Dossier Arte 2013

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THIS IS VITTORIO VENETO FILM FESTIVAL

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Martina De Bortoli

ittorio Veneto: città in provincia di Treviso. Film: pellicola, membrana, prodotto tipico dell’industria cinematografica. Festival: evento festivo, manifestazione

che comprende una pluralità di spettacoli nell’ambito di un coerente progetto culturale. Ebbene, unendo tutte queste definizioni troviamo il vero significato del Vittorio Veneto Film Festival, ovvero, un Festival Internazionale di Cinema per ragazzi dai 6 ai 25 anni.Vi chiederete, cos’ha questo Festival in più rispetto a tutti gli altri? Ed ecco che per rispondere a tutti i vostri dubbi e a tutte le vostre domande entro in scena io. Mi chiamo Martina, ho diciannove anni e faccio parte dello staff organizzativo del Vittorio Veneto Film Festival da circa due anni. La mia esperienza ebbe inizio durante la II° edizione dell’evento dove fui selezionata per partecipare, durante le tre giornate previste, ad un workshop di recitazione cinematografica tenuto dall’attrice Barbara Enrichi, esperienza che implicava automaticamente la mia partecipazione alla 68° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica del Cinema di Venezia; dove ho potuto, a piccoli passi, farmi conoscere all’interno del gruppo e capire le dinamiche per poter organizzare un evento così grande. Non sono mai stata una persona piena di spirito d’ iniziativa, e, proprio per questo motivo non mi sono maiinteressata a

nessuna attività alternativa alla scuola, fino al momento in cui sono entrata in contatto con questo ambiente che mi ha subito entusiasmata. Ho capito così di poter dare il mio contributo per l’organizzazione del Vittorio Veneto Film Festival grazie all’aiuto e al supporto datomi dal direttore generale Elisa Marchesini. Il nostro gruppo di lavoro è formato da circa venti ragazzi che si scambiano in continuazione idee sulla struttura che dovrà prendere ogni edizione anche se è molto complesso trovare sempre il riscontro positivo di tutti e spesso lo è ancor di più discutere senza litigare e andare d’accordo malgrado la diversità ed il carattere di ognuno di noi. Ciò che rende meraviglioso questo Festival è proprio l’impegno che si impone verso noi giovani, mettendoci sempre al primo posto dandoci la possibilità di essere noi stessi gli organizzatori e permettendo ai mille ragazzi della giuria provenienti da varie scuola d’Italia ed Europa di esprimere una loro preferenza sui film in concorso (doppiati direttamente in sala). Un anno per organizzare il Festival fatto dai giovani per i giovani, che si rivela, ogni anno di più una spirale di soddisfazioni ed emozioni che ci spinge, ci sprona a fare sempre qualcosa di più e a dare il meglio di noi stessi. Chiedete alle vostre scuole di partecipare alla IV° edizione del Vittorio Veneto Film Festival che avrà luogo dal 17 al 20 aprile 2013 a Vittorio Veneto (Treviso). Vi aspettiamo numerosi !!!!


GIORNATA DELL’ARTE Alexandra Barel

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ome si svolgerà la giornata dell’arte quest’anno? O forse dovrei dire: all’Istituto d’arte/Liceo artistico Bruno Munari sarà concessa questa attività? Come mai i neo - artisti di questa città e dintorni non vi hanno potuto prendere parte per molto tempo? A chi addossare la colpa? Sono questi gli interrogativi che si pongono gli studenti della scuola che più di qualsiasi altra ha diritto a partecipare ad attività di rilevanza artistico-creativa qual è appunto la giornata dell’arte, progetto che per gli allievi dell’istituto suddetto non va in porto da 4 anni oramai. I quesiti sono molti, ma le risposte scarseggiano. Stando alla programmazione provvisoria la giornata dell’arte si svolgerà la mattina del 25 maggio dalle ore 8.30 alle 11.30; il tema di quest’anno verterà sugli anni ‘70: nascita della creatività, progresso, emergenza degli Hippy, cambiamento, trasgressione e ancora, droga, alcol, sconvolgimento della musica e degli ideali, vestiti stravaganti e coloratissimi. I laboratori che i nostri rappresentanti di istituto hanno pensato per noi sono: MUSICA: verranno suonate canzoni degli anni ‘70 da gruppi e band che desiderano esibire il loro talento; PITTURA: con il prezioso aiuto di Alberto Burri sarà dipinta una tela inerente al tema; COMPOSIZIONE: si tratta di creare degli oggetti mediante rifiuti o scarti con il fine ultimo di riciclare e contrastare il consumismo nato proprio negli anni ‘70; MODA: dar vita ad accessori e gioielli, sempre riutilizzando pezzi di scarto; CINEMA: visione di un film girato in quegli

anni con relativa discussione al termine della proiezione; FUMETTO: si progetta una tavola di fumetto, ispirandosi agli artisti degli anni ‘70, rielaborando a modo proprio le loro opere, con l’intervento di un esperto esterno; LETTERATURA: si svolgerà una discussione generale su tematiche fondamentali di quel periodo; SPORT: si terrà un torneo di pallavolo e di calcetto. E’ probabile, ma non certo, che prenderà vita anche un laboratorio di fotografia. NOTA BENE: potrai scegliere soltanto uno di questi laboratori e … guai a chi butta le cartacce a terra ... servono a quelli di moda e composizione!

LA STREET ART

Il mondo: una galleria infinita per la street art

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Jessica Zaetta, Lisa Tiberi

a strada, quella che corre dietro ai passi, quella che è fatta di attimi immensi e sfuggenti, quella che ti sorride dietro all’angolo e non capisci se la luce che vedi negli occhi dei passanti appartiene a loro o se sono stelle filanti.” (Anonimo) La street art offre la possibilità di avere un vasto pubblico, quasi sempre facilmente superiore a quello di una tradizionale galleria d’arte. È questo l’unico motivo per cui gli artisti di strada lavorano in luoghi pubblici? Alcuni la praticano come forma di sovversione, di critica o come tentativo di abolire la proprietà privata, rivendicando e conquistando le strade e le piazze;


altri più semplicemente vedono la città come una mostra infinita in cui poter esporre le proprie creazioni e in cui esprimere la propria arte. In molti non vedono la sostanziale differenza tra Street Art e graffiti, differenza che in realtà si riscontra nella tecnica e nel soggetto. La Street Art inoltre, rispetto ai graffiti, non è per forza vincolata dall’uso della vernice spray ed è più figurativa. Nell’esagerato numero di artisti di strada ne abbiamo scelto qualcuno di più importante e impressionante.

Gli artisti di strada Blu è un artista italiano. Con questo pseudonimo, Blu ha deliberatamente deciso di nascondere la propria identità. Nel 2011 “The Observer” l’ha segnalato come uno dei dieci migliori street artist in circolazione. Le sue opere non sono mai svincolate dal contesto in cui si inseriscono poiché la pittura di Blu è pittura nel paesaggio, urbano o industriale che sia e cerca sempre di dialogare con la società che vi abita alla ricerca della specificità di ogni luogo. Il grande merito della prassi artistica di Blu è stato quello di aver contribuito ad un radicale, anche se silenzioso, mutamento del mercato dell’arte contemporanea. Bansky (Bristol 1974 o 1975) è un artista e writer inglese. È uno dei maggiori esponenti della Street Art. Le sue opere sono spesso a sfondo satirico e riguardano argomenti come la politica, la cultura e l’etica. La tecnica che preferisce per i suoi lavori di guerrilla art è da sempre lo stencil, che proprio con Bansky è arrivato a riscuotere un successo sempre maggiore presso street artists di tutto il mondo. Smug è un artista di Glasgow che si sta specializzando in graffiti di soggetti foto-realistici. Dalla scoperta dei graffiti 15 anni fa il lavoro di Smug diventa velocemente un’ossessione da perfezionista con linee spesse, lettere e

soggetti che ha sviluppato in uno stile più foto-realistico, che è stato ampiamente esibito. I disegni di Smug sono lavori molto meticolosi, per quanto riguarda la resa finale, che prendono spunto da un eclettico bagaglio di influenze, spesso trasformando soggetti scomodi (non socialmente accettati o tabù) in incredibili pezzi d’arte su tela e in contesti industriali o abbandonati. Julian Beever (1959) è un artista britannico. Beveer crea disegni con il gesso su pavimenti e marciapiedi dalla metà degli anni Novanta. Le sue opere vengono create utilizzando una proiezione chiamata anamorfosi per creare l’illusione tridimensionale quando viene visto da una determinata angolazione. È soprannominato Pavement Picasso. Oltre a queste opere, Beever, esegue pitture murali con vernici acriliche e riproduzioni di opere famose. Lavora come free-lance e crea murales a richiesta. Ha lavorato in parecchi Paesi. Ozmo si forma all’Accademia delle Belle Arti di Firenze e dai primi anni Novanta, dopo un esordio nel mondo del fumetto, si concentra sulla pittura e sul writing: uno speciale sul suo lavoro pubblicato da Aelle, periodico di cultura hip-hop di quegli anni ne farà uno dei riferimenti del graffiti writing made in Italy. Ozmo, insieme a un piccolo gruppo di amici, gettò le basi per quella che è diventata l’arte di strada o Street Art di cui è uno degli indiscussi pionieri. Christian Guèmi in arte C215. Parliamo di stencil art: a qualcuno verrà in mente una cosa tipo di quelle letterone metalliche che si usavano alle scuole elementari. Si colorava l’interno vuoto e comparivano lettere, animali, palloncini. In qualche maniera il succo è lo stesso, ovviamente la “maschera” è prodotta dall’artista che poi la sfrutta nella sua formidabile opzione di impressione super-rapida sul luogo che ha scelto.


MIRÒ Mirò: poesia e luce da Maiorca a Genova.

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Roberta De Min

acchie, grafismi, schizzi, impronte, abrasioni e chiodi. Strumenti attraverso i quali è espresso lo sperimentalismo di Joan Mirò, grande artista catalano che lasciò un segno unico ed originale nell’ambito delle nuove forme espressive europee. I suoi capolavori sono esposti nella mostra al Palazzo Ducale intitolata “Mirò! Poesia e luce”, la quale presenta vari oli, terrecotte, bronzi ed acquerelli che illustrano gli ultimi trent’anni di vita dell’artista (quando si ispi-

mostra sono presenti anche dipinti risalenti agli ultimi anni di vita dell’artista, quando dipingeva con le dita stendendo il colore con i pugni e si cimentava nella pittura materica; sono esposte anche alcune sculture, risultato delle sperimentazioni che Mirò fece nell’arco della sua vita con diversi materiali e tecniche, come il collage. È fondamentale, infine, l’importanza del luogo di lavoro per l’artista; per questo motivo sono stati ricostruiti nell’ambiente espositivo della mostra, gli interni dello studio nel quale creò i suoi capolavori e sono esposti anche tutti gli strumenti che egli usava nella sua attività artistica. Quella di Mirò è una produzione molto intensa ed originale, che si può realmente apprezzare attraverso un’osservazione profonda. A tal riguardo la mostra risulta ben organizzata, in quanto attraverso l’ausilio di apparecchi audiovisivi, la lettura dell’opera e del suo messaggio è facilitata, permettendo così allo spettatore di sentirsi coinvolto da un’arte particolare, apparentemente banale ma in realtà molto complessa e significativa.

L’ARTE DEL MANGA

Solo “Putinot” o qualcosa di più? Federica Donadel, Mattia Pizzaia

rò al linguaggio gestuale ed alla calligrafia dell’arte orientale). Tra i vari dipinti esposti vi sono: gli oli Donna nella via, il bronzo Donna e vari schizzi provenienti da Palma di Maiorca. L’esposizione lascia intravedere il legame di Mirò con Maiorca, che rappresentava per l’artista la poesia e la luce (da questo il titolo della mostra). Dal momento in cui Miró si trasferisce a Palma, comincia un intenso periodo di lavoro, durante il quale ha inizio il mutamento della sua arte, che si allontana dallo stile figurativo. Negli anni Sessanta e Settanta, immagini e titoli dei lavori rimandano ai suoi temi prediletti come donne, paesaggi e uccelli; in questi anni dipinge anche a terra, si stende sopra le proprie tele producendo spruzzi e gocciolamenti. In

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ozaimasu mina-san! (Per gli ignoranti: Buongiorno a tutti!) Chi di voi ha mai visto un cartone animato giapponese o letto un fumetto, disegnato sempre con lo stile giapponese? Ebbene, penso che ognuno di noi abbia, almeno una volta, avuto l’occasione di prendere in mano, oppure vedere, una di queste opere d’arte. Si, arte... Negli altri stati è cosi, mentre in Italia il Manga/Anime non è considerato arte. Il Manga (“immagini libere”) non è altro che la versione giapponese del fumetto; la differenza è palese se mettiamo a confronto un fumetto italiano, tanto che si nota subito... la nostra versione è più “realistica e proporzionata”, come del resto gli artisti italiani del passato sono sempre stati abituati a fare, mentre la controparte nipponica possiede delle caratteristiche speciali, quali: occhi enormi, volti ingranditi rispetto alle proporzioni reali...


Tutto ciò per fare in modo che il personaggio riesca a trasmettere più emozioni. L’Anime (abbreviazione di Animation) invece, è la versione cinematografica del manga, praticamente è come vedere un manga alla televisione, con personaggi dinamici anziché statici. Dopo questa introduzione, che spero basti a spiegare di cosa stiamo trattando, torniamo all’argomento principale. Manga/Anime Arte. Perché negli altri stati sì, mentre in Italia no? “Manga? Cosa? Noi italiani abbiamo già il rinascimento, il manierismo, ed è un arte molto più realistica, proporzionata, elaborata, complessa, è patrimonio culturale, ecc.” Verissimo. Inutile negarlo; ora però, vorrei fermarmi e fare una riflessione. Sin dal giorno in cui son nato, non ho MAI avuto l’occasione di vedere un mio coetaneo, o un compaesano, che dipingesse un quadro in stile rinascimentale/manierista o addirittura in stile bizantino (Ricordatevi i mosaici e le facce ieratiche piatte, mi raccomando.), piuttosto, vedo gente che disegna storie a fumetto... Essere legati alle tradizioni è una cosa più che giusta, ma se si vanno ad insultare e ad offendere le tradizioni altrui no (infatti, ho sentito attribuire il termine “Putinot”, e, dato che in Giappone il Manga è parte del patrimonio artistico del loro paese, sarebbe paragonabile come dire “Giotto è un tizio che fa due strisce col pennello”. E’ una bestemmia all’arte in ambo i casi!). La scuola Comics di Padova inoltre, in una campagna per il sostegno a favore dei fumettisti e i Mangaka italiani, ha scritto: E’ molto corretto l’utilizzo dell’espressione “svalutazione culturale”. In Italia all’arte sequenziale non viene infatti riconosciuto un adeguato valore artistico, come invece avviene in altri Paesi, nonostante lo studio, la passione e la dedizione che stanno dietro alle opere a fumetto. Esiste addirittura un disegno di legge per la tutela di queste persone, ma purtroppo non è mai stato trattato in sede parlamentare. Non penso che ora sia più possibile affermare che l’arte del Manga, ma anche l’arte del fumetto in generale, non debba essere considerato tale, specie quando c’è addirittura un disegno di legge. Com’è possibile poi, che quest’arte coinvolga a tal punto, da spingere dei paesi italiani (vedi Luccacomics, Romics,ecc.) a tenere delle vere e proprie gallerie d’arte del Manga e Fumetto? Addirittura, il coinvolgimento

è tale da indurre la gente a travestirsi da personaggi dei Manga/Anime stessi! (in gergo Cosplay) Avete mai visto qualcuno travestito da San Giorgio, o un qualsiasi altro person-

aggio di un quadro rinascimentale da qualche parte? Io no. Forse, solo forse, a carnevale. Secondo me quest’arte è una forma di espressione, che permette di raccontare le proprie storie, alterando la realtà, e presentando un mondo più o meno diverso... Insomma, è un modo di raccontare storie, desideri, sogni, il tutto attraverso le proprie mani e fantasia. Sicuramente siamo più legati all’arte rinascimentale che in questa nuova forma d’arte chiamata “Manga / Anime”, d’altronde è estranea alla nostra cultura e viene dal paese del Sol Levante.. Però non offendiamoci se una persona proveniente dall’oriente parla dei quadri rinascimentali come fossero delle cose da nulla, quando noi abbiamo considerato “Putinot” la loro arte. Pensiamoci, magari provate a informarvi sull’argomento, vedete quanto tempo, passione e dedizione ci vuole per poter creare un Manga prima di creare ulteriore “Svalutazione culturale”. Sayonara!


THE STRAIGHT STORY-DAVID LYNCH

Opus n.8: un viaggio per ritrovare relazioni perdute.

Diana Bernardi, Nicole Chiaradia

“Ho combattuto in trincea nella seconda guerra mondiale... Perché dovrei aver paura a dormire in un campo di mais?” Così dice Alvin, un 73 enne testardo, a una ragazza in-

movie che ha tutto per essere fuori moda: lentezza, malinconia della vecchiaia, scrittura di classica semplicità, personaggi positivi, ritmo disteso senza eventi drammatici. Pur ribaltando la propria prospettiva, Lynch non altera il suo inconfondibile stile: lascia allo spettatore il tempo di pensare, commuoversi, immergersi nei colori del paesaggio, guardare un temporale e il cielo stellato. “Straight” è il cognome del protagonista, ma sta anche per: diritto, semplice, onesto.

POCHE IMMAGINI per raccontare una vita intera

S cinta in mezzo a un campo di mais. Siamo a metà del film prodotto nel 1999, dal regista David Lynch. È la vera storia di un 73enne deciso a far visita al fratello, con il quale non ha mai avuto un grande rapporto e con cui non parla da dieci anni in seguito ad una lite. Alvin Straight, che cammina con due bastoni e non ha la patente, decide di affrontare un viaggio, intenzione questa che crea giuste angosce alla figlia Rose. Ma il vecchio è irremovibile. Il viaggio non è facile, il mezzo che ha scelto è un trattore piuttosto malconcio e la strada è lunga: da Laurens nell’Iowa a Mt.Zion nel Wisconsin. Molti gli incontri, compresa una coppia stralunata di fratelli meccanici (in perfetto stile Lynch). Il regista ha inteso dimostrare di saper costruire e dirigere una storia più realistica e lontana dai film visionari che lo hanno da sempre caratterizzato. Opus n. 8 di Lynch, prodotto dalla montatrice Mary Sweeney (che firma la sceneggiatura, ispirata a una storia vera, con John Roach) anche con finanziamenti francesi, è il film più controcorrente e meno hollywoodiano degli anni ‘90. È un road

Sara Paludi

teve Mc Curry, uno dei più grandi fotografi del nostro tempo, in una mostra a Genova. Una successione continua di racconti, dall’innocenza di un bambino alla saggezza di un vecchio, dai pianti di una guerra ai sorrisi di una pace e soprattutto la povertà di un mondo, che noi non conosciamo. Affascinante, incredibile, spettacolare: non basta un aggettivo per descrivere questa bellissima mostra. Fotografie fantastiche, poche immagini perraccontare una vita intera, in un allestimento scenografico che non poteva essere migliore. Camminando in mezzo alle foto di Mc Curry capisci che nonostante viviamo nello stesso mondo e siamo fisicamente tutti uguali, siamo anche completamente diversi perché le realtà, le culture e gli ideali si distinguono mostrando nella loro diversità la vera essenza della bellezza, e raccontando i mille modi di vivere nel nostro mondo.


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Giampietro Dal Cin

teve McCurry: non solo uno dei più grandi fotografi del nostro secolo, ma un punto di riferimento per grandi e piccoli. Nelle sue fotografie, infatti, ogni persona si può riconoscere. Questa mostra è un lungo percorso dentro ai molteplici aspetti dell’universo; vita, cultura, orrore e amore : questi i diversi temi trattati dall’artista. L’uomo ne è il protagonista assoluto, con i suoi drammi e le sue emozioni. McCurry non ci vuole far dimenticare gli orrori che accadono continuamente nel mondo, perché la fotografia è qualcosa di immutabile ed eterno ma allo stesso tempo semplice e chiara. McCurry ha raggiunto un grande obbiettivo, facendoci sorridere, stupire ma anche commuovere, con un singolo istante di una grande storia.

IL ROMANZO DI COLLODI

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Mirella Edotti, Irene Da Ros

l romanzo “Le avventure di Pinocchio, storia di un burattino” , inizialmente, viene pubblicato a puntate sul “Giornale per bambini” dal 1881; solo nel 1893 venne stampato in forma completa e definitiva con l’ aggiunta delle illustrazioni di Enrico Mazzanti. In quel periodo l’ Italia aveva conquistato da poco l’ indipendenza e aveva bisogno di trovare un’ identità nazionale con un sistema ideologico comune, infatti questo romanzo divenne il “Manuale del perfetto cittadino” per il suo

valore pedagogico. Pinocchio è un burattino impertinente, sfaticato, sprovveduto e alquanto bugiardo, si “butta” in tutto ciò che gli procura divertimento. Si trova in situazioni sempre più difficili e pericolose: viene impiccato, ma si salva; rischia di finire fritto in padella; è costretto a fare la guardia ad un pollaio. Il burattino passa da una disavventura all’ altra, fino al momento in cui si rende conto di avere dei “doveri”, primo fra tutti quello di occuparsi del padre ormai anziano. Si mette quindi alla ricerca di Geppetto, che riesce a rintracciare nel corpo di un pescecane. A questo punto Pinocchio, prende coscienza delle sue responsabilità: mette in salvo Geppetto e decide di lavorare per aiutare la fata, da cui ha spesso ricevuto aiuto, che giace inferma all’ ospedale. L’ affetto verso i suoi cari a la consapevolezza del dovere, trasformano lentamente il bu- r a t tino, che si umanizza e diventa un ragazzo responsabile. Oggi alcuni modi di dire ancora in uso quali : “Naso di Pinocchio” e “Lasciarsi manovrare come un burattino” ci ricordano che la storia inventata da Collodi è sempre attuale!


PINOCCHIO: La fiaba diventa romanzo di formazione Alessia Posocco, Giulia Poletto

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arlo Lorenzini, detto Collodi, a Firenze nel 1883 con l’aiuto dell’amico illustratore Enrico Mazzanti pubblica Le Avventure di Pinocchio. Collodi non vuole che il romanzo venga dedicato esclusivamente all’età infantile, infatti nella sua prima versione il protagonista muore impiccato, solo in seguito, infatti, si giunge al classico finale che tutti noi conosciamo. Il momento in cui viene pubblicato il romanzo è particolare per l’Italia che da circa un ventennio si è costituita come una nazione unitaria senza però essere riuscita a superare i suoi secolari problemi, prima fra tutti un netto divario tra nord e sud e tra le diverse classi sociali. Si può pensare perciò che Collodi con questo romanzo volesse far riflettere sulle conseguenze dei comportamenti umani, in particolare dei politici e delle persone importanti dell’epoca, incapaci di trovare soluzioni adeguate ai problemi di quella particolare

fase storica, caratterizzata da una grande depressione economica accentuata dal rapido processo di meccanizzazione che alienava l’individuo. Il libro di Collodi mira, infatti, a promuovere l’autonomia creativa dell’individuo e l’acquisizione di una lenta ma progressiva consapevolezza nell’agire. Questo il motivo principale del grande successo del libro, ieri come oggi. Il romanzo, mettendo in evidenza il fatto che Pinocchio si ribella al padre, invita a riflettere anche sul classico conflitto generazionale, sulle conseguenze di certe scelte avventate, per le quali si può incappare in innumerevoli sfortune. Fiducia, rispetto e dialogo oggi come allora sono le strade da percorrere per una crescita individuale corretta e per una società più giusta. L’opera è stata proposta prevalentemente ai bambini come fiaba, perché i protagonisti sono perlopiù irreali, ma con i loro comportamenti trasmettono insegnamenti fondamentali, ne è un esempio il grillo parlante che simboleggia la nostra coscienza. Oggi ha ancora senso leggere questo romanzo perché, nonostante siano passati molti anni da quel 1883, tanti dei problemi di allora non sono ancora stati risolti e per farlo c’è bisogno di riformare le coscienze e ritrovarsi in una vera identità nazionale.


INTERVISTA AL PROF. BIAGGIONI esperto conoscitore del burattino più famoso del mondo. Irene Da Ros, Mirella Edotti

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n occasione dei festeggiamenti per il centotrentesimo anno dall’uscita a puntate del testo di Pinocchio realizzato da Carlo Lorenzini, in arte Collodi, abbiamo intervistato il professor Rodolfo Biagioni, esperto conoscitore dell’opera, ritenuta un testo fondamentale per la cultura italiana ed in particolare per la formazione dei ragazzi.

Ricorda alcune illustrazioni che l’hanno colpita?

Come nasce e come si sviluppa la storia di Pinocchio?

Ebbero molto successo queste storie?

La storia realizzata da Collodi é stata fonte di ispirazione e di suggerimento per artisti e scrittori con l’uso di numerose illustrazioni e immagini. Nel 1882 uscirono le prime illustrazioni a puntate e poiché questa operazione ebbe molto successo l’anno successivo si realizzò anche il libro. Come si decise di continuare l’opera e perché? Nella versione a puntate si decise di terminare il racconto con l’uccisione di Pinocchio, ma visto appunto che la storia ebbe successo e i bambini volevano sentire altre storie decisero di continuarlo, intitolandolo non più “Le storie di un burattino”, ma “ Le avventure di Pinocchio”.

Certamente, l’ultima illustrazione di Pinocchio impiccato, fatta da Ugo Flores, un poeta, un storico dell’arte e un illustratore siciliano. Questa illustrazione fu pubblicata nell’ edizione a puntate.

Si, in seguito alle avventure di Pinocchio ci furono i Pinocchiedi, dei seguiti di Pinocchio, delle continuazioni della storia originale, scritte anche dal nipote di Collodi. Oggi Pinocchio è diventato parte delle figure fiabesche, è stato riprodotto in teatro e al cinema, ebbe davvero molto successo, più di quello che si aspettava , infatti nel primi del ’ 900 fu pubblicato in Inghilterra e in Russia, con 250 traduzioni e scritto anche in diversi dialetti. Divenne appunto una cosa internazionale, non più solamente Italiana, tanto che un cantante francese scrisse anche una canzone su Pinocchio. Dunque possiamo dire che Pinocchio ha segnato la cultura italiana? Certamente ha influenzato molto la cultura Italiana, per esempio il Campo dei miracoli a Pisa, venne chiamato così da D’Annunzio proprio in ricordo del campo dei miracoli di Pinocchio! Ringraziamo il professor Biagioni per la sua disponibilità, ricordando che egli avrebbe il desiderio di fare un’esposizione con i vecchi Pinocchi e i professori di varie materie. Chiunque abbia materiale riguardante questo tema, può portarlo al professor Biagioni. Vi ringraziamo per aver prestato attenzione al nostro articolo.


ARTE ILLEGALE? “Quando hai iniziato a fere graffiti?” Valentina Papanicolaou, Rita Spinazzè, Umberto De Bastiani

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l parere di un giovane writer, autore di alcuni graffiti sparsi in paese, e di un nostro coetaneo. Il graffitismo per molte persone è un fenomeno recente e nato tra i giovani di quartiere, ma in realtà è una delle prime forme d’arte che l’uomo ha utilizzato. E’ cominciata con l’arte rupestre infatti, l’abitudine di “scrivere sui muri” degli umani. In tutto il mondo ci sono tracce del passaggio dei “graffitari”: dalla preistoria alle piramidi, dall’antica Roma (Pompei) ai giorni nostri. Quello a cui pensano tutti quando si parla di graffitismo, è una manifestazione artistica nata negli anni ‘70 in un quartiere di New York e diffusa rapidamente in quasi tutte le città, compresa Vittorio Veneto.

sieme ad un amico. Ci sentivamo entrambi emozionati e nel contempo spaventati, pensavamo che potesse entrare qualcuno da un momento all’altro nonostante fosse un luogo abbastanza appartato e per questo motivo abbiamo fatto molto di fretta senza pensare a dare il meglio di noi… Alla fine però eravamo contenti, riusciti nel nostro intento ad abbellire un luogo grigio e dimenticato. Non tutti infatti fanno scarabocchi a caso sui muri, e mi dispiace che la maggior parte delle persone la pensi così.”

Intervista a un Writer (anonimo)

“Quando hai iniziato a fare graffiti?” “Il mio primo graffito l’ho fatto a 12-13 anni ed è stato il mio nome. Essendo il mio primo tentativo devo dire che l’effetto finale non ha soddisfatto le mie aspettative. Col tempo per fortuna sono migliorato!” “Dove lo hai fatto e che impressione ti ha dato?” “L’ho fatto in un edificio abbandonato in-

“Sei mai stato colto in flagrante mentre creavi una delle tue opere?” “Non faccio graffiti così frequentemente da dire di essere a rischio, in genere li faccio di notte e in posti che ritengo sicuri e adatti a svolgere il lavoro con sufficiente calma. Per fortuna fino ad ora non sono mai stato scoperto.” “Come procedi per fare un graffito? Come ti sei immerso in questa passione?” “I graffiti in genere li faccio prima su carta per vedere come sono le mie idee, capire come bilanciare il disegno e modificarlo se qualcosa non mi convince. Mi è sempre piaciuto disegnare ma la prima volta che ho sentito parlare di graffiti è stato


in un videogioco e devo dire che mi ha attirato da subito.” “Il tema principale dei tuoi graffiti?” “Di solito disegno cartoni animati di vario genere, oppure il mio nome o una parola che per me ha qualche significato particolare in quel momento. Preferisco disegnare parole perché i disegni più complessi non mi vengono gran che bene sui muri…”

strade non mi dispiacerebbe affatto. Penso però che quei graffiti che si vedono in giro, dove si possono distinguere solamente parolacce o disegni volgari, siano solo delle aggiunte a tutto il brutto che c’è nelle città. Tra spazzatura, palazzi grigi eccetera… mancavano solo queste “porcherie”!” “Se potessi scegliere un posto dove fare un graffito, dove e cosa disegneresti?” “Aprirei un luogo in cui ognuno può fare il suo graffito, oppure nella stazione della mia città. Penso sia molto grigia e un bel graffito rallegrerebbe l’atmosfera, per esempio la foresta amazzonica disegnata su tutte le pareti dell’edificio.” “Bell’idea! E per te i graffiti sono una forma d’arte solo giovanile?”

“Se ti chiedessero di fare un progetto per riempire un muro per esempio di una scuola, come procederesti?” “Beh… farei sicuramente qualcosa di molto colorato e solare. La scuola è già un posto poco apprezzato, un luogo in cui i giovani vanno solo perché costretti, quindi cercherei di renderlo piacevole almeno ai loro occhi così raggiungerei due obbiettivi: avrei reso quel posto più apprezzabile e avrei fatto capire alle persone che i graffiti non sono così malvagi.”

Intervista ad un osservatore “Cosa pensi dei graffiti? Li consideri una forma d’arte? Da incoraggiare o denigrare?” “Li considero una forma d’espressione da incoraggiare, ma penso che ogni persona che esprime il suo essere o il suo pensiero in modo creativo stia facendo dell’arte. Qualsiasi cosa è arte, ovviamente entro i limiti dei diritti umani!” “Cosa ne pensi dei writers?” “Non ho un unico pensiero, ci sono molte varianti. Ovviamente penso che chi si metta lì con la volontà di abbellire, decorare o di esprimere un pensiero in modo creativo abbia una gran voglia di fare e vedere nella mia città dei graffiti mentre cammino per le

“E’ un’arte che definirei “nuova” ma non solo giovanile, chiunque può farne parte e secondo me i graffiti più belli e con significati profondi sono quelli fatti da persone più mature e con più esperienza. La considererei quindi un’arte universale, come tutte d’altronde.” Ringraziamo gli intervistati che ci hanno dato una mano ad entrare in un mondo dove, nonostante le idee contrastanti, ci si può immergere in una forma d’arte alternativa che colora le nostre città ormai da tempo.


MADE EXPO

Chiude con un grande risultato per il mondo delle costruzioni Francesco Da Ros

Milano Architettura Design Edilizia è Made Expo, la fiera internazionale che Milano vuole portare all’attenzione mondiale, come risposta a precise esigenze emerse nel settore. Made Expo è la fiera di edilizia e architettura più visitata in Italia perché affronta i diversi aspetti del settore con un approccio a 360°, che consente l’incontro tra tutti gli at-

tori coinvolti: chi progetta, chi realizza e chi utilizza il prodotto finale. Quest’anno anche alcune classi del nostro Istituto “Bruno Munari” ha visitato l’Expo nell’uscita del 18 ottobre 2012 (prima del blocco!) organizzata dal Professore Preziosilli per visitare la fiera di Architettura e Design. All’arrivo le classi si sono divise e hanno fatto visita ai diversi padiglioni con una certa libertà: noi di 3^A ci siamo recati ai settori in cui esponevano le diverse tipologie di pavimentazioni, serramenti, isolamenti e vari prodotti riguardanti l’edilizia. Molto interessante l’edificio in cui la mostra è stata allestita, una “vela” di vetro, larga oltre 30 metri e lunga un chilometro e mezzo sostenuta da strutture autoportanti in acciaio, taglia l’asse centrale del centro espositivo collegando la Porta Est e la Porta Ovest della Fiera per mezzo di una passerella coperta che si alza a sette metri da terra, è uno dei più importanti luoghi di incontro per avvenimenti di questo genere , progettato da Fuksas, uno dei più noti architetti e designer italiani, di fama internazionale. In conclusione la giornata, nonostante la stanchezza, è stata apprezzata da tutti gli studenti e ha riscosso un vivo interesse.

LA VOCE DEL POETA Giovanni Filardo

La vita Sono ore, queste, date al nostro tempo di solitudine. Metafore dentro il vuoto dei giorni, ombre silenti che in fondo all’anima si posano. Muti confini il cuore degli uomini, specchio nel cui sguardo si compiace. Un magico gioco di bimbi, la vita, intima traccia che nell’attesa si frantuma. Giovanni Filardo


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