L'ACCADEMIA Speciale diete - Marzo 06
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Diete per tutti
Fat Wars
di Marco Tullio Cau
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ell’astronauta, del fantino, del pompelmo, liquida, carne ed acqua…ed ora la “zona”, 40-30-30…nuovi nomi per la soluzione ad un vecchio problema? In parte sì, in parte no: alcune delle diete sopracitate erano e sono altamente sbilanciate, la maggior parte in favore della quota protidica. Alcune, poi, eliminano la frazione glicidica quasi totalmente, abbinando dosi medio-elevate di proteine e grassi…apriti cielo: orde di nutrizionisti hanno lanciato il loro anatema su questo tipo di alimentazione! In gran parte ha ragione: in effetti i lipidi (o meglio alcuni lipidi) oltre ad avere la ratio caloria/peso più elevata (1gr/9kcal) e ad avere effetto termico minore di altri nutrienti, creano anche numerosi problemi alla salute umana. Ma è dalla prima argomentazione a sfavore dei lipidi che nasce la quasi atavica paura dei bodybuilders ad ingerire anche la minima dose di questo nutriente: ora le cose stan cambiando, anche grazie alla popolarità delle diete che vengono qui trattate, ma per anni ci siamo nutriti di chiare d’uovo e abbiamo evitato l’olio come fosse un veleno… Io stesso, vent’anni fa, ho pagato un prezzo alle tendenze in voga all’epoca e la mia vista ha sofferto d’una troppo lunga e meticolosa (…maniacale) rinuncia ad ogni tipo di grasso visibile. La realtà è che, come sopra citato, alcuni grassi non solo non sono nocivi, ma sono di fondamentale importanza, più precisamente i grassi mono e polinsaturi. Non sta a me magnificare le doti degli alimenti che contengono quest’importanti nutrienti, ma il loro contributo alla salute umana ed anche alla performance sportiva viene sempre più evidenziato da studi che si susseguono in ogni parte del mondo. Altrettanto evidenti sono però i danni che i grassi saturi, se presi in eccesso, ci recano, ma anche in questo caso lascio ad altri una trattazione più esaustiva. Quindi il “nemico” che abbiamo combattuto per anni può invece diventare, se adeguatamente adoperato, divenire un prezioso alleato nell’immediato per la nostra forma fisica ma anche, cosa più importante, aiutarci a mantenere a lungo una salute invidiabile. L’argomento proteine è ancora più complesso, e sicuramente più controverso, dato che il BB medio ne assume quantitativi che la maggior parte dei nutrizionisti considera a dir poco eccessivi. Alcuni illuminati professionisti però -cito il noto Prof. Lemon- hanno dimostrato con i loro studi che atleti che usano i sovraccarichi con un’ elevata intensità d’allenamento necessitano di dosi di proteine più elevate di quelle (0.8 gr/kg) raccomandate dai vari enti governativi...ma la “battaglia” è ben lontana dal terminare. Come già indicato, non voglio dilungarmi troppo sugli aspetti tecnici, anche se un accenno al tanto temuto spauracchio rappresentato dai famigerati grassi era doveroso proprio per la sua valenza emotiva. Venendo ad altri aspetti della guerra al dimagrimento, non possiamo non notare l’enorme importanza che ha conquistato, tale da divenire uno dei businesses più redditizi: stanno infatti spuntando come funghi numerosi centri dimagranti che promettono miracoli a prezzo
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dilazionato ed anche l’editoria sta cavalcando l’onda montante del fenomeno. Ad esempio, proprio uno dei tanti giornali che s’interessano dell’argomento ha pubblicato un sondaggio dal quale si può evincere come la stragrande maggioranza della popolazione-78%-segua (od abbia seguito) un regime dietetico e di questi la maggior parte (oltre il 70%) sia di sesso femminile...ma quando ai soggetti è stato chiesto se avessero conseguito un successo duraturo, la percentuale degli scontenti è schizzata addirittura all’84%! I perchè di questo insuccesso sono tanti...alcuni di carattere tecnico, altri, addirittura, di carattere sociale...ma trattarli esaurientemente richiederebbe molto più spazio di quanto il caro Massimo Spattini può concedermi! Possiamo però occuparci di aspetti più “materiali”, come ad esempio il non dare retta agli amici od alle persone care! Anche se chiedere l’aiuto di chi ci è a vario titolo vicino può creare un ambiente particolarmente conduttivo al conseguimento degl’obiettivi che ci prefiggiamo, le stesse persone possono anche crearci degli ostacoli insormontabili. Chi, rifiutando una fumante carbonara od una succulenta pizza, non si è sentito dire:” ma chi te lo fa fare..si vive una volta sola”, “mangiare è uno dei piaceri della vita”, “poi non sei grasso per niente, (e contraddicendosi) “mi piace la tua pancetta” (salvo poi spalancare gli occhi sul Costantino di turno!) Che quanto sopra esposto avvenga perché gl’interlocutori sono in buona fede o perché sono gelosi e il nostro migliorare li mette in crisi o, tristemente, perché sono invidiosi delle nostre linea e volontà...poco importa...far vacillare decisioni già difficili di per sé è molto, molto facile. Provate: se vedete che amici e parenti vi “reggono il gioco” e v’aiutano, continuate a renderli partecipi dei vostri intendimenti, altrimenti fortificatevi tacendo, usando magari scuse del tipo:” ho già mangiato” o “ora non ho proprio appetito”. Oltre ad ottenere i risultati che perseguite, sarete capaci di protrarli nel tempo, dato che è provato scientificamente che la consapevolezza di poter contare su se stessi e di essere riusciti a raggiungere un traguardo con le proprie forze è un potente viatico per il proprio senso del sè e dell’auto-efficacia. L’aspetto olfattivo e visivo del cibo è un’altro aspetto trascurato...i nostri sensi possono venirci in aiuto nel moderare l’iperfagia di cui spesso cadiamo vittime, e un inquadramento del problema sotto questa angolazione sarà sicuramente argomento da approfondire in futuro. Anche l’idea di mettere un inizio ed una fine ben precisi alla nostra famosa dieta può rivelarsi controproducente: da una parte porsi delle scadenze è uno dei segreti del goal setting, dall’altra dobbiamo entrare nell’ordine d’idee di cambiare radicalmente mentalità. “Dieta” è un modo di mangiare, non una punizione: i regimi draconiani hanno insito nella loro eccessiva durezza un fallimento certo..solo imparando la corretta nutrizione ed alimentandoci secondo i giusti principi che da essa derivano potremo vivere una vita sana ed a mantenere una perfetta forma... Allora, cari lettori, continuate a leggerci e compirete così, numero dopo numero, un nuovo passo verso l’agognata meta.
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Veniamo al dunque: i principali cibi che compongono la dieta mediterranea (e che stanno alla base della piramide alimentare) apportano carboidrati complessi e questi sono pasta, riso, vari tipi di cereali (meglio se integrali) che, se cotti al dente e mangiati in quantità idonee al proprio fabbisogno energetico giornaliero, risultano essere a medio indice glicemico (l’indice glicemico è la misura della velocità con cui un alimento assunto fa crescere i livelli di glucosio nel sangue; studi dimostrano che l’apporto di alimenti a medio-basso indice glicemico sia legato a minori incidenze di malattie). Non dimentichiamoci poi dei legumi (che devono invece essere ben cotti) anch’essi fornitori di carboidrati a medio-basso indice glicemico oltre che a una buona quantità di fibre del cui effetto accenneremo in seguito. Questi cibi apportano energia a lento rilascio fornendone per un lungo periodo, questo perché non fanno produrre grosse quantità di insulina (ormone deputato al controllo dei livelli di glucosio nel sangue) che comporterebbe un successivo decremento repentino dei livelli energetici. Soprattutto la pasta italiana a grano duro, se cotta al dente, ha un favorevole indice glicemico, sazia e, se il sugo è al pomodoro con una spruzzata di buon parmigiano, non appesantisce ed apporta anche una adeguata quantità di proteine nobili.
La dieta
Mediterranea di Massimo Spattini e Giovanni Montagna
ai come negli ultimi anni si è parlato di diete, chi le fa per perdere peso, chi per risolvere problemi di salute, chi solo per moda. Si accende la televisione e si sente parlare costantemente di corretta alimentazione e come riferimento si prende la dieta mediterranea coi suoi canoni ormai stabiliti da anni. Ma cos’è questa benedetta dieta mediterranea?
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Sempre più, dieta mediterranea è sinonimo di dieta italiana e la sua fama è dovuta ai sui effetti benefici sulla salute soprattutto nei confronti delle malattie legate all’apparato cardiovascolare e nella prevenzione ai tumori. Anche lo sportivo può avvantaggiarsi di questo tipo di alimentazione in quanto apporta fonti energetiche (di cui parleremo in seguito) primarie per il muscolo e proteine nobili per la riparazione e costruzione della struttura muscolare.
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Il pregio della componente proteica del parmigiano è quello di apportare anche una buona quantità di aminoacidi (i mattoncini delle proteine) facilmente assimilabili ed anche la componente grassa è parzialmente digerita (ottima fonte energetica) e quindi meno laboriosa per l’apparato digerente. Il consumo di carboidrati a basso indice glicemico è associato ad altri importanti effetti favorevoli sulla salute. È noto per esempio che i carboidrati a basso indice glicemico inducono un ridotto aumento post-prandiale di glucosio nel plasma, e di conseguenza una ridotta risposta insulinemica. Ciò comporta una riduzione del rischio di sviluppare sovrappeso e diabete, che rappresentano due importanti determinanti del rischio cardiovascolare. Inoltre, in accordo con dati recenti, un indice glicemico più basso correla positivamente con le concentrazioni seriche di colesterolo HDL. L’uso preferenziale di questi alimenti, pertanto, favorirebbe lo sviluppo di valori più elevati del colesterolo HDL stesso, che rappresentano, come è noto, un importante fattore di protezione cardiovascolare. Un altro alimento che il mondo invidia all’Italia e che ha un ruolo di spicco nell’alimentazione mediterranea (che lo consiglia in ogni pasto) è l’olio extra vergine di oliva. Non starò ad elencare tutti le componenti che fanno unico questo alimento tanto che alcuni lo considerano un “farmaco” grazie ai suoi effetti metabolici veramente speciali. È in grado di abbassare il colesterolo cattivo (LDL) innalzando nel contempo quello buono (HDL), proteggendo così l’apparato cardiovascolare. Per lo sportivo questo è favorevole in quanto la pompa cardiaca è meno sollecitata e c’è minor rischio di affaticamento della stessa durante lo sforzo fisico. Una molecola di nome idrossitirosolo contenuta nell’olio extra vergine di oliva, ha spiccate proprietà antinfiammatorie e agisce proteggendo le cellule corporee dall’infiammazione cellulare che può dare il via ad una serie di patologie. Questo alimento
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Diete per tutti contiene ottimali quantità di vitamina E, un antiossidante naturale che agisce soprattutto a carico delle strutture grasse (come per esempio le membrane cellulari) proteggendole dall’attacco dei radicali liberi imputati dell’invecchiamento precoce, della formazione di alcuni tumori e del danno cellulare che può degenerare in malattia. Se consideriamo che un atleta in attività produce una notevole quantità di radicali liberi, capiamo come questo alimento ci possa venire in aiuto non solo dal punto di vista energetico grazie alla sua componente lipidica ma anche dal punto di vista preventivo nei confronti di queste molecole reattive. Parlando di componente lipidica, l’acido grasso monoinsaturo che è il principale membro del grasso dell’olio di oliva, è facilmente utilizzabile da parte del muscolo in attività soprattutto per le discipline aerobiche di media e lunga durata che hanno nei grassi la maggior fornitura energetica che consente poi di risparmiare il glicogeno muscolare per eventuali sprint finali ed anche perché un calo del glicogeno muscolare anticipa la comparsa dell’affaticamento. Nel bacino del mediterraneo si pesca anche dell’ottimo pesce azzurro (tonno,sardine, alici, acciughe,…). Questo cibo, più che mai essenziale per la nostra alimentazione, è ricco di acidi grassi della serie omega3. Gli acidi grassi omega-3 sono detti "essenziali" in quanto non possono essere sintetizzati de novo nell’organismo e devono essere assunti con la dieta (1-2 g/die secondo le recenti raccomandazioni internazionali). Il rilievo per la salute di un adeguato consumo di omega-3 è testimoniato dai numerosi studi epidemiologici e di intervento (come lo studio italiano Gissi-Prevenzione) che hanno dimostrato le proprietà cardioprotettive di un’adeguata assunzione di omega-3. Tra questi i più importanti sono senza dubbio l’acido eicosapentenoico (EPA, 20:5 n-3) a cui sono state attribuite proprietà antiaggreganti ed antiinfiammatorie legate alla sua capacità di sostituirsi all’acido arachidonico nella sintesi di prostaglandine, leucotrieni e trombossani, e l’acido docosaesaenoico (DHA, 22:6 n-3), dotato probabilmente di una funzione cruciale nella funzione delle membrane di cellule specializzate. La loro funzione si svolge sia a livello metabolico (abbassano il colesterolo, diminuiscono la pressione sanguinea, fluidificano il sangue, aumentano lo scambio di ossigeno con le cellule, migliora l’asma…) sia a livello strutturale facendo parte delle membrane cellulari, del cervello, della formazione di retina, tessuto nervoso, gonadi ecc.. Gli omega 3 aiutano anche chi vuole ridurre il proprio grasso corporeo agendo sia sui livelli di leptina (un ormone legato all’accumulo di peso) e sull’accelerazione del metabolismo. Per gli atleti sono utili in quanto hanno un ottimo effetto antinfiammatorio (problemi articolari, dolori muscolari post allenamento, ecc.), fluidificando il sangue e rendendo i globuli rossi più deformabili permettono di apportare più ossigeno alla muscolatura ed eliminare più velocemente le scorie metaboliche ed inoltre studi hanno evidenziato come possano aiutare ad aumentare sia la performance aerobica che anaerobica.
Recentemente si è visto che gli omega 3 migliorano la broncocostrizione da sforzo che si presenta in chi si allena intensamente. Non dimentichiamo poi che il pesce apporta anche proteine ad alto valore biologico e facilmente digeribili (ottime anche per l’alimentazione del bambino e dell’anziano). Per lo sportivo è una fonte proteica d’elezione in quanto viene facilmente assimilata e può andare a ripristinare il patrimonio ormonale, enzimatico e muscolare consumato nell’attività fisica oltre ad aumentare la massa muscolare se l’esigenze sportive ed il tipo di allenamento lo richiedono. Particolare attenzione dovrà essere rivolta alla cottura. Da preferire quelle leggere tipo ai ferri, al forno, lesse, in padella antiaderente e non particolarmente violente visto la delicatezza delle carni del pesce. Anche le carni bianche sono un’ottima scelta proteica. Anch’esse facilmente digeribili, apportano basse quantità di colesterolo e grassi (naturalmente eliminando quello visibile) e se cotte con qualche spezia ed aroma sono molto gustose ed appaganti. Alla base della piramide della dieta mediterranea sappiamo esserci i cereali e derivati come pane pasta, riso, ecc. (ultimamente si tende a scegliere il tipo integrale) ma nel gradino superiore (non per minore importanza) vengono inserite frutta e verdura, ricchissime in fibre, acqua, vitamine, minerali, fitonutrienti e carboidrati (principalmente la frutta) che pur essendo semplici sono a basso indice glicemico, quindi con le caratteristiche viste in precedenza. Le fibre sono ottime sia per la regolazione del transito intestinale e quindi della formazione delle feci, sia perché tendono a ridurre l’assorbimento del colesterolo ed a rallentare quello di grassi e carboidrati, avendo un effetto di abbassare l’indice glicemico dell’alimento che si stà assumendo. È stato infatti dimostrato che il consumo di fibre (sia derivanti dai cereali integrali che da frutta e verdura) riduce l’incidenza degli eventi clinici collegati all’aterosclerosi. D’altra parte, un adeguato consumo di acido folico (contenuto in frutta e verdura) è in grado di ridurre i livelli circolanti di omocisteina, fattore di rischio vascolare "emergente". In particolare, alte concentrazioni ematiche di questa sostanza sono state associate ad un aumento del rischio di infarto miocardico, ictus cerebrale e tromboembolie venose. Il controllo nutrizionale di tale molecola potrebbe pertanto aiutare a ridurre l’incidenza di questi eventi. Ormai è riconosciuto anche il ruolo antitumorale esplicato dalle fbre. Vitamine e minerali, oltre ad avere proprietà antiossidanti, sono dei veri e propri biocatalizzatori (facilitano lo svolgersi di
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Diete per tutti una reazione chimica) cellulari e bioregolatori, partecipando a tutte le reazioni chimiche del nostro organismo. Una carenza di entrambi va a ripercuotersi sul metabolismo diminuendone l’efficienza. I fitonutrienti come il beta-carotene, le antocianine, il resveratrolo, il licopene, ecc, sono molecole ad elevatissimo effetto antiossidante e quindi protettivo nei confronti dei tumori. Alcune di queste hanno inoltre dei benefici sulla circolazione, sulla regolazione ormonale e quindi intervengono a vari livelli del nostro metabolismo. Per l’atleta la frutta può essere inserita sia a fine pasto (se non si hanno intolleranze possono anche aiutare a digerire meglio contenendo enzimi ed inoltre aiutano ad assimilare meglio il ferro grazie alla vitamina C) che come spuntino veloce e digeribile soprattutto se accompagnato da un pezzetto di parmigiano che apporta anche una giusta quantità di aminoacidi e grassi utili per l’organismo. Ci stavamo dimenticando del bicchiere di rosso. I potenziali effetti benefici del vino rosso, tradizionalmente consumato nella dieta mediterranea in quantità limitate durante il pasto sono esplicati grazie al fatto che, a differenza di altre bevande alcoliche, il vino rosso contiene notevoli quantità (più di 1 g/l) di sostanze fenoliche e componenti aromatiche. Tali componenti, molto più rappresentate nel vino rosso che in quello bianco, contribuiscono al sapore ed all’aroma del vino. La maggior parte dei "componenti minori" del vino, tra cui il trans resveratrolo, sono dotati di notevoli attività antiossidanti, di attività inibitoria piastrinica, ed attività vasorilassanti ed antitumorali.
come pesci e carni bianche (anche se qualche volta alla settimana può essere introdotta la carne rossa purchè magra). I grassi saranno sul 25-30% del fabbisogno energetico e per la maggior quota di tipo monoinsaturo. Per chi pratica palestra la dieta mediterranea può essere utilizzata tutto l’anno nell’ottica di aumentare la massa muscolare limitando l’aumento di grasso e, qualora ci si volesse definire per raggiungere una percentuale di grasso corporeo più bassa, è sufficiente abbassare le calorie non più del 20% a discapito dei grassi e dei carboidrati, senza intaccare le proteine. In questa misura si conserverà tutta la massa muscolare acquistata precedentemente
Ritornando all’apporto energetico per l’atleta, bisogna ricordare che deve affrontare da subito l’allenamento e/o la gara con le energie al massimo. Per questo motivo delle fonti di carboidrati a medio-basso indice glicemico (pasta al dente, legumi, frutta, cereali integrali) devono essere consumati tre ore prima se un pasto principale (naturalmente accompagnati da fonti proteiche e di grassi) ed un’ora prima se costituenti uno spuntino di modesta entità in maniera tale che non si abbiano repentini cali di zuccheri (la fiacca) come succede quando si mangiano fonti di carboidrati ad alto indice glicemico (cioccolato al latte, barrette energetiche con zucchero, succhi di frutta zuccherati, snack al cioccolato, ecc) che hanno come conseguenza un calo brusco delle energie.
Veniamo alle percentuali dei nutrienti. Premettiamo che in Italia è stata creata una nuova piramide di stato che mette alla base frutta e verdura e nello scalino superiore cerali e derivati. Inoltre abbassa leggermente la percentuale di carboidrati che per lo stile di vita moderna sedentaria era troppo eccessiva. Quindi i carboidrati copriranno il 50-55% del fabbisogno energetico totale da consumare nell’arco della giornata e saranno prevalentemente a medio-basso indice glicemico. Le proteine copriranno il 15-20% e deriveranno da cibi magri SPORTMAN & Fitness #
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40-30-30 Fat Burning Nutrition di Massimo Spattini
Ia Parte l libro “Zone diet” di Berry Sears edito nel 1995, è diventato un best-seller e tratta di una dieta che rivaluta l’importanza dei grassi nell’alimentazione. Dopo circa 4 anni di diffusione di questa dieta ci sono stati risultati molto incoraggianti ed una sua derivazione, la dieta 40-30-30 è stata addirittura definita “fat burning nutrition”cioè dieta “brucia grassi”. Vediamo di analizzare questo nuovo concetto espresso nel libro “40-30-30 fat burning nutrition” di Joyce e Gene Dooust, basato sulla ripartizione dei nutrienti: 40% carboidrati, 30% proteine, 30% grassi.
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La dieta “brucia grassi” 40-30-30 è una prescrizione dietetica mirata a bilanciare i nutrienti dei singoli pasti in maniera da creare una situazione ormonale che favorisce l’utilizzo dei grassi di deposito a scopo energetico. Non bisogna ragionare in termini di calorie bensì in termini di controllo ormonale. I grassi in situazioni fisiologiche ottimali sono la sorgente preferita di energia da parte dell’organismo, non i carboidrati. Noi abbiamo un sacco di energia accumulata sotto forma di grasso corporeo da bruciare, non ha senso utilizzare i carboidrati. Se noi usiamo i grassi a scopo energetico e risparmiamo i carboidrati avremo più energia , miglior concentrazione mentale e in restrizione calorica non innescheremo la neoglucogenesi, cioè quel meccanismo che tende a mangiarci i muscoli per formare i carboidrati necessari come energia. Consumando invece i grassi a scopo energetico avremo una graduale perdita di peso che corrisponde esclusivamente a grasso corporeo e non massa muscolare e così limiteremo l’abbassamento del metabolismo e continueremo a perdere grasso più facilmente. Ultimamente anche in America sono diventate popolari le diete “low fat” a basso contenuto di grassi ed esistono in commercio numerosissimi cibi “fat free”, ma in realtà la popolazione americana sta diventando sempre più grassa. Secondo il concetto della dieta 40-30-30 la miglior proporzione fra i macronutrienti per ottimizzare la perdita di grasso e l’aumento della massa muscolare è un 40% di carboidrati, 30% di proteine, 30% di grassi. Per ottimizzare i livelli ormonali favorevoli alla lipolisi, bisogna imparare ad assumere la corretta proporzione 40-30-30 di carboidrati, proteine e grassi ad ogni singolo pasto. Potremmo addirittura dire che non esistono cibi buoni o cattivi ma l’importante è il giusto bilanciamento dei cibi che mangiamo. Comunque per non correre troppo diciamo subito che il 40% di carboidrati deve essere costituito da cibi a medio-basso indice glicemico e ricchi di fibre; il 30% di proteine soprattutto cibi ad alto valore biologico e il 30% di grassi prevalentemente insaturi.
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Una combinazione di macronutrienti siffatta, con moderato apporto di carboidrati a basso indice glicemico (cioè che alzano di poco la glicemia), proteine ed una moderata quantità di grassi prevalentemente insaturi che migliorano la sensibilità dell’organismo all’insulina, stimolandone quindi una minor produzione, sono il miglior sistema per tenere costante la glicemia. La glicemia costante e la conseguente calma insulinica sono la chiave per un migliore anabolismo ed una ottimale lipolisi. I grassi rallentano la digestione e l’assorbimento dei carboidrati mantenendo così un flusso costante di glucosio nel torrente circolatorio che tiene l’insulina bassa, e sappiamo che con l’insulina alta è impossibile bruciare i grassi. Le proteine del pasto stimolano il rilascio dell’ormone brucia grassi, il glu> La dieta brucia grassi 40-30-30 mira a bilanciare i nutrimenti in maniera da creare una situazione ormonale che favorisce l’utilizzo dei grassi a scopo energetico.
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Diete per tutti cagone, aumentando la capacità dell’organismo di utilizzare i grassi di deposito come energia. Come abbiamo già detto ripetutamente sono tre i macronutrienti necessari per una corretta nutrizione: carboidrati, proteine, grassi. Partiamo dai carboidrati: pane, frutta, succhi, legumi, vegetali, amidacei, cereali e tutti i cibi dolci sono la fonte primaria di carboidrati. Quando voi mangiate dei cibi ricchi di carboidrati, l’organismo li digerisce e li converte in glucosio che entra nella circolazione sanguigna per essere poi usato a scopo energetico. L’organismo inoltre trasforma il glucosio in glicogeno che viene accumulato nei muscoli e nel fegato. Quando si mangiano piccole quantità di carboidrati in un pasto, piccole quantità di glucosio entrano nella circolazione sanguigna e sono prontamente utilizzate a scopo energetico. Ma se noi mangiamo un pasto ricco di carboidrati (un piatto abbondante di pasta, una torta di riso, un succo di frutta zuccherato) una grande quantità di glucosio entra nel sangue troppo rapidamente e stimola l’insulina che crea nell’organismo una situazione biochimica che forza l’organismo ad usare il glucosio a scopo energetico piuttosto che i grassi di deposito. Quando si mangiano dei carboidrati la cosa migliore da fare è di scegliere quelli più ricchi di fibre e a basso contenuto di amido e glucosio quindi certi frutti come mele, albicocche, pesche, meloni; certe verdure come broccoli, cavolfiore, asparagi, fagiolini; certi cereali come avena, orzo e riso integrale; legumi come fagioli, ceci, lenticchie e amidacei come pasta e riso integrale. Il macronutriente più importante è rappresentato dalle proteine, il cui nome deriva da “protos” che in greco significa “primario”. Le proteine sono considerate il mattone della cellula e servono per mantenere e riparare continuamente l’organismo. Più del 50% del peso secco del corpo umano è costituito da proteine. Le proteine servono per costruire i muscoli, i capelli, le unghie, il sangue, gli ormoni, gli enzimi, i neurotrasmettitori cerebrali e sono indispensabili per il buon funzionamento del sistema immunitario. Quando ingeriamo un cibo proteico come pollo, uova, pesce, il sistema digestivo spezzetta le proteine in aminoacidi che entrano nel torrente circolatorio e vengono poi utilizzati per formare nuove proteine. Le proteine sono fondamentali appunto perché forniscono gli aminoacidi. Dieci di questi aminoacidi sono essenziali, cioè non possono essere formati dall’organismo e quindi devono per forza essere introdotti con l’alimentazione. Se la nostra dieta è carente in proteine, le proteine che stiamo digerendo sono carenti in qualcuno dei 10 aminoacidi essenziali, il nostro organismo rallenta la capacità di costruire nuove proteine e comincia a distruggere le proteine del nostro corpo (come i muscoli) per compensare la carenza di aminoacidi. Ovviamente questo non è un meccanismo positivo perché autocannibalizzarsi i propri muscoli che sono l’ “organo” metabolicamente più attivo comporta un abbassamento del metabolismo ed una ridotta capacità di bruciare i grassi. Questa è la ragione per cui una dieta povera di proteine causa una perdita del tono muscolare. Ricordatevi: le proteine sono importanti per mantenere i vostri muscoli e più muscoli avete più è alto il vostro metabolismo. Un adeguato apporto proteico è il punto più importante della “40-30-30 Fat Burning Nutrition”; a seconda della vostra massa magra (peso corporeo senza la componente del grasso) e la vostra attività fisica voi necessitate di una determinata quantità di proteine, e questa quantità deve essere suddivisa
in ogni pasto che voi assumete mantenendo le proporzioni suddette con gli altri macronutrienti. Come detto prima il fabbisogno proteico varia in base al peso di un soggetto e alla sua attività fisica; si può definire da 1 grammo a 2 grammi per kg. di peso corporeo a seconda che il soggetto sia sedentario o pratichi attività fisica intensa. Aumentando le necessità proteiche in base all’attività fisica ma mantenendo le stesse proporzioni con gli altri macronutrienti, le calorie fornite dai grassi e dai carboidrati aumenteranno di conseguenza e quindi così facendo voi non vi dovete più preoccupare delle calorie che seguiranno un criterio matematico proporzionale. La migliore fonte sono i cibi proteici con pochi grassi e > Le uova sono una buona poche fibre, facili da digerire fonte di proteine ad alto valore biologico come ad esempio: pesce, tacchino e pollo senza pelle, carni magre, uova, formaggi magri, proteine in polvere, tofu.
Parliamo ora dei grassi. Il 30% può sembrare tanto soprattutto per coloro che sono vittime della cultura dei cibi “fat free”, ma ricordatevi che comunque il 30% dei grassi è la normale raccomandazione dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità); in realtà in certi modelli di alimentazione di alcuni paesi del nord si arriva a consumare circa il 45% di grassi. Un errore che non dobbiamo commettere è considerare questo 30% di grassi come percentuale sui grammi di macronutrienti, bensì il calcolo è sul quantitativo calorico da essi apportato. Quindi i carboidrati e le proteine fornendo le stesse calorie per grammo (4 kcal) manterranno un rapporto 4 a 3, mentre i grassi fornendo 9 kcal per grammo dovranno essere 1,3 grammi ogni 3 grammi di proteine. Quindi per seguire una dieta 40-30-30 per ogni 3 grammi di proteine dobbiamo fornire 4 grammi di carboidrati e 1,3 grammi di grassi. Come ho sempre sostenuto, i grassi sono il macronutriente più bistrattato, ritenuto “cattivo”, al contrario esistono dei grassi che sono “buoni” e che aiutano addirittura l’organismo a bruciare i grassi di deposito: questi sono i grassi insaturi. L’ideale apporto di grassi dovrebbe essere per 1/3 saturi, 1/3 monoinsaturi ed 1/3 polinsaturi. I saturi sono presenti soprattutto nei derivati animali (carne, formaggi), i monoinsaturi in oli vegetali quali l’olio di oliva e burro di arachidi, i polinsaturi in oli vegetali (olio di mais, olio di lino) e nei pesci dei mari freddi (salmone, tonno, sgombro, aringa).
...e come fanno i grassi ad aiutare a perdere grasso? SPORTMAN & Fitness #
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Diete per tutti
40-30-30 Più grassi per perdere grasso IIa Parte
di Massimo Spattini
uando la dieta è perfettamente bilanciata, la risposta ormonale permette ai muscoli di bruciare i grassi di deposito a scopo energetico e di risparmiare il glucosio per il cervello. Alla fine dell’articolo precedente siamo arrivati a parlare dei grassi lanciando il paradossale messaggio che i grassi aiutano a perdere grasso.
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Come è possibile questo? Innanzitutto non dobbiamo pensare in termini calorici, perché il discorso non reggerebbe in quanto i grassi apportano a parità di peso più del doppio delle calorie dei carboidrati e delle proteine, ma in termini di equilibri ormonali.
Il ruolo dell'insulina 1) I grassi non hanno effetto sull'insulina, quindi non causano uno stimolo alla lipogenesi indotta da alti livelli di insulina. 2) I grassi rallentano l'ingresso dei carboidrati dal sistema digerente nel torrente circolatorio causando un minor innalzamento repentino della glicemia e di conseguenza una minor produzione di insulina. Più l'insulina è bassa e più è facile attivare la lipolisi. 3) I grassi causano il rilascio di un ormone chiamato" colecistochinasi"(CCK) dallo stomaco, che agisce come inibitore dello stimolo della fame, cioè ci segnala che dobbiamo smettere di mangiare. In pratica quando si tolgono completamente i grassi dalla dieta e si sostituiscono coi carboidrati, si altera il segnale ormonale che impedisce di consumare troppe calorie e si stimola l'accumulo di grasso di deposito aumentando i livelli di insulina che viene secreta in risposta agli aumentati livelli di glicemia indotti dai carboidrati. Abbiamo già visto come il 30% sia il quantitativo di grassi raccomandato dalle linee guida per una buona alimentazione e come questo 30% debba essere ripartito in parti uguali tra grassi saturi, insaturi e monoinsaturi. Ricordiamoci: i grassi saturi, sono presenti nelle carni e nei latticini, gli insaturi negli oli vegetali e nei pesci dei mari freddi, i monoinsaturi nell'olio d'oliva, arachidi e nell'avocado. Gli acidi grassi essenziali contenuti soprattutto nei grassi insaturi sono fondamentalmente perché sono i precursori per la formazione degli eicosanoidi. * Gli eicosanoidi rappresentano una vastissima classe di ormoni che controlla quasi tutte le funzioni del corpo e la situazione di buona
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salute è determinata dal corretto bilanciamento tra eicosanoidi "buoni" ed eicosanoidi "cattivi". Ogni cellula del corpo ha la capacità di produrre eicosanoidi. Gli eicosanoidi in natura esistono da circa 500 milioni di anni. Essi rappresentano uno dei primi sistemi di controllo pseudo-ormonale sviluppato negli organismi viventi. Vengono prodotti, svolgono la loro funzione e si autodistruggono nel giro di secondi. In pratica ogni malattia, sia essa un disturbo cardiaco, un cancro, il diabete , l'artrite reumatoide e cosi via, può essere vista semplicemente come una produzione del corpo di un maggior numero di eicosanoidi " cattivi". Essi sono controllati al 100% dalla dieta. Si può quindi considerare il cibo come se fosse una medicina .E cosa può distruggere questo delicato equilibrio degli eicosanoidi? Una over - produzione di insulina ! Eccessivi livelli di insulina causano una overproduzione di un particolare acido grasso: l’acido arachidonico che è il precursore degli eicosanoidi " cattivi". E' quindi importante limitare l'apporto di acido arachidonico le cui fonti principali sono la carne rossa, il rosso d'uovo e la carne d'organo. Se invece in ogni pasto noi manteniamo la proporzione di 40-30-30 tra carboidrati proteine e grassi avremo un miglior controllo sulla risposta ormonale ai cibi, producendo meno insulina e più glucagone, stimolando cosi maggiormente la produzione di eicosanoidi " buoni". A questo punto vorrei spendere due parole sull'insulina, ormone del quale parlo spesso, per rendere più chiari certi concetti ai lettori.
* Occhio all'insulina L'insulina può essere vista come l'ormone che accumula il grasso nel nostro corpo. L'insulina è un ormone che viene secreto al pancreas in risposta ad elevati livelli di glucosio nel sangue, causati soprattutto da un eccessivo apporto di carboidrati in un pasto. Una delle funzione primarie dell'insulina è appunto abbassare la glicemia quando questa diventa troppo alta. E' importante che la glicemia di un individuo non si alzi di troppo o troppo alla svelta perché altrimenti il pancreas secerne l'ormone insulina per correggere l'eccesso di glucosio nel sangue. Aumentati livelli di insulina forzano il nostro corpo a bruciare glucosio come energia e ad accumulare ogni eccesso come glicogeno o grasso. Il risultato di questi livelli alti di insulina è che il nostro organismo non riesce a bruciare i grassi di deposito come energia, questo perché l'insulina inibisce la lipolisi, anzi stimola la conversione del glucosio in eccesso nel sangue in glicogeno, rimuovendolo dal sangue ed immagazzinandolo nel fegato e nei muscoli. Sfortunatamente questo magazzino è limitato ed il glucosio in eccesso sarà convertito in grasso depositato nel tessuto adiposo sottocutaneo e viscerale che è praticamente illimitato. Ricordiamoci che questo tipo di risposta è soprattutto il risultato di un'alimentazione troppo ricca di carboidrati e non abbastanza proteine e grassi come componenti del nostro pasto. Inoltre alti livelli di insulina stimolano la produzione di eicosanoidi "cattivi", i quali hanno un effetto vasocostrittore, cioè ristringono i vasi sanguini. Questo fatto comporta una minor disponibilità di ossigeno a livello cellulare per poter bruciare i grassi. Per bruciare i grassi in maniera effi-
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Diete per tutti ciente ci deve essere ossigeno ed in quantità, questa è la ragione per cui gli esercizi aerobici utilizzano bene i grassi a scopo energetico. Riepiloghiamo quindi le principali ragioni per cui elevati livelli di insulina rendono difficile la combustione dei grassi: 1) il nostro corpo è forzato a bruciare carboidrati invece dei grassi; 2) il rilascio e l'utilizzo dei grassi di deposito è inibito; 3) il nostro organismo converte l'eccesso di glucosio in grasso corporeo; 4) la produzione di eicosanoidi "cattivi" causa una vasocostrizione che riduce la disponibilità di ossigeno necessario per bruciare i grassi Elevati livelli di insulina sono causati da queste tre situazioni dietetiche: 1) assumere troppi carboidrati in un pasto 2) consumare un pasto troppo abbondante 3) non assumere abbastanza proteine e grassi in un pasto Oltre al fatto di non far bruciare i grassi, elevati livelli di insulina possono causare un'eccessiva caduta della glicemia, il che comporta una crisi ipoglicemica con tutte le conseguenze che ne derivano: perdita di concentrazione, debolezza e mancanza di energie, sudorazione intensa ed una fame incontrollabile di carboidrati. Il cervello cerca di correggere la caduta della glicemia mandando il segnale di mangiare più carboidrati, ma questo alza di nuovo eccessivamente il livello di glucosio nel sangue con conseguente iperproduzione di insulina da parte del pancreas e così ci troviamo di fronte ad alti livelli di insulina. Se questo ciclo si ripete continuamente, facilmente potremo incorrere in una intolleranza ai carboidrati o addirittura nel diabete.
* La neoglucogenesi Se una dieta da alto contenuto di carboidrati causa questi livelli elevati di insulina, allora la soluzione potrebbe essere una dieta a bassi carboidrati. Ma in realtà le cose non stanno cosi ! Il cervello si nutre di glucosio e ha bisogno di un costante rifornimento di glucosio come carburante. Abbiamo visto che mangiando troppi carboidrati si stimola troppo l'insulina che abbassa la glicemia in maniera tale da avere una situazione di ipoglicemia che causa a livello cerebrale una perdita di concentrazione, una sensazione di fatica ed una fame incontrollabile di carboidrati. Inoltre, siccome il cervello ha bisogno di glucosio, se con la dieta non assumiamo abbastanza carboidrati , il nostro
organismo innesca il meccanismo della neoglucogenesi col quale trasforma le proteine muscolari in glucosio con un meccanismo di autocannibalismo. In assenza di glucosio i grassi non riescono ad essere bruciati al meglio e si ha la produzione di corpi chetonici che sono sostanze che in alta concentrazione sono tossiche per l'organismo e che promuovono modificazioni enzimatiche all'interno della cellula adiposa, che brucia a questo punto sì più grassi, ma che diventa anche una calamita "acchiappa grassi". Se a questo punto torniamo a una dieta normale ecco che riaccumuliamo grasso più velocemente che mai, sia perché abbiamo perso massa muscolare ed il nostro metabolismo si è abbassato, sia perché le nostre cellule adipose captano di più i grassi. Ecco quindi le ragioni per cui le diete iperproteiche senza carboidrati sono destinate a fallire e comportano successivamente il recupero del peso perduto anche con gli interessi. In effetti i carboidrati esercitano anche la funzione di "risparmio proteico". Quando ingeriamo le giuste quantità di carboidrati, proteine e grassi i carboidrati che assumiamo forniscono la necessaria quantità di glucosio per il nostro corpo, eliminando la necessità di catabolizzare cioè distruggere le proteine dei nostri muscoli per trasformarle in glucosio. Ciò preserva la massa muscolare ed ottimizza la lipolisi. Quando la dieta è perfettamente bilanciata, la risposta ormonale permette ai muscoli di bruciare i grassi di deposito a scopo energetico e di risparmiare il glucosio per il cervello. Quando l'insulina ed il glucagone sono in equilibro tra loro, l'organismo funziona in maniera efficiente. E' ora opportuno spendere due parole riguardo il glucagone, ma questo sarà materia del prossimo articolo.
Il menù 40-30-30 Carboidrati: scegliere quelli più ricchi di fibre e a basso contenuto di amido e glucosio quindi certi frutti come mele, albicocche, pesce, meloni; certe verdure come broccoli, cavolfiore, asparagi, fagiolini; certi cereali come avena e riso integrale; legumi come fagioli, ceci, lenticchie e amidacei come pasta integrale e patata americana. Proteine: la miglior fonte sono i cibo con pochi grassi e poche fibre,, facili da digerire come ad esempio: pesce ,tacchino e pollo senza pelle, carni magre, uova, formaggi magri, proteine in polvere, tofu. Grassi: L'ideale apporto di grassi dovrebbe essere per 1/3 saturi, 1/3 monoinsaturi ed1/3 polinsaturi. I saturi sono presenti soprattutto nei derivati animali(carne, formaggi), i monoinsaturi in oli vegetali quali l'olio d'oliva e burro di arachidi, i polinsaturi in oli vegetali (oli di mais, olio di lino) e nei pesci di mare freddi (salmone, tonno, sgombro, aringa)
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40-30-30
Il Glucagone l’avversario dell’insulina “ingrassogena”
IIIa Parte di Massimo Spattini
a dieta 40-30-30 (concetto che esprime le proporzioni caloriche tra carboidrati, proteine e grassi) è stata introdotta nel 1992 dalla BIO-FOODS INC. produttore delle Balance Nutrition Bar e resa popolare dal best - seller "The Zone" ( New York: Regan Books 1995)) del Dr. Barry Sears. Questa dieta ha rivoluzionato i convenzionali criteri dei nutrizionisti in quanto con essa si privilegiano le proteine e i grassi riducendo i carboidrati. Questa dieta è diventata un fenomeno a causa del fitness, ma soprattutto è diventata un fenomeno perché dopo anni di fallimento di diete a bassi grassi e alti carboidrati, oppure al contrario iperproteiche senza carboidrati, questo nuovo bilanciamento alimentare funziona davvero.
cagone è mantenere stabile la glicemia e provvedere a questo mobilizzando i grassi di deposito in maniera che vengano usati a scopo energetico invece del glucosio. Il glucagone inoltre stimola la produzione degli eicosanoidi "buoni". Ciò causa vasodilatazione che permette una maggior disponibilità di ossigeno per bruciare più grassi. Con più ossigeno disponibile si può mantenere un metabolismo aerobico più a lungo massimizzando cosi la capacità dell'organismo di bruciarne i grassi.
La dieta 40 - 30 - 30 è una maniera semplice di alimentarsi utile per chiunque voglia aumentare la propria energia , la propria concentrazione mentale, tenere sotto controllo la glicemia e non soffrire la fame e quindi perdere peso più facilmente. Questa dieta permette di apprezzare il gusto e godere delle qualità benefiche dei grassi senza sensi di colpa. Inoltre ci insegna che non solo devono essere evitati gli zuccheri semplici (zucchero, dolci) ma anche che certi carboidrati complessi, quali riso, cereali (i famigerati cornflakes), patate, pane bianco, devono essere consumati con moderazione.
1) Stimolando il rilascio dei grassi di deposito che possono poi essere bruciati a scopo energetico
Certi carboidrati complessi (p. es. i succitati cornflakes) hanno addirittura un indice glicemico superiore al glucosio, cioè alzano i livelli di glucosio, nel sangue più velocemente del glucosio stesso, stimolando cosi una notevole produzione di insulina che, come abbiamo visto, è l'ormone lipogenetico, cioè "ingrassogeno"! La dieta 40 - 30 - 30 si basa sul fatto che i cibi evochino una risposta ormonale.
E' importantissimo ricordare che l'insulina ed il glucagone sono esattamente l'opposto e che procedendo in maniera inverso: se uno è alto l'altro è basso.
L
Abbiamo già ampiamente parlato, negli articoli precedenti di come i carboidrati influenzino la secrezione dell'ormone insulina. Ricordiamo per semplificare, come le proteine stimolino la produzione dell'ormone glucagone e come i grassi siano i precursori di quegli pseudo- ormoni conosciuti come eicosanoidi. Forse sarebbe meglio dire, dal punto di vista biochimico, che il livello di glicemia nel sangue rappresenta l'ago della bilancia per la produzione di questo ormone. Mentre alti livelli di glicemia stimolano la produzione di insulina e di "cattivi" eicosanoidi, bassi livelli di glicemia stimolano il pancreas a produrre glucagone nel fegato e promuovendo la lipolisi nel tessuto adiposo in maniera efficiente. E' opportuno spendere ora due parole al riguardo del glucagone. Il glucagone funziona in maniera esattamente opposta rispetto all'insulina ed è quindi considerato un fat-burning cioè un ormone lipolitico. Il glucagone è prodotto dal pancreas soprattutto in risposta ad un pasto proteico. Il compito del glu-
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Riepilogando quindi le principali ragioni per cui adeguati livelli di glucagone permettono all'organismo di bruciare meglio i grassi di deposito:
2) Rendendo più abile l'organismo a bruciare i grassi per produrre energia invece del glucosio 3) Mobilizzando il glicogeno depositato nel fegato per mantenere stabile la glicemia. 4) Introducendo vasodilatazione che aumenta la disponibilità di ossigeno per bruciare i grassi.
Con la dieta 40 - 30 -30 possiamo normalizzare la glicemia ed avere un equilibrio favorevole tra l'insulina e glucagone. Questo permette al nostro organismo di mobilizzare ed accedere ai grassi di deposito come principale sorgente di energia, permettendo di risparmiare il glucosio necessario per il cervello. Adeguati livelli di glucagone sono causati da queste tre situazioni dietetiche:
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Diete per tutti 1) Consumare una adeguata quantità di proteine in un pasto 2) Scegliere la giusta quantità ed il tipo di carboidrati che devono essere a basso indice glicemico nel pasto 3) Includere una piccola quantità di grassi "buoni" nel pasto per rallentare l'assorbimento dei carboidrati e ridurre la velocità di innalzamento della glicemia. > I dolci ricchi di zuccheri semplici devono essere limitati
Quando la glicemia è costante, l'adeguata livello di glucagone permette al corpo di accedere ai grassi di deposito e bruciarli a scopo energetico.
Se noi impariamo a mantenere la cosiddetta "calma insulinemica" mantenendo la glicemia costante con una corretta alimentazione e riusciamo ad ottenere un ottimale bilanciamento tra insulina e glucagone, potremo massimizzare la lipolisi 24 ore al giorno, anche quando dormiamo o mentre leggiamo questo articolo. Ovvio che anche se ragioniamo in termini ormonali e non calorici, bisogna sempre tenere conto del livello calorico della nostra dieta, perché se il bilancio è eccedente, anche se utilizzeremo dei grassi di deposito a scopo energetico, altrettanti ne depositeremo utilizzando direttamente i grassi dell'alimentazione o trasformando i carboidrati non bruciati in grassi. Il costo energetico per quest'operazione è inferiore e si depositano direttamente i grassi dell'alimentazione, mentre trasformando i carboidrati in grassi comporta un certo consumo energetico. Per questo motivo un surplus totale di calorie sotto forma di carboidrati nell'arco del bilancio calorico quotidiano a breve termine fa ingrassare di meno, in parte perché l'eccesso di carboidrati va anche a riempire di glicogeno i muscoli e il fegato prima di essere trasformato in grasso e poi perché questa trasformazione comporta una spesa energetica che ne abbassa il potere calorico ingrassante.
E’ altrettanto vero che una dieta alta in grassi e troppo bassa in carboidrati non favorisce la performance sportiva. Lo studio di Longfort provò che quando i soggetti si sottoponevano ad una dieta con il 5% di carboidrati, 50% di grassi e 45% di proteine, per tre giorni la loro potenza rilevata sulla bicicletta per 30" col test di Wingate era diminuita del 5% rispetto a quando consumavano una dieta al 50% di carboidrati, 30% di grassi e 20% di proteine. Le diete troppo povere di carboidrati inducono letargia, la quale riduce la potenza dei riflessi e la forza. Ecco quindi che la dieta 40 - 30 - 30 fornisce il quantitativo sufficiente di carboidrati per non incorrere in questi effetti collaterali negativi.
> I cibi proteici stimolano la secrezione di glucagone
Nel tempo però un consumo in eccesso di carboidrati porta a quegli squilibri ormonali suddetti con iperinsulinismo di base e delle costanti fluitazioni della glicemia che causano una ridotta tolleranza ai carboidrati dovuta ad una ridotta sensibilità all'insulina. Cioè in parole povere consumando quantità eccessive di carboidrati per lungo tempo il nostro organismo per metabolizzare la quota in eccesso deve produrre sempre più insulina, la quale fa ingrassare sempre di più. A questo punto se vogliamo ottimizzare il nostro dimagrimento, senza sperare che ciò avvenga solo leggendo questo articolo, come possiamo inserire l'attività fisica in questo programma alimentare? Da tempo si è sentito parlare dell'importanza dei carboidrati dell'attività sportiva e diete ricche di carboidrati sono consigliate soprattutto negli sport di resistenza. Come conciliare questi aspetti? La dieta 40 - 30 - 30 in realtà mette l'organismo nelle condizioni ormonali migliori per bruciare maggiormente grassi durante l'esercizio fisico. Uno studio del 1997 di Longfort ha fatto notare che una dieta a basso tenore di carboidrati e ricca di grasso migliora l'utilizzazione del grasso da parte dei muscoli sottoposti a lavoro, diminuendo allo stesso tempo l'utilizzo del glicogeno a livello muscolare per la produzione di energia totale.
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40-30-30
Alcuni esempi di dieta IVa Parte egli articoli precedenti abbiamo parlato in maniera abbastanza esaustiva dei concetti teorici sui quali si basa il metodo delle dieta 40-30-30, ora si tratta di riuscire a mettere in pratica questa metodologia e per far questo ovviamente bisogna conoscere le tabelle degli alimenti in modo da sapere quante proteine, quanti grassi e quanti carboidrati sono contenuti in essi. Mi rendo conto che questo è abbastanza difficile e bisognerebbe perdere parecchio tempo per fare i calcoli o possedere un programma di dieta computerizzato in grado di impostare una dieta con queste proporzioni. Per questo motivo in questa occasione vi darò delle indicazioni pratiche di come impostare una dieta 40-30-30, fornendovi anche alcuni esempi di dieta da poter adottare.
N * Tabella 1
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di Massimo Spattini Innanzitutto bisogna tenere presente che il peso corporeo ed il livello di attività determinano il quantitativo di cibo e calorie necessarie al giorno. Più si è grossi più si ha bisogno di cibo, più si è attivi più si ha bisogno di calorie. Vi riporterò in questo numero alcuni schemi di dieta, utilizzabili per donne e uomini a seconda del peso e del livello di attività fisica. Fondamentale nell’impostare una dieta 40-30-30 è che non passino più di 4 ore tra un pasto e l’altro, questo è importantissimo per mantenere stabile la glicemia, condizione essenziale per la calma insulinemica, cioè per mantenere l’organismo in quella “zona” dove più facilmente riesce a bruciare i grassi a scopo energetico. A questo proposito è opportuno consumare almeno uno “snack” tra il pranzo e la cena, perché normalmente tra questi pasti intercorrono più di 4 ore; può essere utile in questo caso ricorrere all’uso di una barretta 4030-30 già formulata con queste proporzioni che può diventare ma solo sporadicamente anche un sostitutivo della colazione o di un pasto in caso di necessità.
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Diete per tutti Quindi come minimo i pasti della dieta 40-30-30 devono essere 4: colazione, pranzo, spuntino del pomeriggio e cena, ma possono anche diventare 5 o 6 con uno spuntino al mattino e uno alla sera prima di coricarsi qualora i tempi di attività giornaliera si dilatino nella giornata e le esigenze caloriche siano aumentate di molto dato il peso e l’attività fisica intensa del soggetto. Nella Tabella 1 possiamo appunto vedere quali piani alimentari utilizzare a seconda del peso, del sesso e dell’attività fisica del soggetto, aggiungendo 1 o 2 pasti a seconda della necessità possiamo incrementare il livello calorico. Nella Tabella 2 vediamo i quantitativi di nutrienti per piano alimentare. Le tabelle qui indicate sono rivolte ad un obiettivo di dimagrimento, qualora invece l’obiettivo sia il mantenimento o l’aumento di massa muscolare si può passare al piano successivo od aggiungere uno o due pasti.
“buoni” che promuovendo la vasodilatazione a livello periferico e muscolare aumentano l’afflusso di ossigeno, permettendo così un maggior utilizzo dei grassi a scopo energetico. Ecco perché quando si parla di dieta 40-30-30 dobbiamo non soltanto pensare alle calorie ma bensì ad un equilibrio ormonale fondamentale per lo stato di buona salute e quindi per il dimagrimento. Per questo è importante anche considerare l’aspetto morfo-costituzionale dell’individuo (vedi articolo “cronomorfodietoterapia”) e la sua distribuzione localizzata del grasso indicativa di un determinato assetto ormonale (vedi articolo “E tu, di che morfotipo sei?”). > Come “Snack” può essere utile una barretta già formata secondo le proporzioni 40-30-30
Nella Tabella 3 vi è indicato un esempio di dieta 40-30-30 a seconda dei vari piani A-B-C-D-E. Voglio sempre ricordare che in sintonia con il mio credo e la mia esperienza ogni approccio deve essere in realtà individualizzato a seconda del biotipo costituzionale e del tipo di attività sportiva svolta; voglio dire che il concetto 40-30-30 rappresenta in realtà non un dogma ma un punto di partenza dal quale partire per trovare la propria ed individuale alimentazione corretta. Alcuni individui si troveranno meglio con una percentuale di carboidrati più alta (p.es. il 50-55%) oppure altri più bassa (p.es. il 30%) ed è questo il caso degli ipossidatori e degli iperossidatori (vedi articolo “Iperossidatore”). Indubbiamente sport di resistenza con molte ore di allenamento giornaliero troveranno giovamento da un maggior apporto di carboidrati, viceversa sport di potenza potranno trovare giovamento da un maggior apporto di grassi e proteine. Possiamo dire che esiste un range abbastanza ampio dal quale non bisognerebbe uscire e dipende appunto dal metabolismo, dal tipo costituzionale, dall’attività sportiva che si svolge e dal fatto che si segua una dieta dimagrante o ingrossante. L’ideale secondo l’autore di “Zone Diet” Barry Sears è non uscire da quella “zona” compresa dal rapporto proteinecarboidrati da 0,5 a 1. In questa “zona” i valori ormonali in risposta ai nutrienti sono quelli ottimali per mantenere stabile la glicemia ed avere la migliore produzione di eicosanoidi
* Tabella 3
* Tabella 2
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Il dito puntato sugli zuccheri
L’indice Glicemico di Massimo Spattini e Giovanni Montagna
ell’alimentazione trova molta importanza valutare una giusta scelta dei cibi: soprattutto dei carboidrati a basso indice glicemico. Occorre ricordare che i glucidi si distinguono in semplici e complessi in quanto la disponibilità energetica dei primi è rapida mentre quella dei secondi è lenta, ma il problema è più complesso in quanto, pur essendo vero che il consumo eccessivo di mono e disaccaridi può produrre effetti sfavorevoli sull’elevazione della glicemia (tasso di glucosio nel sangue), è anche vero che la risposta glicemica ed insulinemica all’introduzione di cibi contenenti glicidi, varia in funzione non solo della quantità di questi ultimi, ma anche della natura del cibo, del metodo di preparazione, della distribuzione e composizione dei pasti, della presenza di altri costituenti (le fibre vegetali idrosolubili ritardano lo svuotamento gastrico e riducono i livelli ematici postprandiali del glucosio e del colesterolo).
N
Molte sono le spiegazioni addotte per giustificare la diversa capacità iperglicemizzante di alimenti con uguali quantità di carboidrati . Fra queste vi sono: - Lo stato di idratazione e la grandezza delle particelle, come nel caso dell’amido o di altri polisaccaridi; - La forma: ad es. le risposte glicemiche ed insulinemiche sono più elevate dopo ingestione di “ground rice” (riso a chicchi piccoli e tondeggianti, più teneri dopo la cottura) al posto di “whole rice” (chicchi allungati di maggiore consistenza), o di purea di mele al posto di mele intere; - Il tipo ed il grado di cottura, inoltre, sembrano influire sulla risposta metabolica all’amido; - Il tipo e la qualità delle fibre alimentari associate alla dieta; - L’entità del rapporto lipidico e proteico di un pasto completo;
Una porzione di 90gr di lenticchie ed una di 75gr di pane contengono la stessa quantità di carboidrati (circa 50gr); si potrebbe quindi pensare che, nelle ore successive alla loro ingestione, entrambe le porzioni abbiano lo stesso effetto sulla glicemia. Invece, si è osservato che l’incremento glicemico ottenuto con le lenticchie è pari solo al 40% di quello determinato dal pane. Ciò avviene perché i carboidrati contenuti nelle lenticchie vengono assorbiti più lentamente di quelli contenuti nel pane. Con quanto detto precedentemente, non si intende demonizzare i carboidrati che anzi costituiscono una fonte energetica indispensabile, però è dimostrato che il rialzo glicemico post-prandiale è fortemente dipendente dalla quantità e soprattutto dal cibo a prevalenza glucidica, che noi consumiamo in quel pasto ed oltretutto sono proprio le variazioni rapide ed elevate della glicemia che possono influire negativamente a livello di alcuni organi e dell’organismo in toto. Per distinguere i vari alimenti in base alla loro capacità di provocare un rialzo glicemico più o meno consistente, David Jenkis; noto nutrizionista canadese, ha sviluppato il concetto di indice glicemico dato dal rapporto tra la risposta glicemica post-prandiale ad un singolo alimento e la risposta glicemica ad un alimento di riferimento, dove la quantità di carboidrati nei due alimenti è uguale. Quale alimento di riferimento fu utilizzato in un primo tempo il glucosio, ma successivamente si è preferito il pane. area di incremento glicemico indotta dall’alimento glicemico Indice = area di incremento glicemico indotta da pane o glucosio
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- La presenza di sostanze quali i fitati ed i tannini, o di inibitori enzimatici naturalmente presenti nei cibi, la cui attività può variamente sopravvivere alla cottura (ad es. gli inibitori dell’amilasi del frumento nella preparazione del pane; l’amilasi è un enzima che serve a digerire i carboidrati). Jekins, ha confrontato più di 60 cibi e zuccheri diversi e da tali confronti è emerso che cibi con un’elevata percentuale lipidica, come il latte intero ed il gelato, provocano minimi rialzi della glicemia rispetto a quanto operato dal pane. I cibi che hanno dato luogo alle curve glicemiche più piatte, si sono rivelati i legumi (piselli, fagioli, lenticchie) che infatti rappresentano la fonte alimentare più ricca in fibre. Anche all’interno di pasti misti, l’utilizzazione prevalente di alimenti a basso indice glicemico sembra comunque favorire il controllo della glicemia (ricordiamo che la risposta glicemica ad un tipo di carboidrato, è l’azione che esso esercita sui livelli di zuccheri nel sangue ed in particolare ci dice come il sangue di un individuo si arricchisce di zuccheri dopo aver consumato quel tipo di carboidrato; in parole povere è la variazione dei livelli di glucosio, ematici, nel tempo indotti dall’ingestione di quell’alimento). Si è osservato che patate e pane bianco provocano una iperglicemia postprandiale più elevata in confronto a quella determinata dal riso integrale, dal pane integrale, dalla pasta e specialmente dai legumi ed in particolare da lenticchie e piselli (indice glicemico basso), a parità di contenuto glucidico. A questo punto possiamo dire che la classica distinzione in glicidi semplici (a rapido assorbimento) e glicidi complessi (a lento assorbimento), è relativa in quanto si è osservato che gli uni e gli altri sono assorbiti a velocità simili se i glicidi semplici sono consumati alla fine di un pasto misto e che gli amidi e
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Diete per tutti gli zuccheri semplici in soluzione acquosa, inducono una risposta glicemica simile. In pratica, gli alimenti ricchi di idrati di carbonio non vengono di regola consumati da soli ma nel contesto di un pasto misto, per cui anche l’utilizzazione dietetica dell’IG ha il suo limite nelle possibili interferenze tra alimenti, soprattutto in ragione del loro contenuto in fibra vegetale idrosolubile. E’ comunque evidente che per evitare rapide variazioni della glicemia e della secrezione insulinica che, se elevate possono provocare danni che si ripercuotono sugli organi e sull’intero organismo (magari non vengono avvertiti nel breve periodo, ma se questa situazione di “botte” glicemiche si ripete costantemente e per molto tempo, si possono instaurare anche patologie gravi), è consigliabile consumare cibi a basso IG (pasta, legumi, ecc.) piuttosto che quelli ad alto IG (pane bianco, patate,ecc.) oltre a limitare i glicidi semplici a rapido assorbimento. Fino ad ora, abbiamo parlato dei carboidrati, dell’IG, della variazione di glicemia ed insulinemia legati alla composizione del pasto e dell’alimento. Un fattore fondamentale che non bisogna assolutamente tralasciare, è la variazione della risposta individuale ai carboidrati, legata al metabolismo del soggetto (la sensibilità all’insulina) che è determinata geneticamente ma che può essere migliorata o peggiorata dalle abitudini alimentari e dallo stile di vita. All’interno della gamma di variazioni della risposta dell’organismo ai carboidrati, si passa da individui che possono consumarne senza ingrassare (nel contesto di diete normocaloriche o leggermente ipercaloriche), ed altri che con quantità minori, degli stessi carboidrati, tendono ad ingrassare. Alla base di questa differenza, nella possibilità di consumare più o meno carboidrati con o senza effetti indesiderati, vi è la variazione individuale nella metabolizzazione ed utilizzazione dei carboidrati, dipendente sia da sistemi enzimatici specifici, che dalla sensibilità all’insulina e cioè da come una normale produzione di insulina va ad incidere sul trasporto di glucosio nei tessuti muscolari ed epatici. L’espressione “resistenza” all’insulina, fa riferimento ad una situazione nella quale il trasporto di glucosio nei tessuti sensibili alla stessa, viene in qualche modo inibito. A seconda del grado di resistenza all’insulina, il glucosio e l’insulina ematici, possono aumentare dando il via ad una maggiore conversione di glucosio in grasso attraverso il fegato o, se si è in presenza all’insulina anche a livello del tessuto epatico, attraverso un meccanismo che coinvolge le pareti arteriose. La diversità della forma e della complessità di struttura che i carboidrati possiedono, si traduce in un diverso grado di digeribilità e per molte persone, questo implica la necessità di scoprire come viene metabolizzato il glucosio derivante da questi alimenti per poter assumere quelli più idonei. Chi ha il problema di un’aumentata resistenza all’insulina (che limita la capacità di sfruttare completamente i glucidi ingeriti) può trarre vantaggio dal consumo di carboidrati a più lenta digestione. La lentezza del rilascio del glucosio, permette all’organismo di utilizzarlo al meglio e per un tempo più lungo, mantenendo anche un livello di insulina adeguato e soprattutto non provocando rialzi dannosi. Peggiore è il grado di tolleranza ai carboidrati, maggiore sarà il bisogno di glucidi a più lenta metabolizzazione. Cambiare il metabolismo è un po’ difficile (appunto perché sono implicate caratteristiche genetiche difficilmente mutabili ), ma variare le abitudini alimentari non lo è per niente (forse un pochino sì, ma bisogna sforzarsi per raggiungere qualsiasi obbiettivo), tutto ciò che una persona ha bisogno, è una guida
che gli indichi quali sono i cibi da assumere, per sfruttare al massimo i carboidrati ingeriti in base al suo grado di sensibilità insulinica, e questa l’abbiamo identificata con la tabella degli indici glicemici. L’efficace utilizzo dei carboidrati, è caratterizzato da un normale grado di sensibilità all’insulina, da un aumento del glicogeno nei tessuti muscolari ed epatici, da un ridotto utilizzo degli aminoacidi per la produzione di energia e da una loro scarsa conversione in grasso. Con il diminuire del grado di tolleranza al glucosio, aumenta la quantità di carboidrati che assunti attraverso una normale alimentazione, possono essere convertiti in grasso a causa di un loro mancato utilizzo ed allo stesso tempo si riduce anche la quota di glicogeno immagazzinato. Il metabolismo degli aminoacidi viene influenzato in modo negativo a causa degli ormoni solitamente associati alla scarsa tolleranza ai carboidrati. Questo spiega perché gli individui che presentano una scarsa tolleranza ai carboidrati, possono ingrassare seguendo una dieta povera in grassi ma contenente una quantità ed una qualità di glucidi che non riescono ad essere ottimamente utilizzati ripercuotendosi negativamente sul funzionamento di tutto l’organismo. La catalogazione e l’utilizzo degli indici glicemici, è nata quasi esclusivamente per poter prescrivere delle diete idonee alle persone affette da diabete. Solo negli ultimi anni, anche le persone sane (ma soprattutto in campo sportivo) si sono rivolte all’IG per migliorare la qualità del loro regime alimentare, aumentare il grado di tolleranza ai carboidrati, ma anche come “strumento” per intervenire sulla composizione corporea (naturalmente seguiti da persone qualificate nel settore dietologico). Nell’ultimo decennio, gli studiosi interessati alla patologia diabetica, hanno dimostrato che una dieta contenente , come quota glucidica, carboidrati complessi non trattati, non solo migliorava il grado di sensibilità all’insulina (quindi minore secrezione post-prandiale) ma riduceva il rischio di patologie coronariche che rappresentano una complicazione comune alle persone affette da questa patologia. Studi recenti, hanno dimostrato che i diabetici che consumano carboidrati comSPORTMAN & Fitness #
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Diete per tutti ALIMENTO Yogurt a basso tenore di grassi dolcificato con aspartame Fagioli di soia in scatola Noccioline Fagioli di soia Crusca di riso Fagioli rossi Ciliege Fruttosio Piselli secchi Cioccolato al latte dolcificato con aspartame Fagioli marroni Pompelmo Lenticchie rosse Spaghetti arricchiti di proteine Latte + 30g di crusca Latte intero Fagioli secchi comuni Salsicce Lenticchie comuni Fagioli Lenticchie verdi Fagioli Neri Latte di Soya Albicocca Piselli bolliti Latte scremato Fettuccine Yogurt a basso contenuto di grassi, dolcificato con zucchero della frutta Segale Orzo Cioccolato al latte senza zucchero Vermicelli Yogurt standard Pere fresche Succo di mela Spaghetti al dente Mela Pastina Star Polpa di pomodoro Pane d'orzo Ravioli Spaghetti cotti per 5 min. All-Brain Pesca fresca Aranicia Pere in scatola Zuppa di lenticchie in scatola Cappellini Maccheroni Linguine Riso rapido bollito per 1 min. Lattosio Pan di Spagna Uva Succo d'ananas Pesche in scatola Riso parboiled Piselli verdi Riso parboiled, alti amidi Succo di pompelmo Cioccolato Pane di segale Gelato a basso contenuto di grassi Tortellini al formaggio Crusca con uva sultanina Succo d'arancia Lenticchie verdi in scatola Kiwi Torta comune Patate dolci Special K Kellog's Banana Grano saraceno Cereali dolci Spaghetti scotti Riso integrale (brown)
IG 20 20 21 25 27 27 32 32 32 34 34 36 36 38 38 39 40 40 41 42 42 43 43 44 45 46 46 47 48 49 49 50 51 52 53 53 54 54 54 55 56 58 60 60 63 63 63 64 64 65 65 65 66 66 66 67 68 68 69 69 70 71 71 71 74 74 74 75 77 77 77 77 78 78 78 79
ALIMENTO
IG plessi, vedono migliorare la sensibilità all’insulina e in alcuni
Farina d'avena galletta
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Biscotti da té Succo di frutta mista Popcorn Muesli Mango Uva sultanina Patate comuni bianche bollite Riso integrale Patate novelle
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Riso bianco Riso bianco, alti amidi Pasticcio di carne Pizza al formaggio Zuppa di piselli Hamburger bun Farinata di fiocchi di avena Gelato Barrette di muesli Patate confezionate McDonald's Muffins Sciroppo di mais ad alto tenore di fruttosio Biscotto di pasta frolla Uva passa Pane di segale Maccheroni al formaggio Saccarosio/zucchero di canna Timballo
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casi, la necessità di insulina esogena diminuisce sensibilmente. Generalmente, i diabetici possono consumare una quantità maggiore di carboidrati a bassa risposta glicemica, senza aver bisogno di aumentare la dose di insulina (sicuramente questi risultati, anche se meno eclatanti, possono essere visibili su soggetti sani che si attengono ad una dieta simile). C’è da specificare, che non solo l’alimentazione influisce sulla capacità di metabolizzare più o meno efficacemente gli alimenti introdotti, ma anche lo stress, le droghe, l’invecchiamento della popolazione, la mancanza di esercizio fisico sono causa di una maggiore diffusione della resistenza all’insulina e molte persone hanno scoperto di non poter seguire una dieta abbondante in carboidrati senza ingrassare (naturalmente valutando la quantità di calorie introdotte). Il grado di tolleranza ai carboidrati, può comunque essere migliorato, nonostante i fattori che lo influenzano negativamente, attraverso il consumo che privilegi i glucidi complessi a scapito di quelli semplici.
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Cous-cous Pane di segale, alte fibre Cocomero Patate al vapore Cordiale all'arancia Ananas Semolino Gnocchi Cornetti (croissant) Nocciole Fanta Mars barrette Pane di frumento, alte fibre Frittella Crema di frumento Biscotti di frumento Purea di patate Carote macinate Pane bianco di frumento Crackers
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Panino Miele Patate bollite schiacciate Corn chips Panino ripieno Patate fritte Zucca Cialde Wafers alla vaniglia Dolcetti di riso Galletta tipo colazione Ciambella salata Patate al microonde Cornflakes Patate al forno Patatine fritte croccanti Riso, parboiled, basso amido Riso bianco, basso amido Riso soffiato Riso istantaneo bollito per 6 min Pane di frumento senza glutine Glucosio Maltodestrine Tavolette di glucosio Maltosio Tofu frozen dessert
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Il succo del discorso è il comprendere che, in alcuni casi ed in momenti opportuni, è meglio consumare cibi a basso indice glicemico (e quindi a lenta digeribilità) per consentire all’organismo di metabolizzarli efficacemente ed in tempi più lunghi e quindi utilizzando il glucosio derivato, ad es. da un piatto di pasta (possiede un basso indice glicemico), come energia o immagazzinandolo come glicogeno al posto di convertirlo in deposito adiposo. Abbiamo perciò capito che più basso è il grado di tolleranza a questi benedetti carboidrati, meno efficiente sarà la metabolizzazione degli stessi da parte dell’organismo e più tempo sarà necessario per utilizzare quantità anche minime di carboidrati provenienti dalla normale alimentazione, che non potranno essere successivamente sfruttati adeguatamente.
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La dieta ZONA sotto osservazione di Giovanni Montagna, Massimo Negro e Fulvio Marzatico
uest’articolo, nonostante il titolo, non tratta di regole del calcio o di disposizioni dei giocatori in campo, bensì descrive brevemente un regime dietetico diventato molto famoso negli Stati Uniti, dove da alcuni anni diversi allenatori ed atleti lo hanno utilizzato con favorevoli ripercussioni sulle prestazioni fisiche.
Q
Presentata per la prima volta nel libro di Barry Sears e Bill Lawren, dal titolo “Come raggiungere la zona” (Sperling & Kupfer), la “Zone Diet” non è tuttavia rivolta solo ad un’utenza sportiva, bensì a tutti coloro che vogliono mantenere un buono stato di salute ed un corretto peso corporeo. Gli autori indicano questo particolare modo di alimentarsi, come la strada da seguire per perdere i chili in eccesso, prevenire alcune malattie legate al sovrappeso, ottenere la massima performance fisica ed aumentare le capacità mentali. Come tutte le novità in campo dietetico, ha suscitato numerose polemiche da parte di medici e nutrizionisti, soprattutto per ciò che riguarda il ridotto contenuto in carboidrati e l’elevata quantità di proteine da assumere: un’impostazione decisamente diversa da quello che le linee guida nazionali da sempre raccomandano.
Come nasce la proposta L’elevato numero di soggetti obesi, pone da tempo le autorità sanitarie statunitensi alle prese con un fenomeno pericoloso. Negli anni 80, infatti, la popolazione obesa nordamericana raggiungeva il 25 %, con una notevole incidenza di malattie cardiovascolari. L’intervento fu quello di promuovere una campagna nutrizionale mirata a ridurre al minimo la quantità di grassi introdotti, diminuendo l’apporto di proteine e incentivando l’assunzione di carboidrati, con particolari raccomandazioni volte ad elevare la quantità di frutta e verdura giornalmente consumata. Dopo dieci anni, una nuova indagine sulla popolazione americana rivelò che la media delle calorie giornaliere introdotte era scesa del
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20 %, che la presenza di grassi nella dieta era diminuita del 25%, ma paradossalmente il numero degli obesi era aumentato del 7%. A questo punto nasce il dubbio se gli americani abbiano seguito realmente le indicazioni imposte o se queste siano state male interpretate. Barry Sears propose che la coesistenza in un soggetto di elevati livelli di colesterolo LDL, iperinsulinemia, insulino resistenza, iperglicemia, fosse il risultato di un’eccessiva presenza di zuccheri nella dieta. Quest’affermazione scatenò, come prevedibile, una gran discussione tra i nutrizionisti d’oltre oceano e successivamente anche nel nostro paese (dopotutto, la nostra dieta mediterranea si basa proprio su un’alta quota di carboidrati e bassa in proteine e grassi), dove la proposta di Sears è stata presa acriticamente come un insulto al nostro piatto tradizionale, cioè la pasta. Invece, interpretando correttamente la proposta nutrizionale della zona ci si accorge che in gran parte si basa su un concetto antico e condiviso dalla maggioranza dei nutrizionisti, vale a dire la calma insulinemica.
Calma insulinemica ed effetti della Zone Diet Da un punto di vista ormonale, la calma insulinemica si può definire come l’antagonismo tra insulina e glucagone: il meccanismo che regola la presenza di adeguati livelli di glucosio ematico (glicemia). Mentre dopo l’assunzione di un pasto misto il quadro metabolico è largamente dominato dall’azione dell’insulina, limitate fluttuazioni si hanno invece sulle concentrazioni di glucagone. Pertanto un’eccessiva introduzione di carboidrati/zuccheri porta ad elevate liberazioni insuliniche che possono essere antagonizzate se nel pasto viene elevata la quota proteica, che risulta essere lo stimolo fisiologico per la liberazione di glucagone. Un rapporto tra le concentrazioni dei due ormoni nel sangue (rapporto insulina/glucagone o I/G) più equilibrato (cioè meno a favore dell’insulina) promuove un maggiore utilizzo dei grassi di deposito per scopi energetici ed inoltre un aumento delle capacità aerobiche e d’endurance, grazie all’aumentata disponibilità degli acidi grassi circolanti. L’I/G influisce inoltre sulla sintesi di alcune sostanze che pren-
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Diete per tutti dono il nome di eicosanoidi in grado di esercitare numerosi effetti. In particolare, con una maggiore secrezione di glucagone promossa da questo tipo di dieta, si avrebbe un incremento degli eicosanoidi “buoni” (prostaglandine E1 ed Interleuchina 2) e una diminuzione di quelli “cattivi” (prostaglandine E2, trombossani e leucotrieni), modulati dall’effetto che l’insulina ha sull’acido arachidonico.
zioni a livello organico e metabolico. Va ricordato, tuttavia, che uno sbilanciamento estremo del pasto anche in senso proteico, risulta essere negativo, perciò il giusto approccio alimentare è quello di rimanere in una zona definita da un preciso rapporto tra carboidrati e proteine.
Come si entra nella zona
Lo schema dietetico di Sears, si basa sul mangiare meno carboidrati (limitando la secrezione d’insulina e favorendo il dimagrimento) e più proteine (anche fino a 2 grammi/Kg di peso corporeo, le quali favoriscono la secrezione di glucagone).
Secondo Sears il rapporto ideale fra proteine e carboidrati è di 0,75, cioè 3 calorie dalle proteine ogni 4 calorie provenienti dai carboidrati/zuccheri; tuttavia, questo rapporto si può adeguare sino a 0,5 (cioè 2,5 calorie proteiche ogni 5 calorie da carboidrati).
L’elevata percentuale di grassi, è ottimale per fornire al corpo, tutti gli acidi grassi essenziali di cui ha bisogno per favorire la produzione di eicosanoidi “buoni” e per assolvere alle loro fun-
I grassi (soprattutto mono e polinsaturi), pari a c.ca il 30% delle calorie/die, vengono variati in base al fabbisogno energetico del soggetto.
Differenze tra la dieta “normale” e la “zone diet”
Regole importanti per la “zona”
L’impostazione di una dieta solitamente si svolge nel seguente modo: Definizione delle calorie giornaliere che deve introdurre il soggetto; Suddivisione delle calorie nei vari macronutrienti, limitando la percentuale di grassi che vengono di solito sostituiti da carboidrati; Distribuzione delle calorie nell’arco della giornata (solitamente 3 pasti principali e 2 spuntini); Definizione di un’idonea rotazione degli alimenti, per assicurare l’introduzione di adeguate quantità di vitamine e minerali.
Va tuttavia ricordato che ci sono alcune importanti regole da osservare quando si segue questo regime dietetico: Rispettare assolutamente il rapporto fra proteine e carboidrati per tutti i pasti assunti nella giornata; Non superare le 400/500 Kcal a pasto ma piuttosto distribuire la quota calorica giornaliera in piccoli spuntini: si è visto che uno spuntino da 100 Kcal 30’-60’ prima di un’attività fisica migliora la performance, mentre se assunto prima di andare a letto migliora l’equilibrio ormonale ed il recupero;
Calcolare i grammi di proteine giornaliere necessarie, tenendo conto dello stile di vita che si conduce (sedentario o attivo);
Le proteine devono provenire da fonti alimentari a basso contenuto di grassi saturi, come le carni bianche, il pesce e l’albume d’uovo, oppure da integratori proteici con un rapporto proteine/carboidrati, idoneo e prestabilito;
Calcolare di conseguenza i carboidrati, prevalentemente complessi ed a basso indice glicemico;
Consumare i carboidrati a basso indice glicemico, preferendo quelli non raffinati con una buona presenza di fibra;
Seguendo invece la zona si deve procedere a:
Aggiungere i grassi in base al fabbisogno calorico. Adottando la “Zone Diet”, il punto di partenza è rappresentato quindi dalla giusta quantità di proteine da assumere.
Assumere grassi soprattutto di origine vegetale, con elevato tenore di acidi grassi mono e polinsaturi, consumandoli preferibilmente a crudo; La colazione deve coprire il 20-30% delle calorie giornaliere.
Concludendo ci sembra che questa proposta dietetica non sia aprioristicamente da sottovalutare, anche se probabilmente potrebbe risultare più appropriata per soggetti in soprappeso o con un’attività fisica media, mentre ulteriori e più approfondite valutazioni sono ancora necessarie per stabilire la sua efficacia per atleti di sport di resistenza aerobica e potenza. SPORTMAN & Fitness #
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Diete per tutti
La ZONA di Cristina Mosetti
Italiana
l metodo del biologo americano Barry Sears per raggiungere la “Zona” è stato studiato ed adattato ai gusti ed alla tradizione mediterranea. Cerchiamo di capire come è stato fatto tutto questo attraverso il libro “La Zona Italiana” adattato dalla biologa alimentarista Gigliola Braga. Si riconosce nella zona quello stato di equilibrio tra l’insulina ed il glucagone raggiungibile attraverso il dosaggio degli alimenti. Di certo, la metodica americana adattata in questo senso diviene un programma di educazione alimentare che permette a tutti di stare meglio in modo duraturo, di riconquistare smalto fisico ed energie mentali.
I
Cerchiamo di capire in che modo la “zona” è diventata italiana. La difficoltà maggiore è stata quella di adattare tale regime al nostro in quanto è stato studiato appositamente su alimenti tipici degli americani e sulle loro abitudini. Basti pensare che le tabelle alimentari, stilate dall’Istituto Nazionale per la Nutrizione ed Alimentazione italiano (INRAN), sono ben diverse da quelle americane. Infatti, vi sono alcune differenze di grande ostacolo quale il contenuto in nutrienti di alcuni cibi. Ad esempio, le fragole italiane contengono 5,3 g di carboidrati per 100 g e quelle americane ne contengono 17,36 g; il contenuto in Omega 3, di grande importanza nella dieta zona, presenta differenze nel contenuto tra alcuni pesci americani e quelli italiani. Superando tutte queste difficoltà, si è anche cercato di inserire nella zona tutti quei piatti tipici e molto amati della nostra cultura mediterranea al fine di evitare di far divenire tale dieta un regime privativo e drastico. La zona diventa quindi un piano per una corretta educazione alimentare che cerca di preservare l’individuo dall’inGli OMEGA 3 sono di grande sorgenza di probleimportanza nella zona mi di salute e diventa una valida alternativa alla dieta italiana. Ad ogni modo, entrambe le diete sono accomunate da alcune caratteristiche. In entrambe si incoraggia il consumo di pesce, in particolare quello azzurro ricco di
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acidi grassi omega 3, si limita l’utilizzo di carni rosse a favore di quelle bianche; si favoriscono cibi quali i formaggi a moderato contenuto di grassi, il latte parzialmente scremato e le uova; si ritiene come miglior olio quello di oliva grazie alle sue caratteristiche benefiche, inoltre, entrambe le diete consigliano di consumare frutta e verdura grazie al loro apporto in fibra, sali minerali e vitamine. Anche per il consumo di vino si trovano concordi nel consigliarne un uso moderato grazie ai favorevoli benefici sull’apparato cardiovascolare. Infine, entrambe le diete non ammettono l’eccesso alimentare ma, proprio in quest’ultimo punto si distinguono in quanto la zona non ammette l’eccesso alimentare non solo calorico ma anche qualitativo. Infatti, per Sears non basta la riduzione calorica per migliorare il peso e la salute ma occorre anche valutare la provenienza qualitativa delle calorie. E’ per questo che si pensava difficile rendere italiana la zona poiché gli italiani avrebbero rinunciato difficilmente alla pasta ma, in realtà, occorre semplicemente limitarla e non eliminarla. Tale regime alimentare, così adattato, può essere utilizzato da molte persone e per scopi diversi. Può essere utilizzato da chi vuole dimagrire, da chi rischia patologie cardiache e autoimmuni, dai diabetici tipo 2 e dagli insulino-resistenti, da chi soffre di artrite, dalle donne con sindrome premestruale, da chi vuole rallentare gli effetti dell’età, dalle donne a rischio di cancro al seno, osteoporosi e disturbi della menopausa, dalle donne in gravidanza sia per controllare il peso che per evitare l’insorgenza del diabete gravidazionale, dai bambini, dalle donne affette da sindrome policistica ovarica, dai depressi, dagli alcolizzati e dagli atleti. Proprio molti di quest’ultimi in Italia hanno cominciato ad utilizzare la zona considerandola come il loro “doping naturale” grazie ai benefici effetti sperimentati.
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Quali sono i fondamenti della zona?! La zona si basa su due pilastri fondamentali: moderazione ed equilibrio, cioè moderazione quantitativa senza fame e giusto equilibrio di tempi e di componenti alimentari ad ogni assunzione di cibo. Grazie a questo equilibrio si notano miglioramenti su molti parametri ematici quali colesterolo, trigliceridi ed insulina e su alcune patologie quali ipertensione, diabete tipo 1 e 2, cardiopatie, sindrome X, cancro, artrite, sclerosi multipla, AIDS, lupus, affaticamento cronico, alcolismo, depressione, sindrome premestruale, eczema, psoriasi, dolore cronico e impotenza. Un effetto di rilevante importanza della zona è l’effetto benefico di ritardare l’invecchiamento. Ciò avviene agendo sui quattro pilastri fondamentali dell’invecchiamento stesso: l’eccesso di insulina, i radicali liberi, gli zuccheri ematici ed il cortisolo. Esistono secondo Sears tre antidoti all’avanzamento dell’età: la restrizione calorica ed in particolare quella condotta con il metodo pro-Zona, l’esercizio fisico controllato e la riduzione dello stress. L’80% di questo antidoto è proprio la componente alimentare che permette, con la restrizione dell’apporto calorico di ridurre i radicali liberi, e con l’alimentazione prozona di controllare il livello di glucosio nel sangue e la produzione d’insulina che non arriva mai a livelli indesiderati. Inoltre, alcuni alimenti consigliati dalla zona sono fondamentali all’avanzamento dell’età. Ad esempio il GLA, un acido grasso essenziale della serie omega 6, la cui produzione si riduce progressivamente con l’età è contenuto nell’avena e nell’olio di borragine che vengono consigliati dalla zona stessa a chiunque voglia contrastare l’avanzamento degli anni. Vi è poi la componente motoria per la quale si consiglia di eseguire sia l’esercizio aerobico che anaerobico in modo leggero ed, in particolare, l’esercizio anaerobico non deve mai superare i 45 minuti perché oltre questo limite inizia la produzione di cortisolo. L’ultimo ma fondamentale aspetto anti–età è di ricordarsi sempre di dedicare una parte del proprio tempo al relax perché, oltre a sentirsi subito meglio, ci sono buone possibilità che anche i livelli ormonali ne ricavino un vero beneficio.
Come si può raggiungere tutto questo ed entrare quindi nella zona?! Per entrare nella zona occorre tenere in considerazione quattro aspetti fondamentali: la scelta dei grassi alimentari, l’esercizio fisico, l’assunzione di Omega 3 e l’adozione del regime 40-30-30. In America sembra che uno dei motivi del fallimento della dieta salutistica sia stato quello di demonizzare i grassi senza fornire informazioni specifiche sul perché di questo. La dieta zona permette di consumare acidi grassi polinsaturi, chimicamente forniti da più di un doppio legame a differenza di quelli saturi, e monoinsaturi. Per quanto riguarda i polinsaturi ne esistono molti in natura ed, in particolare, ne sono ricchi gli oli di semi. Gli acidi grassi polinsaturi più importanti per la zona sono
quelli della serie omega 6 ed omega 3 che danno origine ad eicosanoidi diversi. Tra questi, gli acidi grassi omega 3 scarseggiano nella nostra dieta e si trovano prevalentemente in alcuni pesci quali sardine e salmone. Negli ultimi anni il rapporto tra acidi grassi omega 6 ed omega 3 è andato peggiorando tanto che oggi si registrano rapporti di 20:1 in favore degli omega 6 a causa dell’aumentato consumo degli olii e ridotto consumo del pesce, mentre nell’alimentazione dell’uomo primitivo questo rapporto era 2:1. E’ stato osservato come la somministrazione di olii di pesce sia in grado di variare l’assetto lipidico dell’organismo con riduzione dei livelli di colesterolo e di trigliceridi ematici. Ultimamente l’interesse per questi grassi è cresciuto a tal punto che alcuni cibi vengono addizionati di omega 3. Purtroppo se ne assumono troppo pochi e sono invece fondamentali nella zona per correggere lo squilibrio alimentare. Al contrario esistono una serie di grassi non naturali cosiddetti “trans”, idrogenati dall’uomo, che hanno accentrato l’interesse di molti nutrizionisti a causa della loro pericolosità. Fanno parte di questa categoria alcune margarine solide che si ricavano dagli olii liquidi attraverso un processo chimico di idrogenazione e vengono utilizzati in moltissimi prodotti che vanno dai biscotti ai crackers, ai dolci ed alle merendine. Sono molto nocivi perché bloccano gli enzimi che intervengono nel metabolismo dell’acido linoleico, un omega 6 essenziale che l’organismo non è in grado di sintetizzare e che deve assumere con la dieta. Pertanto, tali grassi interrompono la produzione di eicosanoidi come le prostaglandine che regolano il tono muscolare delle pareti arteriose, la pressione sanguigna, le funzioni renali e le infiammazioni. Pertanto, occorre limitare se non evitare i cibi ricchi in grassi idrogenati in particolar modo in gravidanza, durante l’allattamento e nell’infanzia. Tra i monoinsaturi si consiglia in particolar modo l’olio di oliva soprattutto se extravergine, gli acidi grassi contenuti nelle mandorle e nelle arachidi. Vengono però sconsigliati gli oli di semi vari e se la preferenza dell’olio di oliva non è gradita viene consigliato l’olio di arachidi più ricco in acidi grassi monoinsaturi rispetto agli altri oli. Altro aspetto fondamentale per entrare nella zona è l’esercizio fisico. La sua rilevanza è fondamentale poiché grazie ad esso si abbassa l’eccesso di glucosio nel sangue e, di conseguenza, quello di insulina. Questo grazie al fatto che l’allenamento comporta il consumo di energia ma, soprattutto, se moderato, l’utilizzo di quell’ener> Il latte parzialmente scremato gia immagazzinaé un alimento che ha già in se ta nei grassi. le proporzioni della zona
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Diete per tutti Infine, l’ultimo aspetto ma solo per ordine e non di importanza, è l’utilizzo di un regime dietetico 40-30-30, ossia l’ammissione nella dieta di percentuali di carboidrati del 40% rispetto alle proteine e grassi del 30%. Di certo, quest’ultimo punto è proprio quello in maggior conflitto con la dieta mediterranea, in particolar modo italiana. Le linee guida italiane consigliano un apporto calorico giornaliero distribuito in percentuali di carboidrati, grassi e proteine rispettivamente del 50-60% - 25-30% - 15-18%, pertanto, a favore dei carboidrati. Si nota subito una distinzione fondamentale, ma, secondo il Dott. Sears è proprio la 40-30-30 la proporzione ottimale per riuscire a controllare l’insulina al fine di mantenerla in una zona terapeutica che consente, tra l’altro, di utilizzare i grassi corporei come energia e che, inoltre, interviene nella modulazione ormonale degli eicosanoidi. In tal modo, attraverso il cibo si riesce a posizionare l’organismo in una zona controllata per 24 ore al giorno.
tosto che cotte al forno o al microonde; di preferire il fruttosio per dolcificare piuttosto che lo zucchero di barbabietola, di canna, il miele o i dolcificanti; di preferire i cibi preparati con farine di grano duro anziché quelli con farina bianca 0 o 00 che si usa per lo più per la preparazione di alcune paste casalinghe; di preferire tra i risi nazionali la varietà Carnaroli e tra quelli esteri il Basmati. Per quanto riguarda le proteine occorre ricordare che per il nostro organismo è fondamentale nutrirsi di sostanze proteiche specie di quelle contenenti gli amminoacidi essenziali senza i quali è compromessa la funzionalità dell’organismo medesimo che è in continuo rinnovamento. Anche in questo caso occorre quantificare l’apporto di queste che se in eccesso creano danni ben conosciuti da chi segue diete chetogeniche, se in difetto creano indebolimento del sistema immunitario e perdita di massa muscolare. Non esiste un quantitativo standard per tutti, la quantità dipende dalle proprie necessità che dipendono dalla massa magra e dall’attività di ciascuno di noi.
Occorre semplicemente imparare a fare questo dosaggio di cibi che apparentemente difficile diventa, invece, piuttosto semplice grazie ad alcuni insegnamenti.
Occorre inoltre saper scegliere tra le proteine quelle migliori.
E’ fondamentale, innanzitutto, riuscire a distinguere i cibi tra carboidrati, proteine e grassi in modo da orientarsi sulle scelte nutrizionali e, quindi, a dosare effettivamente le quantità di questi. Riguardo i carboidrati, la zona predilige i glucidi a basso indice glicemico, ossia che inducono una risposta insulinica più graduale e moderata in modo da mantenere il più possibile costante il livello ematico di glucosio al fine di far si che il cervello e l’organismo possano avere un rifornimento continuo e funzionare in modo ottimale senza soffrire per ipoglicemia e senza sentire la necessità di nuovi alimenti.
Per la zona le fonti proteiche migliori sono il pesce, le carni bianche, la carne di struzzo, l’albume delle uova, i formaggi magri ed il tofu. Sono fonti proteiche accettabili il fagiano, gli altri tagli di carni bianche, le carni magre di maiale e di manzo, i prosciutti magri, lo speck ed i formaggi mediamente magri. Le scelte di proteine da evitare sono quelle quali: salsiccia, cotechini, lardo, tagli grassi di carne rossa, wurstel, salame, tuorlo d’uovo, formaggi grassi e le frattaglie. Anche le proteine vegetali sono buone fonti ma la loro digeribilità ed assimilazione sono ridotte dalle fibre in cui sono avvolte.
Pertanto, la zona distingue i carboidrati in favorevoli e sfavorevoli. Sono favorevoli tutte le verdure tranne le carote, mentre la frutta, eccetto le banane e l’uva passa, ha un carico glicemico medio; sono sfavorevoli tutti gli amidi ed i cereali, cioè: pane, pasta, patate, riso ecc… Fanno eccezione l’orzo e l’avena ed il frumento integrale poiché ricchi in fibra che rallentano l’assorbimento dei carboidrati agendo favorevolmente sull’indice glicemico. Pertanto, l’aspetto della fibra nei carboidrati riveste un ruolo importante in quanto, questi risultano ad indice glicemico più basso. Inoltre, come già ricordato in precedenza, l’avena è consigliata oltre che per il suo basso indice glicemico anche per il suo contenuto in GLA, acido grasso essenziale per la produzione di eicosanoidi. Occorre quindi ricordarsi di consumare con moderazione pasta, riso, farinacei ed amidacei tenendo presente che è sempre meglio utilizzare quelli integrali e comunque poco raffinati. Bisogna inoltre considerare che la pasta distribuita in USA è prevalentemente di semoladi grano tenero mentre quella diffusa nel nostro paese è di semola di grano duro, quindi ad indice glicemico più basso. Alcuni facili accorgimenti per cibi a minor indice glicemico sono quelli di: preferire le paste dietetiche o per bambini addizionate con proteine e comunque la cottura al dente piuttosto che quella normale o scotta; di preferire le patate bollite piut-
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Ciò è molto importante poiché ai fini metabolici ha importanza non la quantità di proteine assunte ma la quantità di quelle assimilate. Sono fondamentali poiché innalzano il glucagone, ormone contrapposto all’insulina, fondamentale per il mantenimento della glicemia costante. Per quanto riguarda i grassi anche in questo caso possiamo distinguere tra quelli sfavorevoli e quelli favorevoli. Sono sfavorevoli l’acido arachidonico contenuto nel tuorlo d’uovo, nelle frattaglie e nei tagli di carne rossa grassi, i grassi saturi che si trovano nella carne, nei latticini preparati con latte intero ed il burro. Tutti questi grassi tendono ad innalzare l’insulina favorendo l’insulino resistenza. Sono invece favorevoli i grassi monoinsaturi contenuti nell’olio di oliva, nelle mandorle, nell’avocado e nella frutta secca in genere; sono inoltre favorevoli i grassi contenuti nei pesci e nell’avena. Per tutti e tre questi gruppi alimentari vi sono alcuni cibi cosiddetti privilegiati: tutto il pesce, le carni bianche, la bresaola, l’albume, le proteine in polvere o in compresse, i formaggi con meno del 20% di grassi, il latte e lo yogurt parzialmente scremati, la soia ed i cibi derivati dalla soia, l’olio extravergine d’oliva, l’avena e l’orzo, tutta la verdura eccetto patate, carote,
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Diete per tutti barbabietole, granoturco e piselli, tutta la frutta eccetto i fichi, datteri, papaia, mango, frutti essiccati, uva passa e succhi di frutta. Pertanto, una volta imparato a riconoscere questi tre fondamentali nutrienti occorre imparare ad utilizzarli per mantenere costante l’insulina. Occorre innanzitutto assumere tutti e tre questi macronutrienti ogni volta che si mangia in proporzione 40-30-30 e non lasciare passare più di 4-5 ore tra un’assunzione e l’altra di cibo. Ogni volta che si consuma un pasto si induce una risposta ormonale per le successive 4-6 ore, pertanto è fondamentale al fine di mantenere la zona fare degli spuntini a metà mattina e metà pomeriggio ed alla sera prima di coricarsi. Pertanto, non serve saltare i pasti né per il mantenimento del benessere né per dimagrire poiché il digiuno è controproducente dal punto di vista ormonale.
Per applicare praticamente la zona esistono due metodi principali: il metodo ad occhio ed il metodo a blocchi. Tali metodi entrambi validi servono per entrare e mantenersi nella zona. Il metodo a blocchi consente di applicare le corrette proporzioni tra gli alimenti.
pugni, se sfavorevoli quanto un proprio pugno. Inoltre, la porzione dei grassi dovrebbe corrispondere al volume del proprio pollice. Per quanto riguarda gli spuntini occorre innanzitutto considerare che devono almeno essere costituiti da un blocco, si può ricorrere a singoli alimenti come barrette bilanciate 40-30-30 oppure 200 g di latte parzialmente scremato o 200 g di yogurt bianco parzialmente scremato la cui composizione nutrizionale rispetta proprio il rapporto 40-30-30. Nel caso in cui si facciano spuntini al bar non programmati come un succo di frutta o un gelato, lo si può accompagnare da un pezzetto di parmigiano da tenere in tasca o in una borsetta in modo da integrare con una fonte proteica la fonte glucidica. Per i pasti fuori casa occorre anche in questo caso imparare a riconoscere i vari blocchi. Ad esempio, una pizza margherita equivale a circa 9 miniblocchi di carboidrati ed a 3 miniblocchi di proteine e di grassi. Per bilanciare il tutto su può usare come accorgimento quello di tralasciare di mangiare il bordo esterno preferendo la parte centrale comprensiva della parte proteica. I vari panini farciti che si possono trovare in un ristoro durante un viaggio abbisognano ciascuno di accorgimenti differenti a seconda della farcitura ma, in linea generale, si possono ben bilanciare eliminando una fetta di pane.
Secondo Sears per ogni 9 g di carboidrati occorre ingerire 7 g di proteine e 3 di grassi per mantenere l’equilibrio 4030-30 della zona. Ogni quantità di ogni specifico alimento che contenga tale quantità di grassi, carboidrati o proteine, prende il nome di miniblocco. Ad esempio, 30 g di petto di pollo che contengono 7 g di proteine equivalgono ad un miniblocco di proteine e così via per tutti gli altri cibi; 10 g di pasta oppure 15 g di pane corrispondono ad 1 miniblocco di carboidrati. Pertanto, in ogni singolo pasto occorre accostare ogni singolo miniblocco di proteine, grassi e carboidrati in un rapporto di 1:1:1 in modo tale da formare un blocco, tale proporzione può variare in alcuni casi particolari come per gli atleti a favore dei grassi in un rapporto di 1:1:2. I blocchi ottimali da ingerire si definiscono a partire dalla quantità di proteine ideale per l’individuo che varia a seconda della massa muscolare. Una volta definita la quantità di proteine ideale, si traduce in miniblocchi di proteine e ad ognuno di questo miniblocco si associa un miniblocco di carboidrati e di grassi. Una volta capito questo metodo è piuttosto semplice, l’unica cosa è quella che occorrerà inizialmente pesare tutti i cibi in modo da quantificare i miniblocchi. L’altro metodo , cosiddetto “a occhio” è meno preciso rispetto al metodo a blocchi ma è utile ed applicabile in molte situazioni da tutti coloro che optano per l’approssimazione.
> La pasta soprattutto se al dente ha un moderato indice glicemico
Quando si fa un errore alimentare che porta ad uscire fuori dalla zona si hanno i tipici “malanni da sbronza” di insulina, ossia sensazioni di affaticamento, gonfiore, annebbiamento mentale. In questi casi bisognerà rientrare nella zona con il pasto successivo. Questa zona così adattata ci permetterà di mantenere le nostre abitudini italiane e mediterranee ma allo stesso tempo di essere più efficienti a livello fisico e mentale mangiano il cibo che più piace nelle giuste proporzioni.
Vi è inoltre un altro metodo consigliato da Sears che è quello della mano. Ossia occorre sempre assumere in un pasto una quantità di cibo proteico grande come il palmo della mano, per i carboidrati se sono favorevoli se ne possono consumare 2 SPORTMAN & Fitness #
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Iperossidatore Ipo-ossidatore egli articoli precedenti abbiamo parlato della dieta 40-30-30, cioè di una dieta basata sul 40% di carboidrati, 30% di proteine e 30% di grassi. Questa dieta ritengo sia un buon punto di partenza. Però come sempre ho sostenuto, in realtà ritengo non esista la dieta ideale per tutti ma che invece esista il concetto di “individualità biochimica”.
N
Finché si tratta di parlare di impronte digitali, timbro di voce, cromosomi e così via, anche il profano non ha dubbi sul fatto che ognuno abbia una propria individualità, ma quando dobbiamo toccare l’argomento fisiologia, medicina, patologia e ancor peggio terapia, è molto più facile riferirsi al concetto gaussiano di “media” molto caro alle ditte farmaceutiche ed ai medici un po’ pigri. Se due individui della stessa età, altezza e peso con le stesse abitudini e più o meno lo stesso tipo di lavoro hanno però dei biotipi costituzionali differenti, non si può credere che possa andar loro altrettanto bene la stessa terapia nutrizionale. Il futuro della medicina sta nella personalizzazione dell’intervento dietetico e degli integratori in grado di riequilibrare l’organismo. Molte delle persone che tendono ad aumentare di peso facilmente possono essere classificate secondo differenti biotipi, p.es. androide o ginoide, ipoossidatore o iperossidatore, ipolipolitico o iperlipogenetico e così via.
Cominciamo a parlare dei due differenti tipi metabolici: l’iperossidatore e l’ipoossidatore. Gli iperossidatori hanno la tendenza a sudare maggiormente e ad avere pelle e capelli grassi a causa della stimolazione delle ghiandole sudorifere e sebacee. Tendono ad avere una temperatura elevata ed una scarsa sensibilità al freddo. In termini di personalità gli ossidatori veloci sono più espressivi, hanno inoltre una maggiore tendenza a diventare aggressivi come se fossero in uno stato perenne di competizione. L’iperossidatore ha un metabolismo troppo veloce ed è quindi necessario inserire nella sua dieta sostanze a lenta combustione in modo da bilanciare l’eccessiva velocità con cui il suo organismo brucia l’energia prodotta dagli alimenti. Ridurre perciò i carboidrati a favore dei grassi e delle proteine è sicuramente il metodo migliore per mantenere livelli di energia più costanti. Per l’iperossidatore bisogna mantenere una quota adeguata di proteine perché gli alti livelli di cortisolo favoriscono il catabolismo, cioè la distruzione delle proteine. In altre parole, l’organismo divora i propri tessuti per poter provvedere all’energia necessaria. L’ipermetabolizzatore necessita perciò anche di alimenti ricchi di purine: organi (fegato,rene), maiale, sardine, salmone, tonno, ecc… Utile per
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l’iperossidatore è che la dieta sia ricca di grassi in quanto essi diventano importanti perché sono a lenta combustione e rallentano la neoglucogenesi, che è quel processo biochimico con il quale, in carenza di energia, l’iperossidatore tenderebbe ad autocannibalizzare la propria muscolatura per formare glucosio per scopi energetici immediati. I latticini sono particolarmente indicati perché sono ricchi di calcio che è carente normalmente negli iperossidatori ed ha la capacità di rallentare la funzionalità tiroidea, riducendo così la velocità del metabolismo. E’ importante quindi ridurre al minimo l’assunzione dei carboidrati poiché l’iperossidatore li metabolizza troppo velocemente causando così un aumento della glicemia e stressando ancor di più tiroide e surrenali. E’ assolutamente necessario eliminare soprattutto i carboidrati semplici ad elevato indice glicemico, cioè quelli che aumentano di molto il livello di glucosio nel sangue, in particolare dolci, bibite zuccherate, ecc. Anche i cereali integrali però devono essere limitati perché contengono acido fitico dal quale deriva la fitina che è la sostanza che impedisce l’utilizzo del calcio e del magnesio (che sono già carenti nell’iperossidatore) a livello tissutale. Quindi riepilogando possiamo dire che l’iperossidatore è facilmente anche un ipercorticosurrenalico, ovverosia produce alte quantità di ormoni della corteccia surrenalica, soprattutto cortisolo che ha l’effetto di innalzare la glicemia. Insomma se siete un persona nervosa, stressata, che tende facilmente a sudare e ad avere la pressione più alta con accumulo di grasso soprattutto a livello addominale, cioè la tipica costituzione androide, troverete senz’altro dei benefici in salute e dimagrimento diminuendo soprattutto i carboidrati ed aumentando invece le proteine (carne, formaggi, uova) ed i grassi, in particolar modo quelli insaturi che diminuiscono la produzione di insulina (olii vegetali, olii e grassi dei pesci marini). In realtà l’iperossidatore, proprio perché brucia alla svelta,
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Diete per tutti è portato ad assumere ed a nutrirsi di zuccheri raffinati e semplici perché apportano energia immediata, ma questo scatena quel circolo vizioso di iperglicemia e ipoglicemia che non corrisponde ad un buon livello energetico costante e alla lunga porta l’organismo ad esaurirsi. L’ipo-ossidatore è molto facile che abbia problemi di sovrappeso e ciò deriva dalla scarsa capacità di ossidazione degli alimenti. Specie se donna è facile che sia presente il problema della cellulite. In caso di ipofunzione tiroidea l’accumulo di grassi tenderà a prodursi principalmente nei fianchi, glutei e cosce, risparmiando gli arti superiori, il viso e il collo. La cute sarà facilmente secca e rugosa. L’ipoossidatore lamenterà facilmente mani e piedi freddi con una bassa temperatura corporea in generale. L’ipoossidatore solitamente gestisce le situazioni di stress allontanandole da sé. Apatia e introversione caratterizzano la risposta allo stress dell’ipoossidatore. Ha la tendenza a vivere nel passato e di ricordi. Spesso si sente depresso perché non è in grado di rivivere ancora quegli avvenimenti. Più il processo di ossidazione rallenta, più questi problemi peggiorano portando l’individuo a introversione, timidezza, stanchezza e apatia totale.
cibi proteici è resa difficile dalla carenza di acido cloridrico ed enzimi pancreatici. Tutti i latticini ed i prodotti caseari vanno aboliti per un certo periodo anche per il loro livello di calcio molto elevato. I carboidrati migliori sono quelli a basso indice glicemico, cioè frutta fresca, verdura, cereali integrali; tra le verdure è meglio evitare le brasicacee (cavolo, cavolfiore, verza, broccoli) perché contengono sostanze inibitrici della tiroide.
TEST per gli ipoosidatori
L’ipo-ossidatore normalmente presenta un metabolismo rallentato, cioè non è in grado di ossidare efficacemente i cibi che consuma allo scopo di produrre energia in quantità adeguata. Come risultato l’ipoossidazione provoca cali energetici e anemia. Spesso questo comporta un aumento dell’appetito poiché per ottenere gli stessi livelli di energia occorre un quantitativo di cibo maggiore. L’ipo-ossidatore spesso sente un desiderio smodato di carboidrati raffinati, perché queste sostanze sono fonte di immediata energia. Questo desiderio è un indicatore specifico della necessità di un individuo di ottenere energia.
> La gente ti considera misurato e sempre calmo? > Quando mangi carne rossa ti senti “pesante”? > Preferisci affrontare i problemi uno alla volta piuttosto che tutti insieme? > Puoi saltare la colazione senza sentirti affamato o avere cali di energia? > I dolci hanno l’effetto di “tirarti su”? > Preferisci un pasto leggero (un’insalata o un piatto di pasta) o uno pesante (carne rossa o cibi grassi ed elaborati)? > Sei spesso assetato? > Cibi come il burro, i formaggi e l’avocado ti fanno sentire più pigro? > Hai bisogno di un caffè ogni mattina? > Gradisci le spezie nei cibi e nei condimenti come mostarda, salse?
TEST per gli iperossidatori > La gente ti considera nervoso o iperattivo? > Ti senti meglio dopo aver mangiato carne rossa piuttosto che pollo? > Ti piace una sostanziosa colazione (uova, prosciutto, formaggio)? > Sotto stress cerchi degli “snacks” salati come noccioline o patatine? > I formaggi, i salumi e l’avocado ti danno senso di soddisfazione? > Se fai un pasto completo ogni 3-4 ore ti senti meglio? > Quando mangi cibi dolci avverti subito una carica di energia e poi un calo? > Hai un buon appetito? > Dopo aver bevuto caffè ti senti nervoso ed ansioso? > Mettere il burro o il formaggio nel toast ti dà più soddisfazione che non metterlo?
La maggior parte degli ipoossidatori generalmente presenta un’avversione per la carne rossa in quanto la digestione dei
Se hai risposto SI ad almeno 8 domande in uno dei due quiz rientri nella tipica categoria di ipoossidatore o iperossidatore. SPORTMAN & Fitness #
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Diete per tutti Nel caso tu sia un iperossidatore troverai grandi benefici dalla dieta 40-30-30, addirittura potresti abbassare ulteriormente la quota di carboidrati e alzare i grassi fino ad arrivare alle percentuali 33% - 33% - 33%, cioè ad una dieta isometrica, ma è bene non scendere mai coi carboidrati al di sotto del 20% altrimenti potremmo entrare in chetosi con acidificazione dell’organismo. Nel caso tu sia un ipoossidatore è meglio abbassare la percentuale dei grassi e alzare quella dei carboidrati e delle proteine. Queste ultime devono però sempre essere considerate soprattutto in relazione al peso corporeo, perciò avendo l’ipoossidatore un metabolismo basso il livello calorico della dieta potrebbe essere abbastanza basso facendo così aumentare la
IPO-OSSIDATORE CIBI DA ELIMINARE SALUMI: tutti CARNE: maiale, manzo, oca, anatra, frattaglie, agnello LATTICINI E DERIVATI: latte, burro, panna, formaggi
percentuale calorica delle proteine (p.es. : se una persona di 75 kg. segue una dieta di 1.500 kcal., assumendo 2 gr. di proteine per kg. corporeo, arriverebbe ad un totale di 600 kcal. sotto forma di proteine che corrispondono al 40% della dieta). Direi quindi che per un ipoossidatore i carboidrati possono arrivare al 50%, le proteine tra il 30 e il 40% ed i grassi dovrebbero essere confinati tra il 10 ed il 20%. Se non hai problemi di sovrappeso e non rientri in queste due categorie probabilmente vuol dire che stai seguendo un piano alimentare adeguato al tuo biotipo e quindi probabilmente ti puoi permettere di tenere i carboidrati più alti, più vicino alle proporzioni della mediterranea, soprattutto se fai anche sport
IPEROSSIDATORE CIBI DA ELIMINARE CEREALI: farina bianca e derivati (dolci, biscotti, ecc.) BEVANDE: caffè, tè, alcolici, bibite gassate tipo Coca Cola ZUCCHERO
GRASSI: strutto, lardo
CIOCCOLATO
BEVANDE: bevande tipo cola (bibite), alcolici, caffè
MARMELLATA
ZUCCHERO BIANCO CEREALI: farina bianca e derivati (dolci, biscotti, ecc.) VERDURA: verza, cavolo, cavolfiore, ravanelli, cavolini di Bruxelles
ALIMENTI PERMESSI PESCE: Tutti i tipi di pesce tranne i crostacei (l’aragosta è permessa) LEGUMI: Tutti i legumi
ALIMENTI PERMESSI PESCE: Merluzzo, Sogliola, Passera, Pesce persico, Gamberetti, Tonno al naturale in scatola LEGUMI: Ceci, Fagioli, Lenticchie, Piselli OLI (max 2 cucchiaini): Olio di oliva extravergine BEVANDE: Brodo di verdure, Brodo di pollo, Succhi di frutta (senza zuccheri aggiunti), Frullato, Acqua, acqua minerale, Soda, Caffè di cereali, Caffè decaffeinato, Tè deteinato
OLI E GRASSI: Olio di oliva extravergine, Olio di semi e di oliva, Burro, Panna, Margarina, Lardo BEVANDE: Brodo di verdure, Brodo di pollo, Succhi di frutta , Spremute di agrumi, Frullato, Acqua, acqua minerale, Soda, Latte, Tè VERDURA: Tutte tranne quelle da eliminare (come descritto) CEREALI: Miglio, Grano saraceno, Mais, Germogliati FRUTTA: Limitatamente UOVA
VERDURA: Tutte tranne quelle da eliminare (come descritto)
CARNE: Tutte le carni
CEREALI: Farina di granoturco (mais), Farina integrale, Farina di segale, Farina di grano saraceno, Orzo, Riso brillato integrale
SALUMI: Tutti i salumi
CARNE: Carne bianca di pollo, Vitello magro, Coniglio magro, Tacchino magro ZUCCHERI (max 2 cucchiaini): Zucchero di canna, Miele, Aspartame FRUTTA: Albicocca, Ananas, Arancia, Caco, Ciliegie, Pere, Pompelmo, Pesche, Mandarini, Prugne, Melagrana, Papaia, Meloni, Mango, Sottobosco, Mele UOVA: Fresche (non fritte)
CARATTERISTICHE FISICHE Fisico flacido, adipe ai fianchi, braccia e viso affusolati, temperatura corporea bassa, sudorazione limitata, cute secca, sensibile al freddo
OSSIDAZIONE E PSICHE Introverso, lavora meglio senza stress, metodico, vive nel passato, poca stima di sè, astenico, poco espressivo, timido, depresso, apatico
FORMAGGI E LATTICINI: Yogurt, Asiago, Belpaese, Certosino, Fontina Mascarpone, Roquetfort, Pastorella, Stracchino, Caciocavallo, Caciotta toscana, Gorgonzola, Mozzarella, Robiola, Pecorino, Grana, Emmenthal, Camembert, Cheddar, Gruviera, Taleggio, Provolone, Provola, Scamorza VERDURE: Cavolo – cavolfiore, Cavolini, Verza, Cetriolo, Indivia, Patate, Porri, Zucca, Ravanello, Barbabietola, Cipolla, Carota, Scarola, Peperoni dolci, Asparagi, Funghi, Ricciuta, Pomodori, Sedano, Aglio
CARATTERISTICHE FISICHE Fisico tonico, adipe addominale, gambe affusolate, temperatura corporea elevata, sudorazione elevata, cute grassa, poco sensibile al freddo
OSSIDAZIONE E PSICHE Intellettuale, lavora bene sotto stress, molto attivo, vive nel futuro, inconcludente, ansioso, irritabile, aggressivo, argomentativo, dominante
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La dieta dell’Orologio Di Massimo Spattini
Per dimagrire non conta solo la quantità di cibo ingerito ma anche la qualità e soprattutto l’ora della giornata in cui si fanno i pasti. Ecco i suggerimenti della cronodieta: carboidrati solo fino all’ora di pranzo mentre la sera tocca alle proteine…
he i ritmi biologici riguardano anche l'alimentazione lo dimostrò già negli anni '70 il gruppo di Franz Halberg. Fornendo ai topi un solo pasto all'inizio del loro periodo diurno la maggior parte muore, mentre alimentandoli allo stesso modo, ma all'inizio del periodo di buio, la maggior parte sopravvive. Dunque una corretta alimentazione non è solo costituita da ciò che mangiamo, ma anche da quando mangiamo (ed anche quando beviamo: perfino l'ebbrezza ha variazioni circadiane).
C
Il nostro organismo ed in particolare il fegato, seguendo un determinato ritmo metabolico, nelle ore serali favorisce la glicogenesi (cioè fabbrica carboidrati), mentre al mattino favorisce la glicolisi (cioè brucia tali zuccheri). Pertanto, un pasto glicidico di 2000 calorie assunto al mattino favorisce la perdita di peso, mentre lo stesso pasto di sera favorisce l'aumento di peso. Questa osservazione, sebbene poggi su basi scientifiche merita cautela: sarebbe certo azzardato modificare isolatamente uno dei tanti e vari aspetti del nostro comportamento, prescindendo una strategia ben ragionata e, soprattutto, globale. Infatti, col pressappochismo non si può fare dell'ingegneria cronobiologica: i ritmi circadiani di molti enzimi intestinali e perfino la distribuzione giornaliera dell'assunzione di cibo sono sotto il controllo dell'ipotalamo che ha il nostro "cervello vegetativo", il quale non gradisce le brusche manipolazioni.
Il bilancio energetico negativo Fra le funzioni biologiche soggette a variazioni ritmiche possono essere inseriti anche il metabolismo e l'utilizzazione dei nutrienti. Proprio sull'utilizzazione ritmica dei nutrienti, e sulle oscillazioni ritmico-circadiane del metabolismo, si fonda il primo livello di intervento della Cronodieta. L'obiettivo, per contrastare l'obesità e più in generale il sovrappeso, è l'adozione di alcune misure dietetiche che portino ad un bilancio energetico negativo. Cioè a far si che l'energia spesa superi quella "stoccata" che si concentra per la quasi totalità, nel tessuto adiposo. Quando si parla di "energia introdotta", siamo portati immediatamente a rapportare questo valore unicamente al quantitativo di alimenti ingeriti ed alloro contenuto energetico. In realtà,
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Diete per tutti però, bisogna tenere conto anche dei livelli di assimilazione di ciascuno. Un elevato consumo di alimenti, infatti, non è di per sé sufficiente a far sì che si instauri una condizione di sovrappeso. Un organismo ingrassa quando l'energia contenuta nel cibo è utilizzabile metabolicamente.
Una "scaletta" che consente di adottare un regime dieteticodimagrante meno restrittivo, meno ripetitivo e dunque più accettabile da parte del paziente, più improntato a criteri soggettivi.
Carboidrati
Così, ad esempio, nel diabete insulina-dipendente l'impossibilità a utilizzare il glucosio come substrato energetico fa sì che pasti ricchi di carboidrati si accompagnino a calo ponderale piuttosto che a un incremento di peso.
Piuttosto che ridurne il consumo, sarà sufficiente, ponendo dei limiti quantitativi dettati più dal buon senso che dalla bilancia, assumerli nella prima parte della giornata, quando l'azione anabolica e liposintetica dell'insulina è contrastata dagli ormoni corticosteroidei, ormoni che proprio in questa parte della giornata sono fisiologicamente presenti nelle loro quantità più elevate.
Per questo motivo noi preferiamo parlare, più che di energia introdotta, di "quota energetica efficace", intendendo con tale espressione la quantità di energia che effettivamente entra in gioco come segno + nel bilancio energetico. Per uno stesso quantitativo di energia introdotta con gli alimenti, infatti, la quota energetica efficace differisce ampiamènte nei vari individui, ed è alla base delle differenze interindividuali riguardanti la spesa energetica.
La teoria del lattante Due esempi possono aiutarci a comprendere come il metabolismo energetico, sia in stretta relazione con la funzionalità dei sistemi nervoso ed endocrino. Alcuni studiosi della Pennsylvania University hanno osservato che i lattanti temporaneamente nutriti attraverso un sondino, con il quale il latte viene introdotto direttamente nello stomaco, crescono di più, a parità di latte somministrato, se mentre vengono alimentati tengono in bocca un ciuccio. Così pure si è visto che le calorie hanno un "peso" diverso, per una stessa donna, in condizioni normali o nell'attesa di un figlio. Lo dimostra l'aumento di grasso corporeo che avviene nei primi tre mesi di gravidanza, quando la gestante, per la frequente presenza di nausea e vomito, è portata a mangiare anche meno del solito. In entrambi i casi, a orientare verso una più efficiente assimilazione dell'energia introdotta con gli alimenti sono una complessa rete di riaggiustamenti ormonali, che innalzano l'efficienza dei processi assimilativi e favoriscono di conseguenza l'anabolismo. Altro esempio, basato sulle oscillazioni del sistema nervoso e di quello endocrino. ln alcuni esperimenti di cronobiologia dell'alimentazione, come quello di Jacobs, due gruppi di soggetti normali vennero alimentati entrambi, per alcuni giorni, con un unico pasto giornaliero di 2000 calorie, della stessa composizione qualitativa. Una sola differenza: gli appartenenti al primo gruppo assumevano il pasto la mattina, quelli del secondo la sera. Alla fine il peso di ciascun soggetto venne confrontato con quello annotato prima dell'esperimento, e mentre i componenti del secondo gruppo non mostrarono variazioni significative di peso, quelli del primo risultarono tutti un po' più magri. .
Il pane, quindi, ma anche la pasta, la frutta zuccherina e, in generale, tutti gli altri cibi ad elevato contenuto di carboidrati, andranno assunti fra il risveglio e le prime ore del pomeriggio (in pratica nella prima colazione, nello spuntino di metà mattino e a pranzo) perché è in questa fase della giornata che la loro utilizzazione per produrre grassi di deposito è minore.
Proteine Sarà preferibile consumarle in serata, potendo, in tal modo, sfruttare l'effetto favorevole esercitato dai pasti proteici sulla liberazione dell'HGH, o ormone somatotropo ipofisario che favorisce l'utilizzo dei grassi a scopo energetico, nonché la costruzione e la riparazione della massa muscolare durante la notte. La sua secrezione è favorita da aminoacidi presenti in pasti proteici come carne, uova, pesce e latticini, mentre è inibita da una glicemia elevata causata da pasti ricchi di carboidrati.
Ma non sempre le cose sono così semplici. Come vedremo nel prossimo articolo.
Sincronizzate i pasti Arrivati a questo punto la domanda è: quali sono le fasce orarie più favorevoli per l'assunzione dei diversi alimenti, in modo da avere una valenza dimagrante? SPORTMAN & Fitness #
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Diete per tutti
E tu di che
morfotipo sei? di Massimo Spattini
bbiamo visto nell’articolo precedente che volendo dimagrire è meglio consumare le proteine preferibilmente alla sera, ma in realtà questo assunto è valido entro certi limiti e vediamo ora il perché. Parliamo di Cronomorfoterapia, cioè identifichiamo fondamentalmente due differenti morfologie di sovrappeso: a "pera" cioè ginoide, con accumulo nella parte inferiore del corpo e a "mela" cioè androide, con accumulo nella parte superiore e centrale in maniera particolare a livello addominale del corpo. Sappiamo infatti che la maggior parte degli ormoni, come GH e cortisolo, hanno dei ritmi circadiani, cioè non sono secreti in maniera costante dall'organismo ma seguono un determinato ritmo durante il giorno. E se gli ormoni influenzano e sono influenzati dall'alimentazione ed in più influenzano la distribuzione del grasso, è evidente che una manipolazione delle proporzioni e della ripartizione quotidiana dei nutrienti avrà un effetto sulla distribuzione del grasso.
A
Proteine o carboidrati? Dal punto di vista metabolico il fisco "a pera" è "ipolipolitico", cioè brucia poco i grassi con prevalenza del sistema nervoso parasimpatico, rallentatore del metabolismo; chi ha un fisico "a mela" è invece "iperlipogenetico", cioè costruisce molto i grassi con le surrenali che producono molto cortisolo, il quale, alzando la glicemia, stimola l'insulina, che è il vero ormone lipogenetico e che tende a far accumulare il grasso prevalentemente a livello addominale. In effetti una plica addominale significativa è normalmente indicazione di uno squilibrio alimentare verso i carboidrati e di una tendenza all’iperglicemia.
Come comportarsi per quanto riguarda la dieta con questi due morfotipi? Ricordate il luogo comune di mangiare i carboidrati al mattino e consumare solo proteine alla sera? Certo, questo sembra un sistema valido soprattutto per gli ipolipolitici: così facendo si favorisce la secrezione di GH durante la notte e la conseguente lipolisi. Ma per gli iperlipogenetici? Non direi. Questi individui tendono a mangiare molto e costruire molto grasso, ed avendo il cortisolo normalmente alto (raggiunge il massimo livello al mattino e rimane abbastanza alto fino alle prime ore del pomeriggio). se assumono anche parecchi carboidrati, cioè
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zuccheri, al mattino [dato che già il cortisolo è iperglicemizzante j, si troveranno con una glicemia altissima che stimolerà di conseguenza la secrezione di insulina con gli effetti lipogenetici conosciuti. Tra l'altro l'individuo in questione è anche un po' nervoso di natura, è appunto uno "stressato", e se alla sera gli diamo solo proteine la sua adrenalina andrà alle stelle, si girerà e rigirerà nel letto finché si alzerà per svuotare il frigorifero o, nella migliore delle ipotesi, per mangiare un po' di carboidrati e lasciarsi così invadere dal "dolce" rilassamento serotoninico. Quindi in questo caso meglio le proteine al mattino, tanto non ci sono rischi di crisi ipoglicemiche in quanto abbiamo il cortisolo che tiene alta la glicemia, e i carboidrati alla sera quando il cortisolo è basso e non c'è il rischio di una eccessiva stimolazione insulinica.
Se hai una morfologia mista Limitare i carboidrati sia a colazione, quando il picco del cortisolo è particolarmente alto, per evitare la iper-stimolazione insulinica, che a cena per poter sfruttare l'effetto li politico del GH. La qualità delle scelte alimentari dovrà essere finalizzata a limitare l'increzione dei fattori endocrini che facilitano la sintesi di grasso; quindi, ad esempio, in relazione all'insulina, andrà valutato l'indice glicemico dei vari alimenti, così come andrà prestata attenzione alle combinazioni alimentari che ne aumentano l'increzione; ma soprattutto, dovrà essere consigliata un'ampia ripartizione della qualità totale di cibo giornaliera. In una parola, la quantità giornaliera di cibo dovrà essere assunta in 4/5 pasti [una colazione, uno spuntino a metà mattino ed eventualmente a metà pomeriggio, un pranzo ed una cena). Si eviterà, in tal modo che il glucosio prenda una via energetica, quella del pentoso-fosfato, che risulta sfavorevole per chi vuole dimagrire, essendo questa una via ad elevata resa energetica che conduce alla formazione di acidi grassi e alla sintesi di grasso di deposito.
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Diminuire sale e colesterolo Un'alimentazione povera di sale e di colesterolo certamente contribuisce ad una buona ossigenazione del sangue e quindi anche a migliorare l'attività cerebrale. Anche la tirosina favorisce prontezza di riflessi e attenzione: la si trova in alimenti come il pollo, le uova, i legumi, latte, formaggi e banane. Insomma se i geni ci danno l'impronta di partenza e, come si suoi dire, "chi ben comincia è a metà dell'opera", l'altra metà tocca a noi. Diamo una mano a noi stessi per rendere al meglio in ogni situazione: un corretto stile di vita e di alimentazione, corpo e mente sempre allenati e rispetto dei nostri bioritmi sono gli ingredienti fondamentali. Se a seconda della morfologia dell'individuo si ottengono migliori risultati in termini di dimagrimento con una diversa ripartizione cronologica dei nutrienti, non si potrebbe fare lo stesso discorso con l'allenamento? La storia continua! Ma nel frattempo, nell'attesa di sapere qual è per voi l'orario e il metodo di allenamento migliore, allenatevi pure senza timore quando e come potete, perché l'allenamento peggiore è quello che non si fa.
UNA DIETA AD HOC Riepilogando vediamo come distribuire i nutrienti nei vari pasti a seconda del morfotipo biologico nell’ottica di un programma dimagrante
Se sei ipolipolitico COLAZIONE: soprattutto carboidrati complessi, consentita una piccola quantità di zuccheri semplici, poche proteine e pochi grassi. PRANZO: moderate quantità di proteine e carboidrati, pochi grassi. CENA: soprattutto proteine, moderate quantità di grassi, possibilmente polinsaturi e niente carboidrati. Ovviamente la quantità di carboidrati giornaliera può variare a seconda del soprappeso del soggetto e della sua necessità di perdere peso. La cena iperproteica favorirà la secrezione di GH notturna incrementando la lipolisi di norma carente.
Se sei iperlipogenetico Se il soggetto è iperlipogenetico, essendo un ipercortisolemico, avrà una scarsa tolleranza ai carboidrati che dovranno essere soppressi soprattutto fino alle ore 17, ora in cui il cortisolo cala notevolmente. COLAZIONE: iperproteica con scarso apporto di carboidrati, questi ultimi da scegliere tra quelli a basso indice glicemico, cioè che alzano poco la glicemia e quindi stimolano poco l’insulina. PRANZO: iperproteico e iperlipidico, preferendo i grassi monoinsaturi (olio di oliva) e polinsaturi (olio di lino) e i pesci grassi del Mare del Nord (salmone, sgombro). I grassi polinsaturi hanno il vantaggio di aumentare la sensibilità all’insulina diminuendone quindi la secrezione. CENA: consentiti i carboidrati, sempre a basso indice glicemico; necessarie le proteine per i processi di costruzione anabolica notturna. Se il soggetto è molto nervoso ed è quindi un iperadrenalinico, soprattutto se fa sport, sono consentiti anche i carboidrati (sempre a basso indice glicemico) 1-2 ore prima dell’allenamento per evitare il catabolismo muscolare. Per approfondimenti sulla Cronomorfoterapia: www.massimospattini.it SPORTMAN & Fitness #
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La dieta è solo una questione
di sangue
di Massimo Spattini
’alimentazione su misura è il titolo di un libro di Peter J. D’Adamo, un medico naturopata americano, che ha fatto molto rumore. Perché? Secondo D’Adamo, che ha portato a conclusione gli studi del padre James, semplicemente esaminando il gruppo sanguigno di ogni individuo si possono “leggere” le predisposizioni verso certe malattie e conseguentemente scegliere il giusto piano alimentare e la corretta attività fisica.
L
Chi di voi mi segue avrà ormai capito che io non credo nella validità di una dieta “standard” per tutti bensì in un approccio personalizzato che tenga conto delle individualità biochimiche. Recentemente è stato pubblicato dalla Sperling & Kupfer Editori un interessante libro dal titolo “L’alimentazione su misura” di Peter J. D’Adamo. L’autore, un naturopata americano, porta a conoscenza le sue esperienze che sono il frutto del lavoro iniziato dal padre e sostiene la validità del gruppo sanguigno come specchio delle peculiarità biochimiche dell’organismo e quindi come primo segnalatore di predisposizioni verso certe malattie e nella scelta di un piano alimentare o di attività fisica. Consiglio vivamente di leggere questo libro che è estremamente suggestivo e dà senz’altro delle indicazioni molto interessanti che forse vale la pena di sperimentare. L’introduzione inizia con un’affermazione di James D’Adamo, il padre dell’autore, che ho il piacere di riportare perché la ritengo in sintonia con quanto ho detto finora. “Sono fermamente convinto che non esistano sulla faccia della terra due persone identiche; nessuno che abbia le stesse impronte digitali, labiali o vocali. E neppure due fili d’erba o due fiocchi di neve uguali. Visto che tutti gli individui sono diversi l’uno dall’altro, non ritengo logico che essi debbano nutrirsi allo stesso modo. Poiché ciascuno di noi “abita” un corpo dotato di punti di forza e debolezza differenti e di diversi fabbisogni nutrizionali, per conservare la salute e per combattere le malattie è indispensabile tener conto di queste peculiarità”. (James D’Adamo)
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Guardando indietro a come il genere umano si è evoluto sono emersi dati interessanti per i nutrizionisti. L’aspetto più interessante è come i 4 gruppi sanguigni si siano evoluti e come ciò abbia corrisposto ad un differente tipo di metabolismo. Il pensiero comune di questi ricercatori è che gli uomini sottoposti ai più grandi cambiamenti ambientali abbiano modificato il loro metabolismo per avere più possibilità di sopravvivere a queste modificazioni ambientali, e che questo sia avvenuto tramite mutazioni genetiche che hanno portato alla differenziazione dei gruppi sanguigni.
LA GENESI DEI 4 GRUPPI SANGUIGNI IL GRUPPO “O” è il più antico e corrisponde alla civiltà dell’uomo di Cro-Magnon, l’uomo cacciatore raccoglitore. Circa 40.000 anni fa questi nomadi iniziarono a cacciare in gruppi organizzati e la disponibilità di carne favorì il proliferare di questi nostri progenitori, ma poi gli uomini, proprio per salvaguardare i propri territori di caccia, cominciarono ad uccidersi tra loro e ad emigrare alla ricerca di nuovi ter-
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Diete per tutti ritori di caccia. Le popolazioni cominciarono ad emigrare dall’Africa verso l’Europa e l’Asia e verso il 20.000 a.C. quasi tutto il pianeta era stato raggiunto. IL GRUPPO “A” si pensa fece la sua comparsa quando l’uomo divenne dedito all’agricoltura e all’allevamento, circa 15.000 anni fa, in qualche zona dell’Asia o del Medio Oriente. La coltivazione dei cereali e la disponibilità del bestiame diedero un forte impulso all’evoluzione ed il nuovo stile di vita e alimentazione favorì la capacità di tollerare e assorbire le sostanze nutritive contenute nei cereali e negli altri prodotti dell’agricoltura. Questo cambiamento genetico fu un vantaggio per questa popolazione che altrimenti non sarebbe sopravvissuta alla selezione naturale e al giorno d’oggi non ne esisterebbero i discendenti. Questa mutazione favoriva la sopravvivenza in società densamente popolate e non a caso i soggetti di tipo “A” hanno maggiori probabilità di sopravvivenza ad epidemie terribili come quelle che più facilmente avvengono in queste comunità più affollate. IL GRUPPO “B” fece la sua comparsa intorno al 10.000 a.C. nelle zone montagnose dell’Himalaya che oggi fanno parte del Pakistan e dell’India; probabilmente la mutazione fu dovuta alla necessità di adattarsi al passaggio del clima tropicale della savana africana a quello freddo e rigido delle catene montuose Himalayane. Con la successiva espansione delle popolazioni nomadi nelle pianure dell’Eurasia il gruppo “B” si diffuse maggiormente. Queste popolazioni nomadi si diressero verso nord portando con sé una cultura fondata soprattutto sulla pastorizia, come dimostra la loro dieta basata sul consumo di carne e prodotti caseari. I pastori nomadi si differenziarono in due grossi gruppi: uno stanziale, dedito prevalentemente all’agricoltura, prese dimora nel sud-est asiatico; l’altro nomade e bellicoso conquistò i territori posti a settentrione e a occidente. IL GRUPPO “AB” è il più raro e il più recente gruppo sanguigno. Si è sviluppato dalla mescolanza del sangue di tipo “A” con quello di tipo “B” e dovrebbe essere comparso circa 1.000 anni fa quando le orde barbariche riuscirono ad avere la meglio sull’ormai decadente Impero Romano ed il sangue dei vincitori cominciò a mescolarsi con il sangue dei vinti. Considerata questa rassegna storica dell’evoluzione dei vari gruppi sanguigni emerge chiaramente il collegamento tra il gruppo sanguigno e stile di vita con l’alimentazione prevalente-
mente seguita; da ciò è facile dedurre che anche al giorno d’oggi un individuo che abbia un determinato gruppo sanguigno avrà un metabolismo tipico che gli permetterà di tollerare meglio una determinata alimentazione. Al giorno d’oggi quindi gli appartenenti a ciascun gruppo sanguigno mantengono delle caratteristiche fisiche e psichiche di quelle popolazioni che a quel tempo si prestavano soprattutto a quel tipo di alimentazione e di vita. Per noi occidentali pensare che quel gruppo sanguigno ti cataloghi già in una persona con determinate predisposizioni, sa un po’ di fantascienza e di razzismo. Siamo appunto abituati a pensare, o hanno cercato di insegnarci, che siamo tutti uguali e forse lo siamo davvero davanti a Dio, ma non lo siamo di certo in tutte le altre situazioni della vita. In Giappone invece viene tenuta in grande considerazione la correlazione tra personalità e gruppo sanguigno. La “Ketsueki-gata” è appunto l’analisi che si avvale del gruppo sanguigno e che è usata da manager aziendali per selezionare il personale per ricerche di mercato, e dalla gente comune per scegliere il coniuge o un partner di lavoro. Distributori automatici per l’analisi del gruppo sanguigno sono presenti in luoghi pubblici ed esiste addirittura una grande società, la ABO, che aiuta le persone o le aziende ad operare le loro scelte tramite lo studio del profilo della personalità in base all’analisi del gruppo sanguigno. Famosissimo e vendutissimo (6.000.000 di copie) è il libro di Toshitak Nome e Alexander Besher, che tratta dei profili della personalità e dei suggerimenti sullo stile di vita per i vari gruppi sanguigni. In questo momento starete pensando “ma queste sono superstizioni da asiatici” – “noi occidentali vogliamo ragionare con basi scientifiche”. Bene, allora vi racconterò. Credo che la Legge di Landsteiner sia conosciuta a tutti o almeno se non il suo nome almeno il suo principio. I soggetti con sangue di GRUPPO “A” hanno anticorpi “antiB” e quindi rigettano il sangue del GRUPPO “B”. I soggetti del GRUPPO “B” hanno anticorpo di tipo B e rigettano il sangue di GRUPPO “A”. I soggetti del GRUPPO “AB” non hanno né anticorpo “anti-A” né anticorpi “anti-B”, ma i loro globuli rossi hanno sia l’antigene A che B (l’antigene è quella sostanza che caratterizza lo specifico gruppo sanguigno e che è in grado di causare la reazione anticorpale). Questi soggetti possono quindi ricevere il sangue da tutti ma possono donarlo solo ai soggetti del loro stesso gruppo sanguigno. I soggetti con GRUPPO “0” hanno anticorpi “anti-A” e “anti-B” e quindi rigettano il sangue di entrambi i gruppi, e possono ricevere sangue solo del GRUPPO “0”; non avendo però né antigeni “anti-A” né “anti-B” possono donare il sangue a tutti i gruppi. Gli anticorpi contro i gruppi sanguigni sono potentissimi, e l’agglutinazione dei globuli rossi di gruppo diverso è visibile addirittura ad occhio nudo se si mettono due gocce di sangue incompatibile a contatto.E’ stato scoperto che molte sostanze nutritive sono in grado di agglutinare i globuli di alcuni gruppi sanguigni ma non di altri. Questo perché esistono negli aliSPORTMAN & Fitness #
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Diete per tutti menti delle proteine chiamate “lectine” che hanno delle caratteristiche molto simili a quelle degli antigeni dei gruppi sanguigni e quindi causano la reazione anticorpale in quelle persone che hanno gli anticorpi contro quello specifico antigene. Per questa ragione ancora oggi sia il sistema digestivo che quello immunitario tollerano meglio un’alimentazione più simile a quella degli antenati con il nostro stesso gruppo sanguigno.
Per esempio per il soggetto di tipo “O” una dieta ricca di proteine, bassa in carboidrati, è la tipica dieta dell’uomo cacciatore, il quale mangiava un sacco di carne, pesce e qualsiasi pianta selvatica commestibile che poteva raccogliere. Questa è appunto l'alimentazione della civiltà dell'uomo cacciatore-raccoglitore che trova la sua espressione gene-tipica nel GRUPPO “0”. Quindi carne, pesce, verdura, frutta, rappresenta il cibo ideale per il tipo “O” mentre i cibi che si sono sviluppati nelle civiltà più moderne come cereali, legumi e prodotti caseari devono essere ridotti per la salute ottimale e se si vuole dimagrire.
spesso digeriscono senza difficoltà anche i prodotti caseari soprattutto la carne rossa. Anch’essi rispetto alla formula 4030-30 possono trovare ottimi benefici anche con una maggior percentuale di carboidrati ed una più bassa percentuale di grassi, come una dieta “Mediterranea”. Per questi soggetti l’ideale è combinare attività rilassanti, come YOGA e TAI CHI, ad altre moderatamente impegnative come jogging, fitness, bicicletta.
Il tipo del gruppo sanguigno “O” si trova bene a seguire una dieta 40-30-30 (40% carboidrati, 30% proteine, 30% grassi), scegliendo i cibi opportuni. L’attività fisica cui questi soggetti sono predisposti è un tipo di attività fisica molto intensa quale: arti marziali, body building, sport di contatto, atletica. Mentre il tipo “O” è un mangiatore di carne, il tipo “A” è quasi vegetariano e si trova bene a consumare cereali, legumi, frutta, verdura e pesce; in comune col tipo “O” ha il fatto di non digerire bene i prodotti caseari, che deve quindi eliminare, insieme alla carne rossa, se vuole perdere peso. Questi individui si trovano meglio con una dieta più ricca di carboidrati tra il 50% e il 60% e con una percentuale di grassi intorno al 20%. Le proteine devono essere fornite soprattutto dal pesce e dai legumi coma la soia. L’attività fisica consigliata per queste persone è un’attività fisica molto rilassante quale Yoga o TAI CHI. Le persone che appartengono al tipo “B” in linea generale, digeriscono bene qualsiasi tipo di cibo, compreso i prodotti caseari. Per dimagrire D’Adamo consiglia di eliminare mais, lenticchie, arachidi e semi di sedano. La dieta 40-30-30 e la “Mediterranea”si prestano molto a questi soggetti. L’attività fisica ideale per queste persone è un’attività moderata tipo jogging, escursioni in bicicletta, nuoto e tennis. Il tipo “AB”, molto raro, ricalca in linea generale le caratteristiche del tipo “A” e quindi si trova meglio con una dieta prevalentemente vegetariana, però questi soggetti molto
GRUPPO SANGUIGNO
CIBO
SPORT CONSIGLIATI
O
Carne, pesce, verdura, frutta
Arti marziali, body building, atletica
A
Cereali, legumi, frutta, verdura, pesce
Yoga o Tai Chi
B
Tutti i cibi, compresi i caseari
Jogging, bici, nuoto, tennis
AB
Dieta vegetariana
Alternare Yoga e Tai Chi con jogging e bici SPORTMAN & Fitness #
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Diete per tutti
La dieta
vegetariana By Oxigen
Immaginate due donne: una mangia carne di pollo ogni giorno e continua con questa abitudine per tutta la vita. La seconda mangia solo fagioli, legumi e verdura, frutta e noci e non mangerà altro che questo. Dieci anni dopo tutto non è cambiato, quale delle due donne secondo voi potrebbe candidarsi vincitrice ad una gara di sollevamento pesi? Pensateci un momento! La maggior parte di libri e articoli su giornali di fitness vi diranno che la donna che ha mangiato carne sarà di sicura la vincitrice perché la carne le ha dato il nutrimento necessario per aumentare la forza per arrivare al meglio. Ma se consultaste una ricerca scientifica dell'American Dietetic Association (ADA), scoprireste l'esatto contrario: la donna vegetariana (l'unica che non mangia carne) è la persona sulla quale dovreste puntare le vostre scommesse.
I Pro Perché?
Prima di tutto l'atleta vegetariano ha più possibilità di gareggiare anche dieci anni dopo l'ultima gara di sollevamento pesi. Questo è quanto sembra essere emerso da un confronto fatto da scienziati britannici tra 6.000 vegetariani e 5.000 onnivori. Durante i 12 anni di studio, i vegetariani hanno dimostrato di avere il 40% di possibilità in meno di morire di cancro e il 20% in meno di morire di altre malattie. Rispetto agli onnivori i vegetariani vivono circa 7 anni di più mentre i vegetaliani (quelli che si nutrono esclusivamente di cibi vegetali) vivono addirittura 15 anni di più, questo secondo uno studio effettuato all'università Loma Linda. La ricerca dell'ADA fa pensare che i vegetariani rispetto agli onnivori siano più al riparo da malattie delle coronarie, ipertensione, diabete mellito, obesità eda alcuni tipi di cancro. Nell'Università di Cornell è stata fatta una rilevazione su 6.500 cinesi. Le persone che si nutrivano con un minimo di alimenti derivanti da grassi o carne dimostrarono di correre, in misura minore, il rischio di contrarre il cancro, l'infarto e il diabete.
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Il 50% degli americani di sesso maschile rischia di morire di infarto ma se riducessero l'apporto di carne della loro dieta il rischio si ridurrebbe fino al 15%. "In molti studi è stato appurato che le persone che si nutrono prevalentemente di carne sono soggette a contrarre il cancro, specialmente quello al colon", dice Lauri Chonko, una dietologa dello staff alla Physicians Committee for Responsible Medicine. Ritorniamo un attimo sulle due atlete (quella vegetariana e quella onnivora): entrambe sono pronte a gareggiare. La vegetariana ha però un altro punto a suo favore: ha più possibilità di vincita.
Per quale motivo? Ce lo spiegano i ricercatori, i quali hanno scoperto che i vegetariani sono in maggioranza più magri, infatti il Dr. Joel Fuhrman specialista in medicina nutrizionale afferma: "Uno dei principali motivi per i quali i vegetariani sono più magri, è dovuto al fatto che essi introducono un apporto maggiore di fibre e di carboidrati complessi, quindi in loro si sviluppa maggiormente la sensazione di sazietà e di pienezza anche con poche calorie introdotte". "Potreste ad esempio mangiare una bistecca da 1000 kcal. e comunque avvertire lo stesso il desiderio di mangiare ancora" dice Fuhrman, "ma se voi mangiate 1000 kcal. di insalata con riso, legumi e mais, di sicuro non avrete più voglia di continuare a mangiare perché vi sentirete pieni!" "Se le calorie che introducete provengono dai grassi, aumenterete le possibilità di ingrassare ma se le calorie provengono dai carboidrati sicuramente non correreste questo rischio!" scrive il dott. Neal Bernard " I cinesi, ad esempio, rispetto agli americani , introducono circa il 20% di calorie in più ma sono il 25% più magri! Il loro segreto? Mangiano quantità di grassi tre volte meno rispetto agli americani!" Ma, ritorniamo alla nostra "gara"…..l'atleta vegetariana sembra avere dalla sua un altro vantaggio: ha più possibilità di soffrire meno di dolori mestruali rispetto all'atleta onnivora. Il Physician Committee for Responsible Medicine è un'organizzazione non-profit che promuove il vegetarianesimo per la salute, studiato su un campione di 33 donne. Le donne onnivore soffrivano (la maggior parte) 4 giorni al mese di dolori mestruali ma, quando sono passate da un'alimentazione onnivora a quella vegetariana, i dolori sono ridotti a 2,7 giorni. "In quasi tutte le donne prese in esame che sono diventate vegetariane, il dolore si era affievolito" dice il Dott. Chonko. Ma si può avere lo stesso un buon apporto proteico anche senza mangiare carne? Secondo l'ADA i vegetariani assumono quantità sufficienti di proteine. Mervyn Hardinge e i suoi colleghi analizzarono le diete di 86 lacto-ovo vegetariani, 26 vegetaliani e 86 onnivori.: tutti quanti assumevano quantità
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Diete per tutti di proteine due volte superiore al necessario. Si può attingere un apporto sufficiente di proteine anche da un solo alimento, come il riso e le patate", scrivono il dott.McDougall e il dott. Klapper. Il dott. Klaper consiglia comunque di aggiungere un'adeguata integrazione anche ad una dieta prevalentemente vegetariana. "Bisogna introdurre almeno 30 grammi di proteine ogni 1000 kcal, ma se si mangia ogni sorta di cibi naturali questo apporto viene soddisfatto!". Per "naturale" egli intende cibi a base di cereali integrali non pizza e pane!Così come la frutta e la verdura fresca invece che cibi in scatola; legumi, noci e semi e non nutella….. "Se mangiate un'ampia varietà di cibi integrali, con il giusto apporto calorico, assumerete anche il giusto apporto proteico!" dice Chonko. "E' facile nutrirsi dell'adeguato apporto calorico! Basta mangiare fino a quando non ci si sente sazi e mangiare quel tanto da mantenere stabile il proprio peso corporeo. Gli atleti mangeranno di più rispetto alle persone sedentarie e, per questo motivo assumeranno un apporto proteico maggiore" dice il dott. Fuhrman che si è classificato terzo in una gara di pattinaggio insieme a sua sorella. "Pensate che sia necessario mangiare carne per diventare più forti?" Pensate a grandi animali come l'elefante, il rinoceronte, il gorilla, l'ippopotamo…. questi animali di grosse dimensioni prendono le proteine direttamente dalle piante. In alcuni studi i vegetariani battono gli onnivori nelle prove atletiche di resistenza. Jane Black di Atlanta (Georgia) ha affermato che solo da quando ha abbandonato la carne ha fatto diversi record mondiali e americani nel sollevamento pesi in stile olimpionico. Sebbene fosse stata vegetariana riusciva a fare squats con pesi fino a circa 135 kg durante gli allenamenti. Non ho mai perso ne forza ne tono muscolare da quando ho smesso di mangiare carne, formaggi e uova!" Jane Black diventò vegetariana perché rispettava gli animali e ora si nutre così solo per stare in buona salute. Anche Spice Williams diventò più forte quando eliminò la carne "Sebbene fossi una vegetariana riuscivo comunque a fare 4 serie di squats con 145 kg sulle spalle. E non solo, ho anche fatto la pressa con un peso di più di 400 kg e sollevato un uomo di 85 kg oltre la mia testa". Una volta smesso di mangiare carne anche il suo ciclo mestruale diventò più regolare e le riusciva più facile smaltire le scorie. Per aiutare i produttori a vendere la crescente quantità di carne che producono, il Dipartimento Statunitense dell'Agricoltura (USDA) rese noto agli americani che era essenziale nutrirsi di proteine provenienti dalla carne" spiega il dott. Klaper. "Ma l'USDA non ha alcuna base scientifica per affermare ciò! Tutto è stato frutto della volontà di aiutare i produttori di carne ad avere più successo!". "La linea politica dell'USDA è stata impartita a scuola" dice Klaper e "di conseguenza gli americani sono cresciuti con la convinzione di rischiare la malnutrizione se non mangiavano carne ogni giorno!". Ad esempio: il governo progettò di tagliare sulla dose consigliata di una porzione di carne al giorno ma l'industria della carne fece pressione per consigliare dalle 2 alle 3 porzioni giornaliere, questo secondo i documenti del ricercatore Ken Rubin che riuscì ad estrarre dall'Accesso agli Atti di informazione.
Ma non è la carne che fornisce l'energia necessaria per il vostro allenamento? "Le ricerche dimostrano che la maggior parte delle nostre energie derivano dai carboidrati e dai grassi e non dalle proteine" dice Chonko. La Williams si sentiva più energica dopo
aver smesso di consumare carne ed alcune ricerche l'hanno sostenuta. I vegetariani recuperano cinque volte più velocemente dopo un lavoro intenso che non gli onnivori. "Più mangi carne più grassi saturi e colesterolo vanno dentro alle cellule dei globuli rossi rivestendoli di materiale grasso" dice il dott. Fuhrman, che ha allenato atleti di fama mondiale. "Queste cellule si amalgamano insieme e, per un certo periodo di tempo, non riescono a penetrare così profondamente nei tessuti. Questo impedisce di catturare le molecole di ossigeno con la conseguenza di perdere resistenza (quindi di andare in iperventilazione più velocemente) durante l'allenamento".
Senza la carne da dove si possono attingere tutte le fonti necessarie di: ferro, zinco, riboflavina o acido linoleico? FERRO: "i vegetariani non sono meno carenti di ferro rispetto a coloro che mangiano carne", dice l' ADA. Secondo gli studi compiuti da Cornell, i cinesi assumono una quantità di ferro doppia rispetto agli americani, e consideriamo che assumono solo un decimo delle proteine derivanti dalla carne. "legumi in genere, lenticchie, miglio e spinaci, contengono più ferro di una bistecca di manzo!", dice il dott. Klaper. ZINCO: secondo l' ADA, la maggior parte degli studi dimostrano che i vegetariani hanno un livello normale di zinco nel sangue. " Se mangiate cibi integrali, non dovete preoccuparvi di andare a cercare cibi che contengano zinco", dice il dr. Fuhrman. RIBOFLAVINA: verdure come le verze, i cavoli e i cavoletti di Bruxelles contengono da due a sei volte in più di riboflavina rispetto alla carne e ai formaggi. ACIDO LINOLEICO: "Se i vegetariani mangiano per la maggior parte cibi integrali, non saranno meno carenti di questo elemento rispetto agli onnivori!", ribatte il Dr. Fuhrman. Qualcuno vi ha forse detto che i vegetariani sono carenti di vitamina B12 o di vitamina D? Se siete dei vegetaliani, Klaper vi avverte di consumare cibi che contengano una buona quantità di vitamina B12 o al limite di prendere degli integratori. " Se non bevete latte aggiunto di vitamina D o non prendete almeno 20 minuti di sole al giorno, mangiate cibi ricchi di vitamina D oppure assumeteli tramite integratori alimentari". I vegetariani non hanno bisogno di mangiare prodotti caseari per avere il giusto apporto di calcio. Parecchi studi hanno provato questo. "E' estremamente raro per chiunque risultare carente di calcio anche se ne assume in quantità molto scarse", spiega il dr. Klaper. "Ma le ricerche dimostrano che se mangiate parecchie proteine, come ad esempio carne, pollame e pesce, riducete la quantità di calcio nelle vostre ossa". Verza, ceci, mandorle, tofu e cereali contengono molto più calcio per grammo rispetto al latte di vacca. SPORTMAN & Fitness #
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I Contro ..Sfatiamo
i miti del vegetarianismo!
MITO N° 1:
L'UOMO E' PER NATURA VEGETARIANO. Secondo il Dott. Walter Voegtlin, autore del "Stone Age Diet" (Dieta dell'Età della Pietra), gli umani si differenziano incredibilmente dagli erbivori dalla struttura dei denti, dalla masticazione, dall'acidità dello stomaco, dalle funzioni della cistifellea, dalla flora intestinale, dai processi digestivi, dall'anatomia e dalla fisiologia intestinale e rettale, così come le abitudini di nutrizione. In effetti, il tratto gastrointestinale umano è molto simile a quello del cane, che di fatto, è un animale carnivoro.
MITO N° 2:
I VEGETARIANI RISCHIANO MOLTO MENO DI MORIRE DI MALATTIE CARDIACHE. Proprio perché mangiate carne, certo non significa che intasate le vostre arterie e vi provocate dei problemi cardiaci! Secondo il Dr. Russel H. Smith, autore del libro "Diet, Blood Cholesterol and CoronaryHeart Disease: A Critical Review of the Literature", la percentuale annuale di decessi a causa di ischemie cardiache tra gli uomini vegetariani è solo dello 0,11% più bassa rispetto agli uomini non vegetariani. Una differenza molto irrisoria! La ricerca del Dr. Smith dimostra che il vegetarianismo ha addirittura meno benefici sulle donne. Tra le donne vegetariane, la percentuale di morte per ischemia cardiaca è dello 0,4% maggiore rispetto alle donne non vegetariane.
MITO N° 3:
I VEGETARIANI HANNO MENO RISCHI DI AMMALARSI DI OSTEOPOROSI I portavoce dei vegetariani spesso sostengono che mangiare le proteine animali riduce la quantità di calcio nelle ossa, portando al fenomeno dell'osteoporosi. Recentemente la rivista "American Journal of Clinical Nutrition", pubblicò uno studio dello "Iowa Women's Health", fatto su un campione di 32.050 donne di età compresa tra i 55 ai 69 anni, nel quale si dimostrava che le donne che avevano subito delle fratture a carico dell'anca mangiavano una dose giornaliera di proteine pari a circa 74 grammi (51 grammi dei quali provenienti da prodotti animali). Quelle donne che invece non avevano mai avuto a che fare con quel tipo di problema, mangiavano una dose proteica giornaliera di 82 grammi (60 dei quali di origine animale). Quindi quelle donne che si nutrivano con meno di 49 grammi di proteine al giorno erano 5 volte più a rischio di frattura dell'anca rispetto a quelle che ne ingerivano circa 70 grammi. Quindi, coloro che mangiano proteine ovviamente, sono dotati di un ossatura forte e robusta.
MITO N° 4:
I PRODOTTI ANIMALI SONO TOSSICI MENTRE QUELLI VEGETALI NON LO SONO. Credete che frutta e verdura e frumento siano proprio così sani? La maggior parte di questi cibi contengono tossine, sebbene naturali, che provengono da sostanze chimiche come pesticidi ed erbicidi. Alcune di queste tossine sono estremamente dannose, alcune addirittura mortali! Ad esempio, i semi di soia sono sembrano contenere certi composti che possono inibire la funzionalità tiroidea. Le patate contengono la solanina, che aumenta di quantità quando la patata viene esposta alla luce, che è soprattutto alta al momento in cui le patate germogliano. Un'elevata concentrazione di solanina può uccidere un uomo.
MITO N° 5:
UNA DIETA PURAMENTE VEGETALIANA APPORTA TUTTI GLI ELEMENTI NUTRITIVI ESSENZIALI. C'è solamente un solo nutriente che non si trova in quantità necessarie in nessun cibo di origine vegetale per il mantenimento della salute umana, la vitamina B12, che è importantissima per la produzione di energia e della crescita e la produzione di nuove cellule. Inoltre, una dieta vegetariana deve essere ben pianificata al fine di apportare le giuste quantità di nutrienti necessari, soprattutto anche quelli che riguardano le proteine.
Al contrario, un piano dietetico che includa la carne così come tutti gli altri nutrienti, non potrà altro che apportare tutto ciò che è necessario al nostro corpo.
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Diete per tutti
La dieta
metabolica di Francesco Giorgio
INTRODUZIONE l Dott. Di Pasquale, medico di fama mondiale, grande esperto di alimentazione e integrazione alimentare è colui che ha ideato la Dieta Metabolica, frutto di anni di esperienza e di numerosi studi scientifici che dimostrano come questo tipo di dieta possa massimizzare il risultato e la performance di un atleta, possa favorire il dimagrimento e migliorare lo stato di salute generale di un soggetto.
I
La dieta metabolica ricalca le abitudini alimentari dell’uomo primitivo (cacciatore raccoglitore) basate fondamentalmente su un’alimentazione prevalentemente carnea con l’aggiunta di pochi carboidrati (ricavati da bacche e radici), ricchi di fibre che ha caratterizzato l’alimentazione dell’uomo per circa 50 milioni di anni, e che lui ha opportunamente modificato e adattato nella nostra società moderna usando le conoscenze scientifiche odierne per poter potenziare al massimo il benessere fisico dell’individuo e le prestazioni atletiche dello sportivo. Con lo sviluppo dell’agricoltura, che risale a poco più di 10.000 anni fa, abbiamo assistito ad un cambiamento radicale dell’alimentazione umana, fino ai giorni nostri, basata essenzialmente su una dieta prevalentemente glucidica. Ed è proprio partendo da queste riflessioni che numerosi studiosi sostengono la teoria secondo cui l’aumento esponenziale di molte malattie metaboliche (diabete obesità), cardiovascolari, allergie e intolleranze alimentari, malattie tumorali, siano in larga misura imputabili ad un rapido cambiamento delle abitudini alimentari dell’uomo, non seguito di pari passo da un adattamento genetico.
Negli ultimi 40 anni, questo tipo di dieta ricca di carboidrati, povera di proteine e una quantità ridotta di grassi (soprattutto di grassi saturi), ha ricevuto il consenso unanime di molti studiosi, pensando si trattasse di un’alimentzione giusta e salutare considerando i grassi il macronutriente maggiormente imputabile nelle malattie cardiovascolari-metaboliche dei paesi industrializzati. Si pensava che esistesse una relazione diretta tra quantità di grassi saturi presenti nella dieta e l’incidenza di tali malattie nonostante non ci fossero sufficienti prove scientifiche che avvalorassero tale ipotesi. Tutto ciò a portato ad una vera e propria fobia verso questo “prezioso” nutriente.
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Paradossalmente abbiamo assistito ad un aumento drammatico di tali malattie, in cui oltre ai ritmi di vita sempre più frenetici, allo scarso movimento questo tipo di alimentazione a svolto un ruolo determinante. Tutto questo ha suscitato una grossa perplessità nella comunità scientifica che ha portato ad una grossa rivalutazione dei grassi e a polarizzare l’attenzione su alcuni paesi dove c’è un largo consumo di alimenti che ne sono molto ricchi: i francesi nella loro cucina hanno un largo impiego di ingredienti come burro, formaggio salsicce, ed una varietà di alimenti ricchi di grassi; le tribù eschimesi hanno un’ alimentazione prevalentemente iperlipidica costituita principalmente da burro, formaggio, carne e pesce; le tribù masai africane, popolo dedito alla caccia, hanno un’alimentazione quasi esclusivamente a base
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Diete per tutti Il rapporto insulina/glucagone appare molto importante nel determinare il destino metabolico degli acidi grassi: poiché un basso livello di insulina e un alto livello di glucagone stimolano l’ingresso di acidi grassi nel mitocondrio delle cellule per essere ossidati, è evidente che l’insulina inibisce e il glucagone stimola l’ossidazione degli acidi grassi.
La dieta metabolica aumenta non solo la lipolisi ma anche il processo di beta-ossidazione. L’insulina però e un ormone fondamentale nel processo di anabolismo e quindi fondamentale per aumentare la massa e la forza muscolare in quanto aumenta il flusso di entrata degli aminoacidi nelle cellule muscolari e favorisce la supercompensazione del glicogeno. Pertanto la D.M. aumenta la secrezione di insulina in maniera controllata senza portarla a livelli cronicamente elevati (ciò che invece succede con un’alimentazione ricca in carboidrati) che favorirebbero la lipogenesi e inibirebbero la lipolisi.
di carne, latte e sangue; tutte queste popolazioni nonostante un’ alimentazione molto ricca di grassi (e quindi anche di grassi saturi) hanno una bassa incidenza di malattie cardiovascolari rispetto a gli altri paesi.
I PRINCIPI DELLA DIETA METABOLICA
Come vedremo in seguito durante la settimana, con una dieta prevalentemente a base di grassi e proteine, l’insulina rimane a valori piuttosto costanti senza fluttuazioni importanti, mentre la secrezione di testosterone e gh salgono. Questo ambiente ormonale favorirà l’utilizzo dei grassi di deposito a scopo energetico e aumenterà la sintesi proteica. Durante il week-end, in cui seguirà una ricarica di carboidrati verrà sfruttata al massimo l’azione anabolica dell’insulina. Tutto ciò crea un forte effetto anabolico sulla muscolatura: quando ad una dieta ricca in grassi e proteine e a basso con-
Il metabolismo basale del nostro corpo viene fortemente alterato quando andiamo a cambiare la ripartizione dei 3 macronutrienti nella nostra dieta, attivando maggiormente delle vie metaboliche rispetto ad altre, nella produzione di energia. Secondo Di Pasquale la Dieta Metabolica e in grado di modificare fortemente il metabolismo basale predisponendo il nostro corpo a bruciare più grassi, preservando e migliorando al tempo stesso la massa muscolare in quanto, capace di massimizzare l’azione dei principali ormoni anabolici e lipolitici del nostro corpo: GH, INSULINA, TESTOSTERONE, CATECOLAMINE, GLUCAGONE. Le basi su cui si fonda la D.M. partono dal presupposto che sebbene i carboidrati siano un macronutriente importante per il nostro organismo, a differenza di alcuni acidi grassi e di aminoacidi, non sono essenziali, in quanto il glucosio (prodotto terminale del metabolismo dei glucidi) può essere sintetizzato a partire da altri substrati non glucidici (aminoacidi, glicerolo, piruvato, acido lattico) attraverso il processo di gluconeogenesi. Inoltre la Dieta Metabolica favorisce il dimagrimento poiché influenza fortemente l’azione degli ormoni che stimolano la lipolisi; questi interagiscono nel tessuto adiposo con un enzima, la lipasi sensibile agli ormoni; dal processo di lipolisi verranno liberati il glicerolo, cha verrà utilizzato dal fegato (ove è fosforilato e trasformato in glucosio) e gli acidi grassi (che verranno completamente ossidati con il processo di beta-ossidazione con produzione di energia, o trasformati in corpi chetonici, oppure depositati nuovamente nel tessuto adiposo mediante riesterificazione). SPORTMAN & Fitness #
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Diete per tutti tenuto di carboidrati segue per un breve periodo una fase di ricarica di carboidrati; si avrà un aumento della sensibilità all’insulina delle cellule muscolari con conseguente maggiore idratazione cellulare, dovuta ad un maggior afflusso di aminoacidi e glucosio che, per effetto osmotico, richiameranno più acqua all’interno della cellula creando un ambiente anabolico favorevole.
IL PROGRAMMA Prima di iniziare questo tipo di dieta, è buona regola che un soggetto faccia degli esami del sangue prescritti dal proprio medico (profilo glucidico, lipidico, epatico, renale, profilo degli ormoni tiroidei ecc…) sia per assicurarsi dello stato di salute, sia per verificare se ci sono particolari alterazioni di alcuni valori ematici che, monitorati a distanza di tempo, possano migliorare con questo tipo di dieta. Inoltre è importante effettuare un’analisi antropometrica prima e durante il programma (misurando le pliche e le circonferenze nei vari distretti corporei) perchè vi consentirà di valutare i risultati che state ottenendo e di conseguenza di apportare delle modifiche alla dieta stessa. La Dieta Metabolica ha inizio con una fase di valutazione che, serve per capire come il corpo reagisce ad un regime alimentare semi privo di carboidrati e quanto riesca ad utilizzare i grassi a scopo energetico.
Di solito questa fase può durare dalle 2 alle 6 settimane ma questo dipende molto dalla risposta psicofisica del soggetto.
Dopo aver stabilito quale sarà l’apporto calorico ideale per voi, si consiglia, per i primi 12 giorni e per i primi 5 giorni delle settimane successive, una dieta con più grassi (50-60%) e più proteine (30-40%) mentre i carboidrati saranno limitati ad un massimo di 30 gr giornalieri (quota che potrà essere opportunamente aumentata nei soggetti che inizialmente possono trovarsi in una condizione di estremo disagio per affaticamento muscolare, spossatezza e debolezza). Poi nel 13° e 14° giorno e in tutti i week-end delle settimane successive dovrete elevare molto i carboidrati (35-55%) e ridurre la quantità di grassi (25-40%) e proteine (15-30%) naturalmente a seconda delle necessità individuali. Le prime due settimane di valutazione sono molto importanti per verificare l’adattamento del corpo a questo tipo di dieta e vi consentirà di vedere se potrete proseguire nelle settimane successive con una quantità di carboidrati cosi ridotta, oppure se sarà necessario aumentare la quota giornaliera. Se il vostro umore e buono e non avvertite segni di stanchezza e affaticamento continuate nelle settimane successive con 5 giorni con 30 gr di carboidrati seguiti da 1-2 giorni di ricarica; se invece siete seriamente provati da una quantità cosi bassa di carboidrati allora potete provare ad aumentare la quantità giornaliera, oppure potreste provare ad assumere 30gr di carboidrati prima e dopo le sessioni di allenamento. Aumentare l’apporto dei carboidrati nei 5 giorni infrasettimanali vi consentirà di capire qual è il vostro set point metabolico per gli zuccheri che vi permetterà di aumentare sia la massa che la forza muscolare ma al tempo stesso di dimagrire. Per quanto riguarda la scelta degli alimenti, la scelta sarà indirizzata verso qualsiasi tipo di carne e pesce come pure ogni varietà di formaggi (specialmente quelli stagionati più ricchi di grassi e proteine e poveri di carboidrati). Anche le uova intere vanno bene, cosi come tutti i tipi di oli e la frutta secca. Il tutto verrà ripartito in più pasti al giorno, a seconda delle necessità e delle richieste energetiche individuali. Mentre nel week-end durante la fase di ricarica potrete mangiare qualsiasi alimento ricco di carboidrati senza limitazioni per un periodo sufficiente alle vostre necessità (1-2 giorni) che vi consentirà di ripartire con più carica e entusiasmo nelle settimane successive.
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La dieta
chetogenica Ia Parte
di Enrico Levantino
i piacerebbe seguire una dieta che vi consentisse di perdere grasso alla massima velocità e nello stesso arco di tempo vi permettesse di mantenere e guadagnare nuova massa muscolare? A me e ad alcuni miei amici è successo: basta seguire una dieta chetogenica ciclica. Il principio che vi sta alla base è semplice: il corpo usa, come carburante, la principale fonte energetica a disposizione. In normali condizioni il carburante preferito dall'organismo proviene dai carboidrati.
V
Quando si è a dieta, una volta terminati i carboidrati,l'organismo convertirà parte delle proteine muscolari in glucosio (perché l'organismo lo richiede) con inevitabile perdita della massa muscolare. Se invece si segue una dieta ricca di proteine, queste saranno in gran parte convertite in glucosio tramite un processo chiamato glucogenesi e, ancora una volta, quando le proteine alimentari saranno terminate l'organismo convertirà parte delle proteine muscolari in glucosio (perché l'organismo 'viaggia' ancora a glucosio) con inevitabile perdita della massa muscolare.
Se però esistesse un modo per far cambiare carburante all’ organismo allora le proteine muscolari sarebbero preservate. La dieta chetogenica riesce con successo in questo scopo. I grassi divengono la principale fonte di energia ed una volta terminati i grassi alimentari (poiché l'organismo non richiede più come energia il glucosio ma il grasso sotto forma di chetoni) verrà prelevato e convertito in energia il grasso corporeo. Dopo circa 20 anni di assenza la dieta chetogenica è riapparsa sia nel settore del dimagrimento che in quello della nutrizione sportiva. In America (patria da cui nascono tutte le scoperte alimentari, sia valide che inutili) libri come "Dr. Atkins New Diet Revolution", "Protein Power" di Eades', e, sia pure con minore enfasi "The Carbohydrate Addicts Diet" di Hellers hanno riportato in voga una dieta bassa in carboidrati. Inoltre nel settore specifico della nutrizione sportiva 2 metodi leggermente differenti si sono imposti all' attenzione pubblica.
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Stiamo parlando di "The Anabolic Diet” del Dr. Mauro Di Pasquale e “Bodyopus” creato da Dan Duchaine. Questi due sistemi non propongono una dieta priva di carboidrati ad oltranza. Piuttosto si basano su un sistema che prevede 5 giorni quasi privi di carboidrati alternati a 2 giorni di ricarica di carboidrati, sul modello usato dagli atleti prima di una gara.
Cosa sono i chetoni? I chetoni o corpi chetonici sono un prodotto intermedio del metabolismo dei grassi. I corpi chetonici sono generati dal fegato a causa dell' azione dell'ormone glucagone. Volendo entrare nel dettaglio esistono due tipi di corpi chetonici che circolano liberamente nel torrente ematico. Si tratta dell' acido acetoacetico e del betaidrossibutirrato. La maggioranza dei tessuti organici aerobici, incluso il cervello, i muscoli scheletrici ed il cuore, sono in grado di ossidare i chetoni come carburante. Quando lo zucchero nel sangue ha un corretto valore, il glucosio è il carburante preferito da muscoli, cuore e cervello. In normali condizioni il metabolismo dei corpi chetonici è minimo, circa l' 1 % del consumo calorico giornaliero.
Glucagone, insulina e chetogenesi: la formazione dei corpi chetonici ed il loro uso come carburante dipendono dai livelli e dall'interazione di due ormoni: l'insulina e il glucagone. L'insulina è un ormone rilasciato dal pancreas in risposta all'ingestione di carboidrati. Il Glucagone è invece il suo ormone antagonista ed è presente solo quando il livello di insulina scende sotto una certa soglia. Nel fegato alti livelli di glucagone fanno sì che gli acidi grassi dei trigliceridi vengano beta-ossidati. Il glucagone attiva la lipasi del tessuto adiposo che a sua volta attiva la lipolisi. L’effetto lipolitico e chetogenico del glucagone sono inattivati dalla presenza, anche piccola, dell’insulina. Per ottenere una concentrazione di glucagone per incrementare i processi di chetogenesi/lipolisi il livello di glucosio nel sangue deve scendere fino a 50-60 mg/dl e i livelli di insulina fino a quasi zero. Questo livello di insulina può essere ottenuto tramite la semplice restrizione dei carboidrati a meno di 30 grammi al giorno. Dopo 3 giorni con quasi nessun carboidrato il livello di glucosio nel sangue scende al di sotto di 60 mg/dl e il livello di insulina è prossimo allo zero mentre il livello di glucagone è salito ad un valore tale da causare la formazione di corpi chetonici. Tramite l'allenamento è possibile raggiungere più rapidamente uno stato di chetosi.
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Come indurre la chetosi?
2. che l'intero sistema di degradazione dei lipidi è intatto ed efficiente.
La chetosi (definita come la presenza di corpi chetonici nel sangue) avviene in determinate condizioni: prolungato allenamento e quando ci si alimenta con una dieta alta in grassi.
Normalmente lo stato di chetosi è fonte di preoccupazione per i medici . Tuttavia, a meno che non vi troviate in condizioni patologiche come il diabete, l'eccesso di chetoni viene semplicemente escreto tramite le urine. Questo consente ad una persona di verificare l'intensità della chetosi tramite degli appositi Ketostick da bagnare nell'urina.
Una volta stabilita la chetosi (quando la concentrazione dei corpi chetonici nel sangue è maggiore della concentrazione di glucosio) i chetoni divengono il carburante preferito da tutti e tre i tessuti e provvedono fino al 75% del carburante utilizzato. Il cervello, che in normali condizioni usa esclusivamente glucosio come carburante, dopo 2-3 settimane cambia e usa quasi esclusivamente corpi chetonici. Il tempo necessario per il cervello per attuare questo cambio metabolico comporta alcune implicazioni che necessitano essere approfondite. Uno studio trovò un decremento nelle performance mentali durante la prima settimana di dieta chetogenica. Per esperienza personale mia e di alcune persone che dietro mio consiglio hanno seguito una dieta chetogenica, posso dire che durante la prima settimana possono verificarsi dei mal di testa e ci si può sentire spenti. Alcuni dei sintomi negativi che si verificano nei primi giorni a zero carboidrati sono dovuti ad un effetto disintossicante da parte dell'organismo. In molte persone una dieta ricca in carboidrati causa delle intolleranze alimentari. All'inizio, la rimozione dell'alimento che causa l'intolleranza può causare dei sintomi di astinenza. Dalla seconda settimana in poi in genere si verifica una ventata di energia e grande lucidità mentale.
L'indice chetogenico I cibi possono essere classificati come chetogenici o antichetogenici a seconda della loro capacità di convertirsi in glucosio nel sangue. I grassi alimentari sono l'elemento più chetogenico in assoluto in quanto possono convertirsi in glucosio solo al 10%. Le proteine sono nel mezzo poiché si convertono in glucosio con una capacità del 58%; questo lo si deve al fatto che alcuni aminoacidi sono di natura chetogenica, cioè si convertono in chetoni, mente altri sono glucogenici, cioè si convertono in glucosio. I carboidrati si convertono in glucosio con il 100% di efficacia e quindi sono antichetogenici per natura. L'indice chetogenico indica quanto una dieta favorisce la ketosi ed è calcolabile con la seguente formula: KR = (0.9*F + 0.46*P)/(1.0*C + 0.1 *F + 0.58*P). F = indica il totale dei grami di grasso forniti dalla dieta P = indica il totale dei grammi di proteine fornite dalla dieta C = indica il totale dei grammi di carboidrati forniti dalla dieta Un indice chetogenico pari o superiore a 1,5 favorisce un rapido instaurarsi dello stato di ketosi.
Cosa significa esattamente essere in chetosi? la chetosi semplicemente indica uno stato metabolico in cui la concentrazione dei corpi chetonici nel sangue è maggiore della concentrazione di glucosio. Questo però non è da paragonare allo stato chetoacidoso che avviene nei soggetti diabetici. L'essere in chetosi implica 2 cose: 1. che il metabolismo energetico dei lipidi è stato attivato
Il momento ideale per la misurazione è al mattino in quanto durante il giorno i chetoni potrebbero essere usati interamente per fini energetici e quindi potrebbero non essere rilevati dal ketostick.
Effetti metabolici della dieta chetogenica Lo stabilirsi della chetosi, anche per brevi periodi di tempo, incrementa l'abilità dell'organismo di utilizzare il grasso come carburante. Inoltre avviene un decremento dell'ossidazione del glucosio in quanto i corpi chetonici provvedono la maggior parte dell' energia di cui ha bisogno l'organismo. Per giunta una dieta chetogenica migliora la capacità di ossidare i grassi anche in atleti ben allenati. Un argomento causa di contenzioso è se la dieta chetogenica favorisca o meno un risparmio delle proteine corporee rispetto a una dieta di pari calorie ma alta in carboidrati. Diversi studi sembrano provare un risparmio delle proteine. Altri dati attendibili provenienti da osservazioni sembrano supportare l'idea che la dieta chetogenica eviti che le proteine vengano usate come fonte energetica. Poiché esiste nell'organismo una fonte quasi illimitata di grassi che possono convertirsi in chetoni e poiché i chetoni possono essere ossidati da tutti i tessuti non esiste alcuna necessità per l'organismo di convertire le proteine in glucosio tramite la glucogenesi. Tuttavia è opportuno che una persona normale assuma perlomeno 1 grammo di proteine x chilo corporeo. Mentre per un atleta 2,2 grammi x kg,di peso corporeo sono l'ideale. E’ bene non eccedere i 2,5 grammi poiché, come già detto, alcuni aminoacidi si convertono in glucosio, causando una reazione dell'insulina.
Altri effetti della dieta basata in carboidrati È provato che una dieta quasi priva di carboidrati permetterà una più grande lipolisi e un maggior rilascio di glicerolo rispetto ad una dieta normale o alta in carboidrati. Questo lo si deve alla totale mancanza di insulina, la quale blocca la lipolisi anche a piccole concentrazioni e al fatto che viene incrementata la produzione di GH (l'ormone della crescita) che ha anch'esso un' azione lipolitica ed inoltre aumentano anche i livelli di glucagone, catecolamine e glucocorticoidi. L'incremento della quantità di ormone della crescita, dovuto alla dieta chetogenica, non solo favorisce la lipolisi ma previene anche l'inevitabile perdita di proteine che invece avrebbero con una normale dieta ipocalorica. Spero che quanto appena scritto sia sufficientemente chiaro per far capire cosa avviene quando viene stabilita una condizione di chetosi, tramite l'abolizione dei carboidrati e un opportuno rapporto tra grassi e proteine, e l'allenamento. Tutto quanto suggerisce che la riduzione dell'insulina, abbinata alla nuova condizione ormonale che ne risulta ottimizzi al massimo l'ossidazione dei grassi. SPORTMAN & Fitness #
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Diete per tutti Tuttavia alcuni individui, fortunati, sono in grado di ottenere ottimi risultati senza arrivare ad una dieta così estrema. È inoltre possibile migliorare il quadro ormonale attraverso alcuni piccoli accorgimenti. Ad esempio diminuire la quantità di carboidrati consumati e far uso di cibi a basso indice glicemico al posto dei carboidrati con alto indice glicemico, questo abbasserà il livello di insulina. Può inoltre aiutare l'ingestione di cibi ricchi di fibre e il non mangiare mai i carboidrati da soli ma abbinati ai grassi e proteine (tipo la dieta 40/30/30), questo favorisce un rilascio più graduale del glucosio nel sangue e un equilibrio tra insulina e glucagone. Fino qui abbiamo discusso di cosa è la dieta chetogenica. Quello che però interessa agli atleti non è tanto una dieta chetogenica quanto una dieta chetogenica ciclica. Ovvero una dieta che dopo un periodo di totale privazione dei carboidrati prosegue con alcuni giorni dove si effettua una ricarica di carboidrati. Il problema che avviene con tutte le diete è l'inevitabile perdita di massa muscolare. La perdita dei muscoli è anche causa di un rallentamento metabolico. Sebbene la dieta chetogenica sia quanto di più efficace esita per prevenire lo perdita di proteine contrattili (muscoli) è possibile che un po' di tessuto muscolare venga perso lo stesso, se si continuasse questo tipo di dieta a tempo indefinito. Ecco perché 2 giorni alti in calorie e ricchi di carboidrati riempiono nuovamente i serbatoi dei muscoli di glicogeno (per gli allenamenti della prossima settimana) e stimolano l'anabolismo e favoriscono la crescita muscolare. Quello che ancora la scienza non riesce a spiegare è come mai i 2 giorni alti in carboidrati non modificano gli adattamenti metabolici stimolati dalla chetosi. Sembrerebbe possibile che poiché occorrono diversi giorni per indurre uno stato di chetosi, così allo stesso modo ci vuole del tempo prima che l'organismo si riabitui al normale metabolismo dei carboidrati. Questa è un'area che necessita ancora di ricerche specifiche.
immagazzinare da 10 grammi fino ad un massimo di 30 grammi di carboidrati per kg di massa magra. Per ogni grammo di carboidrati immagazzinato nei muscoli, se si beve a sufficienza, altri 3 grammi di acqua saranno trattenuti dai muscoli. Come già detto una persona media (di 65 kg di massa magra) che segue una normale dieta avrà circa 350 g. di glicogeno nei muscoli. Poiché ogni grammo di zucchero trattiene 3 grammi di acqua se ne deduce che avrà anche 1000 grammi di acqua immagazzinata nei muscoli. Con una supercompensazione è possibile in teoria arrivare ad immagazzinare 1050 g di carboidrati che a loro volta tratterranno 3150 g di acqua. Un incremento di circa 3 volte. Recenti ricerche dimostrano che l'anabolismo proteico è stimolato anche dal grado di idratazione cellulare. Quindi questa supercompensazione manderebbe un segnale anabolico alla cellule. In aggiunta a questo bisogna dire che dopo 3 giorni di dieta alta in grassi, la risposta dell'insulina al glucosio viene incrementata rispetto ad una dieta alta in carboidrati. L'iperinsulinemia è un altro stimolo per l'anabolismo. Così sembrerebbe che la supercompensazione di glicogeno, abbinata alla superidratazione che ne consegue, insieme ai potenti segnali anabolici causati, non solo sono in grado di ricostruire l'eventuale muscolo perso durante i giorni della dieta chetogenica, ma sono addirittura in grado di produrre nuova crescita muscolare. È pertanto possibile con questo sistema riuscire a incrementare la massa magra e ridurre il grasso contemporaneamente nell' arco della settimana.
La ricarica dei carboidrati Di solito, con una dieta normale, i depositi di glicogeno dei muscoli sono sempre pieni. In normali circostanze una persona media ne contiene circa 350 grammi. Attraverso il consumo di questi carboidrati tramite la dieta e l'allenamento seguiti da un'assunzione di molti carboidrati, questa quantità può essere duplicata. Durante una normale alimentazione, l'allenamento ha la capacità di incrementare la sensibilità all'insulina la quale incrementa la capacità di un muscolo di accettare l'insulina a livello dei recettori, ma questo incremento della sensibilità all'insulina avviene solo nei muscoli allenati. Questo incremento nella sensibilità sembra avvenire come conseguenza del consumo di glicogeno nei muscoli allenati. Inoltre, seguire una dieta bassa in carboidrati favorisce l'attività degli enzimi preposti all' accumulo di glicogeno nei muscoli. Quindi se mettiamo tutti i pezzi insieme vediamo che una dieta priva di carboidrati, abbinata ad un allenamento che esaurisce le scorte di glicogeno, seguita da una dieta alta in carboidrati favorisce una supercompensazione del glicogeno. Bisogna anche dire che una completa supercompensazione dei muscoli può richiedere anche 3 o 4 giorni anche se la maggior parte del glicogeno viene immagazzinato nelle prime 24 ore. Si può affermare che i muscoli sono in grado di
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Ci sono effetti collaterali? Il principale è lo fatica, specialmente durante lo prima settimana. Uno studio ha persino dimostrato un calo delle performance mentali durante la prima settimana. Tuttavia questo scompare man mano che si segue lo dieta. Una delle domande più frequenti è che effetto avrà questa dieta sul profilo lipidico del sangue. Poiché seguite un regime ipocalorico, tutti i grassi ingeriti verranno usati come energia e, oltre a quello, verrà consumato anche il grasso corporeo. Le persone sane troveranno un miglioramento nei valori del colesterolo. Come ogni dieta che causa dei drastici cambiamenti sarebbe opportuno fare un' analisi del sangue prima di iniziare e una dopo alcune settimane. Poiché è una dieta che elimina quasi completamente i carboidrati causa anche delle carenze nutritive ed è pertanto essenziale ed indispensabile per chi lo segue integrare l'alimentazione con un buon integratore multivitaminico e mintiminerale (un tipo che contenga tutti i minerali e non solo alcuni). Inoltre è pure essenziale assumere un integratore in fibre. Poiché lo dieta è alta in grassi c'è una maggiore produzione di radicali liberi e quindi non è male fare anche uso di integratori antiossidanti.
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La dieta
IIa Parte
chetogenica di Enrico Levantino
ell’articolo precedente ho presentato una breve rassegna di punti riguardanti le ricerche in corso sulla dieta ciclica chetogenica, che d’ora in avanti chiamerò, per brevità, CKD (cyclical ketogenic diet). Oggi vorrei illustrarvi i vantaggi che il bodybuilder può trarre da questo tipo di alimentazione.
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A tale scopo tengo subito a precisare che la CKD può essere utilizzata sia per accrescere la massa muscolare contenendo al minimo l’aumento di quella grassa sia, viceversa, per bruciare velocemente il tessuto adiposo riducendo al minimo la perdita di massa muscolare. Le principali differenze tra l’una e l’altra applicazione della CKD riguardano: 1. la struttura dell’allenamento 2. il livello calorico 3. la natura e l’intensità dell’allenamento cardiovascolare 4. la durata e l’intensità della fase di carb-up (ricarica dei carboidrati) In questo articolo mi limiterò a descrivere in che modo la CKD può essere utilizzata per accelerare la perdita di grasso prima di una gara. Il problema principale connesso alla dieta nel periodo che precede una competizione è l’inevitabile perdita di massa muscolare che questa comporta. La CKD offre una doppia soluzione a questo problema: primo, perché limita la perdita di tessuto muscolare durante la dieta; secondo, perché la fase di carb-up sembra promuovere l’anabolismo e consentire, così, il ripristino della massa muscolare perduta. Per maggior chiarezza suddividerò l’argomento (vale a dire in che modo la CKD può essere utilizzata per favorire la perdita di grasso) in tre sezioni distinte: la fase no-carb, la fase di carb-up e la struttura dell’allenamento.
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Fase no-carb: Per avviare e mantenere la chetosi è necessario rispettare due criteri dietetici di base: 1. l’assunzione di carboidrati deve essere inferiore ai 30 grammi, anche se va detto che la quantità-limite varia a seconda dell’individuo. Alcuni soggetti, infatti, sono in grado di gestire quantità maggiori di carboidrati, mentre altri incontrano difficoltà nell’entrare in chetosi già con 30 grammi. Se non riuscite ad avviare la chetosi e non c’è nulla fuori posto provate a ridurre i carboidrati a 20 grammi o anche meno. Alcuni atleti preferiscono ridurre al minimo (cioè, azzerare) l’assunzione di carboidrati sino a quando la chetosi è ben avviata e solo allora aumentarne leggermente il consumo (sedano e cetriolo sono entrambi ottimi per rendere un po’ più varia e sostanziosa una dieta che, per il resto, concede ben poche distrazioni). 2. Il rapporto grassi-proteine dovrebbe essere di 1,5 grammi di grasso minimo* per ogni grammo di proteine e carboidrati introdotti con la dieta – vale a dire un rapporto grassi-proteine di 75 a 25 con tracce di carboidrati. Se decidete, per esempio, di mangiare 200 grammi di proteine dovete prevedere almeno 300 grammi di grassi. Nella maggior parte dei casi la soluzione più semplice consiste nell’assumere per primi i cibi proteici (che contengono quasi sempre una percentuale di grassi) e quindi bilanciare il pasto con la giusta quantità di cibi ricchi di grasso come arachidi, noci e nocciole. Oppure con grasso puro come, per esempio, olio di lino, formaggio cremoso, maionese o panna (a proposito: basta mescolare panna, proteine in polvere ed una bustina di dolcificante a base di aspartame per ottenere un ottimo budino!). E’ molto indicato in questa fase assumere integratori di CLA e Omega 3. Non preoccupatevi più di tanto dei grassi. Siccome siete in un regime ipo-calorico e siccome questo tipo di dieta trasforma l’organismo in una macchina brucia grassi, nessun grasso si accumulerà nell’organismo e non c’è problema (a meno di patologie già esistenti) per ciò che concerne i livelli di colesterolo e trigliceridi che in genere in questo tipo di diete scendono. Addirittura la mia esperienza è stata che dopo alcuni mesi di dieta CKD avevo i livelli di colesterolo ben al di sotto del livello minimo e ho dovuto introdurre per forza dei cibi ricchi di colesterolo, perché è il precursore di molti ormoni. E’ solo l’eccesso che è dannoso. Le calorie introdotte dovrebbero corrispondere a un 20% in meno rispetto al livello di mantenimento, a seconda della rapidità con cui il vostro organismo brucia i grassi.
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Diete per tutti Se non conoscete il vostro livello calorico di mantenimento cominciate con 26 calorie per Kg e regolatevi in base ai risultati che ottenete: se perdete più di 700 g di grasso a settimana aumentate le calorie; se, viceversa, ritenete di non bruciare grasso abbastanza velocemente, riducete l’apporto calorico oppure aumentate l’allenamento cardiovascolare. Supponiamo, ad esempio, che durante la fase no-carb assumiate 2000 calorie al giorno: 75% di grassi = 2000*.75 = 1500 calorie / 9 calorie/grammo = 166 grammi di grassi 25% di proteine = 2000*.25 = 500 calorie / 4 calorie/grammo = 125 grammi di proteine. Tale apporto calorico andrà suddiviso in piccoli pasti frequenti. Forse vi sembrerà di assumere poche proteine ma il trucco sta proprio qui. Se andate in una stato di chetosi i muscoli saranno protetti e le proteine ingerite saranno usate esclusivamente per fini plastici. All’inizio anch’io avevo paura e tenevo le proteine a 300 g (in gara peso 103 Kg). Tuttavia ho visto che avevo più risultati e riuscivo addirittura ad aumentare i muscoli se tenevo le proteine intorno ai 200 g.
Struttura dell’allenamento: Il secondo “trucco” per avviare e continuare la chetosi il più rapidamente ed efficacemente possibile consiste nell’abbassare la glicemia a 50-60 mg/dl (il livello normale è pari a 80-120 mg/dl). In questo modo i livelli di insulina diminuiscono e quelli di glucagone (la sostanza che promuove la chetogenesi) aumentano. Con la semplice riduzione nell’apporto di carboidrati la chetosi richiederebbe tre-quattro giorni, ma con un allenamento adeguato potete entrare in chetosi nel giro di 36-48 ore dal momento in cui cessate di assumere carboidrati. E quanto più a lungo si protrae la chetosi, tanto maggiore risulta la quantità di grassi bruciata dall’organismo. La normale strategia pre-gara consiste, tradizionalmente, nel ridurre i pesi in tutti gli esercizi e aumentare le ripetizioni per “scolpire” il muscolo. In realtà questa pratica è quanto di più sbagliato un atleta naturale possa fare durante un periodo di dieta: in regime di alimentazione controllata, infatti, i pesi elevati sono essenziali al mantenimento della massa muscolare. Ciò che andrebbe ridotto, semmai, è il “volume” dell’allenamento (vale a dire, il numero di serie totali e di giorni di allenamento), in quanto con un ridotto apporto di calorie è più facile cadere
nel sovrallenamento. Non mi stancherò mai di sottolineare questo punto: quando si è a dieta per perdere grasso non ci si può comportare come quando si vuole accrescere la massa muscolare, quindi non bruciatevi nel tentativo di raggiungere questo difficile obiettivo. La cosa migliore che un atleta naturale può fare è conservare i propri muscoli, tanto faticosamente sviluppati, attraverso il duro esercizio – ovvero, l’allenamento pesante che, durante la dieta, andrà semplicemente ridotto di volume. Il modo più rapido ed efficace per abbassare il tasso di glucosio nel sangue è svolgere un lavoro metabolico sufficientemente intenso. A prima vista ciò sembrerebbe in contraddizione con quanto detto sopra riguardo all’opportunità di ridurre il volume di allenamento. In realtà la quantità di lavoro metabolico svolto dall’organismo (da cui dipende la percentuale di glucosio che il sangue rilascia ai muscoli) dipende dalle dimensioni del muscolo utilizzato. Per avviare e mantenere la chetosi, dunque, è necessario fare in modo che nei primi 2 giorni di limitazione dei carboidrati i grandi muscoli lavorino (gambe, torace e dorso). La tabella tipo per una settimana potrebbe essere la seguente: Lunedì: torace e dorso Martedì: gambe e addominali Venerdì: spalle e braccia In alternativa si può allenare tutto il corpo tra lunedì e martedì; questa seconda soluzione ha, in più, il vantaggio di consentire ai muscoli di smaltire la stanchezza prima della fase di carbup. I danni muscolari provocano una transitoria insensibilità all’insulina che compromette la fase di ricarica. Ecco un possibile programma di allenamento: Lunedì: gambe, dorso, bicipiti Martedì: torace, deltoidi, tricipiti, addominali Venerdì: seduta di deplezione a ripetizioni elevate Il programma di deplezione è tratto dal libro “Bodyopus” di Dan Duchaine. Il principio di base è quello per cui quanto maggiore è il consumo di glicogeno dei muscoli, tanto più intensa la risposta anabolica che si ottiene durante il recarbing. Durante le sedute di lunedì e martedì Duchaine suggerisce di eseguire 2-3 serie pesanti da 6-8 ripetizioni sino al limite prevedendo 1-3 esercizi per ciascuna parte del corpo (i muscoli di grandi dimensioni, come quelli del dorso, hanno bisogno di maggior esercizio rispetto ai più piccoli come, per esempio, i bicipiti). Il venerdì l’ideale sembra essere un allenamento “a circuito” che comprenda, ad esempio: squat, distensioni alla panca, rematore, leg curl, distensioni, pulldown, calf raise, estensioni tricipiti, bicipiti con bilanciere, addominali, Hyperestension in modo da interessare il maggior numero possibile di fibre muscolari. Eseguite 10-20 ripetizioni semi-veloci, ma controllate, per ciascun esercizio ed evitate anche solo di avvicinarvi al limite. Il peso ideale corrisponde al 50% dei pesi che avete utilizzato per le sessioni da 6-8 rip. del lunedì e del martedì. Riposate 1' tra una serie e l’altra e 5' circa tra un circuito e il successivo. Ripetete i circuiti sino a quando sentite che le forze cominciano a venirvi meno (non temete, ve ne accorgete quando state per arrivare a quel punto): ciò significa che le vostre riserve di glicogeno si stanno esaurendo. Tenete presente, però, che non tutti sono d’accordo nel ritenere l’allenamento di deplezione la soluzione migliore per ottenere risultati soddisfacenti. Personalmente non ho trovato SPORTMAN & Fitness #
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Diete per tutti grandi benefici nell’eseguirlo e quindi prediligo il classico allenamento duro e breve 3 giorni a settimana. Anche in questo caso è essenziale che ciascuno sperimenti in prima persona che cosa è meglio per sé e ne prenda debitamente nota. Io vi consiglio di provare entrambi i metodi illustrati sopra e vedere che cosa succede. Prima dell’allenamento di deplezione, tuttavia, è importante che usciate dalla chetosi consumando 50 grammi di carboidrati (meglio se sotto forma di frutta) un paio d’ore prima di cominciare la sessione. Il motivo è presto detto: in chetosi l’organismo predilige i chetoni al glucosio in termini di carburante. Per ottenere il massimo consumo di glicogeno in tutte le fibre muscolari, quindi, è essenziale uscire dalla chetosi e, a tale scopo, la frutta (che tende a ripristinare i livelli di glicogeno epatico) rappresenta la soluzione ideale. In questo modo avrete la certezza di ottenere il massimo consumo di glicogeno durante l’allenamento. Il carb-up dovrebbe avere inizio subito dopo l’ultimo allenamento di venerdì e protrarsi per 24-36 ore; a quel punto dovreste ridurre nuovamente l’assunzione di carboidrati. Uno degli aspetti positivi della dieta chetogenica è che consente di bruciare una percentuale maggiore di grasso corporeo, a riposo, di quanto non avvenga con un’alimentazione ad alto contenuto di carboidrati. Inoltre, dato che i chetoni possono essere utilizzati come carburante (forniscono 7 calorie/grammo contro le 9 calorie/grammo dei grassi), a parità di deficit calorico vi troverete a bruciare più grammi di grasso. Questo vale se siete in stato di chetosi. Ciò significa che avrete bisogno di un training cardiovascolare meno intenso. A coloro che desiderano aumentare al massimo la perdita di tessuto adiposo suggerisco 20-30 minuti di allenamento cardiovascolare (al 60-70% delle pulsazioni massime) il mercoledì e il giovedì (oppure al termine della sessione di allenamento).
adipose. Dal tipo di carboidrati che decidete di assumere (zuccheri semplici rispetto a carboidrati complessi) dipende in gran parte la velocità con cui le cellule muscolare si sentiranno “sazie”. Questo approccio vi permette anche di valutare in che modo il vostro organismo risponde al carb-up e di modificarlo, prima della gara, in modo da ottenere il look migliore. Al fine di accellerare la perdita di grasso è essenziale che la fase di ricarica dei carboidrati non superi le 24-36 ore complessivamente; lo schema dietetico finisce così per essere costituito da 6 giorni a carboidrati ridotti e 1 giorno di carbing. Di nuovo, non dimenticate che quanto più lunga la chetosi, tanto maggiore la percentuale di grasso bruciata. Chi desidera accelerare il processo può praticare il carbing a fine-settimana alterni – i risultati sono decisamente positivi, ma di certo si tratta di una scelta psicologicamente difficile. In questo caso io suggerirei di consumare un pasto a base di carboidrati concentrati subito dopo l’allenamento di venerdì, per poi tornare immediatamente al regime a carboidrati ridotti. Se non esagerate è probabile che vi ritroviate in chetosi per il sabato mattina. La struttura dell’allenamento per un approccio di questo tipo potrebbe essere la seguente: Lunedì: torace e dorso Martedì: gambe e addominali Mercoledì: cardio Giovedì: deltoidi e braccia Venerdì, Sabato, Domenica: cardio (consumate il pasto di carboidrati concentrati in uno di questi giorni) Lunedì: gambe, dorso e bicipiti Martedì: torace, deltoidi, tricipiti, addominali
20' di allenamento cardiovascolare leggero dopo gli allenamenti del lunedì e martedì contribuiranno ad abbassare la glicemia e a promuovere la chetosi. Attenzione, però, a non esagerare con l’allenamento cardiovascolare, perché rischiereste di perdere, insieme al grasso, anche preziosa massa muscolare.
Mercoledì: cardio
La fase di carb-up:
Il vantaggio principale di questo tipo di approccio consiste nel fatto che la percentuale di grasso eliminata è maggiore, in quanto l’organismo rimane più a lungo in chetosi (10 giorni su 14 contro gli 8 giorni su 14 di chi fa carbing tutti i fine-settimana).
Rappresenta probabilmente l’aspetto più critico della CKD e produce un doppio effetto: 1. ricostituisce il muscolo che dovesse andare perso nel corso della settimana in seguito ai processi anabolici connessi all’idratazione cellulare; 2. ripristina le riserve di glicogeno nei muscoli in vista del training della settimana successiva consentendovi, così, di allenarvi intensamente in modo da evitare la perdita di massa muscolare nonostante la dieta a basso contenuto calorico. Due sono i modi per accostarsi alla fase di carb-up: 1. Approccio soggettivo: assumete carboidrati a piacere sino a quando notate sentite che state per cominciare ad appannarvi (nel senso che cominciate ad accumulare acqua sotto pelle e notate che divenite più lisci, con meno vene e stacchi). Ciò significa che la scorta di glicogeno dei muscoli è completa e ulteriori carboidrati andrebbero ad alimentare le cellule
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Giovedì: cardio Venerdì: allenamento di deplezione con elevate ripetizioni, inizio del carbing
Il lato negativo è che si tratta di una pratica piuttosto noiosa che, tra l’altro, comporta un rischio maggiore di bruciare anche il tessuto muscolare. Anche in questo caso, l’unico modo per non commettere errori consiste nello sperimentare in prima persona (e nel tenere sotto controllo la composizione del proprio organismo). 2. Approccio oggettivo: si tratta senza dubbio di un metodo assai più specifico. Una volta esaurito il glicogeno i muscoli riescono a metabolizzare 16 grammi di carboidrati per kg di massa magra durante le prime 24 ore e 9 grammi nelle successive 24. Per quanto riguarda la qualità e la quantità dei carboidrati è opportuno abbondare con i carboidrati ad elevato indice glicemico all’inizio della fase di carb-up e ridurne la quantità
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Diete per tutti verso la fine. Durante la fase di carb-up vi sono diversi altri elementi da considerare:
tentativo di perdere peso all’ultimo momento. Il conto alla rovescia prima della gara dovrebbe svolgersi all’incirca così:
Venerdì
1 Proteine: dovreste assumere 2,5 grammi di proteine per Kg di peso corporeo suddivise equamente nell’arco delle 24 ore;
Ultimo giorno di allenamento pesante, abolizione dei carboidrati.
2 Grassi: il 15% circa dell’apporto calorico totale dovrebbe venire da acidi grassi essenziali (ottimi, in questo senso, l’olio di semi di lino, l’olio d’oliva e le noci) – che vanno assunti soprattutto verso la fine della fase di carb-up, perché rallentano la digestione;
Sabato
3 Acqua: per ogni grammo di carboidrati dovreste assumere 3-4 grammi d’acqua in modo da consentire una buona reintegrazione muscolare. Comunque, a meno che siate impegnati nel carb-up finale prima della gara, vi consiglio di bere quanta più acqua riuscite a mandar giù. Gli integratori quali Vanadyl, Cromo picolinato, Acido Lipoico e Magnesio possono favorire il carb-up perché aumentano la sensibilità all’insulina e abbassano la glicemia. Anche l’acido idrossicitrico, assunto tre volte al giorno per un totale di 750 mg, favorisce l’assimilazione dei carboidrati da parte delle cellule muscolari e ne ostacola, al contempo, l’assorbimento da parte delle cellule adipose. La creatina monoidrato e la glutammina infine, assunte durante la fase di carb-up promuoveranno l’iperidratazione cellulare e accrescere l’anabolismo – in ogni caso è utile per la gara. Personalmente in questa fase uso 3 g di creatina ogni 10 Kg di peso corporeo e 3 g di Glutammina ogni 10 Kg di peso corporeo. Riguardo alla glutammina vi ricordo che semplici integratori di glutammina sono pressoché inutili perché fino all’80% non riesce a raggiungere i muscoli. Assicuratevi di usare un prodotto che contenga almeno la glutammina in forma di peptide e se possibile anche legata all’AKG (acido alfa chetoglutarico). I risultati saranno di gran lunga più strepitosi.
Settimana pre-gara L’ideale sarebbe essere praticamente pronti per la gara già una o due settimane prima della competizione, in modo da poter fare gli ultimi eventuali “ritocchi” al fisico senza fretta. Il conto alla rovescia vero e proprio comincia 8 giorni prima della gara (e partiamo dal presupposto che questa abbia luogo il sabato mattina). Per 6-7 giorni dall’inizio del countdown il consumo di acqua deve restare elevato, perché cominciando troppo presto a ridurre l’acqua si indurrebbe l’organismo ad aumentare la produzione di aldosterone, l’ormone responsabile della ritenzione idrica. Solo il venerdì e il giorno stesso della gara è opportuno limitare ( e non eliminare) l’assunzione di acqua. Per quanto riguarda il consumo di sodio non è consigliabile eccedere né nell’uno né nell’altro senso, a meno che non abbiate già avuto modo di constatare che il vostro organismo reagisce positivamente al sovraccarico o, viceversa, alla riduzione di sodio. In caso contrario mantenete il consumo su livelli normali – anche perché una giusta quantità di sodio è essenziale ai fini di un buon carb-up. Nei giorni a basso consumo di carboidrati il livello calorico dovrebbe essere quasi pari a quello di mantenimento. A questo punto dovreste aver già raggiunto la forma desiderata, in modo da non rischiare di perdere massa muscolare nel
Praticate un po’ di allenamento cardiovascolare, se lo ritenete necessario, e limitate i carboidrati per tutto il fine-settimana.
Domenica Ultimo giorno di cardio (se necessario), abolizione dei carboidrati.
Lunedì Abolizione dei carboidrati, niente allenamento.
Martedì Mangiate 50 grammi di frutta 2 ore prima dell’allenamento e lavorate fino a totale deplezione. Al mattino cominciate il carbing assumendo carboidrati semplici. L’obiettivo è 16g di carboidrati per kg di massa magra nella prime 24 ore.
Mercoledì Continuate il carbing passando ai carboidrati complessi, 9-10 g per kg di massa magra durante le seconde 24 ore.
Giovedì Continuate il carbing se non l’avete ancora terminato – a questo punto è difficile indicare delle quantità, sarete voi a stabilirle in base alle vostre personali condizioni. Se vi sentite “scarichi” aumentate leggermente le razioni di cibo (ma continuate con i carboidrati complessi); se, viceversa, siete sazi limitatevi a piccole quantità di carboidrati fibrosi.
Venerdì Prediligete proteine e grassi associati a piccole quantità di carboidrati (sul 20%) distribuiti tra i vari pasti, assumete un integratore a base di erbe diuretiche, soprattutto, assicuratevi che il carbing sia concluso.
Sabato Se ritenete di avere acqua da espellere potete concedervi una sauna subito prima della gara. A mio parere il carbing precompetizione dovrebbe essere analogo a quello seguito durante una normale settimana di allenamento. Se avete preso debitamente nota di dosi e reazioni non avrete difficoltà a stabilire quale sia il tipo di carb-up cui il vostro organismo risponde meglio - tenendo presente che “squadra vincente non si cambia”. In parole povere: il carb-up che vi ha consentito di raggiungere la forma migliore durante la dieta è quello che fa per voi. SPORTMAN & Fitness #
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Diete per tutti
Rimanere
sempre al TOP! di Massimo Spattini
e avete iniziato a leggere con ansia questo mio articolo sull'alimentazione idonea per rimanere sempre al massimo della forma e aumentare la massa muscolare, purtroppo devo darvi una brutta notizia: non esiste! Il massimo della forma, così come si intende quel livello di definizione muscolare da atleta californiano, è in realtà solo una situazione precaria, frutto di una preparazione specifica che porta l'organismo ad un livello parafisiologico che non può mantenere e, di conseguenza, l'organismo stesso tende a ritornare ad una condizione fisiologica più accettabile nella quale l'omeostasi (l'equilibrio metabolico) sia mantenuta più facilmente.
trucco per abbassare il nostro Fat-point sarebbe quello di dimagrire e mantenere la percentuale di grasso così raggiunta per più tempo possibile, in maniera che il nostro Fat-point si ritiri al nuovo livello.
Tutto questo, attuando dei meccanismi di adattamento, quali modificazioni del metabolismo, dell'appetito, del comportamento che portano a ritornare al fatidico "Fatpoint", cioè quel livello di grasso che è per ognuno di noi geneticamente predeterminato.
Abbiamo già visto come l'organismo tende a riportarsi alle condizioni di partenza ed è difficile mantenere una motivazione tale da seguire una dieta restrittiva a lungo.
S
Ovverosia, è inutile che ci maceriamo di invidia per quel nostro amico che mangia di tutto e rimane sempre con gli addominali scolpiti ed è inutile cercare di essere come lui! Tutti noi siamo più o meno predestinati ad avere una certa quantità di grasso minimo geneticamente predeterminata alla quale siamo condannati. Questa è appunto la teoria del "Fat-point" che io paragono al circuito elettrico di un appartamento di cui possiamo disinserire o spegnere certe camere (dimagrendo) ma rimane sempre il progetto dell'elettricista in archivio e quindi rimane in memoria e si può sempre reinserire il tutto.
Personalmente conosco più di una persona ex obesa che, una volta dimagrita, ha cambiato completamente il suo "metabolismo" ed ora queste persone non sono più predisposte ad ingrassare.
Ma il problema comunque è: come riuscire a mantenere per lungo tempo il risultato raggiunto?
Il nostro obiettivo, ora che siamo dimagriti, è aumentare la massa muscolare e non il grasso ; ma tutto ciò è solo un mito o una realtà? Se è necessaria una dieta ipercalorica per alzare significativamente i livelli di insulina, testosterone e IGF-1, nel nostro corpo (tutti ormoni anabolizzanti) e quindi stimolare la crescita muscolare, è anche vero che il surplus calorico si tradurrà in accumulo di grasso corporeo. Ecco che, dopo tanti sacrifici, siamo arrivati ad essere in forma perfetta, con la percentuale di grasso desiderata e ora vorremmo rimanere così, ma vorremmo anche continuare a crescere di massa muscolare perché il bodybuilding significa questo.
E' un po’ come la capacità di certi rettili o anfibi di far ricrescere la coda di un arto amputato. Lo schema corporeo rimane in memoria e permette di ricostruire le parti distrutte, a volte addirittura in eccesso, vedi le code bifide! A noi è rimasta la capacità di ricostruire il grasso perso, spesso in eccesso. E' un po’ come se le nostre terminazioni nervose ed i nostri vasi sanguigni volessero riappropriarsi dello spazio perso riacquistando il territorio al quale erano abituati.
Allora la guerra contro il grasso è una guerra persa? Ebbene innanzitutto la teoria del Fat-point è appunto una teoria che non è ancora stata confermata e molti ricercatori ritengono che questo Fat-point non sia in realtà predeterminato geneticamente ma sia bensì un adattamento ad una situazione che permane per lungo tempo. Ossia, se ingrassiamo e manteniamo quella percentuale di grasso per molto tempo il nostro organismo regola il suo Fat-point a quel livello. Quindi il
Ebbene, se continuiamo a tenere la dieta restrittiva dopo un po’ perdiamo massa e i nostri muscoli si appiattiscono assumendo quell'odioso aspetto "liscio". Se invece continuiamo a mangiare di più, dopo i primi 15 giorni nei quali acquistiamo peso e volume mantenendo la definizione, comSPORTMAN & Fitness #
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Diete per tutti inciamo ad ingrassare e ad ispessire le nostre pliche. Ma è proprio su quei primi 15 giorni "magici" che ci dobbiamo concentrare! E' capitato ad ogni bodybuilder agonista che non abbia abusato di giochi a livello elettrolitico, nel qual caso l'edema è la conseguenza, di ritrovarsi dopo una gara, più pieno e sempre definito, nonostante i gelati si sprechino. Giorni "magici" nei quali i muscoli si "gonfiano" con una sola serie ed il corpo sembra crescere senza limiti. Già più di 20 anni fa, parlando di questo fatto con il Dott. Filippo Massaroni, lui mi disse che consigliava alle persone soggette ad edema post gara, l'uso di un anoressante per limitare questo pericoloso rebound, ma che comunque questo principio di super compensazione poteva essere sfruttato per aumentare la massa muscolare anche in off-season alternando un periodo di 15 giorni di dieta ipocalorica a 10 giorni di dieta ipercalorica, cioè per un tempo non sufficiente ad accumulare grasso, ma sufficiente per supercompensare. L'idea era senz'altro interessante ma il fatto di dover sacrificare con una dieta ipocalorica circa i due terzi del tempo dedicato alla massa, mi fece al momento soprassedere. Qualche estate fa, mentre ero in California, lessi su "Muscle Media 2000" di una scoperta scientifica rivoluzionaria. Alcuni ricercatori avevano dimostrato la possibilità di ottenere un aumento di 3 kg di massa in 12 giorni senza allenamento ma solo modificando la dieta. Inoltre era stato dimostrato in questi soggetti un significativo aumento dell'insulina, del testosterone e del IGF-1. Lo scopritore di questo rivoluzionario BURST approccio chiamato "ANABOLIC CYCLING" è Torbjorn Akerfeld, bodybuilder e studente di medicina all'Università di Uppsala in Svezia. Torbjorn afferma che in realtà nel campo della nutrizione c'è una grande confusione o comunque molti pareri discordanti: si sente parlare di una dieta ad alta percentuale di carboidrati, altre volte di dieta iperproteica ed ultimamente si sente parlare spesso di "High Fat Diet", il fatto strano è che tutte queste diete siano avvallate da studi scientifici. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che questi studi sono condotti per breve tempo e che quindi registrano più che altro le modificazioni metaboliche indotte da un radicale cambiamento della dieta. Il nostro corpo è programmato per rispondere in maniera molto efficiente ad ogni sorta di drastico cambiamento della dieta. La nostra cultura alimentare è cambiata solo negli ultimi 10.000 anni acquisendo ancora i geni dei nostri antenati delle civiltà cacciatrici-raccoglitrici, che dovevano per forza adattarsi a notevoli cambiamenti dell'alimentazione: se riuscivano a cacciare un animale potevano nutrirsi della sua carne per una settimana o più, praticando quindi una dieta "high fat, high protein", ma se avevano sfortuna nella caccia dovevano vivere per un periodo di tempo quasi digiunando mentre nelle stagioni in cui maturava la frutta seguivano una dieta ad alta percentuale di carboidrati. Per esempio, quando c'è carenza di un determinato macronutriente, l'organismo diminuisce gli enzimi deputati al suo catabolismo ed aumenta quelli relativi al suo immagazzinamento. Per questo quando si fa una dieta per perdere peso non bisogna ridurre troppo i grassi alimentari altrimenti si ottiene l'effetto contrario. In parole povere quindi, dopo un periodo di restrizione, il corpo è enzimaticamente nelle condizioni migliori per poter immagazzinare i nutrienti e questo vale sia per i carboidrati (ricarica dei carboidrati) che per i grassi e le proteine.
Ma gli enzimi sono soggetti ad un elevato turn-over e quindi nel giro di due settimane questa condizione si perde. In uno studio di "Forbes et all" intitolato "Risposta ormonale alla sovralimentazione" è stato dimostrato che quando i soggetti sono passati da un'alimentazione normocalorica ad una ipercalorica con l'aggiunta di circa 1500 kcal. al giorno, gli esami del sangue hanno dimostrato un progressivo aumento dei livelli di IGF-1, testosterone ed insulina, abbinato ad un aumento di massa magra. Questi livelli hanno poi cominciato a diminuire dopo il 14° giorno della dieta ipercalorica. In un altro studio di "Jeb et all" riportato nell'"American Journal of Clinical Nutrition", è stato dimostrato come nei soggetti maschili portati da una dieta normocalorica ad una dieta ipercalorica (circa 3600 kcal), nel giro di 12 giorni hanno guadagnato circa 3 kg. di massa magra e solo 1 kg. di grasso; gli stessi soggetti sottoposti poi ad una drastica dieta ipocalorica (circa 1000 kcal.) hanno perso circa 2.5 kg di grasso e solo 1.2 kg di massa magra. E badate bene, tutto questo senza allenamento. Quindi è presumibile che, abbinando l'allenamento con i pesi ed usando un preciso programma nutrizionale ed i giusti integratori, sia possibile, durante la fase anabolica, aumentare di muscolo senza ingrassare e durante la fase restrittiva diminuire di grasso senza perdere muscolo.
Da questi studi nasce il metodo "ANABOLIC BURST CYCLING" di Torbjorn che richiede 15 giorni di dieta ipocalorica con un livello di calorie più o meno equivalenti al metabolismo di base, seguiti da 15 giorni di dieta ipercalorica aggiungendo 1500 kcal. alla dieta normocalorica di mantenimento. L'aumento delle calorie in questa fase è l'aspetto più importante in quanto è dimostrato che il livello calorico generale ha maggior effetto sul bilancio dell'azoto e quindi sulla sintesi proteica rispetto all'apporto delle proteine stesse. Un bello studio, nel quale i soggetti avevano un apporto fisso di proteine di 1.25 gr./kg al dì, ha dimostrato che un aumento delle calorie del 15% aumentava la ritenzione di azoto da 7.2 mg/kg al dì a 23.8. Un successivo aumento del 30% portava ad una ritenzione di 33.3 mg./kg al dì. Comunque nella fase di sovralimentazione è meglio aumentare l'apporto delle proteine per ottimizzare ancora di più la costruzione di massa magra. Un buon apporto di carboidrati è molto importante per lo stimolo dell'insulina, potente ormone anabolizzante. Nella fase di dieta ipocalorica è meglio tenere i carboidrati bassi ed avere un buon apporto di grassi polinsaturi (pesce, oli vegetali) per aumentare la sensibilità dell'insulina in maniera da trovarci in una situazione favorevole all'ossidazione dei grassi preservandoci così dal rischio di ingrassare troppo nella successiva fase di alimentazione. Durante la dieta ipercalorica, oltre ad alzarsi il livello degli ormoni anabolici, aumenta anche la concentrazione della Leptina (un ormone che sta diventando il più interessante per il dimagrimento) ed aumentando anche i livelli di T3 (ormone tiroideo), adrenalina e noradrenalina, tutti ormoni lipolitici. L'effetto negativo delle diete ipercaloriche è che, protratte per troppo tempo, producono comunque un indesiderabile aumento del grasso corporeo, ma alternare una dieta ipercalorica ad una ipocalorica è la maniera migliore per tenere il sistema ormonale ed enzimatico nella condizione migliore per bruciare i grassi. Ovviamente tutto questo può essere potenziato da un adeguato allenamento e supplementazione a seconda della fase in cui ci si trova. Ma questa è un'altra storia! SPORTMAN & Fitness #
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L'ACCADEMIA Speciale diete - Marzo 06
20-02-2006
12:32
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Diete per tutti
Dieta anch’io?!?
di Massimo Spattini
' da quando avevo 17 anni che mi interesso di dietologia. Mi sono laureato in medicina e chirurgia facendo l'interno al centro Obesi diretto dal prof. Andrea Strata, poi mi sono specializzato in Scienza dell'Alimentazione. Questa mia passione non è derivata da una lotta contro il soprappeso ma da una ricerca dell'ottimizzazione della performance atletica e fisica.
Ebbene recentemente mi sono ritrovato in una descrizione del dietologo Steven Brataman della "ortoressia" cioè l'ossessione maniacale per i cibi sani (chiunque abbia una posizione integralista in alcuni aspetti della propria alimentazione). L'ortoressico ritiene giusto solo ciò che capisce e quindi segue teorie semplicistiche preferendo modelli alimentari limitanti perché solo con quelle regole crede di trovare la serenità.
Ho letto e studiato centinaia di libri sull'argomento alimentazione e ho seguito vari approcci dietologici sperimentando quelli più accreditati scientificamente.
Di fatto, la crescente importanza dell'alimentazione nei confronti della salute e l'ampia disponibilità di cibi di tutti i generi, dal profilo nutrizionale più strano, ha fatto sì che molti modelli alimentari proposti perdessero il senso dell'equilibrio nel tentativo di fornire una via prestabilita per il raggiungimento del benessere psico-fisico.
E
Ho sempre avuto un atteggiamento abbastanza intransigente nei confronti della dieta. Seguendo schemi abbastanza rigidi ed eliminando alimenti che consideravo non salutari: pur essendo un grande goloso di salame e patatine fritte credo di non aver consumato nemmeno un boccone di entrambi per almeno 10 anni! Il loro profilo biochimico mi sembrava più simile ad un veleno che ad un cibo. Non sono astemio ma non ho bevuto alcolici per anni non vedendone l'utilità dal punto di vista nutrizionale. Non ho mai sofferto di questo mio comportamento, sicuro ed orgoglioso di fare una scelta giusta, anzi mi sono sempre sentito un privilegiato per avere la corretta conoscenza per mantenere il mio corpo in salute. Ho cominciato ad avere qualche dubbio quando ho trovato alcune analogie tra i miei comportamenti e quelli di certe mie pazienti anoressiche o bulimiche o entrambi. Allora mi sono chiesto se anche questo mio comportamento un po’ maniacale nei confronti del cibo potesse ritenersi un "disturbo del comportamento alimentare" come appunto l'anoressia o la bulimia.
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C’è dieta e dieta Mediterranea E' una forma di ortoressia accettabile. Ci sono alimenti buoni (frutta, verdura, olio di oliva, pasta ecc.) che vengono spinti, altri (burro, carne rossa, grassi animali) che devono essere limitati un po’ maniacalmente al di la di pregi e difetti effettivi. L'illusione è che basti mangiare i cibi "sani" per arrivare alla salute. Invece, mancando indicazioni quantitative, il soggetto pur mangiando cibi sani non ha buona salute ed è generalmente in soprappeso per eccesso di carboidrati.
Salutista Gli ortoressici salutisti (vegetariani, macrobiotici…) eliminano intere categorie di cibi ritenendoli dannosi a prescindere da qualsiasi dimostrazione scientifica. Solo una piccola parte della popolazione può accettare dei vincoli così restrittivi sulla proprio alimentazione nell'ottica di benefici non realmente dimostrati.
Iperproteica In grande voga nei centri di dimagrimento o protagoniste di molti best sellers, soprattutto americani (dieta Atkins) hanno il difetto di essere per forza diete punitive e di conseguenza transitorie. Su di esse non si può impostare una strategia a lungo termine. Vengono sempre abbandonate lasciando ai malcapitati il totale recupero dei chili persi, spesso con gli interessi.
L'ACCADEMIA Speciale diete - Marzo 06
20-02-2006
12:32
Pagina 107
Diete per tutti
Ipocalorica Anche le diete ipocaloriche, seppur più equilibrate delle diete iperproteiche non sono modelli perseguibili a lungo termine. Una volta abbandonate causano atteggiamenti maniacali nei confronti di alcuni cibi considerati concentrati di calorie.
A Zona La dieta a Zona e la dieta 40-30-30 sono la grande novità di questi ultimi anni e costituiscono un approccio che cerca di colmare il limite dei modelli non quantitativi. Partono da basi scientifiche che rendono il modello alimentare interessante e innovativo ma nello stesso tempo un po’ complesso.
SEI REGOLE ALIMENTARI Come comportarsi a tavola Occhio alle quantità. Non esistono cibi buoni e cibi cattivi ma ogni cibo consumato nella giusta quantità ha sua valenza positiva, altrimenti lo si potrebbe ritenere a tutti gli effetti un veleno.
Il peso della genetica. La genetica ha ormai dimostrato che è importante anche "ciò che nasciamo" e non solo "ciò che mangiamo". Ergo, l'alimentazione non è l'unico mezzo per assicurarsi salute e perfetta forma fisica.
Seguite i vostri gusti. Cercate un modello alimentare compatibile con i vostri gusti, la vostra cultura e le vostre possibilità in maniera di poterlo seguire senza sforzo per tutta la vita.
Mangiate felici. Dovete poter sgarrare ogni tanto senza sentirvi in colpa, come un momento di spensieratezza, di relax. Tornare alle normali abitudini alimentari sarà più facile.
Ci vuole elasticità. I dati numerici del modello devono essere seguiti con elasticità: è inutile accanirsi a fare calcoli al millesimo delle calorie, quando già i dati di partenza sono più che approssimativi, visto che nei confronti del cibo ogni persona ha una reazione diversa. I cibi stessi hanno caratteristiche che possono variare nel tempo a seconda della varietà, del luogo di coltivazione, dalla conservazione, ecc.
Sentite il vostro corpo. Bisogna imparare a "sentire" il proprio corpo e capire quali sono gli alimenti più graditi e quelli meno tollerati non tanto dal punto di vista del palato ma tenendo conto delle reazioni che ha il nostro organismo globalmente (digestione, senso di benessere, forza fisica, lucidità mentale, ritenzione idrica….).
La qualità della vita….. Tiriamo le somme ancora con un piccolo riferimento personale. Recentemente, durante le feste di fine e inizio anno nuovo, ho bevuto del Brunello di Montalcino, ho consumato del salame di Felino, mi sono deliziato con le tenerezze del Mulino Bianco ed alcune tavolette di cioccolato Lindt ed ho ripetutamente gustato i cappelletti della suocera. Direi che è stato molto piacevole abbinando giorni di meritato ozio e riposo. L'unico effetto è stato un paio di chili in più che se ne sarebbero andati non appena avessi eliminato l'ingestione degli alimenti più criticabili. Cosa che non ho fatto. Non li ho eliminati del tutto. Non ce ne è bisogno. Ormai non sono più ortoressico. SPORTMAN & Fitness #
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