom where special
assistance can be provided and staff locker rooms.
240 lâ&#x20AC;&#x2122;ARCA 33
GKH=<9D= ;GEHJ=FKGJA9D= <A ?M::AG = ?M9D<G L9<AFG :J9F;9 H=JM?A9! Lamberto Rossi
L
a nuova struttura ospedaliera nasce grazie all’iniziativa di Regione Umbria e di INAIL. Il complesso sorge presso l’antica pieve dedicata alla Madonna del Granello. Il programma progettuale tiene conte delle direttive messe a punto, dall’allora Ministro della Salute, Umberto Veronesi e da Renzo Piano, in veste di Ambasciatore Unesco per le Aree Urbane e coordinata, per la parte architettonica, da Lamberto Rossi. Mission del nuovo ospedale è offrire una complessa macchina per la salute dei cittadini, ma anche assicurare, oltre a cure mediche efficaci, confort ai pazienti. Il sito è ubicato in un luogo di notevole suggestione ambientale, in leggero declivio e occupa un’area in prossimità della superstrada Perugia-Ancona. La struttura ospedaliera è localizzata nella parte centrale dell’area ed è costituita da una sequenza compatta di gradoni che vede in successione, da monte verso valle, quattro blocchi di tre piani: il corpo delle degenze e degli ambulatori, un elemento di cerniera; un secondo corpo centrale e un terzo corpo – la vera e propria piastra tecnica – con due ali laterali autonome. L’edificio è concepito come una struttura a prevalente sviluppo orizzontale, di altezza contenuta (sempre massimo tre piani fuori terra), fortemente integrata nel paesaggio con una particolare attenzione all’eco-compatibilità e alla sostenibilità. La pendenza del terreno consente di realizzare un andamento a gradoni “verdi” che grazie ai tetti-giardino e ai patii interni piantumati con essenze aromatiche come salvia, rosmarino, origano, lavanda ecc. evocanti l’immagine storica dei giardini pensili eugubini; si integra nel delicato contesto ambientale. Una volta sviluppatasi la vegetazione, vista dall’alto, l’area dell’ospedale apparirà quasi completamente verde. A ovest del complesso sono situate le centrali tecnologiche. La salvaguardia dei valori paesaggistici della zona è uno fra gli obiettivi prioritari del progetto. Trattandosi di un intervento di notevole dimensione, l’obiettivo è di ricostruire con attenzione il paesaggio a contorno dell’edificio, rendendolo coerente con la morfologia del sito. L’edificio a gradoni è posizionato nel senso della massima pendenza del terreno e, insieme alle sistemazioni esterne – aree a parcheggio e verde – riprende l’orientamento geografico dominante verso la piana antistante, mitigandone l’impatto volumetrico. A nord dell’area e della statale, su uno spalto rialzato, è situata la pieve che determina l’asse centrale di impianto del nuovo complesso.
T
he new hospital structure was built through the sponsorship of the Umbria Regional Council and INAIL. The complex stands near the old Parish Church devoted to the “Madonna del Granello”. The design brief takes into account the directives coming from the former Minister of Health, Umberto Veronesi, and Renzo Piano in his role as UNESCO Ambassador for Urban Areas; the architectural part was co-ordinated by Lamberto Rossi. The new hospital’s mission is to provide a complex health machine serving the local community, but also ensuring the patients are comfortable as well as receiving effective medical care. The site is located in an environmentally striking location, a gently downward sloping area near the Perugia-Ancona highway. The hospital facility is set in the central part of the area and composed of a complex sequence of steps forming four three-storey blocks running downhill: the hospital-recovery facility and clinics, a hinging element, a second central section and a third section – the technical platform proper – with two separate lateral wings. The building is designed along mainly horizontal lines and is not very high (a maximum of three storeys above ground level); it is tightly knit into the countryside through special attention to ecocompatibility and sustainability. The slope of the land allows the construction work to follow a pattern of “green” steps, which, thanks to the garden-roofs and internal patios landscaped with herbs like sage, rosemary, oregano, lavender etc., evoke the historical image of hanging gardens in the Gubbio district; everything fits into the delicate environmental setting. Once the vegetation has grown, the hospital area will appear to be almost completely green when viewed from above. The technological units are situated to the west of the complex. Safeguarding the area’s landscape features is one of the project’s main priorities. Since this is big project, the aim is to carefully reconstruct the landscape around the building, so that it fits in with the morphology of the site. The stepped building is positioned along the steepest slope in the ground and, together with the outside furbishing – car park areas and greenery – follows the main geographical axis over by the opposing plain, in order to mitigate structural impact. To the north of the site location and highway, the Parish Church is set on a raised plot of land forming the central axis of the new complex’s building plan.
Moreno Maggi
36 lâ&#x20AC;&#x2122;ARCA 240
240 l’ARCA 37
Pianta del terzo livello.
Plan of the third level.
1. Ingresso utenza pubblica/Public users entrance 2. Accettazione/Reception 3. Attesa/Waiting room 4. Auditorium 5. Sala multiculto/Multi-cult hall 6. Accettazione laboratori/Labs reception 7. Torre collegamenti verticali utenza pubblica/Vertical links tower for public 8. Ingresso personale sanitario/Medical staff entrance 9. Corte interna/Interior court 10. Sala prelievo donatori/Blood sample donors room 11. Area riabilitazione/Rehabilitation area 12. Dialisi/Dialysis 13. Uffici open plan/Offices 14. Area diagnostica pr immagini/Image diagnosis area 15. Collegamento orizzontale flussi sanitari/Horizontal link of sanitary flux 16. Caffetteria 17. Asilo nido/Nursery
Sezione trasversale.
Cross section. Pianta del secondo livello.
Plan of the second level.
13. Uffici open plan/Offices 18. Blocco parto/Delivery area 19. Soggiorno/Lounge 20. Tetto giardino/Green roof 21. Ponte di collegamento/Bridge 22. Blocco degenze/Hospitalization Block 24. Sale operatorie/Surgery rooms 25. TIPO
38 lâ&#x20AC;&#x2122;ARCA 240
Particolari della sezione della facciata ventilata.
Details of the section of the ventilated façade.
240 l’ARCA 39
L’edificio è concepito come una struttura a prevalente sviluppo orizzontale, di altezza contenuta (sempre massimo tre piani fuori terra).
Built in Branca, the complex, which covers an area of approximately 7.5 hectares, is located near old Madonna del Granello Parish Church, a gently downward sloping site in an area close to the
Perugia-Ancona highway. The building is designed along mainly horizontal lines and is not very high (a maximum of three floors above ground level).
La matrice geometrica del progetto deriva dall’intersezione di tre elementi: maglia strutturale ortogonale con modulo base di 1,20 m, un cerchio di raggio pari a 48,5 m e un asse ruotato di 7° rispetto alla maglia
che deriva dalla antica pieve. Pensato per un bacino di utenza di 60/80.000 abitanti, il complesso dispone, fra diversi optional, di 96 camere doppie e un Day Hospital medico-oncologico da 14 posti letto.
The project’s geometric matrix derives from three intersecting elements: the orthogonal structural web with a base modulus of 1.20 m, a circle with a radius of 48.5 m, and an axis rotated through 7° in
relation to the web derived from the old Parish Church. Designed for a community of 60/80,000 people, the facility has 96 double rooms and a medical-oncologic Day Hospital with 14 beds.
Moreno Maggi
Realizzato a Branca, il complesso, disposto su un’area di circa 7.5 ettari, è ubicato vicino alla antica pieve della Madonna del Granello, un luogo in leggero declivio in un’area in prossimità della superstrada Perugia-Ancona.
40 l’ARCA 240
Credits Project: Cooprogetti Soc.Coop. (Coordinator: Walter Tomassoli) Consultants: Lamberto Rossi (architectonic project); Andrea Bambini (functional medical system); Maurizio Mauri (medical-sanitary project) Specialized Projects: Mario Traversini (structures); Grossi&Speier/Fausto Bortolaso (plants); Andrea Pochini (lanscape); Paolo Ghirelli (urban and external setting) Collaborators: Augusto Albini, Andrea Coccia, Giuseppe Catalano, Enrico Farina, Edoardo Filippetti, Alessandro Placucci, Michele Stillittano, Enzo Traversini, Maria Marta Zandonà Promoter and Executor: Marinelli:Massimo Marinelli (person in charge); Diego Chiattini (worksite manager); Paolo Zucconi (CSP/CSE) General Contractor: Marinelli Metal Works: Morcellini, Generale Impianti, Dueppi Façade Systems: Metalmontaggi, ATI Dallera- Palagio EngineeringEuromontaggi Glasses: Metalmontaggi Frameworks: Co.In.All. 2000 Shading: Model System Italia Wall Painting: La Magionese 1, Colorificio Iride Lighting Systems, Climatisation, Electrical Plants: Ingg. Grossi&Speier External Flooring: Pavedil, Edilplast, CBF Pav Interior Flooring: Mondo, Consorzio Edil.Pav, Bazzurri False Ceilings: Edil Quattro, Alin Clima Partition Walls: Edil Quattro, Essequattro, Ninz, 2GT Sistemi Doors: I.L.M.A., Essequattro, Ninz, 2GT Sistemi Lifts: Kone Security Systems: Scat, Ingg. Grossi&Speier Green Areas: Eco Bonifiche, Verdepiù Impianti Roofing: Morcellini Waterproofing and Insulation: Falocco, Coimper Client: I.N.A.I.L. (owner); Azienda Sanitaria Locale n.1 Umbria (user)
240 l’ARCA 41
GKH=<9D= H=<A9LJA;G E=Q=J >AJ=FR=
S
ostenibilità e alta tecnologia insieme per un nuovo rapporto fra struttura ospedaliera e utenza. Il nuovo polo pediatrico fiorentino rinnova tecnica ed estetica nel settore ospedaliero con una soluzione mimetica che rivela grande sensibilità nei confronti dell’ambiente e del contesto storico. L’intervento affronta una molteplicità di tematiche progettuali legate al recupero dell’antica villa di Ognissanti e alla valorizzazione del patrimonio paesaggistico: un parco storico e una collina di alto pregio naturalistico. Nonostante l’imponente volumetria, il nuovo Meyer si avvale di strategie che riducono al minimo il “conflitto” tra costruito, natura e preesistenze senza niente togliere all’identità della nuova architettura. I primi due piani sono parzialmente interrati e solo il terzo è completamente fuori terra; i tre piani risultano inoltre rastremati e sfalsati tra loro in modo da creare aggetti con ampie terrazze sistemate a verde e coronate dal tetto giardino della copertura. L’architettura a corpo triplo della villa non si poteva prestare a una rifunzionalizzazione sanitaria in grado di rispondere alle esigenze di una moderna ospedalizzazione. Nonostante questo, il progetto integra con successo passato e presente con la strategia di recuperare la villa con funzioni di supporto, mentre i servizi più strettamente ospedalieri vengono concentrati nel nuovo corpo di fabbrica. I tre blocchi sono riorganizzati con funzioni universitarie, amministrative e ambulatoriali. I prospetti sono accuratamente ripristinati secondo il principio del restauro filologico, eccetto per la facciata centrale schermata da una grande serra che inonda di luce il nuovo atrio d’ingresso. Il tema delle tecnologie leggere è ripreso in copertura con la struttura vetrata della ludoteca che caratterizza l’imponente tettogiardino. Nuovi materiali (ferro, vetro, rame, legno lamellare) e nuove tecnologie aggiornano la cultura delle preesistenze con significative giustapposizioni materiche. Così, la nuova architettura trae spunto dalla storia e affronta la modernità declinandola con i temi dell’aggiornamento tecnologico e della sostenibilità: una filosofia metodologica ricorrente in altre recenti opere del CSPE, come le strutture ospedaliere del comprensorio di Montepulciano e di Foligno dove i materiali della tradizione sono accostati a un innovativo progetto tecnologico.
CSPE
42 l’ARCA 240
Pietro Savorelli
S
ustainability and high technology have come together to create a new kind of interaction between a hospital facility and its users. The new Paediatrics Clinic in Florence updates technology and aesthetics in the hospital sector through a mimetic design revealing a great awareness of the environment and historical context. The project tackles a wide range of design themes linked with renovating old Ognissanti House and exploiting its landscape: an old park and a hill of great naturalistic value. Despite its imposing size, the new Meyer Clinic draws on strategies which reduce “conflict” between building, nature and existing structures to a minimum, without taking anything away from the new architecture's identity. The first two levels are partially underground and only the third is completely above it; the three stories are also tapered and staggered in relation to each other to create overhangs forming spacious terraces landscaped with greenery and crowned by a garden roof up on top. The house’s triple-structured architecture could not possibly lend itself to a functional re-adapting to all the demands of a modern hospital facility. Nevertheless, the project successfully brings together the past and present by integrating the house with supplementary functions, while the more strictly hospital facilities are concentrated in the new building block. The three blocks serve university, administration and clinic purposes. The elevations have been carefully repaired based on the principle of philological restoration, except for the central facade, shielded by a glasshouse, which floods the new entrance hall with light. New materials (iron, glass, copper, laminated wood) and new technology revamp the existing structures by enhancing interaction between modernity and tradition through purposeful juxtapositions of different materials. This means the new architecture draws inspiration from history and tackles modernity through the issues of technological update and sustainability: a methodological philosophy cropping up in other recent works by CSPE, such as the hospital facilities in the Montepulciano and Foligno districts, where traditional materials are combined with an innovative technological design.
La serra in pannelli fotovoltaici: l’alta tecnologia e la sensibilità ambientale hanno guidato il progetto che, nel 2000, ha ricevuto l’accredito fondi della Comunità Europea.
The glasshouse made of photovoltaic panels: high technology and environmental awareness where the guidelines around which the project was designed. For this reason it also received European Community Funding.
Credits Project: CSPE (Centro Studi Progettazione Edilizia), Paolo Felli (team leader), Antonio Andreucci, Romano Del Nord, Giulio Felli, Massimo Moglia, Corrado Lupatelli; Anshen & Allen
44 l’ARCA 240
Collaborators: Mirilia Bonnes, Marino Bonaiuto (environmental psychologists); Mario Zanetti (health) Structural Consultants: a&i ingegneri associati; Studio Tecnico Chiarugi Mechanical Plants Consultants:
CMZ (Cinelli – Marazzini – Zambaldi) Electrical and Special Plants Consultants: Studio Lombardini Engineering Energy Experimentation Program: Centro ABITA General Contractors:
I lotto: Itinera, Gemmo Impianti; II lotto: CO.GE.PA. Costruzioni Generali Passatelli Metal and Frame Works: Schüco, Metra, Arklegno External Cladding: KME Italy, Falegnameria Fosca, Tanini
Façade Systems: Schüco, SEM 220M LG di SE Project (PV panels) Glasses: Guardian, Saint Gobain, Pilkington Frameworks: Novodoor, Ninz, Falegnameria Fosca, Senatori, Comi, Sermeca
Shading: Falegnameria Fosca, Suncover Lighting Systems: Zumtobel Illuminazione, Targetti External Flooring: Cooperativa Scalpellini, Sannini Cotto Interior Flooring: River Style, Falsarella,
Mirage, Forbo, Tarkett, Armstrong – DLW, Ceramiche Vogue False Ceilings: Linoleum Partenope, Ediline Partition Walls: Knauf Lifts: Kone
Alessandro Ciampi
Climatisation: Gemmo Impianti, ATC (Air Tecno Consulting), Zamb, Climaveneta, Weishaupt Security Systems: ABB, Siemens Electrical Plants: Gemmo Impianti, ATC (Air Tecno Consulting), ABB
Furniture Systems: Falegnameria Fosca, Gamar, Ginetti Roofing: KME Italy, Daku (green roofs), Idroflorence, CO.PA.RI. Waterproofing and Insultaion: Foamglass, Stiferite, Geolan
Client: Azienda OspedalieroUniversitaria Meyer
Vedute a volo d’uccello che evidenziano un intorno caratterizzato dal verde.
Bird’s-eye view showing all the surrounding greenery.
Sostenibilità energetica e valorizzazione delle risorse naturali: il tetto verde trasforma la terrazza in giardino protetto e la sua supercoibentazione integra il controllo climatico degli interni.
Energy sustainability and the exploitation of natural resources: the green roof transforms the terrace into a sheltered garden and its super-installation integrates the climatic control of the interiors.
Alessandro Ciampi
240 l’ARCA 45
Pianta del primo piano.
Plan of the first floor.
1. Oncoematologia/Onco-haematology 2. Day Surgery 3. Blocco operatorio/Surgery 4. Rianimazione polifunzionale/Multi-functional intensive-care 5. Locali tecnici/Technical rooms 6. Day Hospital 7. Studi medici/Medical studios 8. Ambulatori/Ambulatories 9. Università/University 10. Riabilitazione/Rehabilitation
SERVIZI SANITARI/SANITARY SERVICES DIDATTICA/DIDACTIC STUDI MEDICI/MEDICAL STUDIOS SERVIZI TECNOLOGICI TECHNOLOGICAL SERVICES SERVIZI GENERALI/GENERAL SERVICES
Pianta del piano terra.
Plan of the ground floor.
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
Laboratori/Labs Ambulatori/Ambulatories Servizi commerciali/Commercial services Radiologia/Radiology Pronto soccorso/Emergency Room Centro sangue/Blood centre Camere bianche/White rooms Medicheria/Medication room Hall
10. Locali tecnici/Technical rooms 11. Lactarium, cucina e divezzi/Lactarium, kitchen, weaning 12. Studi medici/Medical rooms 13. Serra fotovoltaica, ingresso/Photovoltaic greenhouse, entrance 14. Neuropsichiatria infantile e day hospital psichiatrico Infant neuropsychiatry, psychiatric day hospital 15. CUP, assistenza domiciliare/Home assistance 16. Amministrazione/Administration
SERVIZI SANITARI SANITARY SERVICES STUDI MEDICI MEDICAL STUDIOS LABORATORI/LABS SERVIZI GENERALI GENERAL SERVICES AMMINISTRAZIONE ADMINISTRATION MERCI/GOODS SERVIZI TECNOLOGICI TECHNOLOGICAL SERVICES
46 l’ARCA 240
Pianta del secondo piano.
Plan of the second floor.
1. Degenza/Hospitalization 2. Attesa pubblico, ludoteca/Public waiting room, play room 3. Amministrazione/Administration 4. Foresteria/Guest quarters 5. Università/University
SERVIZI SANITARI/SANITARY SERVICES DIDATTICA/DIDACTIC STUDI MEDICI/MEDICAL STUDIOS SERVIZI TECNOLOGICI TECHNOLOGICAL SERVICES SERVIZI GENERALI/GENERAL SERVICES
Sezione bioclimatica. In basso, planimetria generale e vista della villa storica.
Bioclimatic section. Bottom, site plan and view of the historical building.
Pietro Savorelli
240 l’ARCA 47
Alessandro Ciampi
48 l’ARCA 240
Details of the premises and detail of the roof showing the cone-shaped “Pinocchio’s Chapel" skylights allowing a natural light through the super-insulated compact surface.
Alessandro Ciampi
Alessandro Ciampi
Alcuni dettagli degli ambienti e particolare della copertura con i lucernari conici a “cappello di Pinocchio” per far penetrare la luce naturale attraverso il compatto solaio supercoibentato.
Pietro Savorelli
Top, the glasshouse structure is made of laminated wood. Opposite, the toy library is naturally lit up through special so-called “Solatube” skylights because they are made of a tube connected to the outside.
Alessandro Ciampi
Pietro Savorelli
In alto, la struttura della serra realizzata in legno lamellare. A fianco, la ludoteca illuminata naturalmente attraverso particolari lucernari definiti “Solatube” formati da un tubo collegato con l’esterno.
240 l’ARCA 49
Gianni Sala
?MF9$ EAD9FG Ivo Pellegrini
Dettaglio dei pannelli in rete stirata color rame che garantiscono particolari effetti al cambiare della luce durante la giornata.
Details of the copper-coloured mesh panels creating striking effects as the light changes throughout the day.
50 l’ARCA 240
U
n edificio dimesso degli anni Settanta torna a nuova vita. Si tratta di una trasformazione che ha interessato alcuni edifici di un vasto complesso industriale in via Palmanova, ora rilevato da una società farmaceutica specializzata in prodotti omeopatici. L’architettura come manifesto di principi. La filosofia di un’azienda farmaceutica che da sempre cerca nella natura il benessere psicofisico, trova riscontro nel trattamento della facciata, che evoca una sorta di nuvola trasparente sospesa nel vuoto. Nella struttura orizzontale che profila l’edificio è sintetizzata la duplice valenza dell’intervento. Rientra in quest’ottica anche l’elemento architettonico che sormonta il lato principale e che, in un certo senso, fa da corona all’intero complesso. L’intervento generale rivela grande attenzione per la qualità estetica del complesso ma anche per tutta una serie di prerogative destinate al risparmio energetico. Il tutto senza operare stravolgimenti radicali nella struttura originaria, un lungo parallelepipedo di cui sono state rispettate forma e dimensioni. Il progettista ha, infatti, scelto di operare per aggiunte successive, a volte ricoprendo parti esistenti, altre invece sovrapponendovi diversi strati di mate-
riali, quasi a formare una nuova pelle; una rete stirata di rame e una superficie vetrata bronzo. Il progetto ha come obiettivo il rinnovamento dell’involucro edilizio di un preesistente edificio attraverso la realizzazione di una nuova pelle esterna. Tale programma ha portato a realizzare una facciata ventilata opaca costruita con un sistema in alluminio posato al di fuori dell’involucro esistente in muratura. Le parti laterali sono rivestite da pannelli in rete stirata color rame che garantiscono particolari effetti al cambiare della luce durante la giornata. La pelle esterna è caratterizzata da più di 2.500 vetri tutti diversi tra loro evidenziati con apposite cartelline a ogiva in alluminio anodizzato color bronzo così da non presentare alcuna continuità lungo la facciata principale dell'edificio. Questa particolarità ha comportato lo studio di moduli di dimensioni diversi sia in orizzontale che in verticale. I vetri utilizzati sono del tipo serigrafato a smalto in cinque colori differenti con una trama d’erba a fili sovrapposti che vuole richiamare la naturalità dei prodotti omeopatici prodotti dell’azienda. Tale processo realizzativo ha comportato uno studio accurato della facciata con la produzione di campioni in scala 1:1 per verificarne la funzionalità e l’impatto architettonico.
A
n abandoned building from the 1970s has been brought back to life. This transformation involved a number of buildings belonging to a vast industrial complex in Via Palmanova, which has now been taken over by a pharmaceutical firm specialising in homoeopathic products. Architecture as a manifesto of principles. The philosophy underpinning a pharmaceutical company, which for some time now has been searching for psychophysical well-being in nature, is embodied in the facade design, which evokes a sort of transparent cloud suspended in space. The horizontal structure around the edge of the building sums up the dual significance of the project. The architectural feature on top of the main flank also falls into this line of thinking and, in a certain sense, crowns the entire complex. The overall project shows great attention to the aesthetic quality of the complex, while also focusing on a series of prerogatives designed for energy-saving purposes. All this without radically upturning the original structure, a long parallelepiped whose shape and size has been respected. The architectural designer has actually chosen to work along
the lines of successive additions, sometimes covering existing parts, other times superimposing different layers of materials, almost as if to form a new outside skin. This programme has resulted in the construction of an opaque ventilated facade composed of an aluminium system placed outside the existing brick shell. The lateral sections are covered with copper-coloured mesh panels, which guarantee striking effects as light changes throughout the day. The outside skin is formed of over 2500 different pieces of glass highlighted by special ogival cards made of bronze-coloured anodised aluminium, so as to ensure there is absolutely no continuity along the buildings meant facade. This feature called for a study into modules of different sizes used both horizontally and vertically. The glass used is of the enamelled serigraphed type, in five different colours, featuring a pattern of intertwining blades of grass designed to evoke the naturalness of homeopathic products manufactured by the company. This construction process called for a careful study into the facade design involving the manufacture of 1:1 scale samples to test out its functionality and architectural impact.
Credits Project: Ivo Pellegri Offices Realization: Level Office Landscape Façade Project and Works Management: Polis Engineering – Irene Sabato
Dettaglio della facciata, la pelle esterna è caratterizzata da più di 2.500 vetri, tutti diversi tra loro, evidenziati con apposite cartelline a ogiva in alluminio anodizzato color bronzo così da non presentare alcuna continuità lungo la facciata principale.
Detail of the facade, the outside skin has over 2500 glass panels, all different from each other, highlighted by special bronze-coloured anodised aluminium ogival cards, so that there is absolutely no continuity across the main facade.
Façade Cover Design: Ivo Pellegri – DAGA Studio Façade Realization: Sipam – Giorgio De Cani Client: Guna
240 l’ARCA 51
Schema della facciata e piante.
Diagram of the facade and plans.
52 lâ&#x20AC;&#x2122;ARCA 240
240 l’ARCA 53
54 l’ARCA 240
Nella pagina a fianco, particolari della facciata a moduli di dimensioni diverse sia in orizzontale che in verticale. I vetri utilizzati sono del tipo serigrafato a smalto in cinque colori differenti con una trama d’erba a fili sovrapposti che vuole richiamare la naturalità dei farmaci omeopatici prodotti dell’azienda. A coronamento dell’edificio, la nuvola trasparente sospesa nel vuoto, realizzata in GRC (Glass Reinforced Concret). Sopra e a sinistra, interni caratterizzati da arredi estremamente lineari.
Opposite page, details of the facade made of different size modules placed both horizontally and vertically. The glass used is of the enamelled serigraphed-type in five different colours, featuring a pattern of blades of intertwining grass intended to evoke the naturalness of the homoeopathic drugs manufactured by the company. A transparent cloud suspended in space made of GRC (Glass reinforced concrete) crowns the building. Above and left, some of the interiors featuring extremely linear furnishing.
240 l’ARCA 55
Samyn and Partners
Q
D9:K 9F< G>>A;=K MFAN=JKALQ @GKHAL9D :JMKK=DK
Marie-Françoise Plissart
uesto progetto costituisce la prima fase di un studio sulla planimetria generale che investe tutta la clinica universitaria. Le operazioni più urgenti sono la creazione di parcheggi e di superfici supplementari per consentire di liberare le zone da ristrutturare. Anche l’intervento realizzato da Samyn nasce con l’obiettivo di offrire dei nuovi spazi per compensare i futuri lavori di riorganizzazione degli edifici esistenti, programmati con un sistema “a cassetti”. La volumetria dell’edificio si confronta con due imponenti edifici di nove piani. Tra le diverse soluzioni considerate in fase di progetto, la possibilità di
costruire due piani interrati in modo da non intaccare la superficie edificabile, una delle poche aree ancora libere e quindi particolarmente preziosa sia per l’università, sia per la città. Per ragioni tecniche e psicologiche, la soluzione di interrare anche un solo piano dei laboratori è stata scartata. La morfologia della costruzione realizzata combina così i vantaggi di una costruzione interrata a quelli di un edificio fuori terra. Il volume si presenta come una ondulazione del terreno che continua il rilievo naturale dell’intorno. Questa ondulazione sarà prolungata successivamente anche sulle coperture dei parcheggi.
La parete vegetale dell’edificio dei laboratori e degli uffici di direzione, all’interno del campus della clinica universitaria di Bruxelles. Questa soluzione,
Uno studio particolarmente apporfondito è stato svluppato da Samyn and Partners per il rivestimento delle facciate lungitudinali la cui superfcie trattata a verde si fonde in modo naturale con il sito senza offuscare o condizionare la vista degli edifci limitrofi. Questi muri verdi sono realizzati con una tecnologia costruttiva intellettualmente sofisticata, ma praticamente di facile messa in opera. Il concetto poggia sulla svrapposizione di una base di cemento, con uno strato di 10 cm di poliuretano e un complesso di terra vulcanica dove crescono edera e piante rempicanti. La vista su Bruxelles dall’ospedale viene così garantita e la quinta facciata in tappeto verde offre sicuramente un elemento più piacevole da vedersi che non le tradizionali caperture piatte. Oltre all’aspetto urbanistico, il programma funzionale ha condizionato fortemente la forma dell’edificio. I piani più stretti in cima all’edificio sono riservati agli uffici, mentre ai livelli inferiori, più ampi e flessibili, sono organizzati i laboratori di analisi che funzionano in duplex su due livelli. Dei corridoi periferici circondano gli spazi dei laboratori e gli uffici del personale medico giocando un ruolo di tampone termico, complementare alla facciata spessa piantumata. Essi offrono anche uno spazio di relax ed essendo a doppia altezza, mettono in relazione i due piani dei laboratori. Per
composta da un complesso di terra vulcanica a ritenzione idrica ricoperto da edera e piante rampicanti si integra con gli edifci esistenti senza occultarne le visuali.
The vegetable wall of the laboratories and executive offices building on the campus of Brussels University Clinic. This design, composed of a complex made of
il rivestilmento interno, non essendo questi spazi soggetti alle regole d’igiene dei laboratori, sono state privilegiate le calde tonalità del legno che creano un ambiente più confortevole e conviviale dei tradizionali laboratori degli ospedali. Le estensioni previste dal nuovo piano generale, come la ramificazione fino al parcheggio o la demolizione di un edificio limitrofo, permetteranno di ampliare sia l’ospedale policlinico, sia il nuovo edificio. La connessione con l’ospedale garantisce un collegamento più semplice e diretto con l’ingresso principale, mentre la costruzione di un ponte trasparente tra il fronte nord e l’edifcio d’ingresso offre una pensilina protetta, ultilizzabile anche come area per i fumatori. I nodi di comunicazione verticale sono realizzati in modo da creare delle grandi piastre flessibili e modulabili rispettando le estensioni future. Inseriti in facciata (fronti nord e sud), permettono ai fruitori di beneficiare della luce naturale, come nei corridoi periferici. Le facciate nord e sud sono rivestite in metallo garantendo il controllo della luce per evitare i fenomeni di surriscalmento. L’edificio ha ottenuto una segnalazione della guiria del Premio internazionale Dedalo Minosse 2008.
water-retaining volcanic soil covered with ivy and climbing plants, fits in with the old buildings without blocking out the views.
Project Samyn and Partners Client Akadamisch Ziekenhuis (AZ) Vrije Universiteit Brussels
T
his project is the first stage in a study into the overall layout encompassing the entire university clinic. The most urgent operations are the creation of parking facilities and extra areas to free up the parts in need of restructuring. The project carried out by Samyn is also designed to provide new spaces to compensate for future re-organisational work on old buildings based on a “drawer” system. The overall building structure needs to confront two imposing nine-story constructions. Among the various options considered during the planning phase was the possibility of constructing two underground levels, so as not to touch the buildable surface area, one of the very few zones still uncluttered and, hence, particularly valuable to both the university and the city itself. For technical and psychological reasons, the idea of constructing even one floor of laboratories underground was eventually discarded. The morphology of the building combines both the benefits of an underground construction and a building above ground level. The structure looks like an undulation in the ground as a continuation of the natural contours. This undulation will eventually be extended onto the roofs over the parking facilities. Samyn and Partner carried out an in-depth study to design the cladding over the longitudinal facades, whose green-coloured surface blends in naturally with the site without blocking out or affecting the view of neighbouring buildings. These green walls are constructed using intellectually sophisticated building technology, but are also very easy to install. The concept is based on superimposing a cement base (with a 10 cm layer of polyurethane) over volcanic ground, where ivy and climbing plants grow. This means there is a view of Brussels from the hospital, and the fifth facade and its green tapestry ares certainly more pleasant to look at than traditional flat roofs. In addition to town-planning factors, functional programming strongly influenced the building form. The narrower levels at the top of the building are used for offices, while the more spacious and flexible lower levels hold the analysis laboratories, which work over two levels on a duplex basis. Peripheral corridors surround the laboratory spaces and offices of the medical staff, serving a thermal filling purpose in conjunction with the thickly landscaped facade. They also provide a relaxation area and, since they are double height, bring together the two floors of laboratories. Since the spaces are not subject to the rules of hygiene in force in laboratories, warm shades of wood have been chosen for their interior coating to create a more person-friendly and congenial setting than conventional hospital laboratories. The extensions stipulated in the new overall plan, such as the ramification through to the car park or demolition of a neighbouring building, will allow both the hospital clinic new building to be extended. There is a simpler and more direct link with the hospital through the main entrance, while constructing a transparent bridge between the north front and building entrance actually creates a protective canopy, which can also be used by smokers. The vertical communication links are designed to create good, flexible and modular platforms, which fit in with future extensions. By being incorporated in the facades (north and south fronts), they allow people to enjoy natural light, something which also applies to the peripheral corridors. The north and south facades are covered in metal, so as to control light and prevent overheating. The building received a commendation from the panel of judges for the 2008 Dedalo Minosse International Prize.
Un ponte trasparente risolve il collegamento con l’edificio dell’entrata principale.
A transparent bridge provides a link with the main entrance building.
58 l’ARCA 240
240 l’ARCA 59
Dall’alto in basso, planimetria generale, piante degli uffici e del piano inferiore. I laboratori funzionano in duplex su due livelli inferiori mentre i piani superiori, più stretti, sono occupati dagli uffici.
From top down, site plan, plans of the offices, and of the lower level. The laboratories are also duplexes set over two lower levels, while the narrower top levels are taken up by offices.
Nella pagina a fianco, sezione trasversale e particolari degli spazi di collegamento tra l’anima dell’edificio e l’involucro vegetale. Sono spazi di circolazione e di relazione ampi e luminosi che fungono anche da tampone termico. Legno alle pareti, separazioni interne vetrate e luce filtrata ne fanno ambienti piacevoli e rilassanti.
Opposite page, cross section and details of the connection spaces between the core of the building and vegetable shell. These are wide and spacious circulation and relational spaces acting as a heat block. Wood on the walls, glazed interior separations and filtered light make them nice and relaxing premises.
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;=FLJG K9D9E <A ;9J<AG;@AJMJ?A9$ KM<9F
Studio tamassociati
E
mergency (www.emergency.it) è un’associazione italiana indipendente e neutrale, nata per offrire assistenza medicochirurgica gratuita di elevata qualità alle vittime civili di guerre, mine antiuomo e povertà. Promuove una cultura di solidarietà, di pace e di rispetto dei diritti umani. Tutte le strutture di Emergency sono progettate, costruite e gestite da staff internazionale specializzato, impegnato anche nella formazione del personale locale. Studio tamassociati (www.tamassociati.org) è una organizzazione professionale attiva nell’elaborazione di progetti per l’architettura e la comunicazione sociale. Nasce, oltre che dalle esperienze dei propri componenti, dalla volontà collettiva di rendere sempre più diffuse e incisive le tecniche di intervento sul territorio mirate a favorire politiche partecipative. tamassociati aspira, con il proprio lavoro, ad attivare risorse umane e sociali, a incrementare le condizioni di sicurezza, accoglienza e integrazione, a favorire la crescita democratica e l’acquisizione di una maggiore consapevolezza sui temi dell’equilibrio ambientale. Parlare di committenza nel caso del progetto del centro Salam allude a un processo molto articolato rispetto ai consueti rapporti committente-progettista-impresa esecutrice. La coincidenza di visione sulle finalità ideali e pratiche ha generato un processo corale e partecipativo nella progettazione come nella
62 l’ARCA 240
realizzazione. Un processo che ha visto protagonisti “attori” attivi in diversi aspetti della costruzione e della gestione dell’ospedale, come il project manager, il geometra di cantiere, il direttivo Emergency e soprattutto numerosi infermieri e medici tra cui Gino Strada che ha disegnato le linee guida dell’opera e che ha seguito costantemente e attivamente la costruzione dell’ospedale. Senza l’apporto dalla fase progettuale di tutte queste figure non sarebbe stato pensabile realizzare in soli due anni un’opera di tale complessità in un contesto di guerra e povertà come quello Sudanese. Operare in un’area in gran parte desertica, reduce da una ventennale e sanguinosa guerra civile, ha imposto al gruppo di progettazione l’assunzione di criteri d’azione innovativi sia dal punto di vista tecnico/pratico che teorico/ideale, obbligando a una riflessione profonda sui princìpi etici che stanno alla base del progetto. Tutto questo ha significato mettere in risonanza l’identità culturale e sociale del territorio con il suo genius loci e le sue problematiche, ma ha significato soprattutto ribadire, attraverso l’architettura, l’idea che i Diritti debbano essere un patrimonio comune. Un processo che ha avuto come baricentro il tentativo di re-inventare un’“architettura solidale”, empatica, etica ma soprattutto “bella” o come la definisce Gino Strada: “scandalosamente bella”! Dove lo scandalo sta nell’essere un’architettura profondamente radicata nella geografia culturale e sociale del Sudan ma anche in quella forma di utopia che è la rivendicazione dei Diritti.
Credits Project: tamassociati (Raul Pantaleo, Massimo Lepore, Simone Sfriso), Sebastiano Crescini con Pietro Parrino e Gino Strada Architect in Charge: Pietro Parrino
E
Coordination: Rossella Miccio, Pietro Parrino Feasibility Study: Gino Strada, Emiliano Cinelli, Fabrizio Fasano, Andrea Cioffi Plants Project: Studio Pasqualini, Jean Paul Riviere,
Nicola Zoppi Structural Consultant: Francesco Steffinlongo Surgery Rooms Consultant: Franco Binetti Work Site Responsibles: Roberto Crestan, Alessandro Giacomello
mergency (www.emergency.it) is an independent and neutral Italian Association designed to provide free medical-surgical care of the highest standard to the victims of wars, landmines and poverty. It promotes a sense of solidarity, peace and respect for human rights. All Emergency’s facilities are designed, built and managed by expert international staff, who also help train local personnel. Studio tamassociati (www.tamassociati.org) is a professional organisation which designs projects for architecture and social communication. As well as the background and experience of its own members, it also derives from a general desire to make the various means of carrying out territorial operations (aimed at favouring participative policies) more widespread and incisive. Tamassociati’s work aspires to activate human and social resources, improve safety, inclusion and integration, encourage demographic growth and spread a general awareness of issues related to environmental balance. Talking about the client in the case of the project for the Salam Centre alludes to a much more intricate process than the usual client-designer-building contractor partnership. A shared vision of its ideal and practical aims has generated a choral, participative process for both its design and construction. A process featuring “players” actively involved in various aspects
Contractor: company constituted by Emergency staff Client: Emergency Onlus NGO
of building and managing the hospital, such as the project manager, building site surveyor, Emergency’s board of directors and, above all, lots of nurses and doctors, including Gino Strada, who actually designed the guidelines for the work and constantly and actively followed the actual building of the hospital. Without the help of all these various people during the design phase it would have been unthinkable to actually build a work of this complexity in just two years in a war and poverty ridden zone like Sudan. Working in an area which is mostly desert, where a bloody civil war has been waging for 20 years, forced the design team to adopt innovative operating standards from both a technical/practical and theoretical/ideal viewpoint, calling for very careful reflection on the ethical principles underpinning this project. All this meant the cultural and social identity of the land had to be brought to the fore, focusing on its genius loci and the problems affecting at, but above all it involved underlining through architecture the idea that Rights must be part of a common heritage. A process whose barycentre lay in an attempt to reinvent “ architecture in the name of solidarity”, which is empathetic, ethical and above all “beautiful”, or, as Gino Strada describes it: “scandalously beautiful”! Where the scandal lies in being a work of architecture deeply rooted in Sudan’s social and cultural geography, but also in that form of utopia which is the demand for Rights.
Il Centro Salam di Cardiochirurgia di Emergency, inaugurato lo scorso anno a Soba in Sudan. Il progetto ha ricevuto il Premio Speciale Stanislao Nievo alla settima edizione (2007/2008) del Premio Internazionale alla Committenza Dedalo Minosse.
Emergency’s Salam Heart Surgery Centre opened in Soba, Sudan, last year. The project was awarded the Special Stanislao Nievo Prize at the seventh edition (2007/2008) of the Dedalo Minosse International Awards for Clients.
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1. Blocco ospedaliero: chirurgia, diagnostica, amministrazione, corsie Hospital block: surgery, diagnostics, administration, corridors 2. Ingresso/entrance 3. Blocco tecnico/technical block 4. Foresteria (fino a 50 persone) accommodation (up to 50 people) 5. Servizi: lavanderia, cucina, biblioteca, aula didattica, sala giochi,magazzini, mensa staff Services: laundry, kitchen, teaching room, playroom, storerooms, staff canteen 6. Edificio impianti/utilities building 7. Impianto a pannelli solari/solar panels system 8. Padiglione di meditazione e preghiera meditation and prayer pavilion
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Sopra, planimetria generale. Sotto, pianta dellâ&#x20AC;&#x2122;edificio principale (1. blocco chirurgico con 3 sale operatorie, terapia intensiva da 15 posti letto, sterilizzazione, sala di emodinamica; 2. diagnostica e amministrazione con accettazione, pronto soccorso, ambulatorio, radiologia, ecografia, laboratorio, farmacia, uffici; 3. corsie per 52 posti letto, sala infermieri, fisioterapia, sala ricreazione per staff e pazienti, magazzini.
Above, site plan. Below, plan of the main building (1. Surgical unit with 3 operating rooms, an intensive care unit with 15 beds, sterilisation, blood unit; 2. Diagnostics and administration with admissions, emergency treatment, day hospital, radiology, ultra-sound unit, laboratory, pharmacy, offices; 3. A ward with 52 beds, nursesâ&#x20AC;&#x2122; room, physiotherapy, recreation room for staff and patients, storerooms.
Pianta del piano terra dell’edificio servizi: lavanderia, stireria, cucina, biblioteca, aula didattica, sala giochi per i bambini, magazzini, mensa staff.
Ground-floor plan of the services building: laundry, ironing room, kitchen, library, play room for the children, storage rooms, staff’s canteen.
Pianta del piano terra del padiglione di ingresso.
Ground-floor plan of the entrance pavilion.
Pianta del piano terra della foresteria per i parenti dei ricoverati che provengono da fuori Karthoum. Può ospitare fino a 50 persone.
Ground-floor plan of the accommodation quarters destined to the relatives of patients coming from outside Karthoum. It can hosts up to 50 people.
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Sopra, il padiglione di ingresso. A destra, l’interno dell’edificio ospedaliero.
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Above, the entrance pavilion. Right, the interior of the hospital building.
Sopra, la foresteria. Sotto da sinistra, schemi dei sistemi di distrubuzione del freddo, protezione solare e di filtraggio dell’aria. Il tema del necessario filtraggio dell’ingente quantità di sabbia è
stato risolto sfruttando un principio meccanico: l’aria prelevata dall’esterno viene fatta passare attraverso una sorta di labirinto; l’urto contro le pareti ne rallenta la velocità
e la raffresca, facendo sedimentare la sabbia e le polveri; in fondo al percorso, un nebulizzatore d’acqua prelevata dal Nilom completa la filtrazione lavando l’aria dalle particelle più sottili e
raffrescandola ulteriormente.
Above, the guests’ quarters. Below, from left, cold-air supply systems, solar protection, and air filtering.
The issue of having to filter all the sand is handled by exploiting a mechanical principle: the air taken from outside is conveyed through a sort of maze; as it hits the walls it is slowed down and cooled,
causing the sand and dust to settle; at the end of the pathway a water atomizer taken from Nilom completes the filtration process by washing the air of smaller particles and cooling it down even further.
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Sopra e nella pagina a fianco, il Padiglione di meditazione e preghiera A destra, l’impianto di pannelli solari. Nelle sale chirurgiche la temperatura richiesta è di 20°C, in rianimazione di 25°C e quando, come qui, la temperatura esterna è sui 45°C il problema condizionamento è rilevante. Date le condizioni tecnologiche locali, si è ricorsi all’energia solare con un impianto di 288 collettori solari sottovuoto (980 mq). Il calore immagazzinato
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viene impiegato per produrre il freddo, refrigerando acqua miscelata a bromuro di litio che poi è immessa all’interno della struttura tramite macchine UTA (unità di trattamento aria) collegate a un sistema di canali per l’aria.
Above and opposite page, the meditation and prayer pavilion. Right, the solar panels systems. The temperature in the operating rooms must be 20°C, it must be 25°C in intensive care and when the outside
temperature (as in this case) is around 45°C, air-conditioning is a key issue. Give the local technological conditions, it was decided to resort to solar energy using a system of 288 vacuum solar collectors (980 sq.m). The heat stored away is then used to generate cool air by mixing cold water with lithium bromide, which is conveyed into the facility by means of UTA (air treatment units) machines connected to a system of air channels.
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HGD= K9FL= K9JL@= =L DGAJ Jean-Philippe Pargade
Le facciate del Polo ospedaliero Sarthe-et-Loir sono caratterizzate da una superficie in cemento verniciato di verde doppiata da un rivestimento in pannelli di vetro serigrafato che conferiscono un senso di profondità e di brillantezza iridata all’insieme.
The facades of Sarthe-et-Loir Hospital feature a green-painted surface doubled by a coating of serigraphed glass panels instilling a sense of brightness and depth to the overall structure.
Credits Project: Jean-Philippe Pargade Technical studies: Coteba Colorist: Gary Glaser Landscaping: David Besson-Girard Client: Pôle Santé Sarthe et Loir
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I
l Pôle de Santé Sarthe et Loir è una nuova struttura di oltre 20.000 metri quadrati di superficie utile costruita in un’ampia distesa agricola che raggruppa i servizi dei vecchi ospedali di Sablé-sur-Sarthe e la Flèche. La vicinanza dell’autostrada e di un’importante strada statale ne garantiscono l’accessibilità dall’intero dipartimento. L’assenza di riferimenti urbani ha dettato il tipo di integrazione e l’architettura dell’edificio che parte da una rilettura sensibile del paesaggio. Situato in cima a un lieve promontorio, si configura come un oggetto scultorio in cui viene privilegiata l’estensione orizzontale, sottolineata dalla purezza e semplicità delle forme geometriche che ben si armonizzano con la dimensione del paesaggio naturale. Lo sviluppo planimetrico dell’insieme segue il pendio del terreno sviluppandosi in terrazze successive. Il paesaggio penetra l’edificio da una parte all’altra grazie a dosate inquadrature, così anche la prateria si fonde con le facciate dove sono stati mascherati tutti elementi tecnici. Gli ingressi sono situati vicino ai parcheggi protetti da alberi e siepi. I percorsi sono variati, piacevoli e godono di viste privilegiate sugli spazi verdi. La scelta dell’orizzontalità con un altezza che non supera i tre piani ha permesso di creare dei piani neutri, interrotti da patii luminosi, e di garantire una notevole flessibilità dal punto di vista dell’organizzazione funzionale degli spazi, della loro capacità di estensione interna e satellitare dell’edificio. L’area occupata dall’ospedale è articolata in diversi settori indipendenti in modo da ottimizzare la suddivisione dei vari flussi. La differenziazione e la varietà degli spazi pubblici, la convivialità degli luoghi comuni e delle zone di accoglienza, l’apertura verso il paesaggio afferma la vocazione della struttura come luogo di comunicazione e di scambio. La forma radicale dell’impianto architettonico ha permesso di operare in un regime di economia dei costi senza trascurare la qualità e la cura di ogni dettaglio. I materiali sono unitari, di facile manutenzione e perenni. Un rivestimento di pannelli in vetro serigrafato, accoppiati a un muro di cemento verniciato in verde in modo da accentuare l’impressione di profondità, crea una superficie dall’aspetto liscio e prezioso, quasi immateriale, come un involucro di cristallo iridato. Le finestre che animano la facciata con un ritmo alternato hanno serramenti con apertura alla francese, leggermente in aggetto rispetto alla facciata vetrata e dotati di protezioni in lamelle di alluminio. Le camere, per la maggior parte singole, si aprono sulla campagna con finestre a tutt’altezza con persiane esterne regolabili dal paziente che offrono confort termico e luminoso. L’atmosfera tonale e sensoriale dei corridoi e dei patii, i colori pastello e acidi dei sistemi di circolazione, dei patii e delle camere si corrispondono in un’atmosfera rilassante. Grazie all’intervento dell’artista americano Gary Glaser, l’ambiente del patio è stato valorizzato in una dinamica esterno/interno. Il colore del patio migra verso le camere e i sistemi di circolazione, mentre l’alternanza di rosa, bianco e giallo, ritma l’organizzazione spaziale dell’insieme individuando come una segnaletica i diversi spazi; a sua volta il blu-verde della facciata penetra negli spazi individuali dando origine a una rispondenza di colori tra paesaggio e gli ambienti dell’ospedale.
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he Pôle de Santé Sarthe et Loir is a new facility covering over 20,000 square metres built on a spacious expanse of farmland and designed to group together the services provided by the old hospitals of Sablé-sur-Sarthe and la Flèche. The close vicinity of a motorway and an important highway ensures it is easy to reach from anywhere in the local area. The absence of urban landmarks dictated how the building was to be designed and integrated, based on a careful rereading of the landscape. Located on top of a gently sloping promontory, it looks like a sculptural object focusing on horizontal extension, emphasised by the purity and simplicity of its geometric forms, which fit in neatly with the scale of the natural setting. The overall site plan follows the sloping land through a sequence of terraces. The countryside penetrates right through the building, thanks to carefully dosed external views. The local fields and planes blend in with the facades, which conceal all the various technical features. The entrances are situated near the car parks, which are sheltered behind trees and hedges. The various pathways are pleasantly varied and enjoy privileged views across the landscape. The decision to opt for horizontality, with the height of the building never exceeding three levels, has made it possible to create some neutral levels interrupted by brightly-lit patios to guarantee considerable flexibility from the point of view of the functional layout of its spaces and their capacity to extend inside and around the building. The area where the hospital stands is divided into separate sectors, in order to optimise the dividing up of different flows. The differentiation and variety of public spaces, the convivial nature of the communal spaces and reception areas and the building’s openness to the countryside, underline the structure’s vocation as a place for interaction and exchange. The radical shape of the architectural layout enabled savings on costs without affecting the overall quality and attention to detail. The materials used are unitary, easy to maintain and long-lasting. A coating of serigraphed glass panels combined with a concrete wall painted green to enhance the sense of depth creates a smooth and expensive looking surface, almost immaterial like an iridescent glass shell. The windows liven up the facade through their alternating pattern; they are furbished with French windows slightly overhanging in relation to the glass facade and also fitted with laminated aluminium protection. The rooms, mainly singles, look out onto the countryside through the full-height windows fitted with outside Persian blinds, which can be adjusted by the patient to control the temperature and lighting levels. The sensorial feel of the corridors and patios, the pastel and acid shades of the circulation systems, patios and rooms create a relaxing overall atmosphere. Thanks to the work of the American artist Gary Glaser, the patio setting has been enhanced through the dynamic interplay of inside and outside. The colour used for the patio migrates towards the rooms and circulation systems, while an alternating combination of pink, white and yellow sets the pattern of the spatial layout of the overall construction, marking the various spaces like signposts; in turn, the blue-green of the facade penetrates into the separate spaces to create matching colours between the landscape and hospital premises.
Georges Fessy
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Dal basso in alto, piante del livello giardino e del piano terreno. La struttura, circa 20.000 mq di superficie, si sviluppa orizzontalmente – tre piani di altezza massima – assecondando il declivio del terreno. La geometria semplice e leggibile favorisce la flessibilità dell’organizzazione e le possibilità di estensione interna così come l’ampliamento satellitare del complesso.
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Opposite, from bottom, plans of the garden level and ground floor. The structure, covering approximately 20,000 square metres, extends horizontally – maximum height of three stories – following the downward sloping land. The simple and easy-to-interpret geometric layout enhances the flexibility of the overall layout and possibility of extending the interior, as well as providing for a satellite-style extending of the complex.
Dal basso in alto, piante del primo e secondo piano. La porzione di terreno occupata dalla struttura è suddivisa in diversi settori per ottimizzare la ripartizione del sistema dei flussi di circolazione, ridurre gli spostamenti privilegiando le sovrapposizioni orizzontali.
From bottom upwards, plans of the first and second floors. The piece of land where the structure stands is divided into various sections to optimise the distribution of the system of circulation flows and reduce the amount of moving around required by focusing on horizontal overlaps.
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Vista della facciata principale e di uno dei patii che articolano lo sviluppo della struttura con note di luce, di colore e di verde.
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View of the main facade and one of the patios injecting the structure with touches of light, colour and greenery.
Gli spazi di circolazione e i patii interni sono declinati con tonalità pastello e colori acidi. L’alternanza di rosa, bianco e giallo ritma l’organizzazione spaziale dell’insieme, come una segnaletica.
Negli spazi individuali, i colori sottolineano i volumi, danno profondità alle camere, ampliano le altezze, guidano lo sguardo verso il paesaggio e contribuiscono al senso di serenità e di calma dell’insieme.
The circulation spaces and interior patios come in a palate of pastel shades and acid colours. Alternating pink, white and yellow set the overall spatial layout like signposting.
00The colours in the individual spaces emphasise the structures, add depth to the rooms, raise the heights, draw us towards the landscape and help instil a sense of overall peace and quiet.
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Dal monastero all’ospedale immerso nel verde Hospitals in History
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ella storia dell’architettura occidentale l’edificio ospedaliero, nella sua primaria definizione, risale all’incirca a dieci secoli fa. Precedentemente, l’ammalato trovava assistenza presso i familiari, nell’ambito dello spazio domestico, la cui organizzazione e il grado di accoglienza sono condizionati dal livello socioeconomico dell’ammalato. L’ospedale, come struttura collettiva, non nasce come luogo autonomo, ma sorge all’interno dei monasteri. Una delle prime strutture è documentata nel progetto del monastero di San Gallo, la cui pianta relativa all’edificazione è presente in una pergamena del IX secolo. Il fatto che tali strutture nascano in ambito religioso si spiega col fenomeno dei grandi pellegrinaggi. In ambito urbano, la cura degli anziani e dei malati è affidata ai diversi ordini religiosi che si prendono cura soprattutto di persone afflitte da estrema povertà. Gli hospitalis sono sostanzialmente di due ordini: quello dedicato all’assistenza dei vecchi e degli inabili e quello che prevede l’accoglienza di persone colpite da gravi malattie infettive, ricoverate in lazzaretti posti lontano dai centri urbani. Anticipato nel progetto del monastero di San Gallo, il tipo edilizio dell’ospedale si compone di un grande spazio unitario con una pianta sostanzialmente rettangolare e caratterizzato da una notevole altezza, spesso simile a quella delle chiese. I letti di degenza sono disposti lungo il perimetro della sala, a volte sistemati in gallerie in grado di assicurare un minimo di riservatezza. Gli ambienti di servizio: stanza per i salassi, gabinetto medico e le abitazioni del personale sanitario sorgono in altre aree. Vi sono inoltre fienili e stalle, in grado di assicurare la necessaria autonomia alimentare. Il grande salto evolutivo della struttura ospedaliera avviene nel Rinascimento. Uno dei modelli più innovativi è rappresentato dall’Ospedale Maggiore di Milano. Realizzato nel XV secolo, il progetto è presente nel Trattato di architettura (1461-64) di Antonio di Pietro Averulino, detto il Filarete (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale). Il Filarete, oltre a essere progettista dell’Ospedale Maggiore (istituito nel 1456 dal duca di Milano Francesco Sforza, fondatore della Magna Domus Hospitalis, detta Ca’ Granda), ne diresse anche i lavori di costruzione fra il 1457 e il 1465, in collaborazione con l’ingegnere Guiniforte Solari, già responsabile del cantiere della Certosa di Pavia. Per la sua avanzata impostazione tipologica, l’Ospedale Maggiore è stato per alcuni secoli modello di innovazione per l’Italia ma anche per tutta l’Europa. La struttura, di notevoli dimensioni, ha svolto funzione ospedaliera fino agli anni Quaranta del secolo scorso. Durante la Seconda guerra mondiale, nell’estate del 1943, subisce pesantissimi bombardamenti. Dopo il conflitto mondiale il complesso viene restaurato e trasformato in sede dell’Università degli Studi di Milano. Lo schema planimetrico della Ca’ Granda è formato da un rettangolo composto da dieci spazi quadrati uguali (un chiaro il riferimento simbolico all’iconografia religiosa). Al centro del rettangolo, è posta la chiesa. Le zone laterali, costituite da edifici a pianta a croce ricor-
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dano la sofferenza cui sono soggetti i malati. Indubbiamente in anticipo sui tempi, l’arredo: a ciascun letto corrisponde un armadio a muro con una piccola ribalta, da utilizzare come tavolo. Sono inoltre previsti un gran numero di servizi igienici (destri) con soluzioni avveniristiche per l’epoca. In seguito, l’architettura ospedaliera si evolve gradualmente. La scienza medica appronta nuove metodologie curative, nuovi farmaci e nuove strumentazioni tecnologiche riducono i tempi di permanenza all’interno delle strutture. Ciò che invece tarda a svilupparsi è la configurazione architettonica dell’edificio. Fino alla prima metà del XIX secolo, l’ospedale è composto sostanzialmente da un unico corpo di fabbrica. E’ solo intorno al 1850 che iniziano a sorgere complessi formati da padiglioni separati che assicurano sufficiente isolamento fra ammalati cronici, infettivi, da chi invece è destinato a cure meno complesse. E’ in quegli anni dunque che si affaccia all’orizzonte una nuova tipologia ospedaliera tuttora ampiamente diffusa. L’importanza sociale dell’ospedale ha rappresentato una sfida importante anche per grandi maestri dell’architettura come Alvar Aalto e Le Corbusier. Entrambi appartenenti al Razionalismo, ma con risultati progettuali assai diversi. Il maestro finlandese fautore di un linguaggio fra purismo e architettura organica, mentre Le Corbusier costantemente immerso in una sintesi ossessivamente contaminata da influssi fra astrattismo pittorico e funzionalismo. Costruito a cavallo fra gli anni Venti e Trenta, il sanatorio di Paimio (Finlandia) presenta alcune innovazioni sia nella distribuzione degli spazi interni sia nella progettazione delle attrezzature per la persona: per esempio, i particolari lavandini, realizzati con una forma raccordata che riduce al massimo il rumore di scorrimento dell’acqua. L’involucro architettonico presenta finestre a nastro di matrice razionalista, un ingresso asimmetrico e il tetto a forma lobata. Il progetto per un ospedale a Venezia impegna un Le Corbusier verso la fine della sua vita. Si tratta di un importante concorso internazionale. Il progetto dettagliato viene completato nel 1964 (Le Corbusier morirà un anno dopo). Tra le varie innovazioni, spicca la soluzione delle stanze di degenza, celle individuali caratterizzate dall’assenza di finestre. La luce entra attraverso aperture superiori composte da un sistema che regola l’intensità dell’illuminazione solare. La ricerca verso nuove forme di accoglienza e di innovazione architettonica non si ferma. E’ una sfida cui gli architetti contemporanei non possono sottrarsi. Renzo Piano propone diverse soluzioni. Per esempio, il superamento dell’ospedale a padiglione che, se da una parte assicura la necessaria separazione fra reparti fra loro incompatibili, obbliga degenti e personale a tempi di percorrenza a volte troppo lunghi. Piano pensa inoltre a una struttura a scala umana: edifici non troppo alti e con non più di trecento posti letto. Strutture immerse nel verde, da realizzare fuori dal centro della città, valorizzando così le periferie urbane. Carlo Paganelli
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ospitals in their primary function date back to about ten centuries ago in the history of western architecture. Before that people were looked after by their families at home when they were ill, so the treatment they received depended on the socio-economic conditions in which the ill person lived. Hospitals as communal facilities were not originally set up as separate places, they were actually built inside monasteries. One of the very first facilities is referred to in the project for San Gallo Monastery, whose plan is depicted on a parchment from the 9th century. The fact that structures like this were developed in a religious setting is explained by the phenomenon of major pilgrimages. In the city, elderly people and the sick were cared for by various religious orders, which mainly looked after the very poor. Hospitalis came in two basic kinds: those caring for the elderly and people who could not look after themselves, and those taking in people with serious infectious illnesses accommodated in places well away from city centres. First envisaged in the project for San Gallo Monastery, the hospital building was composed of one single unitary space with a basically rectangular plan and almost as tall as a church. The beds were set around the edge of the hall, sometimes in galleries providing at least some privacy. The service areas: a room for blood-letting, a medical chamber and living quarters for the medical staff were located elsewhere. There were also barns and stables to guarantee an independent food supply. The great step forward in the design of hospital facilities took place during the Renaissance. “Ospedale Maggiore” in Milan was one of the most innovative designs. Built in the 15th century, the project is mentioned in the Trattato di architettura (Architecture Treatise) written in 1461-64 by Antonio di Pietro Averulino, known as Filarete (Florence, Biblioteca Nazionale Centrale). As well as designing Ospedale Maggiore (commissioned in 1456 by the Duke of Milan, Francesco Sforza, the founder of Magna Domus Hospitalis, known as Ca’ Granda), he also supervised the building work carried out between 1457-1465 in conjunction with the engineer Guiniforte Solari, who had already worked on constructing the Certosa in Parma. Ospedale Maggiore’s cutting-edge design meant it was a model of innovation for Italy and the rest of Europe for centuries. This big structure was still being used as a hospital until the 1940s. During the 2nd World War it was bombed heavily in summer 1943. In the wake of the war, the facility was renovated and converted into part of Milan University campus. The layout of Ca’ Granda is a rectangle composed of ten square spaces all the same size (a clear symbolic reference to religious iconography). There was also a church right in the middle of the rectangle. The side areas, composed of buildings with cross-shaped bases, were
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designed to evoke the suffering the sick were going through. The furnishing was very definitely ahead of its time: each bed had its own wall cabinet with a small shelf to be used as a table. There were also plenty of hygiene facilities (lavatories) featuring very futuristic designs for the period. Hospital architecture then slowly evolved. Medicine devised new forms of treatment, new drugs and new technological instruments to reduce the length of hospital stays. What, in contrast, took a long time to progress was the architectural layout of hospital buildings. Until the first half of the 19th century, hospitals was basically composed of one single structure. It was only around 1850 that complexes started to be constructed composed of separate pavilions keeping the chronically ill and people with infectious diseases away from those requiring less complicated treatment. That was when a new kind of hospital started to be built, still widely used. The social importance of hospitals made them an important challenge for the great masters of architecture like Alvar Aalto and Le Corbusier. Both exponents of Rationalism, they came up with quite different designs. The Finnish master drew on an idiom poised between purism and organic architecture, while Le Corbusier was constantly enveloped in his own synthesis obsessively contaminated by input from pictorial abstraction and functionalism. Built on the cusp of the 1930s, Paimio Sanitary (Finland) featured several innovations in both the layout of the interiors and design of hospital instruments: for example, the details of the washbasins designed to dampen the sound of running water to a minimum. The architectural shell features rationalist-style strip windows, an asymmetric entrance and lobe-shaped roof. Le Corbusier was busy working on a project for a hospital in Venice until he died. He completed the detailed project for this important international competition in 1964 (Le Corbusier died a year later). Its various innovations included strikingly designed beds and individual cubicles with no windows. Light flowed in through upper apertures constructed around a system for controlling the brightness of the sunlight. The quest to devise new forms of accommodation and architectural innovation has never stopped. Modern-day architects must also take up this challenge and Renzo Piano has, indeed, come up with various designs. For example, moving beyond the pavilion-style layout of hospitals, which, although keeping various incompatible wards separate, does force patients and staff to cover excessive distances. Piano has envisaged something on a person-friendly scale: buildings which are not too tall and with no more than threehundred beds. Facilities surrounded by greenery to be constructed outside the city to enhance the suburbs.
1. Pianta del Monastero di San Gallo in Svizzera, IX sec. Plan of the San Gallo Monastery, Switzerland, 9th century. 2. Filarete, pianta del/plan of the Ospedale Maggiore di Milano (1457-1465). 3. Alvar Aalto, pianta del/plan of the Paimio Snatorium (1928-1933). 4. Le Corbusier, pianta del/plan of the Ospedale Civile di Venezia (1964).
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MF=L=JF9D;ALQ Agora Dreams and Visions
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o letto il testo del curatore. E’ veramente un testo strampalato! Fa pensare a quel celebre romanzo di Mark Twain (Innocents Abroad, 1869) sul viaggiatore americano sbarcato in Europa che vede la storia e la civiltà con un occhio talmente ingenuo da risultare, alla fine, esilarante. Già il titolo del testo “Spaghetti Palimpsest” la dice lunga. La tesi è che “Rome is sprawling as much as any city in the world. The only thing constraining it is its geography” Certo – per Aaron Betsky – è indubitabile che un certo magnetismo i suoi monumenti (“The Vatican and the coliseum, the monument to Victor Emmanuel and the EUR, the Piazza del Popolo and the Piazza Navona” – messi in questo ordine, come fossero riquadri di una cartolina) lo esercitino. Però siccome l’unica realtà di Roma, come qualunque altra città di oggi è il disordine urbano dello sprawl e siccome ogni idea razionalizzatrice e di indirizzo è diventata da tempo politicamente scorretta, per il curatore l’unica cosa da fare è rappresentare o meglio: “riorganizzare le rappresentazioni”. (“Then we arrive at a simple realization: all that can be done is to rearrange representations. In so doing we will offer visions”). Molti degli architetti invitati, soprattutto quelli di provenienza olandese, offrono nuove rappresentazioni, usando tecniche già viste da anni come associare il numero delle telefonate dallo stadio quando c’è un evento mediatico a delle mappe urbane. Questa forma di rappresentazione dei dati diventa una lente di lettura dei fenomeni territoriali che a volte determina bei disegni, raro è che porti a scelte forti e interessanti. Devo dire che non tutti gli architetti invitati aderiscono completamente a questa impostazione di “riorganizzazione delle rappresentazione” suggerita da Betsky. Gli studi romani, forse perché reduci dalla mostra “Quindici Studi Romani” (all’Auditorium di Roma e alla Galleria “Come se” nel marzo 2008) mi avevano chiesto un parere sul lavoro espositivo che si accingevano a iniziare. Cercando su internet avevano trovato pochissimo su “Roma interrotta” (la mostra del 1978 ai mercati Traianei a cui, come tutti sanno, questa “uneternal Rome” alla Biennale si ispira) e tra i pochi interventi recenti avevano seguito in video una mia lunga relazione dal titolo “Roma ininterrotta” che avevo tenuto nel 2003 per un congresso scientifico sulla pianta del Nolli (The Studium Urbis, Allan Ceen, coordinatore). Il senso della mostra voluta da Giulio Carlo Argan “Roma interrotta” è storico, sostenevo. Infatti attraverso quella mostra si aprì un decennio nel quale il tema del “contesto” in generale, e della “città storica” in particolare diventò uno dei paradigmi fondamentali della ricerca architettonica. In quella fase gli architetti cercavano di capire come operare nelle smagliature della città già costruita, cominciavano a essere convinti che la fase dell’espansione, insieme al modello di sviluppo industriale che l’aveva generata, era in crisi. Il confinamento arbitrario dentro la città storica disegnata dal Nolli nel XVIII secololo rappresentava una provocazione intellettuale, ma anche apriva la riflessione a un modus operandi che diventerà importante negli anni successivi. Non si dimentichi, tanto per fare un esempio, la grande stagione che inizia in quegli anni della ricostruzione dell’Iba berlinese e tutto il dibattito architet78 l’ARCA 240
Di seguito presentiamo il commento di Antonino Saggio, architetto e acuto critico di Roma, sulla mostra “Uneternal City. Trent’anni da ‘Roma interrotta’” in svolgimento alla 11a Biennale di Architettura di Venezia. The following text is a comment by Antonino Saggio, Rome-based architect and sharp critic, upon the exhibition “Uneternal City. Thirty years from ‘Rome interrupted’”, which is on view at 11th Venice Biennial of Architecture. tonico gravitante sul tema del contesto in chiave soprattutto revivalistica, ma anche concettuale (per esempio si ricorderà il progetto di Venezia Cannaregio di Peter Eisenman alla Biennale del 1978). Roma dunque attraverso la mostra “Roma interrotta” si poneva trenta anni fa a “punto di riferimento”, a laboratorio di un possibile rapporto con il già costruito e con la storia. E non a caso uno dei libri manifesto di questa idea, fu il fortunato volume Collage City. Riflettevo con gli architetti romani invitati alla mostra della Biennale di quella centralità di una idea di Roma nel 1978 e di quale potesse essere il valore esemplificativo e interessante anche per altre situazioni metropolitane mondiali della Roma oggi. Era quindi la mia una posizione esattamente opposta a quella del curatore. Betsky sostiene che Roma è uneternal (non è affatto eterna, unica, particolare) ed è in fondo come tutte le altre città, io credo e sostengo invece che molte città sono assolutamente uniche!, se si capiscono, e Roma è certamente una tra queste. Ora, quale idea Roma può lanciare innanzitutto a se stessa e poi anche ad altre città, oggi, quale è una sua stimolante peculiarità? In molte occasioni occasioni mi ero soffermato sull’origine etrusca di Roma, sul suo conservare nelle viscere della propria storia questa idea del matrimonio organico tra natura e architettura. Una idea, anzi una realtà (visto che le nuove scoperte archeologiche lo confermano) sul cuore etrusco e quindi “anti romano” di Roma. Roma non è affatto città romana, città fondata sulle regole geometriche e militari del castrum che domina natura e territorio. Roma è città che combina architettura e natura in un fare avvolgente, organico, stratificato e sezionale. Ed ecco perché di gran lunga la più affascinante esposizione alla mostra del 1978 fu l’opera di Paolo Portoghesi che proiettava il paesaggio etrusco laziale sulla città storica e da questa faceva nascere dei possibili organici disegni urbani. Insomma ragionando con gli architetti emerse che una delle grandi particolarità di Roma (altro che “riorganizzazione delle rappresentazioni”!), sono i grandi cunei verdi che entrano sino al cuore stesso della città seguendo le valli, i fiumi, i costoni tufacei del suo territorio vulcanico. Roma è città tra le più verdi del mondo, ma non solo, Roma vive questo rapporto tra natura, architettura, archeologia, storia e anche espansioni periferiche in maniera del tutto unico e rara! Con questo tema – in gergo, i cunei – lasciai la riunione con gli architetti. Non volli partecipare alle riunioni successive con il curatore per non interferire e non sarei forse tornato sulla questione se il direttore de l’Arca non mi avesse chiesto questo breve commento. Oggi vedo gli esiti degli architetti in un dvd abbastanza completo. In alcuni riconosco la vitalità e lo sviluppo di quelle idee, applicate di volte in volta a sotto temi stimolanti. Per esempio, il concetto di attivazione dei margini di Claudia Clemente e Francesco Isidori Labics, il concetto di Arcipelago e di Ecovoids di Susanna Ferrini, Antonello Stella n! studio. Questo ultimo progetto, per esempio a me sembra offrire un’idea particolarmente interessante, e tutta di sostanza, su come combinare la particolarità urbana di Roma ai temi della sostenibilità e a quelli di un uso anche agricolo intensivo del suolo. Un insieme di temi che proprio da Roma potrebbero ripartire per influenzare il pensiero e l’azione di tante città nuove che stanno nascendo in giro per il mondo. Antonino Saggio
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read the curator’s text and it turned out to be really weird! It calls to mind that famous novel by Mark Twain (Innocents Abroad, 1869) about an American travelling around Europe, who has such a naive view of history and civilisation that it is actually quite exhilarating in the end. The title of the text, “Spaghetti Palimpsest”, says it all. The theory is that “Rome is sprawling as much as any city in the world. The only thing constraining it is its geography.” Of course – according to Aaron Betsky – its monuments are undoubtedly quite captivating (“The Vatican and the coliseum, the monument to Victor Emmanuel and the EUR, the Piazza del Popolo and the Piazza Navona” – written in that order, as if they were little pictures on a postcard). But since the only actual fact about Rome, just like any other modern-day city, is its disorderly urban sprawl, and since for some time now any kind of carefully devised idea of rationalisation or setting guidelines has been politically incorrect, the only thing to do according to the curator is to represent or rather “reorganise representations”. (“Then we arrive at a simple realization: all that can be done is to rearrange representations. In so doing we will offer visions”.) A number of the architects invited to take part, particularly those from the Netherlands, have suggested new representations using familiar techniques, such as mapping the number of phone calls from a stadium holding a media event onto an urban map. This form of representing facts becomes a way of slowly interpreting territorial phenomena, sometimes causing disturbances but rarely producing powerful and interesting results. It needs to be pointed out that not all the architects taking part fully complied with Betsky’s idea of “rearranging representations”. The firms from Rome, possibly because they had just taken part in the “Fifteen Roman Firms” competition (at the Rome Auditorium and “Come se” Gallery in March 2008) asked for my opinion about the exhibition about to take place. Searching the Internet they had found virtually nothing about “Roma interrotta” (the 1978 exhibition held at the Traianei markets, which, as everybody knows, was what actually inspired the “uneternal Rome” biennial exhibition) and of the very few recent commentaries on it, they had taken a look at a video clip of a long speech entitled “Roma ininterrotta” I gave at a science conference about Nolli’s urban plan (The Studium Urbis, Allan Ceen, coordinator). I claimed that the exhibition commissioned by Giulio Carlo Argan entitled “Roma interrotta” was historical in its intentions. In actual fact, that exhibition marked the start of a decade during which the issue of “context” in general and the “historical city” in particular became one of the basic guidelines for architectural experimentation. During that period architects tried to work out how to find their way around built cities, they began to believe that the expansion phase (and the industrial development model underpinning it) was going through a crisis. The way it had been arbitrarily bounded within the historical city by Nolli in the 18th century was deliberately intellectually stimulating, but it also caused people to ponder over a modus operandi destined to become extremely important over the coming years. Just as an example, it is worth remembering the great period of reconstruction of the Iba in Berlin that began back then, and all the architectural debate surrounding the issue of context in a mainly revivalist key
but also developed along conceptual lines (e.g. Peter Eisenman’s Venezia Cannaregio project at the 1978 Biennial). So thirty years ago the “Roma interrotta” exhibition project turned Rome into a benchmark, a testing ground for possible interaction with the built environment and history. And, hardly surprisingly, one of the manifesto books about this idea was the highly successful Collage City. Along with the architects involved in the biennial exhibition I reflected on the central importance of that idea of Rome devised back in 1978 and on what kind of striking example it might be for other metropolitan situations of worldwide importance in Rome today. So my stance was quite the opposite to the curator’s. Betsky claims that Rome is uneternal (it most certainly is not eternal, unique and special) and is basically just like any other city; I, on the other hand, believe and maintain that lots of cities are absolutely unique! And Rome is most certainly one of them. So what idea can Rome now suggest first and foremost to itself and then to other cities, what are its most stimulating features? On several occasions I have pointed out the Etruscan origins of Rome, and the way it still holds onto this idea of an organic combination of nature and architecture deep within its entrails. An idea or, rather, a matter of fact (bearing in mind the latest archaeological discoveries confirming it) concerning its Etruscan “heart” and hence the anti-Roman-ness of Rome. Rome most definitely is not a Roman city, a city grounded on the geometric and military rules of the castrum, which dominates nature and the land. Rome is a city combining architecture and nature in an enveloping, organic, layered and sectional way. And that is why easily the most fascinating exhibition at the 1978 show was Paolo Portoghesi’s, which projected the Etruscan landscape of Latium onto the historical city and from this created the possibility of various organic urban designs. So, pondering over matters with the architects, it came to light that one of the most distinctive traits of Rome (much more significant than just “rearranging representations”!) are the giant green wedges penetrating right into the heart of the city itself, following the valleys, rivers and tufaceous ridges of its volcanic landscape. Rome is one of the greenest cities in the world, moreover Rome experiences these relations between nature, architecture, archaeology, history and even its expanding suburbs in its own very unique way! While on this topic – referred to in jargon as wedges – I left the meeting with the architects. I did not want to take part in the forthcoming meetings with the curator so as not to interfere, and I probably would not have gone back onto the subject if the editor of l’Arca had not asked me to make a few brief comments on it. I can now study the results achieved by the architects in a rather comprehensive DVD. Some of their work develops on these ideas, applied to stimulating subtopics. For example, Claudia Clemente and Francesco Isidori Labics’ idea of invigorating the suburbs, the concept of an Archipelago and Ecovoids developed by Susanna Ferrini, Antonello Stella n! studio. This latter project, for instance, seems to me to provide a particularly interesting idea (of real substance) about how to combine the distinctive urban features of Rome with issues concerning sustainability and also intensive farming of the land. A set of issues which, starting from Rome, could influence the thoughts and actions of so many new cities emerging around the world. 240 l’ARCA 79
Roma non utilizza più le sue naturali risorse e la cultura di tante generazioni per creare monumenti che rappresentino la memoria collettiva della sua stessa gente. La ragione per cui la Roma suburbana sta perdendo le sue peculiarità giace nel fatto che ognuno si concentra soltanto su come può individualmente trarre di più vantaggio sfruttando le risorse della città. Questo non è un problema che riguarda solo Roma, ma un problema comune che le città del mondo condividono. Super Star_ A mobile China Town è la città cinese del futuro, un pianeta magnete autogeneratosi dall’implosione della cultura cinese contemporanea. Non vi è qui alcuna legge gerarchica ma solo fusione tra l’enorme inflazione dell’ego e le piccolissime utopie individuali. E’ un città implosiva, capace di interagire e scambiare con l’ambiente in cui si ferma. Nomade galleggiante tra mito e storia, tra produzione e consumo, tra polemiche e intrattenimento, tra natura e artificio, tra densità e scarsità. Ogni strada ora conduce al nuovo pianeta-pluricittà, indipendentemente se ci si trovi nella periferia romana e se si sia partiti da un marciapiede di New York, dal sole di Dubai o da sotto il cielo scuro di Shanghai.
SUPER STAR A MOBILE CHINA TOWN MAD OFFICE
Rome no longer makes use of its natural resources and the culture of so many generations to create monuments representing the communal past of its own people. The reason why suburban Rome is losing its distinctive features lies in the fact that everybody now focuses solely on how they can individually exploit the city’s resources. This problem does not only affect Rome, it is a common problem afflicting the world’s cities. Super Star_ A mobile China Town is the Chinese city of the future, a magnetic-planet which self generates from the imploding culture of modern-day China. Here there is absolutely no hierarchical law, just a fusion between a massively inflated ego and tiny individual utopias. This is an implosive city capable of interacting and exchanging with the environment in which it comes to rest. A floating nomad between myth and history, production and consumption, polemics and entertainment, nature and artifice, density and scarcity. Every road now leads to the new multi-city planet, regardless of whether you are in the suburbs of Rome or on a sidewalk in New York, in the sunshine of Dubai or beneath the dark skies of Shanghai.
Credits Project: Mad office Project Team: Ma Yansong, Yosuke Hayano, Qun Dang, Chen Shuyu, Tom James, Zach Hines, Andy Chang
80 l’ARCA 240
240 l’ARCA 81
82 l’ARCA 240
La mappa di Giambattista Nolli del 1748 descrive una città, non definita dalla qualità degli edifici, ma dalla qualità dei vuoti, dei resi residui nel tessuto urbano. L’immagine di Roma presa da Google Earth appare dominata dalle grandi aree suburbane, da nuove città-satelliti e irregolari sviluppi, che creano altrettanto vaste aree di vuoti urbani. Oggi 17 nuove centralità sono in corso di progettazione al di fuori del Grande Raccordo Anulare. Invece di aggiungere ancora nuove aree edificate a territori suburbani già sparsi, si propone di densificare l’attuale area urbana. Le nuove centralità potrebbero formare una cintura urbana continua lungo il Grande Raccordo Anulare e diventare il nuovo confine della città di Roma. All’interno dell’anello le aree verdi vuote diventano nuove oasi ricreative nella realtà urbana. Il GRA sostituirà la cinta muraria della mappa di Nolli come una nuova periferia della città, permettendo a una nuova natura di invadere l’ambiente circostante. Orsi, lupi e fenicotteri che originariamente avevano abitato la zona, potrebbero ricomparire nella nascente foresta, mentre Roma si trasformerebbe in un nuovo tipo di metropoli, una super-compatta rinascita della storica città murata. Una città con una zona limitata, ma a densità illimitata. Gradualmente “Roma Ltd” aumenterà la qualità della vita pubblica allo stesso tempo riducendo la sua impronta ecologica.
ROME LIMITED BIG-BJARKE INGLES GROUP
The map drawn by Giambattista Nolli in 1748 describes the city not in terms of the quality of its buildings but the quality of its empty spaces, leftovers on its urban fabric. The picture of Rome taken by Google Earth appears to be dominated by sprawling suburban areas, new satellite cities and irregular developments, creating so many empty urban spaces. 17 new central locations are currently being designed outside the Main Ring Road. Instead of adding new built-on areas to the sprawling suburbs, the idea is to densify the current urban area. These new central locations could form a seamless urban belt along the Main Ring Road and create a new boundary for the city of Rome. The empty landscaped areas inside the ring will become new recreation havens within the cityscape. The GRA will replace the belt of walls on Nolli’s map as a new city suburb, allowing a new kind of nature to invade the surrounding environment. The birds, wolves and flamingos, which once inhabited this area, might reappear in the newly emerging forest, while Rome would be transformed into a new kind of Metropolis, a super-compact rebirth of the historical walled city. A city with a bordered area of unlimited density. “Rome Ltd” would raise the standard of public life while, at the same time, reducing its ecological footprint.
Credits Project: BIG - Bjarke Ingles Group – Andreas Klok Pedersen, Bjarke Ingels, Pål Arnulf Trodahl
240 l’ARCA 83
Il progetto di estensione del cuneo Eco-Archeologico dell’Appia Antica nasce come risposta a un’esigenza abitativa di oltre 26.000 alloggi sociali nella capitale. Il parco dell’Appia Antica, oltre a essere la più vasta area archeologica al mondo, è un importante corridoio ecologico in divenire tra il Parco dei Castelli Romani e le Mura Aureliane, comprendente: il parco del Sette Acquedotti, la valle della Caffarella e la Tenuta Tormacina; i 6 km della Regina Viarum, le sorgenti di acque minerali, alcuni tratti superstiti del fiume Almone e ampie aree naturalistiche; ai bordi una brutale speculazione edilizia. Il ridisegno del fiume Almone unifica i due parchi completando un ecosistema unitario di oltre 50 km lineari e 20.000 ettari che riconnette l’antico Vulcano Laziale con il cuore di Roma. Innestando una serie di modelli adattativi di EcoCittà si aggrediscono e trasformano le aree di Santa Maria delle Mole, Ciampino e Capannelle, prese come esempi paradigmatici per mostrare come oggi i parchi possano includere anche brani di città sviluppati secondo i più avanzati criteri di sostenibilità. I nuovi modelli urbani si delineano come EcoCittà mediterranee aperte al paesaggio e in grado di fornire strategie efficaci per la riqualificazione di vaste aree periferiche degradate del Paese.
ECO-CITY GRAFITING
CENTOLA & ASSOCIATI The project to extend Appia Antica’s Eco-Archaeological wedge is designed to provide social housing for over 26,000 people in the capital. In addition to being the world’s largest archaeological area, Appia Antica Park is an important emerging ecological corridor between Castelli Romani Park and the Aurelian Walls, encompassing: Sette Acquedotti Park, Caffarella Valley and Tenuta Tormacina; the 6 km of Regina Viarum, the mineral water sources, some surviving stretches of the River Almone and spacious natural areas; all bordering on areas which have been subject to building speculation. Redesigning River Almone brings together the two parks to form a unitary eco-system stretching for over 50 km and covering 20,000 hectares, which reconnects old Latium Volcano to the heart of Rome. By incorporating a set of EcoCity adaptive models, the areas of Santa Maria delle Mole, Ciampino and Capannelle are taken on and transformed, viewed as paradigmatic examples showing how parks can now also encompass bits of the city developed along the latest sustainability guidelines. These new urban models show how Mediterranean EcoCities are open to the landscape and capable of providing effective strategies for redeveloping the country’s vast and dilapidated suburban areas.
Credits Project: Centola & Associati: Luigi Centola, Pia D’Angelo, Maura Gravagnuolo, Melanie Iorio, Domenico Manzione, Francesco Rizzo, Giulio Sterbini
84 l’ARCA 240
Sustainability and Energy Strategy: Multienergy: Jacob Adams, Franck Alvise, Rosa Sannita, Alfonso Senatore
La linea dei binari segna il territorio, incurante del paesaggio che la accoglie. Quando finalmente arrivano in città, i binari tagliano il tessuto urbano. Lo spazio tra il fascio di binari e il costruito è un luogo scavato, un lungo fiume artificiale che taglia la città. Il vento, la luce, il rumore, tutto qui è energia. Perché lasciare vuoto il fiume artificiale, perché non riempirlo della sua stessa energia e restituirlo alla città? Un dispositivo in realtà complesso, che pur mantenendo la leggerezza e l’ironia del gioco, diviene simbolico elemento cardine di un progetto a scala urbana. Una girandola capta i segnali provenienti dal sistemaferrovia: una videocamera interna raccoglie le immagini, un microfono registra i rumori, mentre le pale eoliche in PVC sono coperte di una membrana fotovoltaica. I dati intercettati vengono trasferiti a una ragnatela di cavi sospesi che invadono come un virus lo spazio fino ad allora vuoto, ne avvolgono le rive spandendosi poi fin dentro l’abitato. L’intreccio della ragnatela si condensa e intensifica in prossimità del costruito, si incastra nella città fino ad ancorarsi a essa. Dove i cavi toccano terra, l’energia riesplode su ampie piattaforme, divenendo in fine suono, colore, ologrammi onirici.
BEYOND TRACKS
DELOGU ASSOCIATI The tracks of the railway line mark the territory, oblivious to the landscape accommodating them. When they finally reached the city, the lines cut through the urban fabric. The space between the tracks and built environment is an excavated place, a long artificial river cutting across the city. Wind, light, noise, everything is energy here. So why leave the artificial river empty, why not fill it up with its own energy and restore it to the city? This is in fact an intricate device, which while keeping with the lightness and irony of play, becomes a key symbolic element in an urban-scale project. A windmill-device captures signals coming from the railway system: an internal video camera picks up images, a microphone record noises, while the PVC wind-powered propellers are covered by a photovoltaic membrane. The data intercepted is conveyed to a web of suspended cables, which invade the (until then empty) space like a virus, developing its banks and spreading out into the inhabited area. The web thickens and intensifies near the built environment, wedging into the city until it is anchored to it. Where the cables touch the ground, energy re-explodes across wide platforms, eventually turning into sound, colour, and dream-like holograms.
Credits Project: Delogu Associati: Francesco Delogu, Eleonora Frattali Project Team: Olimpia Allori, Andrea Maria Ardente,
Stefano Cacciapaglia, Michela Iori, Silvia Manzari, Giada Orsini, Lanfranco Pomobello, Ilaria Proietti, Sergio Siciliano, Andrea Tremanti
240 l’ARCA 85
Sempre di più l’uomo si appropria di spazi vuoti interpretandoli in modo autonomo senza schemi preordinati e senza obiettivi se non quello di mettere in scena la vita. Mercati spontanei, luoghi di incontro, promiscuità, baraccopoli si manifestano parallelamente allo sviluppo della città degli edifici che seguono la logica del mercato e del business. L’intento è quello di far emergere un processo spontaneo sottolineandone la caratteristica di trasversalità rispetto alle previsioni urbanistiche e sociali. Paracity delimita una città parallela che non è mai stata rilevata dove prolificano fenomeni di socializzazione parassitaria. Paracity non è un luogo, ma ha bisogno di un luogo, uno spazio i cui confini sono incompleti ma chiari, un luogo dove nascono nuovi punti di riferimento, dove tutte le energie possono manifestarsi, a cavallo tra Comunità e Individualità. Paracity è l’unico strumento per restituire a Roma la sua centralità culturale. E’ un nuovo modo di pensare la scenografia urbana modellando questo concetto sulla larga scala della tecnologia satellitare, è una scatola virtuale a forma di mandala che raccoglie tutte le energie generate dagli “uomini della città”.
PARACITY GIAMMETTA & GIAMMETTA
People are increasingly taking hold of empty spaces and interpreting them in independent ways, with no prearranged schemes or goals except to provide a stage for life. Spontaneous markets, meeting places, promiscuity, shantytowns, all emerge in conjunction with the growth of cities made up of buildings following the logic of markets and business. The idea is to bring out a spontaneous process, emphasising its transversal nature compared to urban-social plans. Paracity marks a parallel city which has never been recorded, following parasitic socialising phenomena... Paracity is not a place, but it needs a place, a space whose boundaries are incomplete but clear, a place where new reference points are emerging, where all the available energy can reveal itself, wavering between the Communal and Individual. Paracity is the only means of restoring Rome to the centre of culture. Paracity is a new way of envisaging the cityscape, shaping this concept to the extensive scale of satellite technology, it is a virtual box in the shape of a mandala, which gathers up all the energy generated by “city people”.
Credits Project: Giammetta & Giammetta: Marco e Gianluigi Giammetta Project Team: Luca Binarelli, Fulvio Biancatelli, Chiara Caldani,
86 l’ARCA 240
Sante Cerquozzi, Alessia Giannini, Luis Schilling, Stefania Paola Candelori, Andrea Stucovitz, Giorgia Buccino, Miro Marini, Adriano Lelli
Il GRA è l’esempio di periferia più vicino al concetto del Nolli di spazio pubblico continuo e viene qui re-immaginato come un luogo liberato. Ritagliando i contorni delle concentrazioni di urbanizzazione lungo i suoi 68 Km, l’asse autostradale si dispiega in una potenziale linea retta che ricrea e riordina il contesto. Ne deriverebbe una linea in movimento libero rotatorio che collega le comunità abbandonate alla campagna trascurata, luoghi dell’antichità a enormi centri commerciali. Avendo associato l’identità della periferia al GRA, risulta però evidente che l’autostrada è in realtà un ostacolo per immaginare il futuro. Si potrebbe piuttosto considerare invece un anello ferroviario di 120 Km che, intrecciando il GRA, definisce e sviluppa gli spazi pubblici inutilizzati. Questo progetto è documentato in una serie di fotogrammi in cui i binari della vita nel futuro sono legati da un’immaginaria linea verde con treni che sfrecciano attraverso le periferie più rappresentative per rimodellarle, reinvestire in urbanistica e rivalutare la campagna.
OFF-CENTER ON-LINE
KONING EIZENBERG GRA is the kind of suburb which comes closest to Nolli’s idea of a seamless public space, and here it is re-envisaged as a liberated place. Trimming the edges of urban concentrations along its 68 km, the motorway stretches out in a potential straight line which recreates and rearranges its setting. This produces a freely rotating line connecting abandoned communities to the overlooked countryside and ancient places to giant shopping centres. Having associated the suburb’s identity to a GRA, it is obvious that the motorway is actually an obstacle to envisaging the future. An alternative might be a 120 km railway ring which, interweaving with the GRA, designs and develops unused public spaces. This project is documented through a set of snapshots in which in future the tracks of life are linked to an imaginary green line with trains flashing through the most representative suburbs in order to reshape them, reinvesting in town planning and re-evaluating the countryside.
Credits Project: Koning Eizenberg Project Team: Julie Eizenberg, Hank Koning, Nathan Bishop, Mohamed Sharif, Roderick Villafranca, Catherine Tang, Erica Chlad
Advisors: Margaret Crawford, Teddy Cruz, Diane Favro, Paulette Singley, Paolo Tombesi, Riccardo Vannucci
240 l’ARCA 87
La struttura di Roma è caratterizzata dalla infinita estensione dei suoi margini che, similmente alle figure frattali, si ripiegano più volte all’interno del territorio portando la condizione di marginalità – solitamente propria della periferia – all’interno, verso il centro della città. Una marginalità sociale, estetica e fisica che genera complessità e specificità nei rapporti tra interno ed esterno della città, tra urbanità e paesaggio, in una condizione che esemplifica l’immagine instabile che la città ha di se stessa. Borderline Metropolis usa la presenza pervasiva della condizione di margine e l’instabilità di Roma come punto di partenza per la ricerca di una strutturazione intrinseca alla città, che parte da un lavoro di analisi e mappatura dei margini, delle isole di costruito e dei vuoti del paesaggio approdando alla definizione di una rete aperta di organizzazione-trasformazione della città attraverso un processo di attivazione dei bordi. La Rete Neurale è una struttura critica in grado di attivare le parti più deboli del territorio e riconnetterle alla totalità della città; di verificare simultaneamente ogni trasformazione a differenti scale e di consentire una forma di organizzazione differenziata del territorio metropolitano. La Rete Neurale è un organismo che si oppone alla pianificazione tradizionale in quanto struttura aperta di organizzazione e connessione; superamento della forma chiusa del piano. La Rete Neurale è infine uno strumento per una rinnovata consapevolezza estetica del paesaggio urbano.
BORDERLINE METROPOLIS LABICS
The structure of Rome is characterised by its infinitely extending margins, which, rather like fractal figures, have folded over themselves several times within the landscape, thereby introducing marginality – usually only found in the suburbs – within its own realms, even by the city centre. Social, aesthetic and physical marginality which generates highly complex and specific relations between the inside and outside of the city, between the urban environment and landscape, in a state of affairs which exemplifies the unstable image which the city has of itself. Borderline Metropolis draws on the pervasive marginality and instability of Rome as a starting point for an attempt to try and structure the city based on a careful analysis and mapping of its margins, built-on islands and empty spaces on the landscape, eventually defining an open network for organising and transforming the city by activating its edges. This Neural Network is a critical structure bringing into play the weakest links of the territory and reconnecting them to the city as a whole; it can also simultaneously analyse transformation on every imaginable scale and allow the metropolitan territory to be organised in different ways. The Neural Network is an organism which opposes itself to traditional planning in that it is an open organisational-connection structure; moving beyond the closed form of planning. The Neural Network is, last but not least, a means of introducing a renewed aesthetic awareness of the cityscape.
Credits Project: Labics: Maria Claudia Clemente, Francesco Isidori
88 l’ARCA 240
Project Team: Dominique Rethàns (project leader), Susan Berardo, Leonardo Consolazione,
Laura Di Simone, Gaia Maria Lombardo, Domenico Santoro, Eileen Valenti
Il concetto residensity deriva dal morfing tra due ambiti differenti, quello della residenza intesa come luogo statico e privato e quello della densità derivante dai flussi delle nuove comunità urbane. L’acronimo fonde questi due livelli per sperimentare nuove forme dell’abitare i luoghi della città, interpretando la mappa dei “desideri” dei suoi abitanti. Il concetto di abitare si allontana dallo spazio domestico tradizionale per diventare sempre più inclusivo di temi e funzioni, passando da una dimensione privata a una più collettiva, integrando al suo interno gli spazi del lavoro, del tempo libero e della “rete”. Oggi si abita più il “fuori” della residenza che il “dentro” di ciò che identifichiamo con il domestico: abitare oggi significa vivere gli spazi collettivi della città o i territori virtuali della rete e delle nuove comunità urbane. I luoghi dove lo “scambio” e la comunicazione è massima, sia essa fisica o virtuale, divengono i luoghi più desiderati: i centri commerciali, i contenitori dello svago generano nuovi riti collettivi. Il progetto è un’architettura virale che si insinua nei luoghi, modificandoli fisicamente e producendo una nuova urbanità come cura benefica. Il virus è l’ibridazione di forme dell’abitare in questi luoghi del “desiderio”, sperimentando prototipi flessibili e temporanei che, innestandosi nell’organo-funzione, siano in grado di deformarlo per generare una nuova e inclusiva idea di domesticità.
RESIDENTITY n! STUDIO
The concept of “residensity” derives from the morphing of two different realms, housing taken as static and private places, and density deriving from flows of new urban communities. The acronym combines these two different levels to experiment on new forms of inhabiting the city, interpreting the map of its inhabitants’ “desires”. This concept of living is poles apart from the conventional idea of a domestic space, as it strives to include more and more issues and functions moving beyond the private realm to a more communal concept, incorporating within it the spaces used for work, leisure time and the “network”. Nowadays we live more “outside” the home than “inside” what we identify as the domestic realm: inhabiting now means experiencing the collective spaces of the city or virtual realms of the network and new urban communities. The places where “interaction” and communication are at their physical or virtual extremes become the most desired places: shopping malls, leisure facilities generating new collective rituals. This project is for a viral form of architecture which weaves its way into places, altering them physically and generating a new kind of urban setting as a beneficial cure. The virus is a hybrid combination of forms of living in these places of “desire”, experimenting on flexible and temporary prototypes, which, as they lock into the organ-function, are capable of deforming it to generate a new and inclusive idea of domesticity.
Credits Project: n!STUDIO: Susanna Ferrini, Antonello Stella Project Team: Stefano Battaglia, Simone Bove, Anna Hollstein, Paolo Rossi, Angelo Venturi
Collaborations: Fabrizio Romano, Marianna Mazzetta, Advisors: Marco Biuzzi, Cristiana Marcosano Dell’Erba
240 l’ARCA 89
Una città-non città, che superi la figuratvità dell’urbanistica tradizionale – l’architettura della città disegnata – e le modalità caotiche e autoclonanti con cui la metropoli contemporanea aggredisce e divora il territorio imponendo la dittatura del pieno. Si mira al riscatto del vuoto da una condizione di marginalità a nuovo sistema figurativo. Nasce il tema della città-paesaggio che in opposizione al tema del tradizionale tessuto-figura e alla speculatività delle volumetrie analoghe e autoclonanti, struttura la propria esistenza sulla negazione di qualsiasi figuratività della presenza, restituendo la scena al vuoto e all’assenza come struttura informale ed emergente. Il tema del vuoto-paesaggio è radicalizzato attraverso due opzioni estreme e complementari: la città infrastruttura e la città parco, due volti di un unico sistema in cui l’architettura costruisce nuove risposte all’imprescindibile richiesta di contenimento dei consumi e autogenerazione dei propri fabbisogni energetici.
TRANCITY NEMESI
A city-non city moving beyond the figurative nature of conventional town-planning – the architecture of designed cities – and the chaotic and self-cloning ways in which the modern-day metropolis attacks and devours the land, imposing the dictatorial reign of fullness. The aim is to make emptiness a new figurative system. This produces the issue of the landscape-city which, in contrast to the conventional figure-fabric and mirror images of similar self cloning structures, actually structures its own existence through the negation of any attempt to represent figurativeness, bringing emptiness and absence back into play as informal and emerging structures. The issue of the emptylandscape is radicalised through two extreme and complementary options: the infrastructure city and park city, two sides of one single system in which architecture provides new answers to the inevitable demand to keep down consumption and self-generate your own energy requirements.
Credits Project: Nemesi Studio Project Team: Michele Molè, Karin Bergher, Tiziana Destino, Gianluca Evels, Alessandra Giannone, Lorenza Giavarini,
90 l’ARCA 240
Paolo Greco, Eliana Mangione, Stefania Papitto, Alessia Tonnetti, Susanna Tradati, Luigi Valente Critical Hypothesis: Michele Molè, Valerio Paolo Mosco
Si è iniziato ipotizzando che un orso Marsicano arrivasse a piedi a Roma, trovando il percorso ecologico più naturale tra il Parco Regionale Sirente-Vellino e Piazza del Popolo. Nel processo si è riscontrato che il percorso comprende non solo gran parte degli habitat meno degradati della provincia, ma anche alcuni inusuali, sincronistici collegamenti tra la Roma urbana e il suo hinterland. Sono poi stati proposti specifici interventi per ricostruire in base alle storie e agli habitat possibili un paesaggio codificato: l’iscrizione del “Calendario Solare” definito dagli ultimi tramonti di Ottobre; una linea sotterranea di alimentazione che colleghi turbine eoliche e obelischi fotovoltaici sulla superficie lungo l’asse del Tramonto di Costantino; a sud della “Hydroseed Line” una fonte di energia solare che sostenga future aree residenziali e commerciali tra rinvigoriti habitat naturali; a nord della linea, una possibile futura espansione della esistente discarica, area di rimboschimento per sostenere l’incremento della fauna selvatica; un sistema a gravità per il trattamento di liquidi effluenti attraverso il trattamento delle zone umide, piscine di alghe, praterie native, foreste per produrre energia da biomassa; agricoltura a conduzione familiare e giardini comunali irrigati, la cui produzione alimenti le necessità della comunità. Luoghi immaginati nella speranza che diventino base per scrivere nuove storie sul territorio, stimolando i futuri residenti e forse aiutandoli a scoprire orizzonti fisici e cosmici ben più lontani in cui stanziarsi.
THE BEAR’S WALK NEW WEST LAND
The project began by envisaging a Marsicano bear arriving in Rome on foot, finding the most natural ecological route from Sirente-Vellino Regional Park to Piazza del Popolo. During this process it was discovered that the route does not just include most of the least dilapidated habitats in the province but also some unusual, synchronistic links between urban Rome and its hinterland. Specific projects were proposed to reconstruct a coded landscape based on possible habitats and backgrounds: an inscription of the “Solar Calendar” set by the last sunsets in October; an underground supply line connecting windpowered turbines and photovoltaic obelisks on the surface along Constantine’s “Tramonto”; a solar energy source to the south of the "Hydroseed Line”, which will supply future residential and commercial areas in reinvigorated natural habitats; a possible future extension to the old waste dump to the north of the line, a re-wooded area to support the increase in wildlife; a gravity system for treating waste liquids by treating damp areas, pools of algae, native prairie lands and forests for generating energy from biomasses; family farm businesses and irrigated communal gardens, whose production will meet the community’s needs. Places envisaged in the hope they could form the basis for writing news stories about the land, stimulating future residents and possibly helping them to discover more distant physical and cosmic horizons in which to settle.
Credits Project: New West Land Project Leader: Clark Philipp Stevens Project Designer: Thomas De Voss
Project Assistant: Blake Bethards Project Assistants (Rome): Paride Piccini, Riccardo Gambi, Sara Angelini
Project Advisors: Cary Tomas Bellaflor, Luigi Centola, Charles Irving, Gina Sando, Lani Makua Yamasaki
240 l’ARCA 91
Originate dalla geografia dei luoghi, le forme virali emergono dal sottosuolo, stimolando la proliferazione di “anticorpi” in grado di aggredire il tessuto malato della città contemporanea, le sue disomogeneità qualitative, le ferite inferte sul suo corpo, le sue sacche di degrado. Gli “anticorpi” sono cellule proliferanti in grado di dare alla città ciò che oggi le manca maggiormente: luoghi d’incontro e di relazione, magneti che attraggono talenti, palcoscenici di liberazione dionisiaca della sua energia creativa. Il progetto individua i luoghi dove la forma virale del sotterraneo si espande in superficie integrandosi alla città in elevazione per rivitalizzare il sistema urbano. Nuove centralità che nascono nei luoghi di interconnessione fra la città di superficie e quella sotterranea. L’“emersione vulcanica” del sottosuolo da attività devastante diventa per Roma un fattore positivo, una nuova geoenergia per la riorganizzazione urbana. I luoghi scelti sono quelli delle occasioni da sempre mancate, da recuperare per rilanciare una città eterna, che cambia più velocemente del cuore di un mortale.
DIONISOCITY T-STUDIO
Deriving from the geography of different places, viral forms emerge from the subsoil to generate a proliferation of “antibodies” capable of attacking the ailing tissue of the modern-day city, its quantitative discontinuities, the wounds inflicted on its body, and its pockets of degradation. The “antibodies” are proliferating cells capable of giving the city what it most lacks nowadays: meeting and relational places, magnets capable of attracting talent, stages for a Dionysian liberating of creative energy. The project identifies places where the viral form of the underground expands onto the surface and into the city to revitalise its urban system. New central locations deriving from links between the surface city and underground city. The “Volcanic emersion” of the subsoil from devastating activities turns into something positive for Rome, a new source of geo-energy to reorganise the cityscape. The chosen locations are those where opportunities have always been missed, places to be recuperated in order to re-launch the eternal city, which changes faster than the heart of a mere mortal.
Credits Project: T-Studio: Guendalina Salimei, Francesca Contuzzi, Giancarlo Fantilli, Roberto Grio, Mariaugusta Mainiero, Giovanni Poglianil, Renato Quadarella
92 l’ARCA 240
Project Team: Beatrice Amodeo, Gianni Carletti, Alessandra De Berardis, Alessandro Di Clemente, Monika Dinkel, Silvia Frezza, Andrea Greco, Martina Mattia, Marco Montagliani,
Luisella Pergolesi, Dea Politano, Carmen Scarilli, Virgilio Vincis Advisors: Consuelo Nava, Rosario Pavia, Erminia Sciacchitano, Eutecne, Roma Sotterranea
L’esperienza urbana di Roma ribadisce e riafferma il timore e al contempo l’ammirazione dell’uomo verso l’idea stessa di città, ma tutto ciò è spesso confinato a una piccola area del centro, luogo congestionato e affollato che spinge i visitatori attraverso le sue vene come un corpo sottosforzo di un cuore affaticato. Questo progetto è un antidoto alla soffocante esperienza di Roma, cura per il suo cuore malato, rimedio per il suo spirito. Un luogo meta di tutti i romani e non romani, rifugio per uno stanco residente così come di un turista sfinito, un nuovo differente modo di viaggiare. Questo sarà il luogo di mille incantevoli esperienze lungo il fiume Aniene che chiameremo la “Valle del Desiderio”. Questo spazio sarà ispirato alla vita dei poeti latini, definito dalle metafore plasmate dalle loro parole e dalla loro sensibilità e tradotto in opere architettoniche. La valle del fiume Aniene sarà trasformata. Diverrà la nuova importante destinazione nella Regione di Roma, diversa, eccitante e provocatoria come la città, ma piena di sorprese di natura diversa. Sarà un luogo magico, un percorso con molteplici esperienze fisiche e spirituali, dal profondo relax alla catarsi dello spirito.
VALLEY OF DESIRE WEST 8
The urban history of Rome confirms and underlines man’s fear and, at the same time, admiration for the very idea of a city, but all this is often confined to just a small area in the city centre, a congested and overcrowded place which drives visitors along its veins like the tired heart of a stressed-out body. This project is an antidote to the suffocating experience Rome has been through, a cure for its ailing heart, a remedy for its tired spirit. A landmark place for all the people of Rome and elsewhere, a refuge for tired residents and exhausted visitors, a new and different way of travelling. This will be inspired by the lives of Latin poets, defined by the metaphors shaped by their words and sensibility and translated into works of architecture. The valley of River Aniene will be transformed. It will become a new and important destination in the Rome region, different, exciting and stimulating like the city itself, but full of different kinds of surprises. It will be a magical place, a pathway offering lots of physical and spiritual experiences ranging from deep relaxation to an invigorating of the spirit.
Credits Project: West8 Project Team: Adriaan Geuze, Pieter Hoen, Sander Lap, Joris Weijts, Igor Saitov, Marco Van Der Pluym
240 l’ARCA 93