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Dal Mondo
Non tutti i virus vengono per nuocere
Ci sono anche i virus “buoni”, capaci di infettare le cellule del cancro e di distruggerle. Un esempio è il virus di ratto H-1PV, che entra nelle cellule tumorali, le “rompe” e permette così l’attivazione della risposta immunitaria anti-cancro. Questo virus è anche il protagonista di uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications, nel quale gli autori descrivono il meccanismo – appena scoperto – attraverso il quale H-1PV riesce a entrare nelle cellule tumorali. Utilizzando una tecnica che permette di “spegnere” in modo selettivo i geni, gli autori hanno scoperto che le proteine della famiglia delle laminine sono le porte d’ingresso del virus nelle cellule tumorali. Le cellule con alti livelli di laminine sono più sensibili all’infezione e possono essere il bersaglio ideale per virus come H-1PV.
Covid-19, vaccini sicuri ed efficaci
I numeri parlano chiaro: dopo il ciclo completo di vaccinazione anti-SARS-CoV-2 il 94 per cento dei pazienti oncologici presenta anticorpi contro il virus. Sono i risultati di uno studio pubblicato su Cancer Cell che ha coinvolto 200 pazienti con diversi tipi di tumore e ne ha valutato la risposta alla vaccinazione contro il coronavirus. Gli autori spiegano che i tassi di risposta sono stati elevati nei pazienti con tumori solidi (98 per cento) e un poco inferiori nei pazienti con tumori del sangue (85 per cento). “Comunque anche in quest’ultimo gruppo si è osservata una risposta anticorpale” precisano i ricercatori. I dati rassicurano tutti i pazienti oncologici, anche quelli in trattamento attivo, sull’efficacia e la sicurezza della vaccinazione, strumento fondamentale contro i rischi legati all’infezione da Covid-19 in una popolazione fragile.
Nessun rischio con le cure per la fertilità
Una buona notizia per tutte le donne che si sottopongono a trattamenti per la fertilità, come per esempio la stimolazione ovarica: queste terapie non aumentano il rischio di sviluppare un tumore mammario. Lo spiegano gli autori di un articolo pubblicato su Fertility and Sterility, che hanno analizzato i dati disponibili in letteratura sull’argomento. Le donne coinvolte negli studi sono state seguite in media per 27 anni dopo il trattamento con stimolanti ovarici, trattamento che, almeno in teoria, potrebbe stimolare anche la trasformazione tumorale delle cellule mammarie. In realtà, dall’analisi non è emersa alcuna differenza nel rischio di tumore al seno tra donne trattate e non trattate.
Tumori, uno sguardo all’evoluzione
Secondo gli autori di uno studio pubblicato sulla rivista Nature, sarebbe possibile prevedere l’evoluzione di un tumore. In particolare, si potrebbe predire quali cellule all’interno del tumore hanno maggiori probabilità di crescere e di espandere la massa tumorale e quali invece verranno più probabilmente eliminate nella competizione per la sopravvivenza. È una questione di evoluzione intesa come “sopravvivenza del più adatto”, applicabile anche alle cellule tumorali. Come ricordano gli autori, le caratteristiche che permettono alle cellule di resistere a un farmaco oncologico potrebbero non essere quelle ideali per garantirne la sopravvivenza in assenza del farmaco stesso. Grazie allo studio di queste caratteristiche su modelli animali, con esperimenti di biologia molecolare molto sofisticati e con un approccio informatico di machine learning, i ricercatori sono riusciti a mettere a punto un modello che permette di predire l’evoluzione delle cellule.
Nuovi farmaci contro BRCA
Uno studio i cui risultati sono stati pubblicati su Nature Communications illustra un nuovo potenziale approccio per contrastare i tumori che presentano una mutazione nel gene BRCA, e che in genere si sviluppano nel seno o nell’ovaio. Si tratta di agire sulla capacità delle cellule di riparare i danni al DNA usando farmaci in grado di bloccare l’azione della proteina POLQ, coinvolta assieme a BRCA nella riparazione del DNA. Gli autori hanno scoperto infatti che le cellule tumorali con mutazioni di BRCA (e che quindi hanno problemi nella riparazione del danno al DNA) muoiono quando trattate con inibito ri di POLQ, mentre le cellule normali sopravvivono. Da notare che gli inibitori di POLQ sembrano funzionare anche nei tumori diventati resistenti a inibitori di PARP, oggi terapia in genere usata in presenza di mutazioni di BRCA.
Il tallone di Achille del tumore del pancreas
Da uno studio pubblicato su Cancer Discovery è emerso che ridurre i livelli di PTHrP (proteina collegata all’ormone paratiroideo) permette di prevenire lo sviluppo di metastasi e migliora la sopravvivenza nel tumore del pancreas. Nei modelli sperimentali utilizzati nello studio, l’eliminazione di PTHrP ha portato a una riduzione delle dimensioni del cancro, con risultati importanti anche nei tumori molto aggressivi: scomparsa quasi completa delle metastasi e un aumento della sopravvivenza del 73 per cento. Di fronte a questi dati, i ricercatori hanno valutato l’efficacia di un anticorpo anti-PTHrP su cellule di tumore pancreatico umano, ancora una volta con risultati incoraggianti. “Speriamo che questi dati portino in futuro a terapie utilizzabili in molti pazienti con tumore del pancreas, dato che alti livelli di PTHrP sono presenti nella maggior parte dei casi” dicono gli autori.