ED I TO RI AL E ottobre-novembre 2007
Gusto di Puglia, nuove vibranti emozioni Una nuova rotta nel gusto di Puglia, un nuovo itinerario nelle bontà di una regione percorsa dal tremito di una vibrazione, un “solo” di tamburo. Suono mediterraneo ricorda il mare e i ricci con il loro armonioso roteare, la terra e il grano oscillare al vellichio del vento. Nuovi racconti di Puglia per nuove vibranti emozioni. Immagini a suggerire sollecitazioni al palato voglioso, parole a consigliare vedute di valli uniche e suggestive, nei profumi di bosco.
A new route in Apulia taste, a new trip among the excellences of a region rich in vibrations and “just” a tambourine. Mediterranean sound reminding the sea and the sea urchins with their harmonious rolling, the land and the corn dancing in the wind. New tales of Apulia for new trembling emotions. Pictures recalling desires to longing gourmands, words advising sights on unique and charming valleys among the wood perfumes.
Gisella Della Monaca
SOMMARIO GUSTO DI PUGLIA rivista bimestrale
Registrazione presso il Tribunale di Lecce del 19 dicembre 2006 n° 952 è vietata la riproduzione anche parziale di testi, delle foto e delle illustrazioni se non autorizzata dalla direzione.
EDITORIALE
numero 3 – anno I
Gusto di Puglia, nuove vibranti emozioni
PROGETTO EDITORIALE
SCEGLIERE VINO
SERGIO D’ORIA
Negroamaro, identità salentina
di Gisella Della Monaca
pag. 1
pag. 4
di Alba di Palo
DIRETTORE RESPONSABILE
GISELLA DELLA MONACA
ORIZZONTE VERDE Corbezzolo, meravigliosa rinascita
di Barbara Minafra
pag. 14
REDAZIONE
RITA PERRONE ANGELO SIRSI
GUST-ARTE Marinai di terra, sognatori di mare
di Barbara Minafra
pag. 20
di Federica Sgrazzutti
pag. 26
SEGRETERIA DI REDAZIONE
7TERRE Global Service via Nino di Palma, 112 – 73012 Campi Sal.na (LE) tel./fax 0832/793781 e-mail info@7terre.it FOTO/ILLUSTRAZIONI
PHOTOGRAFIKA STUDIO - Lecce
PUGLIA DA GUSTARE Pomodoro secco, richiamo di sole
PUGLIA DA GUSTARE Cipollotto, bianca sorte
SI RINGRAZIA PER LE FOTO CONCESSE
MEDMARE
PROFESSIONAL PHOTO VIDEO di S. Spagnolo DANIELE CALABRESE
Riccio, sorpresa di mare
PROGETTO E DIREZIONE ARTISTICA
INCONTRI DI GUSTO
MAURIZIO D’ANNA
Nichi Vendola
IMPAGINAZIONE
RITA PERRONE
pag. 36
di Alba di Palo
pag. 44
di Alba di Palo
pag. 52
di Gisella Della Monaca
LE VIE DEL PANE Taralli, tarallini e scaldatelli, piacere lievitato
di Gisella Della Monaca
pag. 58
STAMPA
EDITRICE SALENTINA - Galatina (Le)
METE Leuca Piccola, avamposto mediterraneo di Federica Sgrazzutti
pag. 64
PUBBLICITÀ
REGIONE PUGLIA Assessorato alle Risorse Agroalimentari APT PROVINCIA DI LECCE
METE Cisternino, fornello di Puglia
di Maurizio Marangelli
pag. 72
ENTE FIERA DEL LEVANTE UNIONCAMERE BARI PROVINCIA DI FOGGIA Assessorato alle Risorse del Territorio SI RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE
“SLOW FOOD PUGLIA” per la segnalazione dei ristoratori tutti presenti nella prestigiosa “Guida Osteria d'Italia 2007” edita da“Slow Food Editore”. CANTINA 2 PALME MARCELLO PARIGI AZIENDA AGRICOLA VENTURA SOLE E GRANO di Grasso Francesco ALESSIO PERRONE PANE E FANTASIE di Caione Anna Maria ASSOCIAZIONE PRODUTTORI CAPOCOLLO DI MARTINA FRANCA XENIA MISTRAL TRADUZIONI
MARIA RITA MIGNONE
ORIZZONTI FIORITI Petali di Gisella Della Monaca
pag. 78
PUGLIA MADRE Capocollo, gusto perpetuo
di Gisella Della Monaca
pag. 84
BISBIGLI NEL VENTO Pierangelo Colucci, percussioni d’autore
di Daniele Durante
pag. 92
RICETTE Tagliatelle al negroamaro con gamberetti, vongole e mentuccia
pag. 12
Tortelli di cicoria selvatica, fave bianche, pomodori secchi e olive fritte
pag. 34
Il diavolicchio
pag. 42
Risotto alla polpa di ricci di mare
pag. 50
NEGROAMARO, identitĂ salentina Blowing of African wind among the vines. Bunch made of endless going by sea. The sunset lies down on Negroamaro vines. Grapes made of new meetings.
di Alba di Palo
Soffio di vento d'africa tra i filari. Grappolo di infinito andare, per mare. Il tramonto si adagia sui ceppi di Negroamaro. Acini di incontri nuovi a trovare.
Watching through the transparent glass of a goblet, you can see the typical red of negramaro a wine that is like a sunset in its more dramatic moment, when sunbeams turn to the dark shades of the night. Intense feeling, like joy or pain, painted by the skilful hand of an artist. Strong, like the Arab armies that found an harbour similar to the one they had left in their land in Salento. Elegant, like a beautiful lady wearing a dark dress, sinuously walking with stiletto heels, waving like the grape nectar into a glass. Delicate, like a child's voice calling his mother, like his smile, that suddenly infects who is looking at him. This is negroamaro, grape juice with an ancient history. Its vines stand out proudly against the sky like a big fir or a secular oak with a long past lived among different cultures with the sea as a crossroads of arrivals and departures, contaminations and purifications. People with dark faces, almost burnt by the sun, work in the vines generating negroamaro. The bunches are middle sized but their taste is endless. Sip that dark-red wine in the moonlight, near the sea, on the sand, and easily you will imagine far off countries and people protagonists of princely loves. Its history goes back to ancient nights. Precious drops of negroamaro conquered travellers by their body in the hot and sunburnt lands of Salento. It is an Apulian area rich in peculiarities and mysteries brought from the Arabian lands. Indelible traces of ancient and far civilizations can be found
SCEGLIERE VINO
Guardare attraverso il chiaro e trasparente vetro di un calice il rosso che caratterizza il “Negroamaro”, è come osservare un tramonto nella sua fase di luce più tetra, nel momento in cui i raggi oramai spenti del sole lasciano il testimone alle ombre della notte. Intenso, come le espressioni di gioia o di dolore che solo il pennello guidato dalla sapiente mano di un artista sa fare. Forte, come le compagini arabe che in terra salentina trovarono un approdo inaspettatamente simile alla patria natìa. Elegante, come una bella donna in abito scuro che sinuosa si muove sui tacchi a spillo, ondeggiando come il nettare d'uva, prezioso e unico, conquista il suo bicchiere. Delicato, come la voce di un bambino che cerca la mamma, come un sorriso che esplode all'improvviso e che, contagioso, conquista chi lo guarda. Questo è il negroamaro, una spremuta d'uva che ha una storia antica. Come i suoi ceppi che si stagliano al cielo con lo stesso orgoglio di un grande abete o di una secolare quercia, che si fregiano di raccontare un passato vissuto tra culture diverse, tutte, però, con un aspetto comune: il mare crocevia di incontri e partenze, di contaminazioni e purificazioni. Riti che si sono consumati tra popoli dal volto scuro, quasi arso dal caldo sole che fa crescere e vivere la vigna
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into a glass of negroamaro. These traces inlayed culture, faces and colours of Salento area. The conquering strength, the fighting impetus, the charming culture both of the pilgrim and the conqueror, are still present in the goblet of that red wine, famous for its quality and smell. At the first sip you can taste the aroma of spices recalling journeys that only by the imagination, through the emotions, the perfumes and the colours, can be made. Perceptions recall the first love, the first school day with a sense of confusion like a wave sweeping normality. This wine is linked to the music emotions, to the heart beats of the chords of the pentagram proposed by a Salentine band: Negroamaro in fact is the synthesis of Salento youth, of a cultural aspect finding its natural expressive way in the notes of this band. Drinking negroamaro means to make a cultural, gastronomic, landscape journey. Among the vineyards and the olive yards the sunrays chase each other. And the sun makes negroamaro's grapes round, compact, sweet and alcoholic. And the sun makes the wine red, impenetrable to the sight and elegant to the taste, giving it deep intensity. The high concentration of vines, almost five thousand per hectare, allows a production rich in sugar and polyphenolic
da cui ha vita il negroamaro. Grappoli di media grandezza, ma dall'infinito sapore. Sorseggiare un po' del nettare bruno al chiaro di luna, ascoltando il rincorrersi delle onde del mare sulla sabbia, immaginando personaggi di paesi lontani e protagonisti di amori principeschi La sua storia si perde nello scorrere dei tempi, in notti lontane. Le gocce preziose di negroamaro conquistarono per la loro corpositĂ i viaggiatori di passaggio nelle terre calde e bruciate dal sole del Salento. Una zona della Puglia intrisa di particolari, ricca di misteri portati dalle terre d'Arabia che hanno cosparso di tracce la strada compiuta, cosĂŹ come il negroamaro lascia segni quasi indelebili nel ricordo di chi per la prima volta lo incontra. Segni che hanno intarsiato la cultura, i volti e i colori della zona salentina. La forza conquistatrice, l'impeto combattivo, la cultura seduttiva e seduttrice del pellegrino come quelli del vincitore, sono presenti nel calice di rosso, diventato famoso non solo per la
substances making it sweeter. This nectar has all the quality of the best red wines: powerful, extremely well made, perfectly spiced. Negroamaro has a wide perfumes spectrum with a balanced acidity, excellent for clearness, fluidity and persistence coming from the land from where its roots take their strength.
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qualità e gli odori che sa emanare, ma anche per le spezie che traspaiono al primo sorso e che rimandano a viaggi che solo la mente ha saputo compiere, esplorando luoghi che gli occhi non hanno mai visto ma che, con i colori, i profumi e le emozioni, sanno avvolgere l'immaginazione. Percezioni che rimandano al primo amore, al primo giorno di scuola, a quel senso di smarrimento che, come un'onda d'urto, travolge stravolgendo la normalità. Effetto che il negroamaro ripropone anche e non solo legandosi ai gesti della vendemmia e della cultura contadina che gli permettono la luce di vita. Il nome di questa spremuta d'uva è associato anche alle emozioni della musica, al palpito del cuore in base agli accordi di un pentagramma. Negroamaro è anche la sintesi di una gioventù salentina, di uno scorcio culturale che nelle note trova il suo naturale modo espressivo. Bere del negroamaro significa compiere un tragitto culturale, gastronomico, paesaggistico. Tra i vigneti e gli uliveti i raggi del sole si rincorrono giocando al chiaro scuro. Lo stesso sole che rende i rotondi acini di negroamaro corposi, dolci e alcolici. È il sole a porporare il vino che, dotato di profonda intensità, riempie i calici diventando impenetrabile allo sguardo ed elegante al palato. A renderlo zuccherino l'alta concentrazione delle vigne, quasi cinquemila per ettaro, che permettono di produrre un frutto fortemente concentrato in termini di zuccheri e sostanze polifenoliche, tutte facili prede da catturare. I predatori del gusto riescono subito a ingabbiare il nettare che ha le caratteristiche dei migliori rossi. Potente, ottimamente vinificato, giustamente speziato, il negroamaro ha un ampio spettro di profumi dall'acidità bilanciata che, per limpidezza, fluidità e persistenza, raggiunge un meritato dieci o un 110 e lode se fosse un laureato che non teme paragoni e giudizi di esperti, come d'altronde la terra da cui traggono forza le sue radici.
Ingredients for 4 people:
Ingredienti per 4 persone:
400 gr tagliatelle al Negramaro
400 gr di tagliatelle al Negramaro
20 medium size clams
20 vongole medie
12 shelled shrimps
12 gamberetti sgusciati
12 fresh small tomatoes
12 pomodorini freschi
Fresh mint Olive oil Salt
Mentuccia fresca Olio Sale Pepe
Pepper
Origano
Oregano
Aglio
Garlic Per la preparazione delle tagliatelle: For the tagliatelle: work 250 gr of wheat flour, 100 gr of spelt flour, 80 cl of negroamaro wine, a pinch of salt and water into dough. Roll out the dough and cut it into small sli-
impastare 250 gr di farina di grano, 100 gr di farina di farro e 80 cl di vino negroamaro. Amalgamare il composto e aggiungere un pizzico di sale e l'acqua necessaria per renderlo lavorabile. Tirare la sfoglia, tagliando delle fascette alte circa 2 mm e larghe 1
ces about 2 mm high and 1 cm wide.
cm.
For the sauce:
Per la preparazione del condimento:
lightly fry oil and a chopped clove of garlic in a large
in una padella larga soffriggere dolcemente l'olio e
pan. Add clams, shrimps and tomatoes and cook for
uno spicchio d'aglio finemente tritato. Aggiungere le
about 5 minutes.
vongole, dopo averle battute, i gamberetti e i pomo-
Boil the tagliatelle for 5/6 minutes, drain them and pour them into the pan with the lightly ftied mixtu-
dorini. Far rosolare il tutto per circa 5 minuti. Lessare le tagliatelle per 5/6 minuti, scolarle e aggiungerle nella padella del soffritto. Completare
re. Complete with oregano and eight mint leaves. Fry
con origano e otto foglie di menta e far saltare il
lightly all together and serve with a pin of pepper.
tutto. Servire con una spolverata di pepe.
Ricetta dello chef Fernando CarlĂ del ristorante “Osteria del Pozzo Vecchioâ€? di Cavallino (Le)
I ignore the fire and come back to life from the underwood. Green albatro, white flower, red fruit. Three-coloured natural resistance.
The flames take away everything in a moment: the difficulty of sprouting, of breaking the soil to allow a little plant to breathe the morning air that shakes its leaves and the perfumes of the Mediterranean maquis, the most widespread Apulia vegetation. The fire suddenly breaks off the long everyday work that turns the carbon dioxide into oxygen, the slow water and mineral salts absorption from the subsoil and humidity from the night atmosphere. It stops the patient building of a trunk and of a bark resistant to rain and wind, the miracle of generating flowers and fruit and following the succession of seasons, year by year. Every spring, the silent process of growing starts again and the country is covered with imposing trees and short entangled shrubs. But then, those damned fires come and, more and more frequently in the South, in summertime, destroy hectares of splendid biodiversity. Pitilessly they wipe out the wonderful effort of nature in few devastating minutes. But just there, in the burnt dust, tender small plants grow again as a phoenix coming back to life from her ashes. The only one who can defeat the destruction is the strawberry tree
di Barbara Minafra Ti ignoro fuoco. Dal sottobosco rinasco. Albatro verde, fiore bianco, frutto rosso. Tricolore resistenza naturale. In un attimo le fiamme si portano via tutto. La fatica di germogliare, di spaccare la terra per lasciare uscire una piantina a respirare l'aria che sin dal mattino scuote la varietà delle foglie e i profumi della macchia mediterranea, la più caratteristica e diffusa vegetazione pugliese. Il fuoco interrompe improvvisamente il lungo lavoro quotidiano che trasforma anidride carbonica in ossigeno, il lento assorbire acqua e sali minerali dal sottosuolo, l'umidità dall'atmosfera notturna. Blocca la paziente costruzione di un fusto e di una corteccia resistente alla pioggia e al vento, il miracolo di generare fiori e frutti e seguire, anno dopo anno, il succedersi delle stagioni. Ogni primavera ricomincia il silenzioso processo di crescita che ricopre le campagne di alberi imponenti e di aggrovigliati e bassi arbusti. Poi però arrivano quei maledetti incendi che, sempre più frequentemente al Sud, d'estate si portano via ettari di splendida biodiversità, che impietosi spazzano via il meraviglioso sforzo della natura in pochi, devastanti, minuti. Ma proprio lì tra la polvere bruciata, come una Fenice che rinasce dalle sue ceneri, ecco spuntare di nuovo tenere piantine. Tra tutte, la più capace di sconfigge-
ORIZZONTE VERDE
berry. Unbelievable regenerative force of nature. Made acid by the vegetal combustion, the soil favours its growth. For this reason it is used to reforest and to consolidate the dunes for environmental protective and antierosive purposes. But sometimes the shepherds themselves set fire to the strawberry tree berry scrubs in order to feed their cattle with the luxuriant buds that will grow again soon giving fresh and abundant pasture. The evergreen small tree, 5-6 metres high, takes root quickly after the fire, standing out among the other species even if it is not strongly-built. It grows up slowly up to 10-12 metres. The trunk has a thin bark cracking into long and narrow vertical brown-reddish plates. It is short and branched, it gives a hard wood, good for small handicrafts and inlaid works but it is very good even as a combustible material and to make charcoal. The oval lanceolate leaves have a short leaf-stalk, they are 2 to 4 centimetres wide and 8-10 centimetres long. They have indented edges and are concentrated at the top of the branches creating a dense and roundish foliage. Their upper side is bright dark-green, the lower one is lighter. The creamy or rosy white flowers are gathered in hanging clusters. They have a corolla with five teeth bended outwards. The blossom time is from September to January, almost in the same time as the ripening of the berries grown up in the previous year. The plant fructifies between the end of the summer and the following autumn. So it is possible to have flowers and fruit at the same time. Flowers and bark contain active ingredients used in herbalism (it is considered antirheumatic, disinfectant and astringent) and a remarkable quantity of tannins used in industry to produce dyes and for the tanning of skins. The fruit is a round berry of about 2 centimetres, its colour goes from yellow to scarlet red according to the ripening and its surface is covered with granules. Its pulp is fleshy, sweetish and with many seeds. It is used to make jams and bitter honey, wine and brandy. In Apulia the only spontaneous species is the Arbutus unedo whose meaning is “small tree” from the Celtic ar = sour, butus = bush. Unedo comes from “unum edere”, “I eat only one”, referred to its not very tasty fruits. The strawberry tree berry contains an alkaloid that can
re la distruzione è il corbezzolo. Incredibile forza rigeneratrice della natura. Proprio i terreni resi acidi dalla combustione vegetale ne favoriscono la crescita. Per questo lo si usa nei rimboschimenti e nel consolidamento delle dune a scopi ambientali, protettivi e antierosivi. Non di rado però, sono i pastori che bruciano le boscaglie di corbezzolo per nutrire il bestiame dei germogli che presto rispuntano rigogliosi fornendo pascoli freschi e abbondanti. L'alberello sempreverde, alto 5-6 metri, mette rapidamente radici dopo il passaggio del fuoco, imponendosi sulle altre specie. Eppure non è possente e cresce lentamente fino a un massimo di 10-12 metri. Il tronco ha una scorza sottile che si screpola in lunghe e strette placche verticali di colore bruno-rossastro. Corto e densamente ramificato fornisce un legno duro, adatto per piccoli lavori di artigianato e intaglio ma è ottimo anche come combustibile e per fare carbone. Le foglie ovali e lanceolate hanno un breve picciolo, larghe tra i 2 e 4 cm e lunghe 8-10 cm. A margine dentellato, si concentrano all'apice dei rami, creando una chioma densa e tondeggiante. Sul lato superiore sono di un lucido verde-scuro, che si fa più chiaro su quello inferiore. I fiori sono riuniti in grappoli penduli, di color bianco crema o rosato. Hanno una corolla con 5 denti ripiegati verso l'esterno. La fioritura avviene da settembre a gennaio, quasi contemporaneamente alla maturazione delle bacche formatesi l'anno precedente. La pianta fruttifica tra la fine dell'estate e l'autunno successivo. E' quindi facile avere fiori e frutti contemporaneamente. Le foglie e la corteccia contengono principi attivi utilizzati in erboristeria (è considerato antireumatico, disinfettante e astringente) e una notevole quantità di tannini sfruttati a livello industriale per la produzione di coloranti e la concia delle pelli. Il frutto è una bacca rotonda di circa 2 cm che va dal giallo al rosso scarlatto a seconda della maturazione e ha una superficie ricoperta di granuli. La polpa è carnosa e di sapore dolciastro, con molti semi. Si usa per preparare marmellate e miele amaro, vino e acquavite.
provoke nausea. Pliny the Elder gave the botanic name alluding just to its poor tastiness and advising a moderate use because it provokes a sense of drunkenness and dizziness. In fact Greeks ate it during the Dionysia. However it is an important food source for animals living in the Mediterranean maquis, above all for the steady availability of food throughout the year. Known as ceraso marino (sea cherry) or albatro (strawberry tree), belonging to the family of the Ericaceae, it grows up spontaneously in the woods of Mediterranean coasts, from the Iberian Peninsula to the Black Sea, and in those areas with mild climate and summer dryness. In Apulia it is everywhere: from Foggia area to Salento together with other numerous arboreal and shrubby species typical of the Mediterranean maquis, such as the “oleastro”, the myrtle, the mastic tree and the heather. It characterizes the landscape from the sea to the hill and it grows up in the underwood of pine forests and ilex groves. The strip where this vegetation is more common is the area of Lecce, the coasts on Taranto gulf and in the southern part of Gargano where the sultriness lasts 5-6 months and only the strawberry tree berry can stands it. Beautiful examples of this plant are in the wood Luca Giovanni in Scorrano, near Lecce, and in “Bosco del Compare” near Brindisi. Romans thought the strawberry tree berry had magic powers. They say that if you hang a small branch with three fruits in your home it brings you good luck. Virgil, in Aeneid, says that the deads' relatives used to put some branches on the graves as a sign of respect. Besides the white bellflower, in the language of flowers, is a symbol of welcome. It has been called “the tricolour tree” for its simultaneous white flowers, red fruits and green leaves and someone would like to adopt it as a floral national symbol more than the maritime pine.
In Puglia, come del resto in Italia, l'unica specie spontanea è l'Arbutus unedo che significa "piccolo albero" dal celtico ar = aspro, butus = cespuglio. Unedo deriva invece da "unum edere", ne mangio uno solo, con riferimento ai frutti non troppo saporiti. Il corbezzolo contiene un alcaloide che può causare nausea. Il nome botanico gli fu assegnato da Plinio il Vecchio, alludendo proprio alla scarsa gustosità e consigliandone un uso moderato perché produce senso d'ubriachezza e di vertigine. Non a caso i greci lo mangiavano nelle feste dell'ebbrezza. Tuttavia è una fonte alimentare importante per gli animali che vivono nella macchia mediterranea, soprattutto per la costante disponibilità di cibo durante l'intero arco dell'anno. Noto come ceraso marino o albatro, della famiglia delle Ericaceae, cresce spontaneo nei boschi delle regioni costiere mediterranee, dalla penisola Iberica al Mar Nero, e nelle zone caratterizzate da clima mite e aridità estiva. In Puglia si trova un po' ovunque dal Foggiano al Salento insieme a numerose altre specie arboree e arbustive tipiche dell'associazione vegetale nota come macchia mediterranea, tra le quali ci sono l'oleastro, il mirto, il lentisco e l'erica. Caratterizza il paesaggio dal livello del mare sino all'alta collina ed è localizzato nel sottobosco di pinete e leccete litoranee. La fascia che presenta più accentuata questa vegetazione, con una calura lunga 5-6 mesi che il corbezzolo è particolarmente capace di sopportare, è quella di Lecce, delle coste che si affacciano sul golfo di Taranto e quella a sud del promontorio del Gargano. Bellissimi esemplari di questa pianta si trovano nel bosco Luca Giovanni di Scorrano, in provincia di Lecce, e nel Bosco del Compare a nord di Brindisi. I romani attribuivano al corbezzolo poteri magici. Si dice che porti fortuna tenere appeso in casa un ramoscello con tre frutti. Virgilio, nell'Eneide, aggiunge che i parenti dei defunti erano soliti depositarne rami sulle tombe in segno di stima. Invece, la bianca campanula, nel linguaggio dei fiori è diventata sinonimo di ospitalità. Portando contemporaneamente fiori bianchi, frutti rossi e lucide foglie verdi è stato definito “albero tricolore” tanto che c'è chi, più del pino marittimo, lo vorrebbe adottare come simbolo floreale nazionale.
ORIZZONTE VERDE
di Barbara Minafra
The dreams sails blow up to dominate the waves. The axe carves the fishing boats and curves the wood. Then the horizon for new challenges.
Gonfiano le vele dei sogni. A domare le onde. L'ascia a scolpire pescherecci e gozzi e il legno a piegare. Poi l'orizzonte, a consumare nuove sfide.
A raging wind is filling the white, full sails. It seems they are going to tear. It is hard to pull the ropes. Strong, wrinkled, expert hands and tough muscles are indispensable in this case. The boat is gliding over the waves and proudly is leaving the harbour. It is facing the open sea and the rudder has great trouble to oppose the stream. A going about and the close-hauling is tightening the jib. A little regatta is starting but the challenge is versus the sea, between the boat gliding to the usually far horizon and the changeable natural forces dominate any movement, among the splashes whipped up by the bow. When carpenters caress the wooden boat framework, while smoothing, they think only to win that challenge. The first interlacement of beams, directly mortised on the keel, is like a backbone showing its rib structure. These “land sailors� build the perfect synthesis between resistance and flexibility, force and stability, before fishermen, sailors and whoever will board when the boat is finished, ready to face the winds from the north-east or the north. The eternal struggle with the sea starts when the boat is aground, in the dockyard where it takes shape between the cut of the dry and seasoned wood and the careful moulding. They adapt it to the old models and the graduated table first, then to the ship-owner's design. They weigh beams and planking in order to fill cavities and slots, they see it floating almost weightless, impermeable and perfectly balanced on the water, they imagine its profile necessary to make it reliable. They model the stern by their thoughts even before working on the levelling. It is their working experience that allows them to avoid any building mistakes, not years of study in a marine engineering university. The practice allows them to join the nautical science to art in their job. In Gallipoli, Marina di Diso, Porto Cesareo, Galatone and Leveranno still there are those experts and dusty carpenters able to invent big and small fishing boats, with no fibreglass, steel or synthetic fillers, but with fire and water in order to obtain the desired curving. Warmth and humidity bend the wood without burning or defibrating it. Expert carpenters are just about twenty in Salento and the learners are about twenty, too. They are almost missing in Taranto area. The most skilful carpenters survive more numerous only in the historical dockyards in Manfredonia, that still has got one of the biggest fishing-
Il vento soffia impetuoso tra i capelli, gonfia le vele. Bianche, tese, così piene che sembra stiano per strapparsi. Tirare le cime è faticoso. Servono mani forti, rugose, esperte, e muscoli resistenti. La barca scivola veloce sulle onde, si allontana orgogliosa dal porto, affronta il largo e il timone fatica a tener testa alle correnti. Una virata e la bolina tende il fiocco, che subito taglia il cielo nei due lati dello sguardo di chi studia la rotta. Comincia una piccola regata ma la sfida è innanzitutto con il mare, tra lo scafo che scivola via verso l'orizzonte sempre lontano e le incostanti forze naturali che dominano ogni manovra, tra gli schizzi sollevati dalla prua. Pensano a vincere questa sfida, i maestri d'ascia che accarezzano le levigature del legno quando della barca c'è solo l'intelaiatura. Una spina dorsale che mostra le costole e il primo intreccio di travi che si incastrano direttamente sulla chiglia. Sì, prima dei pescatori e dei velisti, di chi salirà a bordo soltanto a opera compiuta per affrontare grecale o tramontana, ci sono questi “marinai di terra” che costruiscono la sintesi perfetta tra resistenza ed elasticità, tra potenza e stabilità. L'eterna lotta con il mare comincia in secca, in un cantiere navale dove l'imbarcazione prende corpo tra il taglio del legname asciutto, stagionato, e la modanatura di precisione che lo adatta alle vecchie sagome e alle tavole graduate prima ancora che al disegno dell'armatore. Già soppesano travi e fasciami per riempire vuoti e incastri, la vedono galleggiare quasi senza peso ma già impermeabile e in perfetto equilibrio sull'acqua, immaginano la sagomatura necessaria a rendere affidabile lo scafo e con il pensiero modellano la poppa prima ancora di metter mano a spianature e livellature. È l'occhio, l'esperienza di bottega che evita gli errori di costruzione, non gli anni di studio in una facoltà d'ingegneria navale. È la pratica, la manifattura che consente di unire nel loro lavoro, scienza nautica e quella che si può meritatamente definire arte. A Gallipoli, Marina di Diso, a Porto Cesareo, Galatone e Leverano ci sono ancora quegli esperti e polverosi maestri d'ascia capaci di “inventare” praticamente dal nulla pescherecci e gozzi, senza vetroresina, acciaio o stucchi sintetici, ma facendosi aiutare dal fuoco e dall'acqua per ottenere la curvatura desiderata. Calore e umidità per piegare il legno senza farlo bruciare né sfibrare. Sono appena una ventina le “asce” esperte in Salento, altrettanti gli allievi. Quasi del tutto estinti nel Tarantino. I maestri di uno dei più antichi mestieri resistono più numerosi solo nei cantieri storici di Manfredonia, che ancora oggi ha una delle più grandi flotte delle
GUST-ARTE
fleets of the Italian navy, and in Bari area, between Monopoli and Molfetta. Here, the documents of the historical archive record the presence of “masters in the art of building vessels” even from 1561. The golden century for the shipbuilding industry and the local economy was the XIX century: 123 vessels were built in 1834. At the beginning of the XX century there were 300 dockyards; nowadays, the shipyard workmen have been reduced by the motor navigation, the metal carpentry and the mass-production sold on catalogues. When the crafts were built mainly of wood, it was a very important job. The carpenters were not only skilful craftsmen, but bold entrepreneurs, they were well-known all over the region, able to manage complex linked activities: from the netmaker to the smith, from the ropemaker to the sailmaker, to the sawyer. Connoisseurs of timber, they were able to recognise the species, their resistance, the best use of any single piece: straight trunks for the keel, elmwood or oak timber for the framing, a good maritime pine wood for the hull and it had to be neither too young nor too old, that is neither too damp nor too stiff. Long ago the carpenters chose the suitable trees that had to be cut in winter and with the waning moon. They were not only superstitious, but also respectful to the natural cycles. As respectful people had to be to the sea when they were sailing. Skilful craftsmen exploited the best chisels' touch, they modelled by the axe, they inserted the hemp tow between a board and another before coating the pitch on the slots. The perfect execution of the work could be distinguished just listening to the “sound” of the tools, the “song” of the wood. The sailors follow the best route and chose the right sails with the same perfection when they are “in the wind”. The sailors' stories are made of hard work, courage and faith. When they built the boats they used to put images representing the Madonna or saints in the hull in order to assure their protection. A Molfetta motto says: “The ship sails with a favourable wind if Christ is abaft and the Madonna at the bow”.
marinerie italiane, e nel Barese, fra Monopoli e Molfetta. Qui, nei documenti dell'archivio storico si registra traccia certa della presenza di “mastri lavoranti vascelli” già nel 1561. Il secolo d'oro per la cantieristica navale e l'economia locale fu l'Ottocento: nel 1834 risultavano costruiti a Molfetta ben 123 bastimenti. All'inizio del '900 si contavano 300 cantieri poi, con l'introduzione della navigazione a motore, della carpenteria metallica, dei pezzi fatti in serie e venduti su catalogo, le maestranze si sono notevolmente ridotte. Quando le imbarcazioni venivano costruite prevalentemente in legno, era una professione di spicco. I maestri d'ascia non erano solo abili artigiani ma intraprendenti imprenditori, riconosciuti nell'intera regione e capaci di generare un articolato indotto che andava dal retiere al fabbro, dal funaio al velaio, al segantino. Intenditori di legname ne riconoscevano l'essenza, la resistenza, l'uso migliore di ogni singolo pezzo. Fusi dritti per la chiglia, rigorosamente in olmo o quercia gli stortami per l'ossatura, per fasciare lo scafo serviva un buon pino marittimo: né troppo giovane né troppo vecchio, cioè non troppo umido né incapace di assorbire gli urti. Anticamente erano gli stessi maestri d'ascia a scegliere gli alberi più adatti e il taglio doveva essere eseguito d'inverno e con la luna calante. Non c'era solo superstizione ma rispetto dei cicli naturali. Lo stesso rispetto che si doveva poi portare, una volta in acqua, verso il mare. Artigiani abili a sfruttare al meglio il tocco degli scalpelli, a modellare con l'ascia, a inserire fra un'asse e l'altra la stoppa di canapa prima di passare la pece indispensabile a calatafare le fessure. Bastava ascoltare il suono degli strumenti, sentire il legno che “cantava” per riconoscere la corretta esecuzione del lavoro. Così come poi i marinai riconoscevano nel vento, istintivamente, la rotta migliore e le vele giuste da issare. Le storie della gente di mare sono fatte di fatica, coraggio, credenze e gesti di fede cristiana. Durante la costruzione delle barche, prima della copertura finale con le assi di legno, era usanza inserire nello scafo immagini della Vergine o dei santi per invocarne la protezione celeste. Un detto molfettese recita: “A vele gonfie naviga la nave che ha Cristo a poppa e la Madonna a prora”.
di Federica Sgrazzutti
Your roundness loses on the summer “cannizzo”. The winter will be able to taste your sun reserve.
Disfatta la tua rotondità sul cannizzo d'estate. A fare scorta di sole per l'inverno che ti saprà assaporare.
“It is essential that all the wise beings and people in the world understand that bread and tomato is a fundamental step of human diet […]”, this is what Manuel Vàzquez Montalbàn writes in his “Immoral Recipes” in order to highlight simplicity and, in the same time, the excellence of this fruit of south American origins, appeared on the Old Continent tables only about the XVIII century. Nowadays the tasty red fruit can be considered one of the main protagonists of Mediterranean cuisine, not only for its properties and the pleasantness of its taste, but also for the different ways it can be served: stuffed, mashed, raw, as a jam, fried, even dried and in oil. Apulia is one of the regions where tomato growing is widely widespread and just this area is the leader in Italy in the production of dried tomatoes. Like any fruits of the soil, their growing needs hard work and sacrifice.
“E' indispensabile che tutti gli esseri e tutti i popoli saggi della terra capiscano che pane e pomodoro è un passaggio fondamentale dell'alimentazione umana […]”, così scrive nelle sue “Ricette Immorali” Manuel Vàzquez Montalbàn, per sottolineare la semplicità e nel contempo l'eccellenza di questo frutto di origini sud americane, comparso sulle tavole del Vecchio Continente solo nel Settecento. Ormai il gustoso ortaggio rosso si può considerare, a buon diritto, uno dei principali protagonisti della cucina mediterranea, non solo per le proprietà e la piacevolezza del suo sapore, ma anche per le diverse modalità in cui può essere impiegato: ripieno, passato, crudo, a marmellata, fritto, anche secco e sott'olio. La Puglia rappresenta una delle regioni dove la coltivazione del pomodoro, nelle varietà tipiche, è largamente diffusa ed è proprio questo territorio ad essere diventato leader in Italia nella produzione di pomodori secchi. Come ogni frutto della terra, la loro lavorazione richiede fatica e sacrificio. Il tipo di pomodoro selezionato, che viene coltivato nel periodo tra aprile e maggio, è un ibrido brevettato, simile ai San Marzano, con forma allungata e polpa compatta. La raccolta si svolge da luglio ad agosto, quando i frutti sono all'80 % della loro maturazione. E' un impegno quotidiano che richiede costanza; ogni sera, infatti, i pomodori raccolti in giornata vengono lavati e scaricati su
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telai in aperta campagna, che possono coprire aree molto estese, anche di oltre 5 ettari: i telai sono strutture in legno, poggiate su dei tufi, entro le quali fili di nylon tesi creano una rete, su cui vengono posizionati quintali di pomodori. Le ore serali sono preziose, perché sono dedicate alla preparazione del lavoro per il giorno dopo. La mattina inizia alle cinque e si conclude alle dieci: sarebbe impossi-
The type of the selected tomato is a long shaped hybrid with compact pulp like the San Marzano ones, and is grown in April and May. The picking is from July to August when fruits aren't completely ripened. It is a daily work that requires constancy; in fact every evening the tomatoes picked during the day must be washed and discharged on frames covering very wide areas (even more than 5 hectares) in the open country: these frames are wooden structures with nylon nets where quintals of tomatoes are laid down. The evening hours are precious for the day after work: in fact the day starts at 5 o'clock a.m. and ends at 10 o'clock a.m.: it would be impossible to go on working under the dazzling Apulian summer sun. The most productive hours are the ones when sun rays are still low and hot doesn't take strength away. Standing in front of the frame, women, one opposite the other, cut manually each sin-
bile prolungare l'orario perchÊ la manodopera lavora sotto il sole dell'accecante estate pugliese; le ore piÚ produttive restano, infatti, quelle in cui i raggi sono ancora bassi e il caldo non toglie le forze. In piedi, davanti al telaio, una di fronte all'altra, le donne tagliano manualmente ogni singolo pomodoro, lo aprono a metà , senza però dividerlo del tutto, ed infine lo riappoggiano sul reticolo lasciando all'aria la parte
gle tomato in half without separating it, then put it again on the frame with the opened part upwards. This activity requires lots of women who everyday (even on Saturday, Sunday or celebration days) walk 50 metres along the red expanse and handle about four quintals of tomatoes patiently. After them, the men shed salt through sifters on the cut tomatoes. The time of exposure to the air is very limited: four days and it is the moment to take the product from the country to the stores to keep it into cold rooms at about 4 degrees. This procedure grants the integrity and the wholesomeness of the product preserving its typical colour. Since the tomato has been picked to it is dried and ready to be sold, it loses weight of 90%: it means that from one quintal of fresh product they make only ten kilos of dried tomatoes! Since August everything is ready to be given to the purchasers: Apulia distributes in Italy and abroad thanks to the high quality of its product. This quality can be reached thanks to Apulian farmers who still respect nature's times and the value of manual labour. The dried tomatoes are the witnesses of a generous and laborious land where the sun, indispensable for the ripening and the drying of the fruits becomes a tasty ingredients.
interna. Questa attività, che richiede l'impiego di moltissime persone, è per lo più al femminile: ogni giorno - senza eccezioni per sabati, domeniche o ricorrenze - le lavoranti percorrono cinquanta metri, costeggiando una distesa rossa, e vedono passarsi tra le mani circa quattro quintali di pomodori. Procedono con pazienza lungo i telai e dietro di loro vengono gli uomini, che, con dei setacci, fanno piovere sale sui pomodori
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già incisi. Il tempo di esposizione all'aria è molto limitato: quattro giorni e arriva il momento di prendere il prodotto e, dalla campagna, portarlo nei magazzini, per conservarlo in celle frigorifere a circa 4 gradi, un accorgimento che garantisce l'integrità e la salubrità del pomodoro e ne preserva la caratteristica colorazione. Dal momento in cui viene raccolto a quando si “asciuga” e diventa pronto per essere messo sul mercato, il pomodoro riduce il suo peso del 90%: questo significa che da un quintale di fresco si ricavano dieci chili di pomodori secchi! A partire da agosto tutto è pronto per essere consegnato agli acquirenti: la Puglia distribuisce in Italia e all'estero, grazie all'alta qualità del suo prodotto. Una qualità che è raggiunta anche grazie al rispetto che gli imprenditori agricoli pugliesi ancora rivolgono ai tempi della natura e al valore del lavoro manuale. Così i pomodori secchi sono testimoni di una terra generosa e laboriosa, dove il sole, indispensabile per la maturazione dei frutti e per la loro essiccazione, diventa gustoso ingrediente.
Ingredients for 4 people: 300 gr of flour 3 eggs 1,5 Kg of wild chicory 300 gr of dried tomatoes 300 gr of black olives 500 gr of dried white broad beans 2 potatoes Oil Onion Red pepper Laurel Salt Pepper
Ingredienti per 4 persone: 300 gr di farina 3 uova 1,5 Kg di cicoria selvatica 300 gr di pomodori secchi 300 gr di olive nere da friggere 500 gr di fave bianche secche 2 patate Olio Cipolla Peperoncino Alloro Sale Pepe
Clean the chicory, boil it, cut it up finely and fry it lightly with the red pepper and the dried tomatoes cut in small pieces. Let it cool. Cut the potatoes into pieces and put them with the
Dopo aver pulito la cicoria, lessarla, sminuzzarla e saltarla in padella con olio, peperoncino e pomodori secchi a pezzettini. Lasciare raffreddare. In una pentola unire le fave e le patate a pezzetti, coprendo il tutto con acqua (due dita sopra il livello delle fave). Salare e portare a cottura a fuoco lento, per circa due ore, senza mai girare. A cottura ultimata, passare le fave e le patate in un robot da cucina, aggiungendo 100 gr di olio crudo. Preparare la sfoglia, impastando la farina e le uova intere. Tirarla fino a renderla sottile e realizzare dei piccoli tortelli, da riempire con la cicoria precedentemente preparata. In una padella mettere la cipolla tritata finemente, un po' d'olio, pomodori secchi a pezzetti, due foglie d'alloro e friggervi le olive. Lessare i tortelli e, a cottura ultimata, unirli nel piatto con la passatina di fave, le olive fritte, un filo d'olio, due filetti di pomodori secchi e una spolverata di pepe nero.
broad beans in a pot, cover them with water. Salt and cook it on a slow flame for about two hours. Then cream potatoes and the broad beans adding 100 gr of oil. Make the sheet of pasta dough: work flour and eggs into dough till it is thin enough to make some small tortelli. Fill them with the cut up chicory. Chop the onion and fry it with the tomatoes, two leaves of laurel and the olives. Boil the tortellini and put them into the plate with the broad beans purĂŠe, the fried olives, two fillets of dried tomatoes, trickle of oil and a pin of black.
Ricetta dello chef Gianni Marsella del ristorante “La Cuccagna Giro di Vite� di Crispiano (Br)
Green tail, white head. This is the way the destiny of any dish changes. Cipollotto, sweet and sour origin.
Its smell wins people's nostrils powerfully doing almost violence to their perceptions. It penetrates and it is recognized immediately; it is unmistakable for anybody who could have smelled, perceived, it once. But, besides its smell, its slim shape makes it different from other vegetables. It stands out among the raw vegetables dipped in olive oil with pepper and salt. It is white, candid and it displays on the green grocer's counters as a protagonist. It can be found in winter when people like to be won by its warm taste. The winter sky of Salento is reflected in its pale white colour and when people like staying in warm and heartening places and the cold season paints landscapes with white and pearlgrey nuances, it becomes the King of Cold.
di Alba Di Palo Verde la coda, bianca la testa. Così cambia la sorte di ogni pietanza. Cipollotto, agrodolce all'origine. Dai più, il suo odore è paragonato a uno di quelli che conquistano prepotenti le narici, quasi violentandone le percezioni. Si insinua ed è subito riconoscibilissimo, inconfondibile per chiunque lo abbia almeno una volta annusato, percepito, rapito. Ma, oltre al suo odore, è il suo esser longilineo che lo rende, tra gli ortaggi, il più vanesio. Come un “verdurato” Narciso, spicca nei pinzimoni o comunque tra le tante buste della spesa che racchiudono preziose perle della terra appula. Bianco, candido, quasi virgineo, si espone sul bancone da protagonista. Esclusivo il periodo in cui si propone al pubblico, preferisce il freddo inverno, quando sa di poter conquistare con il suo calore. Nel suo pallido bianco colorito si specchiano i cieli invernali del Tacco d'Italia, quando l'arrivo della stagione che porta tutti a stare in luoghi chiusi, caldi e rasserenanti, dipinge di tinte tenui, sfumate tra il bianco e il grigio perla, i paesaggi. E “lui” diventa il re del freddo. La sua famiglia è nobile tra gli ortaggi, l'Allium cepa, da cui discende con la
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Its family is famous among other vegetables: it descends from the unripe Allium Cepa. In fact the cipollotto is an onion picked early and this makes it delicate and strong in the same time. Its origin is not limited to a certain area because in Apulia it can be found generally everywhere because of the sapidity of the soil that influences even its colours. In fact it can be called “pale vegetable” for its light colouring. It descends from the white onion and when white it prefers the slow flame of the cooker. When its top is red, it is mild, aromatic, perfectly balanced with the dishes in which it is used. Its nature is frail and if you want to keep it vigorous and fine, you must not expose it to the sun or to sudden changes in temperature. Its perfect place is dry (humidity can damage its foliage) preferably dark and airy where it can be kept tied up in bunches. If you want to keep it longer than 4 days you can put it into the fridge. In this way the potassium, the vitamins and the calcium it contains do not fade away. Its components are precious because they facilitate the digestion. It must be cleared of the “barbine” holding its “heart” in order to use it at its best. It must be washed into water carefully and gently like ancient Romans did. In fact they appreciated and recognised the cipollotti's qualities that were even represented in some paintings as it can be seen in an ancient chapel dedicated to the “Larario del Sarno” in Pompei. Its use in the cuisine is versatile: omelettes, tasty sauces and alternative “pinzimoni” (raw
sua frivola immaturità. E già, il cipollotto è una cipolla strappata alla sua madre terrosa con anticipo. Un allontanamento che non lo penalizza, ma lo rende delicatamente robusto, specie al palato. La sua origine non è specifica o delimitata a precise zone, in Puglia trova un po' ovunque la nascita a causa della sapidità del terreno che ne condiziona i colori. Sì, perché Madre Natura può donargli il colorito chiaro, tale che verrebbe da chiamarlo “ortaggio pallido”, immaginando una scena di confronto animato tra i pallidi come lui e i colorati frutti che, da pellerossa, lo qualificano o parafrasano così. Così bianco, discende dalla cipolla bianca che gli consente di adattarsi al fuoco flebile della cucina. Se poi è il pittoresco rosso Tiziano a tingere la sua chioma, allora si propone dolce, aromatico, sempre attento a non sbilanciare gli equilibri dei piatti in cui si introduce. La sua è, però, una natura fragile. Per questo, evitare che sia esposto a lunghi bagni di sole o a persistenti sbalzi di temperatura è l'unico modo per conservarlo bello e vigoroso. Renderlo felice poi è possibile scegliendo, per la sua stasi, un posto asciutto e non
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vegetables dipped in olive oil with pepper and salt). It is a Christmas tradition to fry in abundant oil the cipollotto, and, added to provolone cheese, capers and, as one pleases, cod, to close it between two coats of pastry (kneaded with white wine to make it compact). This is the “calzone� of Christmas Eve. Red wine is obligatory.
umido, che potrebbe danneggiarne le chiome, preferibilmente buio e areato in cui può fermarsi qualche tempo, anche in compagnia di suoi simili, legato magari da fili di rafia. Se poi l'intenzione è quella di godere della sua presenza per anche quattro giorni, non resta che imprigionarlo in un contenitore e riporlo in frigo. Accorgimenti che consentono di continuare a mantenere alta la soglia di potassio che lo caratterizza, come il calcio e le vitamine. Preziosi poi, i suoi componenti che facilitano la digestione. Per usarlo al meglio va separato: il bulbo è la parte che riunisce la sua tenerezza e va pulito da piccoli peletti, chiamati barbine, che racchiudono, come fossero guardie armate di alabarde, il suo “cuore”. Va lavato in acqua eseguendo gesti accorti e delicati, gli stessi che eseguivano i romani, tra i primi ad apprezzare e riconoscere le qualità del cipollotto presente anche in alcuni dipinti. In molti infatti, sono raffigurati in una cappella, quella degli scavi di Pompei dedicata al “Larario del Sarno”. Il suo uso in cucina è poliedrico: frittelle, base per succulenti sughi, ma anche per alternativi pinzimoni. Lo si può arrostire sulla brace e condirlo con olio e sale. Fantastico poi come ripieno. È tradizione natalizia soffriggere in abbondante olio il cipolotto, unirlo a provolone, capperi e, a piacimento, a baccalà fritto, e richiuderlo tra due strati di pasta che, per diventare compatta, è stata amalgamata con dell'ottimo vino bianco. Il calzone della vigilia di Natale è fatto. D'obbligo un vino rosso.
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Ingredients for 4 people
Ingredienti per 4 persone:
I kg of Sponsali (spring onions)
1 kg di sponsali
20 (about) black olives - preferibly the round and
20 (circa) olive nere mature - preferibilmente quelle
sweet ones from Andria
tonde e dolci di Andria
200 gr of small tomatoes
200 gr di pomodorini al filo
1 very spicy red pepper
1 peperoncino rosso molto piccante
100 ml of extra virgin olive oil
100 ml di olio extra vergine d'oliva
50 gr of pepperoni
50 gr di salsiccia secca piccante
1/2 glass of water
1/2 bicchiere d'acqua
Stale bread
Pane di lievito madre raffermo o tostato
Peel the sponsali and fry them in olive oil. Add the
Pulire lo sponsale e lasciarlo appassire in una padel-
olives, the red pepper, the small tomatoes, the glass
la con l'olio. Aggiungere le olive, il peperoncino, i
of water and the small pieces of pepperoni. Cook it
pomodorini, l'acqua e i pezzettini di salsiccia secca.
on a slow flame. Serve it on slices of stale bread.
Lasciare cuocere a fuoco lento.
A curiosity: once farmers ate the “Diavolicchio” in
Con il composto ottenuto, condire il pane raffermo.
the cold winter days by the fire. In the morning after
Una curiosità: i contadini mangiavano il “Diavolic-
they removed the soft part of the bread and filled it
chio” nelle fredde giornate invernali, davanti al fuoco
with the remaining “Diavolicchio”. Then they cove-
e, la mattina seguente, svuotavano della mollica la
red the bread with its soft part and that was their
parte finale del pane e lo riempivano con il composto
meal for the long working day.
rimasto. Richiudevano con la mollica e lo utilizzavano come cibo per tutta la nuova giornata di lavoro.
Ricetta dello chef Pietro Zito del ristorante “O st eria ant ichi sapori” di Andria ( Ba)
You roll to glittering with reflected light depths. Time witness, you looks after tender sunbeams as an original back to pleasure.
The Italian word riccio (ricci pl.) corresponds not only to the English “sea urchin”, but it means also “curl”, as a noun, and “curly” as an adjective, but it refers to finely inlaid laces, too. So “ricci” (curly) were the Saracens landed on Apulian shores, and Romantic ninetieth-century laces hid the ladies' virtues under brocade and tulle “ricci” (laces), embroidered by skilful hands. And “ricci”(curls) embellished the hairstyles of the ladies at the court of Federico II, the Emperor who worshipped beauty and knowledge. But if you say riccio to the gourmands, they will think of the sea and the seafood, to those pricking creatures and to their clashing colours. The sea urchin is one of the most sought-after Neptune's creatures by the nature-lovers. It is the object of the poachers' desire, it is a tasty delicacy for the gourmands and it is simple curiosi-
di Alba di Palo Rotoli verso fondali di luce riflessa. Testimone del tempo. A custodire raggi di sole teneri. Capriccioso ritorno al piacere.
L'aggettivo riccio riporta ai Saraceni e Arabi che toccarono le terre del Salento. Ma il termine “riccio” rimanda a merletti e trine ottocentesche che rendevano tanto fiabesche quanto indiscutibilmente romantiche le dame di corte, che nascondevano le loro virtù sotto ricci in tulle o in tessuti broccati, abilmente cuciti da mani sapienti. O alle acconciature delle dame che vivevano alla corte di Federico II, l'imperatore amante del sapere e del bello. Ai più golosi, a coloro che della tavola sono i gaudenti invece, la parola riccio riconduce al mare e ai suoi frutti. A quelle creature che, pungenti e dai colori contrastanti, riescono a conquistare. Il riccio di mare è senza dubbio uno dei figli del regno di Nettuno tra i più ricercati e coccolati dagli amanti della natura. Oggetto del desiderio dei
MEDMARE
ty for little children because of its quills protecting its content. They are animals loving the depth of the oceans even if many species are born and proliferate in little deep spaces where they can find their life blood. If they had paws and lived on the land, they would be semi-herbivores. Their favourite food is seaweed and sea plants even if they appreciate pieces of invertebrates as well, so becoming predators with original defensive strategies allowing them to survive other species nowadays extinct. The sea urchins, belonging to the Echinoid class, round-shaped like the other Echinoderms, have a radial symmetry: they have not a head and a tail but their round body has a mouth in the middle of the lower part and the anal orifice in the opposite. The Apulian seas are rich in these strange creatures.
pescatori di frodo, pronti a scalfire in modo indelebile e scellerato la loro patria natìa, succulenta prelibatezza degli amanti delle perle del mangiar bene, semplice curiosità per i più piccoli, attratti dagli aculei che ne proteggono il contenuto, sono animali (così li definiscono riviste scientifiche ed enciclopedie, anche se il termine fa pensare a ben più grandi soggetti), che amano le profondità, anche se le specie più appariscenti, al contrario, nascono e prolificano in spazi poco profondi dove trovano la linfa vitale. Se avessero le zampe e vivessero fuori dall'acqua, sarebbero senza dubbio dei semi-erbivori. Il loro piatto preferito si compone infatti di alghe e piante marine, ma non disdegnano pezzi di invertebrati trasformandosi in predatori dalle originali strategie difensive che, nel corso dei secoli, hanno permesso una sopravvivenza decisamente superiore, in termini di numeri, rispetto a specie oggi non più esistenti. I ricci di mare, appartenenti alla classe echinoidea, di forma rotonda, come tutti gli echinodermi hanno una simmetria raggiata, cioè non hanno una testa e una coda, ma il loro corpo tondo ha la bocca al centro nella parte inferiore e l'orifizio retto in quella opposta. Strane creature di cui i mari pugliesi sono ricchi. Cinque gli spicchi in cui si può suddividere sia internamente che esteriormente. Uno scheletro duro e scuro, fitto fitto di
MEDMARE
They can be divided, inside and outside, into five pieces. A hard and dark skeleton with closed quills among which there are the pedicels and some of them end with small suckers. Imagine a marathon of sea urchins: small black balls running with their suckers like calamites catching what they need to protect themselves. Other small paws catch pebbles or detritus used as chelas necessary to their survival. Then they have the poisonous pedicels with a hollow quill at the top injecting poison that paralyzes the aggressive small animals. They are solitary animals, and do not like the sun preferring the dark where they reproduce by external and synchronized fecundation. In fact female eggs and male seeds have a contemporary emission from which planktonic larvas are born. Then they reach the seabed in order to develop according to various stages. But the sea urchins cannot be defined as a male or female because they are hermaphrodites and this feature makes them interesting even from a gastronomic point of view. They are perfect with spaghetti. For the most gourmands they turn into salted jams to be spread on toasts and small open sandwiches. But they are excellent raw with bread and a glass of good wine. They live in colonies in Apulian seas and they have the warmth of a region that has always protected and loved them in the orange colour of their “pulp�.
aculei che, però, sono inframmezzati da spazi lasciati liberi da Madre Natura per scopi ben precisi. A occuparli le pedicellarie, ovvero delle piccole gambette, alcune delle quali terminano con ventose. Non è difficile immaginare una maratona di ricci di mare: tanti cerchietti neri e spinosi che si rincorrono facendo leva sulle ventose, che servono anche da calamita per afferrare quanto utile a coprirsi. Altre “piccole gambette”, invece, servono ad afferrare ciottoli o detriti da utilizzare come fossero delle chele, tenaglie in cui incastrare quanto di più necessario alla sopravvivenza. E poi ci sono le pedicellarie velenifere quelle che, come i puntali degli abeti natalizi, terminano con una spina cava che emette, come una siringa, veleno in grado di paralizzare gli animaletti aggressori. In questo ricordano i conquistatori di passaggio nella nostra Puglia: sia coloro che da qui partivano per occupare terre lontane, sia coloro che in questa terra trovarono una nuova patria. Sono esseri solitari i ricci di mare, e pensando alle diverse specialità in cui sono esperte le “piccole gambette” non è difficile capire il perché della vita da eremiti. In pochi infatti finiscono in gruppo. Amano la vita solitaria. Oasi in cui, in mare o in oceani, il riccio passa la sua esistenza, trascorrendo la sua giornata al riparo da qualsiasi cosa possa infrangere quel regno che faticosamente ha costruito. Non ama il sole, rifuggendo dai suoi riflessi. Da vero protagonista snobba la luce solare, preferendo il buio in cui si riproduce attraverso la fecondazione esterna e sincronizzata. Infatti, uova femminili e semi maschili hanno un'emissione contemporanea da cui hanno vita larve planctoniche che raggiungono i fondali per poi svilupparsi di stadio in stadio. Ma parlare di ricci maschi e femmine non è corretto. La specie è infatti ermafrodita, particolare che rende interessante la conoscenza di uno degli alimenti fra i più ricercati e prelibati. Si amalgamano bene con gli spaghetti di cui diventano accompagnatori. Per i palati più raffinati sanno anche presentarsi come marmellate salate da associare a pane tostato o piccole tartine. Crudi poi diventano il companatico ideale del semplice pane. D'obbligo un buon vino. In terra pugliese sono di casa. Nei mari del Tacco d'Italia sono presenti in colonie e nell'arancio della loro “pelle” portano il calore di una regione che da sempre li protegge e ama.
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la ricetta
SEA URCHINS PULP RISOTTO
RISOTTO ALLA POLPA DI RICCI DI MARE
Ingredients for 4 people:
Ingredienti per 4 persone:
400 gr of rice
400 gr di riso
150 gr of sea urchin pulp
150 gr di polpa di riccio
3 table spoons of olive oil
3 cucchiai di olio d'oliva
A pinch per person of parsley
Un pizzico di prezzemolo a persona
Butter
Burro
Garlic
Aglio
Red pepper
Peperoncino
Lightly fry oil, parsley, garlic and red pepper. Add rice
Soffriggere leggermente olio, prezzemolo, aglio e pepe-
and grate some lemon peel. Toast the rice and, when it
roncino. Aggiungere il riso, con una grattugiata di buccia
is transparent, pour some water and let it cook. Then
di limone e farlo tostare. Quando diventa traslucido, ver-
add some butter with the raw sea urchin pulp. Off the
sare un po' alla volta dell'acqua e lasciarlo cuocere, fino a
burner and cream the rice until all the ingredients are
portarlo a cottura. Incorporare, quindi, una noce di burro
well amalgamated. Serve with sprinkled parsley.
e i ricci di mare crudi. A fuoco spento continuare a mantecare il riso, affinché gli ingredienti risultino ben amalgamati. Spolverare di prezzemolo e servire.
Ricetta dello chef Rosa Martellotta del ristorante “Forcatella” di Fasano (Br)
NICHI Gusto di Puglia meets Nichi Vendola, President of ApuliaRegion
For more than two years you have been the President of the Region Apulia. Today can we speak of Apulia as a “good, clean and right” region as Carlo Petrini should say? Today Apulia has emerged from the crisis, it has a perspective of future once blocked by the economical and civil stagnation for a quite long period. We began to run again when our Pil (gross domestic product) was the lowest in Southern Italy since 2000 to 2005, with an average of minus 0,1%. Today our Pil is above 1,6%. The Banca Italia's, the SVIMEZ's and the Istat's data confirm an important growth of employment in our region, the highest in percentage in the south even more than the national average. Apulia grows of 2.8%, Italy of 1.9% and south of 1.6%. We worked so that the business system became a network. We financed innovation and technological renewal. We dealt with the problem of the work quality, that is a qualified and steady job, and now we have joined very important results with Apulia regaining perspectives. At the same time we worked in order to break the barriers preventing Apulia from communicating with Europe, with the Mediterranean Countries and with the World. We made important investments in the whole transport system: ports, railways, airports, roads. We gained a package of low-cost flights allowing Apulian students and entrepreneurs to get in touch with the world breaking the loneliness of Apulia. We started the first undertaking of optimizing the fundamental social capital, that is young generation, by the project “Bollenti Spiriti”. We bet everything on creativeness. We quadruplicated the funds for Culture, trying to consider Culture as a means of civilization and of promotion for new productive activities on the region. Apulia is choosing the frontiers of innovation, i.e. of our attitude about renewable energies: solar, wind powers, biomasses. We mean to go on this way. We sowed so much. Not all the seeds became sprouts, but today there are encouraging data, and I hope this is the beginning of a long thaw season. You have spoken of work quality. Does quality characterize Apulian agricultural and food production? We faced an important crisis of the agricultural section courageously, with moments of unease and revolt of the workers. We faced and overcame the problems by a consultation among producers, distributors and consumers. Then we worked so that words such as “quality” and “innovation” came into
VENDOLA
di Gisella Della Monaca
Gusto di Puglia incontra Nichi Vendola, Presidente della Regione Puglia
Da più di due anni lei ricopre la carica di Presidente della Regione Puglia. Oggi si può parlare di una Puglia “buona, pulita e giusta” come direbbe Carlo Petrini? Noi abbiamo una Puglia che è uscita fuori dal tunnel, che ha guadagnato una prospettiva di futuro che invece era ostruita dal clima di stagnazione
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the perspective of a section suffering from the microscopic size of the farm system and from the permanence of wide obsolete segments. From this point of view we are winning our bet on the quality, for example, of vine growing and wine production. At Vinitaly and at Salone del Gusto our wine and food production was very appreciated. Our wines and our olive oil are beginning to circulate widely. We must insist. We must bury what has already died about agriculture: the obsolete segments must be converted into productions linked to the energy cycle. We must combine economy and ecology. The rural development is fundamental because we must think of the climate mutation, of the well-known water shortage, of the coast erosion, of the mucilage phenomenon. We must face important challenges and dilemmas with the courage of innovation. Apulia is a land of flavours, which is the one linked to your childhood?
economica e civile che vi è stato per una stagione abbastanza lunga. Abbiamo ripreso a correre, abbiamo avuto dal 2000 al 2005 il Pil (prodotto interno lordo, ndr) più basso del Mezzogiorno d'Italia con una media del meno 0,1%. Oggi abbiamo il Pil a più 1,6%. I dati dell'ufficio studi di Banca Italia, i dati della SVIMEZ e da ultimo i dati dell'Istat parlano di una importante crescita occupazionale della nostra regione, la più alta percentualmente di tutto il Sud e anche superiore alla media nazionale. La Puglia cresce del 2,8%, l'Italia dell'1,9% e il Sud dell'1,6%. Abbiamo lavorato perché il sistema di impresa imparasse a fare rete. Abbiamo finanziato l'innovazione e il rinnovamento tecnologico. Abbiamo posto un problema di qualità del lavoro che significa lavoro competente e stabile e abbiamo dei risultati credo importantissimi che vedono una Puglia che riguadagna una prospettiva. Contemporaneamente abbiamo lavorato per immaginare la rottura di qualunque barriera che impedisca alla Puglia di comunicare con l'Europa, con il Mediterraneo con il Mondo. Investimenti importanti in tutto il sistema
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trasportistico, dai porti alla ferrovia, agli aeroporti, alle strade. Abbiamo guadagnato un pacchetto di voli low-cost che consentono agli imprenditori e agli studenti pugliesi di entrare in contatto con il mondo che conta e quindi di rompere la solitudine della Puglia. Con il progetto Bollenti Spiriti abbiamo avviato il primo percorso di valorizzazione del capitale sociale fondamentale, quello delle giovani generazioni. Abbiamo puntato tutto sulla creatività. Abbiamo quadruplicato i finanziamenti per la Cultura badando non tanto alle spese effimere legate al puro dato di folclore ma cercando di guardare la cultura come promozione di civiltà e promozione di nuove attività produttive sul territorio. È una Puglia che sta scegliendo le frontiere dell'innovazione, penso al nostro posizionamento sulle energie rinnovabili, solare, eolico e biomasse. Intendiamo continuare su questa strada. Abbiamo seminato tanto. Non tutti i semi sono naturalmente diventati germogli, però ci sono dati incoraggianti, e io spero sia l'inizio di una lunga stagione del disgelo. Lei ha parlato di qualità del lavoro. Qualità è la caratteristica che contraddistingue le produzioni agroalimentari di Puglia? Noi abbiamo affrontato alcune importanti crisi del comparto agricolo con coraggio, non fuggendo di fronte a momenti di disagio e di rivolta degli operatori, affrontandoli, discutendo e riuscendo a costruire un tavolo di concertazione tra produttori, distribuzione e consumatori. Quel tavolo ha consentito di superare veramente momenti di crisi drammatici. Poi abbiamo lavorato perché le parole qualità e innovazione entrassero stabilmente come prospettiva in un comparto che soffre molto non soltanto nelle dimensioni microscopiche del sistema di impresa agricola ma soffre molto anche della permanenza di larghi segmenti obsoleti, e da questo
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Among the memories of my childhood's flavours there are almond smell and almond taste because in September we went to the countryside where there was the gleaning of the gathered almonds. After the official crop, we were allowed to pick up the almonds from the private fields and Christmas cakes were made with them. Other flavours were home smells such as the ragù made of horsemeat, the smell of the cakes made by our mums or the smell of spices: basil, rosemary, sage that still nowadays strike me a lot. These Mediterranean smells recall my feeling of my belonging to this land, to these roots. A product from your town. Our passion was the “cristeciom”, the dialectical form for Christe, Ecce Homo, a special bread that I bought at a bakery, still existing in my town, with this sentence on its sign. This loaf of bread that we called “scanata”, was a 2 kilos loaf. They were times when sometimes in our humble families we had to buy two scanate because bread was not only present but even preponderant in our diet. Is there a link between food and word? There is a link between food and life, between food and taste. There is a link between food and word when the word is the “nomination”, the possibility of name the world with its differences. The more words you have the more things you can name. The civil and cultural richness is richness in comprehension of the reality and food is like a vocabulary: it allows people to build a countless number of words, an innumerable varieties of tastes combinations. The link existing between food and word lies in the fact that they both are vehicles for communication and sociality, and instruments of possible pleasure.
punto di vista la scommessa sulla qualità ad esempio nella produzione vitivinicola è una scommessa che comincia a vincere. Al Vinitaly e al Salone del Gusto la produzione enogastronomica pugliese si è fatta apprezzare. I nostri vini, esattamente come il nostro olio, cominciano ad avere una circolazione più larga. Occorre insistere. Bisogna fare sistema. Bisogna seppellire ciò che è morto in agricoltura. Bisogna convertire i segmenti obsoleti magari in produzioni legate al ciclo energetico. Bisogna cambiare la marcia di questo cammino che deve coniugare insieme economia ed ecologia. Il tema dello sviluppo rurale è fondamentale proprio perché bisogna fare i conti con la mutazione climatica, con la carenza storica di acqua, con l'erosione della costa, con il fenomeno della mucillagine. Siamo di fronte a sfide e dilemmi importanti e dobbiamo affrontarle con il coraggio dell'innovazione. La Puglia è una terra di sapori, ne ha uno legato alla sua infanzia? I ricordi forti dei sapori della mia infanzia sono il profumo delle mandor-
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le, il sapore della mandorla perché si passava dal mare alla campagna nel
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mese di settembre e c'era la spigolatura delle mandorle che venivano raccolte. Dopo il raccolto ufficiale era consentito entrare nei campi dei privati e raccogliere le mandorle, con quelle si facevano i dolci di Natale. Poi profumi di casa, il profumo del ragù di carne di cavallo. Il profumo dei dolci delle nostre mamme o sempre il profumo delle spezie, basilico, rosmarino, salvia che ancora oggi sono profumi che mi colpiscono molto. Sono questi odori mediterranei che mi rievocano il sentimento della mia appartenenza, della mia terra, delle mie radici. Un prodotto tradizionale della sua città. La nostra passione era “cristeciom”, la forma dialettale di Christe, Ecce Homo, un pane particolare che andavo a prendere ad un forno a legna ancora presente nella mia città e che aveva inciso nell'insegna questa frase. Questo pezzo di pane che noi chiamavamo “scanata”, era un pezzo da due chili. Erano tempi in cui a volte nelle nostre famiglie modeste bisognava comprare due scanate per nutrirsi perché il pane era un alimento non solo presente ma preponderante della nostra alimentazione. C'è un legame tra cibo e parola? C'è un legame tra il cibo e la vita. C'è un legame tra il cibo e il gusto. C'è un legame tra cibo e parola nella misura in cui la parola è la “nominazione”, la possibilità di nominare il mondo, le differenze. Più parole hai e più cose puoi nominare. La ricchezza civile e culturale è ricchezza di comprensione della realtà e il cibo è come un vocabolario, consente di costruire un infinito numero di parole, un'infinita varietà di accoppiamento di sapori. Il legame che c'è tra il cibo e la parola è nel fatto di essere entrambi vettori di comunicazione, vettori di socialità e strumenti di possibile godimento.
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Taralli, tarallini e scaldatelli, leavened pleasure Once upon a time a sickle on the corn, in a sleepy wagon full of flour. Hard work and then the oven waiting for the dawn. It leavens again because that is life, like a hundred years ago. Tavoliere: an immense expanse of green: young plants of corn following a curvilinear skyline. Green, pale like the first bud and, when it is grown up, it is bright under a blessed drizzle. Then, you can admire the miracle of the ear and the turning to golden yellow of the whole plain. Here is the corn, in June it waits for a sickle but from the hills the modern threshing machines arrive. They move forward regularly, following invisible lines among the rippling of the ears. They separate the grain from the plant decided to die. The sacks are ready to leave for long journeys, to fill the silos of pasta factories. But some sacks join to small “gristmills� where someone is waiting for the sunny white flour, like the bright light of Capitanata's dawn. The ingredients are flour, extra virgin olive oil, white wine, fennel seeds, salt. Once it was a slow amalgamating of vigorous manual work, now it is a buzz of a kneading machine in order to obtain a compact mixture.
Taralli, tarallini e scaldatelli, piacere lievitato di Gisella Della Monaca C'era una volta falce sul grano, carro di farina sonnacchioso. Immensa fatica, poi il forno. E l'alba da aspettare. Lievita ancora perché lì-è-vita. Come cento anni fa. Il Tavoliere: immense distese di verde, giovani piante di grano, a seguire un orizzonte curvilineo. Verde, pallido come il primo germoglio, brillante ormai adulto sotto una benedetta pioggerellina. Poi il miracolo della spiga e il mutare in giallo oro di un'intera pianura. Eccolo il grano, nel mese di giugno attende una falce, ma dai colli arrivano con la loro imponenza moderne trebbiatrici. Avanzano regolari, seguendo rette invisibili tra l'ondeggiare delle spighe. Separano il chicco da una pianta decisa a morire. Pronti i sacchi per intraprendere lunghi viaggi verso i silos di pastifici da riempire. Ma qualche sacco è dirottato in sparuti “mulini”, lì qualcuno attende la farina bianca, solare come luce intensa, aurora di Capitanata. Farina, olio extravergine di oliva, vino bianco, semi di finocchio, sale. Lento amalgamare energico manuale, un tempo, oggi brusìo di un' impastatrice meccanica: un impasto compatto ottenere.
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Some pieces of this mixture must be worked with a strong pressure of the thenar and ipothenar muscles. From each piece small tubes (1 centimetre thick) of mixture are produced by tireless to and fro movements of the palms of the hands. Then they have to be cut in pieces 10 centimetres long and, rings or ovals must be formed by pushing gently the two ends until they adhere, by rapid gestures. Yesterday it took hours of nonstop work in order to turn the whole mixture into nice tarallini and to invent new forms by fantasy, for fun or inadvertently. Today, this is the procedure: from the kneading machine to the refiner cylinder, then into the breadstick machine and then the shaping. Then, they put one by one the small taralli on wooden tables or metal baking pans and by some pulleys and ropes, plunge them in big containers in boiling water. This is the heating phase, that is “scaldatura� from where their name, scaldatelli, comes. After the boiling, the longest phase follows: the drying, in the air and for about ten hours. Ten
Da questo impasto sottrarre “filoni” da un chilogrammo e lavorarli, con pressioni forti dei muscoli dell'eminenza tenar e ipotenar. Da ogni filone realizzare, con un instancabile movimento avanti e indietro dei palmi della mano, tubetti di impasto dallo spessore di circa un centimetro. Poi tagliare i tubetti in pezzi da 10 centimetri e, con rapidi gesti, formare degli anelli o degli ovali premendo le due estremità lievemente fino a farle aderire. Ore di lavoro ininterrotto per trasformare l'intera massa in simpatici tarallini e con la fantasia, per gioco o distrazione, inventare nuove forme da delineare. Ieri. Dall'impastatrice al cilindro raffinatore, poi nella grissinatrice, e ancora la sagomatura. Oggi. Disporre uno ad uno i piccoli taralli su tavole di legno o teglie di metallo e con un'architettura di carrucole e di corde immergerle in acqua bollente a circa cento gradi, in grandi contenitori. Questa è la fase di bollitura o “scaldatura” da cui il nome di “scaldatelli” per questi taralli. Dopo la bollitura, la fase più lunga, l'asciugatura, all'aria e per circa dieci ore. Dieci lunghissime ore a respirare l'aria purissima della provincia foggiana. Dieci lunghissime ore a perdere l'umidità dell'acqua. Poi, il forno in pietra portato alla temperatura di 240 gradi bruciando fascine di giun-
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very long hours to make scaldatelli breathe the pure air of Foggia province. Ten very long hours to lose their water humidity. Then they can be cooked in stone ovens at 240째. Now the scaldatello is ready to be tasted. Crispy, fragrant, oil, wine and a fennel aftertaste, golden it reminds that expanse with ears in the sunshine. Touching the flowers with the hand, breathing and perceiving the salt from the nearby Salinas, the trees from the nearby forest, the dust from the Garganica rock and the plain with its intense colours. The fantastic scaldatelli tell of the taste of Terra di Capitanata, of the men's fantasy about the variations of flavours: from fennel to chilli, onions, pizza-flavour, pepper. The scaldatelli are sold in comfortable plastic bags and they can be crunched walking along the countryside, looking for huge barns, stopping in the shade of an ancient tree or in the yards among the country-houses. Or on a comfortable sofa watching a film. And at the table whiling away the time, waiting for a late guest. No, this is a risk: tarallino after tarallino you will lose your appetite! And near the fireplace sipping a glass of good red wine? Try!
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chi, i taralli possono essere cotti. Nel forno a dorare e a metà cottura: “gira tarallino, gira tarallino, gira tarallino”. La cottura è ultimata. Lo scaldatello è pronto per essere degustato. Croccante, con aroma fragrante, olio, vino e un retrogusto di finocchio, dal colore dorato sembra quasi, masticandolo, di essere in quella distesa di spighe con il sole alto all'orizzonte. Con la mano sfiorare i fiori sessili lasciandosi solleticare. Inspirare e percepire il sale delle vicine saline, gli alberi della vicina foresta, la polvere della roccia garganica e la pianura e i colori intensi. Fantastici, gli scaldatelli narrano il sapore della Terra di Capitanata, della fantasia degli uomini che oggi presentano varianti di gusto al tradizionale carattere del seme di finocchio, proponendo il piccante peperoncino, la forte cipolla, l'intrigante “pizza”, l'allegro pepe. Scaldatelli, disposti in comode buste di plastica, da sgranocchiare anche facendo una bella passeggiata nella suggestiva campagna, alla ricerca di immensi granai, sostando all'ombra di un maestoso albero o nella “corte” tra i casolari. Oppure comodamente distesi sul divano di casa guardando un film. E a tavola per ingannare l'attesa di un ospite ritardatario. No, rischiereste, tarallino dopo tarallino, di perdere l'appetito dopo aver raggiunto il fondo del sacchetto. E davanti al focolare con un bel bicchiere di vino rosso? Provate!
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Leuca Piccola, avamposto mediterraneo Rescue in Barbarano, your journey is going to finish. Two Seas and then you will find the daylight. Words thought first, then spoken.
di Federica Sgrazzutti
Barbarano ristoro. Che il viaggio sta per terminare. Due mari a trovare alla luce del giorno. E parole pensate poi parlate.
It is not easy to go to Barbarano: the ways to get to this village, a small outlying suburb hamlet of Morciano of Leuca, are few. We are speaking of the deepest Salento, not only because it is in the extreme south, but also because it is still firmly rooted at its more genuine origins, the same when these outermost bounds of land between two Seas, had a fundamental, both economical and spiritual, role. For centuries, Barbarano represented a fundamental stopover for many pilgrims going to the Sanctuary of Santa Maria di Leuca. In fact here there is the church where the worshippers stopped before arriving at their destination. The building, facing the countryside, was dedicated to the Madonna di Leuca. In 1685 Don Annibale Francesco Capace, a priest, cadet of the baronial family, chose it to bring more honour to his lineage: he was deeply impressed by the pilgrimage of 1682 from Gallipoli to Leuca, so he thought to offer the pilgrims a comfortable roadhouse giving the church a new look. From an ordinary chapel on the pilgrimage route, it became a fortified church, place of worship and place of alarm, shelter and defence for the population: Don Annibale added the neoclassical pronaos to the pre-existing structure, he heightened it turning into something like the Sanctuary of the Capo di Leuca, as it was in 1685. The coat of arms on the front door is the Capeces'. Inside, the frescos are expression of that simple faith that needed figures and symbols to make people understand, remember, pray. On the altar there is the most ancient image of the Madonna di Leuca with Jesus; the sinopia (before1682) is kept behind the painting by Franco Ventura (1989). In those years San Francesco da Paola and San Leonardo painted. In the XVIII century, frescos of saints dear to the
A Barbarano bisogna proprio volerci arrivare; poche le indicazioni per raggiungere questo piccolo centro, frazione di Morciano di Leuca. Stiamo parlando del Salento più profondo, non solo perché all'estremo sud, ma anche perché ancora radicato alle sue origini più genuine, quelle di quando quest'ultima propaggine di terra tra due Mari aveva un ruolo fondamentale, sia da un punto di vista economico che spirituale. Per alcuni secoli Barbarano ha rappresentato una tappa fondamentale per i molti pellegrini diretti al Santuario di Santa Maria di Leuca. Qua, infatti, si trova la chiesa dove i devoti sostavano prima di approdare alla meta del loro viaggio. L'edificio, affacciato sulla campagna, era in onore della Madonna di Leuca. Nuova veste alla chiesetta di campagna fu data a partire dal 1685, quando Don Annibale Francesco Capece, un sacerdote, cadetto della famiglia baronale, la scelse per dare ancor maggiore lustro al casato: rimasto profondamente colpito dal pellegrinaggio del 1682 della città di Gallipoli a Leuca, decise di offrire ai viandanti un punto di ristoro ospitale. Da cappella come tante, lungo la rotta dei pellegrini, diventò così chiesa fortificata, luogo di culto, ma anche d'allerta, rifugio e difesa per la popolazione: Don Annibale, alla struttura preesistente, aggiunse il pronao neoclassico, la innalzò e la portò a rassomigliare - per la caratteristica forma a capanna - al Santuario del Capo di Leuca, com'era nel 1685. Firma dei Capece è lo stemma che sormonta il portone d'ingresso. All'interno, gli affreschi sono espressione di quella fede semplice, che aveva bisogno di figure e simboli per
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Christian tradition were added along the outer walls. Nowadays, people can still see the four evangelists, joined by the acronym JHS, on the ceiling.There are few significant elements in the sacristy: no frills, only the candour of plastered walls where have been built two stone confessionals and a room with an original basin containing the water for the priest's ablutions before Mass. The history of the little church of Barbarano is linked to the one of the near Sanctuary. There was a period when the chapel seemed to dim the more famous Basilica's fame. It was when the Sanctuary was destroyed for the fifth time and the pilgrims instead of going there and leave their offers, preferred the small church in the country. The bishop of Alessano, who had the jurisdiction of the Sanctuary de Finibus Terrae, was disappointed because he thought of rebuilding a more imposing and solemn temple with the pilgrims' offers. So he turned to Rome and by the end of the XVIII century managed to name the religious building of Barbarano, Santa Maria di Leuca del Belvedere, so dispelling any possible misunderstanding. The complex built around the church increased the rural centre's importance: saying “Leuca Piccola”, people meant the group of services and structures built in order to offer adequate welcome. Ten arcades near the space for the weekly market were at craftsmen and sellers' disposal for the exhibition of products and works: among the arches there were some “windows” allowing the seller to leave his “niche”, counting on the watchful look of the man beside him. In 1709 some rooms for the carriages, two stables and an inn were built. The inn is famous for the 10 Ps
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capire, ricordare, pregare. Sull'altare c'è l'immagine più antica della Madonna di Leuca con Gesù; la sinopia - datata certamente prima del 1682 - è conservata dietro la tela di Franco Ventura del 1989. Negli anni di Don Annibale vengono dipinti San Francesco di Paola e San Leonardo. Nel '700, lungo le pareti perimetrali, si aggiungono gli affreschi di altri santi cari alla tradizione cristiana. Sulla volta, campeggiano i quattro evangelisti uniti dalla sigla JHS. Nella sacrestia, pochi significativi elementi. Nessun orpello, ma il candore di muri intonacati, dove furono ricavati due confessionali in pietra e un vano con un'originale pila, contente l'acqua per le abluzioni del sacerdote prima della messa. Si può ben dire che la storia della piccola chiesa di Barbarano sia strettamente legata a quella del vicino Santuario. Ci fu addirittura un periodo in cui sembrò che la cappella riuscisse ad offuscare la fama della ben più nota Basilica. Fu quando il Santuario venne distrutto per la quinta volta e i pellegrini, avendone avuto notizia, invece di raggiungerlo e lasciarvi le proprie offerte, cominciarono a preferire la chiesetta di campagna come ultima sosta del loro viaggio. Cosa inammissibile per il vescovo di Alessano, sotto la cui giurisdizione si trovava il Santuario de Finibus Terrae, che aveva in animo di rifare il tem-
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stone tablet: “Parole poco pensate portano pena perciò prima pensate poi parlate”, that is: “little thought words lead to sorrow so, think first, then speak”. There were more than 40 troughs, both indoors and outdoors, an evident sign of the great number of flow people, goods and animals. One of the basements of the church was a shelter for poor people. Pilgrims could find a pallet, water, bread and wine in that cave-cellar dug into the “carparo” (tufaceous rock). In the basements, inaugurated in 1688, there were three wells; one of them could be reached through a 52 meter underground passage and led outdoors so it could be used as an escape route in case of danger. Since the XIX century, Leuca Piccola had been neglected for a long period: three of the ten arcades had been pulled down, the church had been used as a store, barn, forge and the blows with the pickaxe, are evidence of an unproductive search of treasures. Now, thanks to a precious restoration work (1988), the church has been opened to the believers again and a new interest for that period when the Mediterranean Sea was the heart of the western world and Barbarano was the obligatory road for the pilgrims to the Sanctuary de Finibus Terrae has flourished again.
pio ancor più maestoso e solenne, contando sulle donazioni dei pellegrini. Rivoltosi a Roma, alla fine del Seicento, riuscì ad ottenere che l'edificio religioso di Barbarano venisse titolato Santa Maria di Leuca del Belvedere, fugando così possibili equivoci. Il complesso, cresciuto intorno alla chiesa, aveva aumentato la rilevanza del centro agricolo: dicendo “Leuca Piccola” si intendeva l'insieme di servizi e strutture realizzati per offrire adeguata accoglienza. Dieci arcate, a ridosso dello spazio destinato al mercato settimanale, erano a disposizione di mercanti e artigiani per la presentazione di prodotti e mestieri: tra un arco e l'altro erano state create delle “finestre” che permettevano di potersi allontanare dalla propria “nicchia”, contando sullo sguardo vigile del vicino. Nel 1709 furono costruiti dei locali per le carrozze dei signori, ai quali si erano aggiunte due scuderie ed una locanda, nota per la lapide delle 10 P “Parole poco pensate portano pena perciò prima pensate poi parlate”. Coperte e all'aperto si potevano contare oltre 40 mangiatoie, segno evidente del grande traffico di persone, merci e bestie. Per i meno abbienti la chiesa aveva adibito il suo sotterraneo a luogo di ricovero gratuito. I pellegrini, in questa grotta-cantina scavata nel carparo, trovavano a loro disposizione un giaciglio, acqua, pane e vino. Nei sotterranei, inaugurati nel 1688, c'erano tre pozzi; uno di questi, raggiungibile attraverso un cunicolo lungo 52 metri, aveva lo sbocco in aperta campagna e rappresentava un'efficace via di fuga, in caso di pericolo. A partire dall'800, Leuca Piccola è poi andata incontro ad un lungo periodo di abbandono, durante il quale è stata oggetto di saccheggi e scempi: dall'abbattimento di tre delle dieci arcate all'utilizzo della chiesa come deposito, fienile e fucina, fino alle picconate ai muri, a testimonianza di un'improduttiva ricerca di tesori. Grazie ad una preziosa opera di recupero, dal 1988 la Chiesa è stata riaperta al culto e ha risvegliato l'interesse per un tempo dimenticato, quando il Mediterraneo era il cuore del mondo occidentale e Barbarano era passaggio obbligato per i fedeli in cammino al Santuario de Finibus Terrae.
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CISTERNINO, apulia stove Your belvedere dominate the valley. Sated arches, alleys, stairs and stones singing in the tasty stove.
The dazzling white of the whitewashed walls. Among arches, small alleys and the blue sky. Cisternino embodies the whole poetry of the south. It looks out to the Valle d'Itria on one side and to the coast on the other side. You can get there: by plane: from Bari-Palese (85 kms) and Brindisi (45 kms) airports; by car, through the dual-carriage-way Bari-Lecce ,exit Cisternino, then by the provincial roads; by train from Bari by the South-East Railways. The legend tells that at the end of Troy war, Sturnoi, Diomed's friend, had founded this town. Then the Romans called it “Sturninum”. Maybe it was destroyed in 216 b.C. during Hannibal's incursions in Apulia. The built-up area came back to life in VIII century when a group of Basilian monks refugee from the eastern countries, noticed the ruins of the ancient town in that area. So they decided to build an abbey of Greek rite whose name was San Nicolò cis-Sturninum just where nowadays the matrix church of San Nicola da Patara rises. But even before Greeks and Romans, Cisternino was an important Messapic town: it still keeps the “specchie” (funeral monuments) and the “dolmen” (tombs and altars) of the pre-roman village. The houses of the old town have a typically oriental look so that it is considered the “casba” of Valle d'Itria: blind yards, hidden courts, outer small stairs connecting floors, arches and balconies full of flowers. Places where people can go over and create aggre-
CISTERNINO, fornello di Puglia
di Maurizio Marangelli
Belvedere il tuo lambire la valle. Arco, poi vicolo, scala e pietre che cantano sazie nel fornello di sapore.
Il bianco abbacinante delle mura a calce. Tra archi, vicoletti e azzurro cielo. Cisternino incarna tutta la poesia del sud. Si affaccia per un versante sulla Valle d'Itria e per l'altro sulla costa. Si raggiunge: in aereo, dagli aeroporti di Bari (85 km) e Brindisi (45 km); in auto, dalla superstrada Bari-Lecce, uscita Cisternino, quindi seguire le strade provinciali; in treno da Bari con le ferrovie Sud-Est. La leggenda vuole che, finita la guerra di Troia, Sturnoi, il compagno di Diomede, avrebbe fondato questo centro, poi chiamato dai Romani “Sturninumâ€?. Forse distrutto nel 216 a.C. durante le scorrerie di Annibale in Puglia, l'abitato tornò a vivere nell'ottavo secolo
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gation. Places giving a sense of community and neighbourhood; private and public places at the same time. It is the charm of the village: in summer afternoons it is beautiful strolling along the “chianche” (the typical stone pavement), among the special effects of the shades coming from the narrow alleys, the arches, the underpasses. The country scenery of the big valley with its trulli is incomparable. Some oriental religious movements have chosen it as the place for their communities. You can admire two beautiful stone sculptures by Stefano da Putignano and the tabernacle dedicated to the Madonna del cardellino in the Mother-church. The sanctuary of the Madonna d'Ibernia is very important for the local rites. It was built in about 1100: it incorporates the ruins of a pre-existing Basilian cenoby built near a preceding pagan temple dedicated to Cibele the goddess of fertility. The worship for the Madonna d'Ibernia, known as the Madonna of the eggs, symbols of procreation and abundance, comes from this cult. Even nowadays, in the spring celebration of 9th of April, people take as a gift the “chirruchele” (from latin auguraculum, propitiatory gift) to the sanctuary, it is the same cake the pagan children offered Cibele in order to endear themselves fecundity. The “Porta Grande” of Norman origins representing the main gate to the old village, the Bishop's palace (1560), the Governor's palace, some ancient aristocracy's palaces, the
quando un gruppo di monaci basiliani
profughi dall'Oriente
notarono in queste contrade le rovine dell'antico centro. E così vollero edificare una badia di rito greco
che
chiamarono
San
Nicolò cis-Sturninum, proprio dove oggi sorge la chiesa matrice di San Nicola di Patara. Ma prima ancora che abitato dei Greci e dei Romani, Cisternino fu un importante centro di origine messapica: del villaggio preromano conserva ancora le “specchie” (monumenti funebri) e i “dolmen” (tombe e altari). Le case del suo centro storico hanno un aspetto tipicamente orientale tanto da farne l'abbagliante casba della Valle d'Itria: cortili ciechi, corti nascoste, scalette esterne per collegare i piani, archi e balconi fioriti. Spazi dove ci si può affacciare, dove si crea aggregazione, spazi condivisi che danno un senso della comunanza e del vicinato; spazi insieme pubblici e privati. E' la suggestione del borgo: nei pomeriggi estivi è bello passeggiare sulle “chianche” (la tipica pavimentazione in pietra), nel gioco di ombre che scaturisce dalle viuzze strette, dagli archi, dai sottopassi. Incomparabile il panorama che offre lo scenario campestre della grande valle punteggiata dai trulli, apprezzata anche da movimenti religiosi orientali che ne hanno fatto la meta delle loro comunità. Nella chiesa madre da ammirare le due magnifiche sculture in pietra viva di Stefano da Putignano e il tabernacolo dedicato alla Madonna del cardellino. Importante per il culto
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baroque St. Cataldo's Church (1783) are all worthy of note. There are also very interesting cultural and musical performances for the exhibition “Pietre che cantano”. It is in July, in the town's square and it is the main observatory of the new regional artistic trends. The characteristic handmade products are made of wood, wroughtiron and stone by local craftsmen: baskets and rosaries are real artistic creations. For human beings, a new dish is more precious than a new star, and in Cisternino you will be able to pick and choose friselle, cheese (above all cacioricotta), extra virgin olive oil, DOC wines and charcuteries (the best is capocollo). The smell of meat, cooked over charcoal, is heady; meat is grilled and served by the butcher himself: don't miss the roasted sausage and the “ghummeredde” (roulades of entrails) festival on 21st and 22nd July. It is called “il fornello”. An interesting and unique gastronomic experience for people coming to Apulia.
locale
il
santuario
della
Madonna
d'Ibernia,
sorto
intorno al 1100, che incorpora i resti di un preesistente cenobio basiliano, costruito non distante da un precedente tempio pagano dedicato alla dea della fertilità Cibele. Di qui la venerazione per la Madonna d'Ibernia, detta anche delle “uova”, cioè della procreazione e dell'abbondanza. Al suo santuario ancora oggi viene portato in dono, nella festa primaverile del 9 aprile, lo stesso dolce, il “chirruchele” (dal latino auguraculum, dono propiziatorio), che i fanciulli pagani offrivano a Cibele per propiziarsi la fecondità. Meritano una sosta anche la Porta Grande di origine normanna, che rappresentava la principale porta di accesso al borgo antico; il palazzo vescovile realizzato nel 1560; il palazzo del governatore; alcuni palazzotti di famiglie nobili; la chiesa di San Cataldo, completata nel 1783 in stile barocco. Interessanti gli appuntamenti culturali e musicali in occasione della rassegna “Pietre che cantano”, che si tiene a luglio nella piazza principale del paese ed è diventata il principale osservatorio delle nuove tendenze artistiche regionali. Caratteristici i manufatti realizzati dagli artigiani del borgo, prodotti in legno, in ferro battuto, in pietra, autentiche creazioni artistiche come ceste e rosari. Per il genere umano la scoperta di un piatto nuovo è più preziosa della scoperta di una nuova stella. E a Cisternino cattivo cuoco è colui che non sa leccarsi le dita, tanto è l'imbarazzo della scelta in una cucina tipica e di qualità, tra friselle, formaggi (il cacioricotta su tutti), olio extravergine d'oliva, vino Doc e salumi (ottimo il capocollo). Inebriante nei vicoli il profumo della carne alla brace che viene arrostita direttamente in macelleria e servita cotta come si vuole: da non perdere il 21 e 22 luglio la sagra della salsiccia arrosto e delle “ghummeredde”, involtini fatti con le interiora. Da queste parti si chiama “il fornello”, un'esperienza unica nel suo genere, tappa gastronomica obbligata per chi viene in Puglia.
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Petals Petal after petal, I looked for gerberas, lisianthuses, curcumas in the king's garden. I picked them up for you and then tied in a bundle, now disappeared.
You had to write the word: THE END. You were accountable for it now, after one year passed since the last day. He gave you a huge bunch of flowers: gerberas, curcumas and lisianthuses. Intense orange gerberas like the sunsets on the Ionian sea you looked at, together, everyday from different coasts. Vivid pink curcumas like the sky above the earth you went rapidly along, by your bike towards different destinations. Bright pale lisianthuses like the dawns on the Adriatic Sea you looked at, following skylines from different shores. You looked at those flowers for hours, days, until they withered, dead, tormented because they did not give you any smile. You looked at the gerberas, simple and double flowers, 10-12 centimetre small suns, with their rays lighting up the dark rooms of your heart. You felt their warmth fading away, little by little; you admired them bowing their corolla on their stem worn by the water. You gazed at the curcuma's bracts turning yellow, hour after hour, becoming brown from the top to the middle, losing its life slowly, in the end capitulating on the wood. You gazed at the lisianthus folding up its petals, hiding from the light, trying to avoid its destiny, in vain. That bunch of flowers reminded you your land, Apulia, its colours, its urges. It was not difficult for you to understand that those flowers came from Salento, from the floricultural concerns in Taviano, small town near Gallipoli, between the red and fertile soil and the blue and fecund sea.
PETALI di Gisella Della Monaca
Petalo dopo petalo ho frugato nel giardino del re. Gerbere, lisianthus, curcuma. Li ho raccolti per te, li ho legati in un mazzo che adesso non c'è.
Dovevi scrivere la parola FINE. Te ne rendevi conto ora che un anno era trascorso da quell'ultimo giorno. Ti aveva lasciato un enorme fascio di fiori: gerbere, curcuma e lisianthus. Gerbere arancio intenso come i tramonti sullo Ionio che osservavate insieme da coste ogni giorno diverse. Curcuma rosa acceso come il cielo parallelo alla terra che scorreva rapida, percorsa dalla sua motocicletta con voi a sfrecciare verso mete diverse. Lisianthus chiaro luminoso come l'albore sull'Adriatico che guardavate insieme inseguendo profili di sponde diverse. Li avevi osservati quei fiori, a lungo, per ore, per giorni fino a vederli appassire, morire, straziati per non averti potuto donare un sorriso. Avevi guardato le gerbere, fiori semplici e doppi, piccoli “sole� di 10-12 cm, raggi ad illuminare buie stanze del tuo cuore. Avevi sentito il loro calore spegnersi pian piano; ammirato il lento reclinare della corolla sul gambo consunto dall'acqua. Avevi contemplato la curcuma, ora dopo ora ingiallirsi le brattee, dalla punta verso il centro divenire marroni, perdere la vita lentamente capitolando infine sul legno. Avevi fissato il lisianthus ripiegare i petali, nascondersi alla luce del tempo cercando invano di sottrarsi al suo destino. Quel fascio di fiori ti ricordava la tua terra, la tua Puglia, i suoi colori, le sue pulsioni. Non fu difficile scoprire, per te, che quei fiori venivano dal Salento, dalle aziende florivivaiste di Taviano, piccolo centro sospeso, a pochi chilometri da Gallipoli, tra la terra rossa e fertile e il mare blu e fecondo. Le serre
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The glasshouses interrupted the vineyards, the immense glares of skies interrupted the oliveyards and, then, Marina di Mancaversa where flowers were welcome as protagonists of charming summer exhibitions. It was not difficult for you to remind your “visits”, looking for unique and unrepeatable photos, shots stolen from nature's silences, from the outcries of the exhibitions, from humankind's feelings. There were also the greenhouses among the destinations of your trips, the pure air of the sheds, the kilometres of pipes for the irrigation, the vases for bulbs and plants, and flowers were endless variations of colours. Two years ago, gerberas, curcumas, lisianthuses suddenly attracted his attention in that warm September afternoon, when the only colour you were interested in was the red of your passion. You took photos of gerberas, curcumas, lisianthuses from any angle with different photographic lenses, so many shots with a Canon Eos 350 Reflex and a Canon 300 Digital among the astonishment of the operators watching your unexpected ridiculous show. They took you under the sheds, telling the difficult choice of being floriculturists. Quietly, they explained to you the perils of their hard, tiring, unprofitable work. Relaxed, they touched lightly their flowers, showing an inexhaustible passion for their work. Proudly, they spoke of the Gerberas, native to Africa and Eastern Asia, of the seventy existing species, of the Jamesonii with its lobate leaves; with different coloured isolated flowers. Proudly, they explained the forty species of the Curcuma genus, native to Asia and Australia, of the “alismatifoglia” with its slightly curved, bright, light green, long lanceolate leaves; with pink big flowers. Skilfully, they told you about the Lisianthus, species native to the Far East and about the splendid hybrids got from the Japanese by the beginning of the 80s with delicate pink, white, blue flowers.
a interrompere profili di vigneti, riflessi immensi di cieli a troncare gli uliveti, e poi la Marina di Mancaversa ogni estate ad ospitare i fiori protagonisti di suggestive rassegne. Non fu difficile per te ricordare le vostre “visite� in cerca di istantanee uniche e irripetibili, gli scatti rubati ai silenzi della natura, al clamore delle manifestazioni, ai sentimenti degli uomini. C'erano anche le serre tra le mete delle vostre escursioni, l'aria pura dei capannoni, i chilometri di tubi per l'irrigazione, i vasi per i bulbi e le piante e i fiori, interminabili variazioni di tinte. Gerbere, curcuma, lisianthus, avevano subito attirato la sua attenzione quel caldo pomeriggio di settembre di due anni prima, quando l'unico colore che vi interessava era il
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rosso della vostra passione. Gerbere, curcuma, lisianthus, ripresi da ogni angolo con tanti obiettivi diversi, moltitudine di scatti di una Canon Eos 350 Reflex e di una Canon 300
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You looked at that bunch of flowers for days, you saw it describing a descendant arch towards the floor. You had seen their colours fading away, their leaves shrivelling, their stems decomposing. Gerberas, curcumas, lisianthuses dying. Now a year has passed and you want to write the END. And to start again.
Digitale, tra lo stupore attonito degli operatori fermi ad osservare l'inaspettato ridicolo vostro spettacolo. Vi avevano accompagnato sotto i capannoni, pazienti, poi lungo i “filari”, sereni vi avevano raccontato la difficile scelta di diventare floricoltori. Tranquilli, vi avevano esposto le insidie del mestiere duro, faticoso e poco remunerativo. Rilassati avevano sfiorato i loro fiori rivelando una passione inesauribile per il loro lavoro. Fieri avevano parlato delle Gerbere originarie dell'Africa e dell'Asia orientale, delle settanta specie esistenti, della Jamesonii dalle foglie lobate, internamente tormentose, dai fiori isolati e dai vari colori. Inorgogliti avevano illustrato le quaranta specie del genere Curcuma, originaria dell'Asia e dell'Australia, della “alismatifolia” dalle lunghe foglie lanceolate, leggermente rigide, lucide, di colore verde chiaro, dai grandi fiori rosati di forma molto particolare. Sicuri avevano narrato del Lisianthus, specie originaria dell'estremo oriente e degli splendidi ibridi ottenuti dai Giapponesi all'inizio degli anni ottanta, dai delicati fiori rosa, bianco e blu. Lo avevi osservato per giorni quel fascio di fiori, lo avevi visto disegnare un arco discendente verso terra. Avevi visto spegnere i colori, accartocciarsi le foglie, decomporsi gli steli. Gerbere, curcuma, lisianthus morire. Ora che un anno è trascorso vuoi scrivere Fine. E ricominciare.
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Capocollo, gusto perpetuo di Gisella Della Monaca Slow handling of salt and spices. Then a dip in
Lento maneggiare di spezie e sale. Poi il tuffo nel vino
the orange flavoured wine. Capocollo from
e un'arancia a profumare. Capocollo di Martina
Martina Franca: taste protection.
Franca, presidio di gusto.
Lean out of the terraces on the charming hills and look at the white houses, the historical residences, the atavistic farms, the night lights of the sleeping towns of Valle d'Itria. There you will find Martina Franca with its intact old town and its baroque, in the middle of three provinces, Bari, Brindisi and Taranto, in the land between the Ionian Sea and the Adriatic Sea at 431 metres above sea level. In the winter fog it is charming following the intense smell of herbs spicing the smoking of capocollo. Unmistakable taste: your lingual papillae will single out the long procedure: from simple pork to unique Capocollo from Martina Franca. The clever and expert hands of producers massage the selected meat (the upper portion of the neck muscles of local pig weighing about 1.5 kilos) with coarse salt, pounded pepper and chopped herbs: rosemary, laurel, sage, myrtle and juniper berries. An energetic massage in order to empty blood vessels and distribute salt into tissues. The salted meat must stand for at least 15 days and each 2 days it must be controlled, turned upside down, massaged until salt, pepper and herbs penetrate all tissue fibres. Then capocollo is soaked in flavoured wine for 24 hours and “sacked� in
Dalle terrazze sulle colline suggestive visioni di valli. Affacciarsi per scorgere le bianche case, le dimore storiche, le ataviche masserie, le luci notturne delle città dormienti della Valle d'Itria. E al centro di tre province, di Bari, di Brindisi, di Taranto, nel mezzo della terra tra Ionio e Adriatico, a 431 metri sul livello del mare, trovare Martina Franca con il suo centro storico intatto e il barocco. Nella nebbia invernale lasciarsi guidare dall'odore intenso di erbe ad aromatizzare l'affumicatura del capocollo. Inconfondibile al gusto, le papille della vostra lingua individueranno il lungo percorso: da semplice carne di maiale ad unico Capocollo di Martina Franca. Selezionate le carni, porzione superiore dei muscoli del collo di suino locale del peso di circa 1,5 kg, le abili ed esperte mani dei produttori le massaggiano utilizzando sale grosso, pepe spezzato ed un trito di erbe aromatiche: rosmarino, alloro, salvia, bacche di mirto e di ginepro. Massaggio energico a svuotare i vasi sanguigni e a distribuire il sale nei tessuti con amore. Per almeno 15 giorni le carni salate a riposare, e ogni due giorni controllate, capovolte, massaggiate, il sale, il pepe, le erbe a penetrare in profondità, in ogni fibra dei tessuti. Inabissamento, nel vino aromatizzato, per 24 ore. Poi “l'insacco” del capocollo in budello naturale, il tratto “cieco” dell'intestino di suino, preparato con una lunga immersione di 48 ore in aceto e vino profumati con scorza di arancia. Il budello serrato intorno alla carne viene forato in più punti per favorire l'asciugatura e la traspirazione. Poi le fasi più complicate. Il capocollo viene avvolto in teli di cotone o di lino per favo-
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natural bowel, the pig's caecum piece, treated with a 48 hours dipping in orange flavoured wine and vinegar. The bowel is tight around the meat and pierced in various parts to allow drying and perspiration. Then, the most complicated phases: capocollo is wrapped in cotton or linen pieces of cloth in order to allow the absorption of the fluid and it is tied up in order to help the adhesion of the bowel to the meat: this is the critical phase of the gradual drying.
rire l'assorbimento del liquido di colio e legato per agevolare l'adesione del budello alla carne: inizia la fase critica dell'asciugatura graduale. Ormai “asciutto”, il prodotto viene slegato e, eliminato il telo, si procede all'affumicatura. Rami di timo, mortella, alloro, pezzi di corteccia, rami e foglie secche di quercia di fragno, a volte il mallo secco e i gusci delle mandorle, lenta combustione incompleta e gli aromi, sprigionati nel fumo filtrato, raggiungono il capocollo appeso ad attendere in apposite camere. È in questa fase che si decide il gusto del capocollo che varia col variare della permanenza per l'affumicatura. Infine la stagionatura nei trulli di campagna o in cave naturali per 6 o 12 mesi. Il Capocollo di Martina Franca è pronto per essere degustato: sapore pieno, giusta sapidità, retrogusto acidulo e aromatico. Sentori leggermente minerali uniti al flavour delle spezie per un odore inconfondibile. Fette compatte con sottili fessurazioni in corrispon-
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When it is dried, the product is untied and smoked when the piece of cloth is removed. Thyme branches, myrtle, laurel, pieces of bark, oak branches and withered leaves, sometimes
dry
hull
and
almond shells have a slow incomplete combustion and their aromas, emitted in the filtered smoke are joined to capocollo hung in special rooms. In this phase it is decided on capocollo taste: it varies according to the varying of the permanence for the smoking. In the end, there is the seasoning in trulli or in natural quarries for 6 or 12 months. Capocollo of Martina Franca is ready to be tasted: full taste, perfect sapidity, acidulous and aromatic aftertaste. Lightly mineral smells with the spices flavour for an unmistakable aroma. Compact slices with thin crackings corresponding to the veinings. A unique and inimitable product, a Slow Food protection, capocollo of Martina Franca conquers the most exigent gourmands. It is impossible not to surrender to the taste of ancient stories, of past memories, taste of land, sea, sun, fogs, of perfumed seasons, Mediterranean plants, of Balkans. Taste of tradition, of gestures, of experience, of wisdom. Taste of stone quarries, of wine, of autochthon vineyards. A long procedure turns a piece of pork into a splendid capocollo: clever hands massage it, spice smells form it, drying distinguishes it, seasoning matures it, perfect degree of humidity makes it unique. Love, passion, care surround Capocollo of Martina franca. With the same care and intensity the consumer should approach “Chepecudde”. Capocollo slices and a glass of red “Primitivo” wine. You could taste them peacefully gone over Valle d'Itria, looking at trulli and farms. You could even see grazing pigs feeding of acorns, roots and other elements of the underwood, in the oak forests. Thus you would understand the Taste of Capocollo: Valle d'Itria Taste.
denza delle marezzature. Un prodotto unico e inimitabile, presidio Slow Food, il capocollo di Martina Franca conquista il palato più esigente. Impossibile non cedere al sapore di antiche storie, di ricordi del passato, sapore di terra, di mare, di sole, di nebbie, di stagioni odorose, di piante mediterranee, di Balcani. Sapore di tradizione, di gesti, di esperienza, di sapienza. Sapore di cave di pietra, di vino, di vitigni autoctoni. Un lungo processo trasforma un “pezzo” di suino in uno splendido capocollo: le mani esperte lo massaggiano, gli odori delle spezie lo formano, l'affumicatura lo distingue, la stagionatura lo matura, il giusto grado di umidità lo rende unico. Amore, passione, attenzione circondano il Capocollo di Martina Franca. Con la stessa cura e intensità il consumatore dovrebbe accostarsi al “Chepecudde”. Fette di capocollo e un bicchiere di vino rosso primitivo. Potreste degustarli serenamente “affacciati” sulla Valle d'Itria osservando i trulli, le masserie. Potreste anche vedere, nei boschi di alberi di fragno, suini al pascolo cibarsi di ghiande, radici e di altri elementi del sottobosco. Comprendereste così il sapore del capocollo: sapore di Valle d'Itria.
PIERANGELO COLUCCI, drums of author Popular music belongs to people so they have the right to express themselves by it; not art for few lucky talented people, but a real language to be learnt in order to communicate since birth. These assessments belong to the syllabuses of music education at various levels, but, although right and shareable ones, they lead to unlikely solvable misunderstandings. Are these equations right? Simple=easy, conciseness=sterility, melodic and rhythmic iteration with microvariations= boredom? If folk music and song are so simple to be performed, why does community recognize the title of “bravo” only to someone? The artistic-expressive validity of folk song is the fruit of the group's collective instinct that has filtered the individual contribution through its musical feeling, joining the artistic perfection. Folk song expresses the community's musical ideas in the most perfect way and in the most synthetic form. In Salento nowadays traditional music is a very lively and varied expression, linked to the sceneries of daily and festive community life. Many Salentine people go on communicating through musical forms inherited by the past traditions simply because they find in them the right means to express themselves within their contemporary reality, functional to their way of living and staying together, right to express their own identity. But the changes of living and communicating, such as festivals, radio and TV programmes about traditional music and the easiness of recording songs and music, have produced new performable occasions and contests besides the religious and profane feasts. The availability of free time allows many performers to specialize, so increasing the level of the pure musical technique. The phenomenon is at the basis of the widespread tendency for the forming of performing groups acting in semi professional ways. In this phase, when folk song and music lose their original function and become concert and show “pieces” how can the performer get his bearings? Those who turn to folk music look for a cultural identity in their roots where the collective expression is protected by the anonymity that can be recognized only by the community *Daniele Durante, got a diploma as a guitar player at the Academy of music and then took a degree in philosophy. He's officially interested in folk music since February 1975,when the “Canzoniere Grecanico Salentino” (the most famous folk music group in Puglia) was born. He attended to all the group's arrangements, elaborations and moreover composed their unpublished pieces. He is a permanent state Music teacher and he also is a teacher in the Specialized Course of music and trance of the “Sociology of the religions” course, in the University of Lecce. He promotes the institution of a triennal course of folk music in the Academy of music of Lecce, where he actually teaches “Music of the whole” and “History and aesthetic of folk music”. He's also the author of several publications.
itself, geographically defined. But the professional musician will naturally look for his own expressive way that will lead him to
PIERANGELO COLUCCI, percussioni d’autore di Daniele Durante La musica popolare è di tutti, pertanto tutti hanno il diritto di esprimersi con essa; non arte per pochi fortunati dotati da Madre Natura, bensì una vera e propria lingua da apprendere fin dalla nascita per comunicare. Queste affermazioni entrate anche nei programmi di educazione alla musica nei vari livelli, pur essendo giuste e condivisibili, lasciano però spazio ad equivoci difficilmente risolvibili. Sono giuste le equazioni: semplice = facile, sinteticità = sterilità, iterazione melodica e ritmica con microvariazioni = noia? Se la musica e il canto popolare è così semplice da eseguire, come mai la comuni-
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tà riconosce solo ad alcuni il titolo di “bravo”? La validitá artistico-espressiva del canto popolare é frutto dell'istinto collettivo del gruppo, che ha filtrato l'apporto dell'individuo attraverso la sua sensibilitá musicale, raggiungendo attraverso un'opera di paziente limatura la perfezione artistica. Il canto popolare infatti riesce ad esprimere nel modo piú perfetto e nella forma piú sintetica le idee musicali della comunità. Nel salento la musica tradizionale è al giorno d'oggi un'espressione assai viva e variegata, connessa con gli scenari della vita comunitaria quotidiana e festiva. Molti salentini continuano a comunicare attraverso forme musicali ereditate dalla tradizione del passato semplicemente perché trovano in esse un mezzo idoneo ad esprimere se stessi all'interno della loro realtà contemporanea, funzionale al loro modo di vivere e di stare con gli altri, adeguato a manifestare la propria identità. Accade però che accanto agli scenari esecutivi più tipici della tradizione, come le feste religiose e profane, si siano definiti nuove occasioni e nuovi contesti esecutivi, adattatisi al mutare dei modi di vita e della comunicazione: è il caso ad esempio dei vari festivals, delle trasmissioni televisive o radiofoniche incentrate sulla musica tradizionale o del frequente ricorso all'incisione discografica da parte di molti cantori e suonatori. La maggiore disponibilità di tempo libero dal lavoro permette a molti esecutori di specializzarsi in modi sconosciuti nel passato, elevando mediamente il livello della pura tecnica musicale. Il fenomeno è alla base della diffusa tendenza alla formazione di gruppi di
*Daniele Durante, si diploma al Conservatorio in chitarra e si laurea in filosofia. Si interessa ufficialmente di musica popolare con la nascita, nel febbraio del ‘75 del Canzoniere Grecanico Salentino (il più noto gruppo pugliese di musica popolare) firmandone gli arrangiamenti, elaborazioni e componendone i brani inediti. È docente di ruolo di ed. musicale. Tiene il corso monografico sulle musiche e transe per l'insegnamento di “sociologia delle religioni” presso l'università degli studi di Lecce. Promuove l'istituzione del corso triennale di musica popolare presso il conservatorio di Lecce, dove insegna “musica d'insieme” e “storia ed estetica della musica popolare”. È autore di numerose pubblicazioni.
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draw away from the community so, on one hand, he risks to be crushed by the conviction that sees in the preserving of traditions the validity of the identity itself and, on the other hand, the dramatically losing in the stifling vortex of the search of freedom. Folk music is as dangerous as a double-edged sword: it is not enough to be authentically creative and, without it, abstraction is a risk, not properly the artistic one but the one of the reference points of one's identity (the roots). The Maestro Pierangelo Colucci has been perfect in finding a balance between tradition and innovation and in his working on tambourines. In Salento the main instrument of folk music is tambourine and there are hundreds tamburino players who exhibit more or less good technique on the instrument. Some of them assert they have learnt this art from their fathers or grandfathers, but I think it is impossible they can do what their grandfathers weren't able to do and all this proliferation of grandfathers playing tambourine is quite doubtful. Instead it is doubtless that Mrs Cosima Colucci, Pierangelo's grandmother, was an expert tamburino player from whom he learnt the rudiments of the instrument but he perfected the technique studying with Arab, Egyptian, Cuban, Brazilian maestros, devoting it even more than five hours a day. At the same time he visits places and cultural contests where tambourines are protagonists, in order to understand their functions and learn their technique. He made all of this for passion in fact he has a degree in law and his father was a notary so he had an economically secure future, but Pierangelo wanted to give dignity to this instrument to show all the infinite possibilities of rhythmic and tone-colour combinations. His collaboration with famous artists and bands such as Eugenio Bennato and Musica Nova, Beppe and Concetta Barra, Glen Velez and Nabil Kaiat… are numerous. He introduces the “solo” at his shows and is the reference point of all the Apulian tambourine players, nobody had played this way before him and from then on everybody imitated Pierangelo. All the tambourine players from Salento performing “solos”, owe something to Pierangelo Colucci. Thanks Pierangelo for not being a notary!
esecutori stabili che operano in modi semiprofessionali. In questa fase, quando il canto e la musica popolare perdono la funzione originaria, la “destinazione d'uso” e diventano “pezzi” da concerto e spettacolo, come deve orientarsi l'esecutore? Chi si rivolge alla musica popolare, ricerca un'identità culturale nelle radici, dove l'espressione collettiva è protetta dal manto sicuro di un anonimato che si lascia riconoscere nella collettività stessa solo geograficamente definita. Chi suona però per professione, è naturalmente portato a tentare una propria strada espressiva, che lo porterà ad allontanarsi dalla collettività, per cui da una parte si rischia di restare stritolati dal pensiero che vede nella conservazione delle tradizioni la validità della stessa identità e dall'altra il perdersi drammaticamente nel gorgo soffocante per una ricerca di libertà senza storia. La musica popolare è pericolosa
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come un'arma a doppio taglio, da sola non basta per essere autentici e autenticamente creativi, però senza si rischia l'astrazione, l'astrazione non propriamente artistica, quella dei punti di riferimento della propria identità (radici). Esemplare nel trovare il giusto equilibrio fra tradizione e innovazione è stato il Maestro Pierangelo Colucci ed il lavoro da lui fatto sui tamburi a cornice. Nel salento lo strumento principe della musica di riproposta popolare è il tamburello e sono centinaia i tamburellisti che salgono sui palchi facendo mostra della tecnica, più o meno buona, acquisita allo strumento. Alcuni di essi sostengono di aver appreso direttamente dai padri, nonni o parenti l'arte del tamburellare, ma avendo eseguito ricerche dagli anni '70 in poi mi sembra strano che i giovani tamburellisti abbiano potuto apprendere dai nonni quello che gli stessi nonni non sapevano fare, e poi questo proliferare di nonni tamburellisti mi fa sorgere più di qualche dubbio. Non vi è dubbio, invece, che la signora Cosima Colucci, nonna di Pierangelo fosse un'esperta tamburellista da cui apprese i rudimenti sullo strumento, ma lo ha poi perfezionato studiando con maestri arabi, egiziani, cubani, brasiliani, dedicandogli, costantemente, anche più di cinque ore al giorno. Contemporaneamente si reca nei territori e contesti culturali dove i tamburi a cornice sono protagonisti, per capirne le funzioni, oltre che acquisirne la tecnica. E tutto questo per scelta di vita, visto che Pierangelo si era laureato a Bari in giurisprudenza e suo padre faceva il notaio, per questo avrebbe avuto un sicuro (dal punto di vista economico) avvenire. Pierangelo vuole dare dignità al tamburello e far capire che questo strumento ha infinite possibilità di combinazioni ritmiche e timbriche, numerose le sue collaborazioni con artisti e gruppi di livello nazionale ed internazionale: Eugenio Bennato e Musica Nova, Beppe e Concetta Barra, Glen Velez e Nabil Kaiat… Introduce il “solo” al tamburello nei suoi spettacoli e diventa il punto di riferimento di tutti i tamburellisti pugliesi, mai nessuno prima di allora aveva visto suonare così, e da allora in poi tutti, imitarono Pierangelo. Tutti i tamburellisti salentini che oggi salgono sul palco esibendosi in un “solo”, devono qualcosa, direttamente o indirettamente, a Pierangelo Colucci. Grazie Pierangelo per non aver fatto il notaio!
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