La natura ama nascondersi

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La natura ama nascondersi FILIPPO LEONARDI



La natura ama nascondersi FILIPPO LEONARDI


LA NATURA AMA NASCONDERSI Filippo Leonardi

Catalogo a cura di/Catalogue curated by Claudio Cravero e/and Filippo Leonardi Testi/Texts Tiziana Ciampolini Claudio Cravero Gianluca Lombardo Traduzioni/Translations Frances Cooper Grafica e impaginazione/Layout and graphic Claudio Cocuzza + ADD DESIGN / www.addd.it Crediti fotografici/Photo credits Salvatore Gozzo Antonio Rabbiolo Pubblicato in occasione della mostra/Published for the exhibition FREEVOLO Galleria Collicaligreggi, Catania (I) 21 aprile/16 giugno, 2012 April 21/June 16, 2012 Stampato in Italia/Printed in Italy 2012 In copertina/Cover by Filippo Leonardi, Colombofili e colombaie, 2012 ph. Filippo Leonardi

Un ringraziamento speciale a/a special thanks to Paolo Brodbeck e Salvo Mirabile


La natura ama nascondersi FILIPPO LEONARDI


Rosa (Rose), 2009, veduta dell’installazione presso Casa Aschauer, Vienna/installation view at Aschauer House, Wien.


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Freevole questioni di vita e di morte: un’introduzione laterale Tiziana Ciampolini C’è un eroe che, pur non ignorando la sua nascita, si imbatte nel racconto della sua storia. Si tratta di Ulisse. In una delle scene più belle dell’Odissea, Ulisse siede come ospite alla corte dei Feaci. Un aedo cieco intrattiene col suo canto i suoi convitati. Egli canta gesta di eroi, una storia la cui fama giungeva allora al cielo infinito. Canta della guerra di Troia, narra di Ulisse, delle sue imprese. E Ulisse nascondendosi il volto nel gran mantello purpureo, piange. “Non aveva mai pianto prima”, commenta Hannah Arendt, certo “non quando i fatti che ora sente narrare erano realmente accaduti. Soltanto ascoltando il racconto egli acquista pieno nozione del suo significato”1. Filippo Leonardi è incastonato nella sua terra, ha uno studio con tre pareti di mattoni e una di vetro che riverbera lo sguardo del vulcano che custodisce Catania e sacralizza la Sicilia, terra che ha avuto la sorte di ritrovarsi a far da cerniera nei secoli fra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, tra la ragione e la magia, le temperie del sentimento e le canicole della passione2. Filippo Leonardi maneggia il reale, nei suoi aspetti quotidiani e culturali, con il braccio di un abile e raffinato artigiano, la perspicacia di un artista e la passione di un innovatore che sposta sempre un po’ più in là i paletti, scompigliando ordini, sovvertendo regole, scardinando certezze, inchiodando luoghi comuni, sottraendo per far emergere forme, intrecciando opposti per costruire armonie. Filippo Leonardi è “no logo”, egli stesso ama definirsi “sconosciuto artista meridionale”, smarcandosi dalle etichette e producendo lavori in cui si astiene dall’interpretazione, dice Gianluca Lombardo, ponendosi come autentico osservatore silenzioso, sostiene Claudio Cravero. No logo(s) è il suo lavoro che lascia senza parole e banalizza le concettualizzazioni, che sembra non portare in dono le argomentazioni razionali, abbattendo quel logos su cui l’uomo ha costruito la sua superiorità sugli altri viventi per aprire le porte di un altro logos, quello dell’immaginario. Questo catalogo è un gioco di sguardi: racconta un artista attraverso gli occhi di un altro artista, Gianluca Lombardo – che dipinge in modo emozionato e vibrante il protagonista di questa storia – e attraverso lo sguardo amorevole e analitico di chi si prende cura dell’arte e dei suoi artisti, quello di Claudio Cravero. L’Ulisse di questa storia si nasconde sotto un famoso e complesso frammento di Eraclito per esprimere il suo punto di vista sulla vita e sull’arte che produce: la natura ama nascondersi, frammento su cui molti filosofi hanno riflettuto, su cui si sono spese molte interpretazioni3. È riduttivo tradurre physis con natura, perché secondo i Greci essa era la totalità delle cose non fatte dagli uomini, né create da un fattore divino ma venute all’essere da sé medesime. Solo il venire all’essere delle cose, ciò che si cela alle apparenze, ciò che desta stupore ammirato, può originare il dialogo del 1 Adriana Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 24 2 Gesualdo Bufalino, Cere Perse, Sellerio, Palermo, 1985, p. 25. 3 Eraclito, , fr. 116 = DK, 22 B 123

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Vavaluci, 2001, foto da set/photo from shooting.

pensiero con la realtà. Questo frammento, come il lavoro di Leonardi, sembra uscito dall’oracolo di Delphi, il dio dei poeti che non dice né nasconde ma indica, vale a dire accenna ambiguamente a qualcosa che può essere inteso solo da coloro che sanno comprendere e interpretare semplici cenni. Il venire all’essere conduce al pensiero del nascere, al fare la propria comparsa nel mondo, al dare inizio ad una vita, al mettere in moto un destino intrecciando la propria storia con quella degli altri uomini che sono stati e che saranno, in un mondo preesistente alla propria nascita e che sopravvivrà alla propria morte. Secondo Hannah Arendt4, l’essere non è se non essere nel mondo, dove l’apparenza e la physis sono gli strumenti per ripensare il rapporto tra sé e il mondo, proprio a partire dalla categoria della nascita. Non è casuale che Filippo Leonardi abbia chiesto a me che mi occupo di generatività sociale e non di arte contemporanea, di comporre a mo’ di introduzione, una narrazione d’insieme del suo primo catalogo: il mio è stato un lavoro di intreccio dei fili, delle parole, delle emozioni, dei concetti proposti dagli altri occhi esperti, per realizzare un tessuto capace di parlare nei suoi diritti e nei suoi rovesci, per dare valore ad un prodotto che “mette in mostra” e che racconta un artista che non è esordiente ma che si dimostra capace – accettando di farsi raccontare da altri – di nascere ancora. Leonardi fa un passo avanti, insolito per lui che sempre si sottrae allo sguardo: disvela la sua vulnerabilità e la sua potenziale generatività, accetta di essere raccontato, visto, dispiegato, colto in un’essenza che sussurra che l’arte può non solo emozionare i suoi estimatori ma può mettersi al lavoro per rigenerare questo tempo per farlo nascere un’altra volta. Leonardi si mette sulla soglia e ci indica che in questo tempo rivoluzionario, che ci 4

Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano, 1989

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vede funamboli tra un precipizio e un approdo, abbiamo l’opportunità di sentirci esordienti perché per tutti noi è un momento cruciale: uno spazio e un tempo in cui nulla è come prima, tutto può accadere. Mantenere l’equilibrio, trattenere il respiro, non fare passi falsi per non precipitare nel vuoto. Occorre sostare sulla soglia per osservare cosa c’è dentro e cosa c’è fuori, assumere uno sguardo laterale per poi fare quel passo che serve per andare oltre, per raggiungere un nuovo tempo e un nuovo spazio, un nuovo modo di stare al mondo. Oggi non è più solo tempo di creare ma è tempo di generare l’ulteriore. Cosa serve creare se poi non si tiene in vita? Questo vale, a tutto tondo, sulle cose che ci riguardano e su questa partita l’arte e in particolare l’arte contemporanea può giocare un ruolo da attaccante nella squadra che ridisegna il domani attraverso una prospettiva promettente. Ma all’arte interessa uscire dai propri anfratti, dai propri nascondigli, dal proprio logos? Generare è qualcosa di più e di diverso dal creare: creare è mettere al mondo, generare è la responsabilità di continuare a far pulsare di vita. La generatività non può essere che mettersi in dialogo con gli altri e con il mondo circostante. La generatività non è espressione di pura soggettività individuale ma è uno sguardo situato nella storia, nella tradizione, nella cultura, capace di accrescere la realtà stessa. La generatività crea un surplus di buono, vero, giusto ed è uno sguardo libero dalla strumentalità. La generatività tiene aperti e vivi i passaggi tra le dimensioni del tempo, vive della durata: è avvento più che evento. Esprime uno sguardo di attenzione per il contesto, tiene conto del passato e del futuro, oltre che del contemporaneo. Filippo Leonardi esprime il suo “essere nel mondo” raccontandoci un’arte, la sua, che non è senza il suo contesto e la sua storia, mostra una relazione appassionata per il mondo che è contemporaneamente erotico, filiale e sponsale: fa l’amore con la realtà generando nuova realtà attraverso l’arte. Nel mondo sociale ed economico – tutti aspetti essenziali del nostro essere in relazione con il mondo – c’è carestia di creatività, arsura di pensiero fecondo, vero autentico, essenziale: ecco, qui, potrebbe entrare in scena l’arte e il pensiero di cui essa è portatrice, andando oltre il mercato, assumendosi la responsabilità di mostrare come si possa essere artefici di azioni e di pensieri – opere della nostra arte di essere umani – sovversive e incarnate, necessarie al mondo per fare un passo avanti, dentro la vita.

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Frivolous questions (flights of fancy) of life and death: a lateral introduction Tiziana Ciampolini There is a hero who, though not ignorant of his birth, comes across the telling of his history. This is Ulysses. In one of the most moving scenes of the Odysseus, Ulysses sits down as a guest at the Court of the Phaeacians. A blind bard entertains the company with song. He sings of heroic deeds, a story whose fame had then reached the infinite heavens. He sings of the War of Troy, tells of Ulysses, of his exploits. And Ulysses hides his face in his huge purple cloak and weeps. “He had never cried before”, comments Hannah Arendt, certainly “not when the facts he now hears tell of actually happened. Only listening to the tale does he gain a full understanding of its significance”.1 Filippo Leonardi is embedded in his land. He has a studio with three walls of brick and one of glass, reflecting the stare of the volcano that stands guard over Catania and sacralises Sicily, a land that has, over the centuries, been destined to act as a bridge between the great Western culture and the temptations of the desert and the sun, between reason and magic, between the mild clime of sentiment and the dog-days of passion.2 Filippo Leonardi deals with the real, in its day-to-day and cultural aspects, with the sure hand of a clever craftsman, the perspicacity of an artist, and the passion of an innovator, who continually moves the goalposts a little further. He upsets order, overturns rules, unhinges certainties, pinning down commonplaces, subtracting so that forms can emerge, weaving opposites so as to construct harmony. Filippo Leonardi is “no logo”: he likes to call himself an “unknown Southern-Italian artist”, (un)branding himself, rejecting labels and producing works in which, as Gianluca Lombardo says, he abstains from interpretation, placing himself as an authentic silent observer, in Claudio Cravero’s words. His work No logo(s) leaves the viewer wordless, and makes any conceptualisation banal; it does not bring the gift of rational argument, demolishing that logos on which man has built his superiority over other living beings, and opening the way to another logos, that of the imaginary. This catalogue is a blend of different viewpoints: it describes an artist through the eyes of another artist, Gianluca Lombardo – who paints the protagonist of this story in emotional and vibrant terms – and through the fond but analytical eyes of one who “cares” with minding art and the artists: Claudio Cravero. The Ulysses of this story hides behind a famous and complex fragment of Heraclitus, through which he expresses his viewpoint on life and on the art he produces: nature loves hiding. This is a fragment on which many philosophers have reflected, and one for which many interpretations have been put forth.3 It would be reductive to translate physis as nature, because for the Greeks the word expressed the totality 1 Adriana Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 24 2 Gesualdo Bufalino, Cere Perse, Sellerio, Palermo, 1985, p. 25. 3 Heraclitus, , fr. 116 = DK, 22 B 123

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of things not made by man, nor created by a divine maker, but that had come into being of themselves. Only through this coming into being of things, can that which is apparently concealed, that which arouses amazement, originate the dialogue of thought with realty. This fragment, like Leonardi’s work, would seem to have come from the Oracle at Delphi, from the god of poets who neither says nor conceals, but indicates, that is to say hints ambiguously at something that may only be understood by whoever can understand and interpret mere hints. Coming into being leads to the thought of being born, of making one’s appearance in the world, of starting a life, of beginning a destiny: of interweaving one’s own story with that of other men who have been and will be, in a world pre-existing one’s birth and that will survive one’s death. According to Hannah Arendt,4 being is not except being in the world, where appearance and physis are the tools with which to rethink the relationship between self and the world, starting from the category of birth. It is not by chance that Filippo Leonardi asked me - one who deals with social generativity and not with contemporary art - to write as an introduction a narration, an overview of his first catalogue. This has involved interweaving the threads, the words, emotions, and concepts developed through other expert eyes, and creating a fabric that can speak with its lights and darks. I have attempted to enhance a product that “exhibits” and narrates an artist who, though not making his debut, has shown himself capable – by allowing others to tell his story – of being born again. Leonardi takes a step forward, unusually for one who tends to stay in the background: he unveils his vulnerability and his potential generativity, allows himself to be recounted, seen, unfolded, grasped, in an essence that whispers that not only can art arouse emotions in its audience, it can also work to regenerate this time, so that it can be born again. Leonardi stands on the threshold and indicates to us that in these revolutionary times, in which we are like tight-rope walkers suspended between a precipice and safety, we have the opportunity to make another debut, because for all of us it is a crucial moment: a space and a time in which nothing is like it was before, when anything can happen. To keep our balance, to hold our breath, to take no false steps, so as not to fall into the void. We must stand on the threshold to see what is inside and what is outside, we must take a lateral viewpoint, so as to take the step needed to go beyond, to reach a new time and a new space, a new way of being in the world. Today, no longer is it time simply to create: it is time to generate what lies beyond. What point is there in creating if you do not keep the creation alive? This holds, in all respects, about the things that concern us; and in this connection art, and in particular contemporary art, can play an attacking role in the team that redesigns tomorrow, through a promising perspective. But is art interested in coming out of its niche, in leaving its hiding-places, its logos? To generate is something more and something different from creating: to create is to bring into the world, to generate implies the responsibility of continuing to make something pulsate with life. Generativity can only mean entering into dialogue with others and with the world around us. Generativity is not the expression of pure 4

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Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano, 1989


individual subjectivity; it is a viewpoint rooted in history, in tradition, in culture; it is capable of making reality itself grow. Generativity creates a surplus of the good, the true, the just, and it is a viewpoint that is without instrumentality. Generativity holds open and keeps alive the passageways among the dimensions of time, it lives for the duration: it is more advent than event. It expresses a careful look at the context; it takes into account the past and the future, as well as the contemporary. Filippo Leonardi expresses his “being in the world” by telling us about an art, his art, that is not without its context and its history. He shows a passionate relation with a world that, at one and the same time, is erotic, filial and nuptial: he makes love with reality, generating a new reality through art. In the social and economic world – all essential aspects of our being in relation with the world – there is a drought of creativity, a dearth of fertile thought that is true, authentic, essential. And it is here that art, and the thought that art carries, might come onto the scene, going beyond the market, taking responsibility for showing us how we can be the architects of action and thought – works of our art of being human – subversive and incarnate, necessary so that the world can take a step forward, inside life.

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Brixen (pp.12-13; 15), 2002, operazione installativa/installation-operation: n. 5 casse di legno, n. 5 banner pubblicitari, 8000 mele golden, 8000 etichette; casse/five wooden cases, five advertising banners, 8000 Golden Delicious apples, 8000 labels; cases: cm 120x120x80 cad./each – banner: cm 89x120; dettagli e vedute dell’operazione e dell’installazione/details and view of operation and of installation, Bressanone. Messa a punto in occasione dell’Altstadtfest della città altoatesina, 8000 mele vengono distribuite al pubblico. Su ogni frutto è presente il marchio “sconosciuto artista meridionale”/ On the occasion of the Alto Adige town’s Altstadtfest, 8000 apples were distributed to the general public. Each fruit bore the label “unknown Southern-Italian artist”. 14


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Inesattezza-Case (pp. 16; 18-19), 2003, installazione/installation: cioccolato in tavolette, fari sagomatori, PVC/chocolate bars, outlining spotlights, PVC; veduta dell’installazione presso/ view of the installation at Villa Schneider, Biella. Composta da tre interventi (Case, Sveglie e Croce), l’installazione è una riflessione sull’immaginario collettivo in riferimento alle tradizioni culturali del nord (Svizzera) e del sud (Sicilia), enfatizzandone i paradossi e le differenze/Comprising three interventions (Case, Sveglie e Croce - Houses, Alarm-clocks and Cross), the installation is a reflection on the collective image-bank concerning the cultural traditions of the north (Switzerland) and of the south (Sicily), pointing up the paradoxes and the differences. 17


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Amare solite marmellate (The same old bitter jams) (pp. 20), 2004, installazione/installation: n. 25 barattoli di vetro (ml 212), pvc, marmellate di frutta; dimensioni variabili/twenty-five glass jars (212 ml.), PVC, fruit jams; variable dimensions. Realizzata in occasione del centenario della nascita di Pablo Neruda, presso l’Istituto ItaloLatino americano di Roma, l’operazione consiste nella preparazione collettiva di confetture traendo spunto dalle Odi dell’autore cileno, i cui versi sono citati sulle etichette dei barattoli/ On the occasion of the centenary of the birth of Pablo Neruda, at the Italo-Latin American Institute, Rome, the operation consisted in the collective preparation of jam, taking as the starting point Odi by the Chilean author, whose verses are quoted on the jar labels. 21


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Ignoti artisti meridionali (Unknown Southern-Italian artists) (pp. 22-23; 25), 2004, installazione/installation: n. 5 casse in legno, vernici; dimensioni ambientale/five wooden cases, paints; environmental dimensions; veduta dell’installazione presso/view of the installation at Museo Civico Castello Ursino di/of Catania; Courtesy Collezione/Collection Bartoli Felter, Cagliari 24


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Senza ragione (No reason), 2007-2009 Ciclo di installazioni composto da/Cycle of installations comprising: - Verso la luce (Towards the light) (p. 28), 2007, installazione/installation: scatole di cartone, griglie di alluminio, Ipomea batatas/cardboard boxes, aluminium grills, Ipomea batatas; dimensioni variabili/variable dimensions. Le scatole da imballaggio, accostate in modo casuale, contengono comuni patate americane. Con il passare del tempo, i tuberi germogliano fuoriuscendo dalla griglie metalliche/The packing boxes, placed at random, contain ordinary sweet potatoes. As time passes, the tubers sprout, growing out through the metal grills. 29


Senza ragione (No reason), 2007-2009 Ciclo di installazioni composto da/Cycle of installations comprising: - Senza ragione (p. 31), 2007, installazione/installation: n. 7 elmetti militari, n. 6 piante grasse, terra, scritta al neon/seven military helmets, six cactus plants, earth, words in neon lights; dimensioni ambientali/environmental dimensions; Courtesy Galleria Gianluca Collica, Catania 30


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Senza ragione (No reason), 2007-2009 Ciclo di installazioni composto da/Cycle of installations comprising: - Rosa (Rose) (pp. 4, 26-27; 32), 2007, installazione/installation: asciugacapelli a casco, n. 1 Selaginelle lepidophyilla, lampada, acqua/hood hair-dryer, one Selaginelle lepidophyilla, lamp, water; cm 153x70x38; Courtesy Galleria Gianluca Collica, Catania. Un esemplare di Rosa di Jerico, resistente alla siccità e in grado di procurarsi l’acqua rotolandosi e lasciandosi trasportare dal vento, è contenuta all’interno di un casco da parrucchiera rovesciato. Ad accensione del dispositivo elettrico, l’acqua evapora e la pianta lentamente si chiude su se stessa/A Rose of Jericho plant, resistant to drought and capable of obtaining water by rolling itself up and allowing itself to be transported by the wind, is contained within an upturned hair-dresser’s hood. When the electric hair-dryer is switched on, the water evaporates and the plant slowly closes up on itself. - Terriccio universale (Universal potting compost) (p. 32), 2007, installazione/installation: pallet in alluminio, n. 6 Haageocereus chysacanthus, n. 4 sacchi di terriccio/aluminium pallets, six Haageocereus chysacanthus, four sacks of compost, cm 25x97x62; Courtesy Galleria Gianluca Collica, Catania 33


La natura ama nascondersi Claudio Cravero Il lavoro di Filippo Leonardi coincide con il sovvertimento dell’ordinario, il perturbamento di un qualcosa dato per assodato, costituito. Ma con sovversione non s’intende tanto l’accezione rivoluzionaria, politica o militante che il termine sembra portare con sé. Quello ad opera di Leonardi è infatti una sorta di disvelamento di ciò che è normalmente nascosto, o che non si rivela immediatamente allo sguardo comune. Nelle sue opere, nella maggior parte dei casi installazioni o a volte vere e proprie operazioni – dalle prime come Vavaluci o le più recenti Senza ragione e Colombaia – è come se Leonardi capovolgesse un normale paio di pantaloni rovesciandone le tasche. Ribaltandone cioè il contenuto e i segreti, anche i più scontati come la presenza di un fazzoletto, di un’annotazione scritta o di semplici monete. Nella sua vulnerabilità artistica – poiché come essere umani ciò che generalmente è considerata sensibilità in realtà è una forma di fragilità – è come se ogni occasione intima o sociale che si presenti, e che dunque chiede di essere attraversata, si trasformi in un momento prezioso per intrecciare arte e vita in una combinazione sofisticata. L’arte è allora per Filippo Leonardi un modus vivendi piuttosto che operandi. È espressione di quel flusso vitale, unico e imprescindibile, che si nasconde dietro ogni forma di narrazione. Le sue installazioni – decisamente seducenti nel ricordare raffinati marchingegni – si impongono nell’ambito del reale e agiscono come elementi spiazzanti di disturbo. Sono trappole concettuali di senso create per attivare dei lenti slittamenti percettivi nell’interpretazione di forme e oggetti a cui ci si rapporta con abitudine. Nella pratica di Leonardi, come nell’aforisma eracliteo la natura ama nascondersi, preso a prestito nella presente pubblicazione, c’è però da chiedersi da chi la natura si nasconda; perché non voglia manifestarsi nella sua nudità e quali strumenti adotti per celarsi1. Se davvero la natura ama nascondersi – una natura non intesa come oggetto passivo o a sé stante ma soggetto con cui l’umanità intera ha una relazione più o meno consapevole2 – ciò che vediamo nella realtà è allora una sua simulazione – o un simulacro3, per utilizzare un’immagine cara a Baudrillard. Ma soprattutto la natura ha bisogno di qualcuno che provi a svelarla, a scoprirla. L’artista si trasforma così in colui che cerca, con le sue narrazioni, di raccontarla, di eleggersi a suo traduttore adottando dei filtri che ne mettano a nudo, a volte riproducendoli, i meccanismi. Nella frase del filosofo greco, non v’è dubbio, la verità che la natura negherebbe, nascondendosi, è l’ovvietà della sua essenza più intima, per non dire “naturale”, ossia che ogni cosa è soggetta – per definizione etimologica – a nascita e morte. E non è dunque un caso che nella maggior parte dei lavori di Leonardi ci siano elementi viventi, o comunque soggetti a movimento, a una crescita e un deperimento impliciti o a un decorso che, senza riserve, si precisa di fronte allo spettatore. Il progetto Vavaluci, 2001, che per l’inserimento nell’opera di un gruppo di limacidi in movimento ritorna anche nel successivo Inesattezza, 2003, è la messa a punto diabolica di un 1 Gianfranco Marrone, Addio alla Natura, Ed. Einaudi, Torino, 2011, p. 59 2 Ibidem 3 Jean Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie, beaubourg, apparenze e altri oggetti, Ed. Pgreco, Milano, 2009, p. 3

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ordine in un certo senso prestabilito e destinato a distruggersi con le proprie mani. Tra fragili lastre di vetro impilate, come i piani di un’abitazione, sono inframmezzati gruppi di lumache. Fungendo da pilastri mobili, i molluschi lentamente si spostano mutando l’assetto della costruzione, minacciandone la stabilità e presagendo al tempo stesso l’imminente catastrofe. La riflessione sul concetto di casa, ossia di solidità e radicamento, va di pari passo con la ricerca di una determinata posizione, un luogo in cui riconoscersi. Tra i primi progetti di Leonardi che sembrano ripercorrere la ricerca di una personale identità, geografica e culturale, si colloca Brixen. Realizzato nel 2002 in occasione dell’Altstadtfest a Bressanone, per la messa a punto l’artista attinge all’immaginario della manifestazione popolare altoatesina e al luogo comune che associa la regione alla tradizione agricola della coltivazione delle mele. Egli utilizza così lo stesso frutto come elemento disturbante in stretta relazione con il pubblico. La mela, su cui è riportato il bollino “sconosciuto artista meridionale”, diventa dono con cui rendere tangibile l’ebbrezza di un mondo alla rovescia. Una dimensione in cui si perdono le definizioni di vero e falso, dove i due concetti si manifestano in tutta la loro debolezza se associati culturalmente agli stereotipi geografici che connotano il nord come efficiente e il sud come lento e arretrato. Un’altra riflessione sui paradossi, culturali e territoriali, è Ignoti artisti meridionali. Realizzata nel 2004 per il Museo Civico Castello Ursino di Catania, istituzione spesso oggetto di polemiche per la dubbia gestione, l’installazione muove da un’indagine sulla collezione siciliana e l’inaccessibilità del pubblico alla sezione pittorica. In seguito ad un’attenta ricerca d’archivio, l’artista seleziona alcuni dipinti di pittori ignoti e per ognuno realizza delle casse in legno, le stesse comunemente utilizzate nei trasporti di opere d’arte. Esposte nelle sale del museo, le casse appaiono come in giacenza verso un’incerta destinazione. Su ognuna è ben visibile la didascalia che riporta titolo e dimensione. È però l’etichetta “sconosciuto artista meridionale”, presente già in Brixen, a contestualizzarne la legittimità nel museo, rivendicando al tempo stesso la condizione, il ruolo e il posizionamento di un giovane artista, ancora poco conosciuto, nel più complesso sistema dell’arte contemporanea. Ma è nell’articolata serie Senza ragione, 2007-2009, che emerge uno dei tratti distintivi della poetica di Leonardi: l’ambiguità. Immagini, forme e situazioni che appartengono alla collettività vengono rielaborate dall’artista diventando riflessioni di carattere esistenziale o commenti – come già in parte presenti nei progetti precedenti – sulle dinamiche sociali appartenenti al contesto nel quale le opere sono presentate. Come la natura ama nascondersi – per ripercorrere i versi eraclitei – anche la narrazione raccontata da Leonardi non offre certezze, ma amplifica il dubbio creando una dimensione claudicante di profonda insicurezza. Tra le molte opere della serie (Rosa, Terriccio universale e Verso la luce), a tratti minacciosa è l’installazione omonima del ciclo, costituita da sette elmetti militari adagiati sul pavimento: sei di questi rovesciati e utilizzati come vasi per piccoli cactus ed un ultimo su cui è posizionata la frase al neon “senza ragione”. L’installazione è dunque un rimprovero alla guerra e alle violenze più estreme, ed estendendosi a tutte le logiche umane del quotidiano e le dissennatezze di alcuni comportamenti, fa riferimento alla più generale follia umana. Perché per quanto dotato di intelletto – facoltà preclusa alla specie vegetale – l’essere umano è capace di brutalità ed efferatezze spietate. Il titolo si riferisce così a quella ragione che le piante non possiedono, all’assenza di intelletto che, nonostante tutto, le ha viste sopravvivere, evolversi e moltiplicarsi sino a diventare la specie più prolifera del pianeta. 35


In questa direzione si inserisce anche Più nessuna danza, installazione esposta per la prima volta nel 2007 negli spazi di Scenario Pub.bli.co, Centro coreografico internazionale di Catania, e riallestita nel 2009 al PAV-Parco Arte Vivente di Torino. Su delle arnie riutilizzate l’artista colloca delle Nephentes alate, voraci piante carnivore che sembrano attendere l’uscita delle api. Il titolo rimanda ad una danza che non avrà più luogo. Leonardi, infatti, si riferisce alla moria globale degli insetti provocata dalle infestazioni di un parassita letale. L’impiego di elementi botanici e organici, oltre ad approfondire i processi di alcuni fenomeni che caratterizzano la selezione delle specie, di darwiniana memoria, diventa per l’artista una pratica strumentale per costruire spazi di tensione che ripercorrono la relazione uomonatura. Considerando l’essere umano come parte integrante della natura – una relazione dunque tra due soggetti agenti e non un oggetto passivo (la natura) e un soggetto curioso (l’uomo) – l’artista dichiara come oggi non abbia più senso parlare di cose prodotte in natura, perché discorrere di natura significa opporla a cultura, pensarla cioè come qualcosa di indipendente dall’uomo. Per questo le installazioni di Leonardi si presentano come scenari e dispositivi apparentemente paradossali, perché, in fondo, superando la contrapposizione artificiale/naturale, esse restituiscono quell’ambiguità nascosta dietro ogni porzione di natura indagata. A tratti surreale, ma del tutto funzionate, è Colombaia. Si tratta di un work in progress concepito per mettere in comunicazione due spazi, uno fisso e uno mobile. Coinvolgendo dei colombi viaggiatori – come suggerisce il titolo – il progetto ha origine nel 2010 per la Galleria Civica d’Arte Contemporanea Montevergini di Siracusa, capoluogo che vanta il primato a livello nazionale per numero di associazioni colombofile. Contrariamente all’immaginario collettivo che vede il colombo come una piaga sociale da cancellare con diversi stratagemmi di dissuasione, esso ha invece una lunga storia e letteratura. Dai Sumeri sino alla Prima guerra mondiale, il colombo è infatti rappresentativo del modo di comunicare per via aerea, rivelandosi di importanza vitale in situazioni d’emergenza dove la comunicazione via terra risultava compromessa e poco sicura. Utilizzando questi volatili come strumento per restare in contatto tra località diverse (provocazione al mondo della comunicazione, ormai sempre più rapido e distante in quanto a relazioni intersoggettive), Filippo Leonardi intende inoltre riflettere sulla necessità culturale, propriamente umana, di classificare in categorie. Si tratta dei cosiddetti luoghi comuni, dei pregiudizi che, una volta assimilati, muovono sentimenti di accettazione o repulsione. In Colombaia l’artista sottolinea come il volatile sia contemporaneamente amato e disprezzato: tanto infatti osannato dai colombofili quanto odiato dagli abitanti nelle città. Colombaia è comunque un progetto aperto che abbraccia diversi ambiti disciplinari e che, sotto la regia dell’artista, coinvolge ornitologi, allevatori, studenti in Architettura, galleristi e curatori. In mostra nel 2012 presso la Galleria Collicaligreggi di Catania, oltre a una coppia di colombi pronti a librarsi in volo il giorno dell’inaugurazione, è esposta una serie di oggetti-sculture. Sono Posatoi e Dissuasori, che modificati dall’artista si rivelano tanto funzionali quanto scomodi. Filippo Leonardi, così, si trasforma in autentico osservatore silenzioso, una sorta di bird watcher di quella natura che ama nascondersi. Stando tra il dentro e il fuori, né qui né lì, l’artista si colloca sulla soglia, il luogo in cui la natura conserva i suoi misteri. Il punto in cui interno ed esterno si incontrano. 36


La natura ama nascondersi (Nature loves hiding) Claudio Cravero Filippo Leonardi’s work amounts to subverting the ordinary, disrupting something thought of as consolidated, as constituted. But this is not “subversion” in the revolutionary, political or militant senses that the word might suggest. What Leonardi does is a sort of unveiling of that which is normally concealed, or which does not immediately reveal itself to an ordinary glance. In his works, which are mainly installations, sometimes actual operations – from his early works such as Vavaluci or the more recent Senza ragione and Colombaia – it is as though Leonardi had turned a normal pair of trousers upside down and pulled out the pockets: turning over their contents and their secrets, including those taken for granted like a handkerchief, a handwritten note, a few coins. In his artistic vulnerability – since as a human being what is usually considered sensitivity is actually a form of fragility – it is as though every intimate, every social occasion that presents itself, in other words that asks to be gone through, is transformed into a precious moment in which to weave art and life into a sophisticated combination. So that art, for Filippo Leonardi, is a modus vivendi rather than a modus operandi. It is the expression of that vital, unique and inescapable flow that is concealed behind all forms of narration. His installations – enticingly reminiscent of refined contraptions – take their place in the sphere of the real; they are disturbing elements that disorient the viewer. They are conceptual sense traps created to activate slow perceptual drifts in how we interpret the forms and objects with which we habitually come into contact. However, in Leonardi’s practice, as in the Heraclitean aphorism nature loves hiding borrowed for this publication, we must ask whom nature is hiding from; why she does not want to show herself naked, and what tools she uses to conceal herself1. If nature really does love hiding – nature not in the sense of a passive object, separate and distinct, but as a subject with which the whole of humanity has a more-or-less conscious relationship2 – then what we see in reality is a simulation of nature – or a simulacrum3, to use an image dear to Baudrillard. But above all, nature needs someone who tries to reveal her, to discover her. The artist thus becomes he who, through narration, tries to recount her, who elects himself as her translator, adopting filters that lay her mechanisms bare, perhaps even reproducing them. In the words of the Greek philosopher there is no doubt: the truth that nature would deny, by hiding herself, is the obviousness of her most intimate, not to say “natural” essence: that all things – by etymological definition – are subject to birth and death. So it is not by chance that, in most of Leonardi’s works, there are living beings, or anyhow moving elements, subject to implicit growth and decline, or to a progress that, without reservations, becomes clear before the spectator. The project Vavaluci, 2001, which by means of including a group of moving snails in the work is echoed in the subsequent Inesattezza, 2003, is the diabolical development of an order that is 1 Gianfranco Marrone, Addio alla Natura, Ed. Einaudi, Torino, 2011, p. 59 2 Ibidem 3 Jean Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie, beaubourg, apparenze e altri oggetti, Ed. Pgreco, Milano, 2009, p. 3

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in a sense predetermined and destined to destroy itself with its own hands. Groups of snails are inserted between fragile plates of glass, stacked like the storeys of a house. Acting as mobile pillars, the molluscs slowly move around, changing the arrangement of the construction, threatening its stability, and at the same time foreshadowing imminent catastrophe. This reflection on the concept of home, in other words on solidity and rootedness, runs parallel with the search for a certain position, a place in which to recognise oneself. One of Leonardi’s first projects to retrace the search for a personal, geographical and cultural identity was Brixen. Created in 2002 on the occasion of Altstadtfest in Bressanone, for its development the artist borrows from the image bank of Alto Adige’s folk manifestations and from the common-place that associates that region of Italy with the tradition of growing apples. He thus uses the apple as a disturbing element in close relation with the general public. The apple, which bears a label “unknown Southern Italian artist”, becomes a gift; an attempt to give tangible form to the intoxication of a world in disarray. A dimension in which the definitions of true and false are lost, in which the two concepts manifest themselves in all their weakness if they are associated culturally to the geographical stereotypes that paint the north as efficient and the south as slow and backward. Another reflection on paradoxes, cultural and territorial, is Ignoti artisti meridionali (Unknown Southern Italian artists). Underlying the installation, set up in 2004 for Catania’s Museo Civico Castello Ursino, an institution that often attracts polemics about its doubtful management, was a survey of the Sicilian collection and the inaccessibility to the general public of the paintings. After a careful search through the archives, the artist selected a number of paintings by unknown painters and, for each of them, he made a wooden case, like those generally used to transport artworks. Exhibited in the rooms of the museum, the cases seem to be waiting to reach an uncertain destination. On each the legend is clearly visible giving title and dimensions. But it is the label “unknown Southern Italian artist”, already used in Brixen, that gives them a legitimate context in the museum, at the same time denouncing the condition, role and positioning of a young artist, still relatively unknown, within the complex system of contemporary art. But it is in the multiwork series Senza ragione, 2007-2009, that one of the distinctive traits of Leonardi’s poetics emerges: ambiguity. Images, forms and situations that are common property are reworked by the artist, becoming reflections of an existential nature; or– as was already to some extent the case with his previous projects – they become comments on the social dynamics proper to the context in which the works are presented. Like La natura ama nascondersi – to return to the Heraclitean verses – also the narration that Leonardi offers does not provide any certainties: it amplifies doubt, creating a hesitant dimension of profound insecurity. Among the many works in the series (Rosa, Terriccio universale and Verso la luce), the installation that gives its name to the cycle is in part threatening. It comprises seven military helmets resting on the floor: six of these are upturned and used as pots for small cactus plants; on the seventh are placed the words “without reason” in neon. The installation is thus a censure of war and of the more extreme forms of violence, and by extension of all every-day human rationales and the foolishness of some aspects of our behaviour. It thus makes reference to the more general state of human folly: because, although provided with an intellect – a faculty precluded to plant species – human beings are capable of ruthless brutality and ferocity. The title thus refers to that faculty of reason that plants do not possess, to the lack of intellect that, despite everything, has allowed them to survive, to evolve and 38


multiply until they have become the most prolific life-form on the planet. This is also the direction in which Più nessuna danza (No further dance) leads: an installation first exhibited in 2007 at Scenario Pub.bli.co, Catania’s international choreographic centre, and set up again in 2009 in Turin at PAV-Parco Arte Vivente, the city’s Living Art Park. On recycled bee-hives the artist places some Nephentes alate, voracious carnivorous plants that seem to await the bees’ exit. The title relates to a dance that will never take place again: Leonardi is referring to the mass death of bees caused globally by infestations of a lethal parasite. The use of botanical and organic elements, as well as clarifying the processes of some phenomena that characterise the selection of the species, of Darwinian fame, becomes for the artist an instrumental practice to create spaces under strain, echoing the tensions of the relationship between man and nature. Considering human beings as an integral part of nature – and thus looking at a relation between two active subjects, and not a passive object (nature) and a curious subject (man) – the artist declares that, today, there is no longer any sense in talking about things produced in nature, because to talk of nature means opposing it to culture, that is conceiving it as something independent of man. For this reason, Leonardi’s installations stand as apparently paradoxical scenarios and devices, because, when it comes down to it, going beyond the opposition artificial/natural, they restore that ambiguity hidden behind every part of nature that is investigated. Sometimes surreal, but entirely functional: this is his work Colombaia (Dove-cot). This is a work in progress conceived to bring into communication two spaces, one fixed and one mobile. Involving homing pigeons – as the title suggests – the project originated in 2010 for Galleria Civica d’Arte Contemporanea Montevergini, in Siracusa, the provincial capital that boasts the national record for the number of associations of pigeon fanciers. Unlike the collective mental image of the pigeon as a social bane, as vermin to be eliminated through various dissuasion stratagems, the bird has a long history and literature. From the Sumerians until the First World War, the homing pigeon embodied the way to communicate by air, which was found to be of vital importance in emergencies when communication by land was compromised and unsafe. Using these birds as an instrument to remain in contact among different localities (a provocation directed at the world of communications, with inter-subject relations becoming ever faster and ever more distant), Filippo Leonardi also aims to reflect on the cultural need - the typically human need - to classify everything into categories. These are what we call commonplaces, prejudices and, once assimilated, they generate feelings of acceptance or repulsion. In Colombaia the artist stresses that the pigeon is, at one and the same time, loved and despised: it is just as highly praised by pigeon fanciers as it is hated by city dwellers. Colombaia is, however, an open project that embraces different disciplinary areas and that, under the artist’s direction, involves ornithologists, breeders, architecture students, art-gallery owners and museum curators. On show in 2012 at Galleria Collicaligreggi, in Catania, not only do we find a pair of pigeons ready to take flight on the day of the inauguration, but also a series of sculpture-objects. These are Posatoi (perches) and Dissuasori (Dissuaders); modified by the artist, they are as functional as they are uncomfortable. Filippo Leonardi thus becomes an authentic silent observer, a sort of bird watcher of that nature that loves hiding. Placing himself between inside and outside, neither here nor there, the artist stands on the threshold, the place where nature keeps her mysteries. The point where inside and outside meet. 39


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PiÚ nessuna danza (No more dances) (pp. 40-41; 43), 2007, installazione/installation; n. 9 Nephentes alate, n. 7 arnie di legno/nine Nephentes alate, seven wooden bee-hives; dimensioni variabili/variable dimensions; veduta dell’installazione presso/view of the installation at Scenario Pub.bli.co, Centro coreografico internazionale/International Choreographic Centre, Catania 42


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Colombaia (Dove-cote), 2010-2012 work in progress composto da/comprising: - Prototipi e modelli di colombaia fissae mobile (Prototypes and models of fixed dove-cote) (pp. 46), 2010, realizzata in collaborazione con la Facoltà di Architettura di/made in collaboration with the Faculty of Architecture of Siracusa; misure variabili/variable measurements. - Colombigrammi (pp. 48-49), 2010-2012, serie di collage digitali che uniscono dati storici relativi alla specie analizzata; immagini e scritti di anatomia comparata che rimandano a tavole scientifiche; frasi tratte dalla letteratura e aforismi contenuti nella genesi biblica che ripercorrono l’evoluzione e la storia del colombo/series of digital collages, combining historical data relating to the species analysed; comparative anatomy drawings and texts relating to scientific tables; phrases taken from the literature and aphorisms from Genesis, which recount the evolution and history of the dove; cm 21,7x29 cad./each. - Colombofili e colombaie (Pigeon-fanciers and dove-cotes), 2010-2012, serie fotografica, stampe a colori su carta/series of photographs, coloured prints on paper, cm 20x30 cad./ each. A/on pp. 44-45, Colombofili e colombaie n.11. 47


Colombaia mobile Questa colombaia ospiterà i colombi viaggiatori che nella fase conclusiva del progetto mettono in comunicazione la colombaia mobile a breve periodo di utilizzo, si è creato uno spazio duttile che possa essere utilizzato in vario modo. La struttura si presenterà come una grande gabbia su ruote che al momento del lancio si sposterà su una terrazza laterale, a metà tra interno e esterno dello spazio espositivo e che, una volta assolta la sua funzione, potrà essere spostata in qualsiasi punto del padiglione sia all'interno che all'esterno. Su una delle pareti laterali della colombaia verrà posta la scritta al neon: “ solo una colombaia”.

Palermo

Gibellina nuova Gibellina vecchia

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La vera arte consiste nel riuscire a conoscere perfettamente la propria colombaia e ad integrarsi con essa scoprendo così le doti e i lievi difetti dei propri colombi.

luogo nel quale i colombi abiteranno, è intutti i confort necessari scere in salute. Oltre allo spazio minimo necessario per ciascun colombo, è importante che vi sia una buona ventilazione ma non delle correnti d’aria. Dopo aver preso al vaglio diverse ipotesi la struttura sarà caratterizzata da un tetto spiovente a falde molto lunghe riprendendo la forma dei posatoi che si trovano all’interno delle colombaie, l’oggetto è stato ingrandito e poggiato su un volume puro che costituisce il corpo della colombaia.

Castel di Tusa

Catania

Siracusa

ricerca sempre gli effetti e le cause e non lascia mai niente al caso.

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La scultura è l’opposto della cultura (Sculpture is the converse of culture) (pp. 51), 2011, due elementi/two elements cm 350x150x100 cad./each, Courtesy C.O.C.A., Modica. 50


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Colombaia mobile (Mobile dove-cote) (pp. 53), 2012, installazione contenente una coppia colombi viaggiatori; legno, plexiglass e dibond/installation containing a pair of homing pigeons; wood, plexiglass and dibond. Costruzione in scala dell’artista che trae spunto dai modelli utilizzati dagli allevatori/Scale construction by the artist inspired by the models used by breeders; cm 80x60x102; Courtesy Galleria Collicaligreggi, Catania. 52


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Dissuasori (Dissuaders), 2011-2012, serie di oggetti-sculture, realizzati in legno e metallo/ series of object-sculptures, made of wood and metal. A/on p. 52, Dissuasori #2, 2012, cm 350x30, Courtesy Galleria Collicaligreggi, Catania. 55


Una conversazione con Filippo Leonardi Gianluca Lombardo La natura ama nascondersi… Alla mente mi vengono subito lo sprofondare di una radice, la parte nascosta dell’iceberg, il formicaio sotto terra e il nido mimetizzato tra i rami intricati di un albero. La protezione compiuta dalla gabbia toracica, e la nostra stessa vita custodita sottopelle. Un artista che sceglie un titolo come questo senza dubbio sembra meditare su questioni come il nascondimento, il rispetto per ciò che è segreto, il significato profondo del porre distanza. La distanza degli eremiti. Dà voce al mutismo, accompagna la timidezza di chi va a sedersi all’ultimo banco. E sembra invitarci a riflettere su tutto ciò che non si vede, ma che continua a essere essenza delle cose, sfuggita solo per un attimo alla fortuna dell’essere percepita dai sensi dell’uomo. La natura si nasconde per protezione, ma anche per timidezza, per paura o per semplice discrezione. I motivi del nascondimento sono molteplici, così come lo sono le invisibili apparenze delle stesse divinità. Titolo anomalo, per una pubblicazione d’arte le cui opere, si sa, hanno la vocazione, e l’augurato destino, di mostrarsi in pubblico più che si può. Mi piacerebbe poter tradurre Filippo Leonardi ama nascondersi, ma forse non sembra di buon auspicio… e parrebbe il caso di lasciare la citazione di Eraclito così com’è. Eppure nascondimento, nascondiglio e nascosto sembrano essere condizioni essenziali per ogni atto generativo; partorire, così come creare, sembrano necessitare di luoghi chiusi, difesi e nascosti. C’è un momento in cui si è totalmente esposti se non si è pronti a difendere il proprio territorio isolato. Generare, così come elaborare un pensiero complesso, sembrano richiedere intimità e distanza, a cui solo dopo sembrano far seguire relazione e comunicazione. Il pensiero quindi - come ogni essere o elemento presente in natura - non sembra fare eccezione alla semplice regola che custodire preserva la creazione e la sopravvivenza. Lo stesso pudore della carne, per esempio, che induce l’essere umano a comportamenti di difesa e preservazione, sembra quasi corrispondere a quelle forme poetiche che non possono svelare la sostanza della cosa in sé, pena l’impoverimento dell’intuizione o del pensiero costruito. Si può dire che la stessa poesia sia nascondimento, come un alone incerto e vibrante dello spirito che racchiude negando, il tutto. Il non-detto dell’ombra che accoglie e custodisce quella pienezza che dell’oggetto non potremo abbracciare mai. E la sua inafferrabilità diventa ineffabilità e ricerca del totale. Come il disegno, che di un vaso traccia solo il contorno, e nella sua sintesi assorbe sia il corpo dell’oggetto che la sua astrazione. Questo non detto che arretra, cela appunto la sostanza lirica e tersa di una ricerca come quella di Filippo Leonardi. Il lavoro di Filippo non è né frontale né facile, soprattutto in quei lavori che prediligono l’unicità dell’elemento impiegato e non l’accostamento di elementi differenti posti in relazione linguisticamente dinamica. Questa non-facilità sembra quasi una costante di quelle ricerche migliori che non si rivelano subito, al primo colpo d’occhio. Complessità che non nasce per eccesso, ma al contrario per un difetto imputabile solo al rigore. Questo “difetto” nulla ha a che fare col meno di coloro che cercano 56


la sintesi. Qui il meno è nel prendere ciò che esiste attorno a noi nell’interezza che questo mondo a noi parallelo può, o sembra, farci vedere. Non importa se questo mondo rappresenti o esprima un ideale estetico. Questo mondo rappresenta ed esprime innanzitutto sé stesso. È un mondo fatto di piccole leggi ferree; leggi naturali. È il mondo tenuto in piedi da lumache, da piante grasse, da metafore leggere come lo scioglimento al calore di una tavoletta di cioccolato, o il ritorno ostinato del piccione al suo nido. È un mondo fatto da leggi in silenzio, rotto solo da ronzii e piccoli respiri, quelli che fa un entomologo, o un botanico con gli occhi persi dentro il microscopio, sicuro che la legge del piccolo-come-il-grande regga ancora le sorti del creato, ma che basti uno starnuto per mandarlo a gambe all’aria. È un respiro lento, lieve; il respiro di chi deve respirare senza farsene accorgere, anche lui in nascondimento e in incognito; a distanza. Come Filippo. Se penso a lui usando una metafora, potrei paragonarlo al vapore che si alza dal terreno al primo calore dell’alba, sostanza docile ma irredimibile, che altrove esprime forza e ostinazione non sospettate. Filippo sceglie di guardare questo mondo come farebbe un piccolissimo scienziato: analizza la natura delle cose, come l’umana, con quella devozione non morale né ideologica che hanno gli studiosi veri: la scoperta e la sorpresa sono la scala di grandezza, il rapporto fra noi e il vivente, non la traslazione autoptica della cosa, che resta fedele a sé stessa, mai privata della dignità di essere-in-sé. Non esprime nessun giudizio, non si azzarda a comporre nessuna gerarchia; il commento è sospeso perché sa che non può esistere, se ne astiene per intelligenza. Ornitologia, botanica, etologia non sembrano, così, punti di partenza per un atto creativo fuori dall’oggetto di studio. Al contrario si chiudono, e quindi si concentrano, sulla bellezza del dato in sé, dando priorità alla lettura e all’amore per la cosa prima che all’amore per la forma che la raffigura e rappresenta. Come Elzéard Bouffier, il piantatore d’alberi di quel piccolo gioiello nato dal cuore e dalla penna di Jean Giono, anche Filippo Leonardi sembra possedere per il vivente un amore sotteso e silenzioso, generoso e condiscendente. Generatore e femminile. In un sol termine, empatico. Empatia che è aderenza alle cose, alla loro interna sostanza. Filippo cerca questa sotterranea osmosi in ogni sua opera, limpido esercizio di profondità che, come una prospettiva a volo d’uccello, si adopera nel cogliere ogni dettaglio utile alla conoscenza, alla curiosità e alla meraviglia per le cose del mondo. Ancora una volta un piccolo saggio di grande poesia e silenzio. Di stupore. Di gentilezza e di generosità. Ancora una volta il vivente, con tutto l’amore che occorre per parlarne.

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A conversation with Filippo Leonardi Gianluca Lombardo La natura ama nascondersi… Nature loves hiding. Images that come to mind are a root deep in the ground, the hidden part of an iceberg, an underground ant-hill, or a nest camouflaged among the intricate branches of a tree. The protection provided by the ribcage, our very life guarded inside our skin. When an artist chooses a title like this it appears he must be meditating on questions like hiding, respecting all things secret, the inner meaning of keeping one’s distance. A hermit’s distance. He gives a voice to the mute, accompanies the shyness of the person sitting on the back row. And he seems to invite us to reflect upon everything that we cannot see but that is nevertheless the essence of things: that only for a second escapes the fortune of being perceived by man’s senses. Nature hides for protection, but also through timidity, for fear, or simply for discretion. The reasons for hiding are many, just as are the invisible appearances of the Divinity itself. An unusual title for an art publication, when as we know the vocation of artworks, and their hoped-for destiny, is to show themselves in public as much as they can. I would like to be able to translate this title as Filippo Leonardi loves hiding, but that might not be such a lucky phrase …so perhaps it is best to leave Heraclitus’ quotation as it stands. And yet hiding, hiding-place, hidden, these seem to be essential conditions for any act of generation; it seems that giving birth, like creating, needs closed, protected, hidden places. There is a point in time when one is completely exposed, unless one is ready to defend one’s own isolated territory. To generate, or to develop a complex thought, seems to need intimacy and distance, and only afterwards are these apparently followed by relation and communication. So it seems that thought, like every other being or element present in nature, does not make an exception to the simple rule that cherishing them it preserves creation and survival. The very modesty of the flesh, for example, which leads human beings to engage in preservation and defensive behaviour, seems almost to correspond to those poetic forms that are unable to reveal the substance of the thing in itself, without impoverishing intuition or the constructed thought. We may say that poetry itself is concealment, like an uncertain and vibrant halo of the spirit that encloses everything, denying it. The unsaid of the shadows that welcome and cherish that fullness of the object we will never be able to embrace. And its elusiveness becomes ineffability and a search for the total. Like a drawing that only traces the outline of a vase, and in its brief lines absorbs both the body of the object and its abstraction. This unsaid that withdraws conceals the very lyrical and terse substance of a research like that of Filippo Leonardi. Filippo’s work is neither frontal nor straightforward, above all in those works that give preference to the oneness of the element used, and not to some combination of different elements placed in linguistically dynamic relation. This unstraightforwardness appears almost to be a constant running through those best researches, which do not reveal themselves immediately at first glance. Complexity that originates not from excess but, conversely, through a defect that 58


may only be laid at the door of rigour. This “defect” has nothing to do with the less of those who look for synthesis. Here the less means taking that which exists around us in the entirety that this parallel world can show us, or can seem to show us. It matters not whether this world represents or expresses an aesthetic ideal. This world represents and expresses first and foremost itself. It is a world made up of small cast-iron laws: the natural laws. It is a world that is held up by snails, succulent plants, light-weight metaphors like a chocolate bar melting in the heat, or a pigeon’s insistent return to its nest. It is a world made up of laws that operate in silence, only broken by buzzing noises and small breathing sounds, made by an entomologist, or a botanist, with eyes glued to the microscope, certain that the law of small-like-big still holds the destiny of creation, but that a sneeze is enough to send it head over heels. It is a slow breathing, gentle and light; the breathing of one who must not be heard. He, too, is hiding and in incognito, at a distance. Like Filippo. If I use a metaphor to think of him, I could compare him to steam rising from the ground with the first heat of dawn, a gentle but unredeemable substance that, elsewhere, expresses unsuspected strength and obstinacy. Filippo chooses to look at this world like a tiny scientist would: he analyses the nature of things, like human nature, with the devotion - neither moral nor ideological – of a true scholar. Discovery and surprise are the scale of magnification, the relationship between us and the living, not the autoptic translation of the thing, which remains faithful to itself, never deprived of the dignity of being-in-itself. It expresses no judgement, dares to set up no hierarchy: the comment is suspended because it knows it cannot exist, it abstains from doing so through intelligence. Ornithology, botany, ethology: these are not starting points for a creative act outside the object of study. On the contrary, they close in on themselves, they concentrate on the beauty of the fact in itself, giving priority to interpreting and loving the thing, rather than loving the form that outlines and represents it. Like Elzéard Bouffier, the planter of trees of that tiny jewel that was born in the heart and from the pen of Jean Giono, Filippo Leonardi likewise seems to possess a love for living things that is implied and silent, generous and compliant. Generator and feminine. In a single word, empathetic. Empathy that is adherence to things, to their inner substance. Filippo seeks this underground osmosis in each of his works, each limpid exercise in depth that, like a bird’s eye view, busily collects every detail useful for knowledge, for curiosity and wonder about the things of the world. Once again, a small essay of great poetry and silence. Of astonishment. Of kindness and generosity. Once again the living, with all the love that is needed to talk about it.

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Curriculum FILIPPO LEONARDI (1970, Catania; vive e lavora tra/lives and works between Catania e/and Torino) www.filippoleonardi.net MOSTRE PERSONALI SELEZIONATE/SELECTED SOLO EXHIBITIONS 2012 2011 2007

2006 2003 2002 1999 1998

Freevolo, Galleria collicaligreggi, Catania (I), a cura di/curated by C. Cravero La scultura è l’opposto della cultura, C.o.C.a, Modica, Rg (I), a cura di/ curated by F. Lucifora Senza ragione, Galleria Gianluca Collica, Catania (I), a cura di/curated by G. Iovane Più nessuna danza, Scenario Pub-blico, Catania (I), a cura di/curated by C. Cravero Collaborazioni orizzontali, Mercati generali, Catania (I), a cura di/curated by H. Marsala Inesattezza, Scenario Pubblico, Catania (I), a cura di/curated by H. Marsala Super-eroi, Showroom Meltin’ Pot, Milano (I), a cura di/curated by D. Lupelli Atecatania-you.it, Galleria Gianluca Collica, Catania (I), a cura di/curated by L. Brancato Artificialiter, B-Side, Palermo (I), a cura di/curated by L. Brancato

COLLETTIVE/GROUP EXHIBITIONS 2012

2011

2010

2009

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Quadratonomade, Palazzo delle Esposizioni, Roma (I), a cura di/curated by D. Giordano, D. Pinocci, S. Martinelli Into the habitat, PREMIO PAV 2012 - PAV-Parco Arte Vivente, Torino (I), a cura di/curated by G. Cosmacini Se siamo liberi, C.o.C.a, Modica, Rg (I), a cura di/curated by F. Lucifora Frammenti di realtà, Palazzo della Cultura, Catania (I), a cura di/curated by A. Stazzone Fama/Fame, FARM Cultural Park, Favara, Ag (I), a cura di/curated by C. Markovic Torinomeforwe, ex Arsenale Militare, Torino (I), a cura di/curated by S. Mandice Concerning Space, Antico Municipio per l’Arte Contemporanea, Frosinone (I), a cura di/curated by D. Bigi di’væn, Galleria Gianluca Collica, Catania (I), a cura di/curated by F. Lucifora Overlaps, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Siracusa (I), a cura di/ curated by H. Marsala Fama/Fame, Wankdorf Center, Berna (CH), a cura di/curated by C. Markovic La fiaba generativa, Monastero Bormida, Al (I), a cura di/curated by T. Ciampolini Greenhouse (winter), PAV-Parco Arte Vivente, Torino (I), a cura di/curated by C. Cravero


2008

2007 2006

2005

2004

2003 2002

2001

Arte e Architettura in Barriera, Ecomuseo Urbano, Torino (I), a cura di/ curated by Politecnico di Torino Ausarten, Brunn am Gebirge, Vienna/Wien (A), a cura di/curated by P. Aschauer Femmine e maschi, El Barrio-Centro per il protagonismo giovanile Città di Torino, Torino (I) Da Qui # 01.09, Galleria Gianluca Collica, Catania (I), a cura di/curated by A. Ferito Videotrony, tre differenti centri commerciali/three different shopping centres, Catania (I), a cura di/curated by Erbematte Ripartenze, Galleria d’Arte Modera, Capodorlando, Me (I), a cura di/curated by M. Capotto Fama/Fame, Kunstlerhaus, Solothurn (CH), a cura di/curated by C. Markovic Kataunas, BOCS-Catania e/and Galleria Meno Parkas-Kaunas, Kaunas (LT), a cura di/curated by M. Sorbello e/and A. Zalpys Sprigioni, Galleria Marconi, Cupra Marittima, Ap (I), a cura di/curated by S. Verri Choices.it, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Siracusa (I), a cura di/ curated by S. Lacagnina Biennale Adriatica, Palazzina Azzurra, San Benedetto del Tronto, Ap (I), a cura di/curated by A. Arevalo e/and Cristiano Seganfreddo Arte e Sud Obiettivo Contemporaneo, Aci Castello e/and Castello Normanno, Ct (I), a cura di/curated by A. Arevalo Giornata del contemporaneo, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Siracusa (I), a cura di/curated by S. Lacagnina Urbana, Villa Schneider Biella (I), a cura di/curated by O. Gambari Quotidiana, Museo Civico al Santo, Padova (I), a cura di/curated by di G. Bartorelli Sharestation, Scenario Pub-blico, Catania (I), a cura di/curated by R. Zappalà Per amore, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Siracusa (I), a cura di/ curated by S. Lacagnina Empowerment, Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce, Genova (I), a cura di/curated by M. Scotini Le cose di Pablo Neruda, Istituto Italo Latino Americano, Palazzo Santacroce, Roma (I) Gemine Muse, Museo Civico Castello Ursino, Catania (I), a cura di/curated by A. Stazzone e L. Brancato Contaminazioni, Castello dei Duchi di Corvaia, Alcamo, Tp (I), a cura di/ curated by A. Bucarelli Godart 2003, Museo laboratorio, Pescara (I) Big social game, Biennale Internazionale Arte Giovane, Torino (I), a cura di/ curated by G. Di Pietrantonio Paradiso perduto, Palazzo dell’Arengo, Rimini (I), a cura di/curated by A. Stazzone L’arte in festa, Città vecchia, Bressanone, Bz (I), a cura di/curated by M. Piffer Damiani e/and H. Wincler Intercity, Ass. Culturale Futuro, Roma (I), a cura di/curated by P. Nicita 61


2000

1999

1998

Emporio, Care Of, Cusano Milanino, Mi (I), a cura di/curated by G. Molinari Tracce di un seminario, Viafarini, Milano (I), a cura di/curated by A. Vettese e/and G. Di Pietrantonio Area di attesa, Centro per l’Arte Contemporanea, Palazzo Fichera, Catania (I), a cura di/curated by A. Stazzone Il furore dei novanta, Kunstaus Tacheles, Berlino (D), a cura di/curated by B. Draz 40° Premio Suzzara, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Suzzara, Mn (I) Mostra di fine corso, Chiesa di San Francesco, Como (I), a cura di/curated by A. Vettese e/and G. Di Pietrantonio Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo, Ex Mattatoio, Roma (I) Park of the future, westergasfabriek, Haarlemmerwerweg, Amsterdam (NL) Devozione alla bellezza, Galleria Gianluca Collica, Catania (I), a cura di/ curated by L. Brancato Jam, Museo Emilio Greco, Catania (I), a cura di/curated by G. Frazzetto Infiltrazioni, Castel Leone, Castiglione di Sicilia, Ct (I) Mappe percorsi urbani, Catania (I), a cura di/curated by A. Lombardi Posizione Kappa, Palazzina Azzurra, San Benedetto del Tronto, Ap (I), a cura di/curated by R. Ridolfi Arti visive 2, Palazzo Ducale, Genova (I), a cura di/curated by M. Fochessati

RESIDENZE E SEMINARI / RESIDENCY PROGRAMS AND PANELS 2006 2002 2000 1999

ISIDEM, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Siracusa (I), a cura di/ curated by S. Lacagnina Ateliers d’Artistes de la Ville de Marseille, Marsiglia/Marseille (F), a cura di/curated by T. Ollat Zerynthia, Associazione per l’Arte Contemporanea, Roma (I), a cura di/ curated by R. Caruso Corso superiore di Arti Visive, Fondazione Antonio Ratti, Como (I), a cura di/curated by A. Vettese e G. Di Pietrantonio

WORKSHOP CONDOTTI / TEACHING WORKSHOP 2010 2009

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Cattiveria, Accademia ABADIR, Catania (I) Idee pericolose, PAV-Parco Arte Vivente, Torino (I) Il lenzuolo di Darwin sulle donne, El Barrio-Centro per il protagonismo giovanile Città di Torino, Torino (I)


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Finito di stampare nel mese di/Printed in Aprile/April 2012 presso/at Tipografia UrzĂŹ - Catania Stampato su carta/Printed on paper FSC Splendorgel 64




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