Sped. in a.p. - 70% - Filiale di Ancona | Supplemento al numero 75/2021 de leCentocittà
Campioni di marchigianità A cura di Andrea Carloni
Editoriale
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Marche, campioni non solo nello sport di Franco Elisei Direttore de Le Cento Città
Riflettori accesi su atleti che hanno vinto nel 2021 ma che non hanno mai tagliato il legame con la loro terra
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e Marche, terra di poeti, pittori e musicisti ma anche di atleti e sportivi di eccellenza. Che non hanno mai abbandonato il legame con il proprio territorio, amandolo e ricevendone a loro volta, amore, passione e riconoscenza. Ecco il perché della scelta di uno speciale delle Centocittà dedicato allo sport e ai protagonisti di questa regione che in questo ultimo anno si sono conquistati le medaglie più prestigiose in competizioni internazionali, rendendo giustizia a ciò che non si nota al primo sguardo, cioè all’impegno, al sacrificio e alla laboriosità messe ogni volta in campo. Caratteristiche che nel lungo periodo portano al risultato. E che sono patrimonio prezioso di questa regione spesso silenziosa, quasi schiva e lontana dalla luce dei riflettori. Riflettori che noi invece abbiamo voluto accendere, direzionandoli sulle Marche protagoniste dello sport e proprio sul rapporto che gli atleti vincenti hanno mantenuto con la loro terra d’origine. Ecco perché li abbiamo definiti “Campioni di marchigianità”. Non solo campioni nello sport ma modelli di riferimento, che non rinnegano le radici, ma ne diventano, anzi, ambasciatori d’eccezione nella scena internazionale. Piccole e grandi realtà, accostate al nome dei rispettivi campioni, assumono così un nuovo risalto, emergono dalle cartine geografiche associate alle imprese sportive, diventano un tutt’uno. L’esempio più emblematico? Valentino e la sua Tavullia, cresciuta di notorietà come mai si sarebbe
aspettata. E con i campioni di casa, cresce anche il sistema economico che gira attorno alla loro fama. Campioni di sport notoriamente milionari e campioni di discipline dove si vive prevalentemente di passione, spesso rubando il tempo ad altre professioni. Nessuna differenza in termini di prestigio, di soddisfazione e di conquista. Ma anche di momenti indimenticabili, dove l’adrenalina riempie i pensieri e il senso della sfida, anche con se stesso, alimenta lo sforzo, la destrezza, l’emozione. Dove anche un’eventuale sconfitta non va raccolta come un insuccesso ma come esperienza da cui ripartire. Un pensiero al mondo paraolimpico che sta sempre più uscendo dall’ombra. E le Marche anche qui hanno collezionato una serie incredibile di successi. Un esempio di grande volontà, sacrifici e passione da elargire a piene mani a tutti coloro che si fermano davanti ai primi ostacoli. Un detto ricorrente dice: “Fa più rumore un albero che cade che mille che crescono” e qui, nelle Marche, gli alberi che crescono, come abbiamo visto, sono tanti, appassionati e pieni di entusiasmo e anche se non fanno rumore, suscitano grandi emozioni e invitano i giovani a emulare le gesta dorate. I campioni di marchigianità sono anche quelli che all’inizio non si fanno notare, che stanno sul pezzo, che insistono e resistono, che infine ottengono. E noi abbiamo deciso di dare loro un ulteriore riconoscimento nel palcoscenico della vita. ¤
Argomenti
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Sommario 6
Un calcio all'Europa
Roberto Mancini, ambasciatore delle Marche, modello di serietà DI CLAUDIO SARGENTI
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Il re del salto in alto
Tre metri verso il cielo “Gimbo” il predestinato DI ANDREA CARLONI
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Schiacciate europee
Mazzanti a tutta forza Nato per insegnare DI GIANLUCA PASCUCCI
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Una scia dorata tra le onde
Soffia il vento dell’oro sulla vela marchigiana DI GIACOMO BALDASSARI
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Il mito sulla moto
Vale tanto oro quanto pesa per Tavullia e le sue Marche DI ANDREA CARLONI
Argomenti
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Sommario 33
Pesca sportiva
Fiocine iridate e polmoni d’acciaio DI LEANDRO ARANCI
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Football Americano
Le Marche in azzurro conquistano la meta DI ANTONIO BOMBA
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Messaggera azzurra
Linda, le ali ai pattini moderna Mercurio DI LEANDRO ARANCI
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Sempre protagonisti
Il mondo sportivo e paraolimpico lancia le Marche in una favola d'oro DI NICO COPPARI
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Marchigiani d’adozione
Fefè ai vertici europei Martina farfalla iridata DI LEANDRO ARANCI
Un calcio all’Europa
di Claudio Sargenti
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i ha fatto soffrire, commuovere, gioire, emozionare. Le sue imprese hanno riempito le serate e le cronache di un’estate a dir poco esaltante. Per vederla stringere i denti, correre, andare avanti nonostante tutto e tanta stanchezza accumulata nelle gambe, per poi vincere, abbiamo finalmente ritrovato il gusto e la voglia di stare di nuovo insieme. Davanti ad un televisore certo, ma uniti in un tifo, un’autentica fede, che cresceva di serata in serata, di vittoria in vittoria. Ci riferiamo evidentemen-
te alle partite, alle autentiche imprese, della nostra Nazionale di calcio che dopo oltre mezzo secolo è riuscita a riportare a casa la Coppa Europa, a umiliare l’Inghilterra, a trasformare in tifosi anche chi di calcio non si è mai interessato. Un grande successo, una stagione esaltante per i nostri “azzurri” che porta la firma inequivocabile di Roberto Mancini, l’allenatore che con grande serietà e umiltà è riuscito nell’impresa di amalgamare ventidue calciatori, trasformandoli in una grande squadra capace di tornare
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Roberto Mancini ambasciatore delle Marche modello di serietà IL CT DELLA NAZIONALE AZZURRA ORIGINARIO DI JESI “LA FELICITÀ? TORNARE A CASA TRA LA MIA GENTE DOVE RESTO SEMPRE LO STESSO CHE SOGNAVA DA BAMBINO”
ai vertici del calcio internazionale. Roberto Mancini, appunto. Uomo schivo, di poche parole, lontano per quanto possibile dal glamour e dai riflettori del cosiddetto circo mediatico, ma al tempo stesso, dotato di grande umanità, senso pratico, capace di infondere sicurezza alla squadra, sempre vicino ai suoi giocatori in grado di dare “un’impostazione al gruppo e di ottenere risultati pur non avendo a disposizione undici campioni.” Così si descrive lo stesso mister azzurro. Spirito di squadra, concre-
tezza, serietà, modestia: sono queste le caratteristiche dell’allenatore che ha portato l’Italia sul “tetto” d’Europa. La nazionale dei record Intanto per gli amanti delle statistiche qualche numero. La Nazionale sotto la guida di Mancini ha ottenuto 37 risultati utili consecutivi, una striscia da record che non ha uguali prima di perdere (per 1 a 2) contro la Spagna a San Siro in Nations League. All’interno un
altro record, quello delle 13 vittorie consecutive. Non solo. Il commissario tecnico iniziò la sua avventura alla guida degli “azzurri” nel maggio del 2018 con la squadra reduce dalla mancata qualificazione ai Mondiali. All’epoca la nostra Nazionale figurava al ventesimo posto del ranking mondiale. Adesso, dopo i recenti successi, la Fifa l’ha promossa al quarto posto. In 3 anni, poi, Mancini ha puntato su un gruppo di 78 giocatori convocati, dei quali 68 schierati in campo (il più impegnato è stato Bonucci con 34 presenze) con 36
Un calcio all’Europa
8 esordienti. Infine, una curiosità per così dire economica. Secondo una stima elaborata da Transfermarkt, un portale specializzato, almeno 5 nazionali di calcio (Spagna, Inghilterra, Francia, Germania e Portogallo) avevano una “rosa” di giocatori con un valore ben più elevato di quella della squadra Italiana. A confermare, se ancora ce ne fosse bisogno, che agli Europei ha vinto il “collettivo” e non i fuoriclasse. Gli esordi con l’Aurora Jesi
Inizia a giocare a 6 anni e la prima maglia con il numero 10 la indossa nell’Aurora con il presidente e giornalista Gianni Rossetti
Roberto Mancini è originario di Jesi ed è orgoglioso di esserlo. Cos’è la felicità? “La felicità – ha detto in questi giorni a chi glielo domandava – è la gioia di tornare a casa tra la mia gente. Resto sempre lo stesso che sognava da bambino.” Del resto, inizia a giocare a sei anni. La prima maglia con il prestigioso numero 10 stampato, la indossa nell’Aurora Jesi avendo come presidente un nostro collega, quel Gianni Rossetti che dedicherà tutta la vita a valorizzare giovani talenti, prima nello sport (calcio e basket) poi nel giornalismo, essen-
do tra i promotori e animatori di una Scuola dedicata all’avviamento della professione a Urbino. Il campo di calcio per il giovanissimo Roberto è quello dell’oratorio della parrocchia di San Sebastiano, quartiere Prato di Jesi, un quartiere vicino alla Stazione ferroviaria, zona segnata, adesso, dalla multiculturalità e, da sempre, da tante e differenti povertà umane. Il mister azzurro viene da una famiglia semplice. Papà Aldo è un falegname rientrato dalla Germania dove era emigrato da ragazzo per cercare fortuna, mentre la mamma Marianna è infermiera all’ospedale di Jesi. Fondamentale per Roberto sarà proprio l’incontro con don Roberto Vigo, parroco della Chiesa di San Sebastiano, figura carismatica all’epoca che gli permetterà di tirare i primi calci ad un pallone. E si racconta che il giovanissimo Roberto passava direttamente dalla scuola e dalla casa dei genitori al campetto dell’oratorio. Leggenda vuole di una partita disputata perfino il giorno della sua cresima. Quella domenica il parroco sapeva che senza di lui in campo l’Aurora avrebbe sofferto e allora il sacerdote, don Vigo, celebrò più in fretta possibile la Santa Messa in modo che Roberto potesse raggiungere i suoi compagni e scendere regolarmente in campo. Leggenda forse. Ma che la dice lunga sull’attaccamento alla squadra, ai compagni, agli impegni presi. Da sempre, assieme a concretezza e modestia le caratteristiche di Mancini. A 13 anni viene ceduto al Bologna e da allora la sua carriera calcistica è stata solo un crescendo. Gli esperti lo considerano tra i migliori centrocampisti offensivi nella storia del calcio italiano. Ha esordito in serie A con il
Un calcio all’Europa
Bologna nel 1981, non ancora diciasettenne per poi diventare, negli anni a seguire, un simbolo della Sampdoria, squadra nella quale ha militato per ben 15 stagioni, giocando 566 partite e segnando 173 gol, conquistando nel 1990 il primo scudetto della squadra ligure. Smessa la “maglietta” di giocatore ha intrapreso la carriera di allenatore ricoprendo la panchina di diverse squadre italiane (Fiorentina, Lazio, Inter in due momenti diversi) e straniere (Manchester City, Galatasaray, Zenit San Pietroburgo) prima di guidare la Nazionale Italiana. Mancini e Vialli i “gemelli” del gol “Lo scudetto con la Sampdoria – dirà in quell’occasione – fu la vittoria dell’amicizia e del lavoro di tutti.” Eccola la filosofia di Mancini: amicizia e lavoro di squadra, un binomio sempre presente
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nella sua attività, prima di calciatore poi di allenatore. L’amicizia dunque. Con la Sampdoria nasce il sodalizio con Gianluca Vialli, sodalizio cresciuto e cementato nel tempo. All’epoca i due venivano chiamati i “gemelli del gol”. Adesso entrambi sono alla guida della Nazionale, Mancini, come commissario tecnico, Vialli come capodelegazione. Il fatto è che Gianluca è sempre lì, in campo, in prima linea, a soffrire con gli altri, a supportare le scelte del suo amico e “gemello”, nonostante sia impegnato, se ci passate questo termine, ad affrontare un’altra ben più seria e insidiosa battaglia, quella per la vita. Ma nonostante tutto Vialli è sempre lì, in campo o negli spogliatoi, per emozionarsi o per gioire insieme a tutta la squadra. Bello, entusiasmante, sicuramente commovente, l’abbraccio tra i due vecchi amici dopo la vittoria di Londra. “E’ un ragazzo forte e in-
Il campo di calcio del giovanissimo Roberto è quello dell’oratorio della parrocchia di San Sebastiano nel quartiere Prato
In alto, il commovente abbraccio con Gianluca Vialli dopo la vittoria della nazionale all'Europeo In basso a sinistra, il giovane Mancini con Gianni Rossetti giornalista e presidente dell'Aurora Jesi dove ha tirato i primi calci In alto a sinistra con lo staff tecnicoazzurro
Un calcio all’Europa
La leggenda racconta che il parroco celebrò più in fratta possibile la messa della cresima per permettere al giovane talento di essere in campo
10 telligente – parla così Mancini del suo amico Vialli – è stato sempre un esempio e un punto di riferimento per tutti noi. Credo che il fatto di stare insieme e di pensare al calcio che è il nostro lavoro lo abbia fatto stare bene. Del resto, dobbiamo fare ancora tante cose insieme.” Parole che denotano una grande sensibilità e che si commentano da sole. Dunque, amicizia, solidità e concretezza tutta marchigiana nell’operato di Mancini nella consapevolezza però dell’importanza dello spirito di squadra. Un gioco di squadra appreso evidentemente, da bambino proprio nel campetto dell’oratorio. “Abbiamo avuto la consapevolezza di trasmettere quel senso di appartenenza che è insito in noi Italiani. Ne abbiamo parlato spesso con i giocatori. L’obiettivo comune era fare qualcosa per i nostri tifosi. Sapere di avere alle spalle il sostegno di una intera nazione è stata una molla che ci ha spinto verso traguardi che molti pensavano fossero irragiungibili”. In pochi ci credevano quando abbiamo cominciato tre anni fa. Sembrava una cosa impossibile da realizzare. Devo dire grazie ai ragazzi per quello che hanno fatto.” E’ il commento dello stesso Mancini dopo la vittoria degli Europei. Del resto, dietro la nostra Nazionale si è ritrovata tutta l’Italia calcistica e non, che ha seguito e trepidato per le gesta della squadra. Complice certamente una stagione estiva senza precedenti almeno dal punto di vista climatico e la grande voglia di tornare alla normalità dopo essersi lasciati alle spalle mesi a dir poco difficili, attorno ai televisori di casa e ai maxi schermi sistemati in giro per le piazze e i locali ci siamo ritrovati tutti, ma proprio tutti. Anche chi chiedeva da che parte fosse
la porta italiana o chi non ha voluto vedere la roulette finale, ovvero il rito dei rigori. Quella roulette che poi ci ha decretati Campioni d’Europa. Ne scrivo con cognizione di causa essendone stato testimone diretto. C’è chi si è comportato proprio così tra coloro con cui ho guardato le partite. In quei momenti si è capito che Roberto Mancini aveva comunque vinto. Non solo e non tanto la Coppa. Aveva ormai conquistato il cuore di tutti. Mancini testimonial delle Marche Un marchigiano vero, autentico diventato anche simbolo di stile. A piacere molto di lui, soprattutto all’estero è anche la sua eleganza. In particolare sembra diventata virale, come si dice in questi casi, una sua immagine nella quale viene intervistato dalle televisioni straniere con la giacca sulle spalle. Un ambasciatore d’eccezione, dunque, sotto tutti i punti di vista delle nostre Marche. E, infatti, delle Marche è diventato il testimonial. Una scelta fortemente voluta dalla Regione e anche questa risultata vincente. Secondo alcune stime il promo con Mancini (in questi giorni ne vengono realizzati di nuovi) è stato visto complessivamente da oltre 263 milioni di spettatori nelle reti RAI e SKY con un ritorno economico, la scorsa estate, di almeno 1 miliardo di euro, stando ai dati elaborati dalla Confcommercio. Il commissario azzurro ricevuto al Quirinale Belle, significative le parole pronunciate da Mancini durante il ricevimento dei nostri atleti al Quirinale dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella presente
Un calcio all’Europa
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Un calcio all’Europa
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Amicizia, concretezza e solidità sono aspetti tutti marchigiani che caratterizzano anche l’operato di Mancini diventato simbolo di stile
In alto, Roberto Mancini con Guido D'Ubaldo, caposervizio centrale del Corriere dello Sport
anche il premier Mario Draghi per festeggiare solennemente la vittoria. “Abbiamo scritto una grande pagina di storia. La nostra Nazionale è il simbolo di un Paese che nei momenti di difficoltà sa sempre rialzarsi. Quando si crede in qualcosa si può realizzare un sogno.” Concretezza, modestia, spirito di squadra. Sono evidentemente nell’indole stessa dei marchigiani se è vero come è vero, che al termine di un’estate a dir poco straordinaria, un altro marchigiano, questa volta originario di Camerino, fa il giro del mondo fotografato con in braccio un bambino che cercava di mettere in salvo. E’ Tommaso Claudi, giovane console a Kabul, l’ultimo diplomatico
italiano a lasciare l’Afghanistan. Ma a chi gli fa notare di essersi comportato da eroe si schernisce: “…ma quale eroe, dirà, ho solo fatto il mio dovere. Pensavamo a mettere in salvo le persone. Il nostro è stato un lavoro di squadra.” E Mancini? Anche lui non si è montato la testa. Del resto come ama ripetere “…. cos’è la felicità? Tornare a casa tra la mia gente….” Così quando torna nella sua Jesi, tra un selfie e l’altro o magari in coda dal salumiere, lo si può vedere in sella alla bicicletta, correre con i vecchi amici di sempre, magari conosciuti da bambino all’oratorio della parrocchia di San Sebastiano, quartiere Prato. ¤
Il re del salto in alto
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Tre metri verso il cielo “Gimbo” il predestinato CIVITANOVA E ANCONA NE RIVENDICANO LA CITTADINANZA
di Andrea Carloni
Davanti a “The Legend” il murales a lui dedicato Gianmarco è rimasto senza fiato: “Meraviglioso e inaspettato”
Sopra, Tamberi davanti al murales che lo ritrae e quando viene accolto dai suoi fans
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toria di un campione predestinato. Il papà Marco altista, olimpionico a Mosca 1980, la mamma Sabrina ex velocista e saltatrice, il fratello Gianluca lanciatore. E’ la storia di un’atleta perfettamente inserito nella sua era. Quella dei social, della vita in tempo reale e soprattutto dei risultati di livello regale. Perché il re del salto in alto 2021, oro alle Olimpiadi e nella Golden League, è stato lui: Gianmarco, detto “Gimbo”, Tamberi, il campione di Civitanova Marche (dove è nato), pardon di Offagna (dove ha abitato), ma no, di Ancona (dove vive). Tutte realtà piccole e grandi che ne rivendicano la cittadinanza, da ancora prima che diventasse l’unico altista italiano ad aver realizzato le imprese di cui al capitolo sopra. “Gimbo” come nessun italiano mai, anche per essere
stato in grado di infilare un filotto di salti perfetti dall’inizio della finale olimpica di Tokyo (1 agosto scorso) fino al 2.37 di sipario gara. Chi gli ha tenuto botta sulla pedana giapponese fino a quel punto, con lo stesso suo percorso di salti, è stato uno solo: il qatariota Mutaz Essa Barshim, ovvero il suo migliore amico quando si trova davanti ad un’asticella. Solo chi non conosce la grandezza della loro amicizia si sarà stupito quando i due, chiamati a decidere se sfidarsi all’indietro (saltando un centimetro in meno alla volta, falliti entrambi i 2.39), o dividersi l’oro, hanno scelto di rispondere con un abbraccio sollevandosi da terra per l’esultanza, davanti a milioni di spettatori in festa per questo gesto senza storia, ma con contenuti valoriali straordinari. Come è pouto succedere che i due abbiano scelto la strada
Il re del salto in alto
Il legame con Ancona è fortissimo: “Adoro la mia città e le Marche. Di vivere altrove non se ne parla”
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della condivisione di una cifra tanto alta come l’oro olimpico? Perché mai si sarebbero scambiati la medaglia sul podio, alzandosi il braccio? Insieme. Semplicemente perché avevano condiviso momenti di gioia (Gianmarco invitato al matrimonio dell’amico con Alexandra in Svezia), ma anche di dolore, visto che prima Gianmarco (Montecarlo 2016) e poi Mutaz (Ungheria 2018) erano stati travolti da un insolito destino, sottoforma di infortuni seri, ma – fortunatamente – non letali, tra Rio 2016 e Tokyo 2021. Dall’inferno al paradiso: quando provi gli stessi sentimenti, passando attraverso allenamenti e rinunce senza mai perdere la speranza di rinascere e il sogno, non poteva che finire così: con due sullo stesso gradino del podio. Quello più alto. “Quando il giudice si è avvicinato a Gianmarco e Mutaz, ancora prima che riuscisse a proporre loro di scegliere
cosa fare” – commenta Marco Tamberi – avevo già capito come sarebbe andata a finire, conoscendoli”. Ma ti sei reso conto di quello che hai combinato? “Non del tutto sai – risponde “Gimbo Jet”, al momento di ricevere l’ennesimo premio della stagione, stavolta dal CONI della sua Ancona -. Ancora oggi faccio fatica. E’ pure capitato che mi svegliassi con la paura che non l’avessi vinta, o che qualcuno me l’avesse rubata, quella medaglia d’oro. Eppure so di averla inseguita ogni giorno con tutto me stesso, dopo aver saltato i Giochi di Rio per quello che era successo a Montecarlo”. Ma come sei riuscito a crederci ancora, quando a pochi giorni da Tokyo non riuscivi a trovare continuità nei salti, fermandoti pure a 2.20 che è una misura che puoi superare… in tuta? “E’ vero in quei giorni pas-
Il re del salto in alto
savo da 2.30 a 2.20 con troppa facilità e questo mi dava inquietudine, ma non ho mai pensato di abbattermi perché la promessa che avevo fatto a me stesso, a Chiara, ai miei e a tutte le persone che mi sono state vicine nei momenti brutti era troppo grande”. Chi è per te Mutaz Essa Barshim? “L’altista più forte sul pianeta, ma soprattutto un grandissimo amico. Avrei potuto condividere l’oro solo con lui e credo che sia lo stesso suo pensiero, al contrario”. Sarà al tuo matrimonio, come tu al suo? A proposito, quando sarà? Si parla di settembre 2022… “Penso proprio che ci sarà. Comunque sta pensando a tutto Chiara (Bontempi, la promessa sposa, figlia dell’ex campione di Motociclismo, Piergiorgio ndr); credo che il matrimonio sia una cosa di donne. Chiara è la cosa più importante che mi sia capita-
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ta nella vita: lei è il mio punto di riferimento ed è per questo che non può non essere al mio fianco, anche durante le gare. Stiamo insieme da quando eravamo piccoli e non saprei come fare, senza di lei.”. Abbiamo letto che state mettendo su casa? Dove? Non è che te ne vai da Ancona, dopo tutte le feste che ti hanno fatto? “Non ci penso proprio. Adoro la mia città e le Marche, mi piace vivere le nostre famiglie e i nostri amici e di vivere altrove non se ne parla neanche”. A proposito di come ti ha accolto la città: che cosa hai provato quando l’assessore allo Sport, Andrea Guidotti, nel giorno della festa dopo Tokyo ti ha bendato per portarti fin sotto il murales a te dedicato, “The Legend”, realizzato da Lorenzo Nicoletti,
In alto, tre momenti che immortalano "Gimbo" nei suoi salti olimpionici A sinistra, l'abbraccio con il presidente CONI, Fabio Luna al suo ritorno ad Ancona
Il re del salto in alto
“Dopo i giochi di Rio ho inseguito la medaglia d’oro olimpica ogni giorno con tutto me stesso”
In alto, Marco e Gianmarco Tamberi e subito sotto Il sogno che si avvera Qui sopra, l'atleta si racconta alla Mole Vanvitelliana
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in arte Skugio? Aperti gli occhi?... “Mi sembrava di sognare, sono rimasto senza fiato: assolutamente inaspettato, l’ho trovato semplicemente meraviglioso e non finirò mai di ringraziare per la dimostrazione di tanto affetto”. Ah, sì? E allora che effetto fa sapere di avere più di mezzo milione di follower solo su Instragram? “Un bellissimo effetto; naturalmente non posso rispondere e dialogare con tutti come vorrei e allora cerco di abbracciarli idealmente e sentirli vicini, tenendoli aggiornati su tutto quello che mi capita, anche nella vita di tutti i giorni. Sto vivendo questo periodo come se fossi sulle nuvole. Girando l’Italia ho incontrato e incontro tanti personaggi che sono per me dei miti, come per esempio Valentino Rossi, che è sempre stato per me un motivo di ispirazione, come pure Michael Jordan, il gigante dell’NBA”. Il basket, primo o secondo amore: perché non è che si sia capito tanto, visto che se non tiri a ca-
nestro sembra mancarti qualcosa… E’ così? “Vero. In effetti ho iniziato a fare sport giocando a pallacanestro e l'amo tantissimo. Pensa che a casa ho 600 palloni a spicc basma poi, senza mai abbandonare il basket, ho capito che il mio sport era il salto in alto. Anzi, l’ho sempre saputo e per questo l’ho scelto”. Ce la fai a guardare al futuro, o è ancora presto? “Ho solo 29 anni e, soprattutto, nuovi obiettivi. Nel 2022 sono in programma gli Europei (che ha già vinto ndr) e i Mondiali outdoor a Eugene, Stati Uniti, che non ho mai ancora vinto. E’ l’unico traguardo che non ho ancora centrato e mi piacerebbe davvero diventare l’altista capace di vincere tutte le competizioni in carriera”. Finita qui? Parigi 2024? “Non è un obiettivo minore dell’altro, anzi. Nessun saltatore in alto ha vinto due Olimpiadi in carriera (nessun italiano, prima di lui, ne aveva vinta una ndr) e il mio obiettivo è arrivare a saltare 2.40, che sarebbe il mio record”. ¤
Schiacciate europee
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Mazzanti a tutta forza Nato per insegnare È DI MAROTTA IL CT AZZURRO DELL’ITALVOLLEY ROSA
di Gianluca Pascucci
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avide Mazzanti è nato per insegnare. Sin da piccolo il coach campione d’Europa con l’Itavolley rosa, ha cullato il sogno di poter insegnare. Da ingegnere elettronico mancato, ha ben presto abbandonato gli studi universitari, il coach campione continentale è arrivato ad insegnare, prendendo la strada delle palestre. Un altro tipo di studi, ma pur sempre studi. La gavetta l’ha fatta partendo dal basso, dalla sua Marotta, conquistando nel corso di una rapida ascesa ben tre Scudetti, rispettivamente a Bergamo, Casalmaggiore e Conegliano, piazze che abilitano al master in pallavolo, una Coppa Italia e due Supercoppe, fino a sedersi sulla panchina azzurra.
Nella pallavolo, Davide Mazzanti, ha anche conosciuto l’amore, Serena Ortolani. La coppia ha una bimba di 8 anni: Gaia, che da qualche mese ha scelto di giocare a pallavolo. A Marotta è nato anche il feeling con il suo secondo in panchina, il tattico Matteo Bertini. Ma andiamo con ordine. Davide Mazzanti, come è nata questa passione per la pallavolo? “Il mio è stato un percorso normale, come credo quello fatto da tanti ragazzi. Data la vicinanza con Pesaro ho iniziato con il basket, passando poi al calcio e al nuoto. Praticavo un po' di tutto, poi a 17 anni ho incontrato la pallavolo. Mio fratello correva in moto ed è andato a gioca-
Schiacciate europee
Dal basket al calcio poi al nuoto fino ad incontrare la pallavolo a 17 anni e diventare ben presto allenatore
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re a pallavolo a Marotta, l’ho seguito. Non sono mai stato portato nel fondamentale della ricezione, per il resto ho giocato un po' ovunque, del resto eravamo in serie C… Ho anche provato a palleggiare per capire meglio le dinamiche del palleggiatore, perché mi piaceva già insegnare”. Come ha scoperto la passione per l’insegnamento? “Mi è sempre piaciuto insegnare e dietro la spinta del mio prof di Elettronica, all’epoca in cui frequentavo l’Istituto Professionale di Stato a Fano. Mi sono poi iscritto alla Facoltà di Ingegneria Elettronica, per poter insegnare. Ho superato l’esame di Geometria, ma nell’estate successiva ho assistito ad un collegiale della Nazionale Juniores maschile, portata da Angelo Lorenzetti a Marotta. C’erano Fei e Cisolla, tanto per capirsi, e sono rimasto attratto dal modo di allenare di Angelo”. Lorenzetti, altro tecnico marchigiano, cosa le ha insegnato, o meglio, cosa
le ha trasmesso? “In un parola: il metodo di insegnare di Lorenzetti era fighissimo”. A chi si è ispirato? “Il maestro è Angelo anche se mi ha ispirato maggiormente Lorenzo Micelli, con cui ho condiviso più di sette anni di panchine da suo vice. Ho comprato dei VHS presso la federvolley Emilia Romagna in cui c’erano dei video fatti dai vari Velasco, Bonitta, Barbolini e Guerra. Ognuno spiegava il suo modo di interpretare la pallavolo”. Come è iniziata la sua carriera? “Frequentavo un corso di primo grado e il docente era Lorenzetti. Durante una crisi di fame, da cibo, mi fermai al McDonald’s della Baraccola, ad Ancona. C’era Micelli che mangiava, gli ho chiesto se potevo sedermi con lui ed abbiamo iniziato a parlare. Era il 2002, lui già allenava a Corridonia e mi portò con lui. Diciamo che al suo fianco mi sono “schiarito” le idee.
Schiacciate europee
Tutto è stato poi velocissimo. Nel 2006 ero già in Nazionale Seniores, con “Miccio” tutto viaggiava ad una velocità incredibile, in sette anni. Diciamo che mi sono buttato”. Non pecchiamo di modestia, però… “Magari fosse modestia. Avrei sofferto di meno. Diciamo che la mia autostima non viaggiava alla stessa velocità delle tappe della mia carriera”. Ricorda la sua prima stagione da head coach? “Nel 2006/07, Campionato di Serie B1, sono entrato in palestra, a Ravenna, cercando di essere un clone di “Miccio”. Mi sono subito accorto che non era il mio modo ed ho iniziato ad applicare il mio stile. Fu un anno stra divertente: 13 vittorie per 3-0. Si stava benissimo”. Saltiamo la parte dei successi nei club e veniamo a noi: da Tokyo a Belgrado. Come è andata? “Tranne che nella partita con la Cina alle Olimpiadi,
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direi tutto molto bene. I ritiri pre olimpiadi erano andati benissimo, ai Giochi abbiamo iniziato alla grande poi quella partita con la Cina ci ha tolto sicurezze ed in quattro giorni è girato tutto. Alle Olimpiadi non hai tempo per digerire le cose, perché sei sempre sul
pezzo. Due partite hanno segnato il momento e non siamo stati rapidi nel girare la situazione a nostro favore”. La rinascita? “E’ successo tutto in un solo mese, da agosto a settembre. In mezzo abbiamo puntato
Nella pagina precedente, Mazzanti esulta durante una partita A sinistra un ritratto del coach In alto, tutto lo staff della nazionale al Quirinale, con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e qui sopra con la moglie Serena Ortolani
Schiacciate europee
Il suo primo maestro di riferimento è marchigiano incontrato ad Ancona e il suo “tattico” Matteo Bertini è di Marotta
Davide Mazzanti festeggia a Marotta con Matteo Bertini l'oro europeo conquistato in Serbia
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a ritrovare la consapevolezza di ciò che dovevamo fare. Tutto in pochissimi giorni, tra Olimpiade ed Europeo. Non c‘erano parole da spendere né si poteva cancellare la situazione post Tokyo. Siamo tornati in palestra con lo stesso gruppo dei Giochi. Musi lunghi e poca voglia di parlare e scherzare. Un clima che non ti dico. Ma c’è tanta qualità in questo gruppo. Sono stato più direttivo rispetto al solito, ho stabilito un sistema di ge-
rarchie ancor più netto e poi puntato su alcuni dettagli. Sembra semplice, ma è stato tostissimo ed è finita bene con la conquista del titolo europeo, vinto a Belgrado, contro le padrone di casa”. Ci sono due persone nella sua vita: Serena e Matteo. Ci racconti qualcosa del suo tattico. “Matteo Bertini è un grande tattico, uno dei migliori in circolazione. Ovunque lo
metti: in un campo da tennis, basket, beach o calcetto, lui ti inizia a fare la tattica. Ha un anno meno di me e siamo cresciuti in via Damiano Chiesa, a Marotta, dove entrambi abitavamo. Suo papà gestiva il bar Acli e costruì un minuscolo campo da pallavolo dietro al locale. Là abbiamo trascorso da ragazzi tutti i nostri pomeriggi. Oggi, purtroppo, non ci sono più né la chiesa né il bar. Io ho iniziato ad allenare prima di Matteo, perché lui era bravo a giocare e ha continuato a farlo per più anni. Abbiamo lavorato molte stagioni negli stessi staff, ora proseguiremo in Nazionale, fino alle Olimpiadi in Francia“. E sua moglie Serena Ortolani, campionessa di pallavolo. Un amore a prima vista? “Ad inizio carriera avevo giurato: mai con una pallavolista. Concetto ribadito a Bergamo da primo allenatore e invece… già l’anno successivo mi sono smentito. Ho fatto io il primo passo con Serena, ma mi sono tirato indietro. Poco dopo eravamo già a parlare della nostra famiglia, del nome che avremo dato a nostra figlia. Come nella mia carriera da allenatore è stato tutto molto rapido. Otto anni fa è nata Gaia, che da qualche mese gioca a pallavolo”. Serena? “E’ incredibile! Ha talento, legge situazioni ed umori della squadra alla grandissima. Con lei ho il punto di ciò che vedono le ragazze. Lei è nata per gestire lo spogliatoio. Anche oggi che sta a San Giovanni in Marignano. Si diverte e già pensa al futuro”. ¤
Una scia dorata tra le onde
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Soffia il vento dell’oro sulla vela marchigiana UN PODIO MONDIALE, TRE EUROPEI E UNO ITALIANO
di Giacomo Bardassari
Armatori anconetani e civitanovesi regalano prestigiosi risultati nel 2021 anche in diverse categorie
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ell’estate d’oro dello sport italiano, la vela marchigiana ha vissuto un’ottima annata, parafrasando il titolo di un film di Ridley Scott. Un oro mondiale, tre europei e uno italiano, senza contare i successi nelle categorie juniores e master. La prima grande soddisfazione arriva dalla splendida isola di Capri, dove lo scorso 20 maggio si è concluso il Campionato Europeo Altura. Un campionato che porta la firma dell’armatore civitanovese, Marco Serafini. Onore, dunque, a lui e al suo al TP 52 “Xio” da sempre legato al Club Vela Portocivitanova, che si è imposto su un lotto di 63 equipaggi da 11 Paesi comunitari e 1 dalla Gran Bretagna. Civitanovese la barca, ma anche parte
dell’equipaggio (Alessandro Battistelli, Gabriele Giardini, Alessio Marinelli), impreziosito dalla presenza del navigatore di Luna Rossa all'ultima Coppa America, Francesco Mongelli. Un altro successo che Serafini aggiunge ai due ori mondiali, quello del 2019, conquistato nelle acque di Sebenico, e quello del 2013, maturato nel Golfo di Ancona a bordo dell'altro suo TP 52, "Hurakan". "Il titolo europeo lo inseguivamo da Valencia 2014, quando ci sfuggì per un soffio – commenta l’armatore -. E' stata più difficile questa volta, c'erano più barche, il livello era molto alto, ma finalmente ce l'abbiamo fatta ed è bello poterlo festeggiare in un contesto (quasi) normale di un’isola covid free".
Una scia dorata tra le onde
Alle spalle di “Xio”, è secondo lo Swan 45 inglese "Fever" di Klaus Dlederichs (RORCCV Venezia) e terzo il TP 52 "Freccia Rossa" di Vadim Yakimenko (YC Calvi). Il team di Serafini ha rotto il ghiaccio, portando un segnale di ripresa e di fiducia in un mondo - quello della vela - che ne aveva un grande bisogno, pur non essendosi mai fermato completamente, neppure nei giorni neri della pandemia (opportunità e merito degli sport all’aria aperta). Qualche mese di stop, le vacanze estive, la gloria degli Europei di calcio e le Olimpiadi sullo sfondo. Poi, a fine settembre, i velisti marchigiani hanno ripreso a macinare. Lo sa bene la campionessa dorica, Claudia Rossi, che in coppia con Pietro D’Alì, nel suggestivo paesaggio della Laguna di Venezia ha vinto il Double Mixed Offshore World Championship, il Campionato Mondiale di vela d’altura in coppia misto. Il nuovo format si corre a bordo dei Figaro 3, monoscafo con foil di appena 9 metri, realizzati dal cantiere Beneteau per competizioni offshore. Un circuito articolato su tre frazioni (Brindisi – Bari, Bari – Ravenna, Ravenna – Venezia), livello top, navigazione, gesto atletico e alcuni big della vela oceanica in lizza per il titolo, come Guillermo Altadill e Martin Stromberg. Dopo il trionfo, giusto qualche giorno di meritato riposo, poi un’altra gara e un’altra conferma. Tornata al timone del suo primo amore (il J/70 Petite Terrible Adria Ferries) in quel di Punta Ala, Claudia Rossi si è laureata Campionessa italiana, lo scorso 3 ottobre. “Abbiamo lavorato tanto – ha detto la velista dorica –. Ci siamo meritati una chiusura in bellezza, dopo una stagione fra mille difficoltà”. Finita qui? Macché. Ricevuto (a metà novembre) dal CONI Marche il Premio “Atleta Esemplare” intitolato alla memoria dell’ex presidente,
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Altro successo continentale per le Marche nel campionato europeo Melges 20 con l’anconetano Pacinotti Nelle pagine precedenti, Filippo Pacinotti (al timone) e il suo equipaggio conquistano il titolo Europeo; Xio di Marco Serafini in poppa a Capri. Sopra, gradino più alto del podio per i ragazzi di Brontolo, l'equipaggio di Xio in partenza per Capri e Federica Archibugi con i vincitori del titolo Europeo RS21 Qui, il premio Censi a Claudia Rossi
24 Terzo Censi, Claudia ha ufficializzato un progetto che potrebbe portarla ad una sfida mai immaginata prima: la partecipazione alla Coppa America, con un equipaggio tutto al femminile, novità delle novità nella prossima edizione della competizione velistica più famosa al mondo. “Parteciperò ad una selezione e spero proprio di far parte dell’equipaggio. Dopo che hanno tolto la mia categoria velica dai Giochi di Parigi 2024, punterò questo obiettivo con tutta me stessa”. Dalla Laguna alla Gallura, dove le Marche hanno colto un altro successo continentale. Si tratta del Campionato Europeo Melges 20, conquistato da "Brontolo" di Filippo Pacinotti a Puntaldia. Eh già, la barca è portacolori del blasonato Yacht Club Costa Smeralda ma lui, Filippo Pacinotti, è marchigiano a tutto tondo: originario di Ancona, va in barca fin da piccolo, come del resto suo figlio Andrea, spesso in regata insieme, entrambi cresciuti nella SEF Stamura. Una vittoria che riconferma il titolo del 2019, ma niente affatto scontata: con 2-3-1 come parziali dell’ultimo giorno di regate e un quarto posto scartato come peggior risultato dell’intera serie, Brontolo ha difeso il titolo continentale lasciandosi alle spalle i sovietici di "Russian Bogatyrs” e "Fremito d’Arja" di Dario Levi, che dopo un’ottima settimana ha guadagnato la medaglia di bronzo. “Vincere due titoli europei consecutivamente è un’emozione bellissima e forse anche un record nella Classe Melges 20; un obiettivo che nessuno aveva centrato prima” – la soddisfazione di Pacinotti -. A Puntaldia siamo arrivati un po’ in affanno, con un cambio d’equipaggio dell’ultimo secondo, ma ci siamo trovati bene dal primo momento e, nonostante le condizioni meteo marine difficili, vincere il titolo continentale nell’ultimo
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lato dell’ultima prova è stata un’emozione fantastica”. Riconquistato il titolo europeo, Brontolo guarda già al futuro: “Dovevamo difendere il titolo continentale, e siamo riusciti nell’impresa. C’è anche una medaglia iridata, però, che portiamo al collo dal Mondiale di Cala Galera 2020: a dicembre andremo a Miami per partecipare a una grande manifestazione internazionale, il Campionato del Mondo Melges 20 del 2021, e anche lì faremo del nostro meglio per mettere a segno la doppietta”. Parla marchigiano anche il primo Campionato Europeo della classe velica RS21, disputato sul Lago di Garda nell’ultima settimana di ottobre. Seppur appena nata, la classe ha già coinvolto i migliori velisti in tutto il mondo e l’Italia non è stata a guardare. Nel raggruppamento Corinthian vittoria di “Stick n Poke” di Federica Archibugi (SEF Stamura Ancona), che ha gestito con consistenza e regolarità il campionato. Tutte nostrane le maestranze a bordo: l’azzurro del Finn a Londra 2012, Filippo Baldassari (tattico), Matteo
Morellina e Gabriele Rosati d’Amico, oltre naturalmente all’armatrice-timoniera. Sul Benaco, con la perfetta regia della Fraglia Vela Malcesine, si sono allineate in regata 23 barche provenienti da Italia, Polonia, Francia, Germania, Olanda ed Inghilterra. Una scia di vittorie maturate in pochi mesi che per Fabio Luna, presidente CONI Marche, sottolineano il ruolo centrale dello sport nella ripresa: “Prestazioni e storie splendide, che danno ottimismo a tutto il movimento sportivo, generando motivazione nei velisti della regione. A tutti loro vivissime congratulazioni”. ¤
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La dorica Rossi mondiale nel campionato di vela d’altura in coppia misto nella suggestiva laguna di Venezia
In alto, bollicine e festeggiamenti per Claudia Rossi e Pietro D'Alì a Venezia Sotto, Stick N Poke in azione sul lago di Garda
Il mito sulla moto
di Andrea Carloni
Nella foto grande l'ultimo rientro ai box da pilota Moto GP di Valentino Rossi Sotto, festeggiamenti per una delle sue innumerevoli vittorie (Foto Luca Toni)
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i volevano una moto imbarazzante, una carta di indentità che non fa sconti e, soprattutto, la notizia di una bimba in arrivo dalla sua compagna Francesca Sofia Novello per tirarlo giù dalla moto, almeno da quelle a 200 cavalli che ha domato sulle piste di mezzo mondo, diventando il pilota più iconico e social nella storia del motociclismo. Partendo da Tavullia, provincia di Pesaro Urbino, dove è sempre tornato, profondamente attaccato alla sua terra d’origine come ha sempre dimostrato di essere. Anche
per questo è adorato da chi ha saputo o ricorda di quelle scorribande dell’età prima, sulle strade che dalla collina tavulliana portano al mare (e alle piste di minimoto) di Cattolica. Appartengono alla leggenda non solo le imprese in pista ma pure le sue acrobazie a tanto all’ora sulla Panoramica che da Pesaro porta alla macroregione marchignola. Quante volte lo hanno visto tuffarsi in quelle curve, dove tanti appassionati hanno tentato invano di provare ad imitarlo. Anche per questo nessun pilota è stato amato più di lui, nel mondo. Al di là
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Vale tanto oro quanto pesa per Tavullia e le sue Marche ROSSI HA PORTATO ALLA RIBALTA IL TERRITORIO COME NESSUNO MAI NON SOLO IN TERMINI DI PASSIONE SPORTIVA MA DI ECONOMIA UNICO PILOTA NELLA STORIA, IRIDATO IN QUATTRO CLASSI DIVERSE
dei 12 milioni di follower solo su Instagram, migliaia di fan lo hanno seguito ovuque, eleggendolo, specie ai tempi belli, a passione di vita. Basti pensare a come doveva travisarsi per entrare al cinema, all’autogrill o al Miu J’Adore della vicina Marotta, per godersi una serata in discoteca con gli amici. Ma lui, Valentino, figlio di Graziano, lo straordinario personaggio che andava in giro con una gallina al guinzaglio, ha sempre ripagato tanto amore con affetto, col suo talento, la sua creatività e il modo di porsi, senza spocchia, anche se avrebbe potu-
to permetterselo. E’ così che si diventa un mito, anche se, proprio suo padre Graziano, commentando gli indimenticabili festeggiamenti che i “46 gialli” tributavano a suo figlio ebbe a dire: “Sì, sono tanto bravi ad inventarsi ogni volta il modo di festeggiare i gran premi, però prima di tutto le gare bisogna vincerle…”. Talento, saggezza e semplicità. Che sono un po’ un marchio di fabbrica della famiglia Rossi, e pure dell’orgoglioso popolo di Tavullia e delle Marche. Che gli devono molto, a Valentino. Qualcuno ha mai pensato, fra le tante argomentazioni
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Valentino il più iconico e social nella storia del motociclismo profondamente legato alla sua terra d’origine
Al centro pagina, Valentino Rossi durante la Laura ad Honorem Qui sopra, due ritratti del pilota nelle gare In alto a destra, durante le prove (Foto Luca Toni) e sotto il murales di saluto nel circuito di Valencia
che possono venire in mente quando si è al passo d’addio di un campione, a che cosa abbia significato Rossi per il suo territorio? A quali riflessi economici i suoi successi abbiano dato vita? Nei giorni della sua ultima gara in Italia, passeggiando per i retrobox del “Marco Simoncelli” di Misano, c’è venuta spontanea una domanda: ma questo circuito sarebbe stato così bellamente ammodernato, senza i 27 anni di Valentino Rossi a correrci dentro, portando ogni volta (pandemia esclusa) alcune centinaia di migliaia di tifosi? E l’economia del territorio, alberghi, ristoranti, supermercati, negozi, merchandising, parcheggiatori, ambulanti, ecc. sarebbe stata la stessa senza il suo richiamo e le sue corse? Ecco perché l’Italia, le Marche e la Romagna gli debbono molto. Vale tanto oro quando pesa, Rossi, non solo in termini di passione soportiva, ma di economia territoriale. Vogliamo chiederci quanti conoscessero
la bella Tavullia (sempre in protezione nei confronti del suo idolo), fino alla sua prima vittoria nel mondiale 125 a Brno (1996) con l’Aprilia? Pochi. A dare la misura del cambiamento, basterà ricordare come qualche tempo più tardi, giornalisti da mezza Europa la raggiunsero spinti dalla voglia di scoprire dove avesse sede la famosa “Polleria Osvaldo”, non sapendo che lo sponsor sulla maglietta del giovane Valentino era del tutto inventato, parto della fantasiosa mente dei meravigliosi ragazzi del fan Club, a cominciare dal presidente Rino Salucci, il “vigile urbano” che lo multò al Mugello nel 2002 per… eccesso di velocità. D’ora in avanti il “popolo giallo” che ha gioito con lui sui circuiti più vicini e più lontani del pianeta potrà solo andarsi a rivedere le imprese più belle di un campione assoluto, capace di battere centinaia di avversari, di vincere 9 titoli mondiali (e potevano essere almeno 10…), di stregare con i
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suoi modi gli appassionati del gas a manetta e circondarsi di un affetto strabordante. Già, le sue imprese? E da dove cominciare? Dalla vittoria sotto la pioggia torrenziale di Donnington 2005? O quella di Laguna Seca 2008? Oppure meglio Barcellona 2009, sempre in sfida con l’ex compagno di scuderia, Lorenzo? Ne stiamo dimenticando una quantità. Chiediamo perdono, a chi avrebbe altro da mettere sotto la lente d’ingradimento. Non é facile ripercorrere 27 anni di pieghe mozzafiato, di acceleratori spalancati, di rivali sempre nuovi, sempre forti e sempre più giovani. Vogliamo parlarne? Proviamo: Casey Stoner (Ducati), Jorge Lorenzo (Yamaha), Marc Marquez (Honda), ma il più rivale di tutti resta Max Biaggi (Yamaha), col quale né battaglie all’ultima staccata né sfottò ci sono stati fatti mancare. Rivali Doc, estimatori atrettanto, come Diego Armando Maradona, tanto per fare un nome di chi non c’è più. Do-
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menica 14 novembre 2021, quando a Valencia ha appeso l’ultimo dei suoi meravigliosi caschi al chiodo, lo hanno omaggiato in tanti: da Tom Cruise a Roger Federer, da Louis Hamilton a Ronaldo “il fenomeno”, arrivato apposta per agitare davanti alla Yamaha di Vale l’ultima bandiera a scacchi della sua inarrivabile carriera. Uno splendido murales con la sua faccia simpatica, 75 mila sugli spalti in gran parte spagnoli ma tutti con le bandiere gialle, lo hanno omaggiato come se fosse uno di famiglia. Così hanno fatto tutti i piloti, che lo hanno scortato fin sotto l’onda gialla dei tifosi ultrà, dove è cominciata la festa d’addio al pilota Moto GP. E’ successo perché Valentino, pensando al momento del ritiro, aveva da tempo costruito un po’ del suo futuro, con la creazione della VR46 Academy, che ha come punto di riferimento il Runch alle prote di Tavullia, dove sono cresciuti e crescono: Celestino
Migliaia di fans lo seguivano ovunque Doveva travisarsi per entrare al cinema, all’autogrill o in discoteca nella vicina Marotta
Valentino Rossi NUMERI DA FUORICLASSE Valentino Rossi (Urbino (PU) 16/02/1979 9 Titoli Mondiali (125, 250, 500, Moto GP)* 1996 – 1999 Aprilia 2000 – 2003 Honda 2004 – 2010 Yamaha 2011 – 2012 Ducati 2013 – 2021 Yamaha 432 Gare disputate 115 Gare vinte 235 Podi 6357 Punti conquistati 65 Pole position 96 Giri veloci 15.000 Iscritti al suo Fan Club 88 Paesi con iscritti al FC VR46 * Unico pilota nella storia iridato in quattro classi diverse
“The Doctor”
Il mito sulla moto
Il suo talento e la sua creatività hanno messo sotto i riflettori le Marche e la bella ma poco conosciuta Tavullia
Nel paginone Valentino Rossi diventa "The Doctor" all'Università di Urbino (Foto Luca Toni) Qui sopra, il pilota agli inizi della sua lunga carriera e in un ritratto più recente
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Vietti, Andrea Migno, Marco Bezzecchi, Luca Marini, Niccolò Antonelli, Stefano Manzi, Franco Morbideli e Francesco Bagnaia. Già, è stato per questo che Francesco detto “Pecco” Bagnaia, erede designato, prima di vincere il suo quarto Moto GP dell’anno, è salito sulla Ducati Desmo 16 indossando il casco con su scritto “CHE SPETTACOLO”, mentre il nuovo iridato 2021, Fabio Quartararo, chiudeva il suo giro d’onore impugnando
una bandiera gialla per salutare il 46 più famoso della galassia conosciuta. Lo ha omaggiato anche un suo “vecchio” estimatore e suo nuovo amico, un altro dei nostri campioni di cui andare fieri: l’altista oro di Tokyo, Gianmarco Tamberi, che per Rossi ha avuto parole dolci e piene di ammirazione: “Una fonte di ispirazione unica nel suo genere. Un campione che ha saputo rimanere sempre se stesso. Grazie Vale per averci fatto sognare così tanto, col cuore in gola ogni week end per così tanti anni. Ma grazie soprattutto per non averci mai nascosto il tuo lato umano, il tuo vero carattere senza paura di essere giudicato”.
Il lato umano. Alzi la mano chi, sceso dalla moto e raggiunto il suo box non immaginava che - almeno stavolta - si sarebbe lasciato andare a qualche lacrima. Invece no. Ha fatto piangere tanti, a cominciare dalla sua Francesca Sofia, ma lui no o almeno non lo ha dato a vedere, avendo scelto di vivere anche l’ultimo atto in allegria, sollevato e lanciato in aria dai suoi meccanici e dagli amici più cari, con in testa Alessio “Uccio” Salucci, il suo terzo “fratello” (oltre a Luca e Clara). Nel box Yamaha Petronas ha viaggiato sospeso sulle mani dei suoi legami più stretti, come accadeva a Jim Morrison, il suo autore - poeta preferito. E anche in un momento che poteva essere doloroso, ha trovato il modo di strappare sorrisi, come da una delle frasi più belle e ispirate del leader dei Doors: “Sorridi anche se il tuo sorriso è triste, perché più triste di un sorriso c’è la tristezza di non saper sorridere”. E allora che fa Valentino? Punta tutte le fiches sull’allegria e neanche una sulla tristezza; onorando la sua laurea ad honorem in Comunicazione con una perla. “The Doctor”, prima di prepararsi al futuro da papà, da pilota sulle quattro ruote e da leader del suo Team VR46 che sarà con la Ducati se ne esce così: “Giornata indimenticabile, mi sono divertito così tanto che quasi quasi mi ritiro anche l’anno prossimo”. Unico e inimitabile. Quando ne nascerà un altro così? Quanta fortuna a essere nati nella sua era. C’è chi fa la storia e chi la leggenda. Dai, vada per la seconda, così non sbagliamo. ¤
Pesca sportiva
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Fiocine iridate e polmoni d’acciaio MEDAGLIE AL DORICO DE MOLA E AL PESARESE EUSEBI
di Leandro Aranci
Sopra, la liberazione di una tartaruga impigliata in una rete
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orse non tutti sanno che l’Italia ha un palmares di livello internazionale come poche altre nazioni possono vantare, anche nella Pesca Sportiva. Non è un caso se nello scorso mese di ottobre, il prof. Ugo Claudio Matteoli sia stato riconfermato, all’unanimità, Presidente della Federazione Internazionale in acque dolci per il quinto mandato consecutivo, il primo alla direzione della Conferenza Internazio-
nale Pesca Sportiva. Ma, come si sa, per avere un peso specifico di rilievo in campo mondiale, c’è bisogno anche di ottenere risultati a livello sportivo, oltre che sul piano organizzativo. E l’Italia, sotto questi aspetti, ha ben pochi rivali. Lo dimostrano i due titoli iridati conquistati fra il settembre e l’ottobre scorsi. Fra le vittorie del 2021 che rimarranno scolpite nell’immaginario collettivo di chi
ama la Pesca Sportiva (e non solo), si iscrive a pieno titolo il risultato dell’anconetano Giacomo De Mola, 40 anni, da una decina trasferitosi in Grecia, già Campione Italiano nel giugno scorso a Torre San Giovanni (Lecce) e nuovo Campione Mondiale di Pesca in Apnea, dopo il successo conquistato dal 17 al 19 settembre, nelle acque di Arbatax, in Sardegna. Al termine di una gara assolutamente perfetta, con due primi posti nella prova iridata in provincia di Nuoro, il portacolori della Komaros Sub Ancona ha vinto il Mondiale di Pesca in Apnea, riportando in Italia un titolo che mancava da 17 anni, da quando cioè Stefano Bellani vinse la stessa prova in Cile. La vittoria di De Mola non è mai stata in discussione. Giacomo ha letteralmente dominato il lotto della sessantina di concorrenti, dimostrando di possedere sia doti atletiche che tecnico - tattiche, avendo preparato l’appuntamento senza trascurare il benché minimo dettaglio. Un traguardo a lungo inseguito, messo nel mirino delle sue fiocine e meritatamente centrato. La sua strategia, nonostante le difficoltà incontrate (da tutti) per il poco pescato nella prima prova, lo ha comunque portato a conquistare 12 prede, tra cui una cernia bianca, e 5 specie nella prima giornata (in cui si è intascato anche il bonus di 1000 punti, avendo completato la specie degli scorfani). Ma il portacolori della Komaros che da quando aveva 14 anni si sarà immerso mille volte nelle acque alle pendici
Pesca sportiva
Il portacolori della storica società dorica Komaros Sub trionfa nel mondiale di Pesca in Apnea esplorando i fondali per oltre un mese
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del Cònero ha fatto ancora meglio nella seconda prova, non lasciando spazio alla rimonta dei suoi avversari più temuti, che infatti gli sono finiti alle spalle, senza avere alcuna chance. Ben 22 prede e 4 specie: questo lo score del campione dorico in gara 2, nella quale ha completato sia la specie degli scorfani che quella dei saraghi. Soltanto lo spagnolo Oscar Cervantes Riera (Campione Europeo in carica e buon amico di Giacomo) ha provato ad ostacolare le pescate di De Mola, con 14 prede e 3 specie nella prima giornata e 16 prede e 4 specie nella seconda. Al terzo posto, il croato Stjepko Kesic, medaglia di bronzo e autore anche lui di un bel mondiale con 9 prede la prima giornata (tra cui una cernia bianca di 7.540 kg,) e 12 prede più due a coefficiente e 5 specie la seconda giornata (nella quale ha completato la specie degli scorfani). Bene anche gli altri due italiani in gara: Cristian
Corrias e Dario Maccioni, che hanno chiuso rispettivamente all’ottavo e al decimo posto. Alla luce del primo posto di Giacomo e dei piazzamenti degli altri due azzurri, l’Italia ha pure conquistato il primo posto nella classifica per Nazioni, davanti a Spagna e Grecia. “Dopo il titolo italiano è arrivato il titolo mondiale e non posso che essere soddisfatto dei risultati ottenuti in questo fantastico 2021” – ha commentato De Mola. “Polmoni d’acciaio”, è così che in tanti lo hanno soprannominato al rientro nella sua Ancona, nella sede della Lega Navale, a Marina Dorica, è stato accolto dal presidente della Komaros Sub, Giovanni Maria Pilat, dal consigliere Lorenzo Cioffi e dal presidente della LNI di Ancona, Galliano Ippoliti. “Per preparare al meglio la gara in Sardegna - ha continuato - mi sono dedicato in maniera costante per oltre un mese all’esplorazione dei fondali. I
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sacrifici fatti sono stati tanti, ma raggiungere questo traguardo in una competizione con i migliori atleti è stato qualcosa di magnifico. Il momento più emozionante è stato quando è iniziato il conto alla rovescia che dura 15 minuti, poi a tutti è stata data la possibilità di dirigersi in una sorta di gara di velocità nei posti scelti per pescare. Ogni singola giornata di gara dura 5 ore e il numero totale di apnee possibile a quote così impegnative è di 25 massimo 30, poiché tra una immersione e la successiva devono passare per motivi di sicurezza almeno 20 minuti”. I campi di gara allestiti ad Arbatax hanno messo a dura prova tutti i partecipanti. Le due superfici utilizzate per la manifestazione, davanti al piazzale Rocce Rosse, avevano un’estensione di 7 miglia l’una (circa 14 km) e le profondità a cui si è pescato erano comprese tra i 40 e i 45 metri. Il regolamento di gara, studiato per minimizzare l’impatto ambientale, limitava la tipologia delle specie catturabili, il numero massimo di esemplari per specie e la dimensione minima. Come accade in questi casi, il pescato della manifestazione è stato donato in beneficenza. Per arrivare al titolo De Mola, oltre agli allenamenti, ha perfezionato la tecnica di pesca in apnea utilizzando due fucili: uno per mano, su cui si è allenato durante tutta la scorsa estate. Una scelta per la verità piuttosto rischiosa, ma risultata determinante per la vittoria. Non solo una celebrazione, però, la rimpatriata di Giacomo, che prima di tornarsene in Grecia ha voluto lanciare un messaggio ai giovani che intendessero avvicinarsi al mondo della pesca sportiva in apnea: “Seguite sempre i vostri sogni, ma usate la te-
35 sta oltre che il fisico”. Il successo di De Mola ha ridato riflettori e smalto – in un periodo tanto difficile per la pandemia - alla Komaros Sub, storica società anconetana, datata 1983, nata per iniziativa di alcuni indimenticabili protagonisti dello sport subacqueo; da Marzio Merli a Lorenzo Castriota, da Giampaolo Ceccacci a Miro Matteuzzi e Sergio Pacenti, non dimenticando lo specialista di medicina iperbarica Merio Merli, il fotosub Carlo Cappannari, l’istruttore di immersione Leonardo Giovenco e i giudici di gara federali Fabio Bolli e Fabio Fiori. Fin qui il neo campione mondiale, ma solo qualche giorno dopo, dal 21 al 25 settembre scorsi, Italia e Marche sono stati di nuovo vincenti nel 29° Mondiale di Big Game, organizzato dal Club Nautico nelle acque davanti a Pesaro. A contendersi il titolo iridato della pesca al tonno rosso, magari non ci sarà stata una partecipazione straordinaria per via del periodo pandemico attraversato, tuttavia le Nazioni partecipanti si sono date gran battaglia, anche se l’Italia si è aggiudicata comunque le prime due piazze, con i suoi due equipaggi. In gara: Croazia, Francia, Germania, Messico, Principato di Monaco, Slovenia, Spagna e Italia. Gli azzurri, guidati dal pesarese Mirko Eusebi e da Franco Bellini hanno conquistato rispettivamente la medaglia d’oro e quella d’argento, mentre il bronzo è andato alla Croazia. Da segnalare che nell’Italia sul secondo gradino del podio è salito anche il pesarese Marco Eusebi. Un risultato che tutti si aspettavano, ma che non si poteva dare per scontato. Nei due giorni di prove, 44 i tonni in totale catturati e poi rilasciati dai 16 equipaggi in gara. ¤
Equipaggi italiani con pesaresi sul podio nei primi due posti al Big Game organizzato dal Club Nautico della città di Rossini
Nella foto in alto a sinistra il podio a squadre di Arbatax 2021 Sotto, Giacomo De Mola alza il trofeo Qui sopra, Giacomo de Mola sul podio del Mondiale di Apnea 2021 e mentre mostra il pescato
Football Americano
di Antonio Bomba
In alto, Stefano Chiappini durante due azioni di gioco A destra, l'atleta con medaglia al collo e la coppa in mano (Le foto di Manuela Pellegrini)
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ell’anno in cui la regione Marche è protagonista nello sport mondiale in decine di discipline, trainata dalle imprese di Gianmarco Tamberi e Roberto Mancini, il football americano dà il suo contributo alla causa, conquistando la vittoria nel Campionato Europeo. Tanti i giocatori e gli allenatori marchigiani acquisiti e non che, sotto la guida di coach Davide Giuliano, il 31 ottobre scorso hanno sconfitto la Svezia in casa propria con un punteggio che lascia poco spazio ai dubbi: 14 a 41, così da riportare la
Coppa continentale in Italia, dopo qualcosa come 34 anni. Particolare di grande rilievo: la gran parte della comitiva azzurra protagonista di questo successo, è in qualche modo collegata - direttamente o indirettamente - alla società GLS Dolphins Ancona, operante ininterrottamente, dal 1983. Ben radicata e conosciuta nel territorio, come nel resto d’Italia, per aver militato sempre ai più alti livelli. Ad ogni modo, l’atleta che per le Marche più di tutti ha simboleggiato questa esaltante vittoria è Stefano
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Le Marche in azzurro conquistano la “meta” MOLTI DOLPHINS ANCONA NELL’ITALIA CHE HA VINTO L’EUROPEO
Chiappini, detto “lo Zio”, centro, il giocatore che fa partire il gioco della sua squadra, servendo il quarterback. Nato nel 1984 a Frosinone, ma trasferitosi quando aveva 10 anni a Macerata, città che sente ormai come la sua unica, vera casa. La sua storia sportiva racconta una particolarità notevole: dopo sette finali perse con i Club di appartenenza, tra campionato e coppe internazionali, finalmente ha potuto gioire per un trionfo, il più importante. Per lui, nella vita di tutti i giorni magazziniere, sono
giunte telefonate ed interviste da parte della Rai, dei principali quotidiani locali, elogi e premiazioni ufficiali da parte del Comune di Macerata e della presidenza del Consiglio Regionale Marche. Davvero niente male per un ragazzo che aveva iniziato a giocare per emulare le imprese del fratello Fabrizio, anche lui arrivato a giocare in Nazionale, ma ritiratosi da tempo. “Quelle che ho provato e sto provando, sono soddisfazioni che mi ripagano di tutte le sconfitte e degli infortuni patiti per amore di questo sport”. Cresciuto nel-
Football Americano
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Chiappini l’atleta che ha simboleggiato la vittoria è legatissimo a Macerata e alla squadra dorica: ”Non me ne vado più”
Sopra, l'italoamericano Zac Quattrone con un trofeo in mano Al centro pagina, un'azione di gioco con Stefano Chiappini e Luke Zahradka A destra in alto, Zac Quattrone Stefano Chiappini e Hudo Dyrendahl Sotto, Stefano Chiappini in azione
le giovanili dei Dolphins, “lo Zio” ha poi girato varie squadre italiane in cerca di nuovi stimoli, ma dal 2020 è tornato a giocare nella squadra che lo aveva formato, perché “il legame con i Dolphins c’era, c’è e ci sarà per sempre. E anche adesso che ho ricevuto diverse offerte per cambiare squadra, non me ne vado più. Oltretutto sono troppo legato alla città di Macerata per pensare a qualcosa di diverso”. Altro Dolphins è l’italoamericano Zac Quattrone, ruolo difensore. Lontane origini calabresi gli sono valse la doppia cittadinanza. È arrivato ad Ancona nel gennaio 2020 e nella Dorica ha trascorso le prime drammatiche settimane di lockdown, finché ha deciso di ripartire per la sua Pittsburgh, in Pennsylvania. Brutti ricordi e qualche problema con la città? Assolutamente no. Nel 2021 “Zac” torna e gioca così bene da meritarsi la convocazione in Nazionale.
L’amore per la città è stato tale da fargli decidere di restare anche a campionato concluso, per altri due mesi, fino a Ferragosto, facendosi raggiungere dalla fidanzata Bridgette. Finita qui? No di certo. Perché uno che in estate non manca mai di tornare ad Ancona, con la promessa sposa Jessica, è Luke Zahradka, quarterback newyorkese, eletto miglior giocatore della finale di Malmoe. Dopo due stagioni in Europa si consacra con i Dolphins nel 2015. La Società lo aiuta a ottenere la doppia cittadinanza italiana e la convocazione in Nazionale diviene immediata. Negli anni successivi Luke giocherà a Praga e Milano, facendo incetta di titoli nei Campionati. Ma, come detto, d’estate qualche bagno a Portonovo per salutare i vecchi amici non se lo fa mancare mai. Un anno ad Ancona, l’unico effettivamente giocato in Italia, lo ha speso anche
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Niko Suppa, italo tedesco, tra i più forti difensori di tutta Europa. Prima e dopo l’esperienza nelle Marche, nel 2018, coppe e trofei a iosa vinti tra Germania, Spagna e Norvegia. Una menzione la merita anche uno sconfitto della finale di Malmoe: lo svedese Hugo Dyrendahl, colonna dei Dolphins in questo 2021, prima che un brutto infortunio lo costringesse a fermarsi per diversi mesi. A fine partita, Hugo è stato il primo a complimentarsi con i compagni Chiappini e Quattrone. Cordialmente e col sorriso sulla bocca. Altra cultura e mentalità sportiva. Tutti ideali da promuovere e sviluppare. Ce n’è tanto bisogno, oggi più che mai. Dolphins solo in mezzo al campo? Non proprio, perché nello staff di allenatori coordinato da coach Giuliano figura anche Giorgio Gerbaldi, commercialista romano da anni residente a Pesaro, dove si è trasferito per amore. Nella Nazionale dell’ultimo
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trionfo ha allenato i difensori e per anni si è occupato di preparare lo stesso reparto dei Dolphins, prima di diventare capo allenatore degli Angels Pesaro. Gerbaldi ci permette anche di effettuare un flashback e di ricordare gli eroi pesaresi vincitori degli Europei del 1983 e del 1987, tanto per definire meglio da dove iniziano i successi. A quel tempo i Dolphins Ancona erano appena nati e un ampio contributo alle vittorie lo diedero per l’appunto proprio gli Angels. Oggi giocano in terza divisione, al tempo erano una delle squadre più forti ed importanti d’Italia, arrivando a sfiorare più volte la vittoria del Campionato. Tanto era il clamore attorno a questa squadra che un fan club dei pesaresi spuntò addirittura a Palermo. Tre furono i bi-campioni d’Europa provenienti dalla città di Rossini: Pierluigi Moscatelli, Daniele Magrini e Mauro Bernardini. Nell’87 si aggiunsero Claudio
Nello staff allenatori anche il pesarese Gerbaldi degli Angels Questo sport ha fatto conoscere la nostra regione nel mondo
Football Americano
Sulla scia dei successi europei è lecito sognare prestazioni di vertice nel 2023 ai Mondiali in Australia
In alto, Zac Quattrone con il numero 28
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Ovarelli, Pierpaolo Agnoletti, Loris Tombari, Fabio Musso e il quarterback Piergiorgio Ricci. Ciliegina sulla torta ad allenare gli azzurri era l’allenatore americano di Pesaro, Jerry Douglas. “Vincemmo nel 1983 contro la Finlandia, partendo da favoriti visto che giocavamo in casa, a Castel Giorgio, in Umbria”, spiega Pippi Moscatelli, uno dei più forti uomini di linea mai visti in Italia e da anni anche lui membro della famiglia Dolphins. “Ma è nel 1987 che facemmo l’impresa. Nessuno ci considerava in grado di vincere – prosegue Pippi nel racconto - eppure battemmo (24-22) in finale la Germania, dove già a quel tempo nel football americano giravano tanti bei soldini”. Tornati a Pesaro, però, non trovarono le autorità a festeggiare. Anzi. “Il football era visto sempre e soltanto come uno sport buono solo a
rovinare i terreni di gioco ed il Comune non ci considerò per niente”. Anche in questo 2021, tuttavia, un atleta originario della provincia di Pesaro ha vinto gli europei. Si tratta dell’italoamericano Mike Gentili, in possesso della doppia cittadinanza, grazie ai suoi avi originari di San Costanzo. Anche lui anni fa sembrava in procinto di firmare per i Dolphins Ancona, ma il fascino di Roma e del Colosseo ebbero la meglio. Non per tutti, come abbiamo visto, è stato così. Segno evidente che la nostra gente e la nostra terra hanno capacità attrattive e che questo sport ha fatto conoscere le Marche in tante parti del mondo. A proposito: calato il sipario su questo bel successo europeo, vale la pena ricordare che nel 2023 si terranno i Mondiali in Australia. E visto che sognare non costa nulla… ¤
Messaggera azzurra
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Linda, le ali ai pattini moderna Mercurio DA SENIGALLIA PROTAGONISTA SULLE PISTE DEL MONDO
di Leandro Aranci
Linda Rossi in azione con la divisa dell'Italia
S
i era visto subito, fin da ragazzina, che aveva un gran talento e che avrebbe fatto del pattinaggio il suo sport, quello che l’avrebbe fatta sentire realizzata e che, al tempo stesso, poteva portarla a dimostrare il suo valore in tutte le piste del mondo, ben oltre i confini della sua Senigallia. E’ proprio sul lungomare della Spiaggia di Velluto e, più avanti, sulla splendida pista delle Saline, che Linda Rossi, ha mosso i suoi piedi e le sue gambe sopra le prime rotelle. Ma non ci ha messo molto a raggiungere i vertici delle sue categorie (predilige le gare veloci, ma ormai non ha più limiti spazio temporali, come vedremo) e a conquistare un posto in pianta stabile nella Nazionale diretta dal CT Massimiliano Presti, marchigiano d’ado-
zione. E a proposito di Nazionale di Pattinaggio, fra il tanto in programma in questo 2021, a chi segue lo sport non sarà sfuggito che l’Italia ha furoreggiato anche in questa disciplina. Pure stavolta ci sono di mezzo, manco a dirlo, gli… Europei, disputati l’ultima settimana di luglio a Canelas/Aveiro, in Portogallo, da dove la pattuglia tricolore ha chiuso in testa al medagliere. A fare la voce grossa, anche se ciò non le appartiene, vista la sua dolcezza (è in gara che diventa una tigre!...), proprio Linda che ha collezionato 6 medaglie, di cui 2 ori e 4 bronzi. La portabandiera azzurra, 24 anni, tesserata per l’ASD Torollski Center Pesaro, si è aggiudicata le medaglie più prestigiose sui 10.000 metri ad eliminazione e 10.000 a
Messaggera azzurra
Tesserata a Pesaro Linda Rossi, 24 anni negli ultimi europei ha collezionato sei medaglie: due ori e quattro bronzi
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punti eliminazione. Sul terzo gradino del podio è poi salita nell’americana e sui 500 metri sprint su pista, mentre su strada ha chiuso terza nel giro sprint e nei 15.000 metri ad eliminazione. Resistenza e velocità non comuni. Semplicemente una forza della natura! “Messo alle spalle un periodo difficile, mi sono impegnata tanto per recuperare la condizione e tornare a raggiungere certi risultati – ha affermato la senigalliese –. Dedico queste medaglie alla famiglia e al mio allenatore, Michele Ravagli, ma anche al CT Presti e a tutta la nostra squadra, che non avevo mai visto così tanto unita come in questa occasione”. “Credo di poter dire che si è trattato di un campionato veramente straordinario – ha commentato le imprese europee del suo team, il CT Presti -, sia nelle categorie giovanili che in quelle senior. Questo è frutto di un
lavoro capillare effettuato dalla Federazione a stretto contatto con le società, con i tecnici e gli atleti. Un’opera intensa che abbiamo svolto anche durante tutto il periodo della pandemia”. Per il Commissario Tecnico, soddisfazione grande anche per i risultati ottenuti da sua figlia Giulia (ASD Roller Civitanova), vincitrice di quattro ori europei nella categoria juniores, prima di riportare una frattura in allenamento sul ghiaccio, in Germania. Giulia, operata a Conegliano Veneto, sta già recuperando appieno. E presto tornerà a garantire il futuro della specialità, sulle orme di Linda Rossi che, per la cronaca, in Portogallo ha preso parte a tutte le gare in programma (mai successo prima per un’atleta italiana). Non c’è da stupirsi, perché la performance a Canelas aveva avuto un prologo più che benaugurante per lei, visto come era riuscita a
Messaggera azzurra
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Resistenza e velocità sono la sua forza Ora il pensiero va alla stagione invernale sul ghiaccio alimentando il sogno olimpico trionfare ai Campionati Italiani, dove si era aggiudicata ben 6 titoli (e un argento), due su pista alle Saline di Senigallia e quattro su strada a Riccione. Nonostante la serie incredibile di impegni, Linda ha voluto sfidarsi persino sulla maratona di 42 Km, che non è proprio la gara nella sue corde. Eppure si è tolta il lusso e lo sfizio di chiudere al 6° posto, prima delle azzurre in gara, a dimostrazione di una supremazia italiana totale. Finita qui? No perché pur dovendo fare i conti con parecchi problemi fisici, Linda si è poi confermata ai vertici internazionali della specialità ai Campionati Mondiali disputati a Ibagué, ai piedi della Cordigliera delle Ande, in Colombia. Nonostante fosse alle prese con una intossicazione alimentare che ne ha minato la condizione nei primi giorni di adattamento al clima colombiano, anche stavolta si
è confermata nell’élite mondiale, ottenendo lusinghieri risultati. Un 6° posto nella 10.000 metri a eliminazione su pista, un 8° posto nella 15.000 metri a eliminazione su strada, e infine sfiorando il podio con due quarti posti nella staffetta Americana a squadre su pista e nel Giro sprint su strada. Se da una parte si è chiusa una prima stagione ricca di buoni auspici su pista e su strada, dall’altra c’è da tempo il pensiero alla stagione invernale sul ghiaccio, dove Linda va tanto forte da alimentare il sogno olimpico di Pechino 2022. Stiamo esagerando con le aspettative? Forse. Ma può pensarlo solo chi non sa di che pasta sia fatta Linda e quale determinazione sappia mettere in gara, quando ha le ali… pardon, i pattini ai piedi. Se il suo resterà un sogno lo scopriremo solo vivendo. Il futuro, per una pattinatrice di 24 anni, è ancora tanto davanti! ¤
In alto a sinistra, Linda Rossi si prepara ad affrontare una curva a gran velocità e un suo ritratto durante la premiazione Al centro pagina, l'atleta sul podio agli Europei e qui sopra, mentre esulta dopo la vittoria; di seguito, Linda sulla sua pista alle Saline di Senigallia
Sempre protagonisti
di Nico Coppari
In alto, il giavellottista anconetano Luigi Casadei e il pesista Alessio Talocci A destra, la Nazionale Sorde esulta con le pesaresi Beatrice Terenzi ed Elisabetta Ferri (agli estremi della foto)
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a nostra Regione, le Marche, sta vivendo una stagione di grande protagonismo nello sport, sia individualmente che in termini di Società, anche per quel che riguarda gli atleti appartenenti al CIP (Comitato Italiano Paralimpico). “Griffati Marche” sono alcuni tra i maggiori successi sportivi degli ultimi tempi, nei quali nostri conterranei sono stati spesso assoluti prim’attori della scena, mentre altre volte hanno dato un contributo determinante al successo di squadra.
Come dicevamo, il mondo paralimpico non fa eccezione al meraviglioso trend datato 2021. Anzi, c’è un binomio che vede entrambe le voci in esponenziale ed interessantissima crescita, quello delle medaglie messe in bacheca, da una parte, e del numero di giovani che si avvicinano allo sport dall’altra. Per nulla scontato che l’uno segua l’altro, che crescano all’unisono entrambe le voci e che all’aumento di ingressi di ragazzi e ragazze nel mondo dello sport corrisponda un proporzionato e automatico aumento di me-
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Il mondo sportivo e paraolimpico lancia le Marche in una favola d’oro UN ANNO INCREDIBILE DI SUCCESSI MONDIALI ED EUROPEI DI GIOIE, SOGNI, IMPEGNO E SACRIFICI SUGLI SCUDI CICLISMO, ATLETICA LEGGERA E BASKET
daglie e di successi nei numeri. E’ la filiera che sta funzionando e che tutti ci auguriamo funzioni sempre meglio. A partire dall’avvicinamento dei giovani alla pratica dello sport, con conseguente crescita dell’attrattività delle stesse discipline e società sportive, per continuare con l’implementazione degli impianti in termini quantitativi, qualitativi e organizzativi, per poi alimentare il tutto con le opportune risorse, senza le quali rischia di infrangersi qualsiasi intento di allenarsi, fare sacrifici
e cullare il sogno, perché no, di una medaglia. Medaglia, appunto, che arriva come coronamento di un percorso fatto di tanti, tantissimi sacrifici da parte degli atleti, di chi è loro accanto, delle rispettive Società sportive di appartenenza, degli staff e addetti ai lavori. Insomma, frutto di una buona filiera, di cui sopra, che tende a diventare sempre più virtuosa. Se a tutto ciò aggiungiamo la caparbietà e la capacità, tutta marchigiana, di abbassare la testa su un obiettivo, rimboccarsi le ma-
niche e, in silenzio, lavorare per quell’obiettivo, ecco qua che ci troviamo a celebrare giustamente un “parterre de rois” di atleti e Società sportive paralimpiche che, sulla scia di quanto fatto e coltivato negli anni passati, anche in questo 2021 hanno vinto tanto, regalato tante gioie ed emozioni e alimentato tanti sogni. In questa nostra carrellata abbiamo pensato di darci, come criterio di scelta degli atleti di cui raccontare, la vittoria di un oro alle Paralimpiadi o nel Mondiale di categoria, constatando il
Sempre protagonisti
In alto a sinistra, il velocista Gaetano Schimmenti in Polonia e a fianco Fabrizio Vallone oro nei 10.000 metri. Sotto, Andrea Rebichini Alessandro Greco e Alex Cesca dell'Italbasket A fianco e in basso a destra, l'iridato fabrianese Giorgio Farroni In alto a destra, i campioni nell'ASD Anthropos Civitanova Marche
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dominio, a questi altissimi livelli di risultati sportivi, di un sodalizio marchigiano, l’ASD Anthropos di Civitanova Marche del presidente, Nelio Piermattei, i cui atleti hanno fatto man bassa di medaglie dorate. Non mancano, tuttavia, gli atleti e le rispettive Società che per un soffio non sono arrivati al podio o che una medaglia l’hanno vinta, ma quella d’oro era lì a un passo. Li menzioneremo comunque, senza dimenticare i tantissimi che, pur non essendo sotto i riflettori per grandi successi sportivi, sono comunque fieri e orgogliosi testimoni, con i loro sacrifici e il loro impegno quotidiano, dei benefici e dell’importanza dello sport. E allora iniziamo con un atleta marchigiano, di Fabriano, che rappresenta lo sport paralimpico per la nostra regione, ambasciatore da due decenni del ciclismo con una bacheca ricca di successi, nonché di ben 5 Paralimpiadi, il che rappresenta un primato per lo sport
targato CIP. Parliamo di Giorgio Farroni, che quest’anno si è laureato Campione del Mondo sia nella prova in linea che nella prova a cronometro agli UCI ParaCycling Road World Championships a Cascais, in Portogallo. Sposato, tre figli, 45 anni, è un autentico esempio di come si possa praticare sport ad altissimo livello per più di un ventennio. Ma bisogna far salire in bici spirito di sacrificio e determinazione. Tanta. E’ così che si conquista un argento anche a Tokyo 2020… Continuiamo con un atleta il cui mix di storia personale e curriculum di atleta hanno tutti gli ingredienti della favola. Ndiaga Dieng, 21 anni originario del Senegal e fin da bambino lui e la sua famiglia perfettamente integrati in provincia di Macerata, in quel gioiellino marchigiano che è la piccola Montecassiano e la sua frazione di Sambucheto, dove Ndiaga (detto Cenga) vive, ha conquistato l’oro nei 1.500 metri e negli 800
Sempre protagonisti
metri ai Virtus World Athletics Championships di giugno in Polonia, a Bydgoszcz. Sempre in terra polacca ha conquistato l’oro anche nella staffetta 4x400. Milita anche nel circuito Fidal ed è stato insignito del Collare d’oro al Valore Sportivo. Sempre in Polonia, quest’anno anche Fabrizio Vallone si è messo un oro pesante al collo, quello dei 10.000 metri. Per il ragazzo, classe 1990 e originario di Cinisi (PA), un grande successo. Ma restiamo in territorio polacco, dove il Mondiale del giugno scorso è stato davvero foriero di tanti successi. Ha trionfato nel lancio del martello, per esempio, Alessio Talocci, 21 anni, originario di Fara in Sabina (RI). Per lui anche un bronzo in Polonia nel Lancio del Disco. Nel giavellotto è specializzato Luigi Casadei, anconetano, 20 anni, laureatosi quest’anno campione del mondo nella disciplina con la quale ha anche stabilito un nuovo primato europeo.
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Freccia nei 100 metri è invece Raffaele Di Maggio che a Bydgoszcz si é messo al collo l’oro. Il ragazzo classe 2001 di Torretta (PA), anche lui siciliano come Vallone, quest’anno ai Mondiali polacchi si è davvero imposto come tra i giovani più veloci al mondo, andando a vincere l’oro anche nella staffetta 4x100 e in quella 4x400. Ma a proposito di queste due staffette, scopriamo chi sono i velocissimi atleti, anche loro tutti tesserati ASD Anthropos, che si sono rispettivamente aggiudicati due ori in queste staffette: insieme a Di Maggio, hanno vinto l’oro in entrambe le staffette polacche Ruud Koutiki (classe 1989, vive a Maltignano (AP), come Casadei e Dieng, anche lui milita anche nel circuito Fidal, è stato insignito del Collare d’oro al valore sportivo) e Gaetano Schimmenti (classe 1994, di Osimo (AN), milita anche lui nel circuito Fidal ed è stato insignito del Collare d’oro al valore sportivo) nella 4x 100, mentre nella 4
Sotto i riflettori sacrifici, caparbietà e capacità tutte doti marchigiane ampiamente riconosciute agli atleti in gara
Sempre protagonisti
Dall'alto in basso, la mitica Assunta Legnante a Tokyo 2020, Ndiaga Dieng e Ruud Koutiki. In alto a destra l'esultanza di Raffaele Di Maggio
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x 400 con Di Maggio c’erano anche Dieng e Koutiki oltre al padovano, Mario Alberto Bertolaso. Dulcis in fundo, l’Italbasket con sindrome di down (C21) che a Ferrara – battendo la Turchia - si è laureata Campione d’Europa con i nostri Alex Cesca (Montegranaro, FM), Alessandro Greco (Recanati, Mc) e Andrea Rebichini (Porto Potenza, Mc), tutti atleti dell’ASD Anthropos Civitanova Marche. Basket dorato anche al femminile, ricordando il successo della Nazionale italiana Sorde agli Europei di Pescara nell’ottobre scorso (battuta in finale la Russia 63-61). Anche qui si è parlato marchigiano, per meglio dire pesarese, visto che Beatrice Terenzi ed Elisabetta Ferri hanno fatto parte dello staff, rispettivamente come Direttrice Tecnica e Addetto Stampa delle
azzurre. Dicevamo dei tanti che non possiamo citare per ragioni ovviamente di spazio, ma che si allenano e fanno sacrifici ogni giorno e che, sebbene anche non trionfatori in un Mondiale o in una Paralimpiade nel 2021, sono comunque ugualmente campioni nella loro quotidianità. Prima di chiudere, non possiamo esimerci dal fare un’ultima menzione, quella dedicata ad una grandissima atleta e persona: Assunta Legnante, anche lei tesserata ASD Anthropos e marchigiana d’adozione. Una campionissima (getto del peso e lancio del disco), capace sempre e comunque di rialzarsi dagli infortuni e dagli inciampi che le ha riservato la vita. Due argenti ai Giochi di Tokyo, primati e ori mondiali e olimpici. E non finisce qui. Un esempio per tutti, specie per i futuri campioni in erba. ¤
Marchigiani d’adozione
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Fefè ai vertici europei Martina farfalla iridata BELLE STORIE DI PALLAVOLO E GINNASTICA RITMICA
di Leandro Aranci
Sopra, Ferdinando De Giorgi e Matina Centofanti
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ra coloro che gli sportivi di casa nostra amano considerare marchigiani d’adozione, ce ne sono almeno un paio, oltre ad Assunta Legnante, tanto per fare qualche nome. Tra questi ci sono sicuramente anche Ferdinando De Giorgi e Martina Centofanti. Il coach di Squinzano (Le), per tutti “Fefè”, lo è perché è stato alla guida dei più grandi successi ottenuti dalla Lube Macerata e Civitanova, non dimenticando i suoi trascorsi con Falconara, quando era un formidabile palleggiatore e non ancora un allenatore fre i più quotati al mondo. Esonerato a sorpresa dalla Società maceratese e firmato
un contratto triennale con la Nazionale (obiettivo Giochi Olimpici di Parigi 2024), De Giorgi è stato uno dei protagonisti più inattesi della meravigliosa e indimenticabile estate 2021. Sì, perché nessuno avrebbe scommesso qualche euro sul fatto che, dopo il flop dell’Italvolley ai Giochi di Tokyo, De Giorgi sarebbe stato in grado di rinnovare e di rigenerare in pochissimi giorni gli azzurri, fino a ribaltare
ogni pronostico e conquistare in Polonia il titolo Europeo, battendo prima la Serbia (31) e poi la Slovenia (3-2) in finale, dopo una battaglia che sembrava non volesse finire mai. Grande “Fefè”, protagonista dell’ennesima impresa. Lei é nata a Roma 23 anni fa, ma è nelle Marche, a Fabriano (An), che ha affinato il suo talento nella ginnastica ritmica, scoperto quando era ancora giovanissima, nelle file della ASD Polimnia Romana. Martina Centofanti, da sette anni in Nazionale nelle mitica formazione delle “farfalle” azzurre, può essere considerata marchigiana a tutti gli effetti, non fosse altro per tutto il tempo trascorso nella “Città della Carta” ad allenarsi sotto la guida tecnica dell’ex olimpionica di Londra, Julieta Cantaluppi e di sua madre, Kristina Ghiurova (stella della ginnastica bulgara negli anni Settanta), nelle file della pluriscudettata Faber Fabriano. Dopo il bronzo di Tokyo a squadre, a fine ottobre, Martina – figlia dell’ex esterno di Verona, Jesina, Palermo, Ancona, Inter e Genoa – ha fatto ancora meglio, conquistando l’oro nell’esercizio con cerchi e clavette e l’argento nelle 5 palle. Eccellente atleta in tutte le specialità della Ritmica, “Marti”, che con le “farfalle” è protagonista anche di uno spot televisivo, aveva già vinto, oltre a Coppe del Mondo a Pesaro ed Europei, 3 altri ori, 5 argenti e 2 bronzi ai mondiali. Una vita di sacrifici, ma anche di tanti successi, come l’ultimo al mondiale a Kitakyushu, in Giappone. ¤
leCentocittà Sede Via Asiago 12 60124, Ancona Poste Italiane Spa spedizione in abbonamento postale 70% CN AN Reg. del Tribunale di Ancona n.20 del 10/7/1995 Direttore Responsabile Franco Elisei Progetto grafico impaginazione e illustrazioni Sergio Giantomassi Supplemento al numero 75/2021 de leCentocittà Finito di stampare nel dicembre 2021 Grafiche Ripesi Falconara Marittima (AN)