Il mensile de
11 Novembre 2020
IL NEO ASSESSORE REGIONALE ALL’AGRICOLTURA:
DONATO PENTASSUGLIA
TENERE INSIEME I TERRITORI: PORTARE ACQUA E SERVIZI ALLE IMPRESE
La prima ACQUA
L’ACQUA DIVENTA POCA PER TUTTI
SOSTENIBILITÀ INVESTIMENTI INNOVAZIONE Se Atene piange, Sparta non ride. Spesso le due città erano in conflitto fra loro, ma contrasti, dissensi e differenze erano equamente ripartiti. Chi era in sofferenza si accorgeva che la città rivale non se la passava bene. Inutile nasconderselo o minimizzare. Non siamo né nemici, né rivali, ma nessuno di noi può avere vita facile se l’acqua diventa poca per tutti. Non ce l’ha Acquedotto Pugliese, non ce l’ha il Consorzio di Bonifica della Capitanata, non ce l’ha il Salento con le sue falde invase da acqua salmastra, non ce l’ha nemmeno l’acquedotto comunale del Serino (Av). Tutti in emergenza per la crisi idrica che li caratterizza. Non piove, non nevica da mesi. Alcuni contributi alla riflessione sono presentati in questo numero. In Puglia non siamo ai rubinetti a secco, ma non possiamo trascurare il dato che la portata delle sorgenti di Caposele e Cassano Irpino sono ai minimi storici: 2.737 litri al secondo. Un record rispetto alle portate degli ultimi 40 anni. Le punte a volte hanno raggiunto anche 6.000 l/ secondo. “Certamente, a mio avviso – afferma con decisione, ma senza creare allarmismi di sorta il Presidente di Acquedotto Pugliese Simeone di Cagno Abbrescia - la sfida principale che dobbiamo affrontare con urgenza è la messa
a disposizione di risorse idriche sufficienti a soddisfare nel medio-lungo periodo il fabbisogno idrico dei territori per i diversi usi, potabile, agricolo e industriale. Gli scenari demografici e i cambiamenti climatici su scala globale, che si delineano per i prossimi decenni, evidenziano la necessità • da un lato di preservare le attuali fonti di approvvigionamento idrico in modo tale da consentirne un utilizzo sostenibile e duraturo nel tempo, sia dal punto di vista qualitativo (tutela dall’inquinamento) che dal punto di vista quantitativo (riduzione delle perdite idriche e ottimizzazione degli utilizzi), • dall’altro la necessità comunque di ricercare nuove fonti di approvvigionamento idrico per garantire il soddisfacimento di un crescente fabbisogno”. Una consapevolezza propositiva a tutto campo espressa alla II edizione del Forum Acqua promosso da Legambiente con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Regione Lazio, in collaborazione con UTILITALIA. Infatti, il Servizio Idrico Integrato è una priorità nelle sfide che ci attendono nell’immediato futuro, a partire da quella climatica, e deve esserlo nel Recovery plan che il nostro Paese, sta redigendo: sostenibilità, investimenti e innovazione le parole d’ordine.
FUTURO
Non piove da un anno. Un inverno, il 2020, senza piogge e senza neve. Il nostro sguardo è rivolto costantemente a quello che accade alle sorgenti di Caposele e di Cassano Irpino. Il Parco dei Monti Picentini, le montagne di Laceno, Montella, Raiamagra, Monte Cervialto, sono il vero serbatoio nel quale si accumula l’acqua che alimenta le due sorgenti, i principali “fornitori” di acqua del Canale Principale che provvede a nutrire l’Acquedotto Pugliese. Mentre scriviamo, a fine ottobre, dalle due sorgenti in galleria confluisce acqua pari alla metà della sua portata: 2.760 litri al secondo, suddivisi per 2.270 litri da Caposele e 490 da Cassano Irpino. Se pensiamo che la portata massima della Galleria è di 4.500 litri al secondo, consentendo all’acqua di scorrere a “pelo libero”, siamo al 50% circa. In Galleria l’acqua deve sempre conservare uno strato anche piccolo di spazio libero fra il livello dell’acqua e la volta della galleria stessa. Poiché ci avviamo verso l’inverno, i consumi tenderanno a diminuire. E’ un dato costante, rispetto ai maggiori consumi dei mesi estivi. E’ il caso di dire: una boccata… d’a…cqua! Avremo la possibilità di registrare una stagione caratterizzata da grandi piogge, da grandi nevicate sulle montagne irpine? Lo speriamo. Le previsioni, non ci aiutano. Si prevede un inverno mite. Il Sele, intanto, ha bisogno della neve. Stesso fenomeno è stato registrato una ventina di anni fa. Le stagioni di siccità si alternano a quelle delle grandi piogge. La diga di Conza è quasi in secca: 9 milioni di m3 di acqua. Può invasare fino a circa 45milioni di m3 di acqua nell’Acquedotto dell’Ofanto che si interconnette all’intero sistema di approvvigionamento nel nodo idraulico dell’AQP nel Monte Carafa che alimenta gran parte della provincia BAT e BARI. Della situazione attuale, recentemente ne ha parlato al TG3 Puglia il Presidente Simeone di Cagno Abbrescia: “Gli invasi sono carenti di acqua, ugualmente le sorgenti: il 12% in meno rispetto all’anno scorso, il 20% rispetto alla media degli ultimi 10 anni. La realtà è che anche queste ultime precipitazioni non hanno interessato le zone degli invasi. In prospettiva dobbiamo aspettarci, in mancanza delle precipitazioni, una riduzione delle pressioni e qualche attenuazione delle erogazioni”. Cosa pensare rispetto al futuro? Ci sono investimenti per potenziare le reti? Ha chiesto il giornalista.
CERCARE NUOVA ACQUA Parco Monti Picentini
“Acquedotto Pugliese sta lavorando innanzitutto per la ricerca delle perdite. Sono in corso investimenti per 80milioni in 21 comuni, stiamo creando la società mista che ci consentirà un intervento cospicuo di 650milioni in 94 comuni della Puglia. In più, dobbiamo cercare nuova acqua. Ne abbiamo sempre meno e ne avremo bisogno sempre di più”. Quali i progetti? “I progetti sono quelli della creazione di un acquedotto Adriatico, con partenza dall’Abruzzo, andare a servire anche il Basso Abruzzo, il Molise, un acquedotto del Molise e una grande interconnessione fra Ofanto, Fortore e Locone: un investimento cospicuo di 75milioni di euro che ci consentirà di integrare i tre acquedotti per disporre di un maggiore utilizzo delle acque da essi erogate”. Una volontà programmatica chiara e forte, organica. Parte dalla salvaguardia dell’acqua di cui disponiamo con interventi mirati su reti ormai vetuste e ha a vista le possibili fonti integrative con l’acqua che nel vicino Abruzzo viene sversata a mare. Un progetto ben chiaro e ben strutturato che necessita di passi da mettere con urgenza al vaglio delle volontà politiche dei Consigli Regionali di Abruzzo, Molise e Puglia. Abbiamo un riferimento temporale storico da imitare. Da Caposele, nel 1924, era il 24 aprile, riuscirono a portare l’acqua in Puglia, a Bari, in Piazza Umberto. Fu una festa. Nel 1906 furono avviati lavori molto complessi, in galleria, su viadotti, su ponti canale, in condotte sotterranee, attraversando monti, colline, boschi, campagne, centri abitati. Fu un vero rinascimento. Amiamo dire – con Ungaretti - che l’arrivo dell’acqua fu l’avvento della civiltà. Anche oggi non ci sono consentiti ritardi. Il Presidente è stato esplicito, diretto: “In prospettiva possiamo aspettarci riduzione delle pressioni e qualche attenuazione delle erogazioni”. Sono misure precauzionali che meritano di essere tenute a vista. Intanto, delle risorse naturali, dobbiamo imparare a farne un uso responsabile e intelligente: niente sprechi. Abbiamo bisogno di una nuova “rivoluzione culturale”, scegliere e attuare nuovi stili di vita, consumi più responsabili e moderati, tenendo conto che questa preziosa risorsa dobbiamo suddividerla con criterio fra usi civili e agricoltura.
RIUSO DELLE ACQUE DEPURATE IN AGRICOLTURA
DONATO PENTASSUGLIA
A NOI MANCANO I PROGETTI.
Da dove partiamo? Dalla siccità: è nemica acerrima dell’agricoltura. La Puglia è regione a grande vocazione agricola. La Puglia è una regione ricca di risorse agricole e detiene numerosi primati a livello nazionale. La Puglia agricola, però, ha grande sete, ha grande bisogno di acqua. Il territorio pugliese sa’ da sempre di non disporne: niente monti, niente fiumi, niente laghi, niente acqua di superficie. Ed è costretta a guardare ai bisogni crescenti e alle variazioni climatiche con grande apprensione. Intanto ci sono delle priorità: prima soddisfare i bisogni per usi civili, poi pensare alla domanda che cresce dall’agricoltura, sempre più di qualità e selettiva, poi l’industria e le altre attività produttive. Eppure, la nostra ricchezza di acqua da millenni si è inabissata. Quella intercettata a basse-medie profondità è stata ed è, molto dissipata. E’ dai primi decenni del secolo scorso che i depositi acquiferi sotterranei sono stati devastati in maniera selvaggia da pozzi artesiani. Specie nel basso Salento e lungo l’ampio arco costiero a sud della Puglia, hanno prelevato sempre più acqua, lasciando spazio all’acqua salmastra di mare di colmare i prelievi e di distruggere la qualità delle dolci acque di falda. Nei giorni scorsi, dal Presidente della Regione Michele Emiliano è arrivato un segnale ben preciso con la nomina del nuovo Assessore all’Agricoltura della Regione Puglia: Donato Pentassuglia, con lunga esperienza nel Consiglio regionale. “Un’investitura ufficializzata, d’urgenza, si potrebbe dire, prima della proclamazione del Consiglio regionale e prima della formazione della Giunta, per mettere mano ai gravi problemi che affliggono l’agricoltura pugliese”. Così il comunicato stampa della Regione. Ne parliamo volentieri con il neo Assessore. Da dove cominciare? Domanda complicata, ma rispondo volentieri. Iniziamo con l’evitare che l’acqua si perda. Rifunzionalizzazione delle condotte esistenti, lavorando sulle priorità per territorio, che significa un’azione a tenere insieme i territori con equità e giustizia. Significa che territori attraversati da Acquedotto Pugliese o da altre condotte tipo approvvigionamento consortile o ARIP, possono essere determinate in senso prioritario. Cioè, dove c’è già una canalizzazione, noi andiamo verso territori dove l’acqua non c’è. E’ una operazione, massiccia, massiva che rimette in funzione non solo gli impianti di sollevamento, le idrovore per non allagare i territori, ma tutte le condotte esistenti e i nuovi tronchi, magari quelli di completamento su cui ho messo una particolare attenzione. Noi abbiamo opere faraoniche, milionarie, abbandonate o vandalizzate che se messe in rete potrebbero dare molto di più al sistema economico e produttivo e non solo agricolo. Assessore, questo obbliga a un grande coinvolgimento di tutti gli attori che gestiscono e utilizzano la risorsa acqua. A partire dal coinvolgimento diretto dei Comuni e delle Associazioni degli agricoltori. Come procedere per armonizzare questo sistema? Intanto ho fatto una ricognizione con tutti gli attori in campo. AQP, Consorzi, AIP, EIPLI. Questo per avere un quadro d’insieme che consente di affrontare con tutti gli attori: agricoltori, allevatori, mondo dell’impresa della filiera agroalimentare che, al tavolo della discussione già previsto, non solo per presentarmi e far capire come intendo impostare il mio lavoro, vorrei che fosse consertato, condiviso, senza inciuci, ma con una prospettiva di investimento del quinquennio della Regione, con la prospettiva di lavori che si devono fare effettivamente. Introdurrò un elemento di novità che è un fondo di rotazione per attingere ai progetti. Quello che manca a noi non sono i soldi, ma la pianificazione, la programmazione dei lavori. A noi mancano i progetti. I progetti cantierabili sono pochi, anzi, pochissimi
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FUTURO
INTERVISTA A TUTTO CAMPO CON L’ASSESSORE REGIONALE ALL’AGRICOLTURA
FUTURO
e noi, siccome abbiamo scarsità di acqua, e andiamo verso la desertificazione, proprio con l’agricoltura di precisione, con gli ultimi strumenti della modernizzazione e della innovazione tecnologica, dobbiamo utilizzare l’acqua con parsimonia e riutilizzare ad uso irriguo agricolo tutto quello che è possibile perché il riuso è una novità che man mano sta prendendo piede, che va completato e portato fino alle estreme conseguenze. Questo dobbiamo fare e su questo sarò concentrato nella forma di presentazione al partenariato che non è solo aziende agricole, ma anche Confindustria, i Sindacati, perché ci vuole condivisione. L’ANCI è stata da me preallertata su questa azione insieme ad altre che farò sulla Xylella e quindi ci vuole corresponsabilizzazione. Io responsabile alla pari degli altri perchè nessuno si senta escluso. E’ un problema di tutti noi. Il riuso è una risorsa straordinaria. A Martina Franca hai dato un esempio straordinario di rete rurale che già tre anni fa avevi attivato. Oggi, è possibile un’ulteriore accelerazione? Trattasi di acqua buona che oggi purtroppo buttiamo. Sicuramente. Certo che serve accelerare. Per questo ho detto condivideremo con ANCI. Perché abbiamo tanti Comuni che addirittura si sovrappongono nella loro configurazione orografica e territoriale nell’ambito delle competenze che possono lavorare in rete e possono dare opportunità a terreni che mi accingo
a discutere a livello europeo, non solo in termini di proroghe, ma per quello che intendo portare in Puglia, cioè altro terreno a disposizione dei vitigni autoctoni, cioè, altra economia reale che ha bisogno di acqua. L’impianto del Salento passa non solo dalle cultivar, non solo dalle coltivazioni diverse, dal rischio d’impresa che l’imprenditore deciderà, ma sarà anche mettere a disposizione di quelle imprese acqua a un prezzo sano, politicamente corretto che faccia stare nei costi, che dia acqua da riuso. Proprio l’esperienza di Martina Franca, di Putignano, di Castellana e di altri territori pugliesi, le buone pratiche vanno ripetute e rimodulate migliorandole. Noi non dobbiamo guardare indietro, dobbiamo guardare avanti. Come pure è innegabile che con l’AIA, Mittal ci deve dare l’acqua del Tara che serve ai cittadini per vivere e lei deve utilizzare per l’industria l’acqua da riuso, l’acqua affinata. Le nuove tecnologie ci mettono nelle condizioni di poter fare tutto questo. Quale priorità vede nell’ambito della sua impostazione politica? Le priorità sono diverse e alcune sono anche concatenate. Mi spiego. Se sblocco il PSR (Piano di Sviluppo Regionale), sblocco investimenti per le strutture, per le imprese, per i giovani che investono, che vogliono fare agricoltura. I giovani sono novità, precisione, innovazione, sono prodotti di qualità che stanno sbancando in questo
Il neoassessore Regionale all’Agricoltura Donato Pentassuglia all’avvio delle Trincee Drenanti del Depuratore di Martina Franca (TA)
momento all’estero. C’è una grande capacità tutta loro. A loro devo dare una piattaforma su cui competere, alla pari degli altri territori. Questo è un pezzo. Va da sé che l’impresa deve avere l’acqua, quindi, come ho fatto al Ministero, ho già preparato un grande lavoro con i soldi del Recovery Fund, mettere a disposizione di quelle infrastrutture oggi deboli, obsolete, renderle competitive per portare acqua e quindi servizi alle imprese. Di questo, oltre l’acqua, fa parte la digitalizzazione e tutto il pezzo dell’innovazione. Io ho un assessorato che viaggia con il cartaceo, oltre che con l’inserimento nel computer. A me serve un fascicolo unico dell’azienda X che legga la CEA, il Ministero, l’Europa, ma anche l’Assessorato, compreso il proprietario, sapendo che i dati sono veri e su quel fascicolo si lavora perchè è inutile tergiversare, rimpallare le responsabilità con altri che non dialogano alla stessa maniera. Occorre determinazione politica per poter procedere. I Sindacati, intervistati, si aspettano molto dall’Assessorato in termini di impostazione politica. Li ho già invitati e ho esposto loro alcune mie idee. Sono convinto che siano realizzabili, ma serve la compartecipazione di tutti. Le sfide culturali a qualcuno fanno storcere il naso, ma, una volta capitalizzate, portano progresso, economia. Io ho già portato al Porto di Taranto tutti i maggiori esportatori perché una piazza logistica chiusa, non utilizzata, con le celle frigorifero non utilizzate è una vergogna. Sono soldi pubblici investiti e noi andiamo ad esportare fuori. Quello è un porto per il Mediterraneo, per l’Europa. Il problema è quanto noi risparmiamo per le aziende che reinvestono? E quanto beneficio ambientale realizziamo? Quanti camion, quanto gasolio risparmiamo, evitiamo di disperdere nell’aria, perché la qualità della nostra vita sia migliore?
E’ normale che nel settore agroalimentare parliamo di prodotto di qualità, parliamo cioè del benessere delle persone. Per me c’è una catena, un filo denominatore comune che vorrei condividere con loro. Dobbiamo individuare tre, quattro argomenti su cui fare squadra. Il resto diventa discussione effimera, quotidiana. So che ci saranno giorni impegnativi. Mi sono già presentato al Ministero, ho detto la mia idea e ho avuto grande disponibilità. Corretta informazione istituzionale per tutti. Perché si sappia la Puglia su cosa punta. Per me, vedere che al vaglio del Ministero, sull’opera idrica c’è un solo progetto, mi duole il cuore. E’ molto riduttivo. Cosa si aspetta da Acquedotto Pugliese? Acquedotto Pugliese ha una grande storia. Un grande know how, è una grande struttura. Per me è l’azienda più importante su cui noi possiamo contare. Può darci veramente tanto. E’ fatta dai Comuni che rappresentano la totalità dei cittadini, è fatta di opere di grande ingegneria, della storia del nostro territorio, della vita. Ha portato acqua, ha portato vita. L’acqua è vita, nei comuni, nelle contrade. Dobbiamo fare uno sforzo maggiore, come nella passata legislatura, che porti acqua anche in quelle zone agricole residenziali classificate F22 dai piani regolatori dei Comuni, acqua con Acquedotto Pugliese, perché ci sia un controllo, ci siano attività. L’estate scorsa c’è stato il Covid, due anni fa il controllo sui pozzi privati, non vetrificati, non messi in sicurezza. Io devo guardare alla sicurezza alimentare. Per me, la grande storia di Acquedotto può aiutare la Puglia, quindi l’evoluzione culturale, di progresso, civile di una comunità importante e grande, ma anche complessa come quella nostra. Grazie, Assessore e buon lavoro.
L’orgoglio di un risultato. Operatori dell’Impianto di Taranto Gennarini (03-10-2019): Pasanisi Domenico, Pasanisi Agostino, Calia Antonio, Zaccaria Amedeo, Boccuzzi Carlo
INTERVISTA AL PROF. GENNARO BRUNETTI DELL’UNIVERSITÀ DI BARI, DIPARTIMENTO DI SCIENZE DEL SUOLO, DELLE PIANTE E DEGLI ALIMENTI I VANTAGGI ECONOMICI E AMBIENTALI PREVISTI PER IL COMPARTO AGRICOLO Ci sono stati studi del Dipartimento sul riutilizzo dei reflui più o meno affinati in agricoltura. Tutti gli studi, partono dal presupposto che con questo tipo di gestione si mira a recuperare la preziosa fonte di acqua e di elementi nutritivi, utili per le colture, presenti nei reflui. Detto ciò, questi studi mirano a stabilire quelli che sono gli effetti dell’applicazione al suolo adibito ad uso agricolo, dei reflui provenienti da impianti urbani di depurazione. Tale opzione gestionale evita i potenziali rischi per la salute umana e per l’ambiente globale connessi al loro sversamento diretto nei corsi d’acqua o in mare. In condizioni climatiche aride e semi-aride, tipiche degli ambienti mediterranei, in cui la disponibilità di acqua per l’irrigazione rappresenta un prerequisito essenziale per lo sviluppo dell’agricoltura, l’opportunità di usare il refluo per l’irrigazione assume un’importanza pari alla necessità del loro smaltimento. In tali condizioni inoltre, le limitate fonti di acqua di elevata qualità verrebbero rese maggiormente disponibili per altri usi. Non bisogna però tralasciare un altro presupposto, altrettanto importante, che è quello legato ai potenziali rischi ambientali connessi alla presenza nei reflui di contaminanti sia organici che inorganici. Durante gli studi sono state valutate ed approfondite, sia le problematiche legati alla salinità e/o sodicità, quindi problematiche di carattere agronomico che possono avere una influenza sulla qualità del suolo e delle colture, che problematiche legate alla presenza e al destino dei contaminanti. In questo momento il mio gruppo di ricerca è inserito in un progetto PRIN (Progetto di Interesse Nazionale) di cui fanno parte altri partners appartenenti all’università di Foggia, Matera e al CNR-IRSA. Con questo Progetto stiamo cercando di valutare l’effetto dell’applicazione di questi reflui urbani “affinati” sui suoli e sulle piante, in relazione alla potenziale presenza di inquinanti emergenti quali antibiotici ed altri farmaci di uso comune. Gli studi ci invitano a fare molta attenzione. Non sappiamo ancora che
FUTURO
LE SPERIMENTAZIONI DELL’UNIVERSITA’ SULLE ACQUE DEPURATE DA RIUTILIZZARE IN SICUREZZA
fine fanno questi farmaci che potrebbero arrivare al suolo con i reflui affinati in impianti di depurazione, dove convogliano reflui provenienti da civili abitazioni o eventualmente dagli scarichi ospedalieri.
FUTURO
Questi elementi, entrano nel ciclo vegetativo delle piante? Da indagini bibliografiche e da precedenti studi abbiamo visto che alcuni farmaci sono più resistenti di altri, quindi non vengono, o vengono solo parzialmente degradati dai trattamenti tradizionali che vengono effettuati negli impianti di depurazione. Altri farmaci, invece, vengono facilmente degradati. Gli antibiotici, per esempio, sembrerebbe che vengono degradati facilmente, e quindi non si ritrovano nei suoli, men che meno nelle piante. Con questo Progetto vogliamo capire cosa succede applicando al suolo questi reflui, anche arricchendoli con farmaci specifici. Anche AQP sta collaborando nel Progetto, mettendo a disposizione i reflui. In tal senso abbiamo chiesto l’autorizzazione ad AQP di poter utilizzare i reflui, di poter entrare negli impianti e fare i prelievi. A Noci, a Ferrandina abbiamo preparato un campo sperimentale ed allestito delle prove in vaso. Ricordo che in passato, gli studi fatti erano improntati soprattutto su aspetti agronomici, legati alla salinità, o alle diverse forme di azoto. Infatti, anche la salinità potrebbe rappresentare un problema di tipo agronomico, ma non certo insormontabile. Ma, professore, le acque che sono rilasciate hanno un livello di affinamento elevatissimo. Stiamo verificando se questo livello di affinamento riesce ad eliminare completamente tutto ciò che può essere nocivo, oppure se qualche molecola sfugge. L’affinamento che viene fatto con le tecniche tradizionali abbatte il carico organico. Che succede se questo carico organico è costituito da molecole resistenti alla degradazione microbica operata all’interno dell’impianto di depurazione? A questo stiamo cercando di dare una risposta. A che punto sono i vostri studi, professore? Questo è il primo anno. Il COVID, fra l’altro, ha bloccato per alcuni mesi la sperimentazione facendo saltare alcune prove agronomiche. I colleghi di Foggia avevano approntato e sono riusciti a portare avanti una prima prova a Ferrandina sul pomodoro. Siamo quindi ai preliminari. Stiamo avviando le analisi sia sul suolo che sul pomodoro. Si tratta di dati provvisori che vanno validati. La ricerca, comunque, è molto accurata. Personalmente aspetterei i risultati definitivi, prima di esprimere giudizi. Che risvolto vede in questa collaborazione con AQP? Se abbiamo vinto questo progetto nazionale, se andiamo avanti nella ricerca è perché l’oggetto della ricerca è molto, molto interessante e innovativo. Ci sono diversi studi sulle problematiche agronomiche legate alla salinità, alla presenza di metalli o altro, di tipo chimico, chimico-fisico. Ma in realtà pochi studi sono stati fatti su problematiche legate all’eventuale presenza nei reflui, anche quelli affinati, di questi inquinanti emergenti, rappresentati, come detto da farmaci o da composti presenti nei dentifrici. Tutto va a finire nei reflui che confluiscono nei depuratori.
Credo che la ricerca sia molto interessante. Durerà tre anni. I primi risultati speriamo di averli a fine ciclo. Come ho già detto, stiamo testando sia i suoli, per capire cosa succede a questi inquinanti una volta che giungono al suolo: Scompaiono? Nel senso che vengono degradati dai micro - organismi presenti nel suolo o da altri processi chimico-fisici catalizzati dalla luce? Se così non fosse, o se la degradazione fosse parziale, che fine fanno questi composti? Vengono immobilizzati dalle particelle solide del suolo e quindi assimilati dalle piante? O vengono lisciviati e vanno a finire nelle falde acquifere? Le colture che stiamo indagando sono, come già detto, il pomodoro ma anche il carciofo, l’ulivo e il grano, tutte piante diffuse in Puglia e che possono essere irrigate con questi reflui. A fine ciclo colturale, per ciascuna coltura dobbiamo verificare se qualche inquinante emergente, tra quelli da noi selezionati è entrato all’interno della pianta. In caso affermativo, sarà anche interessante capire in quale parte della pianta si va ad accumulare, nelle radici, nelle foglie o nelle parti eduli. Si comprende facilmente che anche la risposta a questo quesito è molto importante. Quindi, stiamo cercando di capire e di valutare anche questo aspetto. Come valuta la disponibilità psicologica degli agricoltori rispetto all’eventuale riutilizzo delle acque reflue? Operando in campi sperimentali nostri, questo è un aspetto che ancora non stiamo osservando. Abbiamo approntato prove sperimentali in vaso ed in campo in prossimità o all’interno dei depuratori presenti a Noci e Ferrandina. Non abbiamo rapporti diretti con gli agricoltori. Quello che mi sento di dire è che il discorso psicologico, ovviamente è legato alla loro tranquillità. Noi possiamo dimostrare, sulla base di evidenze scientifiche, qualora positive, che l’applicazione dei reflui non crea alcun problema, né di tipo agronomico né ambientale, ma se gli agricoltori non sono tranquilli, difficilmente utilizzeranno quelle acque. D’altra parte, la ricerca dovrebbe fornire ai politici i mezzi per legiferare in merito alla corretta gestione agricola dei reflui; il mondo giudiziario dovrebbe controllare che le leggi e le norme vengano rispettate. E per far sì che l’agricoltore le rispetti è importante che venga indirizzato e seguito da tecnici, agronomi o periti agrari, ben preparati. A livello europeo che tipo di movimento c’è in questa direzione? A livello europeo c’è una forte predisposizione perché vangano condotti questi studi. Noi italiani, in campo normativo, siamo molto restrittivi. Quando facciamo delle leggi le nostre sono più protettive dell’ambiente, rispetto alle leggi europee, e ancor più di quelle internazionali, americane, per esempio. C’è un forte interesse da parte dell’Europa a far sì che questo campo venga indagato perché la questione dell’acqua è una questione globale non è né pugliese, né italiana. E’ ovvio che nei nostri ambienti aridi, nei nostri sistemi dove l’acqua scarseggia, è ovvio che il problema è più sentito. Ne riparleremo certamente, Professore, a sperimentazione inoltrata e conclusa. Grazie per la disponibilità e grazie al
prof. Ricciardi che ci ha messo in contatto. Volentieri concludo questa intervista con le valutazioni che il prof. Gennaro Brunetti esprime in un suo elaborato. “Il suolo è il recapito principale e preferito dei reflui civili, agricoli e dell’industria agroalimentare sia per esigenze irrigue che per necessità di smaltimento. Il suolo, in quanto sistema fisicamente, chimicamente e biologicamente attivo, possiede la riconosciuta e convalidata proprietà di agire quale “filtro” dinamico, o “vivente”, nei confronti del refluo applicato, grazie alla molteplicità delle azioni fisiche, chimiche e biologiche che può esercitare. Pertanto, più che di effetti del refluo sul suolo, ovvero del suolo sul refluo, appare opportuno considerare il tipo e l’entità delle interazioni che vengono ad instaurarsi, in maniera dinamica, tra il suolo ed il refluo. Tali interazioni dipenderanno, ovviamente, sia dalla composizione e dalla quantità di refluo applicato, che dalle specifiche proprietà fisiche, chimiche e biologiche del suolo considerato”. Per fortuna, quindi, non siamo all’anno zero, anzi, abbiamo potuto verificare come la ricerca, nella nostra Regione è in fase avanzata. “Il progetto Ri.F.a.Re. nasce da un’attenta osservazione effettuata sul territorio della Provincia di Bari, oggi Città Metropolitana, legata alla problematica del riutilizzo dei fanghi e delle acque reflue. La gestione delle acque reflue e dei fanghi biologici prodotti dalla depurazione delle acque rappresenta una vera e propria emergenza ambientale. Ogni giorno vengono prodotte centinaia di tonnellate di fanghi
che contengono tutti gli elementi rimossi dalle acque durante il trattamento: sostanze organiche, sali, metalli, ma anche eventuali composti e materiali non biodegradabili o addirittura tossici; ma, se trattati e gestiti secondo norma, i reflui, i fanghi e le acque reflue raffinate, possono arrecare un grande vantaggio soprattutto al comparto agricolo potendo sostituire in tutto o in parte sia la concimazione chimica che l’apporto irriguo da fonte idrica primaria. Riutilizzare i fanghi e le acque significa quindi ottenere enormi vantaggi sia economici che ambientali. Cinquanta Paesi nel mondo, tra cui Stati Uniti ed Israele, hanno colto l’opportunità del riuso delle acque reflue, in particolare per lenire i problemi legati alla scarsità dell’acqua, conosciuti anche dalla nostra regione. Con il progetto RI.F.A.RE., UNISCO e Legambiente Puglia hanno inteso avviare un momento di approfondimento, di sensibilizzazione e di informazione rivolto soprattutto al mondo agricolo, cercando di dare tutte le indicazioni per trasformare le acque reflue ed i fanghi di depurazione in risorse ponendo grande attenzione alle problematiche legate al suolo e ad un miglioramento complessivo della qualità dell’agricoltura. È stato realizzato un importante ciclo di incontri, seminari e meeting, condotto da esperti del settore e rivolto in primis a tutti gli imprenditori agricoli e coltivatori diretti della Provincia di Bari, ma anche a cittadini e studenti, al fine di realizzare una vera e propria campagna di formazione e sensibilizzazione su un tema, quale quello delle acque reflue e dei fanghi, di estrema importanza e altissimo valore ambientale.
L’UTILIZZO DELLE ACQUE REFLUE SFIDA DELL’ECONOMIA CIRCOLARE LO AFFERMA LUCA LAZZÀRO PRESIDENTE CONFAGRICOLTURA PUGLIA
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La Confagricoltura e l’innovazione
irrigare i campi già in primavera per evitare danni alle colture. Ovunque cresce il bisogno di acqua a fronte di una diminuzione drastica delle disponibilità. Diviene essenziale, quindi, agire rapidamente e accelerare la conclusione degli iter procedurali per l’apertura dei cantieri previsti dal Piano Irriguo Nazionale, dal Fondo Strutturale di Coesione e dal Piano Invasi. Dobbiamo favorire l’uso efficiente e razionale delle risorse idriche in tutti i settori: agricolo, industriale e domestico e migliorare l’utilizzo delle acque reflue che è una delle sfide più importanti dell’economia circolare. Confagricoltura Puglia è da tempo impegnata a sensibilizzare le istituzioni sull’importanza del riutilizzo delle acque reflue e sulle necessità infrastrutturali specifiche del territorio, basti pensare al Salento dove oggi le infrastrutture idriche sono totalmente assenti e risulteranno cruciali nel futuro post Xylella. Eppure anche la Puglia può vantare esempi virtuosi: dai Consorzi di bonifica del foggiano all’agricoltura di precisione, adottata in modo sperimentale da alcuni agricoltori, dove tramite l’adozione di sistemi di irrigazione a goccia è possibile incrementare le rese diminuendo l’utilizzo di acqua.
La Puglia è una delle regioni che più risentono della “fame d’acqua”, la scarsità di precipitazioni ha portato le sorgenti ad un minimo storico, i bacini sono vuoti e nelle falde, da cui si è attinto in modo selvaggio e incontrollato per anni, l’acqua dolce è stata sostituita da quella salmastra. Questo generale impoverimento rende sempre più urgenti interventi mirati e un impegno condiviso per un uso efficiente delle risorse idriche in agricoltura. La disponibilità di acqua è infatti un elemento fondamentale che condiziona pesantemente la produttività. Bisogna investire in ricerca per intervenire in maniera innovativa sull’annoso problema della carenza d’acqua dovuta ai fenomeni di siccità che i cambiamenti del clima rendono sempre più frequenti. Riteniamo essenziale che le acque dell’agricoltura vengano gestite dagli agricoltori attraverso i Consorzi di bonifica e la Regione dovrebbe supportare finanziariamente i progetti di gestione dell’acqua e di prevenzione del dissesto idrogeologico, solo in questo modo la Puglia sarà pronta alle sfide che i cambiamenti climatici impongono. Quest’anno molti agricoltori pugliesi hanno dovuto
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FUTURO
Confagricoltura è un’Organizzazione che punta allo sviluppo imprenditoriale, al progresso tecnico scientifico del settore, che avverte fortemente l’esigenza che le proprie aziende siano dotate di quel know how che gli permette di competere sui mercati globali. Sostiene il valore della ricerca scientifica nazionale come indispensabile fattore di crescita e di competitività del settore.
RICORDI PIENI DI ORGOGLIO
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Gerardo Di Trolio oggi ha appena compiuto 80 anni. Come quaranta anni fa, a pochi giorni dal suo compleanno, la sua abitazione è ancora muro a muro con le Sorgenti di Caposele. L’ha recuperata dopo 24 anni, a ricostruzione avvenuta. Dal 1971, fino al 2005, è stato dipendente di AQP con la qualifica di Fontaniere, poi divenuto Capo Zona. Quella domenica sera era da poco rientrato a casa. Lo aspettavano la moglie, due figli e il suocero: la sua famiglia al completo. Alle 19:34:53 di domenica 23 novembre 1980, una forte scossa dalla interminabile durata di circa 90 secondi, il terremoto colpì. Due le regioni coinvolte: Campania e Basilicata. La sua potenza fu di magnitudo 6,9 (X grado della scala Mercalli). L’epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, causò circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e, secondo le stime più attendibili, 2.914 morti. Caposele, coinvolta in pieno. “Appena la scossa cessò, scesi di casa e corsi alle sorgenti. Ero il custode.
Da sinistra: Antonio Tobia, ???, Gerardo Di Trolio, ???, Pasquale Montanari, Gerardo Damiano, ???, Giuseppe Proietto, Gelsomino Sturchio, ???, Tommaso Maroso, un signore di Caposele.I non identificati sono dipendenti di ditte appaltatrici. La foto è stata scattata all’entrata del by pass dove sono ubicate le pompe, ora elettriche. All’epoca funzionavano a nafta. Pompavano e pompano acqua in serbatoio ubicato a quota più alta. Nel dopoterremoto ha sostituito la parte danneggiata della Galleria Pavoncelli. Oggi, ancora in esercizio con funzioni diverse.
Ispezione e primi interventi nel Canale Principale. La parte inferiore delle Galleria (Arco Rovescio) in molte parti si sollevò fino al soffitto alto massimo m.2,50
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AZIENDA
Proprio sotto casa, nella strada, si aprì una voragine larga circa un metro. Poco più avanti, una persona anziana, giaceva per strada, morta evidentemente per infarto. Scavalcai il cancello di accesso alle sorgenti perchè non si apriva più, così potetti entrare nella camera di manovre della Galleria Rosalba. L’acqua era nera. Piena di fango. Non potevo consentire a quel fango misto ad acqua di arrivare in Puglia. Feci in modo che lo scarico dell’acqua avvenisse in località Ficocchia presso lo Scalo di Calitri, a 12 km di distanza, a fine galleria del Canale Principale con immissione nell’Ofanto. Quando mi accorsi che l’idrometro saliva velocemente, pensai al rischio che stavamo per correre. Dovevo intervenire per bloccare che si imbottasse la galleria: l’acqua sarebbe tornata indietro e avrebbe premuto sulla bocca delle sorgenti. Aprii lo scarico del Sele da dove parte il minimo deflusso vitale per il fiume e alleggerii lo scorrere dell’acqua destinata al Canale Principale: 20 giri molto lenti di manovella. Venti giorni ininterrottamente vissuti nell’impianto, anche con altri colleghi, senza abbandonare mai la sorgente. Con i miei familiari abbiamo vissuto due mesi in macchina nel piazzale dell’Acquedotto, finchè non ho ricevuto la roulotte. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto con orgoglio. Sono orgoglioso di aver ricevuto tre encomi. Sono intervenuto sempre, pur sapendo che eravamo solo a 6-7 km dall’epicentro del terremoto”. Con un sorriso, contento di essere stato ancora una volta intervistato, Gerardo Di Trolio, mi saluta e mi dà appuntamento a Caposele.
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23 NOVEMBRE 1980: LA DATA DI UNA CATASTROFE. IL TERREMOTO DELL’IRPINIA
Caposele è proprio nell’epicentro. Sono qui le sorgenti di Acquedotto Pugliese. Da qui parte il Canale Principale. La Galleria Pavoncelli è stravolta in moltissimi punti. In alcune parti si fa fatica a stare in piedi, ad attraversarla. Foto drammatiche lo documentano. Prontamente furono organizzati lavori immediati per non far mancare acqua alla popolazione pugliese. Il paese crollò: distrutto al 60%. Morirono 62 cittadini. Lutti e distruzioni, ovunque. Un paese, un territorio non più riconoscibile. Immediatamente scattò una luminosa solidarietà. Gli acquedottisti accorsero con generosità unica. Si mobilitarono con abnegazione persone e associazioni. Da ogni parte del mondo. C’è stata rinascita e ricostruzione. La nostra è memoria e gratitudine.
23 NOVEMBRE 1980: IL TERREMOTO A CAPOSELE
……… Poi, venne quella triste sera… La luna splendeva nel cielo furibonda, sembrava impazzita, presaga, quasi voleva avvertire che, dopo poco, ci sarebbe stata la catastrofe; con la sua luce chiara dava essa alle cose un aspetto inconsueto e suggestivo. E tutti noi, ignari, avvertimmo un’insolita tranquillità. La luce della luna divenne quasi vermiglia. La terra tremò per quasi 90 secondi. Subito dopo tutte le cose biancheggiavano come una sola, unica selva informe, perdute in un vapore di polvere, avvolte in una immaterialità inesprimibile, in un chiarore agghiacciante che si fermava ai confini del paese senza poter fendere l’oscurità: e gli alberi sembrava rameggiassero in un’altra atmosfera o in un’acqua cupa, in un fondo marino simili a vegetazioni oceaniche. Tutto apparve come una composizione di straordinaria potenza fantastica, una danza di scheletri nel cielo notturno, guidata dalla morte flagellatrice. Ora, sulla faccia impudica della luna correva una nuvola nera, mostruosa. Intorno a noi l’attitudine al terremoto, tetro corifeo del momento, si esprimeva con un’indicibile vitalità nella realtà spirante, mai raggiunto da altro artefice di morte. E fummo invasi da angosciosa impotenza; in ginocchio, increduli, come avvolti nelle spire di un sogno cattivo. La realtà, non fu più realtà.
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LA NON FU PIÙ
REALTÀ
Camminammo sui morti sparsi nelle vie, in croce sulle macerie, affiorati dai sassi e avvolti nella polvere, schiacciati nelle automobili. Fummo soli, freddi, arsi, in cerca di pietà, della nostra pietà, di noi stessi. Mi chiedo se a distanza di nove mesi ci siamo ritrovati. In parte sì. Ma vi è ancora tanto cammino da fare. E la strada da percorrere è in salita… Noi dovremo percorrerla con i più piccoli sulle spalle: a loro non dovremo lasciare l’eredità di questo terribile evento. Dio ci darà la forza di superare gli ostacoli e, sia pure non in tempi brevi, riavremo la nostra Caposele bella e ridente come prima, consapevoli che la vita vince la morte, che l’amore vince l’odio, che la bontà vince la cattiveria. E già sono evidenti i segni: intorno all’amata terra è l’azzurro metallico dei suoi monti, l’occhio vigile e protettore del Santo della collina; vicino è il cuore dei caposelesi, un cuore i cui palpiti sono di ansia sincera per la rinascita e la ricostruzione.
Chi più e meglio di lui poteva parlare del terremoto, raccontare di QUELLA TRISTE SERA? Un maestro elementare, amabile e molto amato: dai ragazzi, dai suoi alunni, dalla gente di Caposele. Poetico, accorato, sofferente, carico di fiducia e di speranza. Con figlio geologo. E’ deceduto nel 1988. Ora non c’è più il Maestro Vincenzo Malanga. E’ rimasto il suo dolore in questo articolo che noi abbiamo parzialmente preso dal periodico locale edito dalla Pro Loco. Da quella sera non lo ha mai abbandonato e ha voluto portarlo via con sé. Uno sguardo attonito a guardare tutt’intorno la distruzione opera della natura e la pochezza dell’uomo che si sente grande finchè anche un invisibile virus non lo colpisce. Tanti di noi ricordano quella sera e quei giorni di soccorsi, di aiuti, di interventi frenetici di solidarietà a piene mani. Il Natale alle porte acuì quello strazio, quella sofferenza, quella lunga catena di morti che antiche case determinarono crollando. Acquedotto Pugliese ha visto squassate le sue sorgenti, il Canale Principale. Dalle foto vediamo in piedi il campanile senza la Chiesa della Madonna della Salute e l’edificio che si trova all’ingresso della Galleria Camillo Rosalba, oggi sede della Stazione Comando dei Carabinieri.
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di Vincenzo Malanga –CAPOSELE: ricordi e pensieri da La Sorgente n. 23 . Volume 2 – Anno 1981
DIALOGO
23 NOVEMBRE 1980 - 23 NOVEMBRE 2020
UN BILANCIO LUNGO QUARANT’ANNI LE RIFLESSIONI DEL SINDACO DI CAPOSELE
LORENZO MELILLO
All’epoca del sisma ero soltanto un bambino di pochi anni e quello che conosco di quella tragica notte è una variegata narrazione dei miei familiari o conoscenti: un puzzle di emozioni, episodi, aneddoti che ogni volta mi hanno riportato alla composizione di un quadro sicuramente tragico, ma che trasuda umanità e solidarietà di quell’evento che ha stravolto l’assetto materiale e sociale della comunità di Caposele, di cui sono sindaco da due anni e mezzo. Una cara amica, all’epoca quindicenne, mi ha sempre narrato ciò che apparve ai suoi occhi, quando, miracolosamente scampata con i suoi genitori al crollo della sua abitazione nel centro storico del paese, camminando sulle macerie, riuscì finalmente a varcare la soglia di quello che restava della sua casa e arrivare all’aperto. Nel centro storico del paese, Piazza Francesco Tedesco appariva spettrale e surreale. L’enormità delle macerie avevano completamente stravolto l’aspetto della piazza e una luna enorme e beffarda di verghiana memoria, si liquefaceva in una luce fredda e sinistra. Era la fine di un’epoca, di un piccolo mondo fatto di giochi per strada, di serate passate a chiacchierare sui gradini delle case, di instancabili passeggiate, di corse in bicicletta, del profumo del pane che arrivava dal forno poco lontano. Il silenzio innaturale era uno stridente e assordante lamento di morte. Un altro episodio simbolico e significativo è quello narratomi da mio zio, avvocato Antonio Corona, che all’epoca era il Sindaco di Caposele. Dopo una notte trascorsa nell’organizzare i soccorsi e provvedere al ricovero degli sfollati, nonostante il dolore per la tragedia personale che vedeva vittime una giovane cognata e tre nipotini, all’alba del giorno dopo si recò personalmente ad Avellino in Prefettura per ricordare alle Istituzioni che Caposele era stato colpito gravemente dal sisma, ed occorreva aiuto. Dovete sapere che quell’azione fu necessaria in quanto Caposele all’epoca non appariva sulle carte geografiche perché, custodendo le Sorgenti del Sele, cuore pulsante dell’Acquedotto Pugliese, era considerato
“CROLLÒ TUTTO, TRANNE IL NOSTRO ANIMO DI SOCCORRITORI SENZA AIUTI”
La commossa partecipazione del Presidente della Repubblica Sandro Pertini
obiettivo sensibile. Quello che fu dopo è storia nota: l’entità drammatica del sisma non venne valutata subito dato che l’interruzione totale delle telecomunicazioni aveva impedito di lanciare l’allarme. Soltanto a notte inoltrata si cominciò a evidenziarne la più vasta entità. Da una prospezione effettuata nella mattinata del 24 novembre tramite un elicottero, vennero rilevate le reali dimensioni del disastro. Purtroppo il ritardo nei soccorsi fu fatale a quanti erano rimasti intrappolati sotto le macerie. Crollò tutto, tranne l’animo di chi, in quei tragici giorni si rimboccò le maniche per scavare, cercando di strappare alla morte anche una sola persona. In attesa dei soccorsi ci fu una gara di solidarietà tra le persone comuni e i gestori degli esercizi commerciali: chiunque aveva salvato qualcosa lo mise a disposizione del suo prossimo. Mi è stato raccontato che furono costruite addirittura bare di fortuna per ricoverare dignitosamente i morti che a mano a mano affioravano dalle macerie grazie all’intervento dei giovani Caposelesi che generosamente trascorsero la notte a scavare tra le macerie. Mio padre Giuseppe, conosciuto e chiamato da tutti Peppino, medico sanitario, a partire da quella notte non esitò a mettersi a disposizione della popolazione, sistemando in seguito il suo ambulatorio in piazza Sanità in un container di fortuna. In quella occasione, non si allontanò da Caposele come fecero in molti, e antepose all’interesse personale e della sua famiglia, il bene della comunità. E con gli stessi intenti ha operato negli anni a venire in veste di Sindaco di Caposele, fino al sopraggiungere della sua morte prematura. Il suo operato di padre, medico ed amministratore onesto e generoso sono i valori che hanno sotteso alla mia educazione, formazione e alle mie scelte politiche. Ho parlato spesso di generosità: il comune denominatore della mia gente, che ha scandito e scandisce le relazioni di una comunità che dopo il sisma ha dovuto ricostruire oltre all’assetto urbano anche l’assetto sociale. Gli anni del dopo terremoto non furono anni facili: le scelte da
fare per il benessere della popolazione, la ricostruzione, la messa in sicurezza degli edifici, le prospettive economiche da valutare. Un’intera generazione di uomini e donne è cresciuta in bilico tra passato e futuro: il passato nostalgico di ciò che più non era ed un futuro che avrebbe dovuto riscattare quanto perso o negato. Eppure, a pensarci, dal punto di vista sociale e culturale, Caposele ha sempre cercato la sua dimensione, pur nelle difficili condizioni di vita di quegli anni. La scuola è stata un importante riferimento formativo ed è stata il volano per tanti di noi che hanno proseguito gli studi fuori, raggiungendo ambìti traguardi professionali. Quello che ha arricchito la nostra generazione è stato anche lo scambio dialettico e politico vissuto come crescita e confronto. Caposele non ha mai temuto la decadenza o l’abbandono da parte dei suoi nativi, che pur lontani geograficamente amano tornare a popolare le strade del centro nei periodi festivi. Oggi si assiste al ritorno alle origini di tanti giovani che hanno riscoperto la bellezza della terra dei loro padri, la cura per i luoghi natii e il desiderio di mostrarlo agli altri. Infatti, considerata
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l’amenità del territorio, la peculiarità nascente dalla privilegiata posizione geografica, l’esistenza del prestigioso Santuario di san Gerardo Maiella, la meravigliosa presenza delle sorgenti del Sele che alimentano l’Acquedotto Pugliese, sono tutti elementi che candidano Caposele ad una spiccata vocazione al turismo; la particolare ricchezza naturalistica, la varietà enogastronomica, le strutture ricettive e di accoglienza, le vestigia storiche sono soltanto alcuni degli aspetti che potrebbero diventare motivo di attrazione e di interesse. Purtroppo, il particolare momento storico che stiamo vivendo, ha imposto delle forzate battute di arresto ad un processo di riqualificazione e valorizzazione del territorio urbano ed extraurbano, rallentando, inoltre, quei progetti di implementazione economica e sociale già di fatto in atto. Ma lo spirito di intraprendenza, la laboriosità e la positività che caratterizza la mia gente, le risorse naturalistiche e territoriali di Caposele sapranno sicuramente traghettarci verso nuove Rinnovata solidarietà e collaborazione tra ed inimmaginabili prospettive che Caposele e AQP. vedranno nuovamente il mio paese L’incontro del Sindaco Lorenzo Melillo con il Presidente Simeone di Cagno Abbrescia territorio di riferimento di tutta l’Alta Irpinia e non solo.
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ACQUA: “SACRALITÀ” DI UN BENE
ERANO ALTRI TEMPI, MA IL FABBISOGNO DI ACQUA NELLE CITTÀ ROMANE ERA MOLTO GRANDE
L’acqua è vita e da sempre, a partire dalla nascita delle prime civiltà agricole e urbane, ha rappresentato una fondamentale risorsa per l’uomo. Non c’è civiltà che sia nata in assenza di un corso d’acqua o senza uno sbocco sul mare. In Mesopotamia il Tigri e l’Eufrate, in Egitto il Nilo, l’Indo in India, il Fiume Giallo in Cina, il mare per i Fenici e i Greci, il Tevere per gli antichi Romani, la storia dell’umanità è progredita grazie alle opere di canalizzazione, regolamentazione e differenziazione dell’uso delle acque fluviali e delle sorgenti. Certamente quelle civiltà non conobbero il problema dell’emergenza idrica. In un mondo con una popolazione ridotta rispetto alle cifre odierne, senza i problemi climatici attuali, sebbene le risorse idriche fossero distribuite in modo non omogeneo, l’approvvigionamento dell’acqua non rappresentava un problema per l’uomo. Non che l’umanità non abbia affrontato problemi e flagelli, anzi, in ogni epoca gli individui hanno dovuto fare i conti con situazioni di emergenza diverse. Ognuno con le loro… Noi oggi fronteggiamo, tra tante difficoltà, l’emergenza idrica, a livello sia globale che locale. Circa un miliardo di persone non ha attualmente a disposizione una sufficiente quantità di acqua pulita e quasi il 40 % degli abitanti del pianeta non può disporre di servizi igienici adeguati. Si prevede che la cifra salga a tre miliardi. Perché manca l’acqua? Quasi la metà dell’acqua viene sprecata a causa di perdite del sistema di distribuzione; a ciò bisogna aggiungere il drammatico problema dell’inquinamento, per non considerare il fattore climatico: piove poco e in montagna non nevica. Questi fattori vanno poi incrociati con la disponibilità di acqua dolce nel mondo, disponibilità che varia da zona a zona. Facciamo, quindi, sempre più i conti con la siccità. Anche per l’Italia la situazione è difficile. I report settimanali dell’Osservatorio ANBI sullo Stato delle risorse idriche segnalano la crisi idrica della penisola: mancano già 73 milioni di metri cubi d’acqua rispetto allo scorso anno. Le stagioni e le attività climatiche incidono sulla produzione di acqua: le riserve dell’Acquedotto Pugliese sono ridotte della portata del 50%. In assenza di significative precipitazioni, dopo Puglia e Basilicata è la Campania a segnalare un preoccupante deficit di acqua, determinato dall’andamento a “macchia di leopardo” degli eventi meteo. La crisi climatica accentua le necessità irrigue dell’agricoltura e non solo; l’Europa chiede un maggiore utilizzo delle acque reflue entro il 2024, utilizzo che, per il momento, solo in Emilia Romagna è diventato una buona pratica. D’altro canto gli italiani, terzi consumatori al mondo di acqua in bottiglia (nonostante l’acqua potabile nel nostro paese costi la metà di quanto mediamente costa in Europa), determinano, con questa preferenza, conseguenze ambientali molto pesanti: inquinamento legato ai trasporti, aumento nella
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di SAMANTA LEILA MACCHIAROLA (*)
produzione di rifiuti e maggiore utilizzo di prodotti petroliferi… E mentre da più parti giunge l’invito a non dare per scontate le attuali disponibilità d’acqua, ad assumere comportamenti che ne riducano lo spreco e a trovare soluzioni per una gestione integrata della risorsa idrica, noi utenti, presi dalla nostra routine giornaliera, dimentichiamo quanto lavoro ci sia dietro alcuni semplici e quotidiani gesti come aprire il rubinetto dell’acqua, tirare lo sciacquone, mettere in moto la lavatrice, far partire la lavastoviglie… L’Acquedotto Pugliese da oltre cento anni distribuisce nelle case del Tacco d’Italia acqua buona e pulita, valorizzando e tutelando la risorsa idrica con un impegno che, con la debita distanza temporale, ricorda la competenza e l’abilità degli antichi romani di costruire acquedotti e portare l’acqua in tutte le località importanti dell’impero. “Certo, erano altri tempi, ma il fabbisogno di acqua nelle città romane era molto grande” Basta pensare che Roma, in età imperiale, ne usava un milione di metri cubi al giorno, ricavandola da quattordici impianti di rifornimento attraverso una rete di acquedotti stimata tra i 790 e gli 800 km. Sfruttando il declivio dei suoi colli , la maggior parte degli acquedotti entrava in Roma dalla parte più alta della città. Poi, procedeva, attraverso condutture in pendenza e percorsi non sempre regolari, sfruttando l’andamento naturale del terreno. Per garantirne la purezza, l’acqua passava attraverso canali coperti, gallerie e anche ponti. La necessità di mantenere gli acquedotti sempre allo stesso livello impose la costruzione di quelle lunghe serie di archi che è ancora possibile vedere non solo, oggi, nella campagna romana, ma, un tempo, in tutto l’impero. A Roma, l’impianto più antico fu costruito nel 312 a. C. dal console Appio Claudio Cieco: prese il nome di Aqua Appia, dal nome del suo promotore. La scelta della sorgente o del corso d’acqua da cui attingere era, anche per i romani, fondamentale per la realizzazione di un acquedotto, scelta che doveva tener conto non solo della qualità dell’acqua, ma anche della quantità e regolarità del flusso. La pendenza faceva, poi, tutto il resto. L’Anio Vetus (o “Aniene vecchio”) fu il secondo acquedotto costruito per l’approvvigionamento idrico della città. In seguito ne furono costruiti altri: l’Aqua Marcia, l’Aqua Tepula, l’Aqua Iulia, l’Aqua Virgo sulla via Flaminia, sospeso su archi dal Pincio al Pantheon, l’Aqua Claudia sulle vie Prenestina e Labicana, fino ad un numero di undici, per quanto riguarda Roma antica. Frontino, politico, funzionario e scrittore romano (40ca- 103/104 d. C.), curator aquarum (sovrintendente agli acquedotti dell’Urbs) sotto gli imperatori Nerva e Traino e fonte principale per gli acquedotti di Roma antica, ci fornisce descrizioni dettagliate di tali costruzioni, vero e proprio vanto dell’ingegneria civile dell’epoca. Nel De aquaeductu urbis Romae (“L’acquedotto della città di Roma”), con la serietà e lo scrupolo del suo impegno, ci tramanda notizie storiche, tecniche, amministrativo-legislative, topografiche sui nove acquedotti dell’epoca, paragonandoli per imponenza e magnificenza alle piramidi e alle opere
architettoniche greche. Anche gli antichi romani si preoccupavano di evitare tutto ciò che potesse danneggiare la salute: Vitruvio (80 a.C. ca-dopo il 15 a.C. ca), famoso architetto e ingegnere dell’età di Cesare, metteva in guardia contro il pericolo rappresentato dal piombo nelle condutture, suggerendo l’uso di quelle d’argilla. E gli utenti? In città l’acqua era suddivisa in tre categorie d’uso: fontane pubbliche, edifici pubblici, utenti privati. Il consumo era accertato con meccanismi opportunamente regolati. Tra i maggiori consumatori di acqua vi erano le Terme, i bagni pubblici presenti in tutte le località importanti. Nella Roma imperiale questi edifici si distinguevano per la loro imponenza: le terme di Caracalla e quelle di Diocleziano accoglievano contemporaneamente fino a tremila persone! Per quanto riguarda i privati, sorprende noi moderni il fatto che nell’antica Roma non esistesse l’acqua corrente, prevista soltanto nei palazzi imperiali e nelle case di alcuni patrizi, i quali pagavano una tassa sull’acqua. Il resto della popolazione andava alle fontane pubbliche disseminate in più di mille lungo le vie urbane: dalle fontane attingeva l’acqua per bere, da usare in cucina e nelle botteghe. Ma il ciclo dell’acqua non si concludeva qui: dopo l’uso continuava a scorrere in condotte sotterranee in cui defluiva l’acqua usata e sporca. Questa, dopo essersi unita a quella piovana che ripuliva le strade, confluiva in grandi collettori, tra cui la famosa Cloaca Maxima che finiva nel Tevere. Nulla, considerando i tempi, sembra essere sfuggito agli ingegneri dell’antica Roma! La città ebbe, infatti, sempre a disposizione acque abbondanti e di ottima qualità, con grande giovamento dell’igiene e della salute pubblica; è qui che nacque la compartecipazione economica alle grandi opere pubbliche fra Stato e privati; tra tutte le civiltà antiche, Roma si distinse per l’importanza attribuita all’acqua come risorsa attraverso cui garantire civiltà, benessere e cura della persona. L’importanza che l’acqua ebbe ne determinò, addirittura, la sua divinizzazione. “Al di là dei miti, i romani intuirono, dunque, la “sacralità “di questo bene, sacralità che, oggi, noi tutti, donne e uomini del terzo millennio, abbiamo il dovere di tutelare, preservare e garantire anche per le generazioni future…” (*) - Samanta Leila Macchiarola Laurea in Lettere classiche e Laurea in Filosofia Docente di Latino e greco presso l’ISISS “Fiani-Leccisotti “ di Torremaggiore (Fg) Vicedirettore della testata www.scriptamoment.it
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La neve è acqua gelata Aiuto! Dall’Acqua è scomparsa la q Ma intanto, con quest’acua, dimmi tu che ci fai: non ci si può navigare, non ci si può fare il bucato, non fa girare le ruote dei mulini, le pale dei battellini. La cosa più lagrimabile è che l’acqua senza q non è potabile.
Gianni Rodari è nato a Omegna nel 1920. Quest’anno ricorrono i 100 anni dalla nascita. Dopo aver conseguito il diploma magistrale, per alcuni anni ha fatto l’insegnante. Al termine della Seconda guerra mondiale ha intrapreso la carriera giornalistica, che lo ha portato a collaborare con numerosi periodici. A partire dagli anni Cinquanta ha iniziato a pubblicare anche le sue opere per l’infanzia, che hanno ottenuto fin da subito un enorme successo di pubblico e di critica. I suoi libri hanno avuto innumerevoli traduzioni e hanno meritato diversi riconoscimenti, fra cui, nel 1970, il prestigioso premio «Hans Christian Andersen», considerato il «Nobel» della letteratura per l’infanzia.
IN CONDOTTA
N.1
SottACQUA
Anche l’acqua trasmette i suoni. E’ stato calcolato che nell’acqua la velocità di propagazione delle onde sonore è di 1480 m/s, mentre nell’aria è di 340 m/s. Il tipo di materiale e la sua temperatura condizionano la velocità con cui si trasmette il suono. Ad esempio nell’acqua più calda la velocità del suono aumenta perchè le molecole riscaldate entrano in agitazione termica e quindi si muovono più velocemente. Uno degli studi più interessanti sul suono dell’acqua e sul suo effetto benefico è quello del Feng-shui. I Giapponesi, che vivono a contatto con una natura umida, amano le sonorità dell’acqua e sono riusciti a riprodurne gli effetti all’interno delle loro case o nei giardini con un sistema di percussione affidato a cupole di ceramica e canne di bambù, che si riempiono di pioggia e la lasciano poi ricadere in un fruscio di suoni rilassanti.
Covid-19. Le attività di AQP
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i QUADERNI
MUSICA E ACQUA
N.1 PIETRO SCRIMIERI con la collaborazione di
FRANCESCO DERAMO
SONO NATI I QUADERNI DI AQP WATER ACADEMY
i QUADERNI
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Covid-19. Le attività di AQP
Febbraio - Settembre 2020
AQP WATER ACADEMY, il Centro di Eccellenza per il Servizio Idrico Integrato di Acquedotto Pugliese, guidato da Pietro Scrimieri, Direttore Risorse Umane e Organizzazione, ha dato vita al N.1 de “i QUADERNI”. Uno strumento con il quale intende documentare l’intenso cammino che l’Azienda compie sul versante della formazione e sul piano culturale, anche in collegamento con realtà scientifiche e scolastiche nazionali e del territorio. Un patrimonio di saperi, di conoscenze e di scambi di alto livello che è opportuno non dissipare, ma, se possibile, da raccogliere e condividere.
Nella sua presentazione il Presidente di Acquedotto Pugliese Simeone di Cagno Abbrescia, ha espresso il suo apprezzamento per l’iniziativa avviata. Essa consentirà la raccolta sistematica della documentazione delle molteplici attività di carattere culturale, formativo, scientifico, tecnico che AQP vive quotidianamente. “Una ricchezza di contenuti, di proposte, di ricerche. Patrimonio da non disperdere. Rendono AQP WATER ACADEMY dinamica e proattiva non solo a beneficio della nostra realtà aziendale, ma anche a vantaggio di tanti partner e operatori che spesso e con sistematicità, volentieri, si rapportano ad AQP.”
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SAPERE
Questo primo numero è dedicato alle complesse attività e alle iniziative di AQP poste in essere per la gestione del Covid-19, nella 1^ Fase (febbraiosettembre 2020). Tanti i contributi documentati, tutti degni di menzione, fra cui le interviste alla Dott.ssa Isabella Covili Fagioli, Presidente Nazionale Associazione Direttori del Personale e al Prof. Eugenio Di Sciascio, già Rettore del Politecnico di Bari e Vice Sindaco della Città di Bari.
Parole come g cce
IL DANZATORE DELL’ACQUA Ta-Nehisi Coates
Autore: Ta-Nehisi Coates Editore: Einaudi Pagine: 407 Euro: 19,95 Conosciuto in America e nel mondo soprattutto per i suoi scritti autobiografici sul razzismo di sistema, e recentemente anche per alcuni episodi del fumetto Marvel Black Panther, Ta-Nehisi Coates è considerato uno degli intellettuali pubblici più importanti degli Stati Uniti.
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Con Il danzatore dell’acqua, e attraverso lo straordinario protagonista Hiram Walker, l’autore ha dato vita a «un grande romanzo popolare sulla storia degli schiavi neri che è anche un romanzo di formazione, a metà fra Radici di Alex Haley e l’affabulazione accostante e memoriale di Fra me e il mondo con cui Coates aveva vinto nel 2015 il National Book Award for non Fiction» (Alessandra Sarchi, «la Lettura – Corriere della Sera»).
Nella piantagione di Lockless vive Hiram Walker: ha diciannove anni ed è nato schiavo, ma possiede qualcosa che lo rende unico. Il padre di Hiram è il proprietario della piantagione: come spesso accadeva all’epoca, ha messo incinta una schiava e l’ha poi venduta quando Hiram era solo un bambino. Della madre Hiram non ricorda niente, nonostante la memoria portentosa che, insieme alla sua intelligenza, gli ha permesso di lavorare a stretto contatto con i bianchi. Un giorno, quando Hiram ha diciannove anni, succede qualcosa di inspiegabile: gettato nelle acque tormentose di un fiume, il giovane scopre di possedere un misterioso potere. Un potere, una visione che si trasformerà in una missione, per sé e per tutto il suo popolo. La storia della sua fuga dalla piantagione e di come imparerà a controllare la «Conduzione» è la storia della sua presa di coscienza, individuale e collettiva. È la storia di un riscatto e di un amore: perché è la storia di una rivolta.
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La Voce dell’Acqua Direttore Responsabile - Vito Palumbo
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