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www.arcadata.com
La rivista internazionale di architettura, design e comunicazione visiva The international magazine of architecture, design and visual communication
SPAZI DEL LAVORO WORK SPACES GUEST EDITOR MARIO PISANI
SPAZI DEL LAVORO WORK SPACES GUEST EDITOR
MARIO PISANI Mensile Monthly Testo italiano e inglese Italian and English text IVA assolta dall’editore - Periodico mensile - Poste Italiane Spa Sped. in A.P. D.L. 353/03 (conv. in L. 27.02.04, n° 46), art. 1, c. 1, - LO/MI
A €19,00 - P €14,90 - B €17,50 D €22,00 - NL €19,50 - UK GBP 18,00
€9,00
04/2012 279 ITALY ONLY
IDENTITÀ DELL’ARCHITETTURA ITALIANA THE IDENTITY OF THE ITALIAN ARCHITECTURE
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Cesare Maria Casati
l’ARCA INTERNATIONAL
l’ARCA INTERNATIONAL
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innegabile che stiamo tutti vivendo un periodo particolarmente preoccupante, che vede un forte contrasto tra le politiche democratiche e sociali dell’Europa e il mondo finanziario mondiale, sempre più improntato al predominio dell’economia virtuale su quella reale. Questa situazione genera di conseguenza una disarmonia di valori che sta coinvolgendo, almeno a mio parere, anche il mondo della comunicazione e della creatività. Tutto non è più come prima: la velocità con cui circolano immagini e notizie, grazie alla rete, non consente più tempi di riflessione e obbliga necessariamente a decisioni e reazioni veloci e immediate; giornali e riviste danno sempre più informazioni già conosciute e cercano di supplire, al poco tempo che i lettori dedicano alla loro lettura, con contenuti concentrati in pillole più o meno colorate; i social network consentono ormai facili comunicazioni dirette senza filtri da e verso chiunque; i rapporti tra architetti, designer e artisti con il loro clienti, proprio per la facilità di fare confronti immediati in tempo reale, diventano sempre più di tipo competitivo, con conseguente aumento di tensione creativa e impegno. Date queste premesse credo che l’Arca abbia concluso gli impegni annunciati venticinque anni fa, quando abbiamo promesso, rispettando poi gli impegni, contenuti e informazioni provenienti da tutto il mondo, proprio per consentire ai lettori la possibilità di conoscere in tempi brevi le idee e le teorie progettuali e creative sempre più aggiornate, senza filtri di tendenze culturali o griglie preconcette tipiche di alcune saccenti riviste che si definiscono “colte”. Avevamo iniziato nel 1986 in un mondo senza Internet e senza software di progettazione e immediatamente ci siamo adeguati alla nuova Rete creando tra i primi anche il nostro portale arcadata.com; e senza interruzioni abbiamo continuato ad adeguarci nel modo migliore ai cambiamenti della comunicazione. Ora, però, credo sia giunto il momento, anche per noi, di cambiare sostanzialmente non il mezzo, ma il modo. Prima di tutto l’editore ha deciso un cambio sostanziale al timone: ha chiamato tre giovani architetti (Niccolò Baldi, Matteo Citterio e Joseph di Pasquale), anche loro contagiati dal virus della comunicazione, ad affiancarmi, e ho deciso che siano loro, questa volta in prima linea, dandogli totale libertà di scelte grafiche e concettuali, di riprogettare completamente la rivista: nuova testata per l’edizione italiana, nuovo formato, nuova periodicità, nuove carte e una unica edizione internazionale. Con il prossimo numero di maggio tenteremo quindi una nuova via di comunicazione, che non competa con la rete, ma ne diventi un completamento interconnesso per consentire nuove emozioni e sollecitazioni, dando la possibilità di riflettere leggendo e poi, se si vorrà, commentare. Sarà finalmente un giornale sovranazionale, che verrà editato nel Principato di Monaco e da lì diffuso nel resto del mondo in tre lingue. La qualità nelle idee, nel progetto, nell’arte, nella scuola, nelle analisi della storia, nella comunicazione visiva sarà l’unico criterio selettivo che impegnerà noi e le redazioni, una a Milano e l’altra a Montecarlo, con l’assistenza di un formidabile Comitato Scientifico, a essere sempre più obiettivi e aggiornati, per dare origine finalmente a un vero miglioramento e a una futura social-architecture ricca di valori, come l’arte e la bellezza per tutti e non per pochi. Appuntamento al mese di maggio.
e are unquestionably going through an extremely worrying period in history characterised by powerful clashes between Europe’s democratic and social policies as world finance continues to focus more on virtual economics rather than the real economy. This situation is bringing about a real discord in values, which, at least in my opinion, is also affecting the world of communication and creativity. Nothing is as it was: the speed with which news and pictures circulate, thanks to the Web, no longer allows us any time to think and forces us to make fast decisions and instantaneous reactions; newspapers and magazines increasingly provide information that has already been broadcast and attempt to compensate for the fact that readers now devote very little time to reading by focusing their content in short and more or less ‘colourful’ little articles; social networks now allow easy and direct communication with anybody without any filters; relations between architects, designers, artists and their clients are becoming increasingly competitive due to the ease with which instantaneous confrontations can be made in real-time, resulting in greater creative tension and engagement. Taking all this into account, I believe that l’Arca has fulfilled the commitments it first announced and began twenty-five years ago, promising and then providing articles and information from all over the world, so that its readers can be kept up-to-date with new design/creative theories and ideas without resorting to the kind of cultural trends or preconceived layouts typical of certain magazines that describe themselves as "educated" and knowledgeable. We first began back in 1986 in a world without the Internet and without design software, and then immediately adapted to the new Network being among the first to create our own website arcadata.com. We subsequently went on to constantly adjust as best possible to changes in communication, but I now believe the time has come, even for us, to radically change not our means but our manner of communication. First and foremost, our publisher has decided to change course dramatically: he has asked three young architects (Niccolò Baldi, Matteo Citterio and Joseph di Pasquale), who have also contracted the virus of communication, to work alongside me, and I have decided that they should take full responsibility for totally revamping the magazine, this time working in the front line and having complete freedom in terms of the choice of graphics and ideas. A new magazine for the Italian edition, a new format, new schedule, new paper and one single international edition. Starting with next May's issue we will be setting off along a new path of communication that is not in competition with the Web, but actually links up with it to provide fresh input and emotions, providing people with the chance to think about what they are reading and then, if they so desire, to add there own comments. It will finally be a supranational journal edited in the Principality of Monaco and then published around the rest of the world in three languages. The quality of ideas, projects, art, education, historical analysis and visual communication will be the only selection benchmark forcing us and the editorial staffs, one Milan and the other in Monte Carlo, backed up by a formidable Scientific Committee, to be increasingly objective and up-to-date, in order to finally raise the bar and provide a social architecture of the future that is rich in values like art and beauty, available to everybody and not just a selected few. The deadline is the month of May.
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hanno collaborato / collaborators LORENZO CAPOBIANCO LUCIA GALLI M.TERESA IANNACCONE PIETRO FANTOZZI LUCA NICOTERA ALESSANDRA SGUEGLIA MARIA LUNA VETRANI progetto e realizzazione grafica / design ARTEFATTO - ROMA MAURO FANTI MANUELA SODANI
fogliando le pagine dei quotidiani o ascoltando i tg delle varie emittenti assai spesso veniamo presi dallo sconforto. Il cervello si rifiuta di accettare le informazioni ricevute. Le notizie che riguardano l’etica e attaccano il senso comune. Di fronte all’ineluttabilità dei fatti e allo stato di impotenza, ci avvolge una nube di tristezza. Solo l’età avanzata frena il desiderio di cambiare scenario ed emigrare, fuggire dallo stato delle cose che ammorba l’aria e la rende irrespirabile. Non appare essere una risorsa gettarsi negli studi, cercare con la mente di esplorare nuovi percorsi. Vigile torna l’interrogativo: quale Paese lasceremo ai nostri figli? Troppi elementi che riguardano l’Italia, in questi insopportabili anni che stiamo vivendo, la fanno somigliare alla progressiva agonia di un naufrago, alla narrazione di un venir meno dei pilastri che tengono insieme le società e un loro prossimo crollo. Eppure, come ci rammenta Italo Calvino, in questa sorta di inferno che ci avvolge e abbrutisce l’anima, occorre trovare la forza per cercare elementi, tracce, impronte di ciò che non è inferno. Provare a distinguere nel caos dell’inverno della cultura ciò che non appartiene a quella stagione. Anzi, ciò che è capace di indicare in nuce nuovi possibili percorsi, nonostante la tristezza che ci abbatte perché, per uno strano paradosso, e forse come in altri periodi della storia recente, è proprio dal letame che nascono i fiori, come rammentano i versi di una bella canzone di Fabrizio De André. Roberto Saviano ha scritto su La Repubblica che “una buona idea ha spazio”. E di seguito ha citato l’Italia di Adriano Olivetti e della sua valida équipe che “lontana dal clima depressivo del «non c’è più niente da fare» costruì una fabbrica vincente al Sud, a Pozzuoli, realizzando alloggi per gli operai con vista mare per farli vivere meglio. La fabbrica Puteolana, in pochissimo tempo, diventò la più produttiva del territorio. Quindi si può. Ci sono moltissime potenzialità, persino laddove sono costrette al lavoro nero”. Nel secondo dopoguerra gli anni di Olivetti, il magnifico utopista, sono anche quelli della sconfitta del Fronte Popolare, dell’integralismo democristiano, dell’invettiva contro il “culturame”, del governo di Mario Scelba. Anni però in cui l’architettura italiana seppe esprimere straordinari capolavori ad opera di Luigi Moretti, Franco Albini, Ignazio Gardella, Mario Ridolfi, Gio Ponti, maestri che non si sono ciecamente piegati all’ortodossia del modernismo. Anzi hanno saputo anticipare il dibattito internazionale. Oggi i maestri riflettono sul fallimento dei grandi quartieri di edilizia pubblica. I giovani leoni hanno scoperto che il cinismo non paga, mentre il diffondersi di eventi che pongono al centro l’architettura raramente aprono spazi all’affacciarsi di una nuova generazione. Eppure, come abbiamo provato a fare grazie all’ospitalità offerta dal direttore de l’Arca, questa generazione che spesso è costretta a emigrare – come i Tamassociati che realizzano le loro opere in Africa, e che ha scoperto le potenzialità dell’ibrido e della mescolanza di culture diverse, come l’avellinese Maurizio Zito e la giapponese Hikaru Mori – è in grado di misurarsi egregiamente con il fare architettura. Sia in singoli interventi – come ad esempio la Domus Technica Immergas a Brescello di Iotti e Pavarani, la sede del Ribera del Duro a Burgos di Barozzi e Viega, la casa per vacanze nella campagna di Noto di Grasso Cannizzo – che con spazi pubblici di qualità come la parete per l’arrampicata di Cino Zucchi e Park Associati. Le impronte che abbiamo scovato, e di sicuro altre che si potrebbero individuare, formano nelle diverse tipologie proposte una sorta di città del sole e soprattutto stanno lì ad attestare che sta per finire il tempo della frustrazione e del rimpianto. Al contrario sta venendo avanti, certamente con mille difficoltà ed inauditi intralci, una generazione – quella dei Lopes, dei Zuc-
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chetti, dei D’Ascia, di Gri e Zucchi, di Oliva, di Cappai e Segantini – che vuole mettersi alla prova e soprattutto realizzare. La crisi che stiamo vivendo ha anche sviluppato e fatto crescere una sorta di stanchezza, se non ancora un vero e proprio rifiuto, verso quelle opere segnate dall’opulenza e dallo spreco, un’architettura che punta a sorprendere e a meravigliare, pensata per richiamare l’attenzione di giurati costretti a esaminare centinaia di proposte, e spesso in una sola giornata. Opere pensate per ottenere il clamore e apparire sui quotidiani, fatte di lusso e meraviglia, che hanno dominato la scena negli ultimi vent’anni e che cominciano ad apparire datate. Esistono anche le impronte, certamente ancora leggere, che comportano uno sforzo per essere individuate, di committenti che hanno imparato a loro spese quanto sia effimera la luce riflessa delle star internazionali, quelle che fino a qualche anno or sono era sufficiente nominarle per reperire risorse e oltrepassare i numerosi filtri delle commissioni comunali. Appaiono lievi impronte e avanza un nuovo modo di pensare anche per la pianificazione della città. I primi fermenti si possono individuare in un
IDENTITÀ DI / BY DELL’ARCHITETTURA MARIO ITALIANA PISANI
ampio spettro di riflessioni che ponevano al centro l’insufficienza concettuale della logica funzionalista, avuta in eredità dalle teorizzazioni del Movimento Moderno. Una serie di personaggi posti di fronte alla necessità di governare nella concretezza le città come Oriol Bohigas a Barcellona, Richard Rogers a Londra, Joseph Paul Kleiheus e Hans Stimmann a Berlino, Bernardo Secchi in Italia, si sono fatti portatori di nuove idee capaci di avviare una diffusa revisione critica che ha posto al centro il futuro delle città, con l’idea di ridurre la quantità della crescita – anzi con Serge Latouche si parla di decrescita. Il territorio è una risorsa pregiata in quanto finita e non riproducibile. Occorre ridurre gli interventi a vantaggio della qualità, coniugando più strettamente la pianificazione urbanistica con l’eccellenza di nuove architetture. In questi esigui spazi si è inserita una nuova generazione di progettisti consapevoli che l’ambiente che abbiamo creato ci condiziona. Ci permette di riconoscerci come membri di una comunità mentre ci spinge al rifiuto quando ciò che ci circonda è alienante. Come ha scritto Benedetto Gravagnuolo “la città è l’immenso archivio in cui sono sedimentati non solo i tipi, le forme e le tecniche del costruire, ma anche i miti, i simboli e i sogni dell’immaginario collettivo. Nella scena urbana il passato si mostra in presenza, nella tangibile evidenza dei monumenti sopravvissuti alle distruzioni dell’uomo e alla calamità del tempo. Il dovere etico di trasmettere questo prezioso retaggio storico alle future generazioni ha spinto la parte più raziocinante della cultura architettonica non tanto a opporsi all’evoluzione tecnologica in nome di un idilliaco ritorno alla civiltà pre-moderna, quanto piuttosto a guidare le trasfor-
mazioni urbane, sottoponendo le energie tecniche e finanziarie della modernizzazione a un progetto di armonia”. Come può articolarsi questo progetto di armonia? In primo luogo investendo nella cultura perché può darci le risposte che cerchiamo come, per esempio, sull’inserire un nuovo testo in un contesto, in assonanza o in voluta dissonanza con il palinsesto preesistente. Proprio dalle proposte che abbiamo individuato avanza la necessità di una inversione di tendenza dovuta all’eccessivo consumo di suolo agricolo. La crisi ci offre l’opportunità di costruire una società più giusta e democratica, “una società di abbondanza frugale, fondata sull’autolimitazione dei bisogni. È questo il programma della decrescita, l’unica ricetta per uscire positivamente e in modo duraturo dalla crisi di civiltà che viviamo. La società della sobrietà (…) vorrà dire lavorare meno per vivere meglio, consumare meno ma meglio, produrre meno rifiuti, riciclare di più: insomma, inventare la propria felicità nella convivialità piuttosto che nell’accumulazione frenetica ”. Forse è proprio di questo ciò di cui avvertiamo il bisogno.
––––––––––––––––– P.S. Questo inserto non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di un gruppo di amici come Lorenzo Capobianco, Pietro Fantozzi, Lucia Galli, Maria Teresa Iannaccone, Luca Nicotera, Alessandra Sgueglia, Maria Luna Vetrani e tutti gli architetti che ci hanno fornito i materiali sapientemente impaginati da Manuela Sodani. A tutti loro va il mio più sincero ringraziamento.
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licking through the newspapers or listening to the TV news on the various channels is often very depressing. Our brains refuse to accept the information they receive. News about ethics contradicts our common sense. But faced with the inevitability of the facts and our state of impotence, we are inevitably shrouded in a cloud of sadness. Only our elderliness reins in our desire to have a change of scene and emigrate, escape the way things that poisons the air and makes it impossible to breathe. Burying ourselves in our studies and striving to explore new pathways with our heads does not seem to be an option. The same old question keeps cropping up: what kind of country will we leave to our children? Too many things about Italy during this unbearable period in time we are going through make it seem rather like the slow agony of a shipwreck, a story of how the columns holding together our societies are suddenly faltering and on the verge of crumbling. And yet, as Italo Calvino reminds us, in this sort of hell surrounding us and darkening our soul we need to find the strength to find certain elements, traces and imprints of what is not infernal. We must try and distinguish amidst the chaos of this “cultural winter” (inverno della cultura ) what does not belong to this period in time. Indeed those things capable of pointing us in a possible new direction, despite the dispiriting sadness, because, due to some strange paradox and perhaps just like other periods in recent history, flowers blossom in the manure, as the words of a wonderful song by Fabrizio De André remind us.
Roberto Saviano wrote in La Repubblica newspaper that “there is room for a good idea”. And then he went on to talk about Italy back in Adriano Olivetti’s day and his valiant team, who, “far from the depressing climate of “there is nothing to be done” managed to build a successful factory in Pozzuoli in the south of Italy, also constructing housing for the workers with sea views to make their life more enjoyable. The Puteolana factory soon became the most productive in its area. So something can be done. There is plenty of potential, even where there are only under-the-table jobs.” . The post-Second World War years of that magnificent Utopian dreamer Olivetti was also the period of the defeat of the Popular Front, Christian Democrat fundamentalism, abuse against “culturame” and Mario Scelba’s government. The period when Italian architecture produced some extraordinary masterpieces designed by Luigi Moretti, Franco Albini, Ignazio Gardella, Mario Ridolfi and Gio Ponti, masters of architecture who refused to just blindly conform to Modernist orthodoxy. On the contrary, they kept one step ahead of international debate. Nowadays the masters are reflecting on the failure of major public building districts. The young lions have discovered that cynicism does not pay, while the spread of events focusing around architecture rarely open up spaces for a new generation to emerge. And yet, as we have tried to show thanks to the hospitality offered by the editor-in-chief of l’Arca, this generation which is often forced to emigrate – like the Tamassociati team who work in Africa and have dis-
THE IDENTITY OF THE ITALIAN
ARCHITECTURE covered the potential of a hybrid mix of different cultures, and also the architect from Avellino Maurizio Zito or the Japanese architect Hikaru Mori – is more than capable of measuring up to the demands of constructing architecture. Both in individual works – like, for example, Domus Technica Immergas in Brescello designed by Iotti and Pavarani – and in high-quality public spaces such as the free climbing wall designed by Cino Zucchi and Park Associati. The tracks we have uncovered (and others that certainly could be found) form a sort of Sun City through their various different stylistic designs and, above all, are concrete proof that this period of frustration and regret is about to end. Indeed, a generation is coming to the fore (the likes of Lopes, Zucchetti, D’Ascia, Gri and Zucchi, Oliva, Cappai and Segantini), although most certainly amidst all kinds of difficulties and unheardof complications, that wants to put itself to the test and, most significantly, actually create something. The crisis we are going through has actually engendered and accentuated a sort of weariness, although not yet actual complete rejection, of all those works characterised by opulence and waste, a kind of architecture designed to surprise and amaze, created to catch the eye of juries forced to study hundreds of proposals, often in the space of just one day. Works designed to cause a hubbub and make the papers, constructed in the name of luxury and wonder, which have dom-
inated the scene over the last 20 years and are now starting to look rather dated. There are even the first rather faint signs (although we have to make a real effort to actually notice them ) of clients who have learned at their own expense just how fleeting the light reflected off international stars is, those whose names merely need to be mentioned to come up with the resources required and sidestep any impediments from borough committees. There signs are still rather faint but a new way of envisaging the city is gradually emerging. The first faint traces of fermentation can be seen across a wide spectrum of thoughts, all focusing on the conceptual inadequacy of functionalist logic deriving from the theories of the Modern Movement. An array of key figures faced with the need to concretely govern cities, such as Oriol Bohigas in Barcelona, Richard Rogers in London, Joseph Paul Kleiheus and Hans Stimmann in Berlin and Bernardo Secchi in Italy, are introducing new ideas capable of bringing about wide-scale critical revision focusing around the future of our cities with a view to reducing the scale of growth – indeed in the case of Serge Latouche there is even talk of de-growth. The land is a precious resource because it is finite and nonreproducible. The number of new projects needs to be reduced in the name of quality, ensuring that town-planning is more closely tied to new architecture of the highest calibre. A new generation of designers has managed to find its way into these confined spaces, architects who are well aware that the environment we have created also constrains us. It allows us to acknowledge ourselves as members of a community, while it also forces us to reject everything around us that is alienating. As Benedetto Gravagnuolo wrote “the city is that immense archive storing not just the types, forms and techniques of building, but also its myths, symbols and the dreams of the collective psyche. The past reveals itself on the urban scene through the tangible presence of monuments that have survived human destruction and natural calamities down the ages. The ethical duty to pass on this precious historical legacy to future generations has forced the most rational side of architectural culture not so much to oppose technological progress in the name of some idyllic return to pre-modern civilisation as to guide their own transformations, subordinating the technical and financial energy of modernisation to a harmonious project “. So how will this harmonious project actually come about? First and foremost by investing in culture, because it can provide us with the answers we are looking for, such as, for example, the means of incorporating a new text in a context, in tune or deliberately out of tune with the existing palimpsest. The ideas we have just looked at clearly indicate the need for a turnaround due to the excessive exploitation of farmland. The crisis provides us with the chance to construct a fairer and more democratic society, “a society of frugal abundance, based on constraining our own needs. This is a plan for de-growth, the only recipe for emerging positively and on an enduring basis from the crisis in civilisation we are going through. A society of sobriety (…) will mean working less and living better, consuming less but more effectively, generating less waste and recycling more: in a nutshell, we need to invent our own happiness through conviviality rather than just accumulate things frenetically”. Perhaps this is, indeed, exactly what we need.
––––––––––––––––– P.S. This supplement would not have been possible without the help of a group of friends like Lorenzo Capobianco, Pietro Fantozzi, Lucia Galli, Maria Teresa Iannaccone, Luca Nicotera, Alessandra Sgueglia, Maria Luna Vetrani and all the architect who have provided us with the material that has been patiently and expertly laid out by Manuela Sodani. My sincere thanks go to all of them.
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BOLZANO
HEADQUARTERS SALEWA SPAZI DI LAVORO / SPAZI DI VITA LUCIA GALLI
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l margine sud della città di Bolzano è stato da poco ultimato il nuovo headquarter della Salewa, azienda leader di articoli per l’alpinismo. Colpisce la dimensione “topografica” più che edilizia dell’intervento che accoglie uffici, aule per riunioni, showroom, una sala per conferenze, magazzini automatizzati, ma anche una divisione per la ricerca e lo sviluppo, un asilo interno ed uno spazio fitness per i dipendenti, ed infine una palestra di roccia che si apre su un parco pubblico. La grande palestra di arrampicata, spazio pubblico aperto agli amanti del climbing, rappresenta una componente fondamentale del progetto, non solo per le caratteristiche tecniche, ma soprattutto perché testimonia la vicinanza dell’azienda committente al territorio che la ospita. L’intervento ubicato nella zona industriale di Bolzano, tra l’autostrada del Brennero e la vasta pianura agricola al confine sud della città, è stato oggetto di un concorso a inviti: il progetto vincitore, quello di Cino Zucchi Architetti e Park Associati, è stato scelto proprio per la capacità di rispondere alle richieste della committenza: creare un segno forte, di qualità, corrispondente all’immagine aziendale, in grado di confrontarsi con il contesto paesaggistico e di divenire “un luogo” della città. Risulta determinante per l’immagine complessiva dell’edificio la relazione che i diversi volumi instaurano con l’intorno, secondo le differenti condizioni di affaccio: da un lato il tessuto industriale e l’autostrada, con il suo traffico automobilistico a scala europea, dall’altro i campi con il disegno ordinato delle coltivazioni di vite cui fanno da sfondo le ripide pareti di roccia, il core business dell’azienda. Anche la distribuzione funzionale è stata dettata da questo dialogo continuo con il contesto. Sul lato nord l’intervento interagisce con il tessuto urbano industriale attraverso un grande atrio vetrato, posto al piano terra, che collega tra loro le funzioni “pubbliche” dell’edificio, aprendosi alla città sulla nuova strada che borda la zona industriale, mentre i volumi degli uffici a ovest e della palestra di roccia a est, costituiscono dei veri e propri landmark artificiali, che si relazionano con le montagne circoscrivendo uno spazio verde centrale. Il grande volume del magazzino che mette in relazione le diverse parti dell’intervento, è realizzato in struttura prefabbricata con lucernai a microshed e coronato da un giardino pensile scavato nella copertura. Anche nella scelta della palette di colori traspare la volontà dei progettisti di non mimetizzare l’architettura, ma di armonizzarla al paesaggio. Il rivestimento dei fronti più esposti al sole è realizzato in pannelli di alluminio forato, in tre diverse sfumature di grigio-azzurro. Questa “pelle” di alluminio è stata elettrocolorata, con una tecnica brevettata negli anni ’50, ormai in disuso per la scarsa omogeneità di resa, qui volutamente ricercata per ottenere una colorazione non uniforme ispirata alle pareti rocciose e in particolare a quella atmosfera nebbiosa che di sera fa appiattire il profilo delle montagne in un orizzonte di un grigio indefinito. La maglia di fori di diverso diametro presente sui pannelli è stata pensata per regolare l’intensità della luce da sud e da ovest, secondo le necessità dei diversi ambienti interni, mentre le ampie vetrate degli uffici rivolte a nord verso le montagne e i castelli, sono state pensate per ottimizzare l’uso di illuminazione naturale e offrire magnifiche viste negli ambienti di lavoro. L’headquarter, concepito in modo da essere quasi totalmente autosufficiente dal punto di vista energetico e dotato di un impianto fotovoltaico in grado di produrre più energia di quanta ne viene consumata, si è aggiudicato la menzione di CasaClima che ha premiato il progetto con una nuova classe energetica, il certificato Work and Life per edifici industriali. È il primo edificio commerciale a cui viene conferita questa certificazione in Italia.
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CINO ZUCCHI
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PHOTO ALBERTO SINIGAGLIA
PHOTO ALBERTO SINIGAGLIA
Località / Location Bolzano Committente / Client Oberalp s.p.a.m Inizio lavori / Beginning of work 2009 Fine Lavori / Construction 2011 Superficie / Surface 27.159 mq Volume / Volume circa 135.000 mc Torre / Tower Altezza quasi 50 metri / Almost 50 m high Impianto fotovoltaico / Photovoltaic system Potenza 450 kWel (L’impianto genera annualmente 520.000 kWh di energia elettrica evitando circa 335 tonnellate di emissioni di CO2) / Power 450 kWel (The plant annually produces 520,000 kWh of electricity to avoid about 335 tons of CO2 emissions)
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SALEWA HEADQUARTERS WORK SPACES / LIVING SPACES
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Palestra / Gym 2.000 mq di superficie d’arrampicata, altezza totale 24 m, circa 90 vie tracciate alte fino a circa 20 m / 2,000 m of climbing surface, total height 24 m, about 120 routes traced up to about 20 m high
he new headquarters of Salewa, a leading company in the field of climbing equipment, have just been completed in the southern outskirts of the city of Bolzano. The striking thing about the project is its “topographical” rather than building side. As well as hosting offices, meeting rooms, a showroom, conference room and automated warehouses, there is also a Research & Development Department, in-house kindergarten and fitness room for staff, not to mention a rock climbing wall overlooking a public park. The large free-climbing gym, a public space open to climbing enthusiasts, is a fundamental aspect of the project, not just due to its technical features but, above all, because it testifies to the client company’s commitment to the area in which it is located. The project, which is actually located in an industrial zone of Bolzano between the Brenner motorway and vast area of flat farmland, is on the southern border of the city and was the subject of an invitational competition: the winning project, designed by Cino Zucchi Architetti and Park Associati, was chosen due to the way it caters for the client’s requirements: to create a powerful highquality landmark mirroring the company’s image capable of interacting with the surrounding landscape and becoming a new city “location”. A crucial factor in the building’s overall image is the kind of interaction the various structures create with their surroundings, in accordance with the various different building fronts: on one hand, the industrial fabric and motorway with all its European-scale road traffic and, on the other, fields with their colourful layout of vineyards to which the steep rock walls, the company’s core business, provide the backdrop. The functional layout is also dictated by this constant interaction with the setting. on the north side project interacts with the industrial urban fabric through a large glass lobby on the ground floor connecting together the buildings “public” functions and opening up to the city along the new road bordering the industrial, while on the other hand the office facilities to the west and rock climbing gym to the east constitutes authentic man-made landmarks which interact with the mountainside circumscribing central area of greenery. The large warehouse bringing together the various parts of the project is made out of a prefabricated structure with micro-shedstyle skylights and the hanging Garden built into the roof on top. The choice of the palette of colours also reveals the designers desire not to camouflage the architecture rather blended into the landscape. The front is most exposed to sunlight are covered with perforated aluminium panels in three different shades of grey-skyblue. This aluminium “skin” has been electrically coloured using a technique patented in the 1950s, no longer in use because of its lack of uniformity in terms of results, here deliberately chosen to create a non-uniform shade of colour inspired by the rock walls and, in particular, for that hazy atmosphere which, in the evening, flattens out the outline of the mountains into an indeterminate grey horizon. The web of holes of varying diameter on the panels is designed to control the intensity of light from south to west, depending on the requirements of the various interior premises, while the wide glass office windows facing north towards the mountains and castles are designed to optimise the use of natural lighting and offer magnificent views across the work premises. The headquarters, which are designed to be almost totally self-sufficient from an energy viewpoint and equipped with a photovoltaic system capable of generating more energy than actually consumed, was awarded a given a special mention by CasaClima, which awarded the project a new kind of energy rating, the Work and Life certificate for industrial building. It is the first commercial building to be awarded this kind of certification in Italy. .
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GEZA
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FAGAGNA (UDINE)
NUOVA SEDE DI PRATIC LORENZO CAPOBIANCO
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Fagagna, in provincia di Udine, dove il paesaggio rurale dell’Italia dei comuni cede all’anonima atopia dei capannoni prefabbricati di un’operosa espansione industriale, l’“innocenza” con cui è proposta la nuova sede direzionale e produttiva di Pratic, azienda dei fratelli Orioli che da oltre cinquant’anni opera nel campo delle tende da sole, sollecita più di una riflessione sul tema dell’innovazione. Perché il “nuovo” è anche nella modalità dello sguardo se questa strada, percorsa dai progettisti (GEZA - Gri e Zucchi Architetti Associati) nel disegnare il nuovo edificio, può suggerire quel processo di rigenerazione attenta e silenziosa, ma quanto mai necessaria, per un territorio mortificato da una diffusa nonchalance edificatoria. La chiarezza dell’impianto scaturisce da una mossa insediativa che lavora su diversi piani di relazione stabilendo gerarchie funzionali e transizioni percettive. L’accostamento di due volumi semplici, reciprocamente rotati di quindici gradi, se da un lato è rivolto all’integrazione con il paesaggio circostante e alla percezione dell’edificio dalla vicina strada provinciale a scorrimento veloce, dall’altro, con un’immediatezza che genera stupore, determina un’ibridazione di spazi diversi capaci di raccontare l’unitarietà del disegno attraverso il passaggio dai luoghi deputati alla direzione e all’esposizione a quelli per la produzione vera e propria. Qui tutto, il sistema costruttivo, la scelta dei materiali e dei sistemi tecnologici, le soluzioni linguistiche e la distribuzione funzionale, è improntato alla massima semplicità e chiarezza nella definizione di un’intensa esperienza di ricchezza sensoriale raggiunta senza complessità o sofisticazioni. Il corpo più piccolo, circa mille metri quadri che ospitano gli uffici, si allinea alla strada provinciale rafforzando la sensazione di un paesaggio dinamico e orizzontale: un sottile parallelepipedo trasparente è sormontato da una lunga trave in calcestruzzo nero che, oltre a proteggerlo dal sole, ne esalta e amplifica il desiderio di relazione con un contesto ben più ampio. Un’elegante pensilina collega questo corpo allo stabilimento produttivo vero e proprio, risolto attraverso la studiata successione di elementi verticali a tutta altezza, ora vetrati, ora costituiti da elementi prefabbricati in graniglia di marmo o calcestruzzo nero. La relazione con la natura e il paesaggio è una costante e parte integrante di questo progetto: il disegno del grande parcheggio leggermente interrato, l’inserimento di un patio alberato a interrompere la continuità del corpo degli uffici, il raggiungimento dell’autonomia energetica, definiscono una sostenibilità della costruzione che coincide con il pregio architettonico. La qualità spaziale di questo intervento è, oltre che nella sapiente attenzione al dettaglio, soprattutto nella sensibilità con la quale sono concepiti gli spazi di relazione in senso lato, relazione tra persone, tra volumi e tra quelle aree ibride e informali di transizione dallo spazio pubblico a quello privato, che riesce a definire un nuovo luogo inscrivendo un progetto saldamente radicato nella cultura dell’architettura moderna, nel segno della ricerca contemporanea.
Località / Location Fagagna (UD) Committente / Client PATRIC F.lli Orioli S.p.A. Progetto / Design GEZA - Gri e Zucchi Architetti Associati Collaboratori / Collaborators Stefania Anzil, Fabio Passon Cronologia / Chronology progetto / project: 2008/2009 realizzazione / construction: 2009/2011 Superficie / Surface mq 45,000 - produzione/ production: mq 10,000 - uffici / offices: mq 1,000 - showroom: mq 550 - area caricoscarico / area loading-unloading: mq 2,700 - area verde / green area: mq 33,000 - area parcheggio / parking area: 120 posti / places Costi / Costs intervento complessivo: Euro 7,000,000 Fotografie/ Photos Fernando Guerra | FG+SG fotografia de arquitectura
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NEW HEADQUARTERS OF PRATIC
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he “innocence” with which the new management and production headquarters of Pratic (a company owned by the Orioli brothers for over 50 years now that operates in the field of awnings) has been developed in Fagagna in the province of Udine, where Italy’s rural landscape gives way to the anonymous atopy of prefabricated warehouses serving industrial expansion, provides plenty of food for thought on the topic of innovation. “Novelty” is also in the eye of the beholder judging by the approach adopted by the architects in designing this new building, hinting towards an attentive and silent regeneration process that is more necessary than ever in an area of land that has been literally mortified by widespread nonchalance in terms of building. The clarity of the building plan derives from interaction on various levels to create functional hierarchies and perceptual transitions. The combination of two simple structures, reciprocally rotated around fifteen degrees is, on one hand, aimed at fitting into the surrounding landscape and enabling the building to be seen from the nearby high-speed highway and, on the other, aimed at causing astonishment due to a hybrid combination of different spaces creating a unitary design through a sequence of premises serving management, exhibition and manufacturing purposes. Here everything from the construction system and choice of materials to the technological systems, stylistic features and functional layout is geared to the utmost simplicity and clarity in determining an intense experience of sensorial richness achieved without any complexity or sophistication. The smaller construction, approximately 1000 m² of offices, stretches alongside the provincial highway to reinforce the idea of a dynamic and horizontal landscape: a slender transparent parallelepiped is surmounted by a long black concrete girder, which, as well as providing some screening, enhances and amplifies a desire for interaction with the broader context. An elegant canopy connects this structure to the main manufacturing plant through a sequence of full-height vertical elements, some of which are glazed, others made of marble gravel prefabricated elements or black concrete. Interaction with nature and the landscape is a constant and integral part of this project: the design of the large, slightly underground car park, the incorporating of a tree-lined patio to break down the continuity of the office block, and the successful attainment of energy self-sufficiency, mean that the building‘s sustainability coincides with its architectural quality. Apart from the attention to detail, the spatial quality of this project lies, above all, in the sensibility with which the relational spaces have been designed in general, interaction between people, structures and those hybrid-informal transition areas in both the public and private space, which manages to create a new sense of place through a project deeply entrenched in modern architectural culture in the name of cutting-edge experimentation.
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ASSAGO (MILANO)
COMPLESSO RESIDENZIALE MILANOFIORI LUCA NICOTERA
P R E M I
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AWARDS
2010 EUROPEAN 40 UNDER 40 - MADRID 2011 OVERALL WINNER LEAF AWARDS - LONDON 2011 LEAF AWARDS FOR THE RESIDENTIAL BUILDING OF THE YEAR
PHOTO MARIELA APOLLONIO
C
hi pensa che le nuove generazioni italiane non possano imporsi sulla scena internazionale si deve ricredere. Lo studio OBR di Paolo Brescia e Tommaso Principi vi si è inserito a pieno titolo quale vincitore del prestigioso LEAF Awards 2011 (assegnato nelle precedenti edizioni a Hadid, Chipperfield, SOM e Holl) per il nuovo complesso residenziale di Milanofiori Nord ad Assago. “Dove finisce il giardino, e dove comincia la casa? Là dove il giardino comincia e la casa finisce”. In tale continuità Wright individuava l’espressione tipica del costruire moderno. Una continuità che in questo caso appare intuita. È dal ripensamento dell’ambiente abitativo come luogo intimo ed umano che si forma il senso di appartenenza degli abitanti. Muovendo da questa premessa, l’intenzione dei progettisti è stata quella di dare identità all’intervento mediante la fusione di elementi naturali e artificiali. I tre corpi di fabbrica, sviluppati su cinque livelli fuori terra, si dispongono secondo una forma a “C” intorno a una corte verde interna e sono contraddistinti da una sezione decrescente per favorire l’illuminazione naturale ai piani inferiori. Mentre il fronte su strada esibisce un’alternanza di pieni e di vuoti definiti dalla schermature scorrevoli dei loggiati, quello verso la corte pone attenzione al rapporto con il verde, determinando una reciprocità tra uomo e ambiente attraverso il legame, appunto, tra casa e giardino. Ognuna delle 107 residenze, infatti, è caratterizzata da una terrazza che affaccia sul parco interno. Tra terrazza e appartamento si colloca uno spazio-filtro, una loggia adibita a giardino d’inverno che assume la funzione di serra bioclimatica (elemento ricorrente nelle architetture degli OBR) dalla duplice valenza: architettonica, in quanto spazio di transizione ed estensione della casa verso il paesaggio; ambientale, vista la capacità di termoregolazione climatica nelle diverse stagioni. La leggera traslazione degli ultimi piani rispetto a quelli sottostanti e il trattamento difforme delle facciate continue danno vita, su queste ultime, a effetti caleidoscopici tra le immagini dei giardini interni ed esterni. Va da sé che questo sovrapporsi di interazioni provochi, tra edificio e ambiente, un’osmosi in continua evoluzione personalizzabile dagli abitanti, accrescendone così il senso di comunità. Un percorso verso un olismo naturale che lo studio ha sviluppato studiando tre temi: il rapporto tra nomadismo e stanzialità; il superamento del concetto di complesso residenziale collettivo e di unità d’abitazione a favore di un sistema polivalente interconnesso; il concetto di abitare il giardino. Quest’ultimo, in particolare, “per affrancarsi dalla presenza ipertrofica del domicilio”. Perché “nel giardino spazio e tempo si unificano, diventano continui, recuperando, evocandolo, il significato essenziale di abitare nel senso di ‘aver cura’”.
PHOTO MARIELA APOLLONIO
STUDIO OBR
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PHOTO MARIELA APOLLONIO
Località / Location Assago (MI) Committente / Client Milanofiori 2000 S.r.l. (Brioschi Sviluppo Immobiliare Group) Project Team OBR S.r.l. | Favero & Milan Ingegneria S.p.A. | Studio Ti S.r.l. | Buro Happold Ltd | Vittorio Grassi Design Team Paolo Brescia - Tommaso Principi - Chiara Pongiglione - François Doria - Laura Anichini Silvia Becchi - Antonio Bergamasco - Paolo Caratozzolo - Giulia D’Ettorre - Julissa Gutarra - Leonardo Mader - Elena Mazzocco Margherita Menardo - Paolo Salami - Izabela Sobieraj - Paula Vier Francesco Vinci - Fabio Valido - Barbara Zuccarello Project Management P&P S.r.l. - Luigi Pezzoli | Site surveyor Favero & Milan Ingegneria S.p.A.- Alessandro Bonaventura Contractor Marcora S.p.A. - Cile S.p.A. Cronologia / Chronology progetto / design: 2006 - realizzazione / construction: 2010 Dati dimensionali / Dimensional data slp 15.080 sqm
PHOTO MARIELA APOLLONIO
PHOTO MARCO INTROINI
PHOTO MAURIZIO BIANCHI
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NEW MILANOFIORI RESIDENTIAL COMPLEX
PHOTO MARIELA APOLLONIO
A
nybody who thinks that the latest generations of Italian architects are incapable of making a mark on the international scene needs to think again. Paola Brescia and Tommaso Principi’s OBR firm has proven its worth by winning the prestigious 2011 LEAF Awards (previous editions of which were won by Hadid, Chipperfield, SOM and Holl) for the new Milanofiori Nord housing complex in Assago. “Where does the garden finish and house begin? Where the garden begins and the house finishes”. Wright identified this kind of continuity as being a typical expression of modern building. A kind of continuity, which, in this case, seems to have been realised. The living environment has been rethought as an intimate and people-friendly place where the inhabitants’ sense of belonging is shaped. Working on this assumption, the designer’s intention was to instil the project with identity by melding together natural and artificial features. The three building structures, developed over five levels above ground set out in a “C” shape around the green internal courtyard and featuring a decreasing sized section to favour natural lighting on the lower levels. While the front along the road reveals an alternating combination of solid structures and spaces defined by the sliding shielding of the loggias, the front facing onto the courtyard focuses on interaction with greenery, creating reciprocal relations between people and the environment based on the aforementioned bond between the house and garden. Each of the 107 apartments has its own terrace overlooking the internal park. There is also a filter-space between the terrace and apartment, a loggia that functions as a winter garden and acts as a bioclimatic glasshouse (a leitmotif in OBR’s architecture) serving two different purposes: the architectural function of being a transition space and extension of the house out into the surrounding landscape; and an environmental function considering its climatic heat-control capacity at different times of year. The slight shift of the upper levels in relation to those below and the formal treatment of the curtain facades mean that the latter create kaleidoscopic effects between images of the internal and external gardens. It goes without saying that these overlapping interactions create a kind of osmosis between the building and environment that is constantly evolving and can be adapted to the inhabitants’ requirements, thereby enhancing the communal feeling. The firm has developed this leaning towards a kind of natural holism based on three main themes: interaction between nomadism and geographical stability; the ability to move beyond the concept of a communal residential complex and housing unit in favour of an interconnected multipurpose system; and the concept of inhabiting the garden. The latter, in particular, in order “to break free from the hypertrophic presence of the home”. Because “space and time are unified in the garden, becoming continuous, reviving and evoking the essential meaning of living in the sense of ‘caring’.”
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ONSITESTUDIO
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SEGRATE (MILANO)
FRIEM HEADQUARTERS LUCA NICOTERA
U
n requisito dei materiali è che di ognuno può essere colta la sua potenzialità immateriale. Dai progetti di Onsitestudio emerge, seppur in modo non manifesto, questo tipo di perizia. La disciplinata stereometria delle loro architetture si racconta attraverso specifiche scelte dei materiali e un oculato studio delle aperture. Nel caso del nuovo quartier generale della Friem a Segrate il gruppo di Angelo Lunati e Luca Varesi contrassegna il contesto con un episodio coeso, razionale ed espressivo il cui carattere è delegato al rivestimento in acciaio inox opaco, elemento distintivo del progetto. La scelta planimetrica delimita l’area d’intervento in un fuori (il confine stradale e gli spazi pubblici antistanti) e un dentro (il giardino privato). L’isolato viene così definito da un muro di cui l’edificio è continuazione. Il piano terra ospita i laboratori di ricerca e produzione mentre il primo piano gli uffici amministrativi. Questi si collocano in corrispondenza di due aggetti vetrati: il primo, a est, è un loggiato proteso verso l’esterno e “inscatolato” da una cornice rettangolare; l’altro, a sud, è un ballatoio che affaccia sulla corte interna. Il giardino, piantumato a betulla e convallaria, si sviluppa secondo forme più organiche tra il nuovo fabbricato e la parte produttiva preesistente che delimita l’area a ovest. La “L” del corpo di fabbrica assume una natura basamentale, compatta, enfatizzata verticalmente dalla torre della centrale termica. Qui l’involucro della parte superiore rivela la sensibilità dei progettisti: la pelle esterna si smaterializza e la sagoma delle lamiere d’acciaio, appositamente disegnate, da piena diventa porosa, lasciando intravedere i locali tecnici. Tale sensibilità la ritroviamo su tutti i prospetti dell’edificio. Il rapporto tra parti cieche e parti trasparenti, tra monoliticità e permeabilità, diviene la radice del progetto architettonico, che altro non è che la capacità, da parte di Lunati e Varesi, di declinare lo stesso secondo le potenzialità di composizione e scomposizione del materiale di rivestimento adottato. Le lamiere si frammentano così in una sorta di tenda, una tenda d’acciaio con diverse gradazioni di trasparenza (ora “puntinata”, ora secondo scansioni di tagli verticali più netti) che avvolge e conferisce eleganza all’intero edifico. Da dentro si ha la percezione di un paesaggio arabescato, intimo; l’attenzione verso i dettagli la ritroviamo nelle pareti interne in vetro acidato, che riproducono graficamente lo spartito frammentato dell’involucro esterno. Quest’ultimo, inoltre, assolve alla funzione di parete ventilata. Aspetto che premia la scelta degli Onsite, conferendo al volume un carattere unitario che permette al materiale di non esaurire il proprio compito nel suo solo valore estetico.
Località / Location Segrate (MI) Committente / Client Friem S.p.A. Progetto / Design Onsitestudio - Progettisti / Designers: Angelo Lunati, Luca Varesi - Design team: Thilo de Gregorio, Roberto Lamanna, Rossella Locatelli, Francesco Marilli, Mariana Sendas, Giulia Vrespa Area di intervento / Surface area 10.270 mq Superficie edificio / Building surface 2.100 mq Cronologia / Chronology - progetto / design: 2007-2008 realizzazione / construction: 2008-2009 Collaboratori / Collaborators CeAS S.r.l. (strutture), Primeco S.r.l. - Danilo Cavecchia (impianti meccanici), Primeco S.r.l. - Enrico Riccardi (impianti elettrici Foto / Photos Hélène Binet, Filippo Romano
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FRIEM HEADQUARTERS
A
requisite of materials is that it must be possible to capture their immaterial potential. Onsitestudio’s projects display this kind of expertise, although not in a blatantly obvious way. The carefully disciplined stereometrics of their architecture is embodied in the specific choice of materials and careful study of apertures. In the case of the new headquarters of Friem in Segrate, the team headed by Angelo Lunati and Luca Varesi has left its mark on the setting with a rational, expressive and cohesive construction, whose character is best expressed through the opaque stainless steel cladding, one of the project’s most distinctive features. The site plan is designed so that there is an outside (the road boundary and public spaces out in front) and inside (private garden) to the project. The block is defined by a wall of which the building is actually a continuation. The ground floor holds the research and production laboratories, while the first floor accommodates the administration offices. These latter are located by two glass overhangs: the first, over to the east, is a sort of loggia extending towards the outside and “boxed in” by a rectangular frame; the other, to the south, is a kind of gallery facing onto the internal courtyard. The garden, which is planted with birch trees and lilies of the valley, develops around more organic forms set between the new construction and old production section bordering along the west of the area. The “L” shape of the construction takes the form of a compact base structure, vertically emphasised by the Power Station town. Here the shell of the upper section reveals the architects’ sensibility: the outside skin dematerialises and the outline of the specially designed steel sheets turns from solid to porous, revealing the utility rooms. This same sensibility can also be found in all the building elevations. Interaction between the blank and transparent parts and between monolithic-ness and permeability lies at the very roots of the architectural design, which is nothing more than the embodiment of Lunati and Varesi’s ability to express the full compositional and decompositional potential of the chosen cladding material. The metal sheeting fragments into a kind of curtain, a curtain of steel featuring various degrees of transparency (“pinned” in some parts, with more clear-cut vertical cuts in other sections) enveloping and adding elegance to the entire building. From the inside you get the feeling of an arabesque-style landscape of great intimacy; attention to detail can also be found in the internal walls made of acid-etched glass, which graphically reproduces the fragmentary pattern of the outside shell. The latter also acts as a ventilated wall. This really rewards the approach adopted by Onsite, giving the structure a very unitary feel that allows the material to serve more than just aesthetic purposes.
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BRESCELLO (REGGIO EMILIA)
DOMUS TECHNICA IMMERGAS LUCA NICOTERA
S
emplicità e leggerezza. Caratteristiche apparentemente elementari dietro alle quali, nell’opera di Paolo Iotti e Marco Pavarani, si cela un profondo lavoro sul rapporto tra massa e materia. Nell’edificio Domus Technica Immergas di Brescello tali caratteristiche non si traducono in un annullamento della forma, ma, al contrario, in consistenza, identità, personalità, pulizia. L’opera ha il duplice merito di inserirsi alla perfezione nel contesto e di riscattarlo attraverso un’immagine ricercata e innovativa. Impianto, linguaggio e materiali, infatti, mirano a un’essenzialità che richiami la vocazione industriale del luogo (area di proprietà della Immergas). Il corretto gioco delle bucature e la felice composizione dei volumi traslucidi le conferiscono originalità e un respiro sommessamente internazionale (il rimando va al Moneo del Kursaal e a certa architettura giapponese). La struttura che accoglie il nuovo Centro di Formazione Avanzata della Immergas è concepita come un “laboratorio aperto”, uno spazio di lavoro e di accoglienza, con aule dedicate alla ricerca e alla sperimentazione delle più innovative tecnologie impiantistiche per il risparmio energetico e le risorse rinnovabili. Una “macchina” per l’innovazione, dunque, autosufficiente grazie all’utilizzo di impianti all’avanguardia nel recupero e riutilizzo dei fluidi primari caldi e freddi per soddisfare i fabbisogni energetici dell’intera costruzione. I volumi sfalsati si articolano su due livelli. Il piano terra ospita l’atrio, aperto verso l’esterno da ampie vetrate, le sale dimostrative e la centrale tecnologica per lo stoccaggio dell’energia, vero cuore della Domus Technica. Al primo piano trovano spazio una sala adibita agli incontri e una terrazza che assume le sembianze di un paesaggio artificiale; qui a parti pavimentate se ne alternano altre a tetto verde nelle quali sono integrati i pannelli solari e fotovoltaici. La base dell’edificio è costituita da uno zoccolo in lamiera di zinco che lo attacca a terra, mentre la parte superiore è rivestita con lastre in vetro U-glass. Queste, oltre a conferire al fabbricato un aspetto traslucido e compatto, reagiscono differentemente alle diverse condizioni luminose e atmosferiche trasformando il volume ora in una massa densa, ora trasparente, ora in una sorgente di luce. Inoltre svolgono anche una attività di termoregolazione, agendo come camera d’aria preriscaldata d’inverno e come facciata ventilata d’estate. A riprova che si possono usare materiali contemporanei senza troppi clamori autocelebrativi. Una dimostrazione di funzionale e discreto utilizzo della modernità a cui il lavoro di Iotti e Pavarani continua piacevolmente ad abituarci.
PHOTO ROLAND HALBE
Località / Location Brescello (RE) Committente / Client Immergas s.p.a. Progetto / Design Iotti + Pavarani Architetti Cronologia / Chronology progetto / design: 2009 - realizzazione / construction: 2010 Dati dimensionali / Dimensional data 800 mq Strutture / Structures Studio Associato GaspariniGualerzi-Teneggi; ing. Trussardi Impianti / Plant engineering Studio Termotecnici Associati; ing. Manghi P R E M I
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AWARDS
PREMIO NAZIONALE DI ARCHITETTURA ANCE IN/ARCH IV EDIZIONE PER UN’OPERA PROGETTATA DA UN GIOVANE PROGETTISTA UNDER 40 ANCE IN/ARCH IV NATIONAL ARCHITECTURE PRIZE FOR A WORK DESIGNED BY AN UNDER-40 PREMIO FONDAZIONE RENZO PIANO AD UN GIOVANE TALENTO RENZO PIANO FOUNDATION AWARD FOR A YOUNG TALENT
PHOTO ROLAND HALBE
IOTTI-PAVARANI
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PHOTO ROLAND HALBE
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DOMUS TECHNICA IMMERGAS
S
implicity and lightness. Seemingly basic traits that conceal some really in-depth work into the relationship between mass and matter in the work of Paolo Iotti and Marco Pavarin. These traits do not translate into a cancelling out a form in the Domus Technica Immergas building in Brescello, but, on the contrary, they turn into substance, identity, personality and clarity. This work has the twin merits of fitting perfectly into its setting and actually enhancing it through its elaborate and innovative image. The building plan, design idiom and materials attempt to create a kind of simplicity evoking the location’s industrial vocation (area owned by Immergas). The well-gauged interplay of holes and clever composition of translucent structures make it look original and softly international in its scope (it appears to allude to Moneo’s Kursaal design and a certain kind of Japanese architecture). The structure holding the new Immergas Advanced Training Centre is designed like an “open air laboratory”, a work and reception space with rooms devoted to research and experimentation into the most innovative plant-engineering technology for energy-saving and renewable resources. A “machine” for innovation that is self-sufficient, thanks to the use of cutting-edge systems for recovering and reusing primary hot and cold fluids to meet the entire construction’s energy requirements. The staggered structures are set over two levels. The ground floor holds the lobby, opening up towards the outside through wide glass windows, the demonstration rooms and high-tech power station for storing energy, the real heart of Domus Technica. The first floor accommodates a meeting room and terrace that looks like a man-made landscape; here paved sections alternate with other green-roofed sections incorporating solar and photovoltaic panels. The base of the building is composed of a zinc sheet metal block attached to the ground, while the upper section is clad with sheets of U-glass. As well as making the building look compact and translucent, these sheets react differently to different kinds of lighting and atmospheric conditions, either transforming the structure into a dense mass, transparent block or light source. They also serve a heat-control function, acting like a preheated air chamber in winter and ventilated facade in summer. All this goes to show that cutting-edge materials can indeed be used without resorting to excessive self-celebration. A demonstration of practical and unobtrusive use of modernity, to which we are now growing pleasantly accustomed thanks to Iotti and Pavarani’s work.
279 l’ARCA 13
ANDREA OLIVA
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BUDRIO (BOLOGNA)
LE EX TORRI DELL’ACQUA PIETRO FANTOZZI
A
ndrea Oliva, architetto laureato nel 1998, già dal 2001con la fondazione dello studio Cittaarchitettura rientra in quella categoria di giovani professionisti che ben dimostrano l’esistenza di un’impronta architettonica italiana sullo scenario globale. Il progetto per il recupero delle ex torri dell’acqua di Budrio (BO), realizzato tra il 2003 e il 2009 con Enrico Prandi e David Zilioli, è il risultato di una composizione bilanciata in cui l’obiettivo di rifunzionalizzare un edificio con una destinazione d’uso tanto specifica, trasformandolo nel nuovo centro culturale della città, diventa il mezzo per ricucire quelle tipiche porzioni di tessuto lacerate dall’imponente presenza di queste tipologie di archeologia industriale. Il punto di partenza, costituito dal rapporto dicotomico tra memoria della preesistenza e innovazione del progetto, crea un organismo solidale basato su una sequenza di contrasti e armonie, intelligentemente studiati. Lo spazio è costruito sull’alternanza tra ambienti ipogei e fuori terra, interni ed esterni, percorsi orizzontali e verticali, tagli di luce e pareti mobili verticali, il tutto per accompagnare il visitatore tra le attività collettive del centro, le zone di sosta e le aree appartenenti alla vecchia funzione di carico dell’acqua. L’attenzione per il dettaglio è resa ancor più lampante dalla scelta dei materiali poiché il mattone rappresenta il legame con la storia dell’area di progetto, il cemento la struttura, il ferro il ricordo dei macchinari e il vetro si ricollega all’immagine e alle trasparenze dell’acqua. La valenza di quest’architettura è confermata anche dalla cittadinanza di Budrio che ha già individuato nella torre vetrata un elemento di riconoscimento, definendola il “Lanternone” che illumina le serate della città. L’individuazione di quest’architettura come un elemento d’identità per la comunità che lo abita ci testimonia la qualità di un edificio che si è radicato nel suo ambiente e si è ben integrato nella vita quotidiana dei suoi utenti diventando uno spazio vissuto avvalorando l’ipotesi che non sempre serve andare a cercare spazi su cui costruire, favorendo una spasmodica crescita a macchia d’olio, quando basterebbe lavorare sul costruito che già abbiamo per ottenere ottimi risultati come questo. P R E M I
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AWARDS
VINCITORE DEL PREMIO CENTOCITTÀ 2020 / WINNER OF THE 2020 CENTOCITTÀ PRIZE VINCITORE GRADUATORIA L.R. 16/2002 DELL’EMILIA ROMAGNA / WINNER OF THE RANKING LIST L.R. 16/2002 EMILIA ROMAGNA MENZIONE PREMIO MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 2005, FACOLTÀ DI ARCHITETTURA DI FERRARA MENTION AWARD OF THE MARIO ZAFFAGNINI PRIZE 2005, FACULTY OF ARCHITECTURE IN FERRARA
Località / Location Budrio (Bologna) Committente / Client Comune di Budrio Progetto / Design Andrea Oliva con / with Enrico Prandi, David Zilioli Collaboratori / Collaborators Leonardo Berni, Roberta Borghi, Andrea Catellani, Giancarlo Manghi, Luca Paroli Cronologia / Chronology progetto / project: 2003/2006 - realizzazione / construction: 2009 Dati dimensionali / Dimensional data 800 mq Foto / Photos David Zilioli
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THE OLD WATER TOWERS
A
ndrea Oliva, an architect who graduated in 1998 and then set up the Cittaarchitettura firm in 2001, is one of those young professionals who clearly demonstrate that Italy still has something to say architecturally speaking on the world stage. The project to redevelop the old water towers in Budrio (Bologna), carried out between 2003 and 2009 in partnership with Enrico Prandi and David Zilioli, is the result of a carefully balanced composition in which the aim of converting a building that once had such a very specific usage into the city’s new cultural centre became a means of stitching back together characteristic fragments of urban fabric that had been lacerated by the widespread presence of this kind of industrial archaeology. The starting point of the project, which was the dichotomy between existing constructions and innovation, resulted in the creation of a solid organism based on a sequence of cleverly studied contrasts and harmonies. The space is constructed around a combination of underground and aboveground premises, both indoors and outdoors, horizontal and vertical pathways, cuts of light and mobile vertical walls, all designed to accompany visitors around the centre’s communal activities, rest areas and areas once belonging to the old Water Works. Attention to detail is made even more glaringly obvious by the choice of materials, because it represents a bond with the project area’s past history. Concrete, structures, iron, relics of old machinery and glass link up with the image and transparency of water. The value of this work of architecture is also confirmed by the people of Budrio, who have already identified the glass tower as a sort of landmark, nicknaming it the “Big Lantern” that lights up the city in the evening. The fact that the local community has identified this piece of architecture as a landmark testifies to the quality of a building that is deeply entrenched in its setting and has fit neatly into the everyday lives of its users, becoming a sort of inhabited space confirming the claim that it is not always necessary to try and find new spaces for building (consequently encouraging spasmodic growth like an oil slick) when in actual fact excellent results like this can be achieved just by working on existing buildings.
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MAURO ZUCCHETTI
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CORCIANO (PERUGIA)
NUOVA SEDE DELLA STERLING SNIFF MARIA TERESA IANNACCONE
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l progetto di Mauro Zucchetti per l’ampliamento della sede della Sterling Sniff Italia, società che produce principi attivi e aromi per uso farmaceutico e alimentare, rappresenta una felice risposta alla duplice richiesta dell’azienda: ingrandire gli spazi riservati ai sistemi produttivi e accorpare la parte direzionale e quella organizzativa in un’unica struttura così da definire una immagine coerente con il notevole sviluppo dell’attività. Il nuovo complesso, affiancato agli stabilimenti esistenti, su un’area dove già insisteva un obsoleto manufatto in muratura ristrutturato e integrato all’interno degli spazi direzionali, è composto da due blocchi distinti, contenenti rispettivamente le linee produttive e la parte direzionale amministrativa. Per la parte produttiva è stato concepito un corpo con struttura prefabbricata dall’aspetto monolitico che si contrappone alla leggerezza del prisma in vetro e acciaio che accoglie gli uffici. I due volumi, pur così diversi per rimarcare la distinzione funzionale, si fondono in un unico sistema grazie anche a elementi di raccordo quali il grande portale, il percorso su pilotis, il corso d’acqua che si insinua in vari ambienti. La accorta fusione dei diversi materiali come rame, teak, lapacho, vetro, la presenza dell’acqua, l’uso sensibile dei colori nei vari toni del verde per i pannelli prefabbricati e per le finiture in lamiera e in quelli del grigio corda per le strutture in acciaio, le piacevoli trasparenze e lo studio degli interni che contrastano il concetto di fabbrica come luogo chiuso, spartano, riservato alla sola fatica, concorrono a un risultato complessivo di armonia sia dell’opera in sé che nel rapporto col territorio circostante che è quello di Solomeo, una delle sette frazioni del comune di Corciano, in Umbria. Una ulteriore conferma è rappresentata dalla sistemazione attenta del verde con l’utilizzo di pioppi cipressini per le alberature di perimetro, le betulle per la corte interna, le piante di alloro per bordare l’area di deposito esistente.
P R E M I
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AWARDS
2010 PROGETTO 1° CLASSIFICATO AL CONCORSO NAZIONALE HOUSE STEEL HOUSE PER LA MIGLIORE COSTRUZIONE IN ACCIAIO 2010 PROJECT 1 ° CLASSIFIED IN THE NATIONAL COMPETITION HOUSE STEEL HOUSE FOR THE BEST STEEL BUILDING
Località / Location Corciano (PG) Committente / Client STERLING SNIFF ITALIA Progetto / Design Mauro Zucchetti Cronologia / Chronology progetto / design: 2008 - realizzazione / construction: 2010 Dati dimensionali / Dimensional data Uffici / Offices 600 mq - Produttivo / Production: 1.500 mq Struttura / Structure acciaio / steel Facciata continua / Curtain alluminio-Vetro Schueco / aluminium - glass Schueco Fronts and ceilings ventilati in legno Prodema / ventilated wooden Prodema
16 l’ARCA 279
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STERLING SNIFF - NEW HEADQUARTERS
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auro Zucchetti’s project for an extension to the head offices of Sterling Sniff Italia, a company manufacturing active ingredients and aromas for use in the pharmaceutical and food industries, provides a successful solution to the company’s twin demands: to extend its spaces serving production purposes and integrate the management section with the organisational area to create one single facility projecting a coherent image and, at the same time, helping boost operations. The new complex, standing alongside the old facilities on a plot of land accommodating an obsolete brick construction that has been restructured and incorporated in the executive spaces, is composed of two separate blocks, respectively holding the production lines and administration-management quarters. A construction with a monolithic-looking prefabricated structure has been designed for the manufacturing section, which contrasts with the lightness of the glass and steel prism holding the offices. Despite being so dissimilar to bring out their functional differences, the two structures form one single system, thanks to conjoining features such as a large gateway, pathway built on pilotis and the waterway flowing through the various premises. The clever combination of different materials, such as copper, teak, lapacho and glass, the presence of water, the sensible use of a colour scheme based on various shades of green for the prefabricated panels and sheets-metal finishing and a range of shades of rope-grey for the steel structures, the delightful transparent features and carefully designed interiors contrasting with the idea of a factory as an enclosed and rather Spartan place reserved solely for hard work, meld to create a harmonious overall result in terms of both the construction itself and interaction with the surrounding area, in this specific instance Solomeo, one of the seven small districts in the borough of Corciano in Umbria. This is further underlined by systematic attention to landscaping through the use of cypress poplars for the perimeter trees, birches for the interior courtyard, and laurel plants for bordering the old storage area.
279 l’ARCA 17
GAMBARDELLA
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MONTESARCHIO (BENEVENTO)
L’ARCHITETTURA DI TRE SPAZI APERTI MARIA TERESA IANNACCONE
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re spazi aperti da recuperare, due piazze e un parco fluviale, tre affascinanti intuizioni progettuali, un unico intento: ricomporre relazioni dimenticate. Relazioni tra le emergenze architettoniche e quelle naturali, tra il centro abitato e i monti, tra le origini, la tradizioni e la memoria. È stata questa la linea guida che Cherubino Gambardella ha perseguito nel ridisegnare piazza Umberto I, Piazza Vittorio Veneto e il parco fluviale di Montesarchio, antica cittadina del beneventano immersa in una natura aspra, ricca di architetture acropoliche che dominano la Valle Caudina come la torre di Carlo Poerio, il carcere, i monasteri. Il progettista coglie l’opportunità come una formidabile occasione per proseguire un discorso che aveva già intrapreso con la precedente realizzazione nella piazza Vittorio Veneto, di un edificio tutto dipinto d’oro pensato come una simbolica porta urbana, e crea ancora una volta tre opere che esaltano l’aspetto artistico e fantastico dell’architettura come gli è congeniale. Nella centrale piazza Umberto I, una lunga fontana che con l’illuminazione appare diafana, richiama mostre d’acqua longitudinali nell’Italia media, intensifica la visione prospettica tra spazi siti a quote diverse, la torre dell’orologio, l’albero monumentale e la fontana di Ercole. Il materiale è essenzialmente un monocromo di pietra chiara, che si alterna allo scuro delle pavimentazioni a cubetti in pietra vulcanica. Per piazza Vittorio Veneto, propaggine dell’abitato rivolta verso Benevento che presenta un grande svincolo ma anche ampie zone da dedicare al passeggio e alla sosta, sono state immaginate isole semplicemente pavimentate, disegnate dalla luce, affidata ad esili filamenti per diventare di notte un nastro argentato che traccia un nuovo fronte urbano e dalla vegetazione. A dialogare con il palazzo d’oro un lampione alto venti metri. Quando il percorso dell’Appia si apre verso la campagna una linea, come un serpente fossile, si insinua tra tigli e castagni in un paesaggio scuro e severo, il tragitto in cemento e travertino si comporta come una linea che unisce due punti della circonvallazione esterna al centro abitato con un’area verde e raccorda il parco all’esterno, un piccolo torrente e una strada in cemento policromo ideale per il footing, andare in bicicletta, passeggiare, per godere di un paesaggio delimitato da due orizzonti: quello vicino della vegetazione e dell’acqua, quello lontano del monte Taburno.
P I A Z Z A U M B E R TO I
18 l’ARCA 279
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P IA Z Z A VIT TORIO V ENETO
THE ARCHITECTURAL DESIGN OF THREE OPEN SPACES
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Località / Location Montesarchio (BN) Committente / Client Comune di Montesarchio Progetto / Design Cherubino Gambardella e Simona Ottieri con / with Mario Russo, Fabio Baratto, Alfonso Mattia Berritto Cronologia / Chronology progetto / design 2006 realizzazione / construction 2011 Direttore dei Lavori / Site management Geom. Giuseppe Vele Strutture / Structural design Ing. Giuseppe Cecere
hree open spaces to be redeveloped, two squares and a water park, three fascinating design ideas with one thing in mind: to knit back together forgotten relations. Relations between architectural and natural features, between the town centre and mountainside, between origins, traditions and the past. These were the guidelines that Cherubino Gambardella followed in redesigning Piazza Umberto I, Piazza Vittorio Veneto and the water park in Montesarchio, a very old little town in the Benevento area surrounded by rather harsh nature and full of acropolyptic architecture that dominates Valle Caudina, such as Carlo Poerio Tower, the prison and monasteries. The architect took advantage of this wonderful opportunity to continue along the same stylistic lines as a previous construction of his in Piazza Vittorio Veneto painted entirely gold and designed to be a symbolic urban gateway. Once again he simultaneously created three works focusing on the kind of artistic and imaginary-looking architecture he is so talented at designing. A long fountain in downtown Piazza Umberto I, whose lighting makes it look diaphanous and calls to mind the kind of longitudinal water features found in Central Italy, intensifies the perspective between various spaces set at different levels: the clock tower, monumental tree and Ercole Fountain. The material is basically monochromatic clear stone alternated with the dark colours of the cube-shaped paving made of volcanic stone. Piazza Vittorio Veneto, one of the town’s ramifications facing towards Benevento, is a spacious clearance, but it also has some extensive areas serving transition and rest purposes. Its design involve the creation of some simply paved islands shaped by the light, which take the form of slender filaments transforming into a silver-coloured strip at night-time to trace a new urban front and landscaping. A 20 metre tall lamppost dialogues with the gold-coloured building. As Appia Road opens up towards the countryside, a line like a fossilised snake winds between the lime trees and chestnut trees in a dark and harshlooking setting, the concrete and travertine passageway acts like a line joining two points on the loop outside the town encompassing an area of greener and connecting the park to the outside setting, a small stream and a concrete multicoloured path ideal for jogging, riding a bike or taking a walk to enjoy a picturesque setting framed between two horizons: the nearby horizon of vegetation and water and the more distant horizon of Mount Taburno.
PA R C O F L U V I A L E / R I V E R PA R K
279 l’ARCA 19
NOLA (NAPOLI)
GIORGIA&JOHNS - UFFICI E CENTRO LOGISTICO LUCA NICOTERA
PHOTO JULIEN LANOO E MODOSTUDIO
MODOSTUDIO
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ttraverso un giusto equilibrio tra sobrietà e sperimentazione si ottengono sempre risultati efficaci. Spesso è sufficiente un’idea chiara ed incisiva per combinare un budget limitato ad una soluzione architettonicamente valida. Ritroviamo tale ponderatezza nel lavoro di Modostudio (Fabio Cibinel, Roberto Laurenti e Giorgio Martocchia) per la nuova sede amministrativa e logistica dell’azienda Giorgia & Johns presso Nola. La particolarità del sito ha costituito un elemento determinante della progettazione. L’edificio sorge in una zona industriale ben visibile dall’autostrada. Ciò ha suggerito di orientare, proprio in tale direzione, un prospetto che potesse rappresentare uno strumento di comunicazione forte e identificativo. Ecco allora che l’intera estensione della facciata sud (60 m) viene caratterizzata, al primo piano, da una texture di pannelli in calcestruzzo armato dal disegno romboidale sviluppati secondo quattro differenti formati. Le lastre, disposte e ruotate in maniera disomogenea, creano una successione di aggetti e rientranze dal mutevole effetto chiaroscurale, richiamando l’ancestrale immagine di una muratura megalitica. Questa sorta di fregio, alto 7,5 m, è fissato all’involucro retrostante tramite una struttura metallica. Si forma così un doppio guscio che contribuisce al risparmio energetico (implementato dai pannelli fotovoltaici sul tetto) e al confort ambientale degli uffici (disposti tutti a sud su entrambi i piani). Da qui, grazie a un attento studio delle visuali, le asole dei pannelli in cls fungono da cornice per un’armoniosa vista sul Vesuvio, cogliendo nuovamente il suggerimento del contesto. I dinamici giochi di luce e ombra sono messi in risalto dal basamento vetrato che cinge gli uffici del piano terra. La semplicità della pianta rettangolare si riflette nella flessibilità degli spazi interni, distinti da partizioni vetrate modificabili nel tempo che garantiscono una maggiore diffusione di luce naturale. Il minimalismo dei toni, perlopiù sulle sfumature del bianco, pervade anche la zona logistica a nord sia all’interno, a doppia altezza e collegato con accessi diretti al comparto amministrativo, che all’esterno, dove lineari pannelli di rivestimento in cls prefabbricato si integrano con l’acciaio delle pensiline. Questo progetto ci permette di mettere in luce il lavoro di uno studio attivo solo dal 2006 (in precedenza i suoi componenti avevano collaborato con architetti del calibro di Fuksas, Sartogo, Van Egeraat e Oosterhuis), ma che in pochi anni sta già portando a termine risultati di sicuro valore (ricordiamo, solo per citare quelli in via di completamento, la Nuova Sede Intecs a Roma e la Uhl Foundation nei pressi di Bolzano), riuscendo sempre, sia in ambito concorsuale che realizzativo, nell’arduo intento di coniugare teoria architettonica, innovazione, sperimentazione e ricerca.
Località / Location Nola (NA) Committente / Client Giorgia & Johns Spa Progetto / Design Modostudio - Cibinel Laurenti Martocchia Architetti Associati Cronologia / Chronology 2008/2010 Dati dimensionali / Dimensional data - area costruita / building area: 13.760 sqm - uffici / offices: 2.260 sqm - logistica e laboratori / logistics and laboratories: 11.500 sqm Consulenti / Consultants engineering and coordination; Studio Visone & associati IMPRESA / Contractor Edilizia Cinquestelle + Canova Prefabbricati Illuminazione / Lighting Systems iGuzzini Spa Struttura della facciata / Wall system Boffa arredamenti Arredamento uffici / Office furniture Sinetica Facciate continue / Curtain Walling Ales alluminio Pavimentazione / Rubber Flooring REMP Costi / Costs 5.500.000
PHOTO JULIEN LANOO E MODOSTUDIO
PHOTO JULIEN LANOO E MODOSTUDIO
PHOTO JULIEN LANOO E MODOSTUDIO
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GIORGIA&JOHNS - OFFICE BUILDING AND LOGISTIC CENTER
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ighly effective results are always obtained through just the right balance between sobriety and experimentation. Often it only takes a clearly thought-out and incisive idea to produce a valid architectural design working on a limited budget. This kind of careful thinking can be found in Modostudio’s design (Fabio Cibinel, Roberto Laurenti and Giorgio Martocchia) for the new administration and logistics headquarters of Giorgia & Johns in Nola. The distinctive nature of the site was a key element in the design. The building is located on an industrial site clearly visible from the motorway. This suggested constructing an elevation facing in this direction that could provide a powerful and highly distinctive means of communication. Hence the entire extension of the south facade (60 m) stands out for its distinctive texture of reinforced concrete rhomboid-shaped panels on the first floor, created in four different formats. The panels, which have been set out and rotated in a random manner, create a sequence of overhangs and recesses with a chiaroscuro effect, calling to mind the age-old image of a megalithic wall. This sort of frieze, measuring 7.5 m in height, is attached to the rear shell by means of a metal structure. This actually creates a double shell that helps with energy-saving (implemented through the photovoltaic panels on the roof) and environmental comfort in the offices (all facing south on both floors). Thanks to a careful study of the different viewpoints, the eyelets in the reinforced concrete panels frame a harmonious view of Mount Vesuvius, once again drawing inspiration from the setting. The dynamic interplay of light and shadow is highlighted through the glass base around the ground floor offices. The simplicity of the rectangular base plan is reflected in the flexibility of the interior spaces, which are separated by glass partitions that can be adjusted over time and guarantee greater diffusion of natural light. The minimalism of the colour scheme, mainly shades of white, also characterises the logistics area to the north both in the double height interior connected by direct entrances to the administration section and on the outside, where linea cladding panels made prefabricated concrete mixing with the steel of the canopies. This project allows us to shed some light on the work of a firm that has only been in business since 2006 (previously its members have worked with architects of the calibre of Fuksas, Sartogo, Van Egeraat and Oosterhuis), but in the space of just a few years is already producing results of real quality (it is worth remembering, confining ourselves just to those being completed, the new headquarters of Intecs in Rome and the Uhl Foundation near Bolzano), always succeeding in the bold attempt to combine architectural theory, innovation, experimentation and research growth both in competitions and actual constructions.
279 l’ARCA 21
SILVIO D’ASCIA
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NAPOLI
EDIFICIO COMMERCIALE GE.CO. RIQUALIFICAZIONE URBANA E SOCIALE ALESSANDRA SGUEGLIA
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li interventi napoletani di Silvio d’Ascia si confrontano con periferie da redimere, ex zone industriali da risanare, episodi intra civitas da recuperare; per quanto si tratti di operazioni puntuali, i progetti dell’architetto partenopeo agiscono sul territorio con valenza più profonda. Dalla Porta del Parco a Bagnoli alla stazione del metrò di Montesanto, all’edificio commerciale dell’Arenaccia, l’intervento si fa “riqualificazione” urbana e sociale. La personale riflessione dell’autore sulle “Nuove Forme di Urbanità” risuona nelle operazioni di piccola e media scala. Gli schizzi popolati di figure rivelano la particolare attenzione che l’autore dedica all’ “umanizzazione” delle sue architetture. Un parallelepipedo rivestito di pannelli laccati neri – messi in opera secondo una trama verticale di 55 cm di larghezza – atterra nel cuore della Napoli caotica e affollata, in un lotto d’angolo, di grande visibilità, su via Arenaccia. Il quartiere Arenaccia è caratterizzato dalla concentrazione di edilizia residenziale popolare – IACP – e dalla mancanza di servizi; si estende su importanti arterie stradali che conducono da un lato alla vicinissima Stazione Centrale, dall’altro all’aeroporto di Capodichino: una zona, dunque, di intenso passaggio sia pedonale che automobilistico. Quello che avviene con la realizzazione dell’edificio commerciale GE.CO., non è semplicemente la ricostruzione di un “contenitore” di attività, ma la riqualificazione complessa di un lembo di città, fino ad allora abbandonato alla propria sorte. D’Ascia accentra gli sguardi sul nuovo oggetto architettonico, faro dell’intero quartiere; così, infatti, come un segnale luminoso, una sorta di grande lanterna magica, cattura lo sguardo dei passanti: attira l’attenzione sulle pareti interattive, che propongono pubblicità ed informazioni, e che lasciano intravedere, grazie ad ampi squarci vetrati, le potenzialità di aggregazione e svago, racchiuse nella “scatola”; dalla strada si sogna lo shopping, il relax di un buon libro, dall’interno si punta lo sguardo al panorama napoletano, con i suoi pregi ed i suoi difetti. Un “forte” episodio higt tech, uno dei pochi presenti a Napoli, si solleva tra incuria, abbandono e traffico, e si differenzia da tutto, per sottolineare il suo compito: liberare gli abitanti dal problema degli scarsi parcheggi, fornendone di nuovi; proteggere i giovani dalla strada, catturandoli nell’area a carattere culturale e multimediale; diventare la “bottega dietro l’angolo” per la quotidianità del quartiere, grazie alla presenza di una superficie destinata all’alimentazione. Questo “monolite”, come lo definisce lo stesso d’Ascia, è una perfetta fusione di intelligenza e sensibilità costruttiva, a servizio della città e dei cittadini.
22 l’ARCA 279
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GE.CO. COMMERCIAL BUILDING urban and social redevelopment
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ilvio d’Ascia’s works in Naples tackle suburban areas in need of redemption, former industrial estates in need of redevelopment and intra civitas episodes ready to be salvaged; even though these are very specific enterprises, this Neapolitan architect’s projects have much deeper implications for the territory. From Porta del Parco in Bagnoli to the Montesanto Underground Station and Arenaccia Commercial Building, everything works along the lines of urban and social “redevelopment”. The architect’s own thoughts on “New Forms of Urbanity” resound through out his small and medium-size operations. The sketches showing little figures reveal the architect’s special attention to “humanising” his architecture. A parallelepiped covered with black lacquered panels – installed based on a vertical pattern measuring 55 cm in width – lands right in the heart of the busy and chaotic city of Naples, on a corner lot that is highly visible along Via Arenaccia. The “Arenaccia” neighbourhood is full of IACP council housing and is very short of services; it stretches across important roads leading, on one hand, to nearby Central Station and, on the other, to Capodichino Airport: in other words, an area subject to heavy pedestrian and road traffic. The construction of the GE.CO. Commercial Building is not simply the reconstruction of a “container” for various operations, but the overall development of a fragment of cityscape, until then left abandoned to its own fate. D’Ascia draws attention to a new architectural object, a beacon for the entire neighbourhood; so, like some luminous signal, a sort of giant Magic Lantern, it catches the eye of passers-by: it draws attention to the interactive walls showing advertising and information and revealing, thanks to some wide glass apertures, the potential in terms of congregation and leisure enclosed within this “box”; from out in the road you can dream about shopping or relaxing with a good book and from inside you can admire the cityscape of Naples with all its qualities and faults. A “powerful” high-tech design, one of only very few in Naples, standing amidst all the dilapidation, abandonment and traffic. It stands out from everything else to emphasise its own special purposes: to free the local city folk from the problem of a lack of parking by providing them with some new facilities; to protect young people from the road by drawing them into a cultural/multimedia area; and to provide a “corner shop“ for everyday life in the neighbourhood that sells food. This “monolith”, as d’Ascia himself describes it, is a perfect combination of intelligence and building sensibility designed to serve the city and its inhabitants.
Località / Location Napoli Committente / Client GECO s.p.a. immobiliare con / with Tecnosistem s.p.a. Progetto / Design Silvio d’Ascia Team Arch. Ing. Etienne Seif, Arch. Clémence de Sainte Marie, Arch. ALessandro Milano, Arch. Mathieu Roggwiller, Arch. Javier Edwads Ibarra - Tecnosistem s.p.a.: Ing. Marco Damonte - Direttore lavori / Management: Ing. Flavio D’Apuzzo, Direttore cantiere / Site management: Arch. Nicola Martiello, Arch. Paola Principe, Arch. Patrizio Marino Partners Tecnosistem s.p.a. Realizzazione / Construction 2010 Superficie utile / Surface 19. 100 mq - superficie di vendita / sales area: 5.000 mq - superficie di servizio + LT / service area: 4.000 mq - uffici e spogliatoio / offices and dressing: 600 mq - parcheggio su 3 livelli / parking on 3 levels: 9.500 mq Costo / Cost 15 milioni di euro / 15 million euros Foto / Photos Barbara Jodice
279 l’ARCA 23
ZITO+MORI
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SORBO SERPICO (AVELLINO)
CANTINA FEUDI DI SAN GREGORIO LA STRUTTURA DEL VINO ALESSANDRA SGUEGLIA
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ra le colline Irpine si scopre un lembo di Campania Felix: qui, nella verde vegetazione, i filari di vigneti sono il primo passo per la produzione dell’ottimo vino che caratterizza queste zone; il Taurasi, il Greco di Tufo, il Fiano di Avellino sono il fiore all’occhiello della produzione territoriale: un bell’esempio di dedizione alla terra che ripaga con prodotti d’eccellenza. Tale pregevolezza, non poteva che essere rappresentata anche in architettura. Siamo oramai lontani dalle cantine vinicole di un tempo: da qualche anno queste sono diventate soggetti con cui, molti nomi dell’architettura nazionale e internazionale, hanno deciso di confrontarsi; e così sono germogliate piccole oasi di operosità, buon gusto, cultura e natura, in cui tradizione vinicola e opere modernissime sembrano aver trovato il loro equilibrio, in forme eleganti. A Sorbo Serpico, nel cuore dell’Irpinia, è nato un connubio interessante tra la produzione di vino campano, l’architettura, il profumo “d’oriente” e la sostenibilità ambientale. I protagonisti di questo mix sono: l’architetto avellinese Maurizio Zito e la giapponese Hikaru Mori che, grazie all’incontro con i proprietari della cantina dei “Feudi di San Gregorio”, hanno miscelato perfettamente mondi lontani; l’idea ha dato vita a una combinazione perfetta di architettura e design, che richiama i sapori, corposi e nascosti, dei vini che qui si producono. Un cubo in acciaio corten, rivestito internamente di specchi e ovattato da musica soft, è l’ingresso: ma diventa un’esperienza necessaria, una sorta di purificazione, mentale e sensoriale, che conduce i visitatori nel mondo dei “Feudi”. I principi fondamentali trasmessi tramite il progetto sono: l’accoglienza e la convivialità. Così grandi spazi ricevono il visitatore e all’occorrenza, l’anfiteatro all’aperto o il giardino delle spezie diventano scenario di eventi e incontri. Un volume pulito, lineare e di grande impatto, racchiude tutte le diverse attività della casa vinicola; qui differenti materiali, perfettamente abbinati, sono stati usati per l’involucro e per gli spazi interni: dai più tradizionali, quali la pietra ed il legno, all’acciaio ed il vetro, che gli donano un sapore più fresco. Questo oggetto architettonico, dagli angoli netti, si poggia su un’area esterna gradevolissima: specchi d’acqua e paesaggi che si estendono oltre i confini del giardino, sono il simbolo della contaminazione orientale. Lo spirito che anima l’intero intervento, infatti, è il rispetto dell’autoctono unito alla novità e alla sperimentazione: così il corso d’acqua giapponese è bordato da piante aromatiche mediterranee; le piante di rose, che da sempre sono utilizzate dai viticoltori a capo di ogni filare di vigna, come “campanellino d’allarme” per la salute delle viti, qui vengono radunate in un odoroso e suggestivo roseto; le barrique della cantina, diventano un “elemento d’arredo”, una sorta di indicatori del percorso. Un vino di qualità, è un bouquet di sapori e profumi che raggiungono una perfetta proporzione e, allo stesso modo, il luogo di produzione, diviene un dosaggio perfetto di modernità ed innovazione, che si unisce alla salvaguardia del territorio e al rispetto delle tradizioni.
24 l’ARCA 279
Località / Location Sorbo Serpico (AV) Committente / Client Feudi di San Gregorio Aziende Agricole spa Progetto / Design Hikaru Mori con / with Maurizio Zito Collaboratori / Collaborators Davide Pasquariello, Damiano Deiraghi, Chiara Rusconi Iride Corbo, Seiichi Fujita, Laura Molendini Consulenti / Consultants Antonio Capaldo (strutture) Lella e Massimo Vignelli (arredi) Realizzazione / Construction 2009 Dati dimensionali / Dimensional Data superficie territoriale / territorial surface mq 12,000 - superficie coperta / covered surface: mq 4,846 fuori terra / above ground ; mq 7,750 interrata / underground - volumetria / volume mc 11,400 fuori terra / above ground - mc 55,215 interrata / underground Foto / Photos Alessandra Sgueglia
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WINE HOUSE “FEUDI DI SAN GREGORIO” THE STRUCTURE OF WINE
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P R E M I
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AWARDS
1° PREMIO INARCHITETTURA REGIONE CAMPANIA 2010 / 1ST PRIZE INARCHITETTURA REGIONE CAMPANIA 2010
delightful stretch of landscape design in the hills of Irpinia: here the luscious vegetation and rows of vines are the first step in the production of the truly excellent wine found in these areas; Taurasi, Greco di Tufo and Fiano di Avellino are the real flowers in the buttonhole of local production: a fine example of devotion to the land paid back in the form of excellent products. This kind of quality inevitably has to be embodied in architecture too. This is a far cry from the old-fashioned wine cellars of days gone by: over recent years many of the leading names on the national and international architecture scene have decided to get to grips with this kind of design. This has resulted in little havens of hard work, good taste, culture and nature, where winegrowing tradition and ultramodern works of architecture seem to have struck a perfect balance in elegant forms. In Sorbo Serpico, right in the heart of Irpinia, an interesting combination of wine production, architecture, “Oriental” scents and environmental sustainability has been developed. The leading players in this mix are: the architect from Avellino, Maurizio Zito, and the Japanese architect, Hikaru Mori, who, thanks to a meeting with the owners of the production plant, have jointly developed a perfect mix of very distant worlds; the basic idea has resulted in a perfect combination of architecture and design evoking the concealed full-bodied flavours of the wines produced here. A Corten steel cube, completely covered with reflective glass and softened down by soft music, marks the entrance: this turns into a necessary experience, a sort of process of mental and sensorial purification leading visitors into the world “Feudi“. The basic principles conveyed by the project are: welcoming warmth and conviviality. Visitors are welcomed into wide open spaces and, if need be, the outdoor amphitheatre or garden of spices can be used for hosting events and meetings. A clean cut, linear and highly striking structure encompasses all the various operations carried out by the wine producers; here perfect combinations of materials have been used for the shell and interiors: ranging from such traditional materials as stone and wood to steel and glass that add a touch of freshness. This clean cornered structural object stands on an extremely pleasant expanse of land: pools of water and different landscapes extend beyond the garden’s boundaries, symbolising Oriental contamination. The spirit running through the entire project is, in fact, respect for local culture combined with innovation and experimentation: hence the Japanese waterway is lined with Mediterranean aromatic plants; the rose bushes, which have always been planted alongside vines by local winegrowers as a sort of “warning bell” monitoring the state of health of the vines, are here combined into a sweet smelling and highly striking rose garden; the wine-cellar barrels turn into a “piece of furnishing”, almost like signposts along the path. A quality wine is a bouquet of flavours and scents dosed in perfect proportions and, at the same time, the production location instils a perfect combination of modernity and innovation to help safeguard the land and respect for traditions.
279 l’ARCA 25
RICCARDO LOPES
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BARILE (POTENZA)
CAPPELLA ARNAU MARIO PISANI
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i potrebbe ripercorrere la storia dell’architettura attraversando le ultime dimore. Dalle piramidi in Egitto ai mausolei degli imperatori romani, ereditati dagli Etruschi. Dai marthyrion paleocristiani alla Cappella dei Pazzi di Filippo Brunelleschi, da quella dei Medici di Michelangelo Buonarroti fino al suggestivo cenotafio di Newton di Ètienne-Louis Boullée e alle straordinarie tombe liberty nel monumentale di Genova Staglieno, per giungere ai giorni nostri ove ognuno ha ben presente nella memoria ciò che è stato in grado di parlarci della dipartita in tono sommesso e lieve. Del resto non è un caso che i romani accompagnassero l’ultimo saluto con la formula “ti sia lieve la terra”. Riccardo Lopes, progettista di Rionero in Vulture, la densa terra dell’Aglianico, a Barile, un piccolo centro sul costone del Monte Vulture, maestoso vulcano spento in tempi preistorici, ci parla dell’aria, del vento, del battito d’ali di un angelo in questa piccola architettura che ci costringe, come gli archi rampanti di gotica memoria, a guardare il cielo. Lo scrittore James Hillman nel famoso libro, Il Codice dell’anima scrive: “Occorre avere occhio per l’invisibile, chiuderne un poco uno ed aprire l’altro su l’altrove: è impossibile vedere l’angelo se prima non abbiamo l’idea dell’angelo”, e continua affermando: “I nostri corridoi sono così angusti e bassi che gli Invisibili devono contorcersi in forme mostruose per passare al di qua”. Forse in filigrana e con il giusto distacco critico nella forma dell’arco si potrebbe leggere il ricordo delle straordinarie vele che Renzo Piano ha innalzato in omaggio delle canoe della popolazione della Nuova Caledonia, nel Centro Culturale dedicato a Jean Marie, o alle grandi aperture che si mimetizzano tra gli alberi realizzate da Mario Botta per il Wellness Centre Tschuggen Bergoase ad Arosa, in Svizzera. Nel nostro caso appare anche un altro elemento che possiamo leggere osservando il disegno del prospetto: tutto è racchiuso nell’antica legge del triangolo aureo, un omaggio sentito a questa disciplina che, come l’entasi nelle colonne o il rigonfiamento di quelle finali nelle facciate di un tempio, vuole attribuire alle costruzioni un beneficio ulteriore: quello di renderle, attraverso le proporzioni, migliori.
Località / Location Barile (PZ) Progetto / Design Riccardo Lopes Realizzazione / Construction 2010 Foto / Photos Riccardo Lopes
26 l’ARCA 279
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CAPPELLA ARNAU
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he history of architecture could be traced by studying its final resting places. From the Egyptian pyramids to the mausoleums of Roman emperors, a legacy from the Etruscans. From the early-Christian martyriums to Filippo Brunnelleschi’s Cappella dei Pazzi, Michelangelo Buonarroti’s Capella dei Medici and Newton’s striking Cenotaph designed by Ètienne-Luois Boullée or the extraordinary liberty statues in the Monumental Cemetery of Staglieno here in the present day, which, as we all know, talks to us about passing away in a subdued and light tone. After all, it is no coincidence that the Romans bid their final farewell with the words “ti sia lieve la terra” (may the earth be gentle with you). Ricardo Lopes, an architect from Rionero in Vulture, the rich lands where Aglianico grapes are grown in Barile, a small town built along the ridge of Monte Vulture, a majestic volcano that has been dormant since prehistoric times, speaks to us about the air, wind and beating of an angel’s wing in this small work of architecture, which forces us to look up into the heavens, just like the rampant arches did back Gothic times. The writer James Hillman wrote in his famous book The Soul’s Code: “We need to have an eye for the invisible, closing one slightly and opening up the other onto somewhere else: it is impossible to see an angel if we do not first have the idea of an angel”, and then goes on to say: “Our corridors are so narrow and low that the Invisibles have to twist into monstrous forms to get through”. Perhaps by adopting the appropriate critical distance and detachment, in the form of the arch we can glimpse an allusion to the extraordinary sails that Renzo Piano erected as a homage to the canoes of the population of New Caledonia in the Cultural Centre dedicated to JeanMarie or the large apertures camouflaged between the trees created by Mario Botta in Wellness Centre Tschuggen Bergoase in Arosa, Switzerland. In our case another element appears, which we can interpret by studying the design of the elevation: everything is encompassed in the old-fashioned law of the Golden Triangle, a heartfelt tribute to this discipline, which, as with an entasis in columns or the swelling in the end columns of the facades of a temple, aims to add something more to constructions: that of making them better through their proportions.
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GRASSO CANNIZZO
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VAL DI NOTO (SIRACUSA)
CASA PER VACANZE UNA SCATOLA MAGICA ALESSANDRA SGUEGLIA
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vere un’abitazione a misura delle proprie esigenze, delle necessità che di volta in volta cambiano e si trasformano, è desiderio comune. Spesso si incappa in impedimenti burocratici, economici e quando si parla di case dedicate alle vacanze, la parole d’ordine è: “adeguarsi!”. La vacanza può prevedere la presenza di amici e quando ciò avviene, le stanze per ospitare terze persone, son sempre poche, così come diventa un’illusione la privacy. Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, architetto solare e creativo, come la sua Sicilia, sviluppa il proprio sesto senso femminile e, da donna del Sud, risparmiando, ottimizzando e sperimentando le risorse a sua disposizione, risolve problemi legati, al costruiree alla pratica progettuale dei nostri giorni. Così, trovandosi a realizzare una dimora al mare, nelle splendide campagne di Noto, “gioca” con i vincoli economici della committenza e con le dimensioni, in rispetto alle norme locali: inventa una sorta di casa “a scatole cinesi”, con un volume mobile che, all’occorrenza, scompare. La struttura dell’abitazione è un corpo in cemento armato prefabbricato, poggiato su un terreno in forte pendenza e argilloso, con dettagli di chiusura in profilati metallici zincati e superfici vetrate – materiali con cui ultimamente la Grasso Cannizzo firma le sue opere, così come la poetica “Torre di Controllo” a Marina di Ragusa. Il “cubotto” chiuso, rientra, burocraticamente, nel volume da rispettare ma, quando si apre sul paesaggio, trasformandosi da bruco in farfalla, acquista leggerezza, espressione e dinamicità. Il terrazzo, in precedenza occupato dalla dépendance ospiti, si amplia e la visuale verso il mare si estende; la dépendance, infatti, grazie a due binari posti sul piano del pavimento, si sposta verso l’esterno e con un suo ingresso privato, diventa uno spazio indipendente; il terrazzo si trasforma in un luogo di ritrovo e di relax, sia per chi soggiorna nella dimora padronale che in quella mobile. Così la richiesta di una soluzione abitativa adatta alle vacanze, con terrazzo, panorama illimitato verso il mare e residenza per gli ospiti, è soddisfatta dal “saper fare” di una donna pratica e di grande abilità progettuale. Un ultimo coup de théâtre si riceve quando la casa, sul finire dell’estate, viene completamente “impacchettata”: una serie di pannelli pivotanti – in ferro zincato pannellati in legno – correndo lungo il perimetro dell’abitazione la chiudono, mettendo fine, visivamente e mentalmente, al riposo vacanziero. Così, nella splendida natura del siracusano, la casa della Cannizzo, dopo esser stata “usata”, indossa una sorta di corazza che la trasforma in un elemento zoomorfo: una tartaruga che, stringendosi nel proprio guscio per proteggersi, cade in letargo e aspetta di svernare.
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HOLIDAY HOME: A MAGIC BOX
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verybody wants to have a home geared to their own ever-changing and transforming needs and requirements. But there are inevitably all kinds of bureaucratic and financial obstacles, and when talking about holiday homes the magic word is: “make do!”. Holidays may involve visits from friends and, when this happens, there are never enough rooms for accommodating guests, so privacy goes out of the window.. Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, a bright and creative architect just like her homeland Sicily, has managed to develop her female sixth sense and, as a woman from the south of Italy, manages to solve issues connected with modern-day building and design work by saving, optimising and experimenting with the resources she has available. So, when faced with the job of designing a seaside home in the splendid setting of Noto, she has “played around” with the client’s financial constraints and size restrictions, in accordance with local rules and regulations: she has invented a sort of “Chinese boxes”- style house based on a mobile structure, which, if need be, eventually disappears. The house’s structure is made of prefabricated reinforced concrete, set on a highly sloping piece of land made of clay, whose closing devices are made of zinc-coated metal sections and glass surfaces – materials with which Grasso Cannizzo has recently begun working, as in the case of the poetic “Control Tower” in Marina di Ragusa. The closed “cube-shaped box” falls, bureaucratically speaking, within the structural constraints, but, when it opens up to the surrounding landscape, the caterpillar turns into a butterfly as it gains lightness, expressiveness and dynamism. The terrace, previously taken up by the guest quarters, extends out and opens up views across the sea; thanks to two rails placed on the floor, the guest quarters move towards the outside and turn into a sort of independent space with its own private entrance; the terrace turns into a meeting and relaxation area for people staying both in the main house and mobile construction. In this way the request for a holiday home with a terrace and unobstructed views across the city, as well as guest facilities, is catered for through the “know-how” of a practical woman with great design skills. The final twist comes at the end of summer when the house is completely “packed away”: a set of pivoting panels – made of zinc-coated wooden panels – running around the outside of the house close away, bringing the restful holidays to a close both visually and mentally. So, after being “used”, Cannizzo’s house located in the wonderful natural setting of the Siracusa region clads itself with a sort of coat of armour that transforms it into a zoo-morphological element: a turtle, which, retiring into its own shell to take shelter, goes into hibernation for the winter.
Località / Location Val di Noto (SR) Progetto / Design Maria Giuseppina Grasso Cannizzo Progetto esecutivo e direzione lavori / Final design and site management Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, Salvatore Ingrao Consulenza, direzione lavori strutturali, prestazioni della sicurezza / Consulting, construction supervision, safety performance PRO.GE.CO. SRL Ingg. Anfuso, Ragusa Consulente impianti / Building systems consulting G.M.G. Engineering Project S.R.L. Ragusa Calcoli Statici, Produzione ed assemblaggio prefabbricati in cemento armato / Strucutural calculations, manufacturing and assembling prefabricated reinforced concrete ICP SRL,Siracusa Struttura in acciaio / Steel structure Di Martino Silos & Serbatoi, Ragusa Impresa edile / Construction company Spadaro Giorgio, Rosolini (SR) Automazione corpo mobile / Automation Baglieri Elettrotecnica SAS, Comiso (RG) Impianto idrico e termico / Water system and thermal Latino Impianti SNC, Rosolini (SR) Impianto elettrico / Wiring R & S Impianti Avola (SR) Infissi Sire Sud SRL,Vittoria (RG) Opere in ferro / Iron works Officina F.lli Gallo,Vittoria (RG) - Officina Metalmeccanica Antoci Marco, Ragusa Pareti e coibentazione corpo mobile / Cabinet walls and insulation Euro Stucchi SNC, Ragusa Manto di copertura in Aluzinc / Roof covering in Aluzinc Lattoneria edile F.lli Pane, Aci Sant'Antonio (CT) Rivestimento in legno / Wood cladding General Parquet di Firrito Giancarlo, Ragusa Foto / Photos Hélène Binet
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BAROZZI VEIGA
ROA (BURGOS - SPAGNA)
CONSEJO RIBERA DEL DUERO - NUOVA SEDE PIETRO FANTOZZI
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due fondatori di EBV sono due under 40, Fabrizio Barozzi, italiano originario di Rovereto e Alberto Veiga, spagnolo, nato a Santiago de Compostela. Il connubio tra i due inizia nel 2004 con l’istituzione dello studio e dopo numerose realizzazioni degne di nota un’ulteriore conferma della capacità compositiva di questi due progettisti è arrivata con la vittoria del “Premio Internazionale di Architettura Barbara Cappochin 2011”, prestigioso riconoscimento che si rivolge proprio a coloro che privilegiano la qualità nelle proprie architetture. Il progetto vincitore è la nuova sede del Consejo Ribera del Duero, il centro di promozione del vino rosso DOC, Ribera del Duero. Questo centro è stato realizzato in Spagna, a Roa, piccolo agglomerato di case sull’altopiano della “Meseta”, e gli ideatori hanno saputo cogliere alla perfezione il legame insito tra il costruito e il paesaggio che lo circonda. La nuova architettura non impone la sua presenza su ciò che è preesistente, ma si integra con esso e, grazie a pochi volumi essenziali, legati fra loro dalle antiche mura medievali, trasforma il piccolo centro abitato rafforzandone l’identità, senza snaturarla. Gli elementi costituenti dell’intervento sono la torre a pianta trapezoidale, sede delle funzioni di rappresentanza del centro e forte legame con la monumentalità del paesaggio, l’antico ospedale di San Juan, edificio del XVI sec. recuperato per ospitare le funzioni amministrative, e un edificio zoccolo, posizionato in connessione tra i due volumi principali a cui danno luce due edifici minori, uno dei quali recupera il muro e il portale di una chiesa seicentesca. Lo spazio esterno è tutto incentrato sulla piazza che riunisce tutto l’insieme dando vita a uno spazio dalle connotazioni metafisiche. Volumi puri, astratte bucature circolari, spazi costruiti sfruttando la linea spezzata e disposti a vari livelli, suggestivi effetti di luce, il paesaggio e le preesistenze risultano tutti estremamente interconnessi grazie alla scelta di una pietra locale, color ocra, che riveste interamente i nuovi edifici senza interruzioni nella continuità tra paramenti, pavimenti e coperture. In conclusione dunque ci troviamo di fronte a due architetti che dimostrano come in poche mosse ben studiate, grazie a una forte attenzione verso il luogo, grande rispetto per la storia e innovazione nella gestione degli spazi, dei volumi e delle tecniche di costruzione, si possono raggiungere processi di sintesi eccezionali, che rendono quest’architettura un esempio di grande qualità.
Località / Location Roa (Spagna) Committente / Client Ribera del Duero, ITACYL Progetto / Design ESTUDIO BAROZZI VEIGA S.L.P. Progettisti / Designer Alberto Fernandez Veiga Fabrizio Barozzi Team Paulo Lopes Tanja Oppowa Antonio Pinto Agnieszka Samsel Antonis Vourexakis Dimensione / Dimensional data 3640mq Progetto / Design 2006 Costruzione / Construction 2008-2010 P R E M I
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AWARDS
PROGETTO VINCITORE DEL PREMIO INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA BARBARA CAPPOCHIN 2011 WINNING PROJECT OF THE 2011 BARBARA CAPPOCHIN INTERNATIONAL ARCHITECTURE PRIZE
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CONSEJO RIBERA DEL DUERO NEW HEADQUARTERS
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he two founding members of EBV are both under 40, Fabrizio Barozzi an Italian from Rovereto, and Alberto Veiga, born in Santiago de Compostela in Spain. The partnership between these two first began in 2004 when they set up their own firm. After numerous successful constructions all worthy of note, the stylistic expertise of these two architects was further confirmed by winning the “2011 Barbara Cappochin International Architecture Prize”, a prestigious award given to architects who focus on the quality of their designs. The winning project was for the new headquarters of Consejo Ribera del Duero, a marketing centre for Ribero del Duero Doc red wine. The centre is built in the small town of Roa in Spain, a small conglomeration of houses on the high plains of “Meseta”. The designers really got a perfect grasp of the bonds existing between the builtscape and surrounding environment. The new architecture does not impose itself on what is already there, preferring instead to fit in with it and, thanks to a few simple structures joined together by the old mediaeval walls, it transforms the small town and strengthens its identity, without in any way detracting from its underlying nature. The features forming the project are a tower with a trapezoidal base accommodating the centre’s reception facilities and creating a close bond with the monumental landscape, old San Juan Hospital dating back to the 16th century that has been redeveloped to host the administration offices, and a block-shaped building located at the juncture between the two main structures, which are illuminated by two smaller buildings, one of which helps salvage the wall and portal of a 17th century church. All the outside space focuses around the square, which brings everything together to inject life into a space with metaphysical connotations. Pure structures, abstract circular holes, spaces constructed taking advantage of the broken line and set at various levels, eye-catching lighting effects, the landscape, and existing constructions, all turn out to be closely interconnected by the decision to use ochre-coloured local stone that completely covers the new buildings with no breaks between the walls, floors and roofs. So, in conclusion, we are dealing with two architects, who show us how a few carefully studied moves based around careful attention to the setting, great respect for history, and innovation in the management of spaces, structures and building techniques, can bring about some truly exceptional processes of synthesis, which make this work of architecture a fine example of the highest quality.
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TAMASSOCIATI
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CITY OF NYALA (DARFUR - SENEGAL)
CLINICA PEDIATRICA DI EMERGENCY MARIA LUNA VETRANI “Ciascuno di noi è impegnato a sorvegliare e custodire il giusto ordinamento del paesaggio terrestre, ciascuno con il suo spirito e le sue mani, nella posizione che gli spetta, per evitare di tramandare ai nostri figli un tesoro minore di quello tramandatoci dai nostri padri”.
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uesto il monito di William Morris, padre fondatore del movimento moderno, che più di un secolo fa invitava l’uomo a responsabilizzarsi. Tamassociati muove le proprie esperienze proprio verso un’architettura della responsabilità, riflettendo sui principi etici che stanno alla base della progettazione architettonica. Il gruppo opera in ambiti geografici difficili, i quali caricano la progettazione di complessità sociali e culturali. Le opere diventano così lo specchio dei Diritti (troppo spesso negati), e luogo in cui l’ideale e il reale si scontrano con violenza. Tutto questo concorre a far si che le realizzazioni siano strettamente connesse al luogo in cui esse sorgono attraverso l’uso dei materiali locali e in cui l’ecoefficienza è elemento innegabile. La clinica Pediatrica di Emergency sorge a Nyala, in Darfur. Qui sono stati realizzati quattro ambulatori e un piccolo spazio di degenza, in più sono presenti due ambulatori cardiologici per la selezione e il monitoraggio di pazienti da indirizzare nel centro “Salam”, in Sudan, già realizzato. L’edificio è semplice e di facile realizzazione; per forme, dimensioni e uso di sistemi ombreggianti s’ispira ai principi insediativi della casa araba: l’opera contiene dunque un suo riconoscibile codice genetico ed è interessante come questo archetipo possa essere ancora portatore di nuove idee. In quanto archetipo dell’abitare la casa a patio contiene l’idea di rifugio e di spazio, quello del recinto, legato all’idea di sicurezza e protezione, un atto di demarcazione precisa tra interno ed esterno, tra noto e ignoto, tra sicurezza e pericolo, donando dunque alla clinica pediatrica un carattere di solidarietà, affidabilità, di tutela e di sostegno.
Località / Location City of Nyala, Darfur, Sudan Committente / Client EMERGENCY Ngo Progetto / Design Tamassociati - Massimo Lepore, Raul Pantaleo, Simone Sfriso con / with Laura Candelpergher, Enrico Vianello Cronologia / Chronology realizzazione / construction: 2010 Foto / Photos Raul Pantaleo
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EMERGENCY PAEDIATRIC CLINIC “Each one of us, who must keep watch and ward over the fairness of the earth, and each with his own soul and hand do his due share therein, lest we deliver to our sons a lesser treasure than our fathers left to us.” With these warning words, William Morris, the founding father of the modern movement, called upon people over a century ago to act more responsibly.
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AMassociati ‘s own experiments are directed towards responsible architecture, reflecting on the ethical principles underscoring architectural design. The team works in tricky geographical locations, which add greater social and cultural complexity to their designs. This means that the works in question mirror certain Rights (part too often denied) and constitute places where the ideal and real clash violently. All this combines to ensure that their constructions are closely tied to the locations where they are built through the use of local materials and incorporating of eco-efficiency as an unmistakable feature. The Emergency Paediatric Clinic is built in Nyala in Darfur. Four clinics have been constructed and a small recovery space, where there are two cardiology units for selecting and monitoring patients to be sent on to the “Salam” Centre in Sudan that has already been completed. The building is simple and easy to construct; in terms of its forms, dimensions and use of shading systems it is inspired by the principles of Arab housing: so the work contains its own recognisable genetic code, and it is interesting to see how this kind of archetype can still convey new ideas. As an archetype for living, the patio house embodies the idea of shelter and space as well as enclosure, linked to the idea of safety and protection, a definite demarcation line between the inside and outside, between the known and unknown, between safety and danger, instilling the paediatric clinic with a sense of solidarity, reliability, protection and support.
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Imma Forino, Politecnico di Milano
UFFICI GLOBALI La crisi finanziaria del 2008 non si è esaurita, nonostante le misure di sicurezza attuate dai governi statali contro la recessione economica: il lavoro non c’è o non è sufficiente per tutti o è mal pagato; e ai giovani è destinato l’arduo compito di inventar(se)lo, per lo più senza alcun sostegno esterno, rinnovando le modalità di proporsi al mercato e arrangiandosi in strutture non sempre “su misura” ma adattate all’uso. Temporary office (ufficio a carattere temporaneo), co-working office (ufficio in condivisione da parte di lavoratori autogestiti), hub worked (piccole aziende nate per progetti a carattere sociale) sono alcune fra le più recenti forme di organizzazione dell’ambiente del terziario rispetto al mutato spirito dei tempi. Al libero mercato si reagisce sistemando spazi di breve durata e affittandoli (giornalmente o mensilmente) a rotazione, così come in affitto sono anche gli arredi e le attrezzature tecniche necessari a svolgere il lavoro. L’imprescindibile connettività al web assicura la reperibilità dei dati e la visibilità della persona. Nelle multinazionali che resistono alle oscillazioni delle quotazioni in borsa il layout è, invece, per lo più ancorato al paradigma dell’open office: scrivanie in linea con soffitti piani animati da fluorescenti linee luminose, cui si alternano uffici individuali appena più ampi dei cubicle degli anni Settanta, sale riunioni più o meno trasparenti e macchinette del caffè poste nei corridoi, mentre una risicata folla di transfughi saltuariamente si rifugia sulle scale, o all’aperto, a fumare un’ultima sigaretta. Nonostante le finiture pregiate, i cristalli opalescenti o sinceramente limpidi dei divisori, gli arredi più aggiornati (se la società ha investito nell’arredamento, oltre che nella costruzione o nella ristrutturazione dell’edificio), si tratta spesso di un panorama già obsoleto sul nascere ma che rappresenta lo scenario comune della vita di impiegati, manager, consulenti, dentro edifici dai prospetti all’avanguardia: il marketing promozionale ha le sue sfaccettature e, ancora oggi, al benessere psichico degli addetti è preferita la promozione dell’identità visiva dell’azienda, ben caratterizzata dalla presenza materica – anche quando in apparenza smaterializzata – del building. Solo alcune società illuminate destinano una parte delle proprie economie ad asili aziendali, indispensabili ad assicurare la continuità del lavoro femminile, cercando peraltro di accattivarsi la fedeltà degli impiegati con amenities quali palestra, caffetteria, area relax, mentre la pubblica amministrazione è, di fatto, ancora restia alle innovazioni. Raramente l’utente finale è interpellato dai manager e dai progettisti come reale interlocutore del progetto dell’ufficio: nel migliore dei casi i destinatari sono consultati tramite loro rappresentanti ovvero per “unità campione”, salvo poi ritrovarsi ad abitare, per lo più quotidianamente, ambienti messi a punto dalle strategie d’impresa dei facility manager e degli amministratori delegati, mediate dalle prospettive (sempre meno utopistiche) degli architetti. Il risultato finale è spesso un luogo immaginato per un anonimo standard, in cui nessuno si riconosce realmente ma a cui tutti si conformano con inerzia. Durante un celere processo evolutivo, iniziato verso la fine degli anni Sessanta, molto è cambiato nell’organizzazione del lavoro terziario: la facilità d’accesso alle informazioni tramite internet, una produttività quasi esclusivamente centrata sul trattamento di queste ultime, la rapidità dei processi economici, l’esternaliz-
zazione delle mansioni mediante rapporti di collaborazione, la mobilità di addetti sempre più multitasking. Alla smart city contemporanea – città intelligente perché perennemente connessa – corrisponde dunque un panorama frammentato del lavoro, che spazia su tutto il globo e che sembra replicare fisicamente la volatile disgregazione dell’archiviazione del sapere: non più in terra, riportato su fogli chiusi in cassetti e armadi, o salvato su file nelle memorie rigide dei computer, ma in cielo, nuvola fra le nuvole. Il cloud computing non è infatti solo un rivoluzionario sistema di conservazione e accesso ai dati, che consente di eliminare del tutto l’ingombro – benché ormai molto ridotto – delle attrezzature, ma è il nuovo modo di organizzare il lavoro e le persone che lo svolgono: non più “ per matrici” o “per reti” (già superamento della pianificazione gerarchicamente piramidale), che diventano produttive attraverso nodi di contatto e di interscambio transnazionali, ma attraverso una condivisione collettiva e aerea delle idee. Eppure un “nuovo Taylorismo” sembra imporsi su tutti: la globalizzazione è una norma generale, dai ritmi serrati come quelli sperimentati dall’ingegnere americano sugli operai all’inizio del Novecento. Grazie a essa non si smette mai di lavorare, perennemente connessi dalla libertà del wireless, e dunque sempre reperibili e con la mente vigile. Tuttavia alla globalizzazione del lavoro non corrisponde del tutto un’uniformità dei generi e dei modi di eseguirlo: nel mondo reale la prescrizione di questo “macchinismo intellettivo” si scontra ancora con le derive nazionali, i tipi di professioni da svolgere nello stesso terziario (dalle amministrative alle creative) e il loro grado di gerarchizzazione interna, il sesso dei lavoratori. Rispetto all’intangibilità delle vite lavorative resiste poi un ultimo baluardo, sorta di zattera cui tenersi saldamente aggrappati: My Desk is my Castle, recita il titolo di una recente ricerca di Uta Brandes e Michael Erlhoff (Birkhäuser, 2011), parafrasando la nota espressione giuridica di Sir Edward Coke (“For a man’s house is his castle, et domus sua cuique tutissimum refugium”, 1628). E la scrivania, o meglio il piano di lavoro, anche quando resa immateriale dai nuovi trend dell’office design – spessori sottili, supporti esili, assenza di cassetti, rivestimenti plastici chiari o dai tersi cristalli –, rimane il simbolo consistente dell’individualità, dell’appartenenza a un luogo, dell’autoidentificazione e, in senso lato, della resistenza del singolo ai diktat dell’azienda – apparentemente necessario in uno scenario lavorativo precario e in trasformazione. Addomesticata con oggetti personali, sintomi della breve affezione quotidiana, o con altri immediatamente riconoscibili come status symbol (l’ipertecnologia, l’Italian o il Japan style, il lusso), cui è demandato il facile afflato comunicativo dell’autopromozione, la scrivania diventa il monologo incessante dell’autoaffermazione, dell’identità e della differenza. Se negli uffici in condivisione l’autonarrazione fa i conti con il dovuto alternarsi dei lavoratori sulla medesima superficie di lavoro, è nei call center, dalle assordanti turnazioni volte a coprire l’intero ciclo della giornata, che essa è definitivamente ridotta al silenzio, rivelando infine quanto l’identità possa essere, in realtà, facilmente assorbita dal dettato globale. “Uno, nessuno e centomila”: una frantumazione inevitabile per la fluidità del mercato?
* IMMA FORINO insegna Architettura degli Interni al Politecnico di Milano. È autrice di: Uffici: interni arredi oggetti, Einaudi, Torino 2011.
34 l’ARCA 279
34_35_INTRO_279:Articoli 23/03/12 17:56 Pagina 35
GLOBAL OFFICES The 2008 financial downturn still is not over, despite the safety measures being adopted by governments to combat the economic recession: there are no jobs or at least not enough for everybody and they are often poorly paid; young people now have the tricky task of inventing them (for themselves), very often without any outside help, attempting to come up with new ways of offering their services to the market and making do with facilities that are not always "custom-designed" but just adapted for their usage. Temporary offices, co-working offices, and small hub-worked companies created to carry out social projects, are just some of the most recent forms of organisation in the services sector in accordance with the changing spirit of the age. The free market is catered for by organising short-lasting spaces and then renting them out (on a daily or monthly basis) on a rotor basis, likewise the furniture and technical facilities required for this kind of work are also for hire. The World Wide Web ensures that all the necessary data can be found and guarantees visibility for the people involved. On the other hand, those multinationals that are managing to cope with the ups and downs of the stock market are still closely tied to the paradigm of the open-space office: desks in rows with flat ceilings fitted with rows of fluorescent lights, alternating with private offices that are slightly bigger than the cubicles of the 1970s, more or less transparent meeting rooms, and vending machines in the corridors. Meanwhile the staff regularly take their breaks on the stairs or outdoors to smoke one last cigarette. Despite the quality finishing, opalescent or clear-glass dividing partitions, and the most up-to-date furnishing (provided the company has invested in furnishing as well as constructing or reconstructing the building), the officescape is very often obsolete as soon as it is completed, yet it is still the shared scenario for the everyday life of staff, managers and consultants inside buildings with cutting-edge elevations: promotional marketing has its various facets and, even today, promoting the company's visual identity still takes precedence over the staff’s mental well-being, as is clearly embodied by the tangible presence – even when it is seemingly dematerialised – of the building. Only a few enlightened companies allocate part of their financial resources for company crèches, vital for allowing women to keep on working, preferring to win over the favour of staff by providing amenities such as a fitness room, coffee bar or relaxation area, while public administration is, as a matter of fact, still resistant to any innovations. The final user is only rarely consulted by managers and designers, even though he or she should be a key player in the office design: in the best of cases, staff are only consulted through their delegates or, in other words, through "sample groups", so that they end up inhabiting, mostly on a daily basis, environments developed based on the corporate strategies of facility managers and delegated administrators, mediated through the perspectives (increasingly less utopian) of the architects. The final result is often a place envisaged for some standard person, who nobody can really identify with, but everybody is forced to reluctantly conform with. During a rapid process of development that began towards the end of the 1960s, plenty has changed in the organisation of services work: the ease of access to information through the Internet, productivity focused almost exclusively on the aforementioned
information, the speed of financial processes, the outsourcing of tasks based on partnerships, and the mobility of staff increasingly involved in multitasking. The modern-day smart city – intelligent because it is constantly connected – is matched by a fragmented work environment that spreads right across the globe and seems to physically replicate the volatile breakdown in the storage of knowledge: no longer down-to-earth, written on sheets of paper, locked away in filing cabinets and drawers or saved in files on the hard discs of computers, but now up in the skies, a cloud among the clouds. Indeed, cloud computing is not just a revolutionary system for storing and accessing data, totally getting rid of the cumbersomeness – because it is now so much smaller – of equipment, it is also the latest way of organising work and the people who carry it out: no longer "through matrixes" or "through networks" (already superseded by hierarchically pyramid-style planning), which become productive through contacts and transnational exchange nodes based on a collective, ‘aerial’ sharing of ideas. And yet a “new Taylorism" seems to be imposing itself on everything: globalisation is a general law, progressing at the kind of rhythms and rates American engineering experimented with on workers the beginning of the 20th century. Thanks to all this, work never stops, since the freedom of wireless technology means we are always connected and can always be reached, our minds never stopping. Nevertheless, the globalisation of labour is not in any way matched by any kind of standard practice in how it is carried out: in the real world prescribing this "intellectual machine-operating” clashes with differences between different nations, the various kinds of professions to be carried out in the service industry itself (from administrative tasks to creative jobs) and their degree of internal hierarchy and the gender of workers. Compared to the intangible nature of working lives, one final bastion still remains, a sort of life raft to be grabbed hold of: My Desk is my Castle is the title of a recent research project carried out by Uta Brandes and Michael Erlhoff (Birkhäuser, 2011), paraphrasing the well-known legal expression coined by Sir Edward Coke (“For a man’s house is his castle, et domus sua cuique tutissimum refugium”, 1628). And the desk or rather worktop, even when dematerialised by the latest trends in office design - thin surfaces, slender supports, no drawers, clear plastic or dark glass coatings -, is still a real symbol of individuality, of belonging to a place, of self identification and, in a broader sense, of the individual's resistance to the company's dictates - apparently necessary in this precarious and ever-changing work scenario. Tamed by personal objects, symptoms of brief daily affection or other artefacts instantly identifiable as status symbols (hyper-technology, Italian or Japanese style, luxury), which are expected to serve the communicative purpose of self-promotion, the desks is turning into the incessant monologue of self-assertion, identity and difference. Whereas in shared offices self-narrative has to come to terms with the inevitable rotating of workers around the same work area, it is in call centres, with all their deafening shifts aimed at covering the entire working day, where it is finally reduced to silence ultimately revealing how identity can, in reality, easily be absorbed by global dictates. " Uno, nessuno e centomila” (One, No one and One Hundred Thousand): is this an inevitable breakdown caused by the fluidity of the market?
* IMMA FORINO teaches Interior Architecture at Milan Polytechnic. She is the author of: Uffici: interni arredi oggetti, Einaudi, Turin 2011.
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PERRAULT_279:Articoli 23/03/12 15:45 Pagina 36
CITYLIGHTS IN BOULOGNE-BILLANCOURT Dominique Perrault
Viste delle torri prima e dopo l’intervento di riqualificazione.
Views of the towers before and after the redevelopment.
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ta inoltre una delle torri con un nuovo petalo di 10 piani di altezza. L’estensione riprende con un sistema strutturale leggermente aggiornato, la forma esagonale e la dimensione dei petali in modo da strutturare la parcella disegnando chiaramente il punto di ingresso. La geometria esagonale dei petali (ciascuno con una superficie di circa 400 metri quadrati) disposti attorno a un nocciolo centrale permette di evitare i vis-à-vis e la presenza di pilastri favorendo un’illuminazione a giorno su tutti gli uffici. Grazie all’ampliamento della torre il progetto permette di completare i confini del lotto creando un fronte costruito lungo il viale e definendo i contorni di un ampio piazzale che rinvia, grazie alla mineralità del suo trattamento e alle proporzioni del suo sviluppo, agli spazi pubblici conferendo all’insieme un’impronta istituzionale e dichiarandone l’appartenenza al sito. Perrault interviene poi radicalmente a livello del suolo per contrastare la separazione tra il quartiere e la città. Rinsalda le connessioni tra le due entità urbane strutturando, grazie a una gestione accorta dei differenti piani degli edifici, il piano terreno delle torri allo stesso livello del piano di sviluppo della città. L’ingresso, segnato da un’imponente tettoia inclinata in acciaio inox specchiante e dall’articolazione dei livelli interni, suggerisce la generosità degli spazi di accoglienza e lascia percepire l’organizzazione del basamento comune che collega le tre torri su tre piani offrendo oltre 10.000 metri quadrati di spazi destinati a servizi, luoghi d’incontro e di scambio. Questo tipo di organizzazione, con un forum su diversi livelli sovrastato da 70.000 metri quadrati di uffici, funge da campus verticale accogliendo in seno a uno stesso insieme ristoranti, caffetterie, fitness, portineria, asilo per i dipendenti delle società, centro conferenze. Gli interni progettati da Didier Gomez, sono giocati su tonalità particolarmente calde e rilassanti, in contrasto con l’immagine metallica delle facciate. Il programma lavori prevede l’avvio del cantiere per il terzo trimestre di quest’anno con consegna entro 24 mesi. ©DPA/Adagp
©DPA/Adagp
Vincitore di un concorso promosso nel 2007 da General Electric Capital Real Estate, il progetto di Dominique Perrault per la riqualificazione delle Torri del pont de Sèvres, nell’area delle ex officine Renault a Boulogne-Billancourt, si inserisce nel piano di rinnovamento urbano del quartiere del Trapèzie, uno dei settori emergenti dell’Ile Seguin-Rives de Seine a vocazione mista. L’intervento coinvolge la trasformazione di un insieme di oltre 80.000 metri quadrati di superficie utile creando un nuovo segnale urbano per uno dei principali programmi terziari dell’ovest parigino. Il progetto di Perrault, che non smentisce il registro espressivo minimalista caro all’architetto della Très Grande Bibliothèque di Parigi, si impone per la sua forza dialettica con la città che si va disegnando sulle vestigia dell’industria francese attraverso i progetti firmati da architetti della levatura di Norman Foster, Jean Nouvel, Ibos & Vitart, Joseph-Lluis Mateo ecc. Perrault si cala in questa realtà in completo divenire conservando, completando e distruggendo i dispositivi esistenti. Conserva un legame con la geometria marcata delle tre torri anni Settanta, formate ciascuna da tre petali di forma esagonale, con il gioco delle altezze diverse e con la disposizione dei piani. Libera gli edifici dal vecchio rivestimento e li avvolge in una nuova pelle dalle linee morbide, in contrasto con il rigore passato. Agli allineamenti verticali, sostituisce una strutturazione verticale ritmata da ampie superfici vetrate che lasciano intravedere una seconda pelle alternando la trasparenza ai riflessi argentati dei parapetti in alluminio naturale verniciato e dei brise-soleil metallici. La nuova facciata è declinata da un gioco di ”braccialetti”: elementi obliqui che circondano ogni torre su un terzo della sua altezza, un segnale scintillante proiettato a 360° gradi su Parigi e la periferia che annuncia i nuovi confini della città invitando la Senna e le sue rive, le colline di Sèvres, di Meudon e Suresne e le loro costruzioni gradinate a partecipare all’infinito spettacolo della città. In una prospettiva architettonica e urbana, il progetto comple-
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Grazie alla riqualificazione di tre torri anni Settanta, il progetto di Citylights partecipa al processo di trasformazione urbana dell’Ile Seguin valorizzando un polo terziario attrattivo lungo la prima cintura dell’ovest parigino.
By redeveloping three towers from the 1970s, the Citylights project contributes to the urban transformation process being carried out on Ile Seguin, enhancing an attractive services centre along the first belt of western Paris.
Dominique Perrault’s project to redevelop the Pont de Sèvres Towers at the old Renault plant in Boulogne-Billancourt, which won a competition organised by General Electric Capital Real Estate in 2007, is part of plans to completely redeveloped the Trapèzie neighbourhood, one of the rapidly emerging mixed-vocation districts in Ile Seguin-Rives de Seine. The project involves converting over 80,000 square metres of land to create a new urban landmark for one of the most important services programs in western Paris. Perrault’s project, drawing on the same minimalist stylistic approach as other works by the architect who designed the Très Grande Bibliothèque in Paris, manages to establish powerful interactive relations with this area of the city as it rises from its old industrial “ashes” thanks to projects designed by architects of the calibre of Norman Foster, Jean Nouvel, Ibos & Vitart, Joseph-Lluis Mateo etc. Perrault decided to make his own mark in this rapidly developing area by conserving, completing and also destroying existing structures. He has maintained a certain bond with the distinctive geometric design of the towers dating back to the 1970s, each formed out of three hexagonal-shaped petals through an interplay of different heights and floor layouts. He has freed the buildings from their old cladding and wrapped them in a new and softly-styled skin in stark contrast with the rigour of the past. The old vertical alignments have been replaced by vertical structuring incorporating wide glass surfaces providing glimpses of a second skin, alternating transparency with silvery reflections on the parapets made of painted natural aluminium and metal shutters. The new facade features an interplay of "necklaces": oblique elements running across one third of the overall height of each tower, a scintillating signal projected all around Paris and the suburbs to announce the city's new boundaries and invite the River Seine and its banks and the hills of Sèvres, Meudon and Suresne (with their step-like structures) to take part in the endless spectacle of the city of Paris. From an architectural and urban viewpoint, the project also completes
one of the towers through a new petal that is ten stories high. Using a slightly updated structural system, the extension draws on the same hexagonal form and proportions of the petals, so as to clearly identify the entrance point and structure of the overall design. The hexagonal geometric pattern of petals (each covering a surface area of approximately 400 square metres) set around a central core helps play down the presence of columns and enhancer daytime lighting through all the buildings. Thanks to the extension to the tower, the project allows the boundaries of the lot to be completed, creating a built front along the avenue and defining the outlines of a spacious square, whose mineral features and proportions and public spaces help give these public spaces an official look, clearly asserting that they belong to this site. Perrault has also taken radical action at ground level to combat the way the neighbourhood is separated from the city. He has re-established links between these two urban entities, structuring the ground floor of the towers at the same level at which the city extends out, thanks to his clever handling of the differing levels of the buildings. The entrance, marked by a striking sloping canopy made of reflective stainless steel and the clever layout of interior levels, helps enhance the reception spaces and reveals the layout of the communal base connecting the three towers over three levels, providing over 10,000 square metres of service facilities and meeting/congregation places. This type of layout, based around a forum at various levels with 70,000 square metres of offices above it, acts as a vertical campus, grouping together (in one single unit) restaurants, coffee bars, fitness facilities, a porter's lodge, crèche for company staff, and conference centre. The interiors designed by Didier Gomez draw on some particularly warm and relaxing shades of colour, in contrast with the metallic image of the facades. Building work is planned to begin during the first quarter of this year and be completed in 24 months. Assonometria con indicazioni delle funzioni.
Axonometry with definition of functions.
Atrii delle torri/Halls of the towers Uffici/Offices Ristoranti/Restaurants Cucina/Kitchen Reception Asilo nido/Nursery School Spazi commerciali/Trading spaces
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In alto, vista dal lato del parco. Sopra, prospettiva dal ponte e, nella pagina a fianco, il “forum” di accesso alle torri.
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Top, view from the park. Above perspective view from the bridge and, opposite page, the access “forum” of the towers.
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Credits Project: Dominique Perrault Architecte, Paris Engineering: EGIS Bâtiments (structure, fluid), Socotec (control), EPPAG (facade), AADT (safety), Socotec (control), RPO (economist), Le Sommier Environnement (environnement consultant), Veritas
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(control), CSD & associés (coordinator), Cabinet Legrand (building surveyor), C.C.i (elevator expert), G.SIR (kitchen) Interior decorator: DGID Promoter: BNP Paris Immobilier Promotion Immobilier d’entreprise Promoter consultant: Sésame Conseil Client SAS des Tours du Pont de Sèvres
Vista notturna e studi per la definizione delle facciate in cui si alternano superfici vetrate piatte e inclinate. Nella pagina a fianco, particolare della facciata.
Nighttime view and studies for the definition of the facades, constituted by alternating plane and oblique glass panels. Opposite page, detail of the façade.
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Photos: Beppe Raso
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VODAFONE VILLAGE IN MILAN Architetti Rolando Gantès e Roberto Morisi: P.R.P. Progettazione Realizzazione Promozione Dante O. Benini & Partners Architects
a memory orth-west
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Siamo a Dubai o sulla Milano-Corsico? Non possono non puntare in alto gli occhi di chi transita sullo stretto e affollato marciapiede pubblico di via Lorenteggio, che costeggia la spaziosa agorà del neo-edificato gigante da 300.000 metri cubi battezzato Vodafone Village. Occhi puntati al culmine dei tre manufatti vetrati (rispettivamente 14, 11 e 9 piani) protetti da una immensa vela, memoria di viaggi melvilliani tanto quanto il più basso corpo, detto, non casualmente, la balena. Insomma una a-contestuale metafora oceanica che stupisce e sorprende piacevolmente la gente del quartiere, se così si può definire una chilometrica arteria coltivata a modesta edilizia residenziale assediata da capannoni industriali e immensi outlet. Realizzato a tempo di record (per Italia…) su un’area industriale dimessa e vincente sulle farraginosità burocratiche della nostra edilizia (iniziato a maggio 2008 e inaugurato a inizio 2012), questo villaggio globale da 67 mila metri quadri, ospita circa 3.000 persone, riunendo in un unico polo gli edifici milanesi di Vodafone. Il che non ha soltanto una valenza aggregativa-solidarizzante per il personale, ma anche una finalità purificante per Milano: la concentrazione delle attività in un'unica struttura consente, infatti, l’abbattimento di oltre il 50 per cento delle emissioni di CO2. Ecosostenibilità, dunque, che diviene fiore all’occhiello dei progettisti Roberto Morisi e Rolando Gantès i cui giardini fotovoltaici da 800 metri quadrati, realizzati on the top dell’edificio, sono abbinati all’uso di cementi fotocatalitici; a un 90 per cento di facciate costituite da vetri tripli che interagiscono con le radiazioni solari consentendo un ottimale rapporto risparmio energetico-confort dei lavoratori; a un innovativo sistema computerizzato che modula l’irraggiamento solare in funzione di calore e luce necessari alle differenti situazioni ambientali; al contributo climatizzante delle travi fredde; fino a una centrale di tri-generazione che rende l’intera struttura indipendente (anzi, sapendosi muovere fra le maglie delle complesse leggi in materia, potrebbe anche offrire energia all’esterno…). Dice l’architetto Morisi che la sua filosofia progettuale è quella di portare “il dentro fuori”. E di creare un “borgo” o quanto meno evocarne il concetto, facendo assurgere, nel contempo, la propria creatura a elemento emergente e caratterizzante dello skyline urbano. Gli edifici sono tre, posti in comunicazione fra loro attraverso percorsi aerei e “ponti” diversamente declinati. I tre blocchi principali si differenziano in altezza e si snodano verso l’interno (“come se fossero generati da una forza centrifuga”, sottolineano i progettisti), “protetti” da una grande vela sul versante principale di via Lorenteggio, mentre, “a babordo” (per introdurre l’ambito marinaresco…), si allunga un corpo basso che ricorda, per foggia, una immensa balena bianca, una Moby Dick che racchiude la mensa. L’insieme è annunciato al quartiere da una grande piazza leggermente sopraelevata (“che costituisce un negativo in termini volumetrici” spiegano Morisi e Gantès). Piazza che dovrebbe divenire anche il luogo di incontro fra città e Vodafone, mentre una fontana funge da advisor per l’ingresso principale e introduce alla hall, secondo momento (e memento) di accessibilità da parte del pubblico, accolto da una serie di operatori pronti a fornire informazioni e consigli. Gli interni, ideati dallo studio Dante O. Benini & Partners Architects, puntano molto sulla qualità della vita lavorativa e di relazione. I percorsi, definiti ai vari piani da differenti tonalità cromatiche, offrono un asilo interno per i figli dei dipendenti, aree relax, per meeting, bar e un ristorante aziendale gastronomicamente polietnico, contenuto nella bocca del cetaceo di cemento. Oltre che uffici open space, concentration room e sale per la formazione fantasiosamente arredate in funzione dei corsi da tenere (anche con affascinanti arredi totalmente riciclati, realizzati e forniti dalla Contrada degli Artigiani della Fondazione Cometa, associazione di accoglienza e formazione di Como). Un teatro-foyer da 400 posti (riducibile) il cui uso del legno (vaga memoria palladiana) abbinato all’ipertecnologia, crea un piacevole contrasto visivo. In linea con la filosofia ecosostenibile del progetto, è stato dato ampio spazio al verde, compresa una collinetta con alberi ad alto fusto che circonda uno specchio d’acqua e che si fa nucleo centrale della piazza sopraelevata. Realizzato dal Gruppo Carminati di Emanuele Carminati, attraverso la società Real Estate, sotto la supervisione e il coordinamento generale della Professional Center, il Vodafone Village è costato circa 300 milioni di euro, una cifra superiore al budget di Avatar, ma che ha permesso di creare una struttura che coniuga ecosostenibilità e tecnologia avanzata. Michele Bazan Giordano 44 l’ARCA 279
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Viste aeree, planimetria generale, pianta del piano terra e, sotto, da sinistra piante del primo, terzo e settimo piano del nuovo quartiere generale di Vodafone Italia, in Via Lorenteggio a Milano. Complesso ecosostenibile di 67.000 mq utili che ospita circa 3.000 dipendenti, il Vodafone Village è stato realizzato con una serie di accorgimenti ispirati alla sostenibilità, così da dimezzarne l’impatto ambientale: dal giardino fotovoltaico di 800 mq, capace di produrre più di 80 Kw/ora, a una centrale di trigenerazione da 3 Megawatt, a uno speciale cemento fotocatalitico che permette l’abbattimento degli inquinanti organici e inorganici presenti nell’aria. Il complesso, realizzato dal Gruppo Carminati, attraverso la società Real Estate, sotto la supervisione e il coordinamento generale della Professional Center, è stato progettato dagli architetti Gantès e Morisi della P.R.P.. Per gli interni, Vodafone si è invece affidata allo studio Dante O. Benini & Partners Architects.
Aerial views, site plan, ground floor plan and, below, from left, plans of the first, third and seventh floors of the new headquarters of Vodafone Italia in Via Lorenteggio, Milan. An eco-sustainable centre covering 67,000 m² accommodating about 3000 staff, Vodafone Village was designed with a series of features inspired by sustainability, so as to halve its environmental impact: an 800 m² photovoltaic garden capable of generating over 18 kwh, a 3 MW tri-regeneration power unit, and a special photo-catalytic cement reducing the amount of organic and inorganic polluting substances in the air. The centre, built by Gruppo Carminati through the Real Estate company, under the supervision and general coordination of the Professional Center, was designed by the architects Gantès and Morisi from P.R.P. Vodafone commissioned Dante O. Benini & Partners Architects to design the interiors.
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Are we in Dubai or on the road from Milan to Corisco? Anybody walking along the narrow and extremely busy public sidewalk in Via Lorenteggio, that skirts along the spacious new agora resulting from the newly constructed giant 300,000 m³ construction called Vodafone Village cannot help but look up into the sky. You inevitably stir up at the top of the three new glass constructions (respectively 14, 11 and 9 stories tall) protected by a huge sail inevitably evoking Melville's travels, as does the lowest of the construction, which, not by coincidence, is known as “the whale”. in a nutshell we have a non-contextual oceanic metaphor that pleasantly surprises and startles the local people, if that is how we can describe a one-kilometre-long stretch of modest residential buildings peppered with industrial warehouses and huge retail outlets. Built in record time (for Italy….) on an abandoned industrial sites after successfully negotiating all the inevitable bureaucratic obstacles facing our building industry (begun in May 2008 and officially opened at the beginning of 2012), this 67,000 m² global village accommodates about 3000 people, joining together in one single centre the Milanese offices of Vodafone. This is not only a means of bringing together and uniting the staff but also quite a purifying experience for Milan: focusing all the operations in one single facility means that the amount of carbon dioxide emissions can be reduced by over 50%. So eco-sustainability has become the fly in the buttonhole of the architects Robert Morisi and Rolando Gantès, whose 800 m² of photovoltaic gardens built on top of the building are integrated with the use of photo-catalytic cements. 90% of the facades have triple glazing that interacts with solar radiation to allow an optimum balance between energy saving and staff comfort. There is also an innovative computerised system that modulates sunlight in relation to the heat and light required in different environmental situations. Cold girders contribute to air-conditioning and there is even a tri-generation power station making the facility self-contained. The architect, Mr Morisi, claims that his design philosophy involves taking "the inside outside". This involves creating a "village" or, at least, evoking the concept of one, at the same time making his own creation a highly distinctive emerging feature on the urban skyline. The three buildings interact through overhead pathways and "bridges" set at different angles. The three main blocks are of various different heights and wind towards the inside ("as if they had been generated by a centrifugal force", so the architects point out), "protected" by a giant sail over on the main side along Via Lorenteggio, while "on board" (to use a maritime expression...) there is a low construction whose design is reminiscent of a giant white whale, a Moby Dick enveloping the canteen. The overall structure asserts its presence on the neighbourhood through a large, slightly raised square ("that creates a negative in structural terms", so Morisi and Gantès explain). A square that ought to become a meeting place bringing together the city and Vodafone, while a fountain acts as an “adviser” at the main entrance and leads through to the hall, a second means of access for the general public, who are greeted by a number of members of staff ready to provide information and advice. The interiors, designed by Dante O. Benini & Partners Architects, focus strongly on the quality of working life and interaction. The various pathways, featuring different colour schemes on different levels, serve an inhouse staff crèche, relaxation areas, meeting facilities, a gastronomically poly-ethnic company restaurant and bar, all accommodated in the mouth of the concrete “cetacean”. As well as open space offices, concentration rooms and imaginatively decorated training rooms geared to the courses being held (incorporating intriguing, totally recycled furniture constructed and supplied by the Contrada degli Artigiani della Fondazione Cometa, a reception and training association in Como). There is also a 400-seat (it can be made smaller) theatre-foyer, whose use of wood (vaguely evoking Palladio) combined with hybrid technology, creates a pleasant visual contrast. In line with the project’s eco-sustainable philosophy, plenty of room has been allocated for greenery, including a small hill lined with tall-trunked trees surrounding a pool of water that acts as a central hub for the raised square. Realized by Gruppo Carminati of Emanuele Carminati through the Real Estate company and under the supervision and coordination of Professional Centre, the Vodafone Village cost approximately €300 million, a higher figure than the budget the film Avatar, but this has enabled the creation of a facility that successfully combines eco-sustainability and cutting-edge technology. Michele Bazan Giordano 279 l’ARCA 47
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Credits Exterior:
Architectonic and Executive Project, Coordination and Art Direction: Architetti Rolando Gantès e Roberto Morisi: società di progettazione PRPProgettazione Realizzazione Promozione Collaborators: Fabrizio Allegro, Danila Brena, Gabriele Campari Bernocchi, Cristiana Carella, Anna Carnevale, Stefano Napolano Project and Work Management Technological Plants (electrical, mechanical, cogeneration central): AS INGG Landscape Design: Patrizia Pozzi Construction Management: EKO Progetto Execution Coordination: Studio Briganti Worksite Safety Management: Studio Lovato Structures Project and Works Management: Giulio Terzini TERZINIingegneria, Giovanni Plizzari - Enco Engineering Consulting, Luigi Gariboldi Fire Prevention: Carlo Enrico Novati Acoustics Consultant: S&B Acustica Ambientale General Contractor: Professional Center, Società di Engineering del Gruppo Carminati Reclamation and Earth Works: Impresa Didonè Special Foundations: Eurosol Opere Specializzate Construction: C.S.C. Costruzioni speciali in c.a., Ediltecno Restauri
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Plasterboards Walls and False Ceilings: Respedil Metal Works: Simsteel TX Cement Facade Panels: Styl-Comp, Italcementi TX Self-Blocking Panels: Magnetti, Italcementi Special Ironworks: Extra Vega Waterproofing: Imperedil Grills: Conte Fire-break Doors: Novodoor Ceramics Floors: Tempini Sheet-Metal Works: Termocoperture Lifts: Kone Curtain Walls: Intercom, Wicona Aluminium Profiles Supplier: Hydro Building Systems Glasses Supplier: Interpane Glasgesellschaft Solar Screens: Warema Mechanical Plants and Climatisation: Termigas Bergamo Electrical Plants: Milani Giovanni & C. Supervision Plants: Honeywell Out-takes: Wierer Camini Greenery: HW Style Electric Generators: Compagnia Tecnica Motori Security Life Lines: Fly Service Group Photos: Beppe Raso Client: Vodafone Italia
Nelle pagine precedenti, schizzo di Roberto Morisi e viste del complesso che è costituito da tre edifici rispettivamente di 14, 12 e 10 piani destinati a uffici e da un quarto adibito a spazi collettivi. I tre corpi principali con le facciate completamente trasparenti, che ricoprono una superficie complessiva di 27.000 mq, si affacciano sulla piazza e si rispecchiano l’uno nell’altro come una cittadella, moderno “borgo” che si rifà alla più antica tradizione architettonica italiana senza disdegnare l'utilizzo delle più innovative tecnologie. Sopra, sezione 1-1; a destra, sezione verticale standard.
Previous pages, sketch by Roberto Morisi and views of the complex that is composed of three buildings, which are 14, 12 and 10 stories tall respectively, holding offices, and a fourth building providing communal facilities. The three main constructions, which have totally transparent facades, cover an overall area of 27,000 m², overlooking a square and reflected in each other like a citadel, a modern "village" inspired by old-fashioned Italian architectural tradition while adopting the very latest in technology. Above, 1-1 section; right, standard vertical section.
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In alto, sezione 2-2. Sopra e a sinistra, piante e sezioni sulla piazza centrale. Nella pagina successiva, viste della piazza centrale, del giardino fotovoltaico e della prua che caratterizza l’ingresso al Vodafone Village.
Top of page, 2-2 section. Above and left, plans and sections of the central square. Following page, views of the central square, photovoltaic garden and distinctive hull characterising the entrance to Vodafone Village.
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ENTRANCE HALL Gli interni del Vodafone Village, ideati da Dante Benini & Partners Architects, sono stati pensati e progettati in funzione di un nuovo modo di intendere il lavoro e l’accoglienza. L’ingresso principale si trasforma da semplice reception ad area “connettiva”, aperta a dipendenti, consulenti, clienti e visitatori. Il sistema di Entrance Hall è immerso in uno spazio a tripla altezza, con 1300 metri quadrati distribuiti su tre livelli e illuminati dal grande tetto vetrato. L’uso della tecnologia – video wall, led, telefonini – si integra con materiali quali legno, pietra, eco-pelli, vegetazione e luce. L’illuminazione a soffitto si compone di diaframmi intervallati da lamelle in policarbonato riciclato opalino che lasciano filtrare luce artificiale calda e fredda, opportunamente miscelata con la luce diffusa. Dalla balconata del primo piano (pagina successiva), attraverso un ponte di acciaio e pietra, si accede nel Learnig Center, centro di formazione Vodafone. Il Vodafone Theatre è un auditorium/teatro progettato per 380 persone su una superficie totale di circa 900 mq e 200 mq di dehors. Si trova nel corpo “basso” soprannominato “Balena”, attiguo alle torri del Vodafone Village, ed è stato ideato sia per un utilizzo aziendale, sia per essere ceduto a terzi che, vista la carenza di auditorium a Milano, potranno servirsene per propri spettacoli o convention. La sala, grazie all’uso nobile dei materiali (legno, pelle, alluminio) e i contasti generati delle scelte cromatiche, si presenta come un involucro architettonico fortemente caratterizzato e particolare mantenendo sia l’eleganza delle sale concerto sia l’informalità tipica dei “laboratori teatrali”. Il controsoffitto è un “carapace tecnologico” di luci e scaglie sospese laccate nero: le poltrone in pelle blu notte, le pareti nere e alluminio, tutto si adagia su un fondo realizzato in legno di rovere lasciato nella sua essenza espressiva naturale, che genera e completa la cassa armonica dello spazio interno. Gli uffici per i 3.000 dipendenti sono organizzati totalmente in open space, con “isole” tematiche per riunioni informali, concentration room, call box, postazioni touch down e coffe area. Il ristorante aziendale è organizzato come un open space reso dinamico dai diversi banconi gastronomici “tematici” caratterizzati da colorazioni distinte. Le grandi pareti vetrate perimetrali lo rendono uno spazio luminoso e aperto verso l’esterno.
The interior space of Vodafone Village, designed by Dante Benini & Partners Architects, was planning and created according to a new way of viewing work and reception facilities. The main entrance transforms from being a simple reception zone into a "collective" area open to staff, consultants, customers and visitors. The entrance hall is immersed in a triple-height space covering 1300 m² over three levels and lit through a large glass roof. The use of technology - video wall, LEDs, cell phones is integrated with materials like wood, stone, eco-skins, landscaping and light. The ceiling lighting is composed of diaphragms with thin plates set between them made of recycled opaline polycarbonate, allowing warm and cool artificial light to filter through suitably mixed with diffused lighting. Access to Vodafone's training centre, the so-called Learning Centre, is along the first-floor balcony (following page) across a footbridge made of steel and stone. The Vodafone Theatre is an auditorium/theatre designed to accommodate 380 people over a total area of approximately 900 m² with 200 m² of outdoor space. It is located in the "low" construction called the "Whale", set alongside the towers of Vodafone Village. It is designed for corporate usage and can also be rented out to third parties, who, considering the lack of auditoriums in Milan, can use it to host their own shows or conventions. Thanks to the use of noble materials (wood, skin, aluminium) and contrasts generated by the colour scheme, the main hall looks like a highly distinctive and usual architectural shell displaying the same elegance as a concert hall and the kind of informal setting of "theatrical workshops". The double ceiling is a “technological carapace” of black lacquered scales and lights: midnight blue-coloured leather seats, the black, aluminium walls, everything is set against a background of oak-panelling left in its own natural expressive state that generates and completes the sound box formed by the interior space. The offices for 3000 staff are all arranged in an open-space design, with theme "islands" for informal meetings, concentration rooms, call boxes, touch-down stations and a coffee bar. The company restaurant is organized as an open space, rendered even more dynamic by the various gastronomic "theme" counters in different colours. The large glass perimeter walls make this a brightly lit space open towards the outside.
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THEATRE
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OFFICES
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RESTAURANT
Credits Interiors
Project: Dante O. Benini & Partners Architects (DOBP) Project Architects: Dante O. Benini, Luca Gonzo Project Director: Stefania Cerri, Silvio Petronella Project Director Assistant: Annalisa Brambilla, Rosaria Napoliello Design Team: Fabio Fassina, Stefania Shaw Galli, Costanza Marchetti, Mariangela Nepoti Project Manager: Mirna Gelleni, Flora Butti Project Management Consultants: Favero & Milan (Giampaolo Lenarduzzi, Giorgia Cassin) Space Planning: Dante O. Benini & Partners Architects + DEGW Preliminary Mechanical and Electrical Project: Sepro (Mario Scopece), Impro (Carlo Zanovello) Acoustics: Biobyte (Enrico Moretti, Maria Cairoli) Safety and Fire Prevention: Diaspro Graphics: Network Comunicazione, TBWA General Contractor: Professional Center (Tiziano Tagliabue) Executive Project and Management Electrical Plants: AS Ingg (Leonardo Sergardi) Executive Project and Management Mechanical Plants: AS Ingg (Nando Ciardullo) Ceramics Floors and Cladding: Marazzi Adhesives and Seals: Mapei Floating Floor: Sadi Poliarchitettura, Monotile Rubber Cladding: Mondo PVC Cladding: Liuni Carpet floor: Ege Carpet Wood Cladding: Abet Group, Barth Adhesive Films: 3M
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Colored Glass Cladding and Glass Doors: Omnidecor, CBC – Calvi Glass and Steel Works: Vetreria Busnelli- Extra Vega Manoeuvrable Walls: Oddicini Green Wall: Optima Giardini Pensili Mobile Walls: Miodino Internal Doors: Connecticut, Lualdi Authomatic Doors: Besam, Dorma, Nordwall Shading Systens: SilentGliss, Pellini Metal False Ceilings: Armstrong, Sadi Lighting Devices: Zumtobel, Wever & Ducré, Artemide, Quattrobi, Blight, Flos, Rotaliana Air Ducts: Trox Lifts: Kone Kitchen Installations: Angelo Po Grandi Cucine Turnstiles: Laser Line Custom Furniture: Top Stand, AB Furniture Furniture: Sedus, Poltrona Frau, Bene, Kinnarps, Fantoni, Belca, Arper, Caimi Brevetti, Tagliabue Sistemi, Tecno, Moroso Special Learning Center Rooms Furniture: Fondazione Cometa Graphics Installation: GR Interior Plasterboards: Respedil, Knauf Audio Video Project and Devices: Bell Production Walls Acoustic Cladding: Topakustic Fantoni Walls Metal Cladding: Sadi Wood Cladding seatings and mezzanine: Barth Innenausbau Kg Signaling Boards: Cicrespi, Cermenara Canteen: Compasses Photos: Beppe Raso Client: Vodafone Italia Client Property Manager: Gianbattista Pezzoni Client Project Manager: Samantha Fozzi
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RINNOVO DI PALAZZO MEZZANOTTE HIGH QUALITY OFFICES
Photos: Beppe Raso
Dante O. Benini & Partners Architects
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Nella pagina precedente, vista della facciata storica di Palazzo Mezzanotte, oggetto dell’intervento di rinnovo e ristrutturazione per riunire in un’unica sede gli impiegati della Borsa di Milano.
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Previous page, view of the main facade of Palazzo Mezzanotte, that has been restructured and renovated to join together all the staff of Borsa di Milano.
Sopra, sezione. In alto particolare del lucernario nel “chiostro” centrale.
Above, section. Top, detail of the skylight in the central “cloister”.
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Vista del “chiostro” inondato dalla luce naturale proveniente, oltre che dall’alto, dalla ricca trama delle finestrature dell’edificio storico
View of the cloister flooded with natural light coming from the top and from the rich pattern of windows of the historical building.
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Un intervento di ristrutturazione e rinnovo di Palazzo Mezzanotte (1932), finalizzato a migliorare gli ambienti lavorativi e rendere più efficace l’uso degli spazi, nonché a riunire in un’unica sede tutti gli impiegati milanesi del gruppo LSEGH (I).
La filosofia che ha guidato il progetto di rinnovo della sede della Borsa di Milano è stata quella di riunire tutti gli impiegati sotto lo stesso tetto, rinnovando a tale scopo gli spazi di Palazzo Mezzanotte con la massima attenzione alla conservazione dell’eredità storica, architettonica, artistica e archeologica del palazzo, ma trasmettendo, allo stesso tempo, il dinamismo tipico di una organizzazione internazionale proiettata nel futuro. Il progetto degli interni e le finiture selezionate hanno privilegiato la creazione di un ambiente di lavoro luminoso e raffinato con un ragionato utilizzo della luce naturale e dei materiali per creare armonia ed equilibrio adatti ad affrontare la giornata lavorativa. Ferma restando la necessità di insediare nuove funzionalità, si è realizzata la conservazione con il recupero e il ripristino dell’esistente sulle zone originali sotto la guida della Soprintendenza ai Beni Culturali (per la consulenza di Enrico Colosimo) prendendo spunto da queste per le zone dove è stato invece necessario provvedere a un nuovo allestimento. Alcuni elementi significativi all’interno del palazzo sono stati conservati e ripristinati: come il grande lucernario sul chiostro centrale, le finestre interne “rosso Mezzanotte”, i colori di finitura interna piano primo, i parquet e le luci originali al piano primo, gli infissi interni originali al primo e terzo piano, la finestra sul timpano facciata principale, gli arredi al piano storico “Comitato Borsa”. Sono invece state eliminate le pareti mobili e sostituite, in quantità notevolmente inferiore, solo dove era necessario e in ogni caso con partizioni vetrate per consentire la continuità di lettura dell’inSotto, a sinistra, pianta dell’auditorium al piano terra e, a destra, pianta della caffetteria al piano interrato. Nella pagina a fianco, vista dello spazio di ingresso all’auditorium. Nelle pagine successive, viste della caffetteria con gli storici rivestimenti in ceramica progettati da Gio Ponti e i pavimenti trasparenti che valorizzano i sottostanti reperti archeologici del teatro romano.
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Below, left, plan of the auditorium at the ground floor and, right, plan of the cafeteria in the basement. Opposite page, view of the entrance space of the auditorium. Following pages, views of the cafeteria with the historical ceramic cladding designed by Gio Ponti and the transparent floor enhancing the view of the archaeological finds of the Roman theatre underneath.
volucro edilizio originale, che è stato ulteriormente arricchito con l’inserimento di nuovi arredi operativi. Tra le priorità dell’intervento si segnala senz’altro quella di riuscire a realizzare uno spazio di lavoro di alta efficienza e, soprattutto, di sostenibilità ambientale e culturale. A tal fine, il progetto è stato indirizzato sulla combinazione di varie strategie, soprattutto per la massima valorizzazione della luce naturale: layout open space, utilizzo di materiali riflettenti, ricorso a colori chiari che accentuano l’effetto di riflessione della luce; utilizzo di lampade ad alta efficienza per maggiore resa illuminotecnica e ridotti consumi; sistema di luci regolabili nell’intensità con rilevazione automatica del livello di luce naturale presente per minimizzare gli utilizzi; due differenti scenari di illuminazione per ogni area, creati dalla compresenza di luce indiretta e diretta; controllo delle accensioni automatico, in rapporto all’orario lavorativo e con rilevatori di presenza per garantire risparmio energetico e contenimento costi; schermature solari con tende filtranti per controllo della luce e dell’irraggiamento a seconda dell’esposizione solare dell’ambiente. L’intervento progettato da Dante O. Benini & Partners Architects, dunque, è risultato in un ambiente di lavoro contemporaneo, uno spazio di ufficio aperto, con una ottima visibilità e possibilità di comunicazione tra i dipendenti. Le influenze progettuali sono confluite in un ufficio che ha il “look & feel” (l’immagine e l’atmosfera) come DNA dell’ambiente di LSEGH (I).
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The restructuring and renovation of Palazzo Mezzanotte (1932), aimed at improving the work premises and making more effective use of space, as well as joining together all the staff of LSEGH (I) Group in one single location.
The underlying philosophy behind the project to redevelop the Stock Exchange was to unite all the staff under one single roof. This meant renovating the spaces of Palazzo Mezzanotte paying the utmost attention to holding on to the building’s historical, architectural, artistic and archaeological heritage, while, at the same time, conveying the kind of dynamism associated with an international organisation projected into the future. ÚThe interior design and selected finishing features focused on the creation of a brightly-lit and refined setting based on the carefully thought-out use of natural light and materials to create the kind of harmony and balance required for facing a hard day's work. Without forgetting the need to incorporate new functions, conservation work was carried out by renovating and repairing the existing building on its original site under the supervision of the Superintendent's Office for the Cultural Heritage (under the consultancy of Enrico Colosimo), drawing inspiration from existing features for the areas where, on the other hand, a new layout was required. Certain key elements inside the building have been preserved and repaired: such as the large skylight in the central cloister, the midnight-red interior windows, the colour scheme of the interior finishing on the first floor, the parquet floors and original lights on the first floor, the original internal fixtures on the first and third floors, the window on the tympanum of the main facade and the furnishing on the historic "Stock Exchange Committee" floor. On the other hand, the moving walls have been eliminated and only replaced (in a notably smaller number) where necessary and,
in any case, incorporating glass partitions so that the original building shell (that has been enhanced by the insertion of new practical furniture) can still be seen. Among the priorities of the project, it is certainly worth mentioning the creation of a highly efficient workspace, which, most significantly, is both environmentally and culturally sustainable. To this end, the project focused on a combination of different strategies, mainly aimed at making maximum use of natural light: the open-space layout, use of reflective materials, resorting to clear colours to accentuate reflections of light, the use of high-efficiency lamps for greater lighting efficiency and reduced consumption, a system of lights whose intensity can be adjusted with the automatic recording of the natural lighting level in order to minimise unnecessary usage; two different lighting scenarios for each area created by the simultaneous presence of both indirect and direct light, control over automatic switching-on, in accordance with working hours, and presence detectors to ensure energy saving and keep costs down, sunscreens based on filtering curtains to control the light and sunlight in relation to the direction in which the room faces. The project designed by Dante O. Benini & Partners Architects has, therefore, resulted in a very modern-day working environment, an open-space office design offering optimum visibility and potential interaction between staff. Various design influences have flowed into an office that has a certain look and feel in its DNA creating the very special working environment of LSEGH (I).
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Credits Project: Dante O. Benini & Partners Architects Principal in charge: Luca Gonzo Project Architects: Dante O. Benini, Luca Gonzo Project Director Assistant: Sabrina Losio, Carlo Morroni Design Team: Matteo Artusi, Michele Corrado, Paolo Longoni Plant System Project: HMI-Hilson Moran Italia (Cosimo Verteramo, project director) Mechanical Plants Project: Hugh McManus, Sabrina Marino Electrical Project: Luca Melzani, Paolo Pessina Restauration Consultant: Enrico Colosimo Health Safety Consultant: Romeo Safety Italia Structural Design: DLC Client Cost Controller: Davis Langdon General Contractor: Eleca Construction Company: Respedil Electrical Plants: Ieci Impianti Mechanical Plants: Anap Frigo Sanitary Water System: Idrotermoclima IT Systems: Telecom, Gmt, G7 New Chiller Units: Tec Imp Lifts: Gruppo Millepiani VDF Units: Mitsubishi Air Diffusers: LTG
Floors, Floating Floors, Covering: Monotile Trading Wooden Floors: Renato Pesci Tables: Unifor Storage, Glazed Movable Walls: Sagsa Seats: Human Scale Lighting: iGuzzini Metal Ceilings: Armstrong Reflective Ceilings: Almeco Solar Curtains: Omnitex Contract Bathroom Fittings: Hatria Marazzi Radiators: Antrax Faucets: DMP Electronics Toilet Accessories: Fumagalli Componenti Glazed Toilets Doors and Mirrors: CBC Greenery: Crespi Bonsai Terrace Furniture: Schoenhuber Franchi Paintings: Ratti Group Indoor Signs: Cicrespi Moquette Parterre: ECT Contract – Anker Stage, Speaker Bench Parterre: Risam for Show Floor Cafeteria: Armostrong Tables and Seats Cafeteria: Belca Cafeteria Equipment: Grandi Impianti Ali Electrical System Cafeteria: E-Engineering Photos: Beppe Raso Client: London Stock Exchange Group Holding (Italy)
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Nelle pagine precedenti e nella pagina a fianco, viste degli uffici open space. Dove necessario sono state inserite partizioni vetrate per consentire la continuità di lettura dell’involucro edilizio originale, che è stato ulteriormente arricchito con l’inserimento di nuovi arredi operativi,
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quali le sedute Liberty di Humanscale, i contenitori, cestini e cassettiere Sagsa, i piani di lavoro Unifor, accanto ad alcuni arredi originali. In questa pagina, viste della scala centrale e dei corridoi del piano terra in cui sono state ripristinate le finiture originali.
Previous page and opposite page, views of the open space offices. Where necessary, glass partitions have been incorporated so that it is possible seeing the original building shell, which has been enriched with new functional furniture such as
the seats Liberty by Humanscale, cases, waste baskets and drawers by Sagsa, desks by Unifor, nearby the original furniture pieces. In this page, views of the central stair and of the corridors at ground floor, where the original finishings have been restored.
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CENTRO DI PRODUZIONE MCLAREN IN WOKING, SURREY (UK) Foster + Partners
Il Centro di Produzione, aperto ufficialmente nel novembre 2011, completa il villaggio industriale McLaren a Woking nel Surrey, poco a sud ovest di Londra, che comprende anche il Centro visitatori ipogeo, l’avveniristica galleria del vento, e l’ormai noto Technology Centre (l’Arca 191), inaugurato nel 2004, sempre su progetto di Foster+Partners. Il nuovo edificio presenta un corpo di fabbrica a base rettangolare, che si sviluppa su una superficie coperta di 34.500 metri quadrati. All’interno, caratterizzato da una luminosa ed elegante monocromia bianca, sono ospitate le linee di produzione e assemblaggio delle granturismo McLaren destinate alla normale circolazione su strada, tra le quali la nuova MP4-12C. Il Technology e il Production Centre sorgono in prossimità l’uno dell’altro e, pur contrapposti dal punto di vista formale in una tensione concettuale all’equilibrio tra pensiero e produzione, sono collegati da un percorso ipogeo inteso a incrementare la sinergia funzionale tra i due comparti. L’organizzazione interna dell’impianto rispecchia il flusso della produzione. Al livello inferiore trovano spazio le aree di stoccaggio e gli impianti. Al livello superiore le linee lungo le quali le vetture vengono assemblate, verniciate, rifinite e testate. Inoltre, è stata allestita una piattaforma panoramica da cui i visitatori della fabbrica possono godere di una vista generale degli spazi e delle linee di produzione. 72 l’ARCA 279
Le strutture in elevazione e di copertura sono in acciaio, mentre l’interrato è in blocchi di cemento su fondazioni in calcestruzzo. L’involucro, in elementi sandwich termoisolati, prevede una doppia cortina di pannelli, al fine di ottenere un’intercapedine all’interno della quale sono contenute le linee di distribuzione impiantistica. Oltre che nell’involucro le dotazioni impiantistiche (aria compressa, elettricità, ventilazione, comunicazione, eccetera) sono integrate sotto il pavimento, nei controsoffitti, nei carter che avvolgono i pilastri. La capillarità e la flessibilità dei servizi e delle prese di utenza rende indifferente il posizionamento e lo spostamento delle isole di montaggio, assecondando l’evolversi delle esigenze produttive. La continua attenzione al dettaglio ha fatto la differenza non solo a livello estetico e di finitura, ma anche in termini di costi e tempi esecutivi. Basti pensare ad esempio che le dimensioni della griglia di impostazione modulare della struttura dell’edificio e delle piastrelle di pavimentazione (32.000 metri quadrati, realizzati dall’italiana Pastorelli) sono state coordinate per ottimizzare le operazioni di posa minimizzando gli sfridi. La pianificazione paesaggistica di un’area così ampia ha necessitato di un attento studio per ottimizzare l’inserimento e l’impatto ambientale di un edificio di tali dimensioni, pur se concepito secondo i più alti standard di efficienza energetica e sostenibilità. A tale riguardo, tutto il materiale di risulta dallo scavo per le fondazioni e del piano interrato (circa 180.000 metri cubi) è stato mantenuto sul posto e impiegato per rimodellare il paesaggio.
Nigel Young/Foster+Partners
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Un edificio industriale che si ispira ai principi aziendali di prestazione, tecnologia, design di alta qualità, attenzione meticolosa ai dettagli con lo sguardo costantemente rivolto alla sostenibilità ambientale.
An industrial building aspiring to the company's principles in terms of performance, technology, high-quality design and meticulous attention to detail with a constant eye for environmental sustainability and performance.
The Production Centre, which officially opened in November 2011, completes the McLaren Industrial Village in Woking, Surrey, just to the south west London. It also includes an underground visitors centre, a futuristic wind tunnel and now rightly famous Technology Centre (l’Arca 191) that opened in 2004, again designed by Foster+Partners. The new building is a rectangular-based structure covering a built-on surface of 34,500 m². The brightly-lit and elegant all-white interiors accommodate the production and assembly lines for the McLaren touring cars designed for ordinary road usage, including the new MP4-12C. The Technology and Production Centres stand alongside each other and, although they contrast stylistically in a careful conceptual balance between thinking and production, there are connected by an underground pathway aimed at increasing the functional synergy between the two departments. The plant’s interior layout mirrors the production flow. The storage and plant-engineering areas are located on the lower level. The upper level holds the various production lines where the cars are assembled, painted, finished and tested. A panoramic observation deck has also been installed, so that visitors to the factory can enjoy an overall view of the production lines and spaces. The elevation and roof structures are made of steel, while the underground level is composed of cement blocks on concrete founda-
tions. The shell, which is made of heat-insulated sandwich elements, has a twin curtain of panels so as to create an internal cavity for accommodating the plant-engineering distribution lines. The networks (compressed air, electricity, ventilation, communication etc.) are incorporated under the floor, in the double ceilings and in the carters enveloping the columns, as well as in the shell. The distribution and flexibility of the services and power outlets means that the assembly islands can be moved around as required to cater for production needs. Constant attention to detail has made the difference not only in terms of aesthetics and finishing, but also operating costs and times. For example, the dimensions of the modular layout grid for the building structure and floor tiles (32,000 m² constructed by the Italian company Pastorelli) have been co-ordinated to optimise installation operations and minimise any waste. The landscape design for such a spacious area called for a careful study to optimise how a building of this size was to be inserted and its ensuing environmental impact, even though the building is, indeed, designed to the very highest standards in terms of energy efficiency and sustainability. As regards this, all the material left over after digging the foundations and underground level (approximately 180,000 m³) was kept on site and used to reshape the landscape. 279 l’ARCA 73
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Pianta del livello produzione, rendering e, sotto, prospetto ovest del nuovo McLaren Production Centre a Woking nel Surrey. Nella pagina a fianco, planimetria generale e vista aerea dell’intero complesso McLaren. Nelle pagine successive, viste degli interni con le linee delle diverse fasi di produzione e assemblaggio delle auto granturismo McLaren.
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Plan of the production level, rendering and, below, west elevation of the new McLaren Production Centre at Woking, Surrey. Opposite page, site plan and aerial view of the McLaren Complex. Following pages, views of the interiors with the various production and assembling lines for the McLaren GT cars.
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Credits Project: Foster + Partners Design Team: Norman Foster, David Nelson, Nigel Dancey, Iwan Jones, Dominik Hauser, Nina Linde, Chris Johnstone, Kathleen Mark, Nicholas Papas Structural and Civil, Geothermic, Fire,
Acoustics, CDM: Buro Happold Services and Environmental Consultant: PHA Consult Landscape Architect Planning Consultant: Terence O’Rourke Quantity Surveyor: Gardiner & Thebold Main contractor: Sir Robert McAlpine (Vince Corrigan, director)
Technical Partners: Trimo (structures, cladding, facade solutions), Pastorelli (ceramic tiles), Avantgarde Tiling (laying of the ceramic tile flooring), Mapei (adhesive and chemical products), Targetti (lighting), S. Lucas Group (applied finishes and fit-out), ISS (facility services)
Client: McLaren Group (Alan Foster, operations director, McLaren Automotive in charge of manufacturing within the McLaren Production Centre; Adrian Brooks, project manager, McLaren Group, responsible for delivering the project on time and on budget)
McLaren
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NUOVE TORRI DEUTSCHE BANK IN FRANKFURT Mario Bellini Architects
Un intervento radicale di rinnovo il cui simbolo è una grande sfera al centro dell’atrio di ingresso, metafora del dinamismo della banca tedesca.
A radical design in the name of renewal, symbolised by the large sphere in the middle of the entrance lobby, a metaphor for the dynamism of this German bank.
La Deutsche Bank ha un nuovo quartier generale nella sua sede storica di Francoforte. Le due torri occupate dall’istituto bancario, alte 155 metri, erano state originariamente progettate da Walter Hanig, Heinz Scheid and Johannes Schmidt e realizzate tra il 1974 e il 1984. Quando Deutsche Bank ha dovuto aggiornare i sistemi di sicurezza antincendio, il consiglio di amministrazione ha deciso di fare di necessità virtù. Si è così deciso di dare all’edificio un secondo ciclo di vita e di trasformare completamente le torri in un edificio aperto, innovativo e sostenibile in modo paradigmatico. In seguito a un concorso internazionale a inviti bandito nel 2006, l’architetto milanese Mario Bellini si è aggiudicato l’incarico per il radicale rinnovo e la trasformazione delle due torri. L’appalto per i lavori di costruzione e gestione è stato assegnato ai tedeschigmp - von Gerkan, Marg und Partner. Da sempre landmark di Francoforte e della finanza mondiale, le torri sono diventate ora una nuova icona di architettura contemporanea. Una sorta di piccola città alla quale si accede attraversando un grande portale, che ricorda un po’ le storiche porte urbane. Una volta entrati ci si trova subito in una vasta hall, che, proprio come una piazza, è un luogo-chiave, grande e luminoso, alto 22 metri, penetrato in continuità dalle torri visibili attraverso un soffitto trasparente di 18 metri di diametro. Le torri, per di più, sono connesse tra loro grazie alla magia di una sfera di 16 metri formata da 55 anelli di acciaio, che sovrasta la piazza e che si attraversa camminando lungo due ponti. Una sfida artistica, e di ingegneria, destinata a diventare il nuovo simbolo dinamico della Deutsche Bank. L’intervento, inaugurato nel novembre 2011, ha ottenuto le massime certificazioni per quanto riguarda il risparmio energetico e il rispetto dell’ambiente: LEED platinum (americana) e DGNB Gold (tedesca). Questo è un successo che trasforma la sede della Deutsche Bank in un modello esemplare di architettura che rispecchia la filosofia dell’architetto Bellini, il quale afferma: “Quando è possibile, ristrutturare invece di ricostruire non è solo una forma di architettura più sostenibile, ma un’occasione intelligente per preservare il tessuto urbano... Come ho già fatto e sto facendo per altri progetti (sia essa la National Gallery of Victoria di Melbourne o il più grande Convention Center in Europa che verrà realizzato a Milano) ‘ristrutturare’ significa non solo interpretare le nuove funzioni, ma anche incarnare nuove aspirazioni. In poche parole significa dare nuova vita”.
Deutsche Bank has a new headquarters in its old offices in Frankfurt. The two towers occupied by the bank, 155 metres tall, were originally designed by Walter Hanig, Heinz Scheid and Johannes Schmidt and constructed between 1974-1984. When Deutsche Bank needed to update its fire-fighting security systems, the board of directors decided to make a virtue of necessity. The decision was taken to give the building a second life cycle and totally transform the towers into an open, innovative and sustainable building working in a paradigmatic way. Following an international invitational competition organised in 2006, the architect from Milan Mario Bellini was awarded the contract to radically upgrade and transform the two Towers. The tender for the building works and management was awarded to the German company von Gerkan, Marg und Partner. The towers, which have always been a landmark for Frankfort and world finance, have now been transformed into a new icon of modern-day architecture. A kind of small city that can be entered through a large gateway rather reminiscent of city gates in times gone by. Having entered, you immediately find yourself in a spacious hall, which, just like a plaza, is a large, brightly-lit key-place that is 22 metres tall and constantly penetrated by the towers that can be seen through a transparent ceiling measuring 18 metres in diameter. Moreover, the towers are connected together by the web of a 16 metre sphere composed of 55 steel rings that looms over the plaza and can be crossed along two footbridges. An artistic and engineering challenge destined to become a dynamic new symbol for Deutsche Bank. The project, which officially opened in November 2011, has received the highest possible certification for energy saving and respect for the environment: LEED platinum (American) and DGNB Gold (German). This great success transforms the headquarters of Deutsche Bank into an exemplary architectural design reflecting the architect Bellini’s own philosophy, who claims that: "When possible, restructuring rather than rebuilding is not just a more sustainable form of architecture, but also an intelligent opportunity to preserve the urban fabric…. as I already have done and am currently doing on other projects (National Gallery of Victoria in Melbourne or the biggest Convention Centre in Europe planned to be built in Milan) ‘restructuring’ not only means interpreting new functions but also embodying new aspirations. In a nutshell, it means injecting fresh life".
Nella pagina a fianco, le Torri della Deutsche Bank a Francoforte, che si sviluppano per 155 metri a partire da un portale “urbano” aperto su una grande piazza pubblica. Nelle pagine successive, sezione, planimetria generale e viste della grande sfera attraversata da passerelle, che caratterizza l’atrio di ingresso.
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Opposite page, the Deutsche Bank Towers in Frankfurt, which are 155 metre-high, starting from an “urban” portal open onto a public plaza. Following page, section, site plan and views of the great sphere crossed by walkways, characterizing the entrance hall.
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Credits Project: Mario Bellini Architects Design Team: Mario Bellini, Giulio Castegini, Giorgio Origlia Collaborators: Manuel Hoff, Lucas Corato, Alessandro Zufferli, Luca Bosetti, Camilla Galli Technical Architect: gmp von Gerkan, Marg und Partner Project Management: Drees & Sommer Frankfurt Structural Engineering: S.A.N. Stöffler Abraham Neujahr Structural Engineering: S.A.N. Stöffler Abraham Neujahr
Structural Engineering Sphere: B+G Ingenieure Bollinger und Grohmann Lighting Design: ag Licht , Energy and Climatology Concept: PB Berchtold Ing. Büro, Mechanical Services: Ebert-Ingenieure Landscape Architect: kiparlandschafts architekten Information Design: unit-design General Contractor: ARGE Lindner/ Imtech Interior Panels: Bencore Client: Deutsche Bank
In queste pagine, alcuni degli ambienti comuni e degli spazi pubblici all’interno delle rinnovate torri della Deutsche Bank a Francoforte: in alto, lo studio televisivo e l’atrio; al centro, il “brand space”; a destra, la galleria d’arte; nella pagina a fianco, la mensa.
In these pages, some of the common rooms and public spaces inside the renewed Deutsche Bank Towers in Frankfurt: top, the TV studio and view of the hall; middle, the “brand space”; right, the art gallery; opposite page, the canteen.
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EDIFICIO B5 IN MILAN Barreca & La Varra
Alla periferia nord-est di Milano, è stato ultimato B5, il nuovo edificio per uffici destinato a ospitare le redazioni, i teatri di posa e gli spazi del settore multimedia di RCS Mediagroup, progettato dallo studio Barreca & La Varra. Parte integrante di un masterplan che tende a definire gli elementi per un “villaggio del lavoro intellettuale”, il B5 contribuisce al processo di trasformazione degli ambiti di produzione al margine della città. Realizzato in classe A, l’edificio B5 è un volume parallelepipedo di cinque piani avvolto da facciate di vetro che, nella loro composizione, richiamano l’immagine di un codice a barre. Sono le facciate l’elemento centrale del progetto: un dispositivo che permette all’edificio di istituire un preciso rapporto con lo spazio urbano al suo contorno, così come di favorire la più elevata flessibilità e qualità spaziale degli ambienti di lavoro. La facciata si compone, infatti, di una teoria di elementi verticali che alternano i toni del bianco a
quelli grigio e nero, con l’eccezione del piano terreno dove è dominante il nero. La tessitura di ciascun piano è sfalsata rispetto a quelle dei piani adiacenti. Lo sviluppo in altezza è scandito da elementi marcapiano neri. La facciata di B5 persegue l’idea della misura e della metrica; i singoli elementi in vetro – ora opaco ora trasparente – che la rivestono, la loro disposizione ordinata e l’omogeneità delle loro dimensioni riferiscono di una percezione dell’insieme controllata e cadenzata. Fra gli elementi verticali opachi si inseriscono le aperture a vetri degli uffici, riparate da un sistema di frangisole che fuoriesce dal piano della facciata e contribuisce a donare dinamicità al profilo dell’edificio. Le aperture in vetro sono anche il tramite dell’interazione fra B5 e l’intero complesso RCS, in quanto forniscono un supporto sul quale si specchiano gli altri edifici, la città e l’ambiente circostante.
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A building with a very distinctive character, whose central feature are its glass facades reminiscent of a barcode.
B5 designed by Barreca & La Varra, a new office building in the north-east suburbs of Milan intended to host publishing offices, film studios and multimedia facilities for the RCS Mediagroup, has now been completed. An integral part of a master plan aimed at creating an "intellectual work village", B5 contributes to the process of transforming production areas on the outskirts of the city. The B5 building, rated class A, is a five-storey parallelepiped structure enveloped by glass facades, whose composition conjures up the idea of a barcode. The facades are the most distinctive feature of the project: a device allowing the building to establish very specific relations with the surrounding urban environment, in order to make its work spaces as flexible as possible and of the highest spatial quality. The facade is actually made of a combination of vertical elements in a colour scheme alternating shades of white with various tones of grey and black, except for the ground floor where black is the
dominant colour. The various floors are staggered in relation to adjacent levels. Black stringcourses marking the front of the construction run around various levels of the building. B5’s facades are geared to measure and metrics; the individual glass elements (some opaque, others transparent) that cover it, their orderly layout, and the homogeneity of their sizes, mean that the overall structure is perceived in a very controlled and balanced manner. The glass apertures of the offices are incorporated between the opaque vertical elements, sheltered by a system of shutters emerging from the facade front and adding dynamism to the building profile. The glass apertures also enable B5 to interact with the entire RCS complex, in that they provide a surface on which the other buildings, city and surrounding environment are all reflected. Paolo Rosselli
Un edificio dal carattere originale il cui elemento centrale sono le facciate di vetro che richiamano l’immagine di un codice a barre.
Credits Project: Barreca & La Varra (Gianandrea Barreca, Giovanni La Varra) Collaborators: Andrea Perego (project coordinator), Dino Polverino (art direction coordinator), Alessandro Grassi, Fabrizio Lampis, Simona Oberti, Marina Ranieri Executive Architectural and Structural Project: S.C.E. Mechanical and Electrical
Plants Project: Teknema Consulting Project VV.F.: Studiogamma Construction: C.M.B. Soc. Coop. Floors: Privedil, VGC Metal and SecurityDoors: Schievano Waterproofing: Soc. Ing. Alajmo Suppliers Cordination an Management: EnergyProject (ex Manutencoop) Double Skin Structural Facades:
Focchi Photos: Paolo Rosselli Development Management: Prelios Property & Project Management (Gruppo Prelios) Client: Iniziativa Immobiliare Due (Prelios - Morgan Stanley RCS Mediagroup)
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Prospetto, sezione e pianta della facciata che caratterizza l’edificio B5 a Milano. Sotto, piante del primo e del secondo piano. Nella pagina a fianco, vista dell’edificio, sezione trasversale e planimetria generale.
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Elevation, section and plan of the facade characterizing the B5 Buiding in Milan. Below, plans of the first and second floors. Opposite page, view of the building, cross section and site plan.
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Credits Project: Barreca & La Varra (Gianandrea Barreca, Giovanni La Varra) Collaborators: Andrea Perego (project coordinator), Dino Polverino (art direction
coordinator), Alessandro Grassi, Fabrizio Lampis, Simona Oberti, Marina Ranieri Executive Architectural and Structural Project: S.C.E.
Mechanical and Electrical Plants Project: Teknema Consulting Project VV.F.: Studiogamma Construction: C.M.B. Soc. Coop. Floors: Privedil, VGC
Metal and SecurityDoors: Schievano Waterproofing: Soc. Ing. Alajmo Suppliers Cordination an Management: EnergyProject (ex Manutencoop)
Double Skin Structural Facades: Focchi Photos: Paolo Rosselli Development Management: Prelios Property & Project Management (Gruppo Prelios)
Client: Iniziativa Immobiliare Due (Prelios Morgan Stanley RCS Mediagroup)
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L’edificio è un volume parallelepipedo di cinque piani con una superficie utile di 12.500. Le facciate sono l’elemento centrale del progetto: un dispositivo che permette all’edificio di istituire un preciso rapporto con lo spazio urbano al suo contorno, così come di favorire la più elevata flessibilità e qualità spaziale degli ambienti di lavoro.
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La facciata si compone di una teoria di elementi verticali che alternano i toni del bianco a quelli grigio e nero, con l’eccezione del piano terreno dove è dominante il nero. La tessitura di ciascun piano è sfalsata rispetto a quelle dei piani adiacenti. Lo sviluppo in altezza è scandito da elementi marcapiano neri.
The building is a five-storey parallelepiped structure with a total surface of 12,500 mq. The facades are the most distinctive feature of the project: a device allowing the building to establish very specific relations with the surrounding urban environment, in order to make its work spaces as flexible as possible and of the highest spatial quality.
The facade is actually made of a combination of vertical elements in a colour scheme alternating shades of white with various tones of grey and black, except for the ground floor where black is the dominant colour. The various floors are staggered in relation to adjacent levels. Black stringcourses marking the front of the construction run around various levels of the building.
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UN’ATMOSFERA CALDA IBM SOFTWARE EXECUTIVE BRIEFING CENTER, ROME Iosa Ghini Associati
Photos: Santi Caleca
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Uno spazio di lavoro e formazione pensato per offrire eventi gestiti professionalmente e in modo da massimizzare il valore del tempo che impiegati e clienti vi trascorrono.
L’Executive Briefing Center di Roma prende avvio alla fine degli anni Novanta come Customer Visit Center europeo per il brand Tivoli, offrendo una vetrina ai prodotti software sviluppati localmente presso il laboratorio Tivoli di Roma. Nel 2005 l’EBC è ufficialmente divenuto parte del programma della IBM Software Group per gli Executive Briefing Center. Negli ultimi anni il centro ha ulteriormente ampliato la sua offerta coprendo un set più vasto dei brand software IBM e accentuando la sua vocazione tecnologica. Il Software Executive Briefing Center di Roma è stato ora interamente rinnovato e si presenta ampliato la sua area a 1.500 metri quadrati distribuiti su un unico livello. L’intero progetto rielabora in modo innovativo le famose “strisce” del logo IBM. Tecnologie d’avanguardia in campo audiovisivo sono state accuratamente selezionate per fornire agli ospiti un ambiente confortevole e un’esperienza ad alto valore aggiunto. Il nuovo Software Executive Briefing Center di Roma si trova all’interno della stessa struttura che ospita il laboratorio internazionale di sviluppo della IBM Software Group e fornisce tutti gli strumenti per esplorare la tecnologia IBM e le sue soluzioni innovative in una nuova, stimolante atmosfera.
L’intervento, progettato da Iosa Ghini Associati, è stato pensato per offrire eventi gestiti professionalmente e in modo da massimizzare il valore del tempo che i clienti trascorrono con IBM. Qualunque “briefing” ovunque si svolga, include di norma presentazioni e dimostrazioni, per avvicinare i clienti alla conduzione degli eventi cui partecipano. Ascoltando, discutendo ed illustrando come le nuove tecnologie IBM possano essere d’aiuto nell’affrontare e risolvere le problematiche tecniche e di business, ci si allontana dal concetto di comunicazione tradizionale dall’alto, per avvicinarsi di più a quello di un luogo di utile confronto: una nuova agorà. Si tratta di uno spazio architettonico molto articolato e complesso, caratterizzato da un progetto illuminotecnico di grande rilevanza. L’obiettivo principale di questa componente progettuale, infatti, è stato, da una parte creare un’atmosfera calda, accogliente e fluida che unisca i vari ambienti in un solo grande “continuum”, e dall’altra permettere la giusta illuminazione di tutto l'ambiente dal punto di vista funzionale. Per evidenziare le caratteristiche di continuità spaziale si sono utilizzate delle strisce luminose a pavimento e delle gole luminose a soffitto che si adattano in maniera naturale alla continuità spaziale.
Nella pagina precedente, la reception del nuovo Executive Briefing Centre IBM a Roma. A sinistra, pianta dell’unico livello di 1.500 mq, che comprendono un Network Operation Center, tre uffici, tre sale private, due sale da pranzo, un’area catering e quattro aree briefing. Nella pagina a fianco schizzo di uno degli elementi d’arredo disegnati da Massimo Iosa Ghini. Nelle pagine successive, viste dei vari ambienti dell’EBC che si sviluppano in un continuum sinuoso.
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Previous pages, the reception of the new Executive Briefing Centre IBM in Rome. Left, plan of the single level of 1,500 sq.m, hosting one Network Operation Center, three offices, three quiet rooms, two dining rooms, one catering area, and four briefing areas. Opposite page, sketch of one of the furniture elements designed by Massimo Iosa Ghini. Following pages, views of the various spaces of the EBC, developing as a fluid continuum.
Credits Project: Iosa Ghini Associati Lighting: iGuzzini, Murano Due Floors: Listone Giordano Seating: Moroso
Doors: Barausse Ceramic Floors Mirage Moquette: Liuni Audiovideo: Sangalli Tecnologie Client: IBM Italy
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A work and training space designed for hosting professionally managed events exploiting the time staff and clients spend there to the full.
The Executive Briefing Center in Rome started off life in the late 1990s as the European Customer Visit Centre for the Tivoli brand, showcasing software products developed locally at the Tivoli Laboratory in Rome. In 2005 the EBC officially became part of the IBM Software Group for Executive Briefing Centers. Over recent years the centre has further extended its offer to cover an even wider range of IBM software brands, accentuating its technological vocation. The Software Executive Briefing Centre in Rome has now been completely upgraded and extended to cover 1500 m² set over one single level. The entire project is an innovative reworking of the famous "stripes" of the IBM logo. Cutting-edge technology in the audiovisual field has been carefully selected to provide guests with a comfortable environment and experience of the highest possible calibre. The new Software Executive Briefing Centre in Rome is located inside the same facility accommodating the IBM Group’s international development laboratory and supplies all the tools required for exploring IBM technology and its innovative solutions in a new and stimulating environment.
The project is designed for hosting professionally managed events exploiting to the full the time clients get to spend with IBM. This means that any "briefing" wherever it is held standardly incorporates presentations and demonstrations, so that clients can get more closely involved in the events they attend. Listening, discussing and outlining how the latest IBM technology can help tackle and solve technical and business problems, this is a far cry from the conventional "top-down" communications concept and much more like somewhere for enjoying useful interaction: a new agora. This is actually a highly elaborate and complex architectural space with a technical lighting system of notable stature. The main aim of this design feature was in fact, on one hand, to create a warm, welcoming and fluid atmosphere drawing together the various premises into one big "continuum” and, on the other, to provide the entire setting with just the right lighting from a functional viewpoint. Luminous strips on the floor and deep-set skylights in the ceiling, which all adapt naturally to the spatial layout, have been incorporated to really bring out the sense of spatial continuity
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Rubriche e articoli sul mondo della progettazione, della produzione e della ricerca. Design, production and research.
Preservare il vuoto all’Arsenale di Venezia HBB-Harbour Brain Building Progetto: C+S Associati Il progetto intercetta l’atmosfera dell’Arsenale di Venezia: una sequenza di spazi vuoti, occupati temporaneamente dagli oggetti (tra questi le navi) che vi dovevano essere costruiti o riparati, o ancora ospitati per essere dimenticati a seguito di progressi tecnologici sempre più incalzanti che si sono dimenticati che il vuoto è la risorsa più importante di cui disponiamo per organizzare lo spazio. Il programma, che la società Thetis chiedeva di attuare, prevedeva che l’edificio diventasse la stazione di controllo del traffico marittimo alle bocche di porto di Venezia in seguito all’attuazione del progetto MOSE, una specie di cervello per gestire il traffico, l’Harbour Brain Building. A parte alcuni operatori e una sala riunioni, i veri abitanti di questo edificio erano i terminali dei computer che avrebbero gestito il traffico marittimo all’apertura e alla chiusura dei porti-canale. Un relitto in acciaio-corten viene disegnato all’interno dello spazio quadrato originario del capannone arsenalizio esistente, ripristinato grazie alla demolizione delle partizioni interne. Liberato dalle superfetazioni e concentrando gli elementi tecnologici e dei terminali impiantistici al piano interrato, lo spazio vuoto ha iniziato a raccontare la storia dei suoi confini: quella delle murature che sono state trattate con uno strato impalpabile di intonaco ad andamento capace di catturare la luce nelle molteplici irregolarità delle tessiture dei mattoni; quella della copertura in capriate lignee con l’ordine triplo delle travi secondarie, dei travetti e delle tavelle in cotto. Su questo sistema i nuovi elementi sono pareti e porzioni di copertura in vetro. Le pareti vetrate sono disegnate da serramenti di sezione esilissima, capaci di suddividere lo spazio mantenendo la percezione dell’intero ma arricchendo la sua complessità dei riflessi delle materie che si stratificano e
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rimbalzano sulle superfici. Lo spazio dell’addizione al capannone originario, preservata nel suo volume è diventato una lanterna luminosa contemporanea e lo strumento capace di generare l’energia necessaria a far funzionare il complesso senza dispendio energetico. La copertura in vetro è disegnata da una delle più sofisticate tecnologie per la produzione dell’energia, le celle fotovoltaiche (per la prima volta utilizzate in un progetto di restauro), senza rinunciare a quel gioco di dialogo con l’atmosfera esistente dello spazio dell’Arsenale e dimostrando che anche in un progetto di restauro l’edificio può essere realizzato con gli strumenti più avanzati della sostenibilità ambientale. La questione è lavorare con la tecnologia in modo che essa si fonda con la memoria di cui abbiamo parlato, che ne diventi uno strato ulteriore. In questo senso non esiste una differenza vera del progetto in relazione al paesaggio o all’esistente, il fine è la sua capacità di melting, di diventare un tutt’uno, di fondersi con la materia, i colori, la luce, gli strati della memoria. In questo caso la tessitura delle pellicole fotovoltaiche gioca con la luce e la spezza in piccole parti come le tesserine dei pavimenti in terrazzo o come i vetri piombati delle vetrate dei palazzi. E’ produzione di energia ma anche brisesoleil che si fonde con la copertura e intesse ombre sempre variabili sulle murature e vetrate interne. Per la climatizzazione degli ambienti al piano terra si è optato per un impianto del tipo centralizzato ad aria con sistema di produzione a pompa di calore con scambiatori acqua/acqua abbinati a un sistema a sonde geotermiche (spinte ciascuna alla profondità di circa 60 m). Il progetto si è configurato anche come prototipo sperimentale per la ricerca tecnologica sostenibile applicata al restauro.
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The HBB project captures and holds the atmosphere of the Venice Arsenale: a sequence of void spaces that are temporarily occupied by objects (including the ships) which had to be built, repaired or were simply harboured there and then forgotten. Forgotten due to more and more pressing technological advances which in turn have forgotten that emptiness is the most important resource we have in which to organize space. The program that Thetis required was for the building to become a harbour station housing the computers which control the seaport traffic at the new Venice openings following the realization of the MOSE project, a sort of traffic-managing brain, the Habour Brain Building. Aside from a few operators and meeting rooms, the real inhabitants of this building were the computer terminals, which were to manage the traffic during the opening or closing of the ports. A corten iron hulk was designed within the square space of the original existing work shop in the Arsenale after demolishing the internal partitions. All unneeded elements were eliminated, and the technological and terminal installations were concentrated in an underground space, the void area thus beginning to tell the story of its boundaries: the walls, which were treated with a thin layer of plaster following the brick surface and capturing light through its irregular texture; the wooden trusses with a triple order of secondary beams, joists and terracotta tiles. This original system is the basis for the new elements, the walls and sections of the glazed roof structure. The glazed vertical panels are designed by very thin structural wood elements which are able to divide the void space into different rooms though maintaining the atmosphere of the entire interior space. Yet, the complexity of the reflections on the
different materials are enriched, as they are stratified and bounce off the surfaces. The space added to the original interior, which has been preserved, has become a contemporary lantern of light, capable of generating the necessary energy for the functioning of the entire complex with no waste of energy. The roof is indeed designed according to one of the most sophisticated technologies for energy production: photovoltaic cells (used for the first time in a refurbishment project). This is done without forsaking a dialogue with the Arsenale’s original space, thus proving that a renovation project can be carried out by using the most sophisticated technological tools available in the field of sustainable architecture. What is important is that technology should blend with the memory of the building, that it should become an extra layer. There shouldn’t be a real difference in the project as related to the landscape or to an existing building: the aim is its ability to melt into what exists, becoming one and merging with the material, hues, light and layers of memory. In this work, the texture of the photovoltaic cells plays with light, cutting it up into small parts, just like the leaded glass of the windows in ancient buildings or the tiny colored stones on terrace floors. All of this produces energy, but the photovoltaic cells also act as sun screens, with varying shadows on the walls and interior glazed areas. Groundfloor climate control is provided by a central installation with heating pumps linked to a system of geothermal probes (each driven to a depth of approximately 60 meters). This project has thus established itself as an experimental prototype for sustainable technology applied to renovation works.
Credits: Architectural design and artistic supervision: Carlo Cappai, Maria Alessandra Segantini_C+S Associati General design, structures and installations: Thetis
Site Supervision: Giovanni Zarotti, Thetis Construction: ICCEM Photos: Pietro Savorelli Client: Magistrato alle Acque di Venezia tramite il suo concessionario Consorzio Venezia
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Nuova sede MIDJ Progetto: Studio Bradaschia, Oxsimoro Architetti La nuova sede dell’azienda produttrice di mobili contemporanei MIDJ, a Cordovado (PN), occupa 20.000 mq di superficie, stabilimento produttivo compreso, di cui 3.200 mq racchiusi in un parallelepipedo suddiviso in due piani, realizzato con il minimo impatto ambientale e sistemi finalizzati al risparmio energetico. Il progetto comprende, al piano terra, un ampio e funzionale magazzino semiautomatico alto undici metri, e, al primo piano, uffici open space e uno showroom. Il tema da affrontare era di fare coesistere il magazzino di ampie dimensioni con uffici e showroom e di rappresentare il carattere dell’azienda e dei suoi prodotti. L’idea è stata quella di evidenziare la produzione per chi percorre in automobile la viabilità antistante l’azienda attraverso la realizzazione di ampie vetrate a nastro che consentono l’esposizione dei prodotti durante l’intero arco della giornata. Un segno verticale, contenente il vano ascensore e le scale, è adottato come insegna MIDJ. L’edificio granitico, solido, di colore grigio scuro, è caratterizzato da una texture dinamica su cui sono disposte delle luci secondo una geometria random, per enfatizzarne la dinamicità e segnalare la presenza dell’azienda con il buio. Il progetto degli interni (1.600 mq) di Oxsimoro Architetti crea uno spazio liquido, trasparente, privo di ostacoli, caratterizzato da grande “fluidità”, libertà di movimento, percezione a 360 gradi dello spazio da ogni punto, morbidezza e continuità dei percorsi immersi in un’atmosfera rarefatta. L’impluvium è il cardine che snoda la zona “chiara” da quella “scura”: l’ingresso, gli uffici, la cucina, appartenenti alla prima, e la sala mostre al negativo. Questo spazio “a cielo aperto” garantisce un flusso di luce naturale nel centro del volume ed è una sorta di giardino sospeso, e occasione di pausa dalle normali attività lavorative. Gli uffici, completamente bianchi, sono pensati al contrario: le grandi aree di lavoro collettive sono in open space e occupano le intercapedini di risulta dalle “stanze” di vetro che proteggono e conservano l’intimità della conversazione. La luce artificiale è studiata in modo da sembrare naturale e compensare la luce perimetrale. Lo showroom color antracite, è un unico spazio dove il sistema espositivo deve cambiare e modificarsi. I grandi cilindri nomadi consentono di giocare di continuo con le collezioni esposte. Una parete morbida, rossa e trasparente, distingue e separa le sedie storiche dell’azienda. I punti d’incontro e di sosta si susseguono lungo il percorso: la reception di accoglienza, la “piazza rossa”, area d’attesa degli uffici, la cucina, e la stanza degli oblò per i bimbi. Gli oblò ritornano anche nel ponte rosso sospeso che immette al piano, inquadrando dall’alto viste obbligate degli esterni.
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Lorenzo De Simone/Fondazione Promozione Acciaio
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Astrattezza ed essenzialità
Progetto: KPF, Arup
DAP studio/Elena Sacco – Paolo Danelli, Antonio Gentili, Isabella Maruti
30 piani fuori terra e 4 interrati, per un’altezza complessiva fuori terra di 130 metri: sono i numeri dell’edificio 3 del nuovo complesso Porta Nuova Varesine, uno dei poli strategici dello sviluppo urbano milanese, che vede la composizione di tre aree (Garibaldi, Varesine e Isola), per una superficie di oltre 290.000 metri quadrati. L’edificio sorge lungo Viale della Liberazione e, destinato ad ospitare uffici e attività commerciali, è già diventato un landmark grazie alla sua particolare configurazione. Ribattezzata “Torre Diamante” per la geometria che la caratterizza, è la più alta costruzione in struttura portante metallica (2.600 tonnellate di acciaio impiegato, 26.000 mq di solai in lamiera grecata collaborante) realizzata finora in Italia. Il progetto architettonico è dello studio Kohn Pederson Fox Associates (KPF), mentre ARUP ha sviluppato il progetto strutturale, che vede Stahlbau Pichler costruttore e Arcelormittal fornitore dell’acciaio. L’edificio risponde alle particolari esigenze del sito, caratterizzato da una forma lunga e stretta che ha orientato e condizionato la scelta della verticalità. Il volume si sviluppa quindi in altezza ma allo stesso tempo è “mosso” dall’inclinazione dei corpi che lo compongono, in corrispondenza del piano 9 e del 22. Uno sviluppo verticale, quindi, ma reso dinamico da un’articolazione volumetrica e da sbalzi che interrompono la linearità della facciata. Il layout interno è caratterizzato invece da un nucleo centrale attorno al quale si sviluppa lo spazio. Una soluzione voluta soprattutto per massimizzare l’ingresso della luce naturale e consentire la vista sulla città. Questo spazio centrale contiene inoltre tutti i servizi, quali ascensori, impianti elettrici, scale e servizi. Nella parte superiore dell’edificio, i livelli 26 e 27 sono concepiti come un ambiente speciale, con attività ancora da definire ma destinate al benessere degli utenti. Una pelle di vetro definisce la facciata, concepita come un involucro dalle alte prestazioni isolanti, con infissi a taglio termico e profili in alluminio. I diversi corpi che compongono l’architettura si differenziano anche per un diverso trattamento delle superfici esterne. Il volume superiore enfatizza la verticalità, dando rilevanza ai montanti verticali; quello più corto e squadrato, che forma l’angolo sud-est del palazzo, ha una configurazione prevalentemente orizzontale, in sintonia con gli edifici adiacenti. L’orizzontalità si esprime anche attraverso una serie di aperture metalliche, simili a feritoie, ognuna delle quali ha uno spessore di 300 mm. Lungo tutto l’edificio le vetrate si estendono ininterrottamente, per l’intera altezza di ciascun interpiano. La Torre Diamante è stata progettata in funzione del risparmio energetico e di avanzati criteri di eco compatibilità che le hanno garantito la certificazione LEED Gold.
Una palazzina indipendente dei primi del Novecento in via Duccio da Boninsegna a Milano è stata l’oggetto dell’intervento di adeguamento e ristrutturazione a uso uffici per la Swiss & Global Asset Management realizzato da DAP con Antonio Gentili e Isabella Maruti. L’intervento ha focalizzato l’attenzione sugli spazi di relazione favorendo lo sviluppo di uno schema spaziale-organizzativo orizzontale che incoraggi i quotidiani rapporti di comunicazione fra le persone. Il progetto trova le sue ragioni più profonde nel rapporto tra l’involucro e gli spazi in esso contenuti: alla forte caratterizzazione e matericità dell’edificio storico è stata contrapposta l’assoluta astrattezza dei volumi e delle superfici interne. La trasformazione dell’edificio è avvenuta attraverso tre tipi di azioni: definizione di un impianto distributivo affidato a volumi in vetro colorato, vere e proprie “cerniere” che organizzano i percorsi in modo fluido e circolare; creazione di una “pelle” che si sovrappone, internamente, ai muri perimetrali; caratterizzazione degli spazi di servizio attraverso l’uso di grandi campiture colorate verticali e orizzontali. Il rivestimento dei muri perimetrali è costituito da una pelle mutevole e quasi immateriale di listelli di legno bianco tra loro distanziati che genera una successione di pieni e di vuoti. Nella parte retrostante, i listelli sono tamponati da pannellature opache o luminose, o, in corrispondenza delle finestre, sono semplicemente intelaiati e permettono il passaggio della luce naturale. Al piano terra sono collocate le funzioni pubbliche, in particolare una sala multimediale che a “configurazione chiusa” può ospitare meeting per oltre 50 partecipanti, ma che diventa uno spazio espositivo e d’incontro molto più ampio se “aperto” grazie a un sistema di pareti mobili. Lo spazio è integrato da una cucina completamente attrezzata per il catering più esigente ed è direttamente collegato ad un ampio giardino di circa 1.000 mq, ideale per manifestazioni all’aperto. Il piano primo ospita sia gli uffici dei dirigenti che quelli operativi; al secondo piano si concentrano le sale riunioni e gli spazi di maggiore rappresentanza; l’ultimo piano ha una funzione di servizio ed è stato destinato a foresteria e palestra. La scala di ingresso e tutte le pavimentazioni sono realizzate in kerlite, mentre nelle aree di servizio sono in gomma colorata. Pavimenti e soffitti sono dello stesso colore grigio, in modo da ottenere l’effetto di due piani orizzontali che definiscono i limiti dello spazio. I principali elementi di arredo, realizzati su disegno e caratterizzati da linee molto semplici ed essenziali, concorrono alla definizione delle diverse aree funzionali.
Alessandra Bello
Torre Diamante
Credits Project: DAP studio/Elena Sacco – Paolo Danelli, Antonio Gentili, Isabella Maruti Collaborators: Alessia Mosci, Carolina Martinelli, Fabio Pellizzari Works Management: opere architettoniche e allestimenti - arch. Paolo Danelli (architecture and installation), Antonio Gentili e Isabella. Maruti (plants and supplies) Construction: Edil design Plants: Elleterm
Furniture: Barth Lighting: Viabizzuno, Plexiform, Sera Furniture: ICF Sanitaries: Catalano Taps: Hansgroe Bath Furniture: Inda Handles: Olivari Kerlite Floors: Cotto d’Este Rubber Floors: Tarkett Client: Swiss & Global Asset Management SGR S.p.A
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Rendering e vis della Torre diam in costruzione
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Showroom KME a Milano As an Art Gallery Progetto: Alexandre Giraldi KME (www.kme.com, www.kme-italy.com), gruppo industriale paneuropeo da oltre un secolo protagonista nel settore del rame, ha aperto il suo primo spazio monomarca interamente dedicato al mondo del rame a Milano. Con le sue 10 vetrine affacciate su via Francesco Sforza e Largo Augusto, il nuovo showroom si offre come contenitore multifunzionale in cui vivere e scoprire l’esperienza del rame KME e delle sue infinite declinazioni. Lo spazio nasce come showroom espositivo ma anche come location per eventi e mostre temporanee, come punto di incontro e formazione per tavole rotonde e approfondimenti seminariali e come luogo di consulenza tecnico-progettuale, concepito per instaurare un dialogo diretto con gli architetti e designer locali e più in generale con il pubblico di addetti ai lavori che da tutto il mondo guarda in questa direzione per aggiornarsi sulle ultime novità e indovinare le tendenze future. Il progetto dello spazio trae ispirazione dal concetto di galleria d’arte dove il contenitore assume un carattere neutro per lasciar parlare il contenuto: la resina bianca opaca per i pavimenti e gli intonaci soft nei colori del bianco e del nero permettono di dare risalto alla bellezza naturale del metallo, che subito cattura l’attenzione grazie ai grandi volumi sospesi in rame dal forte impatto scultoreo, che illustrano alcune tra le molteplici possibilità di applicazione del rame e delle sue leghe e una selezione delle più importanti realizzazioni già installate nel mondo. Questi suggestivi pannelli dalle colorazioni variabili dall’oro al rosso intenso fino ai toni del verde e del bruno, insieme alle esposizioni di materiali lungo le pareti dello spazio rappresentano infatti una sintesi della gamma KME per l’architettura, identificata dal noto marchio di prodotto TECU®, e della collezione KME Design per l’interior design. Queste sono le gamme prodotto con cui KME propone il rame in tutte le sue mutevoli varianti e in una serie di leghe per applicazioni originali e dal forte impatto estetico in architettura e nell’arredamento in interni. Un’area relax arredata con classici del design è racchiusa da due paraventi costituiti da elementi di diversa altezza alternanti differenti trame in tessuto di rame. L’esposizione è un progressivo svelarsi di riflessi, colori e lavorazioni sempre più particolareggiate, che costituisce solo un’anteprima parziale delle numerosissime declinazioni in cui il prezioso rame di KME può prendere vita secondo forme e texture innovative, per interni ed esterni colorati e dal gusto contemporaneo. L’intera campionatura KME è racchiusa in un elemento monolitico nero centrale, che nasconde 48 elementi espositivi estraibili con sistema push-pull. Un ambiente a parte è dedicato alle tecnologie KME per le energie rinnovabili, il fotovoltaico, il solare termico e il risparmio energetico, mentre al piano rialzato, protetti da vetrate opaline, si trovano gli uffici commerciali TECU® Architectural Solutions, che offrono servizi per la progettazione, dalla consulenza tecnica fino alla gestione di progetti “chiavi in mano” per l’architettura. KME, con l’apertura di questo nuovo showroom, dimostra ancora una volta il proprio approccio innovativo, l’attenzione per il design e la continua ricerca di nuovi ambiti di applicazione del materiale.
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KME (www.kme.com, www.kme-italy.com), an all-European industrial Group which has for over a century played a major role in the global copper processing industry, opened its first mono-brand showroom in Milan dedicated entirely to the world of copper. With its 10-window storefront on Via Francesco Sforza and Largo Augusto, just one block from Via Durini and thus the area in which the boutiques of the most important Italian furniture brands are concentrated, the new showroom serves as a multifunctional container where one can discover the experience of KME copper and all its endless applications. The space is intended as a showroom, but also as a location for events and temporary exhibitions, as a meeting place and training centre for roundtables and seminars, and as a technical/design consulting resource aimed at establishing a direct dialogue with local architects and designers, and more generally with people in the field from all over the world who look in this direction to keep abreast of the latest innovations and to predict the trends of the future. The showroom plan takes its inspiration from the concept of the art gallery, where the container aims at becoming a neutral area in order to allow the contents to emerge: opaque white resin for the floors and soft plaster walls in white and black emphasize the natural beauty of the metal, which immediately captures the visitor’s attention thanks to the sculptural impact of large hanging copper volumes that illustrate some of the many possible applications of copper and its alloys, along with a selection of the most important KME projects realized all over the world. These evocative panels, ranging in colour from gold and deep red to more earthy greens and browns, together with the materials displayed on the walls, represent a synthesis of the KME product range for architecture from the renowned TECU® trademark and the KME Design interior design collection. These are the products through which KME proposes copper and a series of alloys in all their extraordinary ductility for original and esthetically beautiful applications in architecture and interior design. A lounge area furnished with classics of design is enhanced by two screens consisting of alternating elements of different height in a copper weave. The display is a progressive unveiling of increasingly specific applications, colours and manufacturing techniques that constitute only a partial preview of the innumerable ways in which KME brings copper to life through innovative forms and textures for colourful and contemporary interiors and exteriors. The entire KME product range is contained in a central black monolith that hides 48 extractable display elements. A separate area is dedicated to KME technologies for renewable energy, including photovoltaic, thermal solar and energy-saving technologies, while the mezzanine, wrapped in opaline glass, hosts the Italian offices of the TECU® Architectural Solutions unit, which offers design services from technical consulting to turn-key architectural project management. KME, , with the opening of this new showroom, demonstrates yet again its innovative approach, its attention to design and a continuous quest for new fields of application for its materials.
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Gli atout delle città al MIPIM Da Chongqing a Tokyo passando per Doha, Parigi, Londra e New York, le delegazioni provenienti da 83 Paesi, si sono riunite a Cannes nel marzo scorso in occasione del Mipim, il principlale salone del mercato immobiliare mondiale giunto quest’anno alla 23° edizione. Al centro dell’attenzione, la qualità, le opportunità di investimento a basso rischio, lo sviluppo urbano e l’impatto della difficile situazione del finanziamento del debito sul mercato europeo. Tra gli oltre 4.000 investitori presenti, su 19.300 partecipanti, è emerso un maggior interesse per le città, molte delle quali hanno presentato come argomento di vendita il fatto di offrire delle opportunità a debole rischio. L’Europa del Nord, la Germania – ospite d’onore di questa edizione –, la Francia, la Gran Bretagna, la Turchia, la Russia e il Quatar, i Paesi che hanno concentrato le maggiori volontà e prospettive di sviluppo presentando importanti piani di estensione e rivitalizzazione urbana e offrendo elevate attrattive di investimento nei settori terziario, commerciale e residenziale. Partecipazione indubbiamente rilevante, il Quatar, presente quast’anno con un proprio padiglione che presentava oltre 50 progetti immobiliari in via di sviluppo, tra cui Msheireb Downtown Doha (1), piano di rinnovamento sostenibile del centro di Doha esteso su un’area di 31 ettari a uso misto. Di fronte al Palais des Festivals affacciato affacciato al mare, il chapiteau del Grand Paris ha riunito i grandi progetti della capitale e della sua regione che saranno collegati da 140 chilomentri di una nuova metropolitana e vetranno la costruzione di 70.000 nuovi appartamenti/anno fino al 2030. Epadesa (Etablissement public d’aménagement La Défense Seine Arche) presente con la prestigiosa maquette del territorio costellata da nuovi torri ha visto l’approvazione del permesso di costruzione alle Torri Hermitage (2), progetto faraonico da 2 miliardi di euro promosso dall’investitore russo Emin Iskenderov, presidente del gruppo Hermitage, e firmate da Norman Foster. Immochan, sezione immobiliare del Gruppo Auchan, ha presentato in seno al Grand Paris Europa City (3), un complesso alle porte di Parigi verso l’aeroporto di Roissy, che coniugherà un’offerta diversificata con attività di svago, commerciali, turistiche e culturali. In lizza quattro progetti presentati da Manuelle Gautrand, Valode&Pistre, Big e Snøhetta. Altra partecipazione particolarmente in vista, la Métropole Nice Côte d’Azur. Christian Estrosi, sindaco di Nizza, ha presentato le nuove
prospettive di sviluppo della nuova realtà territoriale riunita con la creazione nel gennaio scorso della metropoli. Tra i progetti faro, l’EcoVallé, piano di sviluppo e di rivitalizzazione della vallata del fiume Var, 10.000 ettari di cui 450 urbanizzati secondo avanzati criteri di sostenibilità. Nel 2013 prenderanno il via tre grandi operazioni, il quartiere d’affari Grand Aréna firmato da Josep Lluís Mateo (51 ettari dove saranno integrati alloggi, commerci e hotel), il polo tecnologico Nice Méridia (4), progettato da Christian Devillers, che offrirà uno spazio per la R&S e la formazione nei settori dello sviluppo verde, dell’ambiente e della salute, e infine una piattaforma agroalimentare. In fase di cantiere altri importanti progetti quali, Nice Eco Stadium di Jean-Michel Wilmotte (ultimazione prevista per il 2013) che coniuga all’impianto sportivo, commerci, spazi culturali e un eco quartiere o, in centro città, la coulée verte (paesaggista Pena & Pena) un parco urbano che collegherà il museo d’arte moderna e contemporanea (MAMAC) alla promenade des Anglais. Nello stand di Only Lyon, il sindaco di Lione Gérard Collomb e Pierre de Meuron, responsabile del progetto urbanistico di Lyon Confluence, hanno aperto le consultazioni dei promotori per i primo isolato del quartiere del mercato, il nuovo settore della Confluence che verrà completamente riabilitato. Il raggruppamento viincitore sarà scelto alla fine di quest’anno. Altro annuncio del Gruppo immobiliare Costructa, questa volta nella prestigiosa cornice del Grand Hotel Carlton, l’apertura della commercializzazione dei 149 appartamenti della torre residenziale H99 progettata da Jean-Baptiste Pietri a Marsiglia. La nuova torre di 99 metri che offrirà degli appartamenti di lusso con ampi affacci sul mare, si inscrive nel progetto dei Quais d’Arenc, 94.000 metri quadrati sulla zona del porto, nel cuore dell’operazione di rinnovamento urbano Euroméditérranée, dove sorgeranno altre due torri firmate da Jean Nouvel e Yves Lyon e un edificio più basso di Roland Carta (5). Non da meno la Russia, con faraoniche operazioni di nuove città, quali Skolkovo (6), una Silicon Valley a sud di Mosca, destinata ad accogliere, una volta ultimata (2015), 45 000 persone. Il progetto di massima firmato dai francesi di AREP comprenderà un parco tecnologico, un’università, spazi pubblici e un centro commerciale, il tutto sviluppato garantendo il 50% di energia proveniente da fonti rinnovabili. Elena Cardani
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