SALTERNUM SEMESTRALE DI INFORMAZIONE STORICA, CULTURALE E ARCHEOLOGICA A CURA DEL GRUPPO ARCHEOLOGICO SALERNITANO
REG. TRIB. DI SALERNO N. 998 DEL 31/10/1997 ANNO XXII - NUMERO 40-41 GENNAIO/DICEMBRE 2018 ISBN 978-88-97581-44-4
RENALDO FASANARO
Civitas Sancti Matthei
L
a mostra di Renaldo Fasanaro, a cura dell’Associazione ADOREA, con il coordinamento scientifico del Gruppo Archeologico Salernitano, analizza e propone per la prima volta a Salerno, città custode delle reliquie del Santo, le immagini e i luoghi della vita dell’Apostolo. L’autore attua un cammino ‘per immagini’ tra monumenti e reperti del passato: la purezza materica della piramide di Chefren, la tavoletta in accadico del Poema della Creazione (Enuma Elish) da Ninive, la grande struttura lignea dell’arca (Genesi 6, 13-22) e le figure dei grandi patriarchi biblici: Noè, Abramo e Mosè. L’Ecce Homo (pastello su pergamena adesa a un drappo di seta del XVII secolo) e la grande Crocifissione su pergamena annunciano le tragiche vicende che chiuderanno il corso del I secolo: la morte del Cristo e la prima guerra giudaica, con la distruzione della città di Qumran, Gerusalemme e Masada. Vengono presentati, come «preziose reliquie della memoria dell’umanità», alcuni reperti riconducibili alla figura del Santo: i frammenti del vangelo di Matteo di Coptos ed Ossirinco, la fortuita e appassionante scoperta del Codex Sinaiticus nel Monastero di S. Caterina in Egitto e i ‘Ceri’ con le immagini delle personalità che, tra il IX e il XII secolo, contribuirono al ritrovamento e alla valorizzazione dei resti dell’Apostolo nella cattedrale di Salerno. Le opere sono realizzate nel rispetto dell’antica tradizione biblica, su pergamena pesante con tessuti in lino e seta originali del XVI e XVII secolo; ciò a riportare ‘al presente’ la personalità dei personaggi per farne sentire il respiro, gli odori, i palpiti del cuore, il
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sussurro delle loro preghiere… e dei loro canti, quasi a ricomporre l’anima di ognuno di essi nel contesto dei luoghi storici della città ‘protetta’ dal Santo. Il grande ritratto di Matteo ricostruisce la figura dell’Apostolo nato tra il 4-2 a. C. a Cafarnao, città posta sul lago di Kinneret (Vecchio Testamento), Gennèsaret o Tiberiade, chiamato così nel 20 d. C. da Erode
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Antipa in onore dell’Imperatore Tiberio, o anche ‘Mare di Galilea’. Le acque di questo lago, poste a -213 metri sotto il livello del mare, unite al Mar Morto tramite la linea d’acqua del fiume Giordano, sono testimoni di molti degli episodi della vita di Gesù e degli Apostoli. Il rapporto con l’acqua è una caratteristica costante nella vita di Matteo, la familiarità con la costa e dei venti del lago di Gennèsaret gli consentiranno di affrontare, con esperta familiarità, il viaggio apostolico sul mar Nero: Sinope, Dioscuriade, paludi della Meozia, Pitsunda e Fasi, secondo la tradizione agiografica, saranno i luoghi testimoni del suo passaggio e del suo martirio, avvenuto intorno al 70 d. C. in un luogo sconosciuto della Colchide, molto probabilmente lungo le coste dell’Abkhazia, Ajaria o Georgia. Matteo, secondo la tradizione agiografica, lascia Cafarnao verso il 50 d. C. e parte per evangelizzare le aree costiere del Mar Nero (Pontus Euxinus). La familiarità con l’ambiente del mar di Galilea lo porta a viaggiare su una barca a vela quadra. Le correnti spiranti da Ovest ad Est lungo le coste della Colchide lo accompagneranno nel corso del suo lungo viaggio apostolico. L’antica Colchide – oggi quasi completamente compresa nella Georgia –, era considerata dagli antichi viaggiatori la terra «laddove sorgeva il sole». Per i Greci era «la periferia misteriosa del mondo eroico» nei cui boschi si aggiravano Giasone, gli Argonauti, Medea e Prometeo. Le popolazioni dei Laz-Mingreliani si erano stabilite in questa regione dalla media Età del Bronzo (fine II millenio a. C.). Chiuse ed inospitali, esse appartenevano al ceppo caucasico e parlavano il Megrelio e il Laz. Dopo un periodo di dominazione persiana, la regione venne colonizzata nel VI secolo a. C. dai Greci e, intorno al 101 a. C., dall’esercito di Mitridate VI del Ponto, che governò fino alla sua sconfitta, avvenuta nel 65 a. C. ad opera del generale romano Pompeo. La Colchide fu incorporata, negli anni dell’apostolato di Matteo (63 d. C.), nella Provincia romana di Galazia. Nel 53 d.C., sempre secondo la tradizione, Matteo raggiunge la città di Sinope che, ancora oggi, si mostra così come doveva apparire agli occhi dell’Apostolo, e si imbarca per Dioscuriade. Dal porto di questa città prosegue il suo viaggio verso Nord, lungo le paludi della Meotide (oggi mar d’Azov). Fermato ed imprigionato dalle popolazioni chiuse ed inospitali di questa
regione, sarà liberato solo grazie all’aiuto dell’apostolo Andrea, operante nella regione del Chersoneso (Crimea) ed attento conoscitore di quei popoli. Il ritorno in Colchide avverrà via terra, non potendo gestire le correnti marine contrarie con la vela quadra. Le fonti derivanti dalla tradizione agiografica lo danno martire in quest’area intorno al 70 d. C..
La mostra approfondisce e presenta le immagini dei frammenti del ‘Papiro Magdalen’, in greco alessandrino, traccia più antica del testo dell’Apostolo. Coptos ( anticamente Gebtu) era una città dell’Egitto che sorgeva nel luogo dove si trova oggi Qift. Durante le prime fasi della cristianizzazione dell’Egitto la città ospitò numerosi monasteri. Della città sono rimaste le rovine del tempio del dio Min, di cui era il principale luogo di culto, eretto durante il Regno Medio, e importanti resti di epoca tolemaica. Vi sono stati ritrovati, in particolare, i documenti noti con il nome di ‘Decreti di Coptos’. Il ‘Papiro Magdalen P64’ proviene da questa città. Conservato presso il Magdalen College di Oxford – da cui prende il nome – é un antico manoscritto del Nuovo Testamento costituito da 5 frammenti, 3 dei quali (Mt. 3; 5; 26), acquistati a Luxor (Egitto), furono portati ad Oxford da Charles Huleatt (1863/1908) nel 1901. Successivamente lo stesso Huleatt donò i frammenti al Magdalen College, dove sono catalogati come ‘Papyrus Magdalen Greek 17’. Nel 1994 il papirologo tedesco Carsten Peter Thiede (1952/2004), grazie all’impiego del microscopio a scansione laser, ha datato i tre frammenti al 65-66 d. C.. Nell’esposizione salernitana sono presenti le foto dei papirologi Bernard Pyne Grenfell ed Arthur Surridge Hunt, che tra il 1895 e il 1896, insieme all’archeologo D. G. Hogarth, effettuarono una lunga e fortunata campagna di scavi nell’area egiziana di Ossirinco (oggi El Bahnasa) del Fayyum. Grenfell e Hunt già dal secondo giorno di scavo, grazie alla presenza di afsh (un misto di paglia/frammenti di legno e residui organici) e di sebbakh (resti di sedimenti organici/frammenti di mattoni crudi), indici della presenza di probabili e antiche tracce di testi papiracei, scoprirono il I Papiro (P1), inventariato nel Volume I/Oxy 2 (conservato negli Archivi dell’Università della Pennsylvania – Filadelfia), datato 250 d. C., contenente parte del Vangelo di Matteo.
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I papiri del sito furono nascosti nel 68 d. C. nelle 11 grotte prima che l’esercito romano comandato da Tito Flavio Vespasiano distruggesse l’insediamento. I dati di scavo, con la relativa schedatura tecnica dei frammenti, sono pubblicati nella collana, tutt’ora in progress, «The Oxyrhynchus Papyri». La maggior parte dei reperti è oggi conservata nell’Asmolean Museum presso l’Università di Oxford. I frammenti, manoscritti su supporto papiraceo o pergamenaceo (vellum), rari su carta, datati tra il I e il VI sec d. C., comprendono migliaia di documenti pubblici e privati, registri, inventari, atti di compravendita, lettere, testi poetici e letterari in lingua greca (caratteri in scrittura onciale maiuscola), in lingua latina, copta e araba e un notevole repertorio di manoscritti teologici frammenti del Vecchio e Nuovo Testamento, inni e lettere dei primi cristiani. Gli scavi di Ossirinco hanno portato alla luce 16 frammenti: il più alto numero di reperti attribuiti all’Evangelista Matteo, datati II-VI sec. d. C.. Il grande rotolo di Isaia da Qumran, esposto all’interno degli spazi della corte catalana, è testimone del ‘Kerigma’ di Yeshua nella Sinagoga di Nazaret. Dei circa 850 rotoli e/o codici ritrovati nelle 11
grotte di Qumran (attualmente è in corso lo scavo alla grotta 12), il rotolo di Isaia (1QIsa) è l’unico reperto integro. Il grande rotolo in pergamena di capra, scoperto nel 1947 nella grotta n° 1, fu trafugato dai pastori nomadi del deserto e messo in vendita sul mercato antiquario. Lungo 734 cm, è composto da più fogli di pergamena cuciti tra loro con filo di lino, contiene 66 capitoli e 54 colonne ed è scritto in aramaico biblico con inchiostro nero prodotto da carbone e polvere di galla di quercia mescolati con l’olio. Il rotolo (oggi diremmo il file) in
origine era stretto con strisce di cuoio e conservato avvolto in tessuto di lino a trama e catena e, come tutti gli altri rotoli e/o codici, sigillato in una giara di terracotta (oggi diremmo ‘cartella di file’). La versione di 1QIsa coincide con la versione del testo masoretico (traduzione della Bibbia da parte dei Masoreti, a partire dal VI sec. d. C., con l’introduzione delle vocali nel testo ebraico consonantico). Chiude l’esposizione la presentazione dei ‘Ceri’ e dei ritratti delle personalità religiose e laiche che tra il IX e il XII secolo contribuirono alla scoperta, traslazione e valorizzazione dei resti dell’apostolo Matteo all’interno della Cattedrale normanna della città di Salerno.
Attraverso la presentazione delle immagini avvolte in antichi tessuti di seta, lino e cotone, viene ricostruita la storia del trasferimento dei resti mortali dell’Apostolo. Una grande foto da satellite illustra i due itinerari fondamentali: quello etiopico, della Passio Sancti Matthaei e quello bretone (Sermo Venerabilis Paulini). La Passio sposa la tradizione della provenienza dei resti mortali dal Mar Nero (Pontus Euxsinus) alle coste della Lucania (Elea/Casalitius); nel Sermo, invece, vengono descritte due fasi del trasferimento: la prima dal Mar Nero alla Bretagna e la seconda dalla punta Saint Pol de Léon, sulla stessa costa bretone, «in Italiam…ad Lucanos fines». La terza Translatio ha le sue radici storiche nel Chronicon Salernitanum (elaborato nella seconda metà del X secolo), in cui si narra del trasferimento ad opera del principe longobardo Gisulfo I delle reliquie dell’apostolo Matteo da Elea (Velia) a Salerno. Sempre secondo la tradizione, le reliquie furono traferite nel
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sito «ad duo flumina», identificato con Casalitius (l’odierna Casalvelino), per poi essere custodite a Caput Aquis (odierna Capaccio), ed infine, nell’anno 954, nella città di Salerno. Nel 1080 l’arcivescovo Alfano I, nel corso dei lavori di costruzione della nuova Cattedrale, finanziati dal duca
normanno Roberto d’Altavilla, ritroverà le reliquie del Santo che, deposte all’interno della cripta della cattedrale consacrata dal Papa Gregorio VII il giorno 11 luglio 1084, accresceranno, tra l’XI e il XIII secolo, la fama di Salerno in tutta Europa come ‘Civitas Sancti Matthei’.
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