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by GOLF&TURISMO
PROFESSIONE GOLF Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 1 - Lo - Mi - ISSN 1123-4830 - GO.TU. S.u.r.l. Editore
RIVISTA QUADRIMESTRALE - ANNO 6 - N°17 - 8 EURO
INTERVISTE Roberto Carità Salvatore Leonardi PROBLEMI La carica dei cinghiali R&A - USGA Le nuove regole IMPEGNATI NEL VERDE I circoli virtuosi del 2018 GOLF IMPRESA Uniti per crescere
IN DIFESA DEL GOLF ITALIANO
I cinque maggiori esperti nazionali di tappeti erbosi replicano insieme e punto per punto all’ennesimo attacco sul fronte dell’ecocompatibilità ESTATE COVER PROFESSIONE ESTATE 2018.indd 6
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SOMMARIO ESTATE 2018
EDITORIALE - Obiettivo Spagna
Direttore Responsabile: Fulvio Golob fulvio.golob@professionegolfclub.it
AITG - Il notiziario degli addetti ai lavori
Redazione: redazione@professionegolfclub.it Andrea Ronchi (02 42419218), Roberta Vitale (02 42419315)
FORE! - Ma dove sta l’arcano?
Comitato tecnico: Stefano Boni (Dottore Agronomo e Superintendent Diplomato), Paolo Croce (consulente tecnico), Alessandro De Luca (Tappeti Erbosi Federgolf), Wolfgang Kuenneth (World of Leading Golf), Mariano Merlano (Area Verde AITG), Fabrizio Pagliettini (Presidente AITG), Nicola Zeduri (consulente tecnico)
ECOCOMPATIBILITÀ - In difesa del golf italiano
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PROFESSIONE GOLF Quadrimestrale dedicato agli operatori dei circoli di golf Anno VI - numero 17 - Estate 2018 - 8,00 euro
Hanno collaborato a questo numero: Stefano Boni, Salvatore Brancati, Marino Busnelli, Paolo Croce, Marco Dal Fior, Alessandro De Luca, Isabella Data, Donato Di Ponziano, Roberto Lanza, Massimo Mocioni, Paolo Montanari, Filippo Motta, Fabrizio Pagliettini, Luca Porcu, Graziano Semiani, Roberto Roversi, Albert Tamietto, Andrea Vercelli, Marta Visentin, Roberto Zoldan
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Fulvio Golob
NOTIZIE
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a cura della redazione a cura dell’Associazione Italiana Tecnici di Golf
Stefano Boni, Paolo Croce, Alessandro De Luca, Massimo Mocioni e Marta Visentin
ICS - I circoli di golf virtuosi del 2018 SERIOUS GOLFERS - Il massacro di Shinnecock Hills Filippo Motta
INTERVISTA - Il signor Otto Open
Creative Director: Patrizia Chiesa
LE NUOVE REGOLE - Ecco come giocheremo Corrado Graglia e Davide Lantos
GOLF E DIRITTO - Gli organi di giustizia
Roberto Roversi
Abbonamenti: 02 424191 - 02 42419217 - abbonamenti@professionegolfclub.it (L’abbonamento alla rivista parte dal primo numero raggiungibile all’atto dell’effettivo pagamento) Pubblicazione periodica mensile registrata al tribunale di Milano con il numero 255 del 19/7/2013. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 1 - DCB Milano. Concessionaria esclusiva per la pubblicità: Publimaster Surl, Via Winckelmann, 2 - 20146 Milano Tel. 02 42419.1 r.a. - Fax 02 47710278 - publimaster@publimaster.it Amministratore Delegato: Alessandro Zonca Ufficio traffico/commerciale: Paola Marzari (02 42419211) - paola.marzari@publimaster.it Diritti di riproduzione: è vietata la riproduzione, anche se parziale, e con qualsiasi mezzo, di fotografie, testi e disegni. Testi e foto inviati in redazione non verranno restituiti eccetto dietro esplicita richiesta. L’Editore resta a disposizione degli interessati quando, nonostante le ricerche, non sia stato possibile contattare il detentore di riproduzioni di eventuali fotografie o testi. Ai sensi dell’art. 2 comma 2 del Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, si rende nota l’esistenza di una banca-dati personali di uso redazionale presso la sede di via Winckelmann 2, 20146 Milano. Gli interessati potranno rivolgersi al responsabile del trattamento dei dati - sig.ra Federica Vitale - per esercitare i diritti previsti dal Decreto Legislativo n. 196 del 30 giugno 2003.
Stampa: Tiber Spa - Via della Volta, 179 - 25124 Brescia © 2018 Go.Tu. Surl
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Marino Busnelli e Paolo Montanari
MANUTENZIONE - La carica dei cinghiali
Sito web: www.professionegolfclub.it
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Isabella Data
Direzione, redazione, amministrazione: Via Winckelmann, 2 - 20146 Milano Telefono: 02 42419.1 r.a. - Fax: 02 48953252 redazione@professionegolfclub.it amministrazione@professionegolfclub.it
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Roberto Roversi
Vice Presidente: Silvio Conconi
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a cura della redazione
AIAG - Il passaggio dal libro all’erba
Presidente: Alessandro Zonca
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Donato Di Ponziano
Grafica e impaginazione: Mario Monza (02 42419221) - grafica@publimaster.it
Editore: Go.Tu. Surl
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PERSONAGGI - Salvatore Leonardi Calabretta Roberto Lanza
RICORDI - Il papà dei terreni erbosi
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Paolo Croce
RESORT ITALIANI - Il rilancio di Saturnia
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a cura della redazione
TESTIMONIANZE - Dura lex sed lex
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Albert Tamietto
GOLF IMPRESA - Quattro proposte su cui meditare a cura della redazione
GOLFIMPRESA - Un rapporto da incrementare Roberto Roversi
MEETING - Produttività ecologica
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Roberto Roversi
CIRCOLI - Cavaglià cresce ancora
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a cura della redazione
INTERVISTA - È nato il Golf Club Palermo Salvatore Brancati
VIAGGI E STUDIO - Macroterme e storia
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Marta Visentin
CLUBHOUSE - Colli Berici - 18 buche alla vicentina a cura della redazione
BACKTEE - E per fairway un campo di stelle… Marco Dal Fior
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EDITORIALE
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Fulvio Golob
Obiettivo Spagna
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olf in crescita o in contrazione? In certe zone l’orizzonte è favorevole (leggi Europa dell’Est e soprattutto Asia), in altre meno. In questa situazione di sostanziale pareggio, è comunque in costante crescita il fatturato del turismo legato al golf. Fatta questa breve premessa, sappiamo che il nostro sport in Italia stenta a decollare. Dal punto più alto, toccato nel 2011 con 101.817 tesserati alla Federgolf, abbiamo chiuso lo scorso anno a quota 90.173, con una diminuzione di circa il 12 per cento. E, sperando di venire smentiti dai fatti, non crediamo che nel 2018 riusciremo a invertire il trend, anche per l’aumento della tessera da 75 a 100 euro che i golfisti meno appassionati (leggi i proverbiali giocatori di carte nei circoli) potrebbero avere mal digerito. Per capire se quello italiano è un caso isolato o piuttosto un trend occidentale di medio/lungo periodo, capita alla perfezione la nuova indagine di KPMG.
divide solo un 30 per cento circa in più di campi. Il che si traduce in una media di 775 soci per circolo, più che doppia rispetto a quella italiana e superiore anche al valore medio in Europa, che KPMG stima in 605 soci per golf club. Ben identificata e logica la distribuzione dei campi, votata a servire le zone turistiche e i grandi centri, a cominciare da Madrid e Barcellona. È così che l’Andalusia ha trasformato la Costa del Sol in Costa del Golf e vivacizzato con numerosi campi sia le isole Canarie e Baleari, sia le coste della Cataluña e della Comunidad Valenciana. Questa precisa scelta sul fronte turistico ha generato a fine 2016 un mercato del golf che solo fra Inghilterra, Francia e Germania (le tre nazioni più presenti in Spagna) è stato stimato in oltre 360.000 arrivi di giocatori. Ben diversa, come tutti sappiamo la situazione in Italia, che deve ancora crescere molto in questo campo, non essendoci mai stata una politica comune a livello nazionale.
L’obiettivo stavolta è puntato sulla Spagna, che può essere considerata simile a noi, golfisticamente parlando. Introdotto nel 1891 nel Paese iberico da un gruppo di inglesi che fondarono il Real Club de Golf Las Palmas, tutto il movimento sportivo è gestito dalla Reale Federazione di Golf, che ha sede a Madrid. Nel 2010 i giocatori erano 331.633, scesi poco alla volta ai 270.463 del 2017, con una diminuzione del 18 per cento. Un dato perciò ancora più pesante di quello italiano, cui invece fa riscontro un leggero aumento (1 per cento) di campi nel periodo considerato, per giungere agli attuali 349, di cui 221 con 18 buche, 83 da 27 o più e 45 da 9. La situazione in Italia viene oggi invece fotografata così: 238 campi, 117 da 18 buche, 27 da 27 e oltre, 94 a 9. Il ritratto che ne esce è quello di una situazione generale in Spagna migliore della nostra, nonostante la caduta più accentuata di praticanti, perché un numero tre volte superiore di giocatori si
SPAGNA - NUMERO DEI CAMPI DA GOLF PER REGIONE FRANCIA
0-10 Campi Ceuta, Melilla, Navarra, La Rioja, Extremadura e Aragon
Asturias
+50 Campi Andalucía
P. Vasco Navarra La Rioja
11-20 Campi P. Vasco, Cantabria, Asturias, Galicia, Murcia, Castilla-La Mancha 21-50 Campi I. Baleares, Madrid, I. Canarias, Castilla y León, C. Valenciana, Cataluña
Cantabria
Galicia
Cataluña
Castilla y León
Aragon
Madrid
PORTOGALLO C. Valenciana Extremadura
Castilla-La Mancha
I. Baleares
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NEWS - NEWS - NEWS - NEWS ➤ PIEMONTE Una 18 nuova di zecca per Biella Le Betulle La stagione agonistica 2018 del Golf Club Biella Le Betulle si è aperta con un’importante novità sul percorso che riguarda l’allungamento della buca 18, dove è stato realizzato un nuovo green, più piccolo e ondulato rispetto al precedente, avanzato di 37 metri rispetto alla posizione esistente e difeso da due bunker (di fronte e sul lato destro, mentre al contempo è stato eliminato il bunker davanti al “vecchio” green). Lo storico percorso nato negli ‘50 dalla matita particolarmente ispirata di John Morrison raggiunge quindi dai tee da campionato una lunghezza di 6534 metri (6112 dai tee gialli, 5685 dai blu e 5378 dai rossi) contro i 6497 precedenti. Il par 5 della 18, che prima era considerata
la buca più facile del campo, passa da una lunghezza di 466 metri a 503 e diventa ora la handicap 6, lasciando lo scettro della più facile al par 3 della buca 17. Grazie a questo cambiamento supervisionato dall’architetto Fulvio Bani, è stato attribuito al campo un nuovo rating che renderà il percorso più difficile aumentando di circa un colpo di media l’handicap di gioco. La storia della buca 18 ci racconta che questa non è stata però la sua unica modifica. Originariamente infatti il percorso era un par 72 e la 18 era un par 4 che terminava in prossimità dei bunker del fairway (che ai tempi erano i bunker a difesa del vecchio del green) a destra dello stagno. Negli anni ‘70, in previsione di
alcune modifiche in seguito non realizzate che avrebbero dovuto accorciare la buca 9 trasformandola in un par 4, si decise di allungare la buca 18 e farla diventare un par 5, cambiamento che alla fine regalò al campo la caratteristica quasi unica di essere un par 73. La decisione attuale dell’allungamento della 18, in linea con il principio di incrementare il valore aggiunto del campo, segue le modifiche suggerite dal famoso architetto americano Michael J. Hurdzan. A fine anni ‘90 visitò Le Betulle preparando una relazione dettagliata dove mise in evidenza il seguente punto: “Un grande percorso deve terminare con una grande buca”, consigliando quindi di trasformare la 18 per renderla più difficile.
➤ NOVITÀ Sui fairway con due ruote
➤VENETO La Montecchia è bio e pet friendly
Volete fare 18 buche in modo rapido e divertente? Si chiama GreenBoard ed è il primo monopattino sportivo, una footbike di nuova generazione disponibile sia a spinta muscolare che elettrica. Tutti i modelli, realizzati in Italia, sono disponibili in vari allestimenti e configurabili con acceleratore o spinta assistita. È possibile equipaggiare il monopattino elettrico da golf anche in versione ibrida (acceleratore e spinta assistita) con un optional disponibile. Spostandosi con il GreenBoard, assicurano i progettisti, è possibile vivere una grande sensazione di libertà che aiuta a rilassarsi e a restare concentrato sul gioco, divertendoti e contribuendo allo stesso tempo a mantenerti in forma. Il GreenBoard Golf Edition non ha alcun impatto sui manti erbosi, occupa poco spazio nel deposito e non richiede alcuna manutenzione. Prezzi a partire da 2.220 euro. Per informazioni: www.gboard.it
Praticare uno sport completo, stare in compagnia e rilassarsi nella natura sono tre principi fondamentali della pratica del golf, allora perché non poterlo fare godendosi anche la vicinanza dei propri amici animali? Per PlayGolf54 questo progetto Pet Friendly si ispira a una tradizione consolidata in molti percorsi anglosassoni come Sunningdale, Goodwood e Stoke Park, oltre che spagnoli come il Lopesan, statunitensi - negli U.S.A. esiste anche una classifica dei migliori “Pet-friendly golf club” - ma anche italiani come ad esempio Udine e Castelgandolfo. Il contesto ideale sui Colli Euganei è il tracciato dedicato al “Caso Studio del BIOGOLF” del Golf della Montecchia, le 9 buche sinora chiamate Percorso Giallo ma che per coerenza sono diventate di nome e di fatto, il “Percorso Verde”. Un giro completo delle nove buche significa passeggiare per circa due ore percorrendo tre chilometri, è perciò fondamentale per un golf club preservare e migliorare le risorse naturali che gli sono affidate. Il progetto Pet Friendly esordirà con una fase sperimentale per testare l’adeguatezza del “Codice di comportamento” che prevede poche semplici regole come la registrazione dell’animale domestico all’arrivo – chippato e in regola con gli obblighi sanitari - poi c’è il libero accesso al Percorso Verde, ma anche al campo pratica e ai viali di accesso, oltre che al bar e alla terrazza ristorante. Il proprietario dovrà quindi aver cura di dotarsi di acqua, guinzaglio e sacchettini igienici e sarà responsabile della buona educazione del piccolo ospite, che dovrà godersi la passeggiata senza disturbare gli altri giocatori e in alcun modo la fauna locale.
➤ LAZIO Nuovo campo pratica a Roma nell’ex Velodromo Un bel progetto sportivo in partenza a Roma, che speriamo possa avere maggior fortuna del tanto discusso stadio della squadra giallorossa. Sono in corso contatti per realizzare un campo pratica sul terreno dell’ex Velodromo, demolito il 25 luglio 2008. L’obiettivo immediato è quello di un intervento temporaneo in attesa della trasformazione dell’area: il campo, illuminato e aperto a tutti a tariffe agevolate, è annunciato come imminente. Dovrebbe infatti già essere stato raggiunto un accordo di massima fra Roberto Diacetti (presidente di Eur Spa) e Federgolf per una concessione dell’area di otto mesi, che poi potrà essere rinnovata.
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➤ FRIULI VENEZIA GIULIA L’oro di Udine Una soluzione semplice e integrata ad alta efficienza: sono caratterizzati da linee essenziali i quattro edifici di The Lodge, la nuova struttura ricettiva del Golf Club Udine progettata dagli ingegneri di Uppercut, Filippo Burelli e Giacomo Borta. Circondato dal verde e protetto a nord dalle Prealpi Giulie e dalle Dolomiti Friulane, infatti, The Lodge sorge nei pressi di Fagagna (Udine), vicino all’Oasi naturalistica dei Quadris, sede dei progetti di reintroduzione della cicogna bianca e di tutela dell’ibis eremita. La struttura è situata all’interno del Golf Club Udine e costituisce l’ultima aggiunta al Villaverde Hotel & Resort di Fagagna.Quattro volumi parallelepipedi si dispongono come sospesi sul terreno orientando i loro corpi, che giacciono allineati ma sfalsati, da est a ovest. Caratterizzati da grandi vetrate che si affacciano direttamente sul campo da golf, verso ovest, gli edifici di The Lodge
si distinguono per la loro versatilità d’uso e per il design minimale e curato, capace di integrarsi perfettamente con la natura circostante e di entrare in relazione con la struttura preesistente del resort, collegato grazie a un sistema di viabilità interna.
➤ PIEMONTE A Castelconturbia la Coppa dei Presidenti 2018 Un’ottantina di giocatori in rappresentanza della quasi totalità dei circoli del Piemonte, della Valle d’Aosta e della Liguria (la macro area del Nord Ovest istituita dalla Federgolf) si sono ritrovati sullo splendido percorso del Golf Club Castelconturbia per il tradizionale appuntamento della Coppa dei Presidenti. La divertente formula gioco, una louisiana a coppie con le squadre formate a sorteggio, ha reso ancora più piacevole la giornata grazie anche al supporto di alcuni preziosi sponsor quali Conti Argenti, Domori, Taittinger, Dammann, Miramare Palace, San Maurizio 1619, Toro, Foglizzo, Almar e
Dolomitic Water. Il padrone di casa Marco Cipollini, presidente del circolo ospitante, e Marco Francia, presidente del Comitato Regionale Piemonte, hanno salutato e ringraziato i numerosi presenti sottolineando l’impegno del Comitato e delle delegazioni ligure e aostana nelle sostenere e promuovere iniziative per lo sviluppo del golf nelle
tre regioni. Lo spirito della giornata, più improntato al piacere di ritrovarsi tra amici su un campo da golf, non ha tuttavia impedito che si consegnassero score di tutto rispetto come quelli presentati delle squadre formate da Paolo Schellino e Giovanni Botta, i migliori nel Lordo con 65 colpi, e da Francesco Crippa e Federico Vaglio Tessitore, primi nel Netto con 68 colpi.
➤ RICONOSCIMENTI Stefano Boni entra in Golf Business International Il collaboratore della nostra rivista Stefano Boni è entrato a far parte di Golf Business International, un’associazione no-profit internazionale che mette a disposizione dell’industria golfistica servizi di consulenza imparziali e indipendenti. Il range di attività va dall’assistenza a investitori per il concepimento di un progetto fino alla gestione a 360 gradi di club esistenti e al finanziamento a fondo perduto, attraverso una specifica fondazione, di iniziative di sviluppo connesse al golf che abbiano un riconosciuto valore sociale. Fornisce inoltre supporto tecnico ad associazioni come England Golf, l’organo di governo ufficiale del golf inglese, e attraverso questa a oltre 1.900 circoli affiliati. Stefano Boni darà assistenza a Golf Business International sia come promotore dell’associazione per l’Europa Continentale, sia in qualità di consulente per diversi aspetti: da quelli agronomici e ambientali fino a quelli relativi al club management. Attraverso i loro canali di informazione si impegnerà anche per dare risalto a tutte quelle storie positive che il golf socialmente e ambientalmente impegnato continua a produrre.
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NEWS - NEWS - NEWS - NEWS ➤LOMBARDIA Mantova più due
➤ SICILIA Grandi novità a I Monasteri I Monasteri Golf Resort, cinque stelle siciliano alle porte di Siracusa, recentemente è entrato a far parte del gruppo di hotel management JSH Hotels & Resorts. Fra i primi interventi dopo il cambio di gestione, l’apertura della nuova Zagara SPA by Clarins. In questo angolo di Sicilia avvolto da aranceti, limoneti, piantagioni di fichi d’india, melograni e carrubi, ha preso il via un progetto ambizioso fortemente voluto da JSH, che unisce il prestigio e l’unicità di Clarins a una visione di ospitalità dove il benessere è un valore imprescindibile, da declinare in ogni sua forma. Il nome della SPA è ispirato a un fiore autoctono, la Zàgara, che con il suo profumo e il suo colore delicato avvolge gli alberi di agrumi durante tutta la primavera.
Importanti novità al Mantova Golf Club, progetto di campo pratica iniziato quattro anni fa a San Lorenzo di Curtatone. Unico circolo con buche nella provincia di Mantova, assieme all’Airone di Castel Goffredo, è diventato un importante punto di riferimento anche per sua vicinanza al capoluogo. Il centro di Mantova è infatti solo a un quarto d’ora di strada e questo consente di avere un discreto bacino d’utenza. Attualmente la struttura può contare su zona approcci, putting green, 12 postazioni in un campo pratica da 200 metri di lunghezza, affiancate da quattro buche par 15. La grande novità è quella della realizzazione di due ulteriori buche, già in lavorazione da tempo e che dovrebbero essere inaugurate prima dell’inverno. Il progetto è stato curato dal punto di vista agronomico da Nicola Zeduri, puntando sul contenimento del consumo idrico. Il Mantova Golf Club, presieduto da Claudio Boni, conta oggi circa 100 soci, che stanno crescendo anche grazie alle lezioni impartite dal maestro del circolo Matteo Ferraloni.
➤ TOSCANA Mezzo secolo di golf e certificazione ecologica per Tirrenia Il circolo di Tirrenia sta celebrando un compleanno molto importante. Il circolo toscano è infatti nato nel 1968 e quindi ha toccato il ragguardevole traguardo del mezzo secolo. In questi anni ha mantenuto inalterati i propri punti di forza sino ai nostri giorni: stesso percorso e stesso modo di viverlo. Si sono avvicendate le persone che vi lavoravano, dai segretari ai caddie master, dai greenkeeper ai maestri, ai gestori del ristorante, senza però alterare bellezza, tranquillità e soprattutto senso di accoglienza
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che rende il Golf Tirrenia così “speciale”. Coloro che vi arrivano percepiscono subito l’atmosfera particolare che vi si trova, quel senso di incontrarsi tra amici ed essere benvenuti. Il Golf Tirrenia è così: semplice ma con una bellezza intrinseca, come quella che si ammira dalla terrazza che si affaccia su un mare di alberi, di verde e di quiete.
Chi vi arriva può solo sentirsi felice di trovarsi in un ambiente così particolare. Colpito dalla bellezza del luogo Romolo Berti, nel 2005, è diventato proprietario del club e, con la moglie Savina De Falco e la figlia Maria Sonia, si è prodigato nel lavoro di costruzione prima e abbellimento poi, per rendere il campo migliore e l’insieme
sempre più gradevole. Il lavoro svolto ha reso tutto ancora più piacevole e curato. Il percorso è seguito con grandissima competenza dal greenkeeper Davide Giuntini con il suo staff. Un importante riconoscimento è stato consegnato all’Open d’Italia da parte della Federazione Italiana Golf: il premio Impegnati nel Verde per la categoria “Biodiversità”. Un titolo che arriva per aver realizzato opere e iniziative in favore della conservazione della natura e per le attività di sensibilizzazione ambientale portate avanti nei confronti di visitatori e giocatori.
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Associazione Italiana Tecnici di Golf
Meeting di primavera: due giornate in Paradiso
Foto Cristiana Casotti
Una carrellata di immagini dell’incontro AITG svoltosi ancora una volta presso l’accogliente e funzionale centro congressi nel club di Peschiera del Garda
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In questa pagina, foto di gruppo, prove pratiche sul campo e l’agguerrito e cordialissimo team della segreteria AITG
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NOTIZIARIO
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Foto Cristiana Casotti
Associazione Italiana Tecnici di Golf
Meeting di primavera AITG al GC Paradiso del Garda, che con ogni probabilità ospiterà anche la sessione autunnale prevista a metà novembre. Nelle foto l’affollata platea durante il discorso di apertura, il Consiglio e un gruppo di associati. A destra, dall’alto, il presidente Pagliettini con gli esperti De Luca e Mocioni, con l’architetto Rota Caremoli e l’avvocato Ernesto Russo; Davide Lantos e Corrado Graglia, i “guru” delle Regole. In basso, targhe per Maurizio Zani, Mattia Benazzo e Ferdinando Peyron
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Donato Di Ponziano
MA DOVE STA L’ARCANO? Stiamo cercando in tutti i modi di aumentare il numero dei golfisti. Abbiamo i campioni, i campi e la Ryder Cup, ma servono strutture popolari Francesco Molinari insieme a Tiger Woods dopo lo storico successo nel Quicken Loans National, il primo di un italiano sul PGA Tour. Nella pagina accanto, la Ryder Cup
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oglio fare un esercizio in solitario: vorrei provare a costruire un ragionamento utile a comprendere se esistono o meno le possibilità che il nostro golf italiano possa crescere. Il momento è difficile per quanto attiene ai numeri, ma l’esposizione non è mai stata così alta. Addirittura un’emittente televisiva come Sky riserva al golf un canale che trasmette 24 ore su 24: una promozione senza precedenti. Ogni settimana gli appassionati e non hanno la possibilità di apprezzare da casa le gesta dei migliori giocatori al mondo. Una situazione così favorevole che dovremmo fare salti di gioia. La Ryder Cup, l’evento golfistico più importante al mondo, ap-
proderà in Italia tra 4 anni e garantirà all’Italia un’esposizione mediatica irripetibile. Nel nostro piccolo riusciamo anche a creare risultati sportivi eccezionali, attraverso le vittorie dei nostri professionisti e dilettanti. Stiamo ancora celebrando il trionfo di Chicco Molinari negli Stati Uniti che ci ha permesso, attraverso la sua impresa, di scrivere per la prima volta il nome di un italiano nel grande libro del PGA Tour. Ma girando intorno ai nostri risultati, non può nemmeno sfuggire che attraverso le vittorie di Matteo Manassero siamo riusciti ad esprimere il più giovane vincitore sul tour europeo dopo il grande Severiano Ballesteros. Senza poi dimenticare le grandi imprese di Costantino Rocca che riuscì nella Ryder Cup a mandare a casa Tiger Woods dei tempi migliori. Poi Paratore, Bertasio, Gagli e tanti altri. Persino nel mondo femminile, purtroppo così dimenticato, possiamo vantarci di proette che hanno vinto in campo internazionale come Diana Luna. Una volta si diceva che per crescere il golf italiano avrebbe dovuto avere un grande campione, grandi giocatori. Oggi i campioni li abbiamo. Vengono celebrati in tutto il mondo e in passato ci sono pure stati, ma nonostante ciò il numero dei golfisti in Italia è al palo. Poi si pensava che la soluzione fosse quella di avere tanti bei campi a disposizione e ci accorgiamo oggi che, persino quelli più belli e blasonati, fanno fatica a superare il numero minimo di soci che servono per tenere a galla la barca del club. Erano tanti i convinti che sarebbero state necessarie nuove strutture a vocazione turistica per incrementare il numero dei tesserati. Negli ultimi 20 anni, sono nati golf resort in Sicilia, Sardegna, Toscana, sul lago di Garda, in Emilia Romagna, in Puglia, ma le centinaia di milioni di euro investiti, da imprenditori che hanno creduto nel golf, non sono neanche questi serviti ad assicurare un significativo impulso al movimento. Gli esperti dicono che per raggiungere un obiettivo importante, ci vuole organizzazione. Anche qui non ci manca nulla, la Federazione ha un’organizzazione e una forza lavoro che nulla ha da invidiare a quelle dei paesi cosiddetti golfisticamente sviluppati. Nel mio piccolo quindi mi ritrovo ad andare avanti nel ragionamento per esclusione e sono arrivato a considerare l’ultima carta che mi rimane in mano: per far crescere il numero dei golfisti in Italia, forse bisognerebbe provare con l’unica cosa che ancora ci è mancata nel tempo: la realizzazione di strutture popolari, come campi pratica e campi promozionali. Sembrerebbe una bestemmia a guardare quanto si stia lontano per considerarla. Eppure di altre carte in mano per vincere la partita non mi pare ce ne possano essere. Almeno io mi fermo sempre qui. www.donatodiponziano.net
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IN DIFESA DEL GOLF ITALIANO
Su corriere.it è stato pubblicato un articolo che, ancora, colpevolizza a sproposito la manutenzione dei nostri campi, bollandoli per un eccessivo utilizzo di fitofarmaci e pesticidi. Ecco come i cinque piÚ importanti esperti del settore rispondono, punto per punto, a inesattezze e disinformazione
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Nelle foto di questo servizio, l’importante rapporto che esiste con la fauna locale e la natura sui percorsi di golf a tutte le latitudini. Ecco un esempio australiano
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Questo articolo è stato scritto e firmato da: Dr. Agr. Stefano Boni Dr. Paolo Croce Dr. Alessandro De Luca Dr. Agr. PhD. Massimo Mocioni D.ssa Marta Visentin
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n recente articolo (“SPORT E PESTICIDI: SU COSA METTIAMO I PIEDI GIOCANDO A CALCIO, GOLF E RUGBY?”) uscito su Data Room, una sorta di blog edito dal Corriere della Sera e a cura di Milena Gabanelli, proprio con la collaborazione video della prestigiosa giornalista e con il testo di Domenico Affinito, ci induce a battere il tasto su questo tema: l’informazione. I due giornalisti in questione, si sono occupati di un argomento assai delicato anche per noi che siamo del settore, ma lo hanno fatto senza prendere eccessive precauzioni e soprattutto le corrette informazioni. Purtroppo dobbiamo riscontrare che il pezzo in questione fa molto male al mondo del golf e dello sport in genere e rappresenta un vero e proprio colpo basso nei confronti di tutti (dirigenti sportivi, tecnici, atleti, alcuni esponenti del mondo dell’industria, organizzazioni sportive e ambientaliste) quelli che molto prima del Corriere della Sera, molto prima di qualsiasi PAN, molto prima della Legge europea del 2012, hanno profuso sforzi, impegno, dedizione e soldi per perseguire gli obiettivi di trasparenza intellettuale, sostenibilità ambientale e difesa del diritto alla salute anche nel campo sportivo. Per non fare cenno degli aspetti naturalistici, trattati attraverso
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innumerevoli ricerche scientifiche svolte e pubblicate su riviste nazionali e internazionali e presentate in occasione di convegni, con particolare riferimento all’ornitologia, e i monitoraggi che continuano a essere effettuati per censire la diversità presente nei circoli di golf. Tutto ciò a dimostrazione della valenza che i territori sportivi e le loro pertinenze hanno per la conservazione della natura. Iniziative volte al miglioramento della biodiversità rappresentate ad esempio da Operation Pollinator, dalla diffusione di nidi artificiali per uccelli, insetti e chirotteri, dalla rinaturalizzazione di luoghi degradati e monitorati al fine di raccogliere dati utili anche per tesi di laurea. Attività riconosciute anche dall’IUCN che ha pubblicato un report “Sport and Biodiversity” in cui si evidenzia quanto le azioni per mitigare gli impatti negli impianti sportivi siano reali opportunità per la tutela della biodiversità e per sensibilizzare l’opinione pubblica. Per chi avesse desiderio di documentarsi sulla attività che in tutti questi anni è stata svolta in campo ambientale ecco il link giusto: FEDERGOLF.IT/IMPIANTI-IN-ITALIA/PUBBLICAZIONI-E-RICERCHE/. Ma tutto questo diventa poco significativo se chi decide di occuparsi di queste tematiche non esplora un orizzonte più vasto di informazioni e di pareri tecnici. A seguito dell’articolo si è avuto uno scambio di e-mail con Domenico Affinito. Gli sono state fatte osservazioni di merito e di forma anche molto pressanti, ma sembra che non vi sia modo di comprendersi e di dialogare su fatti, numeri reali ed eventi circostanziati. Tutto ciò che a nostro avviso manca nell’articolo di cui sopra. Ma veniamo alla sostanza e cerchiamo di far emergere punto
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per punto le cose che riteniamo non vere. Ne soffrirà lo scorrere del testo e la forma dell’articolo, ma pazienza: questo è uno di quei casi dove è bene mettere seriamente i puntini sulle “i”. Scrive il giornalista: “20 IMPIANTI DI GOLF NEL PIEMONTE”. Questo non è vero. Gli impianti di golf nel Piemonte sono ad oggi 58 di cui 12 campi pratica. Nel 2013, anno a cui fa riferimento l’articolo, erano in totale 63. Scrive il giornalista: “8.000 KG DI PESTICIDI CONSUMATI NEI 20 CAMPI PIEMONTESI”. A seguito di precisazione via e-mail, il giornalista riferisce che il dato è stato preso da una pubblicazione del settore. Di conseguenza è una stima che qualcuno ha fatto ed è un numero che non proviene da alcuna indagine del settore e/o da dati di vendita del mondo dell’industria. Ma sempre via mail il giornalista ci informa che il dato è confermato da esperti del settore, che però in osservanza della regola sulla tutela delle fonti non si possono citare. Questo in realtà è quanto mai singolare. Se infatti si può essere d’accordo che vi sia una regola giornalistica (non una legge ovviamente) volta a proteggere le fonti, ammesso che ciò abbia un senso in una simile diatriba, questo certamente non può riguardare i dati prodotti! Se si vuole snocciolare dati, per rendere più credibile l’articolo, è dovere del giornalista citare le fonti di provenienza degli
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stessi, altrimenti si fa pura propaganda di una eventuale tesi precostituita e non informazione. Se si riportano dati, regola giornalistica (altrettanto valida della precedente) vorrebbe che ne venisse indicata l’origine, altrimenti non si commentano fatti, ma opinioni in libertà. Al giornalista, forse l’ultimo dei puri esistenti in circolazione, non è assolutamente venuto in mente che magari i presunti esperti del settore interpellati possano avere degli interessi nell’avvalorare informazioni fasulle, depistando o tacendo altre informazioni, come vedremo in seguito. Unico lavoro di indagine reale effettuato da ricercatori indipendenti è datato 2008 ed è una pubblicazione destinata all’ETS, European Turfgrass Society (Golf Courses and Traditional Crops: a Comparison of Inputs). In tale lavoro si confrontavano una ventina di campi da golf della pianura padana e le più comuni colture alimentari. All’epoca risultava che nel mondo del golf si consumavano 2,4 volte in meno di erbicidi, 2 volte in meno di fungicidi, una volta in meno di insetticidi, 2 volte in meno di acqua, 4 volte in meno di azoto, 9 volte in meno di fosforo e 2 volte in meno di potassio rispetto alle colture agricole. Il tutto ovviamente molto prima del PAN. Altro lavoro interessante, ma purtroppo altrettanto datato (2008) quello di due ricercatori CNR Caggiati e Bazzani: “Valutazione degli impatti ambientali dell’attività golfistica in relazione a quella agricola”.
A sinistra le onde di festuca in tempesta sul percorso di Sandy Hills, a Rosapenna, nella parte nord dell’Irlanda, lasciate crescere in modo assolutamente naturale. Qui sopra, oche in libertà su un green
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18 Scrive il giornalista: “529 TONNELLATE DI PRODOTTI NOCIVI O TOSSICI SUL TOTALE DEGLI IMPIANTI SPORTIVI IN ITALIA”. Agli autori di questo articolo non risulterebbe esistere un censimento di questo tipo, ma tutto può essere... Il dato è frutto di una indagine sul fatturato delle aziende del settore? E se la risposta è sì, le vendite agli impianti sportivi come sono state scorporate dalle analoghe vendite nel settore ornamentale? Singolare poi che da un doppio dato privo di riscontro riferito al golf (8.000 kg di pesticidi nei venti campi piemontesi) si estenda una proiezione altrettanto ipotetica di quantità consumate in altri sport (rugby e calcio). Candidamente il giornalista ci riferisce via e-mail che tale dato parte sempre dai famosi 8.000 kg consumati nei 20 campi piemontesi. Il dato precedente, ricavato dal semplice fasullo conteggio 8.000 kg / 20 campi = 400 kg/campo è stato riportato su scala nazionale. Quindi, non si è in possesso di alcun dato, censimento, indagine, ma solo di un numero presente in un articolo di una rivista, avallato però da pareri di presunti esperti che devono restare rigorosamente anonimi. I presunti esperti interpellati hanno poi però a nostro avviso omesso di precisare che: I campi di golf nel 2013 erano pari a 412 (annuario calendario FIG 2013). All’interno di questo numero si contano 138 campi pratica (piccole strutture per l’allenamento, di solito non più grandi di 2/3 ha) e 40 campi promozionali (strutture non affiliate che misurano di solito non oltre i 10 ha). Le restanti 234 strutture sono veri e propri campi da golf, ma
presentano differenze di superficie e quindi di eventuale utilizzo di prodotti fitosanitari molto diverse tra di loro (abbiamo campi a 9, 18, 27, 36 e perfino 45 buche). I campi da golf in Piemonte nel 2013 erano pari a 63 (annuario calendario FIG 2013). I campi pratica e buona parte dei campi promozionali non facevano pressoché uso di prodotti fitosanitari sia per la tipologia di impianto (campo pratica), sia per l’alto costo dei prodotti che in genere piccoli impianti di quel tipo non si potevano permettere. Da tutto questo deriverebbe che il dato fornito scenderebbe a 93.600 kg (234 campi x 400 kg) su scala nazionale, ma resterebbe comunque farlocco in quanto basato su un presunto consumo medio di 400 kg/campo che uno o più presunti esperti del settore hanno pensato un bel giorno di avvalorare. Si parla inoltre di tonnellate di prodotti nocivi o tossici. Tanto per fare un esempio il PAN (Piano di Azione Nazionale) è riservato ai fitofarmaci, ma non fa cenno alcuno sui concimi. Alcuni di questi prodotti (concimi) contengono le stesse frasi di rischio di alcuni fitofarmaci e quindi, pur essendo perfettamente legali, possono risultare nocivi tanto quanto i prodotti fitosanitari vietati. Il dato che viene riferito considera solo i fitofarmaci? Ingloba anche i concimi e altri prodotti chimici? Alla puntualizzazione, il giornalista scrive via e-mail che la contestazione è risibile in quanto l’articolo verteva solo sul
Nelle foto di queste pagine, due meravigliosi e celebri percorsi di golf, inseriti in maniera perfetta nell’ambiente che li circonda: qui sopra il Championship Course a Turnberry e a destra il PGA Catalunya a Girona
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PAN. Eppure considerato il titolo, leggendo l’articolo e vedendo l’intervento video di Gabanelli, risulta chiaro ed evidente a tutti che il senso del pezzo consisteva proprio nella preoccupazione circa la presenza di eventuali sostanze nocive nei tappeti erbosi che calpestiamo facendo sport. Il discorso agrofarmaci - fertilizzanti è quindi di conseguenza indispensabile. Proprio per superare la legge al punto precedente, nella gestione dei tappeti erbosi (così come in agricoltura biologica) sono nati protocolli che prevedono l’uso regolare di prodotti a base di metalli pesanti (manganese, zinco e anche rame, il quale pur essendo da anni usato in agricoltura, oggi è messo in discussione per il rischio di bio accumulo). Questi prodotti vengono applicati non in base a un’effettiva carenza dell’elemento nel terreno (per questo motivo alcuni prodotti sono autorizzati in agricoltura bio: non esistono prodotti organici che li contengano e quindi non possono essere risolti problemi di carenza se non con prodotti minerali), ma per contrastare malattie fungine. Alcuni di questi prodotti hanno frasi di sicurezza molto serie e se tali formulati fossero registrati come prodotti fitosanitari (come probabilmente sarebbe dovuto essere se si avesse realmente a cuore la salute dei cittadini) non sarebbero utilizzabili in aree frequentate da popolazione. Al momento questi prodotti possono essere venduti a chiunque (senza abilitazione) e distribuiti da chiunque, senza indicazioni delle dosi e di tempi di rientro. Un altro esempio è il solfato di ferro, che molte ditte commercializzano come fertilizzante antimuschio, ma che in Francia è registrato come fitosanitario o anche il fosfito di potassio (da noi fertilizzante, mentre in Spagna è considerato fungicida). Siamo in attesa di una nor-
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mativa europea che risolva questi problemi. Al momento l’uso di questi protocolli, che un po’ tutte le aziende del settore hanno sviluppato e stanno sviluppando, è comunque totalmente legale nel nostro Paese. Ciò non toglie però che, così come alcuni fitofarmaci, alcune delle sostanze vendute come concime, ma utilizzate in realtà come fitofarmaco, possano rappresentare un pericolo per la salute. Lo sapevano questo gli articolisti? Scrive il giornalista: “NEL 2014 SI SAREBBE DOVUTA GIRARE PAGINA. INVECE È STATA SUBITO FATTA UNA DEROGA, FINO AL LUGLIO 2018 PER IL PROCHLORAZ”. Questo non è vero. Il principio attivo Prochloraz non è stato autorizzato in deroga, ma all’epoca era l’unico prodotto, già registrato sul tappeto erboso, che rispondeva alle caratteristiche indicate dal PAN per ciò che concerneva le aree sensibili. Al momento del rinnovo della sua etichetta (2017) le aziende produttrici non hanno più inserito il tappeto erboso quale campo di impiego, per cui è stato concesso un periodo per lo smaltimento delle scorte, prima del completo ritiro. Scrive il giornalista: “LA BUONA NOTIZIA È CHE IN QUESTI GIORNI A GARDAGOLF È IN CORSO IL 75° OPEN D’ITALIA ED È IL PRIMO TORNEO INTERNAZIONALE DI GRANDE LIVELLO CHE SI GIOCA SU UN CAMPO CERTIFICATO: “GEO PESTICIDE FREE”. Questo è purtroppo non è vero. GEO Pesticide Free non è un marchio nè tantomeno un logo GEO. GEO, ovvero Golf Environment Organisation è un Ente internazionale certificatore di sostenibilità ambientale dei campi da golf. Non ha
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20 però nelle sue procedure di certificazione tale dizione. GEO ha già certificato ambientalmente una decina di campi da golf in Italia e diverse centinaia nel mondo. E se il numero di impianti certificati viene ritenuto ancora esiguo ciò è dovuto al complesso delle procedure di certificazione, che possono richiedere anche anni per essere espletate. Al momento Gardagolf ha acquisito recentissimamente la certificazione GEO, quella standard, l’unica che l’organizzazione promuove. Sarebbe sicuramente auspicabile che GEO potesse avviare una procedura di certificazione con tale marchio qualitativo, ma non nascondiamoci le difficoltà di esercitare una qualche forma di puntuale controllo, come vediamo nel punto seguente. Esiste comunque in Italia una certificazione BioGolf (verificata da un gruppo di lavoro costituito da FederGolf, Istituto per il Credito Sportivo, Golf Environment Organisation, Legambiente, FederParchi, Fondazione Univerde) che rilascia certificazioni biologiche. Nella sua e mail inviata il Giornalista scrive: “RIBADISCO QUANTO SCRITTO NEL PEZZO: SICCOME L’ANALISI DI UN CAMPO COSTA 80 EURO, NON CAPISCO COME MAI TUTTI I CAMPI NON FACCIAMO AUTONOMAMENTE DELLE ANALISI PER DIMOSTRARE DI ESSERE IN REGOLA.” In realtà non è così difficile da capire. Se pochi lo fanno un motivo c’è e anche più di uno. Un campo da golf di 18 buche ha una superficie mantenuta a tappeto erboso solitamente di oltre 12/15 ettari in media, in alcuni casi anche di più. Nel caso di un’autocertificazione, come suggerisce l’articolista, vuoi che non si riesca a trovare un metro quadro non trattato da alcun fitofarmaco
dove prelevare un campione da inviare al laboratorio? Ecco perché mostrare un certificato di analisi di un qualsiasi laboratorio lascia il tempo che trova. Sarebbe necessario un campionamento più dettagliato, fatto da Enti terzi, come appunto GEO, ma evidentemente con un costo logicamente ben più alto degli 80 euro riferiti dal cronista. Ma il discorso non si esaurisce qui. Vi sono altre ragioni che rendono comunque poco significativo il dato di laboratorio e sono ragioni questa volta non legate a una specifica malizia dei manutentori. Molti campi queste analisi non le fanno, ma altri sì. Quelli che non le fanno hanno comunque buoni motivi. L’articolista non è del mestiere e gli esperti che ha consultato gli hanno probabilmente taciuto l’eventualità. Non è infatti semplice né tantomeno incontrovertibile dare la dimostrazione dei propri buoni intenti e dimostrare che il mio campo sia “pesticide free”. Se ad esempio irrigo il mio tappeto erboso con acqua di falda o comunque con bacini che sono oggetto di immissari esterni al mio campo, non ho alcun controllo sulle sostanze che in quell’acqua sono disciolte e che possono pervenire al mio tappeto erboso. Posso essere il migliore ambientalista del mondo e addirittura attenermi a un rigido protocollo biologico di manutenzione, ma se a fianco del mio campo da golf ho un campo di mais e l’acqua irrigua è di falda e/o di un corso d’acqua che raccoglie i residuo del campo agricolo, nelle relative analisi del suolo, in caso di controllo da parte di Asl o di verifiche interne, vi possono essere forti probabilità di trovare principi attivi vietati sul tappeto erboso, ma perfettamente legali sulle colture alimentari.
Qui sopra i famosi daini che vivono in assoluta libertà sul percorso veneto dell’isola di Albarella. A destra, un gabbiano sul fairway e Ian Poulter alle prese con un gruppo di scimmie all’interno di un golf asiatico
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Il giornalista fa poi due affermazioni assai temerarie. La prima: “A 4 ANNI DALL’ENTRATA IN VIGORE NON È DATO CONOSCERE QUANTE SOCIETÀ SPORTIVE SIANO IN REGOLA. SECONDO GLI ESPERTI DEL SETTORE ALMENO IL 50% È FUORILEGGE”. Il dato è del tutto privo di riscontri e anche in questo caso sarebbe stato opportuno citare la fonte che ha ritenuto fuorilegge la metà delle società sportive in Italia. Non esistono censimenti di questo tipo e i fantomatici esperti del settore consultati possono solo riferire esperienze personali legate ad alcune specifiche situazioni. Nella mail l’articolista, nell’intento di avvalorare la tesi, spiega che tale posizione è condivisa anche da un docente universitario, come se questo fatto potesse rendere più credibile l’affermazione. Anche in questo caso però nessun nome, anonimato completo. La seconda: “NEL 2017 FIGC, FEDERGOLF E FEDERUGBY, ATTRAVERSO IL CONI, HANNO CHIESTO AL MINISTERO DELLA SALUTE UNA DEROGA ALL’USO DI FITOFARMACI SUI TERRENI DI GIOCO. IL MINISTERO STA VALUTANDO L’APPROVAZIONE O MENO DI TRE PRODOTTI”. Anche in questo caso l’articolista non si è documentato a sufficienza. La deroga per i tre prodotti (MCPA, Pendimetalin e Propiconazolo) non è stata chiesta dalla Federgolf nè dalle altre federazioni sportive citate, ma da altri portatori d’interesse. Su pressione dei Circoli di golf, che erano in seria difficoltà nella gestione dei tappeti, la scorsa primavera (2017) era stata richiesta una deroga dalla Federgolf e dalla Lega Calcio (FIGC e Rugby si sono totalmente disinteressate) per due fungicidi. Questa richiesta, pur se accettata dal Servizio Fitosanitario Nazionale, non era stata completata perché nessuna ditta titolare dei due principi attivi aveva inviato il dossier finale richiesto. Probabilmente il mercato non era per loro interessante, per cui non sono stati li a perdere tempo. Se avessero saputo della possibilità di vendere oltre 500 tonnellate di prodotto ci avrebbero fatto forse un pensiero... Successivamente a fine 2017 è stata fatta una richiesta di deroga per un prodotto autorizzato in agricoltura biologica a base di Pseudomonas, che è stato permesso fino a maggio (come si sa la deroga dura 120 giorni). “I METODI ALTERNATIVI CI SONO SEMPRE STATI. E COME SI FA A MANTENERE IL MANTO ERBOSO? USANDO METODI NATURALI, SFALCIO MANUALE, INTERVENTO CON VAPORI CALDI, FERTILIZZANTI, SCELTA DELL’ERBA ADATTA A SUOLO E CLIMA, RIZOLLATURA, SEMINA ABBONDANTE E FREQUENTE...” In questo punto del testo l’articolista si lancia in un improbabile minestrone di tecniche agronomiche o pseudo tali che consentirebbero l’eliminazione dei prodotti fitosanitari sul tappeto erboso. Scemi noi a non averci pensato prima. Brevemente verrebbe da scrivere in risposta: Le proposte elencate sono accattivanti, ma vanno suddivise in: Soluzioni infantili (sfalcio manuale con coltello, rizollatura) inapplicabili sul totale della superficie di un campo da golf a 18 buche (50/70 ettari). Normalmente i Superintendent e i Greenkeeper svolgono interventi manuali solo sui green di superficie molto più ridotta (1/2 ha).
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Soluzioni improprie: aceto. Soluzioni di limitato impiego (le fonti termiche) perché utili solo in caso di diserbo totale e non per quello selettivo che rappresenta invece oltre il 95 % delle necessità nei campi sportivi. Soluzioni nutrizionali (speed feeding) che non hanno al momento alcun riscontro agronomico, anche se da molti anni tali apporti ridotti sono allo studio di scienziati statunitensi con il solo impiego di urea e non di fertilizzanti particolarmente tecnici e quindi particolarmente costosi. Soluzioni appropriate (arieggiamento, sviluppo di microrganismi antagonisti, scelta delle corrette essenze per quelle determinate situazioni pedoclimatiche) che possono contribuire a una limitazione dei patogeni, delle infestanti e degli attacchi di insetti, ma al momento purtroppo non ad una loro eradicazione. Ma non è tutto così semplice come l’articolista scrive. Prendiamo l’esempio dell’acido acetico per il contenimento delle infestanti. È vero, è efficace. Ma l’uso del prodotto è improprio. L’acido acetico è venduto come corroborante in agricoltura ma, usandolo per la sua azione biocida, dovrebbe essere registrato come prodotto fitosanitario dal Ministero della Salute, come tutti i prodotti fitosanitari (anche quelli autorizzati in agricoltura biologica), così come ad esempio è stato per l’Acido Pelergonico, disseccante simile per la sua natura (estratto per la prima volta dal Pelargonium roseum) che è registrato per questo scopo dal Ministero della Salute. Tra l’altro, come si può ben vedere dalla scheda di sicurezza, se fosse registrato come prodotto fitosanitario non potrebbe essere utilizzato in STEFANO BONI Dottore agronomo, laureato in Scienze Agrarie presso l’Università degli studi di Pisa; lavora nell’ambito del golf dal 1996 e si occupa di tappeti erbosi dal 2004. Nello stesso anno ha conseguito l’attestato di Alta Formazione in Agricoltura Sostenibile presso la Scuola di Studi Superiori Universitari Sant’Anna di Pisa. Nel 2008 ha ottenuto la qualifica di superintendent presso la Scuola Nazionale di Golf. Scrive articoli di manutenzione e design di campi di golf per riviste di settore. Collabora con la FIG dal 2010. PAOLO CROCE Laureato in Scienza e Tecnologia della Coltivazione presso l’Università degli Studi di Perugia, diplomato in Turfgrass Science presso la Texas A&M University. Opera nel settore dei tappeti erbosi dal 1980 in qualità di Consulente Tecnico. Verificatore per conto di Golf Environment Organisation. Autore e co-autore di varie pubblicazioni scientifiche, è coautore della nuova edizione del libro
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aree frequentate da popolazione, in quanto porta in etichetta le frasi di rischio H315 e H319. Inoltre, tutti i prodotti fitosanitari autorizzati in agricoltura biologica devono essere registrati come i normali prodotti chimici e purtroppo nessuno di quelli già autorizzati (a eccezione di uno) è permesso su tappeto erboso, cosa che rende più difficile la gestione totalmente biologica. Una richiesta, logica e sensata, che era stata fatta anche in accordo con l’associazione nazionale direttori parchi e giardini, è che i prodotti fitosanitari autorizzati in agricoltura bio potessero essere usati anche per le ornamentali e i tappeti, ma è stata totalmente inascoltata. “SECONDO LE FEDERAZIONI SPORTIVE I METODI ALTERNATIVI SONO TROPPO COSTOSI. IN ALTRE PAROLE: PER FAR RISPARMIARE ALCUNE MIGLIAIA DI EURO A SOCIETÀ CHE FATTURANO MILIONI DI EURO, SI STA VALUTANDO DI METTERE A RISCHIO LA SALUTE DI COLORO CHE PRATICANO SPORT O CHE VIVONO VICINO AGLI IMPIANTI SPORTIVI.” L’articolista, convinto che le società sportive siano ricche come Creso, ma anche avare come Arpagone, le ritiene responsabili di mettere a rischio la salute degli atleti e di tutti coloro che vivono nei pressi degli impianti sportivi. Qui è bene che le risposte siano molteplici e articolate: Quello che l’articolo si dimentica di dire è che la quasi totalità dei prodotti fitosanitari vietati nelle aree a rischio citate dal PAN è normalmente utilizzata nelle colture agrarie alimentari. L’utilizzo di questi prodotti nel settore verde è infinitesimale rispetto a quello agricolo. Se la salute viene prima di tutto, ci si aspetta una forte presa di posizione da parte degli estensori dell’articolo anche e soprattutto nei
“Tappeti erbosi” di Panella (Sole24OreEdagricole), il principale testo scientifico presente in Italia sull’argomento. ALESSANDRO DE LUCA Laureato in Scienze Agrarie presso l’Università di Bologna, diplomato in Turfgrass Science presso la Texas A&M University. Opera nel settore dei tappeti erbosi dal 1989, dal 1991 è consulente tecnico della Federazione Italiana Golf e docente alla Scuola Nazionale di Golf. Svolge attività di ricerca e formazione in collaborazione con istituti universitari e società private. Autore di varie pubblicazioni scientifiche, è co-autore della nuova edizione del libro “Tappeti erbosi” di Panella (Sole24Ore-Edagricole), il principale testo scientifico presente in Italia sull’argomento. MASSIMO MOCIONI Laureato in Scienze Agrarie presso l’Università di Torino. Agronomo, Dottorato in Patologia Vegetale presso la facoltà di Agraria di Torino. Opera
nel settore dei tappeti erbosi dal 1992, dal 1996 è consulente tecnico della Federazione Italiana Golf e docente alla Scuola Nazionale di Golf. Collabora con il centro di competenza per l’innovazione in campo agroambientale Agroinnova dell’Università di Torino e con società private. Autore di varie pubblicazioni, è co-autore del libro “La difesa dei tappeti erbosi” (Ed. Informatore Agrario). MARTA VISENTIN Laureata in Scienze Naturali con tesi in in conservazione della natura presso l’Università di Roma La Sapienza. Ambientalista, attivista per molti anni del WWF Lazio. Come volontaria per l’associazione ha seguito attività di sensibilizzazione e protezione della natura e lavorato in cooperativa presso diverse Oasi. Dal 2000 consulente ambientale della Federazione Italiana Golf e dal 2009 Verificatore di Golf Environment Organisation. Fa parte del gruppo di Natour Biowatching per viaggi e attività di educazione ambientale in Italia e all’estero.
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confronti dell’uso indiscriminato di queste sostanze nel settore alimentare. Seguendo l’impostazione dell’articolo tutti quelli che si cibano di colture agricole e degli animali con tali colture alimentati, o che vivono vicino ad aree agricole, mettono a repentaglio la propria salute. Ciò in quanto le colture agricole utilizzano da sempre i prodotti tossici che dal 2014 sono vietati nelle aree a rischio citate dal PAN. Nella e- mail che ci ha inviato, l’articolista rincara la dose: “Nel pezzo non si parla di agricoltura perché il tema è un altro...”. In realtà sembra che il titolo dell’articolo non lasci dubbi e, in ogni caso (ammesso e non concesso che sia così), ci sembra estremamente più pericoloso mangiare cibi avvelenati che posare i piedi su erba avvelenata... Purtroppo le legislazione è assai più complessa di quanto l’articolista ritenga. Ciò in quanto vi si sovrappongono le competenze delle Regioni (alcune delle quali hanno un loro PAR) e quelle dei singoli comuni, che dovrebbero recepire il PAN ed i rispettivi PAR di competenza. Molti di questi comuni non hanno ancora effettivamente deliberato in tal senso lasciando per il momento scoperte immense aree di intervento (il settore ornamentale, ad esempio, e i giardini privati, ma anche le fasce di rispetto dei campi agricoli in prossimità delle aree frequentate dalla popolazione, ecc). Tali aree sono assai più vaste e fortemente più a rischio salute dei campi sportivi. Per i prodotti fitosanitari un conto è la loro classificazione, un altro è il rischio d’esposizione. I prodotti hanno un principio attivo diluito, che riduce molto il rischio. Inoltre i campi sportivi devono essere chiusi per un tempo di rientro riportato in etichetta, che preserva i fruitori successivi dal contatto. Anche l’ipoclorito di sodio è altamente tossico, ma diluito diventa la candeggina che possiamo usare con alcune precauzioni anche in casa. Il propiconazolo, nel formulato in vendita, ha l’indicazione “può provocare reazione allergica”, senza altre frasi di rischio. Se si rispettano i tempi di carenza, il prodotto entra in circolo nella pianta e non può arrivare a contatto con i giocatori. La vendita dei prodotti fitosanitari a uso professionale è consentita solo a personale dotato di certificato di abilitazione che si ottiene dopo un corso di almeno 20 ore, in cui i tecnici
sono edotti su tutti i rischi che i prodotti stessi possono causare. Tutti i Superintendent (tecnici diplomati presso la Scuola Nazionale di Golf) e i Greenkeeper dei campi sono in possesso di questo certificato e sanno che, visto che firmano all’atto dell’acquisto, diventano responsabili dell’uso (e dell’eventuale abuso) del prodotto, con rischi personali (non rischia il Circolo, se non in minima parte). Non è così scontato, come può ritenere l’estensore dell’articolo, che dipendenti di un circolo siano disposti a correre tali rischi che, oltre alla sanzione pecuniaria (si arriva fino a 100.000 euro per l’uso improprio), possono essere anche penali, in quanto il regolamento del 2012 (padre del PAN) recita “a meno che il fatto non costituisca reato...”. Vi è un solo punto in tutto l’articolo che può essere condiviso: quello relativo al fatto che al momento le ASL non hanno ancora attuato i controlli previsti dalla Legge. Si spera che almeno questa carenza gli estensori dell’articolo non la addebitino al golf e allo sport in genere. Nel complesso occorre rimarcare che l’articolo omette colpevolmente di citare quanti, nel mondo dello sport e del golf in particolare, sono da almeno due decenni impegnati nel migliorare la sostenibilità ambientale di tante strutture sportive attraverso comportamenti virtuosi e positivi di tecnici, imprenditori, dirigenti sportivi. Basti pensare alla Scuola Nazionale di Golf che sforna annualmente tecnici manutentori capaci, preparati e in grado di adottare le migliori strategie di gestione del tappeto erboso, soprattutto quelle agronomiche e quelle a basso o nullo impatto ambientale. Prova ne è l’adozione delle specie macroterme, in grado di conferire alta qualità di performances utilizzando la metà delle necessità irrigue e nessun prodotto fitosanitario. Prova ne è il fatto che da decenni, e quindi molto prima del PAN, la Scuola propugna di evitare qualsiasi trattamento preventivo sui fairway (all’epoca ad eccezione dei due antigerminello...). Ulteriore testimonianza le numerose pubblicazioni scientifiche sul tema e gli altrettanto numerosi articoli, giornalistici e non, prodotti. Se una analoga rivoluzione “gestionale” fosse stata a suo tempo adottata nel settore agricolo, l’industria del settore avrebbe già cessato da vari anni di produrre fitofarmaci...
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Durante l’Open d’Italia, consegnati come ogni anno i riconoscimenti nati dalla collaborazione fra l’Istituto per il Credito Sportivo e la Federgolf
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In queste pagine la consegna dei riconoscimenti per la certificazione “Impegnati nel Verde”, tenuta sabato 2 giugno a Gardagolf, durante le giornate dell’Open d’Italia 2018. 1: l’esterno della bellissima tenda dell’Istituto per il Credito Sportivo, nell’area hospitality; 2: da sinistra Marta Visentin, Alessandro De Luca, Paolo D’Alessio, Andrea Abodi e Gian Paolo Montali; 3-4: i dépliant ICS con il testimonial Renato Paratore e le certificazioni;
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l 75° Open d`Italia, disputato sul percorso del Gardagolf Country Club, la tenda dell’Istituto per il Credito Sportivo, nell’area hospitality, ha accolto l’annuale consegna dei riconoscimenti “Impegnati nel verde”. È un progetto che l’Istituto per il Credito Sportivo porta avanti da anni in collaborazione con la Federgolf, destinato a premiare i circoli che si sono distinti per aver raggiunto obiettivi ed effettuato azioni comprovanti il reale impegno a favore della sostenibilità ambientale. Eco compatibilità, risparmio energetico, manutenzione agronomica, sensibilizzazione e valorizzazione, queste le linee guida che spingono sempre più circoli a “investire” nel verde perché, mai come ora, l’etica ambientale si sposa perfettamente con la sostenibilità economica. Presenti alla consegna dei riconoscimenti, oltre a ICS con il Presidente Andrea Abodi e il Direttore Generale Paolo D’Alessio, Giampaolo Montali, Direttore del Progetto Ryder Cup 2022, il Vice Presidente FIG Antonio Bozzi, Steve Isaac, Direttore dei progetti di sostenibilità del Royal and Ancient Golf Club di St Andrews, Alberto Minelli in rappresentanza dell’intero Comitato Scientifico Impegnati nel Verde e Pao-
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lo Croce, membro e certificatore di GEO, Golf Environment Organization. Presenti anche due grandi tecnici ed esperti come Alessandro De Luca e Marta Visentin. L’assegnazione viene rilasciata dal Comitato Scientifico del progetto costituito da quattro docenti universitari afferenti a diverse discipline che fin dal lancio di “Impegnati nel Verde” mettono a disposizione la loro professionalità per supportare il lavoro in maniera scientifica e super partes, non essendo neanche giocatori. Hanno ricevuto il riconoscimento i seguenti circoli: GOLF CAMUZZAGO PER LA CATEGORIA ENERGIA (il riconoscimento è stato assegnato per l’investimento fatto in materia di risparmio energetico con l’utilizzo di fonti energetiche alternative, quali il fotovoltaico); VILLASIMIUS GOLF PER LA CATEGORIA ACQUA (per aver impiegato essenze macroterme fondamentali nell’ottenere risparmi idrici e attuare la manutenzione del tappeto erboso con metodi agronomici); CASTELGANDOLFO GOLF CLUB E GOLF UGOLINO PER LA CATEGORIA PATRIMONIO CULTURALE (per gli investimenti e gli interventi attuati in favore della conservazione dei beni storico
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5: Camilla Tolomei, presidente Firenze Ugolino con il superintendent Vanni Rastrelli; 6: Richard Cau, presidente Tanka Villasimius 7:Edoardo Eller Vainicher (a destra), direttore Camuzzago, Sauro Legramandi (a sinistra) vicepresidente vicario Camuzzago; 8: Maria Cecilia Fiorucci, presidente Castelgandolfo; 9: Sonia De Falco, direttore Tirrenia; 10: Salvatore Rebecchini, vice presidente Parco dei Medici; 11: Paratore, D’Alessio e Abodi 11
archeologici presenti nel circolo); GOLF TIRRENIA PER LA CATEGORIA BIODIVERSITÀ (per aver realizzato opere e iniziative in favore della conservazione della natura e sensibilizzazione ambientale dei fruitori); GOLF CLUB PARCO DE’ MEDICI PER LA CATEGORIA PAESAGGIO (per l’importante opera di recupero ambientale attuata al posto della discarica con la valorizzazione di un sito ricco anche di testimonianze archeologiche). A oggi sono oltre 70 i circoli che hanno raggiunto questo obiettivo, un lavoro propedeutico al fine di ottenere l’ambita certificazione della Golf Environment Organization l’unica certificazione internazionale riconosciuta a livello mondiale da enti, università, associazioni sportive e ambientaliste ottenuta in Italia da dieci circoli. La certificazione “Impegnati nel Verde” ha il compito di accompagnare i club verso la certificazione ambientale internazionale GEO e, proprio mentre avveniva la cerimonia di consegna dei diplomi, è arrivato l’annuncio dalla stessa GEO che il GARDAGOLF COUNTRY CLUB ha ottenuto l’ambito e prestigioso riconoscimento.
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SERIOUS GOLFERS
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Filippo Motta
Il massacro di Shinnecock Hills No, qui non c’entra il generale Custer, ma la decisione dell’USGA di far preparare il percorso dello U.S. Open in maniera pazzesca, rendendo la vita impossibile anche ai migliori giocatori del mondo
È
difficile scrivere, su una rivista riservata agli addetti ai lavori, relativamente al caso Phil Mickelson allo U.S. Open che, senza ombra di dubbio, sarà argomento di discussione per settimane e solleverà polveroni giganteschi come quelli che già si stanno muovendo.
Sull’argomento, che era sulla bocca di tutti i golfisti la mattina seguente il fatto, tornerò, obbligatoriamente e anche per chiarire ai giocatori della domenica dettagli di Regole che hanno portato alla decisione presa, sulle pagine della rivista “madre” Golf & Turismo. Qui, tra esperti, vorrei mettere in luce
Anche un professionista di solito serio e posato come Phil Mickelson (qui sopra) può perdere le staffe su percorsi che si possono chiamare “ingiocabili”
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il peccato originale. Ovvero la preparazione del campo. Quando ho auto la fortuna di occuparmi di eventi di alta portata, per scelta personale ho letto tutti i testi esistenti, provenienti da R&A e USGA (ed anche dai Tour professionistici), su come un campo vada preparato in funzione della caratura dell’evento. Posto che, riferendosi a un evento come può essere un major, esistono due scuole di pensiero prevalenti (campo che consenta molti birdie, per la gioia del pubblico; campo impossibile per scremare il field e vedere davvero chi è il più forte), come sempre – probabilmente – la verità sta nel mezzo. Pensate al Masters di Augusta. Il campo è indubbiamente preparato in modo da rendere il gioco quantomeno non facile ma la caratteristica di base, il concetto di fair che sempre dovrebbe essere presente preparando un percorso, non viene mai perso di vista. Le bandiere possono essere difficili, a volte crudeli, ma mai e poi mai si potrà vedere un giocatore perdere le staffe come successo a Mickelson alla 13 di Shinnecock Hills. Ecco quindi che una profonda valutazione su come l’unico evento gestito annualmente e direttamente da USGA (la Federazione americana, formata sulla carta da eccezionali “professionisti” e conoscitori dello sport) è obbligatoria. Sembra quasi, specie nell’ultimo decennio, che lo spirito che sottostà alla preparazione dei campi della rota dello U.S. Open sia esclusivamente quello di mortificare i campioni in campo. Si
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29 è più volte letto di critiche al riguardo; altrettante volte i responsabili dell’organizzazione hanno riconosciuto di avere, quantomeno, esasperato la preparazione. Ma quest’anno, negli Hamptons, si è superato – a mio modo di vedere – il limite. Shinnecock Hills, un campo che più di 40 anni fa ho avuto la fortuna di giocare, è un “mostro” golfistico assoluto. Non tanto per i fairway che, oggettivamente, sono assolutamente affrontabili pur con la festuca lasciata crescere poco al di fuori degli stessi, ma per la tipologia dei green che sono davvero unici. Li avete visti chiaramente in televisione, anche se le immagini non riescono a rendere le pendenze reali: sono dei panettoni, molto grandi, con inclinazioni folli – spesso verso l’esterno – e limitatissime posizioni di bandiera possibili. Fino a qui… difficilissimo ma non impossibile per i fenomeni dei Tour mondiali. C’è però un MA grosso come una casa: Shinnecock è sempre battuto da un vento teso e, vista la pochissima
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vegetazione ai lati del percorso, colpito da un sole cocente. Queste due caratteristiche, ben note e non casualmente comparse a metà giugno, unite alla preparazione standard di USGA, hanno portato a condizioni di quasi impossibilità di gioco. Ciò detto credo che i responsabili di USGA debbano, una volta per tutte, ripensare al loro evento clou e a come prepararlo. Perché prendere provvedimenti dopo che un’icona come Lefty ha perso la “brocca”, dichiarando “sì, abbiamo forse esagerato” è come chiudere la stalla dopo la fuga del bestiame. Per inciso la stalla è stata chiusa nella notte tra il terzo e il quarto giro con uno sforzo epico del personale del campo che ha innaffiato i green in modo considerevole. E il risultato si è visto nell’ultima tornata. L’argomento preparazione campo, però, non si deve limitare ai Grandi Eventi. Anche le gare di Circolo meriterebbero un’attenzione maggiore verso i concorrenti. Faccio un esempio
che considero esemplificativo per tutti: nessun club ama dichiarare che la palla possa essere “piazzata” perché la cosa viene ritenuta un implicito riconoscimento di condizioni di percorso non ottimali. Pensate però al maggio appena trascorso, con piogge considerevoli e poi giornate di sole. Campi quindi in buonissime condizioni ma con un problema: la palla, specie nelle prime partenze, tende a sporcarsi impattando il terreno. Questa è una delle condizioni per cui, nei testi, si indica la necessità del piazzamento. Non solo perché giocare una palla sporca può provocare effetti non valutabili, ma soprattutto per garantire uniformità nel corso della giornata quando il campo tende ad asciugarsi. Orbene… quanti Circoli si occupano di questo problema? Io ne conosco troppi che non lo fanno. E facendo le dovute proporzioni, si comportano come i responsabili USGA. FAIR è la parola, l’unica, da non dimenticare mai.
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di Roberto Roversi al 2014 è il Direttore del Golf Club Milano, uno dei circoli più prestigiosi e conosciuti del golf italiano, ma per Roberto Carità, 71 anni che non si notano, la strada per arrivare a ricoprire questo incarico è stata un po’ insolita, sicuramente diversa da quella percorsa da molti suoi colleghi. “Io ho iniziato a giocare a golf nel 1960 proprio al Golf Club Milano, ma fino a 50 anni ho fatto solo il giocatore perché il mio lavoro era un altro (imprenditore nel settore dell’abbigliamento, ndr). Poi nei primi anni ’90 è successo che assieme ad alcuni amici ci siamo trovati a impegnarci in prima persona nella gestione del Golf Club Brianza. Io, più degli, altri mi sono occupato della conduzione del circolo. È stata un’esperienza molto interessante che soprattutto mi ha fatto conoscere da vicino il dietro le quinte di un club di golf e mi ha permesso di acquisire conoscenze che poi mi sono state utilissime.”
Possiamo dire, quindi, che si è trattato di una carriera cominciata quasi per caso. Poi come è proseguita? “Nel 1996 sono stato contattato dalla proprietà del nascente Golf Club Bogogno per dirigere il circolo. Ruolo che ho ricoperto fino al 2004 quando sono passato al Golf Club Castello di Tolcinasco dove sono rimasto fino al 2011. Vista anche l’età ho pensato che era arrivato il momento di fermarmi. Cosa che ho anche fatto, ma solo per poco tempo perché nel 2014 mi è arrivata la proposta di Armando Borghi (presidente del Golf Club Milano, ndr)) di tornare al lavoro nel suo circolo considerato che bisognava ospitare l’Open d’Italia e la mia esperienza poteva essere utile. Sono passati diversi anni ed eccomi ancora qui, nel circolo che considero un po’ casa mia dato che su questo percorso ho iniziato a tirare i miei primi colpi da golf.” Parlando di Open d’Italia c’è da dire che lei ha una certa confidenza con questa manifestazione. “In effetti mi sono trovato a essere il direttore del circolo che ospitava l’Open d’Italia in ben otto occasioni. Dapprima a Tolcinasco, dove questo torneo si è disputato cinque volte, e poi qui al Milano per altre tre edizioni. Tutte esperienze molto belle anche se c’è da lavorare tantissimo.” Quando è arrivato a dirigere il Golf Club Milano, dopo i periodi trascorsi al Brianza, a Bogogno e a Tolcinasco, che tipo di ambiente ha ritrovato?
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IL SIGNOR OTTO OPEN Intervista con il direttore del Golf Club Milano, che detiene un record difficilmente superabile. Nel suo curriculum anche gli anni passati al timone di altri circoli italiani come Brianza, Bogogno e Tolcinasco
Nella foto, la clubhouse del Golf Club Milano. A sinistra Roberto CaritĂ
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Nella foto, il green della 9 sul percorso da campionato del Golf Club Milano. A destra, un’immagine della recente festa per i 90 anni del circolo lombardo. Insieme a Roberto Carità, in giacca bianca Armando Borghi, attuale presidente, fra due ex presidenti, Angelo Zanchi e Roberto Livraghi. A destra il pro monzese Marco Crespi “Per me è stato semplicemente tornare in un posto dove conoscevo tutti e tutto. Non c’è stato alcun problema. Sono stato accolto in maniera splendida dai soci e dallo staff e questo ha reso più semplice il mio lavoro.” Quello attuale non sembra essere un gran momento per i circoli italiani alle prese con tanti problemi, primo tra tutti il calo dei giocatori. Come sta il Golf Club Milano? “Posso dire che stiamo bene. Non abbiamo le preoccupazioni che hanno diversi circoli italiani. Credo che questo sia merito delle scelte fatte dal Presidente che ha deciso di non seguire la corsa al ribasso delle quote sociali adottata da molti club. Vogliamo continuare a essere un circolo che offre ai propri soci servizi di qualità come i veri club privati. Esiste sempre una quota d’ingresso e i nostri 650 soci ci sostengono in questa scelta consentendo al circolo di non avere problemi di gestione. Da una decina d’anni, inoltre, abbiamo stretto un accordo di partnership con il Golf Club Villa d’Este, molto simile al nostro per composizione del corpo sociale, grazie al quale i soci dei due circoli possono giocare in entrambi i percorsi pagando una sola quota. Dallo scorso anno poi abbiamo un accordo di reciprocità anche con il circolo parigino di St. Cloud, 36 buche con una vista mozzafiato sulla Tour Eiffel. In seguito abbiamo esteso la reciprocità anche al circolo romano dell’Acquasanta di Roma. Insomma, i nostri soci possono sentirsi a casa in altri grandi golf club italiani ed esteri.” Un circolo di grande tradizione con 27 buche e servizi di alto livello comporta la necessità di essere molto efficienti. Come siete organizzati? “La nostra, nonostante le dimensioni del circolo, è una struttura molto snella e agile. Tra personale di segreteria, manutenzione del campo e assistenza negli spogliatoi, disponiamo di una quindicina di persone. In certi periodi dell’anno, ad esempio quando i lavori sul percorso sono più impegnativi, abbiamo anche dei lavoratori stagionali. Sono molto soddisfatto di questo team che lavora davvero sodo per assicurare servizi di qualità e un percorso sempre in ottime condizioni.”
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Parlando proprio del campo è noto che con l’introduzione delle nuove norme che limitano l’uso dei prodotti chimici sia diventato sempre più difficile avere un livello di manutenzione elevato. Qui che soluzioni avete adottato? “Diciamo subito che avere un percorso più che in ordine è una delle nostre priorità. In questo senso abbiamo una piccola fortuna che è quella di trovarci in un’area, quella del Parco di Monza, nella quale non sono presenti determinate malattie che spesso mettono in difficoltà i tappeti erbosi di molti circoli. Il rispetto delle nuove regole, quindi, non ci ha creato problemi particolari. Vorrei sottolineare, inoltre, che il Golf Club Milano è sotto il controllo del Consorzio Villa Reale che gestisce il Parco di Monza e a cui il circolo paga un canone d’affitto. Ad esempio ogni mese vengono fatti verifiche sulle falde acquifere dalle quali pescano i nostri tre pozzi che alimentano l’impianto di irrigazione per controllare la presenza di pesticidi o altri prodotti chimici. Molto rilevante è la gestione del patrimonio arboreo presente sul campo. L’anno scorso una tromba d’aria ha divelto circa 200 piante a un mese e mezzo dall’Open d’Italia. Un vero disastro, ma siamo riusciti a sistemare tutto in tempo lavorando a ritmi serratissimi.” Nel golf italiano esiste un fenomeno tutto particolare come il gran numero di gare che si disputano nei circoli. Come è la situazione al Golf Club Milano? “Non abbiamo molti problemi in questo senso anche perché sono state fatte delle scelte ben precise che privilegiano i soci. Nel weekend, ad esempio, non accettiamo giocatori esterni per lasciare spazio ai nostri golfisti. Anche le gare di circuito che abbiamo in calendario sono poche e molto selezionate. A noi va bene così. Il nostro è un circolo che ha pochi visitatori in quanto la nostra politica è rivolta principalmente ai soci. C’è da rilevare, oltretutto, che nel corso degli anni il corpo sociale del club ha subìto una trasformazione. All’inizio questo era il circolo dei milanesi, ma con il passare del tempo e con i mutamenti avvenuti, vedi la presenza di nuovi campi da golf, la maggior parte dei soci proviene dalla zona brianzola, più comoda logisticamente rispetto a Milano.”
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Roberto Carità - Golf Club Milano Questo circolo ha ospitato nove edizioni dell’Open d’Italia, di cui tre consecutive dal 2015 al 2017. Quella dell’anno scorso ha fatto registrare un successo di pubblico senza precedenti. Avete riscontrato ricadute positive? “In effetti lo scorso anno c’è stato un ottimo risultato in termini di presenze di spettatori e di questo siamo molto soddisfatti, non tanto per la ricaduta sul nostro circolo quanto per la pubblicità che è stata fatta al golf italiano in generale. Vedere un contorno così fitto di persone che seguivano con attenzione e rispetto il gioco, è stata una bella immagine che abbiamo dato anche all’estero. Spero che il pubblico abbia apprezzato anche la qualità del campo e le strutture del circolo. Al momento, però, non posso dire se la ricaduta promozionale di questi eventi sia stata positiva o meno. I numeri mi dicono che il circolo è sempre lo stesso in termini di giocatori e frequentatori. Ma è anche giusto rilevare che l’aver ospitato l’Open d’Italia non significava per noi puntare a un aumento di soci.” Dall’Open d’Italia passiamo a parlare di Ryder Cup. Quale ritiene possa essere, in base alla sua lunga esperienze di manager golfistico, l’effetto di questa manifestazione sullo sviluppo del golf italiano? “Sicuramente avrà un impatto all’estero in quanto permetterà di far conoscere l’Italia come destinazione golfistica. Mi auguro che possa essere un volano promozionale anche per il golf italiano, visto l’impegno economico e manageriale che è stato messo in atto dalla Federazione per portare a Roma l’evento più prestigioso del golf mondiale.” Di cosa avrebbe bisogno il nostro golf per crescere? “A mio avviso la strada che dobbiamo percorrere è quella della creazione di strutture agili come i campi pratica vicini alle città
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che favoriscano un avvicinamento al golf più facile e semplice di quello attuale. Lo ritengo l’unico modo efficace per creare nuovi golfisti. Purtroppo in questo senso la Federazione non ha un compito facile poiché si trova a dover coordinare realtà molto diverse. Spesso i circoli vengono lasciati un po’ a loro stessi e ognuno lavora per fare del proprio meglio. Per questo impegno meritano tutti un grande rispetto.” Un circolo di prestigio come Milano deve sempre migliorarsi. Cosa c’è nei programmi futuri del circolo? “Nel 2022 è prevista il rinnovo della concessione che abbiamo con il Parco di Monza, proprietario dell’area dove è presente il circolo. Per cui fino ad allora è difficile mettere in cantiere progetti a media o lunga scadenza. Per quanto mi riguarda dobbiamo lavorare per avere un percorso sempre al meglio della condizione perché ritengo che la qualità del campo sia la priorità determinante per un circolo di golf non solo in occasione delle gare importanti ma nel quotidiano. Su questa linea ho il pieno consenso del Consiglio Direttivo con il quale ho un rapporto ottimo, più di amicizia che professionale.” Qual è la cosa che le piace di più del suo lavoro? “Amo stare in campo, seguirlo, prendermene cura. A volte lo definisco il “mio” campo per quanto gli sono affezionato e vorrei sempre vederlo in grande forma. Se questo avviene devo ringraziare tutti i miei meravigliosi collaboratori.” Cosa augura al golf italiano? “Che cresca il numero dei giocatori e che al golf si avvicinino sempre più giovani. È uno sport formativo, che insegna oltre che un movimento anche il rispetto e il fair play.”
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I N T E R V I S TA
Associazione Italiana Arbitri Golf
Il passaggio dal libro all’erba A colloquio con Sveva Greco, dal 1990 impegnata sul fronte delle Regole. Prima donna italiana che ha raggiunto il livello di Arbitro Internazionale, si occupa da tempo della traduzione del “verbo” scritto da R&A e USGA di Isabella Data
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mesi che ci separano dall’inizio del 2019 saranno tra i più movimentati e interessanti della storia del golf moderno. Milioni di golfisti di “rito USGA - R&A” dovranno imparare le Nuove Regole del Golf. Una modernizzazione molto più radicale rispetto ai biennali/quadriennali cambiamenti operati negli ultimi trent’anni. Tanto radicale da prevedere una riscrittura delle Regole, la comparsa di alcuni ausili (esempio il “Libretto del Giocatore”, edizione che uscirà semplificata rispetto alla versione integrale con corredo di molte illustrazioni esplicative), l’avvio di una filosofia di gioco più al passo dei tempi. Lo spunto fondamentale è stato proprio il Pace of Play, la velocità di gioco. Ora occorre informare tutti gli attori della scena, giocatori, organizzatori di gare, arbitri, circoli. Anche più che informare. Si tratta di formare a una visione di gioco più veloce e onesta, basata sull’integrità di ogni singolo giocatore. Chiediamo lumi a Sveva Greco, protagonista, per molti aspetti, di questo processo di modernizzazione e formazione sulle Nuove Regole.
testi per conto della Federgolf. Direi che quasi tutto quello che circola tra le mani dei golfisti, dei Comitati di gara, di Arbitri, Circoli e organizzatori di gare in merito alle Regole del Golf di provenienza USGA - R&A, porta la mia firma di traduttore. Questa volta si è trattato di un gran lavoro, anzi si tratta, perché mi ar-
rivano ancora modifiche. Un lavoro che richiede la pazienza di un certosino perché, per fare ottenere un buon risultato, occorre sempre verificare l’esatta corrispondenza di concetti e sfumature e saper valorizzare nel giusto modo la diversità culturale tra mondo anglosassone e italiano. Ho anche fatto scelte che sem-
Sveva, il primo passo è stato quello della traduzione in italiano di tutti i nuovi testi. Per te un superlavoro, ma anche la soddisfazione di partecipare a un momento storico. È dal 2008 che, insieme al gruppo di Regolegolf.com (Hans Paul Griesser, Marcello Franchi, Matteo Bragone), traduco
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35 brano banali, ma in verità faranno risparmiare parecchio nel costo di stampa. Hai presente l’innovazione voluta dai modernizzatori rispetto all’indicazione di genere: his o her? Ebbene, ho scelto di indicare un solo genere, il giocatore, quasi fosse un termine neutro. In italiano, i testi sarebbero stati appesantiti dalla differenziazione. Il nostro modo di articolare le frasi sarebbe stato meno diretto di quello anglosassone. Morale: così facendo, ho accorciato di molto il libretto base, quello che avrà ogni giocatore. Meno peso, meno arzigogoli, carta risparmiata e costi di stampa più bassi. USGA e R&A hanno anche pensato a come informare e formare i vari attori, facendo corsi in Scozia e preparando materiali didattici. Tu che hai partecipato, ci racconti un po’ di cose? Per conto della FIG sono andata in Scozia a St Andrews, assieme ai membri del Comitato Regole FIG (Corrado Graglia e Davide M. Lantos), proprio per condividere la progettazione di corsi, metodi e materiali didattici. Siamo stati coinvolti anche nella formazione seguita dal board dei Tecnici delle Regole di St Andrews. È stata soprattutto una formazione basata sulla pratica, sull’applicazione delle nuove regole nelle più svariate situazioni di gioco. Per tradizione (e per necessità di clima) a St Andrews ricreano indoor le situazioni di un campo da golf. Così si studiano in pratica, situazione per situazione, le Regole. La lettura dei testi è scontata. La cosa più importante è passare dalla teoria alla pratica. Gli stessi “BIG delle Rules” si sono messi in discussione, creando delle situazioni di apprendimento anche giocoso (chi sbagliava si beccava una sventagliata da un mitra ad acqua) che hanno dimostrato, caso mai ce ne fosse stato bisogno, che le resistenze al cambiamento saranno forti e che… tutti sbaglieranno! È naturale che sia così, non ci dobbiamo spaventare delle novità. Naturalmente, sono entrata in pista anche per la traduzione dei materiali didattici. Un gran lavoro, anche perché i materiali sono molto belli e interessanti ed è un piacere valorizzarli.
In queste pagine, foto di Sveva Greco, su un golf car, alle Olimpiadi di Rio e in compagnia del grande Gary Player Dato che tu sei pratica di siti Internet USGA - St.Andrews (ma anche FIG, Regolegolf.com, AIAG, tanto per citarne qualcuno), ci puoi dare qualche consiglio per studiare un po’ da soli? Tipo dove trovare filmini esplicativi, quiz, ecc. ecc.? “Regolegolf.com“ è stato il primo sito Internet in Italia a divulgare, discutere, informare sulle Regole. Abbiamo per esem-
pio una sezione KIDS assai divertente per i bambini, che curo io. So che, quando dico divertente, a molti scapperà un sorriso sardonico. Ricordiamoci che imparare le Regole è come andare a scuola e che poi s’imparano delle norme di buona condotta. Non una cosa semplice, di questi tempi. Ma molto utile, soprattutto per la formazione dei nostri giovani. Giocare a golf è un po’ come frequentare un buon college: impari la sportività, confermi i tuoi comportamenti virtuosi, rispetti il gioco, il campo, gli altri. Per quanto riguarda l’offerta Internet, dico una cosa sola. Internet è navigazione, piacere della scoperta. Allora fatevi sotto! Sui siti USGA e R&A trovate già molti materiali video e altri schemi. Certo, occorre superare la difficoltà della lingua. Però è una sfida che ci possiamo permettere. Beppe Severgnini consigliava di imparare l’inglese attraverso le amate canzoni rock-pop-country anglomericane, consigliando i Beatles perché molto semplici da capire. Usiamo la stessa opportunità con i video sulle Nuove Regole! AIAG - Associazione Italiana Arbitri Associazione Sportiva Dilettantistica Via Tacchi, 1 - 38068 Rovereto (Tn) C.F. 94040950225 info@aiagolf.it - www.aiagolf.it
Sveva, una lunga passione Tarantina, si è innamorata del golf a 10 anni a Riva dei Tessali. Campioncina FIG, è stata una giocatrice nazionale di buon livello. Attuale hcp. 9, dal 1990 s’interessa di Regole del Golf. È stata la prima donna italiana nominata Arbitro Internazionale (2008) e anche la prima donna italiana Arbitro alle Olimpiadi: per ben due volte, prima a Nanchino, nel 2014, per le Olimpiadi giovanili e poi per le Olimpiadi di Rio nel 2016. Laureata in Lingue e Letterature straniere (filologia slava), è specializzata nella traduzione dei testi che riguardano le Regole del Golf in Italia. Cura il Blog di RegoleGolf.com e la presenza sui social sempre di RegoleGolf. com. È socia onoraria AIAG.
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APPROFONDIMENTO Le nuove regole
Riprendiamo dagli ultimi numeri di Golf & Turismo le interessanti spiegazioni di due dei massimi esperti italiani e arbitri internazionali, Corrado Graglia e Davide Lantos, sulle novità che entreranno in vigore dal 1° gennaio 2019. In questo articolo parliamo di condotta di gioco, cura del campo e aree di penalità
ECCO COME GIOCHEREMO di Corrado Graglia e Davide Lantos
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e Regole del Golf, nella loro versione modernizzata che entrerà in vigore il 1 gennaio 2019, sono state riscritte completamente per coprire diversi principi cardine. Oltre al caposaldo per qualsiasi golfista di giocare il campo come lo trova e la palla come si trova, dal prossimo anno si enfatizzerà ancora di più il concetto di giocare secondo lo “Spirit of the Game”, rispettando le regole – le cui penalità saranno sicuramente più rapportate all’infrazione commessa – applicando a se stesso qualsiasi penalità e rispettando
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gli altri giocatori e avendo cura del campo. Diciamo la verità, sarebbe dovuto essere così da sempre, e nella maggior parte dei casi lo è stato, ma da domani, sempre di più, il giocatore è responsabile della propria condotta e a sottolineare questo concetto sono state scritte due regole, in particolare le regole 1.2, Standard di Condotta del Giocatore, e 1.3, Giocare Secondo le Regole.
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a Regola 1.2, ci dirà cosa ci si aspetta dai giocatori. Agire con integrità, seguendo le regole, applicando qualsiasi penalità ed essendo onesti in qualsiasi aspetto del gioco. Inoltre ci si aspetta dal giocatore che mostri rispetto verso
gli altri giocatori, per esempio giocando a un ritmo di gioco veloce, rispettando la sicurezza altrui senza creare distrazioni che possano disturbare gli altri. Infine la cura del campo; quanto sentiamo dire da sempre, ovvero rimettere a posto le zolle, rastrellare i bunker o alzare i pitch-mark, nella versione attuale fanno parte della sezione “etichetta”, non inserita nelle 34 regole e quindi, forse, considerata un elemento esterno, mentre dal prossimo anno saranno tutti concetti espressi da una Regola.
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a nuova regola 1.2 secondo il nostro punto di vista è stata creata con il presupposto che la lealtà è la “chiave”
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del gioco del golf, non basta prevedere penalità per sanzionare eventuali errori procedurali, bensì viene caldeggiato l’invito al comportamento corretto e irreprensibile, che una disciplina sportiva giocata per la maggior parte senza il supporto di un arbitro, deve assolutamente prevedere.
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a Regola 1.3 invece ci dice che ci si aspetta che il giocatore riconosca quando ha infranto una regola, applicandosi la conseguente penalità, specificando che se il giocatore dovesse deliberatamente ignorare una penalità, allora la squalifica sarebbe inevitabile. Copre anche il caso in cui due (o più) giocatori dovessero mettersi d’accordo per non applicare le Regole.
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entre la Regola 1.3 ricalca quanto già sostanzialmente esiste (nelle regole 1-3 e 6-1), la Regola 1.2 è una
grossa novità (non nei concetti - che abbiamo detto esistere già nell’attuale Etichetta - ma in quanto Regola). Inoltre il Comitato di Gara, che ricordiamo deve sempre essere nominato per qualsiasi gara si giochi, ha la possibilità di redigere, inserendolo nelle Regole Locali, un Codice di Condotta se volesse penalizzare quei giocatori che non dovessero rispettare quanto espresso nella Regola.
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i per sé la Regola prevede che, in caso di comportamento seriamente scorretto, il comitato possa squalificare un giocatore, ma dà anche la possibilità di comminare penalità inferiori per quei giocatori che, per esempio, non dovessero avere cura del campo, o si comportassero in maniera volgare o aggressiva nei confronti degli altri giocatori fino a coprire un’eventuale inappropriato dress-code. Le penalità possono andare dal richiamo verbale alla squalifica,
passando da uno o due colpi di penalità. Come detto, per poter intervenire in tal modo, il Comitato deve inserire nelle Regole Locali un “Codice di Condotta” specificando chiaramente quali sono le penalità e quali sono i comportamenti non accettabili. In tal senso l’R&A sta preparando il libro con le “Procedure per i Comitati” in cui ci saranno esempi di Regole Locali per supportare i Comitati nel loro delicato compito.
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ome detto, se da una parte le cosiddette “Nuove Regole” responsabilizzeranno sempre di più il giocatore e copriranno anche casi in cui il Comitato dovrà stabilire se il giocatore ha agito in buona fede - nel qual caso potrebbe anche essere esentato dalla penalità -, dall’altra, e qualcuno potrebbe dire “finalmente”, anche i comportamenti non propriamente corretti dal punto di vista dello spirito del gioco potranno essere sanzionati.
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APPROFONDIMENTO Le nuove Regole
Corrado Graglia Direttore del Golf Cherasco. Membro del Comitato Regole e Campionati della Federazione Italiana Golf e coordinatore della sezione Direttori e Segretari della Scuola Nazionale di Golf. Arbitro internazionale R&A e USGA.
Davide Maria Lantos Director of Tournament Operations del Ladies European Tour, membro del Comitato Organizzatore del Golf alle Olimpiadi di Rio del 2016 e di Tokyo del 2020. Fa parte dell’Equipment Standard Committee della R&A ed è membro del Comitato Regole e Campionati della FIG. Coordina tore della sezione Direttori e Segretari della Scuola Nazionale di Golf. Arbitro internazionale R&A e USGA.
dalla decisione 33-8/35 che non consente a un Comitato di considerare ostacolo d’acqua una zona in cui non vi sia fisicamente la presenza di un ostacolo d’acqua, come per esempio un bosco), la possibilità di definire qualsiasi parte del campo come area di penalità, per esempio: un’area di rough tra due buche, una zona incolta all’interno del campo o un bosco, in modo che se palla vi giacesse dentro o se fosse noto o pressoché certo che la palla si trovi all’interno dell’area di penalità, il giocatore possa ovviare all’interferenza con le procedure previste dalla nuova regola 17.1 (stessa procedura prevista oggi per gli ostacoli d’acqua e quelli laterali, con una piccola differenza che vedremo più avanti).
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e aree di penalità potranno essere rosse (marcate con linee e paletti rossi) o gialle (marcate con linee e paletti gialli). R&A e USGA, per semplificare la vita in campo a giocatori e arbitri, consigliano di utilizzare solamente le aree di penalità rosse, soprattutto per evitare problemi di interpretazione e consentire l’opzione di droppare a due bastoni dal punto d’entrata della palla nell’area di penalità (cosa non possibile in caso fosse marcata come gialla)
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unica piccola differenza rispetto agli attuali ostacoli d’acqua laterali (quelli rossi, per intenderci) è che le regole non prevederanno più l’opzione – a dire il vero sovente ignorata dalla maggior parte dei golfisti – di droppare a due bastoni sul margine opposto. Questa possibilità non sparirà comunque del tutto; un Comitato potrà eventualmente introdurla tramite una regola locale.
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n un’area di penalità, il giocatore potrà giocare la palla come si trova od ovviare (con penalità). Se deciderà di giocare la palla dove si trova senza penalità, varranno le stesse regole che si applicano a una palla nell’area generale, senza quindi regole specifiche che limitano il modo in cui una palla può essere giocata da un’area di penalità. In pratica il giocatore potrà – cosa non permessa oggi negli ostacoli d’acqua – appoggiare il bastone nell’area di penalità, provare le condizioni eseguendo un movimento di pratica toccando l’erba, il terreno o l’acqua e potrà anche rimuovere, oltre come già permesso oggi con le ostruzioni movibili (oggetti artificiali movibili), anche impedimenti sciolti (foglie, pietre, rami ecc…), cosa che non si può fare dagli ostacoli d’acqua con le regole attualmente in vigore.
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no dei maggiori cambiamenti che entreranno in vigore il prossimo anno sarà quello che riguarda le cosiddette “aree di penalità”. Per la nuova definizione, un’area di penalità comprenderà ogni specchio d’acqua sul campo (che sia marcato o meno dal Comitato) che include mare, lago, stagno, fiume, fosso, canale di scolo superficiale o altro corso d’acqua aperto (anche se non contenente acqua). I lettori più attenti potranno eccepire che non vi sia niente di nuovo rispetto agli attuali “ostacoli d’acqua”; è vero, ma la definizione non si ferma qui. In aggiunta, un’area di penalità sarà anche “qualsiasi altra parte del campo che il Comitato definisce come area di penalità”. La nuova definizione prevede quindi, cosa non permessa adesso (in particolare
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GOLF CLUB ACAYA AMBROSIANO ARCHI DI CLAUDIO ARGENTARIO ARONA ASIAGO ASOLO BAGNAIA BARLASSINA BIELLA BROLO BASSANO CAMPO CARLO MAGNO CAMUZZAGO CANSIGLIO CARIMATE CASENTINO CASTELCONTURBIA CASTELGANDOLFO CASTELLARO CAVAGLIA’ CERVIA CESENATICO CILIEGI COLLI BERICI COLLINE DEL GAVI CONERO CUS FERRARA DES ILES BORROMEES DOLOMITI FILANDA FIORDALISI FIRENZE UGOLINO FLORINAS FRANCIACORTA FRASSANELLE FRONDE GARDAGOLF GARFAGNANA GOLF NAZIONALE HERMITAGE IS ARENAS IS MOLAS LE FONTI LES ILES MARGARA MENAGGIO & CADENABBIA MIGLIANICO MILANO MIRABELLA MONTECCHIA NAZIONALE OLGIATA PADOVA PARCO DEI MEDICI PARCO DI FIRENZE PARCO DI ROMA PARMA PERUGIA PINETINA PONTE DI LEGNO PUNTA ALA PUSTERTAL QUARRATA RAPALLO ROVEDINE ROYAL PARK I ROVERI SAN DOMENICO SAN MICHELE SANT’ANNA SANREMO SATURNIA SERRA TANKA VILLASIMIUS TIRRENIA TORINO UDINE VARESE VERDURA VERONA VILLA CONDULMER VILLA D’ESTE
CERTIFICAZIONE G.E.O.
GEO CERTIFIED 2017
GEO CERTIFIED 2014 GEO CERTIFIED 2018
IMPEGNATI NEL VERDE Cat. Acqua 2013 e Cat. Patrimonio culturale 2017 Cat. Energia 2013 Cat. Patrimonio culturale 2017 Cat. Acqua e Biodiversità 2011 Cat. Energia 2014 Attestato di Merito 2007 – Cat. Paesaggio 2015 Cat. Paesaggio 2016 Cat. Acqua 2013 Certificazione Nazionale 2001 Attestato di Merito 2004 Cat. Paesaggio 2016 Attestato di Merito 2008 Cat. Energia 2018 Cat. Biodiversità 2010 Certificazione Nazionale 2001 Cat. Acqua 2011 Attesto di Merito 2007 Cat. Patrimonio culturale 2018 Cat. Energia 2016 Cat. Acqua 2012 Attestato di Merito 2004 Attestato di Merito 2005 - Certificazione Nazionale 2007 Attestato di Merito 2008 Attestato di Merito 2008 Cat. Energia 2014 Attestato di Merito 2008 Attestato di Merito 2008 Cat. Energia 2017 Cat. Paesaggio 2014 Att. di Merito 2004 - Cat. Biodiversità 2013 e Cat. Paesaggio 2014 Cat. Paesaggio 2016 e Cat. Patrimonio culturale 2018 Cat. Energia 2014 - Cat. Acqua 2016 Cat. Energia 2012 Cat. Paesaggio 2015 e Cat. Patrimonio culturale 2017 Cat. Energia 2012 - Cat. Paesaggio 2013 Cat. Energia 2017 Attestato di Merito 2007
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Attestato di Merito 2004 - Certificato Nazionale 2007 Cat. Biodiversità 2016 Cat. Acqua 2016 Cat. Recupero ambientale 2015 e Cat. Biodiversità 2017 Attestato di Merito 2005 Ric. Cat. Energia 2013 - Cat. Patrim. storico, artistico e culturale 2016 Cat. Acqua 2010 Attestato di Merito 2007 Cat. Energia 2015 GEO CERTIFIED 2013 & 2016 Attestato di Merito 2007 - Cat. Acqua 2012 Cat. Acqua 2014 Cat. Acqua 2011 Cat. Energia 2015 Cat. Recupero ambientale 2018 Cat. Recupero ambientale 2015 Cat. Acqua 2013 Cat. Acqua 2011 Cat. Energia 2017 GEO CERTIFIED 2010 & 2013 Att. di Merito 2005 - Certif. Naz. 2007 - Cat. Energia 2011-2015 Certificato Nazionale 2004 Cat. Acqua 2011 Cat. Energia 2016 Cat. Acqua 2011 Cat. Paesaggio 2014 Cat. Energia 2010 Cat. Biodiversità 2014 Cat. Patrimonio culturale 2017 Cat. Biodiversità 2015 Cat. Patrimonio storico, artistico e culturale 2016 GEO CERTIFIED 2014 Cat. Paesaggio 2014 Cat. Energia 2011 Cat. Acqua 2018 Cat. Biodiversità 2018 Attestato di Merito 2005 - Certificazione Nazionale 2007 GEO CERTIFIED 2011 & 2015 Certificato Nazionale 2005 - Cat. Energia 2015 GEO CERTIFIED 2015 Att. di Merito 2004 e 2007 – Cert. Naz. 2008 – Cat. Paesaggio 2017 Cat. Biodiversità 2014 Certificato Nazionale 2001 Cat. Acqua 2017 GEO CERTIFIED 2015 Cat. Acqua 2010
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Impegnati nel Verde premia i Circoli di golf che hanno adottato tecnologie, metodologie e gestioni che hanno consentito dei miglioramenti ambientali nei seguenti campi: PATRIMONIO STORICO, ARTISTICO E CULTURALE - ACQUA - BIODIVERSITÀ - PAESAGGIO - ENERGIA
Ad oggi sono oltre 70 i Circoli che hanno ottenuto questo premio. Impegnati per l’ambiente e unisciti a loro: sarà il primo passo per arrivare all’ambita Certificazione G.E.O.!
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GOLF E DIRITTO L’angolo giuridico
Il modello partecipato Questa volta affrontiamo altri due temi di grande interesse per le ASD: al centro dell’articolo la sicurezza e la prevenzione nei luoghi di lavoro di Marino Busnelli
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l tema della sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro risulta di grande importanza anche per le ASD, come ad esempio i Circoli di Golf, sia in presenza di lavoratori subordinati sia in presenza di lavoratori dipendenti di altri soggetti. In questa sede, per dovere di brevità, avanzerò solamente qualche cenno all’evoluzione legislativa che, partendo dalla norma generale dettata dall’art. 2087 c.c., ha prodotto il D.lgs 9 aprile 2008, n. 81, che risulta la norma cardine in materia. Il Testo Unico, infatti, ha provveduto ad una generale riorganizzazione della tematica in esame, disegnando un sistema imperniato sul principio della prevenzione, da realizzarsi tramite una propedeutica valutazione di tutti i rischi presenti in azienda. L’obiettivo è di eliminarli alla fonte o comunque ridurli al minimo, mediante un’attività di programmazione degli interventi, destinata a coinvolgere attivamente una nutrita serie di figure. È il c.d. modello partecipato della sicurezza: accanto al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, nonché agli organismi pubblici di controllo, già presenti nella disciplina previgente, il legislatore contempla altri soggetti destinatari di diritti ed obblighi: il servizio di prevenzione e protezione dai rischi (SPP) ed il suo responsabile (RSPP), il medico competente, i lavoratori, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS). Il D.lgs. 81/2008 delinea perciò un sistema di funzioni e di relative deleghe, per cui, eccetto talune funzioni facenti capo al datore di lavoro e da questi non delegabili (ossia: la valutazione di tutti i rischi con conseguente elaborazione del DVR e la designazione del RSPP), ve ne sono altre che possono essere oggetto di delega, fermo restando l’obbligo di vigilanza sull’operato del delegato, nonché il rispetto di taluni requisiti formali e sostanziali, necessari ai fini della validità della delega. In particolare, la delega di funzioni rappresenta lo strumento organizzativo ed operativo con cui si realizza la ripartizione dei compiti e dei poteri nell’organiz-
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zazione della sicurezza aziendale e viene validamente conferita a condizione che: - Risulti da atto scritto e, del relativo conferimento, sia data adeguata e tempestiva pubblicità. - Attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, nonché l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni stesse. - Sia attribuita a soggetto in possesso di tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; - Sia accettata dal delegato per iscritto. Quindi, il datore di lavoro - salvo le predette eccezioni - può delegare tutti gli obblighi gravanti su di sé. Il delegato, a sua volta e previa intesa con il datore di lavoro, può conferire ad altro soggetto specifiche funzioni, mediante subdelega, la quale deve: - Avere i medesimi requisiti di forma e contenuto previsti per la delega; - Essere autorizzata dal datore di lavoro; - Riguardare funzioni specifiche. I soggetti così delegati non possono, a loro volta, delegare le funzioni delegate. Volendo procedere con una panoramica generale della tematica della sicurezza, è bene ricordare dapprima l’evoluzione legislativa della materia, evidenziando poi i profili di responsabilità delle principali figure coinvolte in tal senso all’interno dell’organizzazione. Per quanto riguarda l’evoluzione legislativa della materia, nell’impostazione tradizionale, è affidata alla responsabilità e all’iniziativa del datore di lavoro, rientrando nell’esercizio dei suoi poteri direttivi e di organizzazione. L’art. 2087 c.c., infatti, lo vincola ad un obbligo di sicurezza nei confronti dei lavoratori, imponendogli di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Dette misure, quindi, mirano a prevenire situazioni potenzialmente dannose per la salute e per la personalità del lavoratore, alla luce della mutevole realtà produttiva (c.d. principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile). Lo Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970) ha successivamente innovato l’impostazione codici-
stica per renderla adeguata alla direttiva costituzionale sul diritto alla salute. L’art. 9 St. Lav., infatti, attribuisce ai lavoratori il diritto di controllare, mediante loro rappresentanze, l’applicazione delle norme per la prevenzione di infortuni e malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica. È intervenuto poi il D.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, il quale - nell’attuare la disciplina comunitaria 89/389/CEE - ha regolamentato ex novo la materia, con ambizioni sistematiche e di completezza in punto di salvaguardia della sicurezza del lavoro. Dette ambizioni, allora non del tutto soddisfatte, risultano oggi recepite dal D.lgs 9 aprile 2008, n. 81 Il Testo Unico ha comportato una generale riorganizzazione della tematica in analisi, definendo un sistema maggiormente incentrato sul principio della prevenzione, da realizzarsi tramite una propedeutica valutazione di tutti i rischi presenti in azienda. Lo scopo , dunque, è quello di ridurli sempre più, tendendo sino alla loro eliminazione, attraverso interventi programmati, volti a rendere un considerevole numero di figure partecipe attivamente e a realizzare in tal modo il c.d. modello partecipato della sicurezza. Pertanto, tenendo in considerazione il sistema della delega delle funzioni previamente descritto, è bene evidenziare che - soprattutto in tema di obblighi gravanti sul datore di lavoro e sul dirigente - il legislatore ha fatto sì che questi ultimi possano essere ricondotti concretamente a quattro macro aree. La prima macro area riguarda la predisposizione delle misure di sicurezza idonee ad evitare, entro i limiti del possibile, il rischio di infortuni sul luogo di lavoro. La seconda macro area riguarda gli obblighi nei confronti dei lavoratori. Ad essi devono essere forniti idonei dispositivi di protezione individuale e, in particolar modo, essi devono essere adeguatamente formati, informati ed addestrati, ad esempio sull’utilizzo dei macchinari aziendali e sui rischi che ne potrebbero derivare a seguito di un impiego imprudente o negligente degli
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rubrica a cura dell’Avvocato Paolo Montanari avvpaolomontanari@aruba.it
stessi. Sul punto si osserva che il datore di lavoro ha l’obbligo di accertare che solo i lavoratori in possesso di adeguate istruzioni e specifico addestramento accedano alle zone che li espongono a rischi. Altro importante obbligo previsto dall’art. 18 T.U è quello relativo alla consegna del documento di valutazione dei rischi, dovutamente predisposto dal datore di lavoro, al rappresentante di lavoratori per la sicurezza. La terza macro area si riferisce agli adempimenti necessari ai fini dell’effettuazione della sorveglianza sanitaria, i quali impongono ai dirigenti di nominare il medico competente e il diritto di richiedere loro l’osservanza degli obblighi prescritti dalla legge, oltre al dovere di inviare i lavoratori alla visita entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria. La quarta macro area riguarda l’obbligo di comunicare agli istituti previdenziali i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza ed i dati relativi agli infortuni sul lavoro. Analizzata questa serie di obblighi, sembra opportuno procedere con l’esame dei profili di responsabilità rilevanti in caso di violazione delle obbligazioni in materia di sicurezza. In particolare, possono rilevarsi profili di responsabilità: - 1. civile e previdenziale; - 2. penale 1) Responsabilità civile e previdenziale L’art. 10 del D.P.R. 1124/1965, come modificato a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, delimita la sussistenza della responsabilità civile del datore di lavoro per infortuni e, pertanto, il relativo obbligo di risarcire i danni patiti dal lavoratore, alle ipotesi in cui: il datore di lavoro riporti condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato; quando la sentenza penale stabilisca che l’infortunio è avvenuto per fatto imputabile a coloro del cui operato il datore di lavoro debba rispondere secondo il codice civile; quando in mancanza di accertamento penale, il giudice civile ravvisi gli estremi della responsabilità civile del datore di lavoro per il fatto che avrebbe costituito reato. Quando la sentenza penale stabilisce che l’infortunio sia avvenuto per fatto imputabile ai suoi dipendenti, si parla di responsabilità civile indiretta del datore di lavoro, sempre che egli debba rispondere dell’operato di questi secondo le norme. La summenzionata norma stabilisce inoltre “il principio centrale dell’assicurazione infortuni”, in virtù del quale, qualora non si configuri una responsabilità del datore di lavoro nel verificar-
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si dell’evento dannoso, il datore di lavoro che sia assicurato presso l’INAIL è esonerato dalla responsabilità civile del danno subito dal dipendente infortunato o affetto da malattia professionale, dunque il datore di lavoro non è tenuto al risarcimento del danno subito dal lavoratore. Contrariamente invece, qualora la responsabilità del datore di lavoro sussista e venga posta richiesta di risarcimento da parte del lavoratore, allora l’INAIL avrà diritto a recuperare le spese sostenute e le indennità erogate richiedendole al datore di lavoro con un’azione giudiziaria detta “di regresso”. L’esercizio di regresso da parte dell’INAIL si collega con l’onere dell’Ente medesimo di pagare automaticamente e comunque le prestazioni, in vista di una tutela più efficace del lavoratore infortunato. Alla luce di ciò, è evidente che la responsabilità del datore di lavoro sia condizionata all’accertamento di una colpa o dolo a suo carico, in quanto ogni volta che un lavoratore riporta un danno nello svolgimento della propria prestazione lavorativa, si profila una fattispecie astratta di responsabilità del datore di lavoro, operando in questi casi la presunzione legale di colpa a carico del debitore inadempiente, ai sensi dell’art. 1218 c.c. Sarà onere del creditore (in tal caso rappresentato dal lavoratore) - in un ipotetico giudizio allegare l’inadempimento colpevole, mentre sarà onere specifico del debitore convenuto (in questo caso il datore di lavoro) dimostrare l’adempimento o l’assenza di colpa. Una volta quindi che rilevi la responsabilità civile del datore di lavoro a fronte di sentenza civile o penale che accerti che l’evento si è verificato per fatto costituente reato, commesso dallo stesso datore di lavoro o da un suo dipendente, “il giudice civile può essere adito dal lavoratore per sentire affermato il suo diritto all’integrale risarcimento del danno subito, al di là delle somme già erogate dall’INAIL”, rispettando la prescrizione decennale che decorre dal momento in cui il danno si è manifestato: trattasi in detto caso del c.d. danno differenziale. Il diritto al danno differenziale costituisce in capo al titolare oneri di allegazione e prova specifici e stringenti. Infatti, deve essere accertata la condotta ascrivibile al datore di lavoro, con il rigore della legge penale. Il risarcimento che il datore di lavoro dovrà erogare terrà conto del danno emergente e del lucro cessante; il danno dovrà essere liquidato per riportare il patrimonio fisico-psichico del lavoratore infortunato, per equivalente, al valore che esso aveva prima dell’illecito.
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2) Responsabilità penale Le violazioni più gravi della normativa in materia di sicurezza integrano fattispecie di reato e sono colpiti da sanzioni di natura penale. Dette violazioni hanno quasi sempre natura di contravvenzione, pur esistendo talune figure qualificate dalla legge come delitti e, pertanto, punite più severamente. Infatti, alle contravvenzioni si applicano le pene dell’arresto o dell’ammenda, oppure - in alcuni casi - la sola ammenda o il solo arresto (le due sanzioni non sono cumulabili), mentre i delitti sono puniti con pene generalmente più gravi per durata ed entità: la reclusione e la multa. Orbene, per determinare la sussistenza della responsabilità penale per violazione della normativa in tema di sicurezza sul lavoro, rileva il rapporto sussistente tra condotta omissiva imputata e l’evento lesivo verificatosi: occorre accertare, cioè, se vi è un nesso probabilistico tra l’omissione posta in essere e la lesione verificatasi conseguentemente. La responsabilità penale è esclusa dal caso fortuito, dalla forza maggiore e dalla colpa esclusiva del lavoratore, se tali da recidere il nesso eziologico sussistente tra la condotta omissiva e la lesione. È bene sottolineare che il codice penale prevede un microsistema a tutela dell’integrità e dell’incolumità delle persone operanti nel luogo di lavoro: gli artt. 437 e 451 c.p. in tema di omissione di cautele contro gli infortuni, e gli artt. 589, comma 2, e 590, c. 3 del c.p., che stabiliscono una specifica aggravante qualora la morte o le lesioni personali derivino dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Inoltre, l’art. 590, ult. comma, c.p. afferma che sono perseguibili d’ufficio le lesioni commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale. L’INAIL potrà costituirsi parte civile all’interno del procedimento penale ed esercitare così la c.d. azione di regresso, che le consente di ottenere dal datore di lavoro penalmente responsabile dell’evento infortunistico o della malattia professionale, il rimborso delle somme pagate all’infortunato a titolo di indennità e spese accessorie. Si precisa, tuttavia, che l’esercizio dell’azione di regresso in sede penale rimane una scelta discrezionale dell’Ente, che potrà decidere se recuperare le somme e se farlo in sede civile o penale.
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LA CARICA DEI CINGHIALI
A campione, nelle cinque regioni di maggior rilievo in campo golfistico, abbiamo chiesto ad altrettanti importanti club di raccontarci le esperienze vissute con uno dei problemi di maggior rilievo nella gestione dei circoli
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MANUTENZIONE Difesa e prevenzione
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di Roberto Roversi
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no degli incubi maggiori di ogni greenkeeper è quello di avere a che fare con le invasioni dei cinghiali sul proprio campo da golf. Si tratta di un fenomeno più esteso di quanto si creda e coinvolge circoli sparsi un po’ su tutto il territorio nazionale, soprattutto quelli situati nelle zone boschive o limitrofe. I danni causati da questi animali sono spesso molto seri e riguardano soprattutto aree del fairway e del rough che vengono ribaltate grazie alla forza con la quale riescono a usare le loro zanne nella ricerca di cibo. I segni del loro passaggio su un campo da golf sono spesso molto pesanti e il ripristino delle zone danneggiate, oltre a creare disagi al gioco, richiede ore di lavoro normalmente destinate ad altre attività di manutenzione. Purtroppo molto raramente queste invasioni sono dei fenomeni isolati. Al contrario tendono a ripetersi con una certa frequenza in funzione di determinate situazioni ambientali. Il cinghiale, che vive in gruppo, è un animale onnivoro alla continua ricerca di cibo e tra i suoi “piatti” preferiti ci sono le ghiande di cui è ghiottissimo e che si trovano in grande quantità in molti percorsi con alberi. Le incursioni dei cinghiali avvengono principalmente di notte (durante il giorno preferiscono restare nella loro tana) e incontrarli non è proprio il massimo. Si tratta, infatti, di animali aggressivi in grado di attaccare l’uomo e le loro zanne (sono denti canini che nei maschi fuoriescono dalla bocca e raggiungono anche i 30 cm. di lunghezza) possono trasformarsi in un’arma molto pericolosa. La mole massiccia e compatta (mediamente un esemplare adulto misura circa un metro e mezzo di lunghezza, ma può arrivare anche a quasi due metri, con peso che può variare tra gli 80 e i 100 chili) ne fa un animale potente in grado di abbattere ostacoli o recinzioni poco solide. Particolarmente aggressive si rivelano le femmine quando sono in compagnia dei loro cuccioli e questo accade piuttosto spesso, in quanto hanno una capacità riproduttiva molto elevata (anche tre filiate in un anno). Da tutti questi elementi risulta evidente che, quando un circolo di golf si trova alle prese con un problema del genere, la soluzione non è per nulla facile da individuare. Infatti spesso si devono fare i conti con norme e procedure che comuni, province e regioni hanno introdotto in questo ambito e che non sempre sono le une uguali alle altre. Per saperne di più su questo particolare fenomeno abbiamo fatto una sorta di “giro d’Italia” golfistico, andando a sentire come alcuni circoli hanno affrontato e risolto il problema.
CIRCOLO GOLF E TENNIS RAPALLO “Le intrusioni dei cinghiali - racconta Fabrizio Pagliettini, Direttore del Circolo Tennis e Golf di Rapallo - sono iniziate circa una ventina d’anni fa in modo sporadico, ma poi si sono intensificate fino a diventare un vero e proprio incubo. Nel momento più critico le invasioni erano pressoché
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MANUTENZIONE
Cinghiali: difesa e prevenzione quotidiane e riguardavano anche altre aree circostanti il campo da golf. C’è da sottolineare che in una cittadina come Rapallo, con il percorso a ridosso del centro, abbiamo un numero altissimo di ungulati per niente infastiditi dal traffico urbano.” Che genere di danni hanno provocato queste invasioni? “Quando un gruppo di cinghiali entra sul percorso crea danni enormi. Sembra sia passata una ruspa. Fairway e tee sono le superfici maggiormente colpite, mentre sui green, almeno per quanto ci riguarda, non abbiamo mai avuto danni di rilievo. Al contrario è molto più facile riscontrare le tracce del loro passaggio sugli avant green.” Come siete intervenuti per riparare questi danni? “Beh qui si tocca un tasto dolente. Lavorare in un campo da golf penso sia un’esperienza affascinante e motivante. Quando prepari al meglio il percorso per una gara ti senti soddisfatto e ripagato per il lavoro svolto. È molto diverso, invece, trovarsi a riparare tutti i giorni i danni provocati dai cinghiali risistemando quello che probabilmente dovrai rimettere a posto il giorno dopo. Purtroppo non ci sono alternative e quando ci si trova in stagione di non vegetazione il lavoro è veramente fine a se stesso, perché i danni permangono creando disagi ai giocatori con ingenti danni sia sportivi che economici. Penso che parecchi golfisti non abbiano frequentato il nostro circolo per lungo tempo perché spaventati da questa condizione.” Come avete risolto il problema? “Come spesso accade in questi casi bisogna rivolgersi ai professionisti del settore. Ho instaurato, insieme al mio Superintendent Mario Bovone, un rapporto molto forte, di stima e collaborazione con Andrea Marsan, biologo della fauna selvatica e professore a contratto dell’Università di Genova, consulente della Regione Liguria. Da alcuni anni avevamo posizionato sul percorso gabbie per la cattura dei cinghiali e ricordo che in un solo trimestre abbiamo catturato circa 60 esemplari. Ma non è servito a nulla perché i cinghiali erano molti di più e i danni continuavano ad aumentare. Anche l’organizzazione di battute di caccia specifiche ha portato al medesimo risultato. Così con Marsan abbiamo fatto un ragionamento al contrario: il sistema migliore era forse quello di concentrare gli sforzi nell’allontanare gli animali piuttosto che nel fare loro una guerra inutile e perdente in partenza. Ci ha consigliato uno specifico recinto elettrico, con caratteristiche molto innovative e funzionali. Ha dedicato poi molto tempo nel seguire Mario Bovone nell’opera di posizionamento del recinto, fondamentale per la buona riuscita dell’intervento. Si sono trovate soluzioni ideali per le strade interne, i passaggi obbligati e le pendenze a fasce, come è caratteristico e normale trovare nei terreni liguri. Sono due anni ormai che, con un’attenta manutenzione del recinto, te-
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Nelle foto di questo servizio, i pesanti danni provocati dai cinghiali sulle buche di alcuni golf club italiani niamo a bada gli ungulati nonostante le notizie che arrivano dalle aree limitrofe siano sempre più preoccupanti. Per noi è stata una vera e propria liberazione e anche la manutenzione ne ha risentito in termini positivi, perché adesso abbiamo più ore disponibili da dedicare al miglioramento del percorso.”
GOLF CLUB UGOLINO Dalla Liguria passiamo alla Toscana con un breve viaggio da Rapallo a Firenze dove si trova il Golf Club Ugolino, un altro circolo che ha avuto a che fare con la presenza dei cinghiali. L’ultima “visita” è del gennaio di quest’anno, come segnala Cristiano Bevilacqua, Direttore del circolo fiorentino. “Da un paio d’anni non riscontravamo la loro presenza sul nostro campo. Hanno approfittato di un varco rima-
sto aperto nella recinzione e si sono introdotti sul percorso causando parecchi danni al campo.” Le invasioni dei cinghiali hanno una stagione preferita? “Qui da noi certamente no. Ne abbiamo avute sia d’estate con temperature di quasi 40 gradi che d’inverno quando si va sottozero. I cinghiali non hanno preferenze in questo senso. A loro interessa esclusivamente la ricerca di cibo e acqua. Nelle loro ultime scorribande sul percorso, oltre a rovinare parte dei fairway, hanno creato danni anche nelle aree attorno alle piante dove possono trovare bacche e ghiande. Quest’inverno, e non succedeva da tempo, hanno provocato danni pure sui green dove di solito non arrivavano. Abbiamo dovuto lavorare parecchio per rimettere in ordine il percorso con un grande dispendio di energie e di risorse.”
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48 Quale rimedio avete adottato per risolvere il problema? “La soluzione che abbiamo scelto da tempo è stata quella di installare lungo tutto il perimetro del campo una recinzione di rete elettrosaldata, infossata nel terreno e alta circa un metro. Dopo questo intervento non abbiamo più avuto invasioni. L’importante, però, è verificare costantemente lo stato di manutenzione della recinzione per evitare che si creino varchi che poi i cinghiali utilizzano per entrare sul percorso. Riteniamo che sia una delle soluzioni tra le più efficaci per combattere le invasioni di questi animali.”
MODENA GOLF & COUNTRY CLUB L’impiego di una recinzione di rete elettrosaldata è stata anche la scelta adottata dal Modena Golf & Country Club, che dal 2016 si è trovato alle prese con massicce invasioni di cinghiali. “È stata un’esperienza piuttosto impegnativa – dice il Direttore, Davide Colombarini – All’inizio, era inverno, la loro presenza è stata sporadica, ma con l’arrivo dell’estate le
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invasioni sono state quasi quotidiane. Abbiamo avuto a che fare con due gruppi diversi di animali: uno entrava dalla parte del fiume vicino alle buche 14 e 16, mentre l’altro proveniva dall’area incolta adiacente il campo pratica. I danni provocati sono stati crescenti con alcune buche martoriate giornalmente, dato che questi animali tendono a cercare il cibo sempre nello stesso posto. C’è stato un periodo nel quale avevamo almeno tre operai impegnati a riparare il percorso. Una situazione davvero frustrante.” Come siete intervenuti? “Inizialmente ci siamo rivolti alla Provincia che ha inviato guardie forestali e organizzato battute di caccia con le quali è stato abbattuto qualche animale, ma sostanzialmente il problema è rimasto irrisolto. Abbiamo anche valutato l’installazione di una recinzione elettrica, ma è stata considerata poco efficace in quanto la pelle del cinghiale, spessa e poco vascolarizzata, è quasi insensibile al basso
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voltaggio presente nei fili elettrici. Alla fine si è deciso per l’installazione di una recinzione completa del percorso con una rete elettrosaldata interrata nel terreno per 15 centimetri. Questo intervento non è stato semplice: abbiamo dovuto chiedere il permesso alla Provincia e rispettare alcuni vincoli in considerazione del fatto che una parte del campo è confinante con un area demaniale. Però adesso la situazione è tornata per fortuna alla normalità.”
GOLF CLUB DEI LAGHI Si cambia regione, passando dalla pianura padana alla zona dei laghi varesini, ma il problema delle invasioni dei cinghiali rimane sempre lo stesso. Ne parla Roberto Borro che, assieme a Luca Angelini e Carlo Giraldi, gestisce il Golf Club dei Laghi, a una ventina di minuti da Varese. “La presenza dei cinghiali da queste parti, dove ci sono molte aree boschive, è un fenomeno che conosciamo da tempo – spiega – Di recente le loro invasioni sul campo da golf sono state poco frequenti con danni relativamente contenuti. In passato, però, ci sono state situazioni molto più serie con visite quasi quotidiane e aree del campo costantemente rovinate. In passato l’impiego di prodotti chimici per la manutenzione del percorso fungeva da deterrente per
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le invasioni dei cinghiali che non cercavano cibo nelle aree trattate. Adesso, con l’introduzione di norme che vietano sempre di più l’uso di questi prodotti, la loro presenza si è incentivata e soprattutto le aree curate del campo sono più soggette agli attacchi di questi animali.” Come avete affrontato la situazione? “Ci sono stati vari tentativi. In accordo con i cacciatori abilitati dalla Provincia di Varese abbiamo provato la strada dell’abbattimento, ma il risultato non è stato granché in quanto dopo un breve periodo di pausa le visite notturne dei cinghiali sono riprese, con i soliti danni al tappeto erboso dei fairway. Sono state installate gabbie per la loro cattura, però anche questo metodo ha funzionato poco. Fortunatamente negli ultimi tempi non abbiamo registrato altre invasioni. Probabilmente questi gruppi di cinghiali, che nella zona sono molto numerosi, si sono spostati in altri boschi forse più tranquilli e meno frequentati dall’uomo. Abbiamo anche valutato la possibilità di installare una recinzione con fili elettrici, ma la conformazione del percorso, situato in una zona collinare tra i boschi, renderebbe piuttosto complicata e molto costosa questa operazione.”
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50 GOLF CLUB FRASSANELLE Il viaggio tra i circoli alle prese con le invasioni dei cinghiali prosegue in Veneto e precisamente al Golf Club Frassanelle, un percorso inserito nel centro dei Colli Euganei, un’area nella quale la presenza di questi animali è consistente. “L’ultima volta che abbiamo avuto a che fare con un’invasione di cinghiali è stato nel 2015 – racconta Alessandro De Luca, Superintendent del circolo, nonché docente della Sezione Tappeti Erbosi della Scuola Federale di Sutri - È avvenuto nei giorni precedenti la terza edizione del Venice Open della US Kids, un evento internazionale per ragazzi che coinvolge oltre 300 junior provenienti da tutto il mondo e che si disputava sui percorsi di Montecchia, di Terme di Galzignano e, appunto, di Frassanelle. Vaste aree del campo, e in particolare i green, furono completamente “arate”
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dai cinghiali, mettendo addirittura a rischio il regolare svolgimento di questa importante gara. Per tenerli lontani almeno nelle giornate del torneo dovemmo organizzare ronde notturne sul campo cercando di produrre rumori che inducessero i cinghiali a non avvicinarsi.” In quale periodo dell’anno ci sono state le invasioni? “In questa zona il problema lo abbiamo soprattutto d’estate. Il caldo e la scarsità di acqua spingono i cinghiali verso i laghetti e le zone più umide del campo, le quali, nel caso di Frassanelle, sono costituite principalmente dai green e dai green surround. In queste aree si trovano più facilmente radici e larve di insetti, di cui i cinghiali sono molti ghiotti. Il lavoro di sistemazione di queste delicate parti del campo ha richiesto costosi interventi manuali con ri-
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Cinghiali: difesa e prevenzione porto di materiale, nuove semine e rizollature. Il resto del percorso di Frassanelle è rimasto relativamente immune, essendo i fairway seminati con Bermuda e di conseguenza molto asciutti in quanto irrigati pochissimo.” Come vi siete difesi? “Il controllo della popolazione di questi animali, anche per ragioni ambientali, dovrebbe essere la soluzione più razionale, ma le lentezze burocratiche, aggravate dal fatto che il campo è situato all’interno di un’area protetta come lo è il Parco Regionale dei Colli Euganei, non ha reso possibile questo approccio. Abbiamo quindi installato una recinzione elettrica su tutto il perimetro del campo, per una lunghezza di circa cinque chilometri. L’investimento è stato importante così come è impegnativa la sua manutenzione,
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ma ne è valsa la pena. A distanza di tre anni i cinghiali sono ora un vago ricordo.” Esistono legislazioni o norme che in questi casi potrebbero essere di aiuto ai circoli? “Ci sarebbero. Il problema è che, oltre alle complicazioni burocratiche e interpretative, spesso mancano anche i fondi necessari per metterle in pratica. Per di più il privato, nemmeno sotto stretto controllo e sorveglianza da parte delle autorità preposte, ha la possibilità di intervenire per risolvere il problema. Gli americani presenti alla gara dell’US Kids che prima ho citato, di fronte ai danni provocati dall’invasione dei cinghiali e alle limitazioni burocratiche che impedivano soluzioni “forti”, non riuscivano a capire per quale strana ragione non ci si potesse difendere in casa propria!”.
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li appassionati meno giovani ricordano che il primo campo da golf costruito in Sicilia venne realizzato nel 1927, nei pressi di Palermo, su un bel uliveto da cui si godeva la vista sulla splendida baia di Mondello. Il percorso di 9 buche sopravvisse fino al 1943 quando in piena guerra mondiale venne occupato da un accampamento americano. Poi un black out di quarant’anni, fu solo dopo la metà degli anni Ottanta che a Castiglione di Sicilia iniziarono i lavori che portarono alla costruzione del Picciolo Golf Club, il primo percorso siciliano a 18 buche, disegnato sulla terra lavica dell’Etna dall’architetto Luigi Rota Caremoli. Risale allo stesso periodo l’ingresso nel mondo del golf di Salvatore Leonardi Calabretta, cinquantacinquenne catanese di Acireale e capostipite dei professionisti del verde in Sicilia, che nel 1989 partecipò con altri sei giovani ragazzi (poi divenuti colleghi e amici) al primo storico corso per greenkeeper – superintendent tenuto da Tom Dewar e promosso dalla Federazione Italiana Golf che per prima in Europa istituì la Sezione Tappeti Erbosi. «Alla fine degli anni 80 mia moglie con la sua famiglia era in procinto di realizzare il percorso di golf del Picciolo sulle pendici dell’Etna – spiega Salvatore che nel suo curriculum oltre alla qualifica di “Superintendent Certificato” ha anche un diploma conseguito al Liceo Classico - . Avevo già qualche esperienza di agricoltura sia pure a livello hobbistico ed in quel frangente ho iniziato ad interessarmi alle tecniche di coltivazione del tappeto erboso». Salvatore, dopo essersi occupato del Pìcciolo GC per 24 anni (1989/2013), nel 2012 ha avuto una collaborazione con i Monasteri Golf Resort e dal 2013 al 2018 è stato impegnato alle Saie Golf. Attualmente lavora per il gruppo JSH Hotels, un’azienda giovane e dinamica che sta puntando molto sul golf e sul turismo golfistico in Sicilia, gestendo due tra i più fascinosi campi siciliani: il Pìcciolo Golf Resort & SPA e i Monasteri Golf Resort nei pressi di Siracusa”. Caldo, sole, vento e non moltissima acqua: quanto è difficile fare il superintendent in Sicilia? «Operare in condizioni climatiche cosi estreme è una bella sfida per le capacità professionali di qualsiasi superintendent. Mai come in questa situazione è importante che i campi siano realizzati secondo le corrette pratiche di costruzione. Adoperando con parsimonia l’acqua, che al momento ancora non ci manca e avendo Bermuda sui fairway de I Monasteri (il campo più a sud, ndr) riusciamo comunque a ottenere una buona qualità del tappeto erboso. In ogni caso la quantità e la qualità dell’acqua di irrigazione rappresentano sempre un problema. Anche su questo aspetto è importante per il superintendent aver ricevuto una valida formazione professionale per acquisire le corrette modalità di irrigazione. Molto poi dipende dalla qualità costruttiva dei percorsi. Tanto per fare un esem-
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TRENT’ANNI DI GREEN SICILIANI
A colloquio con uno fra i superintent più noti d’Italia, che ha sempre rappresentato un importante punto di riferimento per il golf isolano
In queste pagine, foto del Pìcciolo, sullo sfondo dell’Etna, e de I Monasteri, percorsi curati da Salvatore Leonardi, che vediamo con un gruppo di addetti al campo e con Franco Piras (a destra), progettista del 18 buche de Le Saie
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Salvatore Leonardi Calabretta pio green realizzati con il sistema USGA, l’uso delle essenze macroterme su tutte le superfici, impianti irrigui moderni e razionali, possono contribuire a ridurre di molto le preoccupazioni». Quanto è importante seguire la linea di un golf ecosostenibile puntando alla valorizzazione delle risorse locali e alla riduzione degli sprechi? «Con l’entrata in vigore del P.A.N il lavoro è sicuramente diventato arduo, occorrono maggiori capacità professionali e il consueto sempre puntuale sostegno da parte dei tecnici della Scuola Nazionale dai quali trarre utili esperienze. Occorrerebbe anche affinare una maggiore conoscenza dei prodotti così detti “alternativi” oggi reperibili sul mercato. Su questo punto purtroppo si rischia di essere disorientati rispetto a tante offerte di prodotti “miracolosi” che magari così positivi non sono». Proprio a seguito dell’introduzione dei divieti sanciti dal PAN (Piano di Azione Nazionale), quali sono le problematiche che stanno emergendo e come si possono risolvere? «La professionalità conta e parecchio. L’uso dei prodotti fitosanitari per la cura di malattie fungine e per il diserbo di erbe infestanti ad esempio è sempre stata la via più breve e più facile per risolvere questo genere di problematiche. Oggi al superintendent viene chiesto molto di più soprattutto per ciò che concerne la prevenzione. Ma rimarchiamo anche il fatto che la qualità costruttiva dell’impianto oggi è il fattore che può fare la differenza». Ci può fare una descrizione dal punto di vista delle erbe e delle essenze dei due campi che sta seguendo, con caratteristiche e peculiarità dei percorsi? «Sul percorso del Pìcciolo, campo ormai storico, il primo realizzato in Sicilia è rimasto un miscuglio di microterme sui fairway e tee mentre sui green troviamo Agrostis stolonifera (Pencross ndr). I fairway e i tee de I Monasteri sono invece in bermuda mentre i green sono anch’essi in Agrostis stolonifera (cv Declaration, ndr). Per il futuro si sta vagliando una possibile conversione in bermuda su queste superfici».
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Quali sono i principali interventi necessari durante l’anno per mantenere il campo a uno standard sempre elevato? «Per raggiungere un livello qualitativo “top” occorre ovviamente predisporre una manutenzione intensiva, il che comporta investire in risorse per macchinari, materiali campo e personale. Per manutenzione intensiva intendo dire svolgere le corrette operazioni nei tempi dovuti: altezze e frequenze di taglio correlate alle specie insediate, concimazioni ad hoc per il clima , il suolo e la specie insediata, un corretto programma di aerificazione del suolo, verticutting e topdressing frequenti su tutte le superfici, uso ragionato e razionale dei cosiddetti prodotti fitosanitari alternativi quali stimolanti, induttori di resistenza, corroboranti, ammendanti, ecc». Come si gestisce il budget di una struttura in tempi di crisi come quelli attuali? «Maggiori le problematiche, maggiore la necessità di ottimizzare e razionalizzare le risorse a disposizione. Di questi tempi occorre operare scelte, ma ritengo non sia corretto farle a spese della manutenzione del percorso. Il nostro business è il golf e sulla sua manutenzione dobbiamo investire anche le poche risorse che abbiamo a disposizione. Se così non è, naturalmente si fa di necessità virtù, ma non vi è dubbio che la qualità del prodotto, ovvero un percorso di gioco sempre in ottime condizioni, rischia seriamente di peggiorare». Quante persone fanno parte del vostro gruppo di lavoro? «Al momento nella squadra ho quattro persone altamente specializzate sia per Il Pìcciolo che per i Monasteri. Non è esclusa però la possibilità di incrementare la forza lavoro in un prossimo futuro». Può aiutare essere un giocatore di golf nella sua professione? «Non ho mai avuto modo di giocare, spesso anche per mancanza di tempo, ma mi toccherà iniziare prima o poi... Penso che l’occhio di un giocatore possa avere un ruolo fondamentale, in particolare giocare a golf può aiutare il superinten-
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Nelle foto di queste pagine, due vedute del resort e della buca 9, la più spettacolare del Golf Club I Monasteri dent a comprendere meglio le esigenze del golfista e poter distinguere tra ciò che è realmente influenzante il regolare svolgimento di una competizione e ciò che invece può essere inteso come un capriccio». Difficoltà che si incontrano nella sua attività, pregi e difetti? «I pregi sono tanti: lavorare all’aria aperta, avere a che fare con una materia viva che cresce e che sembra rispondere alle nostre sollecitazioni, la soddisfazione per alcuni dei traguardi raggiunti e magari anche ricevere qualche apprezzamento da parte dei golfisti. Tra i contro metterei gli orari e gli imprevisti climatici, ma su questi purtroppo non ci si può fare nulla». Un aneddoto particolarmente originale capitato in questi anni di attività? «Molti, ma non saprei direi se particolarmente originali. Ricordo che un anno, mentre ero impegnato a carotare i green, venni additato da una signora golfista quale responsabile dello scempio di quelle superfici e che per tale motivo impedivo il regolare svolgimento del gioco. In aggiunta mi disse che non capivo quali sacrifici lei stesse facendo nel venire a giocare a golf durante la settimana...». È un lavoro che consiglierebbe ad un giovane? «Sicuramente sì, se hai una buona formazione professionale
che ritengo indispensabile, unita a tantissima passione, a quel punto vai alla grande». Pur avendo una serie di caratteristiche ottimali (clima, food, storia, ecc) perché nel sud Italia il turismo golfistico fatica a decollare? «Domanda che richiede risposte molteplici e piuttosto articolate. Ma attenzione, non è un problema solo del sud. È tutto il turismo golfistico italiano che dovrebbe essere rifondato su altre basi. Per cominciare occorre pensare alla creazione di poli turistici anziché realizzare i campi un po’ qui e un po’ là, dove ci viene concesso di farli. Poi bisogna pensare ai business plan. Quanti degli impianti esistenti, alcuni dei quali hanno magari goduto di finanziamenti statali e/o europei, sono in possesso di business plan credibili e di lungo respiro? Per non parlare poi di fatti poco spiegabili quali ad esempio la chiusura invernale di alcuni impianti, proprio nel momento in cui il flusso turistico del nord Europa invade i resort di Algarve, Spagna, Costa Azzurra e le meno tradizionali mete del Marocco, Cipro e Turchia. Vi è inoltre anche un enorme problema di infrastrutture, quali strade, ferrovie e soprattutto aeroporti. Il turista golfista si sposta volentieri anche di migliaia di chilometri, ma all’arrivo predilige avere una buona disponibilità di campi e resort nel raggio massimo di un’ora di auto dall’aeroporto di destinazione. Se non siamo in grado di offrire questo significa che non siamo ancora una meta turistica consolidata».
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James B. Beard
IL PAPA DEI TERRENI ERBOSI Molte le definizioni utilizzate per indicare il più grande esperto del settore, scomparso di recente all’età di 83 anni. Ce ne parla con commosso rispetto e affetto chi lo ha conosciuto a fondo, partendo dalla fine degli anni ’80...
M di Paolo Croce
ontecatini Terme, ottobre 1985. Nella sala maggiore dell’Hotel la Pace vi era la cosiddetta folla delle grandi occasioni. Ma non era lì per De Mita, che pure nella sala accanto doveva decidere con le sue già allora celebri “truppe Mastellate”, se continuare o meno l’appoggio al governo Craxi. L’hotel infatti era pieno di golfisti pronti a gustarsi la presentazione alla stampa del progetto del Centro Tecnico Federale di Nepi/Sutri. A fine giornata la soddisfazione negli occhi di Don Peppino Silva, Presidente federale e strenuo promotore del progetto, era evidente a tutti. Meno evidente, ma altrettanto determinato, il piglio caparbio di Roberto Rivetti, Consigliere Federale, che mi avvicinò prima di cena. “Ho intenzione di formare una Scuola per Segretari, come già facciamo per i
Accanto al titolo un primo piano di James B. Beard, fotografato qui sopra a Verona, nel 1994
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maestri, Gianfranco Costa mi dice che posso fidarmi di te. Conosco Romoletto (Romolo Croce - nda) e non penso di sbagliarmi. Posso contare su di te?”. La frase mi prese alla sprovvista, più o meno balbettai un: “Sì, certamente”, ma non avevo idea di cosa mi stesse proponendo, tanto che il giorno dopo presentai in FIG un CV, convinto di dover prima o poi frequentare un corso da segretari, anche se per la verità proprio due anni prima avevo lasciato il Golf delle Fronde con quella mansione, e al momento non pensavo di tornare a fare vita di club. Le cose andarono per le lunghe sia per la costruzione di Sutri che per la organizzazione della Scuola Segretari, mentre continuavo con il mio lavoro di consulente per tappeti erbosi e di redattore del Giornale del Golf. Alberto Mascherpa, Supervisore del Giornale del Golf e altro Consigliere Federale, mi teneva informato per eventuali novità, ma su quel fronte tutto taceva. Passò altro tempo e solo nella primavera dell’87 la situazione si sbloccò. Ci fu una riunione tra docenti (che non dovevo fare lo studente, l’avevo nel frattempo finalmente capito...) e la cosa singolare fu che non avrei dovuto trattare quella che in qualche modo consideravo la mia materia e cioè la manutenzione del campo, bensì la parte sportiva vera e propria, essendosi Gianfranco Costa riservata la parte relativa alle Regole del Golf. Di quel gruppo originario facevano parte Rinaldo Grue (amministrazione) e Renzo Ottobrini (informatica). La manutenzione venne affidata a Gianmarco Cravetto, Ciccio per gli amici, con il quale due anni prima avevamo presentato in FIG una richiesta per effettuare corsi per greenkeeper. Sede unica delle due scuole, Maestri e Segretari, i sotterranei dell’Acquasanta e fu proprio lì che ritrovai altri amici dai quali, molti anni prima, mi facevo battere senza scampo. Baldovino Dassù e Massimo Mannelli, raccolta l’eredità dell’australiano Tom Linskey, deus ex machina dei primi anni della Scuola Pro, erano infatti i nuovi responsabili ed erano affiancati da un giovane di belle e poi confermate speranze: Donato Di Ponziano. Degli studenti di allora ho solo un vago ricordo, gli anni pas-
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57 sano per tutti, e nel mio caso in maniera più veloce, ma Aldo Malchiodi, ingegnere che aveva collaborato alla realizzazione di Franciacorta, ebbi modo di incontrarlo più volte negli anni a seguire e addirittura tentare insieme a lui ed ad altri temerari la ricostruzione del tappeto di San Siro, distrutto dai mondiali del 1990. Ma questa è davvero un’altra storia. L’esperienza del primo corso Segretari fu per me molto importante e motivante. In fondo mi piaceva avere a che fare con giovani che muovevano i primi passi nel mondo del golf alla ricerca di una migliore qualificazione professionale. Ma onestamente mi mancava poter dire la mia sugli argomenti nei quali mi sentivo più preparato: quelli del campo. Un giorno a Biella ebbi modo di parlare a lungo con Tom Linskey, gli esposi la mia voglia di imparare di più sul tappeto erboso e chiesi un consiglio. Tom, prese a cuore la mia situazione, si attivò e trovò una soluzione per me eccitante quanto piena di punti interrogativi: un corso di due anni in un College in un sobborgo di Brisbane per ottenere una specializzazione in turfgrass science. Era la fine del 1987 ed il futuro per me era a 24 ore di volo da casa. Destino volle che in Australia non ci misi mai piede. Pronti ad organizzare il secondo corso Segretari, alla riunione preliminare partecipò anche Roberto Rivetti. Mi annunciò due novità. La prima mi fece piacere: avrei insegnato la manutenzione del tappeto erboso. La seconda mi lasciò di stucco: “I tempi sono maturi anche per una scuola per greenkeeper. Ho chiesto un po’ in giro e mi hanno detto che il migliore scienziato al mondo nel settore dei tappeti erbosi lavora in una Università texana. L’ho contattato, verrà da noi in primavera per un Seminario, gli parliamo, gli spieghiamo cosa vogliamo fare, e cioè corsi per la costruzione e la manutenzione dei campi da golf, e poi dovrai essere tu ad andare da lui per specializzarti. Ho bisogno però di almeno due docenti, trovati un volenteroso come te perché fra poco dovrai partire...”. Quando anni prima scopersi che esisteva uno USGA System, (costruzione del campo di Vinovo nel 1984), non avevo potuto fare a meno di leggere di James B. Beard, uno degli studiosi del sistema, già autore all’epoca della Bibbia del tappeto erboso con il vecchio testamento (Turfgrass Science) e il nuovo testamento (Turf Management for Golf Courses). Non semplicemente un uomo e/o uno scienziato, ma una autentica leggenda vivente della scienza del tappeto erboso. Insomma un essere inarrivabile che ritenevo si potesse leggere, ma, mai e poi mai, incontrare. L’incontro con “l’inarrivabile” andò molto bene. A distanza di 30 anni il Seminario delle Stelline (il palazzo di Milano che ospitò l’evento) viene ricordato da coloro che lo frequentarono come un successo per le presenze (oltre 150 persone) e per l’interesse suscitato dalle materie trattate. Ai presenti venne distribuito un manuale grigio di oltre 200 pagine, la cui traduzione mi impe-
gnò per diverse settimane. Oggi è una rarità per collezionisti e conservo gelosamente la copia che mi è rimasta. Il seguito però fu davvero duro e nel successivo incontro giocavo fuori casa. College Station è una cittadina nel cuore del Texas, a metà strada tra Houston e Dallas. Non sarebbe neanche segnata su una cartina stradale, se dei suoi 65.000 abitanti 50.000 non fossero studenti. La Texas A&M University (o più semplicemente TAMU) era all’epoca l’ottava più grande Università degli States (oggi la quarta) e la prima nel settore Agricoltura. Questo status permetteva che all’interno del campus fosse presente un aeroporto con voli regolari giornalieri su Dallas e Houston e nientemeno che un campo da golf a 18 buche. Uno stadio da 70.000 posti per il football (a ogni meta degli haggies, così sono chiamati gli studenti TAMU, si sparava con il cannone in modo che tutta la contea condividesse la gioa degli spettatori), uno da 10.000 per il basket, uno spiazzo da oltre 200.000 persone per l’annuale Bon Fire (il falò la cui costruzione richiede due mesi di lavoro), ma soprattutto gli enormi spazi dedicati allo studio (aule, laboratori, sale, ecc) rendevano surdimensionato ogni aspetto della vita di tutti i giorni, in particolare per chi, come il sottoscritto, era partito da un paesino di 350 anime, dietro la collina di Torino. Avevo trovato, dopo alterne fortune, un compagno di viaggio e di studio, Francesco Modestini, il cui nominativo l’amico Fabio Veronesi, Ordinario all’Università di Perugia, aveva suggerito a Roberto Rivetti. A Francesco mi legano tanti ricordi e prima o poi sarà il caso di scrivere qualcosa anche su di lui. L’inarrivabile ci diede appuntamento nel suo studio e già con Francesco ci immaginavamo, novelli Fantozzi, alle prese con un mega salone conferenze e, dietro la cattedra a 18 scalini, un enorme acquario in cui nuotavano gli studenti meno preparati. Ci presentammo un’ora prima, pensando di dover superare un fitto sbarramento di usceri, studenti graduati, professori di prima nomina, professori associati, prima di poter varcare il soglio pontificio e poter avere udienza. Non fu così. James Beard, con fare assolutamente in contrasto con la mole imponente e con il tonante “Howdy” (il ciao della TAMU) di benvenuto, ci accolse in un misero stanzino di 3 x 3 metri, pieno zeppo di libri e documenti e nel quale vi era appena lo spazio per due sedie. Imparammo subito cosa voleva dire frequentare una Università negli States, o quantomeno quella Università. Entrambi abituati al rigido formalismo dei baroni nostrani dell’epoca, inavvicinabili e arroccati nelle torri d’avorio dei loro studi fortificati, il fatto che il numero uno al mondo del settore si dimostrasse affabile, cortese, pieno di premure, ma soprattutto umanamente comprensivo, ci lasciava esterrefatti. Lo stanzino di Beard era sempre aperto, gli studenti, di solito vestiti come noi lo eravamo in spiaggia, entravano ed uscivano senza bisogno di appun-
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James B. Beard tamento e il Prof. li riceveva tutti sempre con la consueta informalità ed era sempre pronto a fornire aiuto e consiglio. Ma Beard aveva anche una formidabile squadra con sé: su tutti Robert Green, PhD oggi ad insegnare in California, e Sam Sifers, pilota di B 52 sui cieli del Vietnam, responsabile dell’attività sperimentale attraverso la quale cercava di dimenticare gli orrori di quella guerra. Per non parlare di Kirk Brown, professore di fisica del suolo, al quale si deve il fatto, un ventennio prima, di aver legato insieme a Beard, la TAMU allo USGA System. Proprio l’apparato sperimentale nel settore dei tappeti erbosi era il fiore all’occhiello della Texas A & M. e su quei campi passammo molto del nostro tempo, quando liberi da impegni di lezioni e di corsi. Rientrati in Italia con un titolo di studio che fino ad allora nessun studente del nostro paese aveva avuto modo di possedere, secondo i voleri di Rivetti e con la benedizione di Don Peppino Silva, il primo corso per Superintendent (così Beard volle chiamare i diplomati della Scuola) ebbe modo di iniziare nell’appena allestita scuola del Centro Tecnico Federale. Era il 1989 e da allora nel settore della manutenzione dei campi da golf italiani nulla fu come prima. Non voglio più dilungarmi, l’ho già fatto e insistere sconfinerebbe nel patetico, sull’importanza che la Scuola ha avuto in questo settore del golf italiano. Mi importa però continuare il filo dei ricordi che lega James B. Beard alle nostre alterne vicende. In qualità di consulente della FIG, Beard era anche appetito dai più importanti e prestigiosi circoli di golf italiani e per un periodo di parecchi anni ho avuto modo accompagnarlo in queste consulenze in giro per l’Italia. Quasi inutile dirlo, ma fu un’esperienza irripetibile e foriera di grandi insegnamenti. Il Centro Tecnico Federale, Torino, Carimate, Villa d’Este, Punta Ala, Verona, Venezia, Des Iles Borromées, Acquasanta, ma probabilmente ne scordo qualcuno, sono stati i campi che per lunghi anni hanno avuto la fortuna di fare tesoro del suo sapere. All’estero poi, essere l’assistente, o comunque essere inteso come tale, del numero uno del settore, mi conferiva un accredito molto superiore ai miei reali meriti. Innumerevoli i consessi ai
In questa foto, Beard durante un seminario e in alto insieme a Mocioni, Merlo Pich, Croce e Bianchi
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quali abbiamo partecipato e numerose le pubblicazioni del settore, condivise queste con i collaboratori di sempre: Alessandro De Luca e Massimo Mocioni, e con le successive conoscenze nei vari ambiti universitari: Padova, Pisa, Perugia, Torino. Fondamentali per la ricerca in Italia i due campi sperimentali che seguimmo al Golf Torino e a Roma presso i vivai Bindi. Ma fondamentale fu soprattutto l’insegnamento del Prof (anche a distanza di 30 anni lo abbiamo sempre chiamato Dr. Beard, James sarebbe stato troppo per una leggenda...) anche per le vicende della vita comune. Nel 1998 ad esempio dovevo presentare un lavoro al World Golf Congress che si teneva ogni quattro anni all’Università di St Andrews, la terza più antica delle isole britanniche. Non ero terrorizzato, ma poco ci mancava, in quanto ero convinto che gli oltre 400 scienziati provenienti da tutto il mondo fossero lì presenti solo per ridere delle mie eventuali corbellerie. Ci pensò Beard a riportarmi in carreggiata: con parole semplici mi disse che, indipendentemente dal prestigio e dalla sapienza delle persone che potevo avere di fronte, su quello specifico argomento, che avevamo preparato con mesi e anni di attività sperimentale, io ne sapevo più di tutti e quindi avrei potuto rispondere con tranquillità anche alle domande più insidiose. Aveva ragione, tutto andò per il meglio, e ancora oggi, nei momenti che mi ricordano la situazione di allora, mi ripeto questo mantra salvifico. Da almeno una quindicina d’anni, James Beard non era più consulente della FIG, e la stessa Sezione Tappeti Erbosi, che tutta l’Europa per tanti anni ci ha invidiato, non gode di buona salute. Le restrizioni finanziarie sempre più pressanti rendono quantomai difficile e gravoso il compito di Alessandro e Massimo. Si sta pensando a nuove soluzioni e a nuove sedi, speriamo di farcela perché perdere questa struttura, che ha fatto del tappeto erboso una scienza e una specializzazione sarebbe imperdonabile. Lo dobbiamo agli studenti passati e presenti della Scuola, ma lo dobbiamo soprattutto a coloro che, oggi non più tra noi, per questa istituzione hanno profuso impegno, dedizione e passione. Don Peppino Silva, Roberto Rivetti, Gianfranco Costa, Alberto Mascherpa sono i nomi che a tutti noi piace ricordare come i fautori di questa impresa. A questi illustri personaggi dobbiamo tristemente aggiungere anche quello di James B. Beard, che ci ha lasciato in una giornata di maggio, all’età di 83 anni. Al lavoro per le sue amate ricerche fin quasi all’ultimo istante, The pope of Turfgrass (così la stampa del settore era arrivata a definirlo) chiude infine la sua carriera stellare e una luminosa vita tra l’affetto dei suoi cari. Ci mancherà tantissimo. Che la terra gli sia lieve e che riposi in pace.
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Toscana
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L’hotel e la grande piscina termale di Saturnia. In basso il nuovo presidente del golf club, Fabrizio Rindi
Il rilancio di Saturnia Dopo il cambio di proprietà, in programma investimenti per 10 milioni di euro nel celebre resort della Maremma, fra cui la nuova clubhouse
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ento di grandi novità in Maremma. È cambiata la proprietà del bellissimo percorso di Terme di Saturnia e con lui anche quella di tutto il resort. Sulle Colline dell’Albegna è infatti arrivato un investitore di primo livello come il 66enne abruzzese Massimo Caputi, che nel suo curriculum di manager e imprenditore conta esperienze in grandi società. Fra i suoi successi la riqualificazione di Stazione Termini a Roma, la privatizzazione di Grandi Stazioni Spa, la gestione di Sviluppo Italia e di Fimit Sgr. Oggi è presidente di Feidos, società di finanza immobiliare, da lui fondata nel 2006, che insieme al fondo americano York Capital ha acquistato per 40 milioni, dalla famiglia milanese Manuli, il gioiello di Terme di Saturnia. Il piano di interventi in Maremma prevede un investimento di dieci milioni di euro per l’operazione battezzata “Restart Saturnia”, con cui il fondo York, in collaborazione con Feidos e Almus Capital, ha in programma di rilanciare il Terme Saturnia Spa & Golf Resort. Fra i principali progetti, il restyling delle camere, nuovi servizi e il raddoppio dell’area wellness entro
il 2019. Per quanto riguarda il golf, sarebbe già allo studio una nuova clubhouse. Obiettivo dell’operazione è quello di mettere in grande risalto le straordinarie qualità dell’acqua termale di Saturnia, in parallelo con i prodotti cosmetici e le cure praticate nel resort legati all’acqua stessa. In questo cambio al vertice, Fabrizio Rindi è stato nominato presidente del Golf Club Saturnia. Nato a Roma e laureato in Economia all’Università La Sapienza, oltre a essere un esperto e appassionato golfista, vanta una carriera illustre nel settore bancario e assicurativo in Italia e Svizzera. Il suo percorso professionale inizia nel 1980 in Winterthur Assicurazioni S.p.A., di cui nel 1995 diventa Presidente e Amministratore delegato. Dal 1998 al 2007 ricopre la carica di Vice Presidente di Credit Suisse Italia. Nel 2013 è nominato Presidente della Kairos Julius Baer, banca d’investimenti leader in Svizzera, e nel 2017 è Presidente di Kairos Partners SGR S.p.A. Le importanti competenze professionali vivono in tandem con l’indiscussa passione per il golf e, per questo, la società Terme di Saturnia, presieduta da Massimo Capu-
ti, lo ha scelto come nuovo Presidente del Golf Club Saturnia. “Ho accettato questa nuova sfida senza esitazioni, con la piena consapevolezza che una nuova stagione attende tutti noi a Terme di Saturnia” commenta Fabrizio Rindi. “Quest’anno festeggiamo i primi 10 anni di attività dall’inaugurazione del campo dal golf nel 2008. Un traguardo che è spunto per far crescere sempre di più questa destinazione unica al mondo”.
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Branden Grace alle prese con una pallina su cui discutere insieme a un arbitro del Tour. A destra, un referee in campo con il golf cart e l’inseparabile radio
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DURA LEX SED LEX
Secondo scritto a ruota libera di un giornalista golfista che ha trovato nel ruolo di arbitro un modo congeniale di stare in campo. Sperando sempre d’incontrare giocatori che abbiano compreso il vero Spirit of the Game... di Albert Tamietto - Arbitro Regionale Zona 1
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urante una gara di golf capita spesso di vedere sotto gli alberi o in cima alla collinetta un signore seduto su un cart che, con occhiali da sole, cappellino in testa e un’aria un po’ annoiata, si guarda attorno. Quel signore è l’arbitro, un appassionato di golf come tanti ma che, invece di essere in campo a giocare, se ne sta seduto a osservare i giocatori, a controllarli e ad aiutarli. “Ma se è così appassionato, perché non gioca anche lui?” vi domanderete. Già, è proprio qui il nocciolo del problema. Gli arbitri giocano quasi tutti, spesso male, ma giocano. Avete presente gli arbitri di calcio? Sono stati spesso mediocri calciatori e per questo, alla fine, si sono messi a fare gli arbitri. Può valere lo stesso discorso per quelli del golf? Diciamo che gli arbitri si dividono in due grandi categorie: quelli che lavorano nei circoli con vari incarichi, e quindi lo sono diventati anche un po’ per necessità, e quelli che, stando dall’altra parte (cioè quella del giocatore), si sono resi conto che difficilmente si sarebbero trovati un giorno a giocare con Jordan Spieth o Francesco Molinari. Ecco, io appartengo a questa seconda categoria. Cercate di capirmi: ho sognato anch’io di diventare ‘one digit’ e, in qualche modo, mi ci sono avvicinato. Poi, però, ho cominciato a prendere virgole su virgole e la sensazione di relatività del golf ha preso il sopravvento. Ho finalmente capito che non sempre, a una dedizione assoluta fatta di campo pratica, approcci e putting green, corrispondono risultati degni di tanta fatica. Gary Player disse “Più mi alleno, più divento fortunato”. Io no. Ma fare l’arbitro non è stata una scelta subordinata a un fallimento. Diciamo che il giocare male mi ha dato la spinta. La passione per l’arbitraggio o, meglio, per le regole, è cominciata molto prima. Forse dai tempi in cui sentivo dire da quelli ‘che sanno le regole’ che “una palla è mossa quando ha fatto mezzo giro”, oppure da quando ho visto un giocatore fare il tee shot con una Inesis e finire la buca in par con una Titlest. Fino ad
allora il libro delle regole, fatto l’esamino per essere ammesso alla élite del fairway, finiva in cantina, nel cestino delle ‘varie ed eventuali’, tra palline trovate in qualche ruscello, marchini di varia forma e colore, vecchi score pasticciati testimoni di sfide all’ultima birra. Poi, un giorno, al termine della gara nasce una discussione se la palla che tocca la linea bianca è fuori limite o no, oppure se la palla, in una particolare situazione, vada droppata o piazzata. Ed ecco che mi sono ritrovato a sfogliare quel libretto ormai spiegazzato, sgualcito e sopravvissuto a qualche temporale. Ma non sempre ho trovato la risposta desiderata: “Sì, questa regola si avvicina alla situazione, ma non è proprio quella che
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cerco” era una frase che sempre più mi girava in testa. E così scopro l’esistenza del ‘Libro delle Decisioni’, un tomo di 543 pagine dove sono riportate le risposte a tutte le situazioni che sono capitate nel mondo, ai quesiti posti da circoli e da giocatori: sono puntuali, dettagliate, rigorose, catalogate con precisione e qualche volta molto complesse. Ma, si sa, i latini dicevano “dura lex sed lex” e quindi le decisioni del R&A di St Andrews non si discutono: si applicano. Da lì il passo per diventare arbitro è stato breve, ma non facile. L’esame non è stato una passeggiata, anche se le regole le sapevo. La lotta contro il tempo per rispondere a quiz complicatissimi, a trovare la soluzione a situazioni ingarbugliate inventate dagli esaminatori (o probabilmente successe davvero) o anche solo per ricordarsi che cosa dice la regola 27/1, è una roba da panico quando hai un orologio che scandisce i minuti in maniera inesorabile: bisogna raggiungere il punteggio richiesto, se no “…ci vediamo l’anno prossimo”. Molti ci hanno provato e poi, andata male la prima volta, hanno rinunciato. Io ci ho riprovato e ora eccomi qui a raccontarvi la mia esperienza di cinque anni. La mia prima gara fu il Trofeo Umberto Agnelli al Royal Park di Torino: ovviamente ero ‘osservatore’, cioè quell’arbitro che, pur abilitato, è meglio che impari ancora un po’. Ed è vero: ricordo il panico e la tensione nel dare un ruling per una palla in ostacolo d’acqua laterale, nel cronometrare il tempo per la ricerca di una palla o anche solo nell’osservare una palla in volo per saperne poi indicarne la posizione al con-
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corrente che l’aveva tirata. In gara, quel giorno, c’era un certo Renato Paratore, allora ancora dilettante ma dal già allora intuibile futuro. Da quella volta la mia passione è cresciuta tra trofei giovanili e gare nazionali, imparando un modo diverso di arbitrare a seconda della situazione. In maniera didattica e quasi paterna con i bambini, spiegando loro perché hanno sbagliato (e consolandoli quando scoppiano in pianti dirotti per una penalità inattesa), in maniera rigorosa e professionale quando si tratta dei grandi, di gare importanti o quando ci si trova di fronte a situazioni non proprio gradevoli e rilassate. In questi pochi anni ho vissuto tanti momenti, molti belli, divertenti e gratificanti, qualcuno meno. Il momento più brutto per un arbitro? Quando si becca un giocatore disonesto, quello che corregge lo score, quello che trova la pallina sul bordo del fairway quando tutti l’hanno vista volare nella marrana accanto al fuori limite, quello che aggiusta la posizione della palla con un calcio. Il più bello? Quando un giocatore di una gara importantissima, al termine del giro, segnati i colpi con i compagni di match, verificato il totale nella scoring area, consegnato lo score, davanti a una birra con gli amici al bar si accorge (lui e solo lui) di avere dichiarato un colpo in meno. Si presenta al direttore di torneo accompagnato dagli increduli compagni di match e denuncia l’errore: squalifica inevitabile. Ma con i complimenti di tutto il Comitato e dei compagni per la correttezza, l’onestà e l’integrità: questo è ciò che si intende “The Spirit of the Game”.
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Prospettive
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Quattro proposte su cui meditare Dai giovanissimi agli over 65, l’Associazione dei proprietari di club ha identificato una serie di “riforme” per favorire la crescita del golf di Paolo Croce
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arliamo nelle pagine successive dell’incontro avuto alle Robinie con il Presidente della Federgolf, Franco Chimenti. Da quel sostanzioso confronto sono emerse alcune importanti tematiche in merito al “che fare” per rilanciare il movimento golfistico in Italia. In attesa di poter incontrare di nuovo Chimenti e illustrare direttamente le proposte, noi di Golf Impresa vogliamo condividere con i lettori e i golfisti la sintesi delle stesse. Per ragioni di spazio ci si limita ad un elenco dei titoli, ma un documento più corposo sarà a breve messo a disposizione degli interessati. 1- PROPOSTE PER PROMUOVERE IL GIOCO DEL GOLF E FAVORIRNE LA CRESCITA • Rendere agevole la procedura per la realizzazione della piccola impiantistica, con particolare riferimento al Compact BioGolf. • Revisione del tesseramento libero. • Comunicazione & Promozione. • Golf & Scuola. Nuove modalità di approccio.
4 - PROPOSTE PER VARIAZIONI PROCEDURALI IN AMBITO AGONISTICO • Permettere di utilizzare l’Hcp pieno ai giocatori over 65 dai tee avanzati. • Prolungamento dell’attività golfistica giovanile agli atleti in età universitaria (25/26 anni). • Reintrodurre su scala nazionale, sia pure limitatamente al golf, i Giochi della Gioventù. Golf Impresa è fiduciosa che anche solo l’avvio di alcune di queste importanti “riforme” possa fornire un segnale di inversione di tendenza, riavvicinando al golf coloro che per differenti ragioni se ne sono allontanati, e offrendo ai potenziali neofiti motivi per conoscere meglio il nostro bellissimo sport.
2 - PROPOSTE PER FAVORE L’INDOTTO TURISTICO • Liberare risorse per il settore (essenzialmente in termini di strutture e personale). • Elaborazione di una strategia di intervento per i prossimi 10/15 anni affidandosi a reali esperti del settore. • Formazione di poli turistici golfistici con la collaborazione degli enti locali. • Differenziazione delle offerte 3 - PROPOSTE NORMATIVE • Nuove regole per ciò che concerne le Omologazioni e conseguente revisione del Regolamento Organico della FIG. • Revisione dei privilegi correlati al possesso della Tessera d’Onore FIG. • Distinzione tra utenti agonisti e non. • Abolizione dell’autorizzazione FIG per disputare gare all’estero.
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Associazione Proprietari e Presidenti
Un rapporto da incrementare Meeting a Le Robinie: sul tavolo i numerosi temi legati alla gestione di un circolo di golf e, vista la presenza del suo presidente, Franco Chimenti, alla necessaria collaborazione con la Federgolf di Roberto Roversi
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Associazione dei Proprietari e dei Presidenti dei circoli di golf, Golfimpresa, è una realtà nata una quindicina di anni fa che nel corso del tempo ha modificato la sua struttura associativa, ma che ha mantenuto il suo scopo primario: quello affrontare in maniera comune i problemi legati alla gestione di in circolo di golf. Gli aderenti a Golfimpresa, che dal 2005 fa parte dell’EGCOA (Europe-
an Golf Course Owner Association) si sono ritrovati al Golf Club Le Robinie, con il presidente Federico Brambilla a fare gli onori di casa, per un incontro al quale ha partecipato anche il Presidente della Federazione, Franco Chimenti. Si è discusso di vari argomenti dalle questioni legate all’introduzione del PAN (il Piano d’Azione Nazionale che limita l’uso dei prodotti chimici nei campi da golf) alle novità in materia fiscale e di gestione della privacy. Tutti temi molto attuali che stanno diventando sempre più
Qui sopra una bella veduta de Le Robinie, sede del meeting organizzato da Golf Impresa. A destra, tre presidenti al tavolo dell’incontro: Federico Brambilla (Le Robinie), Franco Chimenti (Federgolf) e Giuliano Bagnoli (Golfimpresa)
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importanti per una corretta conduzione di un circolo di golf. L’appuntamento più atteso, però, è stato quello con il presidente federale, accompagnato in questa occasione dalla vicepresidente Maria Luisa Lolli Ghetti e dai consiglieri Stefano Mazzi e Celso Lombardini. La presenza di Franco Chimenti era legata soprattutto alla volontà di Golfimpresa di individuare degli intenti comuni sui quali Federazione e Golfimpresa possano trovare sinergie. Stimolato dal presidente dell’associazione, Giuliano Bagnoli del Golf Club Parco di Firenze, l’intervento di Franco Chimenti non poteva che partire dalla Ryder Cup del 2022 che si disputerà al Golf Club Marco Simone. Il presidente federale ha sottolineato ancora una volta come questo evento rappresenti la grande occasione per la crescita del golf italiano. Chimenti non poteva tralasciare di affrontare un tema che ha fatto molto discutere all’interno dei circoli italiani: quello dell’aumento della tessera federale. Il presidente della FIG ha affermato che si è trattato di una decisione indispensabile per assicurare un aiuto alla federazione, che ritiene sia stato compreso dalla maggior parte dei golfisti. Anche sul numero dei tesserati il numero uno della Federgolf si è dimostrato fiducioso prevedendo per il 2018 un aumento di 4/5 mila unità. “Stiamo uscendo dalla crisi e vedo un grande futuro per il golf italiano” ha dichiarato. Sui rapporti con Golfimpresa, Chimenti ha ribadito che la Federazione vede in questa associazione un alleato e non un’alternativa e ha chiesto al presidente Giuliano Bagnoli di predisporre un documento con proposte e idee sulle quali poter avviare un confronto comune. Tra queste, in particolare, è stata segnalata la questione dei cosiddetti “tesserifici”, cioè quei circoli affiliati alla FIG che dispongono di un campo pratica e qualche buca in grado di offrire basse quote sociali.
Un tema molto sentito dai golf club tradizionali che, a loro giudizio, hanno visto assottigliarsi il numero dei loro soci anche a causa di questo fenomeno. Si tratta di una vecchia questione che avrebbe sicuramente bisogno di essere chiarita perché in un mondo piccolo come quello del golf italiano l’ultima cosa di cui c’è bisogno sono le contrapposizioni. Tra gli argomenti da sviluppare è stato citato anche quello legato alla costituzione di consorzi d’acquisto tra i circoli per poter avere maggiore potere contrattuale nei confronti di fornitori comuni. Anche questa proposta non è nuova, ma fino a oggi è mancata la volontà di operare in maniera unita, una necessità che l’attuale situazione generale in cui si trovano molti circoli rende sempre più indispensabile. Particolarmente interessante è stato l’intervento dell’ex vice-presidente federale Paolo Casati, cui il presidente Chimenti ha teso la mano per riappacificare un rapporto che si era incrinato in occasione delle ultime elezioni, il quale ha fatto notare come oggi i circoli siano diventati ormai vere e proprie imprese a tutti gli effetti e come tali devono essere gestite. “In considerazione della lenta crescita dei praticanti per i circoli è indispensabile puntare sul turismo golfistico – ha detto il presidente del Golf Club della Montecchia – e la FIG deve dare indicazioni in questo senso. I circoli devono muoversi in questa direzione avviando azioni di marketing e migliorare la qualità dei loro percorsi per essere competitivi sul mercato internazionale.” Casati ha anche auspicato un rapporto più stretto tra la Federgolf e i circoli, soprattutto a livello regionale. Presente all’incontro anche Lorenzo Silva in rappresentanza del Golf Club Torino il quale, sollecitato da Chimenti, ha dato la propria disponibilità a far parte del prossimo consiglio di Golfimpresa.
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MEETING
Macchine da taglio
Produttività ecologica In Inghilterra, a Belton Woods, greenkeeper e superintendent hanno partecipato al seminario John Deere. Presentati i nuovi modelli, che puntano su consumi ridotti, qualità inalterata e costi contenuti di Roberto Roversi
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empo di novità in casa John Deere con lo sviluppo della linea di macchine Fairway PrecisionCut. I nuovi modelli sono stati presentati agli operatori del settore nel corso di un incontro al Belton Woods Golf Club, nei pressi di Leicester,
in Inghilterra, dove l’azienda statunitense dispone di una struttura riservata alla sperimentazione tecnica, alla formazione e alle dimostrazioni. Con i suoi 190 anni di storia, John Deere è una delle aziende più conosciute a livello mondiale nell’ambito della manutenzione dei campi da golf e dal 1998 figura tra gli sponsor ufficiali della PGA americana.
Da una decina d’anni supporta anche il LET, il circuito europeo delle ladies, e sarà tra i partner della Solheim Cup del 2019 in programma sul percorso scozzese di Gleneagles. Da non dimenticare, inoltre, che nel calendario del PGA Tour è presente da tempo il John Deere Classic, nel quale il circuito professionistico america-
Qui sopra il nutrito gruppo di greenkeeper e superintendent provenienti da Italia e Francia e, nella pagina accanto, alcuni dei nuovi modelli che John Deere ha presentato durante il recente meeting inglese
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no raccoglie uno degli importi maggiori del suo programma di beneficenza. Tutti dati che confermano la volontà di questo colosso mondiale nella produzione di macchine per l’agricoltura (ha 60 mila dipendenti ed è presente in quasi tutti i paesi del globo con quasi duemila dealers) di continuare a essere protagonista nel settore golfistico con una gamma di prodotti innovativi e rispettosi dell’ambiente. “Con i budget operativi sempre più ridotti e con l’aumento costante dei costi di manodopera, i nostri clienti hanno bisogno di una soluzione economica per eseguire i loro lavori - ha dichiarato Carlos Aragones, responsabile vendite e marketing di John Deere per il mercato europeo e del nord Africa - Partendo da questo presupposto, ci siamo proposti di progettare macchine che aumentassero la produttività e conservassero la qualità del taglio mantenendo bassi i costi. Ci siamo riusciti con i nuovi modelli 6080A, 6500A e 6700A.” Le tre macchine, tutte motorizzate con un diesel da 24,7 CV, si differenziano per una diversa larghezza di taglio e offrono prestazioni
e comfort di rilievo. Da segnalare l’innovativa trasmissione “eHydro” che elimina i collegamenti tra i pedali e la pompa idrostatica. L’incontro di Belton Woods, al quale ha partecipato un gruppo di greenkeeper e superintendent italiani coordinati da Roberto Foti Belligambi, responsabile John Deere per l’Italia, ha fornito anche l’occasione per provare sul campo alcune fra le macchine più recenti prodotte dall’azienda americana come le multiple ibride con i gruppi di taglio comandati elettricamente. Una soluzione che, oltre a rispondere a una filosofia di rispetto ambientale sposata da John Deere con l’impiego di motori sempre più ecologici, risolve il problema delle perdite d’olio nei circuiti idraulici. La ricerca e lo sviluppo tecnologico rappresentano uno degli obiettivi costanti dell’azienda di Moline, Illinois, che investe in questo settore quasi il 10% del proprio fatturato. La casa statunitense è molto presente sul mercato europeo (la sede più importante nel vecchio continente si trova in Germania a Bruchsal, vicino a Mannheim, mentre in Inghil-
terra e in Svezia ci sono altri due centri operativi) come testimoniano le partnership instaurate con alcuni dei campi da golf tra i più prestigiosi quali il PGA Catalunya in Spagna, Quinta do Lago in Portogallo, The Belfry in Inghilterra e Gleneagles in Scozia.
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CIRCOLI
Nuovi investimenti
Continua il percorso di evoluzione del dinamico resort in provincia di Biella. Prossime tappe l’apertura di una rilassante Spa e il rinnovo degli spogliatoi del golf
CAVAGLIÀ CRESCE ANCORA Qui sopra, Polo Schellino, il presidente del Golf Club Cavaglià, di cui vediamo sotto una delle belle 18 buche. A destra dall’alto, le colonnine di ricarica Tesla, la nuova Spa, la piscina e il campo da tennis
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a cura della redazione
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ffacciato sulla via Francigena quasi sul confine tra le province di Biella e Vercelli, si trova l’UNA Golf Hotel Cavaglià. Oltre a essere uno dei resort più belli e completi del Piemonte, si segnala come struttura giovane, dinamica e al passo con i tempi, dividendosi tra turismo, sport, viaggi d’affari, cerimonie, convention e meeting. Un occhio di riguardo poi va agli ospiti del ristorante Rossocuoco Steak House, diventato nel corso degli anni un punto di riferimento per chi ama la carne alla brace in stile Usa. Il tutto con la stupenda cornice di un campo da golf che a ottobre 2018 festeggerà il ventennale, cresciuto nel tempo fino a trasformarsi in un apprezzato percorso a 18 buche, mantenendo però intatta la sua mission di club aperto a tutti. L’UNA Golf Hotel Cavaglià ha uno dei suoi must nella posizione strategica, situato com’è sulle principali direttrici della regione, facilmente raggiungibile dalle autostrade Torino-Milano e Genova-Aosta (si trova infatti ad 1 km dall’uscita di Santhià). L’hotel quattro stelle dispone di 37 ampie camere, palestra, piscina estiva, sette sale meeting (tre delle quali con vista sul campo da golf, in grado di ospitare fino a 150 persone), connessione WiFi gratuita e una terrazza con vista sulle buche dove è possibile organizzare cerimonie e banchetti. Fra le ultime novità, che negli anni sono riuscite a qualificare sempre meglio la struttura biellese, da segnalare il campo da tennis, il pro shop e la sala giochi per bambini. In arrivo a ottobre la conclusione di due importanti interventi. Ci sarà infatti il vernissage della nuova Spa Centro Benessere e l’apertura dei nuovi spogliatoi: 104 armadietti per la sezione maschile e 25 per quella femminile. In entrambe le zone, sei docce a disposizione. Per quanto riguarda il campo da golf, dalle iniziali sei buche del 1998 si è arrivati nel 1999 a nove par 73 con doppie partenze. È invece del 2001 l’aggiunta di sei buche executive. Proprio partendo dall’utilizzo di queste ultime, nel 2014 sono iniziati i lavori per la trasformazione dei terreni in un unico percorso par 68 di 18 buche, aperto ufficialmente con una Pro Am e una bellissima festa a cui ha preso parte anche Costantino Rocca. Il presidente Paolo Schellino ha da poco festeggiato le modifiche effettuate alle buche 3, 10, 11 e 13 allungando il percorso di oltre 200 metri grazie alla realizzazione di due nuovi tee e due nuovi green. Direttore del circolo è Miguel De Sousa, con trascorse esperienze a Castelvolturno e Valcurone. La struttura ha sposato da sempre una linea ecologica. Nel 2016 il golf club ha ricevuto il riconoscimento ambientale “Impegnati nel verde” (categoria Energia), mentre nel parcheggio dell’hotel è installata la prima stazione Supercharger Tesla in un campo da golf europeo.
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Nelle foto, una delle nove buche del Golf Club Palermo Parco Airoldi e a destra il suo presidente, Luciano Basile
A colloquio con il nuovo presidente del circolo siciliano, che ha lanciato importanti investimenti nell’ex sodalizio di Villa Airoldi. A disposizione dei soci nove buche ricavate all’interno del celebre parco della Favorita
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di Salvatore Brancati
l 2018 è iniziato in Sicilia nel migliore dei modi. Il neo fondato Golf Club Palermo Parco Airoldi ha acquisito la gestione del campo da golf del capoluogo isolano. Il percorso è ricavato nel parco della villa settecentesca della famiglia Airoldi ed è inserito tra il tessuto metropolitano e la Riserva Naturale di Monte Pellegrino. Promotore e autore dell’operazione, Luciano Basile, appassionato golfista ed esponente di una famiglia di imprenditori di successo nel campo della sicurezza. “Il nostro principale obiettivo – esordisce il neo Presidente - è quello di realizzare un circolo tanto eccellente quanto lo sono i
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suoi principali elementi: la bellezza archeologica di Villa Airoldi, il pregio naturalistico della Riserva di cui fa parte e la collocazione all’interno del tessuto metropolitano di una grande città. Questi aspetti eccezionali meritano un circolo eccezionale.” Quali saranno le principali novità? “Abbiamo programmato quattro linee di interventi. Il restyling globale dell’immagine del club, iniziando da tutte le aree esterne. Quindi il campo pratica e il percorso, rinnovando l’arredo e tutti gli elementi più significativi: dai green ai bunker. Il terzo gruppo di migliorie riguarda le aree d’aggregazione e di sport all’esterno: dalla piscina al solarium, agli altri spazi per le fa-
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Le Saie Golf Club: chiusura temporanea Inaugurato nel 2014 su disegno di Franco Piras, Le Saie Golf Club ha chiuso temporaneamente i battenti. Dal 15 giugno, infatti, il campo non è più aperto al pubblico, per ridurre al minimo i costi di gestione. Sarà garantita solo una minima cura delle aeree a verde per prevenire incendi e non disperdere gli investimenti. Il campo (un link par 72 di 6.316 metri) è inserito in un complesso alberghiero di grandi dimensioni, capace di ospitare fino a 1.200 persone. Vi sono strutture, piscine, ristoranti e impianti turistici di ogni genere e si estende fino al mare con un tratto privato di spiaggia. La proprietà ha, inoltre, un complesso alle porte di Taormina, con un altro campo (disegnato questa volta da Costantino Rocca ma mai aperto al gioco) anche questo corredato di clubhouse e ville. Le Saie Golf Club si era distinto negli ultimi anni per un’intensa attività sportiva e sociale, ospitando gare, allenamenti e tante manifestazioni promozionali aperte al pubblico. I costi di dell’ingente investimento turistico hanno tuttavia imposto un fermo anche a quest’attività, in attesa di dar luogo nei prossimi mesi a una nuova strategia di rilancio.
miglie. Infine realizzeremo importanti interventi nella nuova clubhouse, che sarà ospitata all’interno della villa settecentesca: nuovi spogliatoi, sale per soci, la ristorazione e successivamente il pro shop. A chi vi rivolgerete principalmente? Speriamo di coinvolgere in particolare le famiglie e gli sportivi praticanti. Vogliamo creare un circolo multidisciplinare, dove coesistano diversi sport e attività. L’osmosi è la chiave di lettura per coinvolgere e stimolare i nostri soci nel provare nuovi interessi e, magari, il golf. Tutti i componenti della famiglia troveranno il loro spazio e i loro interessi: dai ragazzi alle signore, agli sportivi. Quale sarà il vostro programma? Ovviamente procederemo con flessibilità lungo una linea già programmata: prima la struttura, poi l’offerta sportiva e sociale, quindi gli ospiti. Successivamente volgeremo i nostri sforzi alla società e al turismo. Quest’anno Palermo è stata nominata Capitale della Cultura e arricchisce la sua offerta turistica e culturale con centinaia di iniziative ed attrazioni. È un’occasione da non perdere.
Golf e turismo, sembra un binomio inscindibile sul territorio siciliano. Io sono anche un albergatore e ho imparato che il turismo vive di attrattività. Palermo è solidamente inserita nei più importanti circuiti internazionali perché gli ospiti sono curiosi e attratti dalle esperienze che la nostra terra offre. Tra queste, quelle all’aria aperta non temono confronti: dal mare alle isole, al clima. Quante città possono offrire anche un campo da golf in pieno centro, magari dentro il parco di una villa nobiliare del ’700? In merito alla promozione e alla Ryder Cup 2022, quali sono i vostri obiettivi? Pensiamo che la promozione passi principalmente attraverso i giovani. Noi siamo il circolo di gran lunga più numeroso della Sicilia, tuttavia crediamo che certi limiti fisici e temporali del golf siano difficilmente superabili. La capienza massima degli impianti determina in sé un limite fisiologico. Lavoreremo per qualificare al massimo il circolo e i suoi atleti, successivamente ci rivolgeremo a un circuito più virtuoso.
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MACROTERME E STORIA Tour fra i nostri golf per un gruppo di studenti della Penn State University, alla scoperta delle grandi bellezze e dei circoli italiani
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ntefatto: nel 2015, Massimo Mocioni mi presentò il professor Peter Landschoot, agronomo della Penn State University (Pennsylvania, Stati Uniti), con cui da molti anni collabora per ricerche scientifiche sui tappeti erbosi ecocompatibili, pubblicate su riviste agronomiche e presentate in occasione di congressi. Era stato per l’appunto invitato a un convegno a Torino sulle pratiche manutentive americane a confronto con quelle italiane; in tale occasione Landschoot espresse il desiderio di visitare la capitale: eccomi dunque pronta a guidare un americano “vero” a Roma! Rimasto affascinato dalle grandi bellezze della caput mundi, scoprendone gli infiniti angoli nascosti e ascoltando i miei racconti sulla classicità e sui tempi che furono, mi invitò a parlare agli studenti del loro college e a visitare alcuni campi americani. Nel settembre 2016 tenni nell’auditorium del Dipartimento di Biologia vegetale dell’Università della Pennsylvania un seminario sull’impegno ambientale del golf italiano e sui grandi patrimoni storico-artistici tutelati nei nostri circoli di golf. Visto l’interesse per le tematiche mediterranee e essendo l’Italia un sogno per tutti, almeno una volta nella vita, lanciai la
Nelle foto, il gruppo della Penn University in visita in Italia, in compagnia dei superintendent dei campi, di Antonio Bozzi, Vice Presidente Vicario della Federgolf, e di Marta Visentin, esperta di tappeti erbosi e autrice di questo articolo proposta di scambio culturale proponendo di venire a visitare alcuni nostri circoli e le grandi bellezze dello Stivale. La proposta venne accolta e con entusiasmo una delegazione del dipartimento di Agricultural Sciences della Penn State University, costituita da sei docenti e quattro dottorandi, è arrivata a Fiumicino il 9 maggio scorso. Il college da cui provengono è il luogo dove vengono formati gli agronomi americani ma anche stranieri, che una volta terminati gli studi, saranno impiegati nei campi da golf statunitensi. Pertanto, l’esperienza fatta in Italia è stata oltremodo utile anche ai fini formativi e sono ripartiti a malincuore il 15 maggio, con il desiderio di tornare e proseguire oltre.... Il tour che ho organizzato ha permesso al gruppo di visitare circoli di pregio (peccato siano arrivati un giorno dopo rispetto al previsto a causa di uno sciopero del personale aereo e pertanto abbiamo dovuto modificare il programma, perdendo l’Acquasanta, Archi di Claudio e Castelgandolfo,). Tra questi l’Ugolino, dove il direttore Cristiano Bevilacqua e il Superintendent Vanni Rastrelli hanno mostrato l’inequivocabile bellezza del circolo e la naturalità del tappeto erboso, il tutto
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Diario di viaggio degli studenti della Penn State University
Ecco cosa hanno scritto al termine del loro viaggio italiano i dieci studenti universitari che, insieme allo staff della Penn State University sono venuti in Italia durante la seconda settimana di maggio nell’ambito di un programma di studi internazionale chiamato “TURF 499 - Turfgrass Management Practices in Italy”, ossia legato alla gestione del manto erboso nel nostro Paese. “Il nostro corso prevedeva lezioni settimanali, durante il semestre primaverile, sulle pratiche di manutenzione nei campi da golf e sulla visione generale del golf in Europa. Il corso si è concluso con un viaggio di otto giorni per visitare numerosi percorsi in diverse nostre regioni. Perché l’Italia? Perché si voleva verificare come i direttori e proprietari di golf club italiani avessero reagito al recente divieto di utilizzare pesticidi sintetici sui manti erbosi nei campi. Sfortunatamente, il viaggio ha subìto un giorno di ritardo per uno sciopero dei controllori di volo a Fiumicino, il
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che ha costretto a saltare la visita di tre campi vicino Roma. Ma la ‘guida’ Marta Visentini della Federgolf, non ha mancato di proporre al gruppo le bellezze storiche romane: dalla via Appia al Colosseo, da San Pietro a Piazza di Spagna. Il secondo giorno il tour si è spostato da Roma a Firenze: un breve giro della città e poi visita al Golf Club Ugolino, tra i più antichi d’Italia. La vista delle ville, degli ulivi e dei vigneti ha lasciato tutti a bocca aperta. Il percorso era in ottime condizioni, a parte qualche piccolo problema di erbacce e qualche punto in cui il prato era colpito da Dollar Spot, una grave patologia del tappeto erboso. Il Superintendent Vanni Rastrelli ha raccontato il suo modo di approcciare i parassiti e ha sottolineato come la gestione del suolo sia la chiave principale per il successo. Una volta lasciato l’Ugolino, viaggio verso Bologna per trascorrere la notte in una villa quattrocentesca appartenente a un professore dell’Università del capoluogo emiliano. Il giorno dopo gli esperti americani Landschoot, Kaminski e McNitt hanno esposto le loro considerazioni sul manto erboso agli studenti, ai greenkeeper e a rappresentanti della Fig, nel contesto della più antica università in Europa, fondata nel 1088. Dopo il seminario, a Villa La Babina un eccezionale buffet e il tour della villa e dei giardini ha accompagnato il gruppo, riconoscente ad Alberto Minelli per l’ospitalità.
La tappa successiva era verso la regione più produttiva dal punto di vista agricolo e in particolare verso il Parco Regionale dei Colli Euganei, un’area montagnosa con sorgenti calde appena fuori Padova. I campi da visitare erano gli eccezionali golf della Montecchia e Frassanelle. Il tour è stato guidato dall’agronomo della Fig Alessandro De Luca, il quale ha sottolineato l’importanza di un approccio sostenibile alla gestione dei campi in Italia, oltre ad aver spiegato perché entrambi i percorsi di Montecchia e Frassanelle hanno scelto di passare da tappeti erbosi per temperature fredde a bermuda. Al termine, cena con il presidente del club di Frassanelle. Domenica mattina, in treno trasferimento a Venezia dove la giornata è stata dedicata a visitare palazzi, piazze, chiese e canali. Il giorno dopo, ritorno a Roma per il Golf Nazionale, a nord della capitale, e il sito etrusco di Sutri, un paese medievale con un anfiteatro poco distante, scavato dalla lava nel VI secolo a.C. La cena finale è stata in una trattoria sul Lago di Bracciano. Rientro negli Stati Uniti martedì 15 maggio. Tutti i partecipanti al TURF 499 hanno goduto di una tanto piacevole quanto istruttiva esperienza, che ha permesso di approfondire le conoscenze sul tema dei tappeti erbosi ma anche di visitare alcuni dei luoghi più belli di Italia. Con la speranza che ci sia una nuova edizione di questo corso internazionale anche nel 2019.”
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VIAGGI E STUDIO
Italia in primo piano
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Nelle foto, momenti di lavoro per il gruppo della Penn University al Nazionale e alla Montecchia, intervallati da visite alle bellezze italiane, quali San Pietro e Colosseo a Roma e Piazza San Marco a Venezia accompagnato da una squisita accoglienza a base di prodotti locali, tra cui l’olio e il vino del Chianti. Poi sono seguiti Montecchia e Frassanelle, regno settentrionale delle macroterme e dove l’ospitalità è garantita. Nei due circoli Alessandro De Luca ha illustrato nel dettaglio tutte le ricerche applicate e le soluzioni ecosostenibili per avere tappeti erbosi e zone intorno alle buche rispettose delle nuove direttive in materia di non utilizzo di sostanze chimiche, secondo il PAN e per risparmiare l’acqua. Soprattutto si tratta di linee di intervento rispettose del il marchio Biogolf, che connota il percorso verde di Montecchia, primo in Italia ad aver abbracciato questa innovativa iniziativa improntata sulla sostenibilità a 360 gradi. Costruita rigidamente in accordo tra Istituto per il Credito Sportivo e Federazione Italiana Golf, ha ottenuto il supporto di Legambiente, Federparchi, Fondazione Univerde e Golf Environment Organisation. Il quarto circolo oggetto di visita è stato il Golf Nazionale dove il Superintendent Andrea Cappuccini ha spiegato la manutenzione attuata dopo la conversione da micro a macroterme, con i ben noti vantaggi derivati dall’impiego della bermuda. Un altro aspetto scientifico degno di nota è stata l’organizzazione di un seminario a cura di Alberto Minelli, professore che oltre a essere un noto paesaggista è anche membro del Comitato Scientifico del progetto Impegnati nel Verde. Il seminario si è tenuto nella prestigiosa Alma Mater Università di Bologna, sede di Imola, luogo che in futuro potrebbe ospitare
i corsi di formazione per tecnici di golf, fino a oggi ancora presso la scuola nazionale a Sutri. Questo cambiamento è stato ipotizzato dal Vice Presidente Vicario della FIG, Antonio Bozzi, intervenendo al seminario, dove gli esperti ospiti hanno presentato interessanti risultati, ottenuti grazie a ricerche scientifiche svolte sui tappeti erbosi nei campi da golf e in quelli di calcio, accompagnati da analisi economiche sulla sostenibilità ben illustrate da Minelli. Le grandi bellezze italiche, che ho potuto includere in questo tour e che mi hanno permesso di raccontare tanta nostra storia e cultura, sono state Roma, Firenze, Venezia, i colli Euganei e il piccolo centro etrusco-medievale di Sutri, in provincia di Viterbo. Ogni luogo è stato fotografato ed elogiato: non per essere presuntuosi, ma lo sappiamo che la nostra Italia è davvero spettacolare, piena di tradizioni e con una cucina che ci invidiano tutti. Basterebbe poco per promuoverla un po’ di più e renderla meta di visite anche per chi gioca a golf... invece di andare in altri Paesi europei. Per il bis di questo gruppo e per i prossimi che auspicabilmente verranno, ho già preparato un nuovo programma, e questa sarà la volta del sud. I campi in Puglia e in Sicilia saranno le prossime mete, per far diventare i nostri circoli tappe fondamentali nei percorsi di studio e valorizzare le bellezze del nostro amabile meridione. In altre parole, per far appassionare chi non conosce le realtà indimenticabili custodite nelle Regioni a sud del 41esimo parallelo!
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Colli Berici
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Obiettivo su un circolo veneto che nel corso dell’ultimo periodo ha dato importanti segnali di crescita e che è diventato partner del gruppo Play 54,con Montecchia, Frassanelle e Galzignano
18 BUCHE ALLA VICENTINA
Nella foto, una bella veduta aerea del Golf Club Colli Berici
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In queste pagine, immagini riprese nel circolo vicentino dei Colli Berici: dalla moderna e accogliente clubhouse al rinnovato e razionale campo pratica , alla bella piscina infinity, ideale per importanti eventi e manifestazioni
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È
una delle realtà più interessanti nel panorama del golf veneto. Da quando nel 2004 la proprietà è stata rilevata dall’attuale presidente, Alberto Ferrari, il Golf Club Colli Berici ha ottenuto risultati di rilievo, migliorando molto le strutture e il suo percorso da campionato, fino ad arrivare a ospitare anche competizioni dell’Alps Tour. Industriale nel settore chimico/farmaceutico, socio della Fis di Montecchio Maggiore, Ferrari ha creduto fortemente nel progetto Colli Berici, ottenendo in cambio risultati concreti sull’immagine del circolo. La clubhouse è stata ristrutturata nel 2013, in base al progetto elaborato dell’architetto vicentino Flavio Albanese, che in campo golfistico è stato anche fra i progettisti del celebre Verdura Resort. Grazie a luminose vetrate che si aprono su terrazze esterne, è un piacevole punto di incontro e di ristoro per i golfisti: gli ampi e confortevoli spazi comuni sono ideali per ammirare il panorama e per intrattenersi in piacevoli momenti di relax. La clubhouse ospita un bar e un ristorante di ottimo livello, inserito nella Guida Veronelli, con tipiche specialità locali e un’importante carta dei vini.
Colli Berici
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La nuova piscina infinity offre la possibilità di rilassarsi durante il periodo estivo ed è la sede ideale per importanti eventi e manifestazioni. Infine l’area simulatore di gioco offre la possibilità ai Pro e non solo di allenare e divertirsi in avvincenti partite. Il nuovo campo pratica su due livelli offre nove postazioni al piano superiore e 11 coperte al piano inferiore delle quali due riscaldate. Completano l’area di allenamento quattro putting-green sintetici, una zona dedicata al pitching green e per gli ospiti sono a disposizione sacche da noleggio per destri e mancini, oltre che uomo e donna, carrelli manuali, carrelli elettrici, golf car e scooter. Il Golf Club Colli Berici da fine 2017 è divenuto partner di Play 54 (gruppo che comprende anche Montecchia, Frassanelle e Galzignano) per ottenere maggior circuitazione di giocatori tra i diversi circoli, per garantire un’offerta allargata e differenziata ai giocatori stranieri come destinazione golfistica, per realizzare politiche di marketing comuni e per scambio di esperienze e altre attività, mantenendo comunque inalterata la sua indipendenza a livello societario e gestionale.
La scheda del circolo Golf Club Colli Berici Strada Monti Comunali, 1 - 36040 Brendola (Vicenza) Tel 0444 601780 info@golfclubcolliberici.it - www.golfclubcolliberici.it fb: Golf Club Colli Berici Fondazione: 1984 Giorno di chiusura: lunedì non festivo Stagione: aperto tutto l’anno Progetto: Marco Croze Presidente: Alberto Ferrari Vice-presidente: Alessandro Belluscio Direttore: Carlo Molon Responsabile Segreteria: Titina Fabris Monterumici Maestri: Manolo Blanco Blanco, MGA Golf Academy Attività giovanile: Lorenzo Rizzo Superintendent: Graziano Crocco Percorso: 18 buche, par 70, m 5.193, donne m 5.064, CR 69,7 - Slope 131 Strutture e servizi: golf car, carrelli elettrici e manuali, scooter, driving range, pitching green, 2 putting green naturali, area gioco corto, ristorante (tel. 0444 401195) e bar aperti al pubblico, pro-shop, piscina con servizio bar ristorante Altitudine: metri 300 slm
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BACKTEE Marco Dal Fior
E per fairway un campo di stelle…
Qui sopra, lo splendido castello che ospita l’ultimo gioiello nato nel settore golfistico. La struttura a cinque stelle lusso è quella di Adare, in Irlanda, che ospita ovviamente un campo all’altezza del resort da sogno
C
osa cerca un turista che entra in un Circolo di golf? Il fatto che oltre il cancello ci sia un percorso con buche, green, bunker e fairway è assolutamente scontato. Il campo è, per così dire, il minimo sindacale. Anche perché la maggioranza dei turisti con sacca al seguito naviga con handicap dalla seconda decina in su. Di sicuro appassionati, spesso competenti, ma con qualche lacuna tecnica ancora da superare. Il par 4 da 300 e passa metri in salita, quello che scrutato dal tee di partenza sembra una pista da sci senza neve, potrà anche eccitare il giocatore scratch, chiamato a dare fondo a tutta la sua perizia e alla sua capacità atletica per portare a casa il par, ma fa alzare subito bandiera bianca al ragionier Persichetti, drive da 100 metri quando la piglia, ferri tossicchianti, giusto approccio e putt per tenere a bada le virgole. Il campo che piace al turista è quello che fa divertire, non quello che fa ammattire. Vorrei vedere quanti di noi si sono segnati in
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agenda l’indirizzo di Shinnecock Hills, le 18 buche che hanno fatto impazzire i protagonisti dell’ultimo U.S. Open. Se qualcuno ne ha preso nota è solo per ricordarsi di non capitare neppure per caso in quel girone infernale fatto di rough altissimi, fairway striminziti e green di marmo. È un po’ come per gli hotel: che ci sia un letto più o meno comodo è dato per scontato. E il dato non fa parte dei criteri di scelta. Casomai possono incidere la comodità del giaciglio, le sue misure, la pulizia. Insomma tutto quello che gira attorno al letto. Quelli che in genere si chiamano servizi: presenza o meno di aria condizionata, efficienza di vasca e doccia, pollici quadri del televisore e presenza o meno di pay tv, frigo bar, bollitore per il tè o il caffè, offerta della prima colazione fra dolce e salato e via elencando. Sono gli elementi che consentono di assegnare le famose stelle agli hotel e di classificare in questo modo l’accoglienza in categorie diverse. Con conseguenti differenze di prezzo.
Mi chiedo perché un criterio simile non possa essere applicato anche al golf. Non mi pare difficilissimo: basterebbe predisporre un questionario completo e particolareggiato, che comprenda tutte le informazioni necessarie a classificare l’accoglienza: metratura dello spogliatoio ospiti, possibilità di disporre di armadietti anche per i soci giornalieri, numero delle docce utilizzabili, numero dei car, dei carrelli a mano ed elettrici noleggiabili, sacche a nolo (numero e tipologia), postazioni in campo pratica, orari della clubhouse e del ristorante, menù tipo, eccetera, eccetera. Mettiamo, ad esempio, che per raggiungere le cinque stelle occorrano 100 car a disposizione degli ospiti. I campi, anche spettacolari, che ne avranno solo 80 dovranno rassegnarsi alla categoria inferiore oppure acquistarne altri 20. Il prezzo del green fee, a quel punto, sarà commisurato alla qualità dei servizi e non alla fama del Circolo. Come succede in tutti gli hotel del mondo. (mdalfior@alice.it)
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