LA VIRGOLA giugno 2015 - numero unico

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Voci libere dal Munar i

TUTTO (O QUASI) SULLA

SCIENZA La scienza è una delle malattie più sinistre delle società odierne. Prendano le distanze da questo articolo i benpensanti, gli scienziati, i bulimici della tecnica, le anime pie assetate di certezze, i materialisti più abietti, gli abachisti paghi del loro operato, e tutti i burattini dell’odierna società dei Lumi. Accostino i loro occhi a questo scritto quei buongustai di spiriti elevati che rifuggono le grossolanità, le abbondanti certezze derivate da tediose elucubrazioni e da quanto di più buffonesco si possa aggiungere. Si interessi al seguente articolo anche l’ignorante, purché sappia liberarsi di ciò che si innesterà in lui dopo aver letto ciò che ho da scrivere. Si accostino a questo scritto gli uomini silenziosi, che hanno il cuore gelido come gli inverni più cruenti: quei cuori che solo Wotan potrebbe donare in una saga nordica. E’ ai cuori inselvatichiti che volgo il mio sguardo! I saggi fino ad oggi hanno ragliato grassezza d’ogni genere: “Così la religione fu calpestata/ sotto i piedi mortali/ e quella vittoria ci solleva alle stelle”, favellava il buon Lucrezio, e da quel momento in poi tutti i savi spinsero lo stesso mulino, come asini zelanti; “La scienza è una delle massime conquiste (la massima, si può sostenere)”, promuovendo anche le più nauseanti tartuferie come assolute certezze, mentre una minoranza cercava rifugio e ristoro da queste invasioni maialesche, da questi sapienti invasati. Non è forse la religione basata su dei dogmi? Continua in seconda pagina 

numero unico giugno 2015

RELIGIONE: FRUTTO MALATO

DI UNA SOCIETÀ MALATA quale riflettere le idee di perfezione. L’ateismo si configura dunque non solo come un profondo atto di onestà filosofica, ma anche come

Alla luce della terribile strage consumatasi a Parigi nella redazione del giornale satirico “Charlie Hebdo” e in un supermercato ebraico tra l’ 8 e il 9 gennaio 2015, forse è opportuno riflettere su ciò che Marx aveva affermato nei suoi scritti, ovvero che la religione è il frutto malato di una società malata che vuole trovare un senso alla propria esistenza in un Dio nel

un dovere morale dell’uomo che dovrebbe ormai recuperare in sé i predicati positivi che ha proiettato al di fuori di sé. È infatti ancora una volta la religione il pretesto degli spargimenti di sangue avvenuti questa volta in Francia. Ed è proprio per questo motivo che la notizia ha fatto così tanto

scalpore: nessuno si sarebbe mai immaginato che un atto di tanta disumanità si potesse consumare in una Repubblica laica che si basa proprio sulla libertà, l’uguaglianza e la fraternità, in cui una satira pesante, anche offensiva e pornografica ha sempre fatto parte della cultura politica. Gli autori di questi atti terroristici erano appartenenti al gruppo estremista islamico denominato ISIS (stato islamico dell’Iraq e Siria), che ha l’obiettivo di istituire uno stato “puro”, per il quale i suoi membri sono disposti a tutto. Sotto gli occhi del mondo essi manipolano le menti dei fedeli e reclutano persone alle quali insegnano a combattere e ad usare ogni tipo di arma. Ma, come afferma il cartoonist kuwaitiano Naif al Muttawa, anch’egli musulmano, ogni religione ha vissuto una fase estremista, compreso il cristianesimo. Tutti i libri sacri contengono passaggi violenti: se a leggerli è qualcuno pieno di rabbia, si innesca una miccia pericolosa. Dobbiamo ricordare che anche il mondo occidentale è passato attraverso il Medioevo, nel quale il mondo islamico è ancora immerso. Le crociate, ad esempio, sono state anch’esse combattute in nome di Dio e se al tempo fosse esistita un’industria bellica come quella d’oggi chissà quale strage si sarebbe consumata. Un altro problema fondamentale è che ormai i versi del Corano sono incomprensibili per Continua in seconda pagina 


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SCIENZA  Continua dalla prima pagina

E questi scienziati, lapidatori di religioni, non sono forse loro i primi a credere irremovibilmente nei loro dogmi? Heiddeger in una vecchia intervista smantellò questi furfanti ipocriti, fallacemente atei. I malacarne di questa sorte sono numerosi come topi di trincea, abituati a sguazzare nella sozzura e oltremodo pretenziosi, poiché vorrebbero che tutti si dimenassero nella melma, gioiosi di condividere quel martirio. Se pure la tecnica è necessaria, l’abuso di essa è ormai paralizzante. Non è difficile adescare le cause dell’odierno annichilimento e della monumentale alienazione che ci riduce ad apparire sempre più scarniti dirimpetto a noi stessi. Rincalchiamo pure la nostra foga contro quei meticci degli america-

ni, che negli anni successivi al primo conflitto mondiale fecero brillare i loro “colletti bianchi” e risuonare il boato delle macchine da lavoro, creando la più grande lordezza dei tempi: la robotizzazione del lavoro. Forse già gli inglesi erano riusciti a stregare il pianeta con simili prodezze, ma con gli americani si giunse ad una conquista ancor più lodevole (mi siano perdonati i toni aristofaneschi): la crisi di sovrapproduzione. Che

tutti gli amanti della tecnologia dominante fissino ora i loro occhi miopi su ciò che sto per scrivere: tutto ciò ha causato una femminilizzazione della società. A questo punto dai denti di qualche lettore gronderà non poco veleno! Ebbene si, non vaneggio, son desto: era necessario femminilizzare la società affinché si incrementassero i consumi. Confessiamolo con buonagrazia del dilettantismo

femminista, che le donne per la loro seducente vanità sono ben più dispendiose degli uomini. Oggidì, tuttavia, una tale affermazione suona come una bestemmia giacché l’uomo è stato così tanto diluito nella sua essenza, da essere interscambiabile con la femmina, poiché svirilizzato. Oggi tutti i valori maschili sono stati disfatti e sostituiti dalla naiserie femminista, egualitaria, in ogni senso orizzontale e -- riconoscetemi

avrei fatte vedere ai miei figli? No. Ma per questo bastava non comprare il giornale, non esiste che qualcuno debba pagare con la vita». Sicuramente le vignette erano pesanti e difficili da digerire, ma non solo per un musulmano, dato che i disegni provocatori erano indirizzati anche ad altre religioni. Non è ammissibile che si uccida per fede, ogni individuo dovrebbe avere

il diritto di pensare e credere in ciò che desidera. Sicuramente le persone che contribuiscono agli attentati sono persone molto spesso deboli, che subiscono una sorta di lavaggio del cervello, mentre le menti superiori li muovono come se fossero le pedine di un gioco. Un gioco brutale, che colpisce però vittime innocenti.

RELIGIONE: FRUTTO MALATO... Continua dalla prima pagina

la maggior parte dei fedeli, che parlano lingue anche diversissime dall’arabo, e pregano quindi senza conoscere ciò che in realtà afferma il loro libro sacro. In questo modo è facile per loro porre fiducia in persone che sostengono di sapere cosa vi è scritto e che continuano ad inventare regole, norme e divieti. Lo conferma il fatto che il Corano non punisce la blasfemia, termine che per di più non vi compare mai; al contrario, gli estremisti sono fermamente convinti che l’infedele debba essere punito, anche con la morte, se necessario. Per esperienza, ricordando ciò che abbiamo vissuto in Occidente con Mussolini e Hitler, dovremmo sapere quanto semplice sia manipolare le menti, grazie ad un po’ di retorica e ad una propaganda ben studiata. Bruno Vespa scrive che i musulmani moderati sanno sui loro fratelli radicali molto più di quello che dicono e che, se

sono venuti in casa nostra, dovremmo esigere da loro maggior collaborazione. Conclude dicendo: «Ai musulmani moderati diciamo: grazie per le condoglianze, ma ci serve qualcosa di più». L’intervento di Vespa è lecito, ma appare doverosa una riflessione sul fatto che, come lo Stato italiano è a conoscenza dell’identità degli estremisti islamici residenti, così anche gli altri stati lo sono. I protagonisti dell’attentato non potevano salire su aerei americani e allora perché potevano circolare liberamente in Francia? Ciò premesso, il comportamento anacronistico che stanno assumendo gli estremisti islamici è inaccettabile, non solo per la cultura occidentale ma anche per quella orientale. Lo testimonia il vignettista arabo Naif al Muttawa che, alla domanda della giornalista Francesca Cafferi sul fatto se a Charlie Hebdo hanno esagerato nel provocare l’Islam, risponde: «Mi piacevano le loro vignette? No. Le

Andrea Miljevic, 5D


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l’eroismo nell’affermarlo -gay-friendly. Scienza, tecnica e omosessualità cos’hanno in comune? In una società spettacolarizzata come la nostra, la femminilizzazione dei costumi è semplificata dai mezzi di comunicazione mediatici; come affermava Guy Debord, lo spettacolo è “il centro della falsa coscienza”, in esso “il vero è un momento del falso”, esso è utile per creare “folle solitarie” ed infine serve a rinvigorire il capitalismo: infatti “lo spettacolo è il capitalismo a un tal grado di accumulazione da divenire immagine”. In una società capitalistica, dove i valori propugnati dalle tecnologie di diffusione di massa, sono prevalentemente femminili, dove la mercificazione della donna viene servita come lo stadio più alto della sua emancipazione, e dove la femmina è esattamente eguale all’uomo, anche l’omosessualità trova ristoro tra le enormi corna della capra Amaltea: essa

SOCIETÀ infatti viene corroborata dalle più disparate ricerche scientifiche che, in una società che fa della scienza la sua religione, deve quindi essere necessariamente accettata ed in nessun modo contestata. Non siamo sfuggiti dal grigiore dell’epoca in cui visse Nietzsche: nessuna trasvalutazione dei valori. Le parole d’ordine oggi sono le solite, imperiture: pietà, dialogo, dolcezza, melensaggine; insomma, tutto ciò che abbia a che vedere con la mediocritas, da contrapporre all’eroicità, all’aristocraticità dello spirito che fu il perno della filosofia di Platone. Con quest’ultimo diremmo che oggidì prevale la plebaglia dei sensi. […] Purtroppo oggi viviamo un’arlecchinesca parodia plebea, ove si pone l’aureola sopra al capo della Scienza, che ha perso il suo scopo, ovvero quello di essere un mezzo, e non già un fine: niente paura, è il Kali Yuga. Enrico Nadai - 5B

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CHARLIE HEBDO Religione come pretesto o come soluzione al problema del terrorismo?

“...si può ridere su tutto, ma ridere non è deridere. Si può ridere della morte, ma ridere durante un funerale alla faccia del pianto altrui diventa violenza, orribile irrisione...” Così scrive Gianni Gennari all’inizio del suo articolo (tratto da ‘Avvenire’) riguardo al massacro alla redazione del giornale satirico ‘Charlie Hebdo’. I terroristi in questione, responsabili del massacro e quindi della morte di una dozzina di persone, hanno utilizzato come pretesto la loro religione, l’Islam, sostenendo di aver vendicato il Profeta. Nel Corano, però, non viene descritta nessuna punizione per la blasfemia, come invece succede nella Bibbia, e quindi, l’idea che l’Islam esiga la necessità di violenza contro gli insulti nei confronti

di Maometto è una semplice invenzione di religiosi o politici, che, sfruttando l’ignoranza del popolo musulmano, il quale è influenzato dalle diverse interpretazioni del Corano, lo orienta su una linea del tutto diversa dalla religione effettiva. “Le religioni sono la soluzione, non il problema” (cit. cardinale Tanran, da “Avvenire”). Il problema, infatti, può essere contrastato con l’educazione e soprattutto col dialogo tra le religioni, la libertà di espressione e di stampa. Ognuno di noi, che sia cristiano, musulmano o ebreo, è libero di scrivere e leggere ciò che più ritiene opportuno per sé stesso e per i propri figli: questo è ciò che sostiene anche Naif al Muttawa, disegnatore arabo, Continua in ultima pagina 

Il mondo occidentale dopo l’11 settembre si trova davanti un dobermann furioso e aggressivo all’inverosimile e, nonostante la chiara minaccia, lo provoca fino ad indurlo all’aggressione. Trovate strano, ora, un attacco da parte del dobermann? Io no, affatto. Abbiamo davanti degli agguerriti e instabili jihadisti che agiscono costantemente al grido di «Allah è grande!», e noi andiamo a colpirli proprio dove non dovremmo. Ciò che esprimia-

mo non è libertà di opinione, ma idiozia e stupidità, ed è proprio per questo che “Je ne suis pas Charlie”. Con ciò non voglio giustificare nella maniera più assoluta l’operato degli jihadisti, ma semplicemente far capire che dobbiamo usare intelligentemente il dialogo e i mass-media, trovando un punto di incontro e non di scontro. Solo in questo modo potremmo uscirne tutti vincitori. Alice Botteon - 5C

JE NE SUIS PAS CHARLIE! Qualche mese fa, nei primi giorni dell’anno, siamo rimasti tutti bloccati davanti alla televisione, inorriditi nel sentire l’ennesimo atto di sfrontata e malsana violenza da parte di un gruppo di jihadisti nei confronti della redazione del giornale satirico francese “Charlie Hebdo”. Dopo un primo momento di gelo, durante il quale domande ovvie rimbalzavano tra le pareti del nostro cranio: «E ora, toccherà anche a noi?», «Siamo veramente al sicuro?», «Cosa possiamo fare?», è scattata subito la solidarietà per questi estranei che svolgevano un estraneo lavoro. Infatti erano poche le persone a sapere dell’esistenza di questo giornale e del modo in cui esprime la propria opinione. Ma il successo e l’interesse postumi, ottenuti dal periodico, hanno fatto arrivare agli occhi del mondo le vignette e la satira che i suoi redattori pubblicavano e pubblicano tutt’ora.

Sono stata travolta da una valanga di insulti e volgarità, riferiti a santi, preti, divinità, Paesi, capi di stato, nessuno escluso. Avrei voluto con tutta me stessa ridere, trovare la vena di ironia capace di far ragionare e di esprimere un’opinione, ma sfortunatamente l’ho trovata solo in pochissime vignette: se si pretende di definire satirico il proprio giornale, allora la satira deve essere perennemente presente, e con satira intendo la sottile ironia pungente ma vera che coglie nel profondo. La satira esiste in Francia da tempi immemori; lo stesso Voltaire sosteneva l’utilità dell’ironia e della ridicolizzazione intelligente per far prevalere la propria opinione, ma, come dice Robert Darnton: «C’è un bella differenza tra le sottigliezze di Voltaire e la satira da pesci in faccia di “Charlie Hebdo”, il suo cattivo gusto internazionale, studiato a tavolino». Tutto ciò mi ha fatto ragionare sul disastro accaduto.


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LEGITTIMATI ALLA DIFESA Una nazione piegata, due attentati terroristici nel giro di poche ore: è questa l’immagine che ci viene data della Francia, uno degli stati politicamente più influenti e forti al mondo. Tra l’8 e il 9 Gennaio 2015 si è consumata una doppia tragedia: l’attacco da parte di estremisti islamici alla redazione del giornale satirico parigino “Charlie Hebdo” e ad un supermercato gestito da persone di fede ebraica. Questa piccola, ma al contempo grande, serie di eventi ha scatenato nel mondo intero una riflessione sugli avvenimenti accaduti che si è poi concretizzata nel manifesto “Je suis Charlie”, cioè empatia, solidarietà umana verso i feriti e i morti di questo attentato. Come spesso accade al termine di vicende che hanno ferito una popolazione, nasce la necessità, quasi radicata nella natura umana, di cercare un colpevole, un capro espiatorio che si faccia carico di tutto il male che è stato fatto. L’indice è stato rivolto, come ci si aspettava, verso

l’ideologia islamica e questa generalizzazione ha portato in risposta un altro manifesto da parte dell’islamismo moderato: “Not in my name”, non nel mio nome. I musulmani non radicali pretendono una giusta differenziazione tra “estremisti” (responsabili degli avvenimenti parigini) e persone comuni di fede islamica, integrate nella società. Viviamo in un mondo in cui il fenomeno della globalizzazione ci ha reso e ci sta rendendo sempre più cosmopoliti; è quindi inammissibile puntare il dito (generalizzando) verso un dato popolo, di una data fede, perché non perfettamente integrato negli standard europei. Il grosso nemico, a cui ora diamo il nome di “ISIS”, non ha un volto, un nome all’anagrafe, ed è proprio questo che ci spaventa di più. È incredibile come un evento della durata di pochi istanti possa portare una radicale crisi dei valori: la sparatoria ha lasciato dietro si sé una scia

di insicurezza e paura che serpeggia nelle menti delle persone coinvolte. Anna Foa in un articolo pubblicato dal “Gazzettino” dice: «Non ci consola di certo la morte degli assassini. Questi due giorni hanno dimostrato che l’incubo può ricominciare da un momento all’altro […] tre terroristi hanno potuto tenere in scacco migliaia di uomini, creare il panico in un’ intera nazione». Anche il fine che gli attentatori si prospettavano resta ignoto: in merito si sono formulate una grande quantità di ipotesi; Gilles Kepel, nell’intervista redatta da Cremonesi per il “Corriere della sera”, sostiene che l’unico obiettivo di questo attentato è la guerra civile tra musulmani e il resto della popolazione mondiale. L’unica certezza che ci è data dall’attentato è la tendenza della società occidentale a non riuscire ad affrontare UNITA queste problematiche e ciò è testimoniato dal dilagare di un’ideologia razzista che, con

la strage di Charlie Hebdo, si è consolidata nel luogo comune “blocchiamo l’immigrazione”. Il leggere cose di questo tipo rende l’idea di come l’uomo, quando è ferito e spaventato, tenda a regredire allo stato primitivo di “isolamento nelle caverne”. Tuttavia a questo punto non è possibile ritirarsi dal processo di globalizzazione perché in ogni stato coesiste una parte dell’“altro” ed è proprio su questo punto che si spiega l’impatto mediatico che l’attentato ha avuto. Tutto si muove come in una grande equazione, piena di derivate e di incognite: è impossibile prevedere un esito e degli sviluppi futuri della vicenda, fino a quando non si instaurerà il dialogo tra estremisti islamici ed il resto del mondo. Accantonare l’orgoglio e rafforzare la sorveglianza nei luoghi più a rischio sono gli unici SCUDI di cui attualmente disponiamo: UTILIZZIAMOLI! Diego Zanette - 5C


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CARCERI ITALIANE Si cerca una rieducazione L’articolo 27 della costituzione italiana enuncia che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla RI-EDUCAZIONE del condannato. Una moglie che abbia perso il marito per mano di un ragazzino violento, ora detenuto, la prima cosa che può elaborare mentalmente è senza dubbio riconducibile all’espressione che si sente spesso pronunciare di questi tempi: “Che marcisca in prigione”. Dopotutto come darle torto? Questa moglie diventa una “vittima che odia”; una donna che per mano di un ragazzino, il quale, forse, non ha ricevuto un’educazione adeguata, si ritrova improvvisamente vedova. Ma guardiamo l’altra faccia della medaglia: quel ragazzino, che ora è giustamente in prigione, si ritrova in una delle stanze detentive, le quali in Italia sono molto spesso ambienti piccoli,

fatiscenti e la gran parte delle volte sovraffollate, dove i detenuti devono vivere come se fosse una vera e propria casa infatti in un ambiente di tre metri quadrati devono: cucinare, mangiare, dormire, leggere, scrivere ed andare in bagno. Considerando che vivere in spazi così stretti fa solamente aumentare la possibilità di conflitti tra i detenuti, che cosa può insegnare la detenzione a quel ragazzino che ha ucciso quell’uomo? Nulla. Si ritrova solo, in condizioni quasi al limite della decenza a convivere con altre persone, intrappolate come lui, come animali in gabbia. Se vogliamo che la pena carceraria abbia un senso, dobbiamo costruire occasioni di dialogo che rendano consapevoli i detenuti di ciò che hanno commesso. Al carcere “Due Palazzi” di Padova è nato un progetto di dialogo e confronto tra i detenuti e gli studenti di diversi istituti superiori. Questi incontri fungono

IL VALORE DELLA MEMORIA Si dice che l’uomo, per essere felice, non debba vivere nell’ombra del suo passato, né rincorrere incessantemente il futuro. Vivere la propria vita al presente sembrerebbe l’unica via per una vita gioiosa, sciolta dalle catene del rimorso, del rimpianto e del ricordo. Indubbiamente ne risulterebbe un’esistenza più leggera, ma non necessariamente volta alla crescita e al progresso. Il passato è parte fondamentale del nostro essere: esso costituisce il percorso che, attraverso varie esperienze, positive o negative, rende l’individuo ciò che è, in tutte le sue sfaccettature. Demolire il passato, a mio avviso, significa negare la propria persona, rifiutando tutto quel bagaglio di esperienze che, attraverso la memoria, induce a

un cambiamento del presente e del futuro. La memoria significa questo: fermarsi lungo il sentiero della vita, voltarsi verso gli eventi passati e confrontarsi alla luce dei fatti con la propria coscienza, per poi continuare il cammino indirizzandolo al miglioramento della propria persona e della società. Al giorno d’oggi è consuetudine celebrare la “memoria” di eventi passati che hanno segnato un passaggio incisivo nella storia. Ricordiamo tragedie, che costarono un incredibile numero di vittime, distruggendo le vite di intere famiglie, e con esse le loro case, i loro sogni e le loro aspettative. Una di queste ricorrenze cade il 27 gennaio, quando si ricordano le vittime della Shoah. La “Giornata della memoria”

da attività di prevenzione, ma anche come occasione di riscatto per quelle persone che sono definite dalla società “scarti”. Per preparare questo percorso di dialogo è stata creata una redazione all’interno della casa circondariale dove alcuni detenuti si confrontano e scrivono articoli per il loro giornale “Ristretti Orizzonti”. Tutto questo porta le loro esperienze al dì fuori e diventa un’occasione formidabile per ritrovare una parte di loro stessi attraverso l’empatia che si crea con gli studenti. Il momento del confronto, che può sembrare una banalità, fa nascere in loro domande che corrispondono a dei primi passi per una ri-educazione. Come possiamo pretendere che un ragazzino, quel ragazzino, quando uscirà dal carcere non commetta altri reati se non si è fatto nulla per aiutarlo? Perché, materialmente, gli psicologi che dovrebbero aiutare i condannati non hanno tempo a sufficienza per tutti. Per una ri-educazione adeguata bisogna che ci sia anche una ri-socializzazione, ossia che il deve servire da spunto per una riflessione collettiva sulla tragedia dell’Olocausto, ma il ricordo di simili eventi dovrebbe essere quotidianamente vivo, per intraprendere un percorso verso la cultura del rispetto e dei diritti umani. “L’Olocausto” fu un evento fortemente negativo per la storia umana; evocare tale ricordo dà alla coscienza la misura di ciò che non deve essere ripetuto. La memoria collettiva rammenta che ogni individuo occupa un ruolo incisivo nel mondo e che dimenticare è un rischio che può indurre a cadere in errori già commessi. Immagino la memoria come una scatola o un archivio segreto da cui attingere, ma soprattutto un prezioso strumento per comprendere il presente. Questo archivio di emozioni e ricordi fornisce a ognuno di noi dei valori e dei criteri di giudizio che si coltivano nella riflessione.

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condannato, passo dopo passo, si reinserisca nell’ambiente sociale esterno. Questo processo di ri-educazione, però, non ha un esito certo, è più una scommessa che la società fa con se stessa. Nessuno può dire con certezza se un condannato possa essere “recuperato”, senza considerare l’incognita della libertà umana. Avremmo, però, bisogno invece di un’altra certezza: quello che le pene vengano scontate nel modo giusto, al fine di poter ridare la libertà ad un uomo che con il percorso fatto se la sia meritata. Alessia Posocco - 5B È importante riflettere soprattutto sul valore delle civiltà, occasione per riflettere anche su di sé, come membro di una società civile. L’atto di ricordare non consiste quindi soltanto nel rievocare eventi, ma implica un coinvolgimento emotivo senza il quale il miglioramento non sarebbe possibile. Attribuire un valore agli avvenimenti, attraverso la sensibilità di ognuno di noi, matura la capacità empatica, come una percezione che ci dà una spinta fondamentale orientata al cambiamento e al progresso. Credo che la vita di ognuno di noi sia fortemente legata al passato: la memoria ci porta a sapere da dove veniamo, e ancora di più a capire in che direzione vogliamo proseguire e volgere il timone delle nostre future scelte. Andrea Cavallo - 5D


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IL FEMMINISMO Una ricerca nella storia per conoscere le origini del movimento Il femminismo è un movimento che nasce nel corso dell’Ottocento, guidato da donne che rivendicano pari diritti ed opportunità rispetto agli uomini. Nel corso della storia, le femministe sono state numerose, ed ancora oggi ne ricordiamo alcune, che spiccano per le loro gesta ed il loro coraggio. La prima di esse è Olympe de Gouges, nata in Francia nel 1748. Divenne sposa e vedova all’ età di diciassette anni e decise di trasferirsi a Parigi per garantire una buona istruzione al figlio. Rivendicò numerose volte il suo desiderio di garantire alle donne una migliore posizione sociale, si batté infatti per il diritto di voto e partecipò a numerose rivolte. Ella non solo fu femminista, ma anche sostenitrice dell’abolizione della schiavitù razziale: pubblicò infatti un saggio dedicato agli uomini di colore, suscitando un ampio dibattito sul tema. In seguito ad un’accusa da lei mossa nei confronti del politico di spicco del tempo, fu condannata e processata come controrivoluzionaria. Venne ghigliottinata nel 1793, a soli quarantacinque anni. Le prime idee femministe ebbero culla nella Francia rivoluzionaria, ma certamente misero radici e si svilupparono soprattutto in Inghilterra, dove, contemporaneamente ad Olympe de Gouges, si faceva sentire un’altra donna, forte quanto la compagna francese: Mary Wollstonecraft. Ella era una donna di origini povere, nata nel 1759 nei pressi di Londra. Ebbe una vita relativamente avventurosa ma breve, ed ancora oggi la si ricorda per la sua straordinaria personalità ed originalità. A causa di un padre alcolista e di una madre violenta, finì per lavorare come dama di com-

pagnia, ma cercò comunque di farsi da autodidatta: sperava infatti in una vita migliore, era ambiziosa, sapeva che con la sua intelligenza avrebbe potuto fare grandi cose. Dopo diversi falliti tentativi di aprire una scuola per ragazze, cosa che riteneva fondamentale in quanto considerava l’educazione un fondamento, produsse Rivendicazione dei diritti della donna, saggio in cui sosteneva che l’inferiorità della donna nella società era al tempo inevitabile. Infatti, secondo lei la donna non era inferiore all’uomo per cause biologiche, ma per la cattiva educazione imposta alle ragazze, le quali venivano educate all’obbedienza e alla sottomissione. Purtroppo, morì a causa di una complicazione dovuta al secondo parto, sempre nella Londra che l’aveva vista nascere. La sua ultima figlia, Mary Shelley, fu famosa per aver seguito le orme della madre ed aver pubblicato Frankenstein. La terza figura da ricordare, è quella di Emmeline Pankhurst, una delle più importanti guide del movimento delle suffragette inglesi, che dedicò la sua vita alla conquista del diritto di voto, diritto riconosciuto poche settimane dopo la sua morte, nel 1928. Ella crebbe in una famiglia dell’alta borghesia che la introdusse sin da bambina alla vita politica e intellettuale. Fondò varie associazioni legate ai diritti delle donne e molto spesso partecipò a manifestazioni violente, finendo anche in carcere. Più volte praticò lo sciopero della fame, tanto era convinta ed agguerrita. Morì a Londra, nel 1928, dopo aver aderito al partito Conservatore. Per concludere, bisogna ricordare che il femminismo vive e conquista anche nel presente. Una grande esponente del mo-

vimento è l’afroamericana Angela Davis, nata in Alabama nel 1944. Figlia di due professori, capisce sin da subito l’importanza fondamentale dell’istruzione. Riesce a vincere una borsa di studio e a proseguire gli studi a Manhattan, dove si avvicina agli ideali comunisti. Divenne famosa quando, nel 1970, un uomo tentò un assassinio con un’arma che si scoprì le appartenesse. La donna fu ricercata dall’FBI, accusata di omicidio e processata. Il suo caso destò molte polemiche: non vi erano prove sufficienti per dimostrare la colpevolezza della Davis, che era stata comunque incarcerata. Molti personaggi famosi si schierarono dalla parte della donna, i Rolling Stones incisero un brano in suo onore, Sweet Black Angela, persino John Lennon e Yoko Ono composero per lei, producendo la canzone Angela, ed il Quartetto Cetra suonò il brano all’interno del programma televisivo Rai Stasera sì, ricevendo minacce in seguito. Il processo fu rifatto, e finalmente Angela Davis fu scarcerata e giudicata innocente, da una Corte di soli bianchi. Ancora oggi, la donna scrive e viaggia, si interessa dei diritti delle donne ed è diventata un importante punto di riferimento per il movimento odierno. Ma perché, ancora oggi, è importante ricordare queste figure? Innanzitutto, per la loro valenza etica. Grazie ad esse, oggi viviamo in una società più libera e giusta, con donne che votano e si istruiscono esattamente

come l’uomo. Non tutti i diritti sono stati pienamente raggiunti, non tutte le ingiustizie sono state risolte, ad esempio in America ancora oggi la donna, a parità di condizioni lavorative, riceve una paga inferiore dell’uomo. I prodotti destinati alle donne hanno un costo maggiore e ci si aspetta dalla donna un comportamento ed un portamento quasi forzatamente femminile, a prescindere dal carattere che ella ha. Dunque, è importante trarre esempio dalle grandi femministe della storia, che hanno raggiunto traguardi, al tempo considerati irraggiungibili, e continuare a lottare per una piena parità. Non bisogna però pensare al femminismo come ad un movimento anti-uomini. I problemi legati al sessismo sono tanti, e non riguardano solo la donna, ma anche l’uomo. Gli uomini vittime di violenza non vengono presi seriamente, le loro storie non ci toccano come quelle delle donne, in quanto l’uomo, secondo la società, deve rappresentare una figura forte, estraneo a sofferenze causate da violenza sessuale o domestica. D’altro canto, parità non significa essere liberi di picchiare il gentil sesso, ma di avere le stesse opportunità lavorative, l’essere considerati in società con lo stesso rispetto e il non dover seguire per forza uno standard di bellezza estetica e comportamentale. Jelena Milivojac - 3D


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C U LT U R A D E L L A M E M O R I A

COME È POTUTO ACCADERE? Quadri di memoria per comprendere il senso del ricordo

HISTORIA MAGISTRA VITAE

Una generazione che ignora la storia non ha passato… né futuro - Robert A. Heinlein

Il nostro passato è ricco di buoni esempi ed errori che hanno modificato in maggiore o minore intensità il suo corso. Uno degli sbagli più grandi della nostra storia è sicuramente l’orrore dei lager nazisti, la discriminazione razziale e il sopruso subito dal popolo ebreo, da sempre malvisto. Se lasciamo che il tempo porti via quell’orrore e quelle grida, la nostra vita sarà solamente un susseguirsi di sbagli. Forse le immagini orribili rimarranno stampate come inchiostro indelebile nella mente dei sopravvissuti che le hanno viste, ma non nelle persone di oggi che non hanno vissuto quei terribili momenti. Per questo motivo l’Italia insieme a molti altri Paesi del mondo si impegna a ricordare ogni 27 gennaio (data che ricorda l’apertura dei cancelli del campo di sterminio di Aushwiz da parte dei Sovietici) che la storia insegna e che ci guida attraverso i ricordi di un passato che non va ripetuto. La storia ci dà un insegnamento, ma sta a noi seguirlo o meno. Possiamo paragonare la storia dell’umanità alla storia di un singolo individuo: come tutti noi soffre di dispiaceri, ha commesso i suoi sbagli e ha avuto le sue vittorie, le sue piccole gioie, si innamora, ha provato il dolore della morte. Così la Storia raccontandoci la sua storia sotto forma di date, avvenimenti positivi e negativi ci conferma che il bene e il male hanno influenzato la storia personale di ognuno di noi. La Storia è quindi effettivamente maestra di vita, memoria dell’umanità, testimone dei tempi, luce della verità e vita della memoria: solo interrogandola nelle nostre scelte potremo imparare a costruire un futuro migliore per noi e per le generazioni che verranno.

STORIA MAESTRA DI VITA?

È meglio un giorno solo da ricordare, che ricadere in una nuova realtà sempre identica - Francesco Guccini

Eccoci quindi davanti allo spettacolo degli orrori che è stata la seconda guerra mondiale. Si può affermare a questo punto che la storia è effettivamente maestra di vita? E’ stata essa un punto di svolta, uno spunto per imparare dagli errori commessi nel passato e costruire un mondo migliore per le nuove generazioni? Non è quello che raccontano i fatti, che si sa, contano più di mille parole. Se davvero fosse così, come concepire lo sterminio del 1994 in Ruanda, dove più di 800 mila civili innocenti sono stati crudelmente uccisi a colpi impietosi di macete e bastoni chiodati, tra estremisti di etnia Hutu e Tutsi? Come essere ciechi e sordi al grido disperato degli abitanti pakistani hazeri contro gruppi terroristici affiliati ad Al Qaeda che terrorizzano questo popolo perpetrando un genocidio a piccole dosi, torturandolo, giorno dopo giorno? Se davvero la storia servisse a qualcosa perché viene sottovalutato ciò che sta accadendo ora, per mano dell’ISIS? Perché si ascolta la notizia al telegiornale, data così, come si danno le previsioni del tempo? Ha senso quindi ricordare? Ricordare ogni 27 gennaio per un minuto, nel silenzio, il dolore dei milioni di uomini, donne, bambini diversi, non sbagliati, solo diversi, ma forse non poi così tanto. Si ricorda questo. Non la guerra, né il suo orrore. Solo che il diverso non è nemico, che il diverso siamo noi alla fine dei conti e che non facciamo così paura. Allora forse sì, la storia insegna, è maestra gentile, che non si impone, è paziente. Racconta ciò che è stato con tono pacato, in un angolo, sperando che per un minuto anche per lei il mondo si fermi e che tutti, nessuno escluso, ascoltino ciò che ha da dire.

1 3 4 2 IL RICORDO VICINO A NOI

Non esiste scelta che non comporti una perdita - Jeanette Winterson

La storia non è composta solo da fatti successi lontano da noi, non possiamo chiuderci nel nostro angolino di mondo, ignorando quello che succede attorno perché pensiamo che non ci potrà danneggiare direttamente. Quelle vicende sono accadute anche nelle nostre zone e la vita di Ida Serafin ne è un esempio. Nel 1944 Ida era una ragazza diciassettenne di San Fior (TV), sorella minore di un giovane soldato che, abbandonata la divisa, si era unito a un gruppo partigiano locale, per contrastare i soprusi nazisti. Una soffiata dei tedeschi si ripercuote su di lei, sulla sua famiglia e su altri compaesani che verranno catturati, deportati ed internati. La ragazza e la madre furono deportate al campo di sterminio di Auschwitz, ma dopo tanti trasferimenti di Ida si persero le tracce. Solo la madre e il padre sopravvissero alla deportazione e tornarono a casa. La domanda della mamma di Ida: «Che fine hanno fatto i miei figli?» non ha ancora avuto risposta. Questa vicenda ci fa capire che i fatti avvenuti in passato non sono esempi isolati e troppo lontani per aver toccato anche il nostro quotidiano, ma sono vicini e hanno condizionato la vita di persone come noi. E’ quindi necessario ricordare e conoscere prima di tutto gli eventi che possiamo toccare con mano e poi diffondere la nostra conoscenza, al fine di evitare di commettere gli stessi sbagli.

DISSOLVENZA

È dimenticando i ricordi che le persone riescono a vivere. Ma vi sono cose che non si devono assolutamente dimenticare - Gendõ Ikari

In questo tempo, nel ritmo frenetico della nostra vita, rischiamo di vivere la storia in dissolvenza; le impressioni, le emozioni vanno sfumando, divenendo sempre più vaghe e indefinite. Ecco perché è giusto ricordare dei crimini orrendi e mostruosi compiuti a spese di uomini, donne, bambini innocenti, privati di tutto: di ogni cosa a loro più cara, di dignità, di speranza, privati persino del loro nome e con l’unica colpa di essere diversi, diversi di colore, di religione, di pensiero politico o di inclinazione sessuale. Il diverso ha sempre spaventato, è sempre stato facile incolpare chi non è omologato e che a testa bassa esegue senza fare domande, chi non è o non era controllabile. Diverso. Ma chi è diverso poi? Ognuno è diverso da un altro ed ognuno è unico e questo è… miracoloso. Bisogna rendersi conto di ciò che è stato e aprire gli occhi ed essere coscienti per non ricadere sempre negli stessi imperdonabili errori. Tenere il ricordo vivido, parlare, informarsi, pensare con la propria testa: solo così, le anime che nel silenzio sono rimaste morte per anni, potranno finalmente avere il loro riscatto.

M. G. Carlet, G. Da Ros - 3D


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I PARADISI ARTIFICIALI Orrenda è la sorte dell’uomo la cui immaginazione, paralizzata, non sia più in grado di funzionare senza il soccorso dell’hashish o dell’oppio “I paradisi artificiali” è il titolo di un saggio scritto da Charles Baudelaire sugli effetti della droga, nel quale vengono descritte le sensazioni dell’autore dopo l’assunzione di varie sostanze stupefacenti. Anche il ricercatore e docente chimico Bruno J. R. Nicolaus ci parla di questi paradisi ingannevoli, nei quali l’abuso di droghe appare ormai irrefrenabile. Ma cosa sono, in realtà, queste droghe? O meglio, che valore assumono per chi ne fa uso? Le risposte sono molteplici, come molteplici sono gli impulsi della psiche umana a spingere una persona a provare una qualsiasi sostanza. Uno di questi è sicuramente il dolore, la sofferenza per un ambiente ostile, tutt’altro che favorevole ad uno stile di vita sano e rispettoso per il proprio corpo e la propria mente. Inebriare i pensieri diventa un ottimo modo per sedare l’angoscia di vivere un presente buio e diverso da come vorremmo, una situazione difficile e pesante, uno stress quotidiano in cui l’unico analgesico che pare funzionare sia la fuga periodica dalla realtà e dalla propria mente. Al giorno d’oggi troveremo certamente persone, soprattutto tra gli adolescenti, che cercano semplicemente uno strappo alla noia o l’approvazione degli amici. Credo, però, che i fattori che determinano l’utilizzo di sostanze non si possano delineare con poi tanta precisione. L’uomo non è un animale, la sua psiche è ineffabile e le ragioni per cui commette certe azioni sono spesso ignote a lui stesso. Come dice Nicolaus, fin dall’antichità era ben noto l’uso di sostanze stupefacenti. Sicuramente la curiosità occupa

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un ruolo importante in questo contesto. Cosa prova una persona sotto l’effetto di LSD, eroina, ecstasy…? Come viene modificato lo spazio circostante, la percezione del tempo e delle altre persone? Come cambiano i rapporti con gli altri e se stessi? Possiamo comprenderlo in modo più approfondito grazie anche all’analisi di vai scienziati sugli effetti di varie sostanze.

Recentemente mi sono imbattuta in un articolo su internet, dove veniva spiegato l’effetto di un allucinogeno chiamato DMT, tramite la testimonianza di un uomo. Sono rimasta colpita nel leggere di come, dopo varie assunzioni attentamente analizzate in ogni passaggio, egli si interrogasse su cosa fosse la realtà, il linguaggio, lo spazio e il tempo. Tutte domande a cui ha cercato di dare una spiegazione, o risposta, nel corso dei vent’anni successivi, definendo poi

la sostanza come una sorta di strumento fondamentale per cogliere la presenza del soprannaturale nel mondo, non descrivibile utilizzando una cosa mono-dimensionale come il semplice linguaggio. Parlando di sostanze stupefacenti, non bisogna perdere di vista i molteplici effetti collaterali, come, ad esempio, la perdita progressiva della memoria, la modificazione perenne della psiche e della percezione della re-

altà, e soprattutto la dipendenza. Quest’ultima è un baratro nel quale si può cadere senza quasi rendersene conto, poiché l’uso di determinate sostanze, inizialmente, dà un senso di benessere, leggerezza, ma, svanito l’effetto, cosa rimane? Il disagio persiste infine e ritorna più accentuato di prima: un tossicomane tende a troncare i rapporti con amici e famigliari, con il lavoro e ogni contesto che sta al di fuori della sua dipendenza, poiché l’unico fine perseguito mira a garantire e salvaguarda-

re la periodica assunzione della sua sostanza. Così viene spesso sottovalutata l’importanza della sensibilizzazione su questo argomento, non tanto dal punto di vista morale, nel dire cosa è bene fare o meno, quanto sull’informazione: occorrerebbe cioè spiegare bene ai giovani cosa provocano le varie sostanze, anche quelle più “innocue” (come ad esempio la marijuana), definite tali perché non provocano dipendenza, ma i cui danni rimangono comunque e saranno percepiti nel futuro. Giada Monego - 5C Paradisi artificiali? Effimera serenità Le sostanze stupefacenti sembrano essere in questi ultimi tempi l’unica via d’uscita da una società che non è all’altezza delle aspettative comuni. È questo il pensiero di persone, in numero sempre crescente, che iniziano a fare uso di droghe in modo direttamente proporzionale all’aumento di disponibilità di queste ultime, superando quelle barriere che negli anni passati avevano dato un freno a questo fenomeno sempre più in espansione, quali scuola, religione e famiglia. Sono noti i casi di uso e spaccio di sostanze, leggere e non, in ambiti che normalmente vengono definiti sicuri, come quelli scolastici. Inoltre, il grande allontanamento della popolazione dal messaggio evangelico, che assumeva molta più importanza negli anni passati, ed una situazione economica, sociale e politica non tra le più stabili hanno formato quell’insieme di fattori che hanno portato al grande consumo di droga. La paura di non avere un futuro, di non poterlo assicurare a se stessi e nemmeno alla propria famiglia; il timore di non vedere realizzati i propri sogni, di dover assistere alla distruzione di quello che si è costruito


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nel tempo: penso siano questi i fattori dominanti che portino un individuo a drogarsi. L’essere insoddisfatti della propria vita e non avere abbastanza forza d’animo per cambiare la situazione sono altre condizioni che predispongono all’uso di sostanze. Prendiamo ad esempio alcuni

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personaggi sportivi, non ultimo Alex Schwazer, che ha fatto molto discutere in questi ultimi tempi. Apparentemente felice, esempio per molti giovani praticanti il suo stesso sport, medaglia olimpica. Proprio quella medaglia olimpica, che era stata la sua fonte di gioia, si è poi rivelata un pesante oppressore.

ALLARME DROGA! Divertimento per dimenticare brutte situazioni, nuove esperienze per uscire dalla realtà quotidiana, uno sfogo per la rabbia repressa. Ci sono vari motivi per cui gli adolescenti decidono di cambiare stile di vita, scoprendo una realtà completamente nuova, al di là delle loro aspettative, una realtà essenziale ridotta a ciò che serve, una realtà che può piacere o meno… ma alla fine a chi può non piacere? Si ha tutto ciò che si ha sempre voluto; stare con gli amici, divertirsi, i problemi passano in secondo piano, la solita monotonia scomparsa, alterata da quel senso di euforia come una ciliegina sulla torta. Lo stato sociale rimane inalterato, forse qualche dubbio esistenziale… ma è solo di passaggio, tanto la vita comincia ad avere senso dopo, con gli amici. Gli amici, fonte irrefrenabile di felicità, se si sa quali scegliere; non intendo i soliti amici sfigati con cui di solito vai al cinema o a mangiare la pizza, no… intendo quelli con cui hai acceso la prima cicca girata al parco, quella speciale, la stessa girata dal tuo amico,

allungata con quella polverina verde che ti fece sorridere... la prima volta. Ma quel sorriso non può durare per sempre, ad un certo punto decidi che è meglio passare ad altro. La Marijuana non si può definire come droga, non finché non sperimenti gli effetti delle altre sostanze più potenti, quelle sì che ti fanno sballare! Ecco allora che il vuoto, quel sapore aspro nella fetta di torta, che dava tanto fastidio, magicamente scompare, al suo posto un dolce senso di inebriamento pervade il tuo corpo. Hai presente quando vai sulle montagne russe o guidi una macchina ad alta velocità? Emozioni di tensione, paura ti opprimono, ma ti piace sentire quel formicolio lungo la schiena e alla fine vuoi fare un altro giro.. Ecco un po’ come funziona, ma immaginalo alterato di dieci o venti volte, dieci o venti volte più piacevole. Certo… i problemi non sono del tutto risolti; quando finisce l’effetto non

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Perché quando vinci sei costretto a ripeterti e se non lo fai sei un perdente. Ed allora, come per chi non ha un lavoro e una famiglia sulle spalle, come chi deve sedare il dolore e l’ansia, si è ritrovato anche lui come tutti, nella stessa grande barca, nell’ultima spiaggia di una continua lotta alla quotidianità ostile. Non importa essere un personaggio ricco e famoso o l’ultimo dei barboni: il tratto comune di molti che cedono all’uso di sostanze si riduce ad essere la mancanza di personalità, di carattere, di forza e coraggio. Non bisogna dimenticare, inoltre, che il problema della droga non si limita unicamente al soggetto che ne fa uso, ma si estende anche a genitori, educatori, famigliari e amici. La droga porta danni irreversi-

bili al corpo, al cervello e alla persona stessa. È inutile negare che “un drogato” sarà sempre visto come tale; non importa quanto si sia ripulito, da quanto tempo non faccia più uso di sostanze, quale sia stato il suo motivo o l’impegno profuso per uscirne. Ormai ha un’etichetta negativa cucita addosso, un appellativo difficile da eliminare. Penso che sedare il dolore e la sofferenza sia molto difficile, che la vita di per se stessa sia difficile. Scegliere di rifugiarsi in paradisi artificiali e fittizi è solo la via momentaneamente più facile, è il rifugio di quelli che stanno male e scelgono di non cambiare le cose, scelgono di non mettersi in gioco, scelgono di sacrificare la vita per un po’ di effimera serenità.

puoi stare lì senza fare niente, devi per forza andare in cerca di altra bamba. Gli amici ti avevano avvertito di qualche effetto collaterale, ma non ci avevi fatto caso. Qualche psicofarmaco aiuta, ma non basta. Vai dal tuo “amico” di fiducia; parlate un po’ e decidete che mentre lo aiuti a portare avanti l’attività, lui ti lascia quello di cui hai bisogno. La cosa sembra funzionare finché ti trovi in ospedale che non sai di preciso cosa è successo, solo i tuoi genitori vicino e una massiccia dose di metadone in corpo.

Gli effetti della droga possono distruggere il tuo corpo e la tua personalità fino a farti decidere di stare male per stare bene. Ecco perché bisogna informare i ragazzi sugli effetti di queste sostanze, come dell’alcol e del fumo, per evitare che esse prendano il sopravvento su di loro, riducendoli a degli zombies. Anche lo Stato dovrebbe assumersi la responsabilità di ciò che accade, senza accontentarsi ipocritamente di scrivere sui pacchetti di cicche frasi contro il fumo!

Alice Bariviera, 5C

Anthos Zanoni - 3D


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VECCHI E PIGRI LA GRANDE GUERRA

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Qualche considerazione nel Centenario della Grande Guerra, ora che guardiamo al passato con più consapevolezza Fondamentalmente, la pecca più grave della nostra civiltà è quella di essere diretta discendente delle precedenti, è una costruzione composta da una gettata di cemento che mantiene le stesse caratteristiche delle forme sottostanti, se non addirittura accrescendone gli spigoli. Non abbiamo mai messo in

discussione il sistema sul quale le nostre ideologie, istituzioni e dinamiche sociali si sviluppano, non abbiamo mai pensato a qualcosa di nuovo per prendere le distanze dalla nostra arretratezza. Abbiamo seguito passivamente il progredire di un’idea generale di civiltà che da tempo e sempre più si dimostra

inadatta, inefficiente e nociva. Siamo la versione tecnologica, frettolosa, stressata e impaurita della civiltà romana. Come si può pensare ai giorni nostri di “risolvere”, “dialogare”, “confrontarsi” e “farsi valere” con la violenza? Come può essere che in migliaia di anni siamo rimasti le stesse bestie e che ancora non venga universalmente riconosciuto che la guerra è stupida dalla sua primissima concezione? La guerra è l’espressione della perversa megalomania delle nazioni, con tutte le loro cieche ideologie; cieche perché non curano il benessere morale dell’uomo, le istituzioni troncano quegli aspetti dai loro interessi e il perché chiedetelo a loro. Sarei curiosissimo di conoscere la percentuale degli uomini che durante la chiamata alle armi erano d’accordo con ciò che erano chiamati a fare e di quelli che non lo erano. Presupponendo, forse un po’ ambiziosamente, penso di potermi rispondere da me, e penso pure che sia avvilente pensare che

UN ALBUM DI FIGURINE In occasione del Centenario della Grande Guerra, la sezione Grafica della classe 3D ha ideato e realizzato una serie di album di figurine per bambini di una fascia di età compresa tra gli 8 e i 10 anni. La realizzazione dell’album ha impegnato gli allievi per buona parte dell’anno scolastico, aiutandoli a migliorare le loro abilità nella disciplina. Trattandosi di un album per bambini, la difficoltà maggiore è stata raccontare la guerra in modo non eccessivamente drammatico attraverso un lavoro sem-

plice ma allo stesso tempo efficace. Per questo gli studenti hanno sviluppato una ricerca storica così da conoscere gli eventi bellici più significativi del conflitto sul fronte italiano e poterli quindi far risaltare nel loro album. Per motivi di tempo, non è stato possibile partecipare ad un concorso sul tema, ma il progetto è stato comunque portato a termine come esercitazione. Eccovi qualche figurina in omaggio! E. Dal Borgo, E. Introvigne, B. Lazzaretti - 3D

alla guerra dovesse partecipare anche chi non lo volesse. E a cosa ha portato questa guerra se non a distruzione, all’arricchimento dei produttori d’armi, allo sviluppo di ulteriori tensioni e ad un’ altra guerra? A nulla, perché ciò che la guerra non distrugge resta immobile e non conosce progresso, l’unica cosa che possiamo imparare da essa è questo. Essa non è manifestazione di progresso bensì del fallimento dell’umanità, e se non superiamo queste forme di arretratezza, che ci portiamo sottobraccio da millenni, continueremo a ricordare ipocritamente le guerre di ieri, di oggi e di domani. Andrea D’Arsiè - 5A

A cento anni dall’entrata in guerra, per ricordare i campi di battaglia


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TUTTI ALL’EXPO! EXPO & ECOLOGIA

Con l’Expo, Milano e l’Italia si inseriscono in una lunga tradizione nata a Londra, prima città ad ospitare l’Esposizione Universale nel 1851. Da quel primo evento organizzato all’interno del Crystal Palace ai giorni nostri le riflessioni, le scoperte e le iniziative che le varie Esposizioni hanno accolto sono diventate parte del bagaglio che ha inciso nei modi più disparati sull’epoca a cui sono appartenute. Si tratta di eredità più o meno concrete che vanno, tanto per fare un esempio, dalla Torre Eiffel, eretta a Parigi nel 1889, all’Atomium di Bruxelles, e arrivano, passando per le migliorie apportate alle città, fino al meno tangibile, ma non per questo meno importante, rafforzamento dei rapporti internazionali. Anche Expo Milano intende puntare molto sui lasciti immateriali avendo tra i suoi obiettivi quello di portare avanti la ricerca, diffondere le conoscenze e le innovazioni ed educare i visitatori. Il tutto, ovviamente, facendo riferimento al tema dell’alimentazione e della produzione del cibo in modo ecosostenibile. L’Expo Milano 2015 è dunque l’Esposizione Universale ospitata dall’Italia nel corso dei sei mesi che vanno dal primo mag-

gio al 31 ottobre 2015. Il tema scelto per questo grande evento è: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, un vero e proprio invito a riflettere sulle strade percorribili per garantire a tutta la popolazione mondiale cibo sano e sicuro, riuscendo a rispettare gli equilibri del nostro Pianeta. L’intenzione è quella

reranno nella gigantesca area espositiva che conta 1,1 milioni di metri quadri. L’Expo Milano 2015 si articola su due grandi viali principali, il Cardo e il Decumano, attraverso cui è possibile accedere alle grandi aree tematiche nate per sviluppare al meglio il tema centrale. Ecco quali

di avviare una vera e propria collaborazione tra popoli per quel che riguarda l’agricoltura, lo sviluppo sostenibile e la lotta contro la fame per il benessere comune. Si parlerà quindi di innovazione, risparmio energetico e rispetto dell’ambiente. Più di 140 Paesi e Organizzazioni internazionali hanno aderito a questa iniziativa insieme a molte aziende: tutti pronte a mettere le loro risorse a disposizione dei visitatori che si avventu-

sono questi cinque percorsi: Storia dell’Uomo, storie di cibo. Un ‘area pensata per riflettere sull’evoluzione delle arti, dei mestieri e delle tecniche di insediamento anche alla luce di come tutto questo abbia influito, in maniera sia negativa che positiva, sul cibo e sulla dieta degli individui. Abbondanza e privazione: il paradosso del contemporaneo. Un percorso ideato per far riflettere sul paradosso, tipico

Il polistirolo diventa finalmente un materiale riciclabile e vive così una sua seconda chance. A dimostrarlo, un gruppo di ricercatori U.S.A., secondo i quali il polistirene espanso può essere utilizzato per realizzare batterie riciclabili più efficienti e durature. Un team di ricercatori della Purude University, dopo averne scoperto per caso le potenzialità, sta perfezionando l’utilizzo del polistirolo, un materiale

poco costoso con cui si potrebbero produrre batterie migliori. Le batterie possono essere prodotte con materiali diversi: si possono trovare le alcaline,quelle al litio, al piombo o a ioni di litio. Da ormai dieci anni tutti i dispositivi che hanno bisogno di molta energia sono dotati di questi tipi di pile caratterizzate da una durata molto lunga. Nelle batterie sono presenti due poli, uno positivo e uno

negativo (detto anche anodo). Gli elettroni sono raccolti nella parte bassa della pila e non si muovono a meno che il polo negativo non sia collegato ad uno positivo. Se questi vengono uniti, gli elettroni cominceranno a muoversi dall’ anodo, andando verso il polo positivo. La produzione degli elettroni è assicurata dalla reazione chimica. Questa avviene quando il polo negativo viene collegato a Continua a pagina 13 

BATTERIE AL POLISTIROLO Un contributo all’ecosostenibilità

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dell’epoca in cui viviamo, per cui una parte del mondo soffre per la mancanza di acqua e cibo mentre un’altra parte deve i suoi problemi allo spreco e ad un approccio sbagliato all’alimentazione, legato anche all’abbondanza dei generi alimentari. Il futuro del cibo. Un itinerario per tentare di immaginare cosa ci sarà domani sulle nostre tavole. Tecnologie, scoperte scientifiche e ricerca in che modo influenzeranno la nostra alimentazione? Cibo sostenibile = mondo equo. Quest’area è stata pensata come una vera e propria piattaforma di discussione in cui cercare un equilibrio tra risorse e sfruttamento senza dover sacrificare biodiversità e tradizioni. Il gusto è conoscenza. Probabilmente il percorso preferito dagli amanti del buon cibo che qui potranno scoprire tradizioni, sapori e odori delle cucine di tutto il mondo, andando alla scoperta non solo di nuovi gusti, ma anche di nuove culture e di un approccio all’alimentazione molto diverso dal nostro. Dunque: tutti all’Expo! L. Da Dalt, D. Costa - 3D


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EXPO & ECOLOGIA

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NUTRIRE IL PIANETA PER NUTRIRE MEGLIO NOI STESSI Attualmente la situazione planetaria è alquanto compromessa a causa del modo in cui il pianeta terra viene sfruttato dall’umanità, senza nessun ritegno. Ne sono già un esempio le colline trevigiane, le quali sono esclusivamente ricoperte di filari di uva per la produzione del prosecco che ha esponenzialmente fatto crescere l’economia locale, ma che, quando il terreno sarà completamente prosciugato dall’apporto nutritivo necessario a questo tipo di coltura, la farà nuovamente precipitare. Inoltre anche l’uso spropositato di pesticidi e il mastodontico spreco a cui comunemente siamo abituati, contribuiscono a distruggere il nostro pianeta. Basti pensare al fatto che nei ristoranti e nei punti di ristoro il cibo avanzato viene gettato via quando, invece, potrebbe essere riciclato “attivando una rete di solidarietà” (da una petizione di www. change.org) e regalandolo così a chi ne ha bisogno. L’occasione può essere colta per raccontare un altro aneddoto successo qualche tempo fa nella cittadina di Vittorio Veneto, la quale ospitava in uno stabili predefinito alcuni immigrati africani. A costoro non venivano concessi i documenti perciò non potevano muoversi da lì, veniva data loro da mangiare solo ed esclusivamente pasta, un cibo completamente

estraneo alle loro abitudini alimentari, e proprio a causa di ciò si ritrovarono ricoperti da macchie pruriginose. A questo punto viene da domandarsi come mai i numerosi supermercati tra cui Coop, Cadoro, Lidl ed Emisfero non si siano fatti avanti per aiutare con qualche cassetta di frutta o verdura rimasta non venduta? Questo irrazionale spreco è responsabile del fatto che la metà del cibo finisce così, nella pattumiera, ovvero, in cifre, circa di 2 miliardi di tonnellate. Secondo uno studio intitolato Global Food Losses and Food Waste (Perdite e Spreco Alimentare a Livello Mondiale) i paesi industrializzati buttano 670 milioni di tonnellate all’anno accompagnate dai 630 milioni di tonnellate annue per i paesi in via di sviluppo. Ciò che però ci lascia maggiormente esterrefatti e ci fa così riflettere sono le stime prodotte dal Barilla Center for Food and Nutrition: in Italia, infatti, vengono sperperati circa 37 miliardi di euro ogni anno (spesi in cibo). Mentre, secondo l’Osservatorio sugli sprechi, gli italiani, a livello domestico buttano circa 1693 euro all’anno. Con questo cibo, stima la Coldiretti, si potrebbero sfamare circa 44 milioni di persone. Questa sovrapproduzione è responsabile nei paesi più sviluppati di circa 2,8 milioni di decessi provocati

da malattie legate all’obesità o al sovrappeso e tante altre ancora, che nemmeno immaginiamo trovano la loro origine proprio negli alimenti con cui abbiamo mantenuto il nostro organismo. Contro gli 870 miliardi di persone denutrite (tra il 2010 e il 2011). Le cause di questo spropositato consumo vanno ricercate negli accordi economico-politici tra i governi, le multinazionali produttrici di cibo e le case farmaceutiche; ma anche e soprattutto all’uso che noi in prima persona ne facciamo, poiché la responsabilità di ciò che decidiamo di ingerire va ricercata solo in noi stessi e nelle nostre abitudini. Ad esempio, se in Svezia oltre l’81% è consapevole di poter ancora consumare gli alimenti alcuni giorni dopo la scadenza, in Italia 27% ne è al corrente mentre il restante 73% lo butta sprecandolo ulteriormente (da Eurobarometro un sondaggio indotto dalla Commissione Europea). Fortunatamente però sono già 8 su 10 gli italiani che dicono no allo spreco, promuovendo la “neo-economia domestica” nelle scuole, indirizzate all’eco-sostenibilità delle azioni quotidiane apparentemente di poca importanza. Concludo/ concludendo quest’infuso di fiducia, nella rinascita, tutta naturale, dell’umanità e del suo pianeta terra, riportando l’esperienza di Ibrahim Abouleish,

77enne, egiziano. Costui ha restituito all’agricoltura la nobile dignità che le è da sempre propria. Attraverso la realizzazione del progetto Sekem (in arabo significa “vitalità del sole”) è riuscito a trasformare 20000 ettari di deserto egiziano in “filari di alberi ad alto fusto, coltivazioni rigorosamente biodinamiche, allevamenti di bufali egiziani, fabbriche di tisane”, dando così lavoro a 10 mila persone tra cui anche 800 donne e numerosi cristiani ed ebrei. Ha fondato, inoltre, scuole, asili nidi e l’università di Eliopoli: la prima nel mondo, per lo sviluppo sostenibile. Il signor Abouleish, infine, afferma la soppressione biologica dei parassiti, sostituita ai pesticidi, ha aumentato del 30% la resa del cotone grezzo. Gandhi disse: “ Sulle terra ce n’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti ma non per soddisfare l’ingordigia di pochi. I nostri pensieri, per quanto buoni possono essere, sono perle false fin tanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”; perciò a colore che ribattono affermando l’inutilità delle loro azioni individuali e personali in un contesto mondiale, rispondiamo che le minuscole gocce di acqua nella loro persistenza bucano le rocce. Federica Brugnerotto - 5A


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LE NOSTRE RESPONSABILITÀ PER UN FUTURO MIGLIORE Siamo arrivati a un punto in cui il nostro pianeta, ma soprattutto il nostro modo di vivere su di esso, necessitano di un sostanziale cambiamento di marcia. L’inquinamento che produciamo, le foreste che disboschiamo, le metropoli che costruiamo, ma soprattutto la noncuranza con cui viviamo giorno dopo giorno: tutto ciò non è più accettabile. Ogni anno produciamo in tutto il mondo miliardi di tonnellate di rifiuti, di cui una fetta non indifferente finisce nelle discariche o negli inceneritori. Se riuscissimo a riciclare o smaltire nella giusta maniera tutti i rifiuti che produciamo sarebbe un grosso passo avanti verso un pianeta migliore e più pulito. Purtroppo, come già accennato prima, gran parte dell’immondizia che viene prodotta finisce nelle discariche e cioè in buche sotterranee o a cielo aperto, in cui si aspetta solamente che la terra consumi e pian piano decomponga tutti i rifiuti che sono stati depositati al suo interno. Non suona come una soluzione, specie considerati i tempi di smaltimento di un materiale comunissimo come la plastica o il vetro, ovvero centinaia e talvolta migliaia di anni. Ma la quantità dei rifiuti in circolazione è destinata ad aumentare, vista la spropositata crescita della popolazione mondiale, anno dopo anno. Se nel 1800 sul nostro pianeta si arrivò ad ospitare per la prima  Continua da pagina 11

quello positivo, quindi il flusso di elettroni che viene prodotto e che viaggia da un polo all’altro, provoca una nuova reazione che produce ulteriori elettroni. Gli scienziati hanno così pensato di trasformare il polistirolo in micro-fogli, creati riscaldando questo materiale a temperature elevate, tra i 500 e i 900 gradi. Questo si degrada fino a disporsi in sottilissimi strati di carbonio: gli anoidi così creati hanno un tale valore da superare in efficienza quelli in commercio

volta nella storia del mondo un miliardo di persone, oggi, nel 2014, siamo giunti a 7 miliardi. E’ spaventosa e preoccupante l’esponenziale crescita che la popolazione umana mondiale ha avuto nel giro di circa duecento anni e il fatto di non essere riusciti a controllare questa tendenza è dato da diversi fattori: il cibo è facilmente reperibile grazie ai supermercati ed ai negozi in cui possiamo comprare gli alimenti, che oggigiorno vengono prodotti in maniera largamente industrializzata; le numerose scoperte in campo medico e chimico che sono state fatte negli ultimi decenni hanno permesso non solo di far salire la speranza di vita media ma anche di debellare malattie

considerate vere e proprie piaghe per l’umanità. Non dimentichiamo poi i progressi compiuti nel campo dell’elettronica, che ha cambiato, se non addirittura sconvolto completamente, il nostro modo di vivere. Pro o contro, chiunque è stato pervaso dalla tecnologia, da internet, dai computer e le strade si sono riempite di automobili e mezzi di trasporto e mentre molti ne apprezzano le comodità, altri cominciano a porsi delle domande. C’è da chiedersi, appunto, se la nostra Terra sia in grado di soddisfare tutte le nostre richieste, pretese e desideri, mentre l’altra metà del mondo vive nella più totale povertà. Quasi ogni

persona o famiglia nei paesi più sviluppati possiede un telefono cellulare, un computer, un’automobile, un televisore e mille altri possibili apparecchi di ultima generazione, per lo più rispondenti a bisogni inventati a cui non si sa più resistere, comodità costose che si farebbe di tutto per potersi assicurare. Vivendo accecati da tutto ciò, dimentichiamo troppo spesso l’altra faccia della medaglia: la povertà, lo sfruttamento umano e delle risorse della Terra, che purtroppo un giorno si esauriranno. Continuiamo ad accumulare e ad accumulare, a produrre quasi incontrollatamente, arricchendo sempre di più la parte già ricca a scapito di quella più povera, che viene sfruttata e oppressa fino al prosciugamento delle risorse, con la consapevolezza che le persone che ne fanno parte non potranno mai permettersi il benessere che noi ostentiamo. Il mondo necessita di persone più coscienti, che la finiscano di dare corda ad un sistema fallimentare, alimentandolo di giorno in giorno. Il mondo ha bisogno di meno richieste da parte nostra, o finirà col collassare sotto di esse. Il mondo è stato fatto capace di darci tutto ciò di cui necessitavamo veramente, ma la società ci ha reso belve educate, affamate di desideri che per molti rimarranno comunque irrealizzabili. Alice De Zorzi - 5D

(il 15% in più della grafite, materiale maggiormente utilizzato sul mercato attuale). Considerati i vantaggi del polistirolo, bisogna spiegare perché le pile fatte con questo materiale non siano ancora in commercio. Esse devono subire ancora dei miglioramenti, possono infatti a malapena reggere i 300 cicli di ricarica, un risultato accettabile se visto individualmente ma non per utilizzo globale. Questo utilizzo permette difatti il recupero del polistirolo, da sempre visto come un proble-

ma per l’ecosostenibilità. La dispersione nell’ambiente di questo materiale, infatti è estremamente dannosa; c’è poi da considerare il fatto che il suo riciclo richiede importanti somme di denaro. Con questa metodologia il materiale può essere invece riutilizzato e sfruttato per la produzione di batterie ricaricabili, i cui anodi avrebbero particelle con minor resistenza elettrica e spessore 10 volte inferiori rispetto alle batterie attualmente in commercio.

Il polistirolo fino ad oggi non ha avuto un impiego particolarmente rilevante, a causa dell’elevato costo di produzione e riciclo. C’è da dire comunque, che il suo utilizzo in ambito di produzione di batterie, porterebbe, come già spiegato a notevoli vantaggi. Dunque, per godere degli innumerevoli vantaggi delle batterie in questo materiale, la ricerca si dovrebbe innanzitutto concentrare su come ridurre i costi del suo uso. Alessandra De Lucca - 3D


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IN VIAGGIO per comprendere l’uomo e le sue origini

Il viaggio. Il viaggio è per me una metafora della vita stessa. Parte alla nascita e si conclude con la morte. Ma è nel mezzo che scegliamo: un percorso, un sentiero, nel quale intersechiamo la nostra vita con quella degl’altri. E’ questo il mondo, una matassa, un groviglio, un intreccio di tanti fili, che si sposta nel tempo. Ogni generazione sceglie il mondo in cui vuole vivere. Ogni uomo, volente o nolente, ha la responsabilità del progredire del suo tempo. Chi sceglie di percorrere una strada colorata dall’arte, ha in sé la volontà di comprendere l’uomo e le sue origini: narrando, cantando, dipingendo o costruendo vite. Chi come Alessandro Baricco e Novecento, la storia del più grande pianista che non ha mai calcato le sue orme sulla terra. Chi con dei film, come Marc Webb ed il suo 500 giorni insieme, alla ricerca di una casa, della propria storia nel passato e negli affetti per costruire un futuro per le nuove generazioni. O Mike Chaill, che attraverso gli occhi mette il protagonista del suo I-Origins alla ricerca di se stesso, nel mondo e nello specchio dell’anima, catturando con fotografie i marchingegni che ci permettono di vedere e conoscere la nostra strada. Chi dipingendo

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L E T T E R AT U R A

i suoi personaggi sempre di spalle, come Friedrich, che ci mette nelle condizioni di riflettere se ciò che stiamo facendo è davvero ciò che vogliamo fare, affacciandoci sulle infinite possibilità che abbiamo. Chi come i Foals, mettendo in musica il desiderio di partire nella loro Olympic Airways. Chi come Gazzè, cantando che la vita è dolce, e chi poeticamente guarda oltre la siepe. Chi la strada se la costruisce da solo, partendo dai suoi natali, per non vivere da morto ma morire vivendo. E soprattutto pensando, pensando da sé alla propria strada. Eppure dei miliardi di uomini e donne che hanno calpestato questa terra, ben pochi sono rimasti nella storia a costruire il filo conduttore che collega il presente alla notte dei tempi. E pochi ancora rimarranno a condurlo in futuro, fino alla fine. Ogni uomo possiede il potere per fare qualcosa di grande, per portare il suo tempo allo splendore del bene comune, attraverso la libertà, la fratellanza e l’uguaglianza. E grazie all’opportunità di scegliere, che è sempre presente, possiamo insieme risolvere il vero mistero per il quale continuiamo a viaggiare. Mattia Barel - 4E

LA BELLEZZA SUBLIME DELLA NATURA

RECENSIONE DI UN LIBRO

MAI PER AMORE di Penelope Dauglas “Aprii gli occhi e arrossii al cospetto di tutta quella gente che si divertiva a vedermi in imbarazzo. Jared guardava fisso il tavolo e mi ignorava. Nonostante fossero passati anni il suo comportamento continuava a stupirmi. Un tempo eravamo amici, e io non riuscivo a non cercare nei suoi occhi una traccia del ragazzino che era stato. Ma che vantaggio avrei potuto trarre dal restare ancorata a quei ricordi?” Tatum(Tate) e Jared un tempo erano amici per la pelle. Due inseparabili bambini che affrontavano i problemi aiutandosi e sostenendosi l’un l’altra. Dall’inizio delle scuole superiori, però, il rapporto fra i due è cambiato radicalmente e disastrosamente: Jared non sembra avere altro obbiettivo che ferire Tate in tutti i modi possibili e lei, confusa da tale comportamento, si rende conto che il bambino che ricorda è totalmente diverso dal ragazzo astioso e prepotente di adesso. Vorrebbe scoprire perché. Vorrebbe capire come faccia a sentirsi attratta da lui nonostante il modo in cui ha ripetutamente sofferto a causa sua. Mai per amore (Bully, Titolo originale), primo romanzo della serie Fall Away, scritto da Penelope Dauglas e pubblicato in Italia nell’agosto del 2014 da Newton Compton Editor, narra la storia dal punto di vista di Tate, ragazza all’ultimo anno di liceo che cerca di passare inosservata in tutti i modi, e di Jared, giovane scontroso, difficile, sarcastico ed incredibilmente attraente che le rende la vita un inferno. Confessioni scioccanti, tradimenti ripetuti e un amore che dura da una vita intera: ecco che cos’è Mai per Amore. Questo libro ti rapisce già dalle prime pa-

gine, ti esorta a continuare la lettura e a finirla tutta d’un fiato. Per lo meno, è quello che è successo alla sottoscritta. Jared è il ragazzo più contorto di cui abbia mai letto. Ama Tate con tutto se stesso, ma architetta ogni modo per ferirla di fronte agli altri studenti della scuola. La fa costantemente soffrire, spargendo voci che non sono vere sul suo conto e umiliandola (preferibilmente in pubblico). Dice di volerla fare piangere e ci riesce, almeno fino a quando lei non parte per la Francia. Avete presente il famoso teppista di dieci anni che tira pugni e alza le gonne alle ragazze solo perché non riesce a dimostrare il proprio amore intelligentemente? Insomma, Jared ha la sindrome del Bambino Teppista, solo che non è una semplice dimostrazione distorta d’affetto, la sua: l’obbiettivo di questo ragazzaccio è quello di allontanare a tutti i costi i suoi coetanei da Tate! È come se lei fosse il suo territorio e dovesse abbaiare contro altri cani per allontanarli da esso! È un… un bambino che tratta un giocattolo da schifo e poi se lo stringe al petto quando arriva un altro per giocarci. Devo dire che il rapporto che si crea tra i due, quella situazione di odio - amore, mi ha fatto battere il cuore. Tate e Jared si amano e non sanno comprendere la grandezza di questo sentimento… io penso sia mastodontica. Mi chiedo perché solo nei libri capitino ragazzi che amano a 360° come Jared. Insomma, sto cominciando a pensare di trasferirmi tra le pagine di un romanzo ad attendere lì, accampata tra una T e una H. Leggete questo libro. Dico davvero! Dalila Khbizy - 1G

come risposta alla domanda di verità Il bello per Wilde era l’inarrivabile, l’insaziabile e l’introvabile. Per questo la sua vita e quella dei suoi personaggi spicca grazie al carattere eccentrico e fuori dagli schemi con lo scopo di giungere alla verità attraverso l’anticonformismo, visto come una sfrenata ricerca di piaceri. Tanto era spinta la ricerca del

bello da venerarlo. La vita di un dandy nasconde quest’inesauribile ricerca tra puro e proibito, celestiale e diabolico; all’insegna del divina Bellezza. Nella citazione tratta dall’opera “Il ritratto di Dorian Gray”, Oscar Wilde sostiene che la Bellezza è più alta del Genio perché non necessita di spiegazioni e subito dopo riporta degli esempi di

bellezza quali i grandi fatti del mondo, il sole, la primavera, la luna. Immediata sovviene l’idea di sublime e di grandi eventi circoscritti all’ambito naturale. Pare che Wilde veda la bellezza come sinonimo di natura. Il nostro punto di partenza è l’ambiente che ci circonda, non il sole e la luna, ma la luce solare

ed il riflesso dell’acqua scura di quella conchiglia d’argento che chiamiamo luna. Illuminante è il fatto che un uomo, alla continua ricerca di piaceri come l’autore, si rifaccia alla semplice Madre Natura di ogni giorno, riconoscendone la grandezza e proponendola come punto di partenza e di Continua in ultima pagina 


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L E T T E R AT U R A

UN’INSOLITA INTERVISTA

È mancata all’età di 102 anni Antonia Bortolini, l’ex cameriera del poeta-soldato che ci ha fatto riscoprire i veri valori della vita “I ani ormai i è tanti! Ma mi no i sente!” Così ci aveva accolto mercoledì 22 aprile Antonia Bortolini, originaria di Miane, la quale aveva vissuto un’esperienza molto particolare tanti anni fa… Noi alunni di 5^B ci eravamo recati alla casa di riposo “Villa Bianca” di Tarzo, dove era ospitata la signora, per intervistarla. La centoduenne ci ha raccontato del suo lavoro come cuoca e cameriera presso quella che un tempo fu la casa di Gabriele D’Annunzio a Gardone Riviera, sulle rive del lago di Garda, regalandoci alcuni dei suoi ricordi più lieti. A soli vent’anni Antonia si era ritrovata immersa nello sfarzo e nel lusso, in un mondo che non le apparteneva, sicché ne era rimasta fin da su-

bito affascinata. “Mi ho fat la cameriera a Salò! Ghe n’era i signoroti!” Il ricordo che le sovveniva di più era appunto quello del continuo affluire di “signorotti”, figure di una certa importanza, vestite molto elegantemente, per le quali lei cucinava e serviva cene regali. Andavano e venivano per quel palazzo e ogni tanto, se Antonia aveva fortuna, lasciavano qualche soldo in più di mancia. Il ricordo di D’Annunzio, purtroppo per noi, era un po’ sbiadito, probabilmente perché la signora, proveniente da un ambiente povero e contadino, non era allora consapevole della fama e della personalità dell’uomo in questione. Tuttavia, aveva un vago ricordo del

fatto che D’Annunzio, forse, non fu poi così fascista e mussoliniano. Ci ha confermato inoltre che non era un uomo cattivo, ma ogni tanto ci provava con le cameriere! Un’altra figura rimasta impressa nella memoria di Antonia è quella di Donna Rachele, la consorte di Benito Mussolini, definita, però “non tanto bella”. Assieme a questo ricordo è affiorato quello della lotta tra i fascisti e i partigiani e della brutalità della guerra, che rese tutti degli schiavi impotenti; con un sorriso poi, la signora Antonia ha cercato di intonare scherzosamente Bandiera Rossa. Antonia ci ha ringraziato di essere andati a trovarla per tutto il tempo della visita, ripetendoci che eravamo nel suo cuo-

re e che avrebbe pregato per tutti noi. Oltre alla preziosa testimonianza che ci ha regalato così generosamente, questa signora d’altri tempi è stata capace di farci comprendere qualcosa di molto profondo: umiltà, fede, spirito di sacrificio e indipendenza erano virtù che appartenevano generalmente a tutti i giovani poveri di quei tempi, valori che forse oggi restano incompresi o vengono più facilmente abbandonati. Vogliamo ricordare con affetto e gratitudine la signora Antonia che, a centodue anni, ci guardava con due occhi ancora pieni di vita e di coraggio. Una donna grandiosa e ammirevole. Elisa Pizzin - 5B

“CESARE FUI, SON IUSTINIANO”

L’imperatore e l’uomo. Qualche riflessione sul protagonista di un intero canto del Paradiso Cesare fui e son Iustiniano: queste le parole d’esordio con cui Dante introduce la figura del celebre imperatore, così intrinsecamente emblematico della sua intera riflessione politica nell’oramai puntuale VI Canto, questa volta carico di tutto quel misticismo proprio del Paradiso. Si completa l’ascesi: la tricotomia politica della Commedia, attraverso l’alta speculazione del Cesare, culmina nella beatitudine: una compiuta conciliazione di quel dualismo Spirituale-Secolare che ha caratterizzato i due canti politici precedenti. Qui l’equilibrata figura di Giustiniano, con voce autorevole chiarisce a Dante la sua opera: se da una parte egli si impegnò a garantire la giustezza, quindi giustizia civile, giacché d’entro le leggi trasse il troppo e ’l

vano; dall’altra salvaguardò la pace dell’impero romano d’Oriente per lungo tempo, spalleggiato dal fedele Belisario; figlio del voler del primo amor. Emerge, considerando la sua devota deferenza nei confronti del progetto divino una presente consapevolezza della propria posizione umana nei confronti di Dio. La Chiesa, che attraverso la figura del benedetto Agapito sembra proporsi come l’effettiva luce della conoscenza, avvicinando il sovrano alla fede sincera, non impedisce tuttavia a Giustiniano di instaurare un rapporto diretto con la divinità, la quale gli dispensa una vera e propria missione civile. Risulta chiaro il tentativo del Sommo Poeta di ribadire quanto scritto in De Monarchia, ovvero la pariteticità del rapporto Chiesa-Impero, che come due

soli devono illuminare l’azione umana conducendola verso la virtù, avvalendosi di un proprio intimo rapporto con Dio. La saggezza nel discernere la veridicità piuttosto che la fallacia della propria fede, la determinazione nel perseverare il messaggio di Dio e la profonda consapevolezza del proprio scopo, identificano Giustiniano nell’archetipo ideale del credente. Colui che in una prospettiva quasi kierkegaardiana di completa adesione allo stadio religioso si riconosce in una perfetta partecipazione della Sostanza Divina, o Bene Ultimo. Ebbene la riflessione di Paolo Brezzi risulta quanto mai coerente al quadro d’insieme: Mancano nel Giustiniano dantesco i sentimenti personali e le passioni dell’individuo […] Ma il fine di Dante scolpendo

quella figura era solamente quello di farne un modello e un monito. L’evanescenza sostanziale del personaggio del quale tramite l’artificio di un esperimento mentale non riusciamo a tracciare che eterei tratti, si spiega se esso non è chiamato ad uno scopo contingente ed autoreferenziale bensì collettivo ed esemplare. Mentre il Giustiniano imperatore si fa portavoce di una conciliazione ultraindividuale, anche se terrena, ovvero quella fra il papato e l’impero, il Giustiniano uomo indica anche una intima riappacificazione dell’individuo con se stesso, che finalmente può trovare il suo equilibrio nella riscoperta del proprio cordone ombelicale con Dio. Matteo Da Frè - 5B


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CINEMA & SCUOLA

CINEFOCUS

Numero unico

Appuntamenti con la storia del Novecento Quest’anno il nostro istituto ha realizzato il progetto denominato “Cinefocus”, ideato dalla professoressa Maria Serena, con la collaborazione delle classi quinte e dei rispettivi docenti di storia. Il progetto si è articolato in nove proiezioni di una serie di lungometraggi, preceduti da una introduzione storica e seguiti da un dibattito. Le pellicole proiettate sono state scelte seguendo dei percorsi di approfondimento su momenti salienti della storia del XX secolo, con riferimento a temi come i totalitarismi, i movimenti di protesta, i grandi disgeli e, in particolare, la Memoria. Il fine del progetto era quello di guidare gli studenti a riflettere su argomenti che potrebbero sembrare ormai superati, ma che hanno ancora oggi profonde ripercussioni socio-politiche, come confermano gli attuali fatti di violenza. È un progetto che ci ha aiutato a rifocalizzare l’attenzione su temi dimenticati e scomodi, per ricordare chi ha combattuto e ha dato la vita per ciò in cui credeva. Per ricordare che il sogno e la coscienza non sono morti con l’avvento degli anni Zero, per rifiutare quel senso di disperazione e autocommiserazione che porta a credere nella mancanza di alternative, all’inevitabilità dei compromessi e all’impossibilità delle utopie. Purtroppo l’auspicato “incontro-scontro” di menti diverse non sempre è avvenuto in modo spontaneo e immediato. Spesso, guidati dalle domande dei docenti,

gli alunni esprimevano inizialmente le loro monosillabiche idee con reticenza. Volendo essere ottimista, questa titubanza è stata sicuramente dettata dalla paura di sbagliare o di essere derisi per i propri pensieri. A sostegno di tale affermazione c’è il fatto che, ogni volta che una voce si è espressa “arditamente” per prima, altre dopo di essa hanno preso coraggio animando il dibattito. La riluttanza ad esprimersi è data spesso dall’insicurezza, ma anche dalla mancata abitudine di parlare. Il tipico divario tra generazioni si è sempre più ampliato, fino a sfociare in una vera e propria incomunicabilità. Cosa differenzia questo periodo storico da altri? Il fatto che i ragazzi siano sempre più lasciati soli. Una società consumistica che ha portato i genitori a pensare che ciò che serviva ai figli erano le cose materiali, credendo che dando ai figli quello che non si ha avuto nella propria infanzia li renda più felici. Ma il malcontento non diminuisce, anzi aumenta, e per questo la nuova generazione viene bollata come incontentabile e viziata. E allora il senso di colpa genitoriale, la lacuna percepita viene riempita da altre cose materiali, effimere. In questa fase subentra l’incomunicabilità, il genitore superficialmente chiede il problema. Il figlio, non abituato a questa nuova attenzione (psicologica e non più solo materiale), si rifiuta di rispondere non per rancore nei confronti delle mancate attenzioni, ma perché non ne è in grado.

LEZIONE DI BIOLOGIA … e l’arte diventa veicolo delle scienze

Nel corso del secondo quadrimestre in 4B l’ora di Biologia si è tinta dei colori dell’arte: per esporre le loro ricerche sullo scheletro umano e i muscoli, le allieve Consuelo Bolzan e Sara Properzi hanno realizzato due rappresentazioni grafiche, rispettivamente in Power Point e a mano, così da mostrare le descrizioni non solo su un computer, ma anche in forma “artistica”. Il risultato è stato sorprendente!

Siamo una generazione che è stata disabituata a pensare e a comunicare perché mai le è stato chiesto di farlo. Una generazione già stanca, muta che non sente ciò che le sta attorno. L’importanza, quindi, del “Cinefocus” sta non soltanto nell’aspetto culturale del progetto, ma anche e soprattutto in quello educativo – formativo, nell’aver cercato di spalancare la mente dei ragazzi verso l’esterno, cioè verso il mondo, e verso loro stessi, facendoli scoprire così di avere un pensiero e fornendo un’opportunità di riscatto ad una generazione solo apparentemente vuota. Arianna Rusalen - 5D


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CINEMA

CONOSCIAMO VERAMENTE

Dunne a non conoscere quella che è sua moglie. Viene accusato di uxoricidio dalla detective. Per colpa dei talk show, dopo poche ore l’intera nazione ha gli occhi puntati in Missouri, verso quello che sembrerebbe

un mostro di marito. Nonostante i suoi tradimenti, Nick Dunne continua ad affermare la sua reale innocenza. Per un intero mese l’uomo viene odiato da tutta l’America, viene preso di mira per quello che risulterebbe l’omicidio dell’anno. Ma chi conosce realmente la verità? Chi può dire come siano andate effettivamente le cose? Certamente la moglie non esprime la sua natura di perfetta manipolatrice. Questo capolavoro mediatico, uscito nei grandi schermi il 18 dicembre 2014, nonostante alcuni errori tecnici, è stato paragonato da molti critici ai film di Hitchcock, ovvero ai film di uno dei più grandi registi che siano vissuti. Non giudichiamo mai le persone per come ci appaiono, ma conosciamole veramente. Scopriamo cosa si cela dietro la loro forma apparente, qual è il loro animo ma soprattutto cosa pensano, per poi agire. F. Poletto, C. Biasi - 3D

temente ad esprimersi in pochi minuti di proiezione. Negli ultimi decenni il disegno animato viene molto più utilizzato e il suo valore è molto cresciuto. La tecnica forse più utilizzata oggi è quella dei pupazzi animati: si può pensare a Tim Burton che ha realizzato moltissimi film in questo modo. “Anima” pupazzi o marionette di varia specie, con un lavoro tecnicamente più complesso di quello dei cartoni, in quanto il movimento va realizzato contemporaneamente alla ripresa. Ma il vero inventore fu il russo L. Starewitch (nella foto) che

dal 1911 perfezionò il genere coi suoi film su animali, creando in seguito anche il pupazzo “umano” Fétiche. Il cinema d’animazione ha avuto un grande successo in questi ultimi decenni e le tecniche per realizzarlo si sono molto evolute. Grazie al web e alla televisione, i realizzatori dei cartoni animati hanno avuto grande fama, perciò la produzione di essi si è moltiplicata e perfezionata fino ad arrivare ai giorni nostri in cui realizzare un cartone animato di circa 20 minuti è un vero gioco da ragazzi. A. Lavina, V. Zanato - 3D

LE PERSONE CHE ABBIAMO ACCANTO?

”Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero’’ [Oscar Wilde]

Quante volte ci troviamo in situazioni che non avremmo mai immaginato. Quante volte capiamo di essere circondati da falsità, di vivere una vita basata su menzogne? Un film, L’amore bugiardo- Gone Girl, di

David Fincher, tenta di svelare questo mistero. Nick Dunne si trova da un giorno all’altro catapultato in una vita che nemmeno lui conosce; si trova dopo cinque anni di matrimonio con Amy Elliot

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CINEMA D’ANIMAZIONE? Un gioco da ragazzi! Chi da bambino non ha mai guardato i cartoni animati? O chi non lo fa anche da “grande”? Dovete sapere che il cinema d’animazione nasce ancora prima dell’avvento dei fratelli Lumière e ne ha illustrato i primi passi artistici; veniva utilizzata una complessa macchina che proiettava su un telo, grazie a un gioco di specchi, figure disegnate su un rullo di carta, mentre gli sfondi sui quali si muovevano le immagini venivano creati grazie ad una lanterna magica. La prima proiezione avvenne nel 1892. Ma, dopo l’invenzione di proiettore e macchina da presa, il cinema d’animazione dovette reinventarsi: prima con le animazioni che riguardavano il movimento di oggetti inanimati, e poi con l’ utilizzo del procedimento fotogramma per fotogramma, usato per dare effetti suggestivi ai movimenti di cose

e persone, che approdò ad una forma più moderna di cinema d’animazione. Film di corto o lungo metraggio a disegno animato (detto anche cartone animato) risultano animati per il fenomeno della persistenza delle immagini sulla retina. Il disegno animato è stato sempre considerato, almeno fino a Walt Disney che lo portò sul piano industriale, un prodotto minore rispetto al film con attori. Negli anni Trenta Disney passò dalle brevi pellicole di “Topolino”, al lungometraggio di “Biancaneve e i sette nani” nel 1937 fondando un vero e proprio impero personale. Il disegno animato ha più volte tentato col lungometraggio l’affermazione autonoma, raramente ottenuta a causa degli altissimi costi di produzione. Perciò i migliori artisti del disegno animato continuano prevalen-


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S P O RT

Numero unico

LA SCIENZA A FAVORE DELL’UOMO La tecnologia è fondamentale perché restituisce ciò che una malattia o un incidente ha tolto a un uomo Lo sport è un’attività importante per il benessere dell’individuo, non solo a livello fisico ma anche psicologico, soprattutto in una società come la nostra, stressata da ritmi frenetici. Lo sport è una vera e propria terapia che può curare il corpo e l’anima. E’ in quest’ottica che vanno considerati i giochi paralimpici. I Giochi paralimpici o Paralimpiadi sono l’equivalente dei Giochi olimpici per atleti con disabilità fisiche. Prendono il nome dalla fusione del prefisso “para” con la parola “Olimpiade” e i suoi derivati. La prima edizione si disputò nel 1960 in Italia, mai il medico britannico Ludwig Guttmannn aveva organizzato una competizione sportiva già nel 1948, conosciuta come Giochi di Stoke Mandeville, per i militari della seconda guerra mondiale con danni alla colonna vertebrale; nel 1952 anche atleti olandesi parteciparono ai giochi, dando ad essi un carattere internazionale. Gli ultimi Giochi paralimpici estivi si sono tenuti a Londra (Regno Unito) nel 2012, mentre gli ultimi Giochi paralimpici invernali si sono tenuti a Soci (Russia) nel 2014. Tali giochi sono resi possibili dalla tecnologia avanzata la quale fornisce un supporto fondamentale agli atleti disabili. Il progresso scientifico ha un ruolo sempre più decisivo nello sport per disabili. La tecnologia, fornendo una ricca gamma di protesi, è ciò che

permette ai Giochi paralimpici di essere sempre più competitivi e spettacolari. Il primo prototipo di protesi in metallo risale al lontano 1970 e da allora sono stati fatti enormi passi avanti. La Ottobock (azienda leader nel panorama mondiale della tecnica ortopedica, che assiste tutti gli atleti paralimpici) oggi costruisce protesi cinque volte più forti dell’acciaio ma sensibilmente più leggere. Quelle dei corridori professionisti sono in fibra di carbonio e grafite, i materiali più adatti ad attutire l’impatto col terreno e ad assorbire l’energia da esso derivante, in modo da restituire all’atleta l’energia cinetica generata dalla parte non amputata delle gambe. I prototipi realizzati per le paralimpiadi hanno un costo che parte dai 15mila euro e arriva fino ai 30mila euro. Per esempio l’ultimo gioiello di casa Ottobock (3s80 Sport Knee) si tratta di un rivoluzionario ginocchio artificiale, in grado di replicare in tutto e per tutto le funzioni di un ginocchio normale, così da assecondare i movimenti dell’atleta e adattarsi ad ogni tipo di superficie, non solo alla pista, ma persino alla terra pesante o alla sabbia. Le sedie a rotelle utilizzate dagli atleti sono tutto fuorché banali carrozzine. Quelle utilizzate nell’atletica, o le handbike dei ciclisti, sono costruite in lega di titanio: la loro componente aerodinamica è testata in gallerie del vento, con spinte con-

trarie fino a 50 chilometri orari; questo per garantire all’atleta il massimo della stabilità possibile, oltre che massimizzare l’energia derivante dalla spinta delle braccia e trasformarla in movimento. Pensate per offrire all’atleta la massima velocità ed agilità possibile sono invece le sedie a rotelle utilizzate nel tennis, dotate di due cerchioni più grandi e più rigidi del normale, e di una pedana anteriore per conservare la stabilità. Quelle in uso nel rugby paralimpico, poi, sono vere e proprie sedie a rotelle “corazzate”: costruite in titanio ed alluminio (lo stesso adoperato in aeronautica per gli shuttle) per resistere a contrasti violentissimi (tanto da valere a questo sport il soprannome dimurderball, “palla omicida”). Con speciali accorgimenti e variazioni a seconda dei ruoli: i giocatori con attitudine offensiva siedono su carrozzine con alettoni per sviluppare velocità e paraurti respingenti; quelle destinate ai difensori, invece, hanno delle particolari barre anteriori per ostacolare e bloccare le altre sedie. Tutte, ovviamente, sono dotate di speciali rivestimenti per attutire i colpi

e proteggere gli atleti. Persino la realizzazione dei guanti per la spinta delle carrozzine non è lasciata al caso: adesso vengono realizzati in termoplastica, un materiale che (rispetto alla semplice pelle imbottita) permette di ottimizzare l’energia e ridurre al minimo la dispersione di forza, nonché aiutare i muscoli della mano. La tecnologia è fondamentale anche per gli atleti non vedenti. Il caso più emblematico è quello del calcio, dove viene utilizzato un pallone dotato di uno speciale sensore che emette suoni quando la sfera è in movimento, permettendo ai calciatori di orientarsi. Qualcosa di simile avviene anche nelle specialità di salto, in cui l’atleta riesce ad individuare la pedana grazie ad una serie di segnali acustici. La scienza dunque assiste l’uomo, restituendogli ciò che una malattia o uno sfortunato incidente gli può aver tolto. Quindi la tecnologia ha offerto alle persone con disabilità l’ opportunità di essere come tutti gli altri. G. Zibetti, A. Lucchetta - 3D


Giugno 2015

S P O RT

TORNEO “FAIR PLAY” Nello sport passione ed entusiasmo per la vita Anche quest’anno il nostro liceo ha aderito ai tornei “Fair play”, grazie all’impegno e alla disponibilità dei professori di Educazione fisica prof. Bastanzetti e prof.ssa Liva, che hanno accettato volentieri di rispondere ad alcune domande, sia sulle competizioni, sia sull’educazione fisica a scuola in senso più generale. Questi tornei sono stati svolti da un gran numero di studenti, i professori però sottolineano la scarsa partecipazione agli allenamenti pomeridiani, che avevano come scopo quello di preparare le squadre (o i

componente più “talentuosa” è quella femminile, ma sostengono che anche i ragazzi hanno avuto successo; quindi ci congratuliamo con tutti coloro che hanno partecipato a queste attività! Gli insegnanti ammettono di non avere delle aspettative concrete per le sfide sportive che, sperano, si terranno anche i prossimi anni; nutrono comunque la speranza che si continuino ad avere prestazioni sempre migliori e maggiore voglia e motivazione da parte degli studenti. Il prof. Bastanzetti affer-

singoli studenti partecipanti) ad una adeguata prestazione sportiva. Alla fine, però, è stata mostrata una partecipazione significativa da parte degli studenti di questa scuola, tuttavia è mancata una sufficiente diffusione di informazione. La professoressa Liva sostiene che gli studenti del Munari abbiano tenuto un atteggiamento corretto in tutte le gare, anche se a volte con una scarsa grinta e poco interesse per il raggiungimento della vittoria, insomma hanno un po’ “gettato la spugna”. Il professor Bastanzetti aggiunge che le scuole non sono sempre favorite in quanto non ricevono interesse da parte degli studenti e spesso non presentano delle strutture adeguate per un buono svolgimento delle lezioni di Motoria. Entrambi i professori sono d’accordo nel dire che la

ma che questa è stata un’occasione per mettere a confronto gli studenti partecipanti che a volte presentano poca autostima, infatti queste attività hanno anche lo scopo di migliorare la percezione che l’allievo - atleta ha di sé in quanto tale. Dopo aver introdotto ciò che riguarda i tornei sportivi, ecco riportato di seguito quello che i professori pensano delle lezioni di Educazione fisica. Chi non ha mai pensato ad un modo diverso di fare lezione di Educazione fisica? Cosa spinge delle persone a diventare professore di ginnastica? I nostri professori hanno risposto anche questa volta con entusiasmo. La professoressa Liva ha esposto il suo ideale di lezione, dicendo che non modificherebbe nulla rispetto a quanto già fa. Ha poi osservato che servirebbe

uno spazio più ampio (esigenza rimarcata molte volte anche dal professor Bastanzetti) dove svolgere le lezioni e senza avere un sovrannumero di studenti in metà palestra, o doverla condividere con altri studenti. Viene aggiunto dalla professoressa poi che l’abbigliamento dovrebbe essere più adeguato alla lezione di ginnastica, in quanto molti ragazzi si presentano con scarpe poco pratiche per le attività fisiche o addirittura senza nemmeno il cambio necessario per la lezione. Aggiunge inoltre che gli studenti spesso hanno poca motivazione e che è difficile suscitarne una, sottolinea che l’insegnante deve essere un po’ come un “mago” per riuscire a trasmettere l’idea di sport come indispensabile; il professor Bastanzetti ha aggiunto anche che servirebbero più ore di Educazione fisica nell’orario scolastico, affermando che due ore alla settimana sono proprio il minimo. A fine intervista abbiamo chiesto ai professori per quale motivo sono diventati docenti di Educazione fisica. Il professor Bastanzetti, ha spiegato come si diventa insegnante di questa materia. Bisogna frequentare la Facoltà di Scienze Motorie per quattro anni, dopo la quale si può anche svolgere la professione di fisioterapista. Il professore ci ha confessato che ha deciso di diventare docente di Educazione fisica perché aveva un grande interesse per lo sport in generale, oltre che una predisposizione e una passione tramandata dalla famiglia. Il professore afferma inoltre che l’insegnamento significa trasmissione di contenuti e chi, meglio di un appassionato, può trasmetterci l’interesse necessario per affrontare le varie lezioni? Abbiamo chiesto anche alla professoressa Liva quale motivazione l’ha spinta a diventare un’ insegnante di Motoria. Ci ha sorriso e ci ha risposto che le piace tutto ciò che dà piacere alla vita e le trasmetta entusiasmo. A. Cais, E. Dal Borgo, B. Lazzaretti - 3D

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BOXE Uno sport per sviluppare la forza di volontà, anche per donne! Molte persone non sanno che il pugilato femminile ha origini antiche quanto il pugilato maschile, nemmeno io lo sapevo fino a quando non me ne sono interessato. Molti incontri pugilistici femminili, benché entusiasmanti, non sono molto conosciuti come quelli maschili, forse per l’antica visione maschilista dello sport e non si facevano combattere le donne perché si pensava che fosse uno sport troppo violento per il sesso femminile, considerando in particolare che durante il ciclo premestruale le donne diventassero emotivamente instabili, quindi potessero essere un pericolo non solo per loro stesse, ma anche per chi le circondava. In Italia la prima donna tesserata alla Federazione pugilistica italiana è stata Maria Moroni iscrittasi il 21 Luglio 2001, la prima di una lunga serie, infatti, adesso si contano più di cinquecento donne tesserate. Il merito di questo cambiamento fu del ministro Katia Belillo e del titolare del Dicastero della Sanità Umberto Veronesi il quale ottenne una modifica alla legge del 1971 che prevedeva i controlli sanitari solo per i pugili di sesso maschile, escludendo di fatto le donne dalla pratica di questo sport. Solo dopo il Decreto Veronesi, dunque, il pugilato femminile è divenuto uno sport ufficiale anche in Italia. Il pugilato è uno sport che sviluppa la forza di volontà e se non ci si mette del proprio non si arriva da nessuna parte. Da praticante posso confermare che per affrontare un avversario ci vuole molto coraggio, non importa se è più o meno grande di te, ci sarà sempre un modo per affermarsi su di lui e conquistare la vittoria. Marco Tomasella - 3D


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MUSICA

Numero unico

MUSICA CON PASSIONE Un’intervista alla scoperta di nuovi talenti La musica al giorno d’oggi si differenzia in migliaia di generi, e ogni singola persona può trovare quello che preferisce, nel quale si rispecchia, quello che la fa sentire bene, calmare, che le dà energia. Musica che ispira, musica che insegna, musica che trasmette emozioni. Per questo articolo abbiamo cercato nel nostro Istituto i ragazzi che la musica, oltre che ascoltarla, la suonano. Abbiamo trovato un gruppo giovane (nella foto) che suona un genere tutto suo. Ragazzi che buttano nei loro testi emozioni e concetti forti, che a nostro parere vale la pena far conoscere. Così li abbiamo intervistati sui generi che ascoltano, chiedendo loro pareri, impressioni sulla musica commerciale di quest’anno e informazioni sul loro gruppo; abbiamo rilevato una serie di opinioni anticonformiste ed interessanti. Come vi chiamate? Humana Cosa. Il nome è stato estrapolato dal Proemio del De-

cameron di Boccaccio dal nostro chitarrista, dove si legge: “Umana cosa è aver compassione degli afflitti”. E noi siamo degli afflitti. Da quanto tempo suonate assieme? Da più o meno un anno; io (il batterista) e lei (la cantante) suonavamo già assieme in un gruppo precedente che, poi, per varie ragioni abbiamo deciso di sciogliere. Noi due siamo rimasti uniti e abbiamo pensato di formare questo nuovo gruppo, insieme ad alcuni nostri amici che suonavano: uno la chitarra, uno la tastiera e Simone il basso. Che genere di musica ascoltate solitamente? Eros: “Non ascolto un genere di musica, ascolto musica che va dai suoi esordi classici fino al contemporaneo. Prediligo Bach o i Blue Vertigo”. Valentina: “Dirla tutta è lunga; in tanti mi conoscono per la mia fissazione con il Grunge e gli anni ‘90, quindi sono fissata con i Nirvana, i Pearl Jam. Per

quanto riguarda la musica più attuale, ho fatto un periodo in cui vivevo soltanto di Arctic Monkeys e, se vogliamo retrocedere all’infanzia, mio padre mi ha fatta crescere con i Red Hot Chili Peppers che, quindi, hanno influito un sacco come il fatto che lui stesso, mio padre, suonasse e mi portasse con lui alle prove. Simone: “Avrei difficoltà ora a indicare tutti gli artisti perché cerco di ampliare il mio orizzonte musicale il più possibile, anche per imparare tecniche, suoni e stili nuovi. Ultimamente mi sono accostato anche alla musica classica. La musica contemporanea è quella che

apprezzo di meno … se dovessi dire il mio gruppo preferito, direi i Red Hot Chili Peppers. Quindi Simone cosa pensi della musica di quest’anno? A mio parere si è persa la passione di suonare. Bisognerebbe fare una rivoluzione per promuovere nuovamente la passione e l’espressione come principi fondamentali della musica. Ringraziamo gli Humana Cosa per la disponibilità e ci auguriamo di poterli ascoltare presto, magari l’ultimo giorno di scuola! Potrebbe essere l’inizio della rivoluzione! D. De Cal, S. Manzato, R. Marsano - 3D

LA MUSICA, ETERNA COMPAGNA DELL’UOMO “La musica vivrà in eterno. Forse è stupido dirlo, ma quando sono sicuro delle cose, io le dico. La mia musica vivrà per sempre” Bob Marley

La musica è sempre stata compagna dell’uomo fin dall’antichità. Dall’uomo primitivo, immerso nella natura ricca di svariati suoni e ritmi, a quello contemporaneo, padrone di tecnologie, strumentazioni e tecni-

che molto complesse. La musica è un linguaggio universale. Serve per comunicare, esprimersi, divertirsi e dimostrare il proprio talento, ma soprattutto serve a dare benessere. Ad esempio, quando si è particolar-

mente tristi, ma anche felici, insomma, qualsiasi emozione noi sentiamo in un certo momento, ascoltando una canzone troviamo conforto o ci sentiamo parte di essa. A volte ascoltiamo un brano, anche solo per noia. La musica può tranquillizzare, agitare, può renderci tristi, farci venire in mente ricordi, belli o travagliati che siano, ha i suoi lati positivi, ma anche negativi. E’ tutta una questione di punti di vista... e di esperienze. In questi anni, tra i giovani, sono molto apprezzati i generi: Pop, Rock, Rap e …chi più ne ha più ne metta. Mi sono chiesta il perché di questa proliferazione di generi musicali e la risposta mi è sembrata alquanto

palese. Le case discografiche hanno una grande importanza, infatti, sono proprio loro a dare origine e a determinare le mode tra i giovani, i gusti che vengono poi rivisitati in forma musicale. Uno degli argomenti più ambiti e messi in discussione nelle canzoni è la società. Non so spiegarmi il perché: forse si spera in un cambiamento, oppure si cerca di inviare un particolare messaggio per scuotere le persone dall’indifferenza o semplicemente è solo una questione di marketing. Alla fine, comunque, il rapporto che abbiamo con la musica dipende tutto da noi stessi. Daniela Trivunovic - 1G


Giugno 2015

MUSIC, CULTURE AND… GREAT FUN!

MUSICA & MODA

UN’ESTATE IN NERO E BLU Le nuove tendenze della moda Ritorno agli anni ‘70 Le capitali della moda hanno eletto le tendenze moda per la primavera/estate 2015. La parola d’ ordine è ritorno agli anni Settanta. Colori stridenti, teen-ager vestiti da hippie, crop top ispirati alla disco inferno, stampe psichedeliche ispirate alla tappezzeria. La moda anni Settanta conquista tutte le passerelle: ritornano le frange ai vestiti, grande ritorno anche per i pois, spesso riproposti nella triade bianco-blu-rosso, in voga già negli anni Trenta (non per caso Minnie Mouse nasce con

Hi, we’re from England !!. E’ così che si sono presentati i simpatici insegnanti madrelingua alle classi del primo anno del liceo artistico Bruno Munari quando, giovedì 26 febbraio, si sono avventurate nel meraviglioso mondo della musica. Tutti gli alunni, dapprima intimiditi e poi sempre più sicuri, si sono lasciati trasportare dal ritmo che i ragazzi trasmettevano e dall’ entusiasmo dei brani proposti. Sul pentagramma della storia della musica e dei suo interpreti, tra Rock, Folk, Reggae, Hip Hop, Rap… le classi hanno scalato il rigo del FA con gli anni Duemila ed esplorato l’abisso del DO con gli anni Sessanta e giù, fino ai grandi anni Cinquanta. Tutti gli studenti l’hanno reputata un’esperienza stimolante e istruttiva, oltre che divertente e non esiterebbero a ripeterla in futuro. E aspettando che questo avvenga, salutiamo il gruppo con un bel: ‘See you soon! :)’ Classe 1E

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la gonnellina a pois). Molto di tendenza il total black: Givenchy ripropone il pantalone di pelle nera e Christian Dior il soprabito ampio. Può essere utilizzato in quasi tutte le occasioni e armonizza con qualunque altro colore dello spettro cromatico. Prezioso, trasgressivo, sofisticato e audace: in una parola, nero. 50 sfumature di blu per lui La settimana della moda di Milano e la fashion week maschile di Parigi hanno decretato il colore per l’estate 2015: sarà

il blu, in 50 (e più) sfumature. Gli uomini avranno a disposizione tanti toni dello stesso colore: blu mare, blu nero, blu navy, blu pavone, blu petrolio, blu fiordaliso, blu opaline, blu Klein e blu Chagall. Le possibilità sono così numerose da aver addirittura finito i nomi per descriverle tutte (molte Maison dichiarano apertamente di non sapere più come chiamarle).Il segreto? Mischiarle tra loro come non si era mai fatto prima. C. Riccardo, A. Da Ros - 3D


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MODA

Numero unico

SE VUOI CAMBIARE, COMINCIA DAI CAPELLI! Ispirandoti alle acconciature del Novecento

Se vuoi cambiare, comincia dai capelli! Ispirandoti alle acconciature del Novecento. Quando una donna sente l’esigenza di cambiare, cambiare lavoro, cambiare vita, cambiare un aspetto del proprio essere, inizia sempre dai capelli. Non è detto che alla base di una decisione del genere ci sia sempre una brutta esperienza, come una rottura sentimentale o la perdita di qualcosa o qualcuno; con questo gesto si taglia col passato per affacciarsi al futuro,

si chiude un capitolo doloroso della propria vita oppure si manifesta il desiderio di diventare più indipendente. Così, per esempio, negli anni ’90 la vera novità fu il taglio alla maschietta, che indicò il bisogno di un cambiamento morale e comportamentale. Va poi considerato che nel corso del Novecento le acconciature femminili variano anche in base ai progressi della scienza e della tecnica che permettono l’uso di sostanze e strumenti nuovi.

Se la permanente permetteva di arricciare e “gonfiare” l’acconciatura a proprio piacimento, la tintura e le meches resero possibile il cambiamento di colore. Quello passato è stato un secolo di tagli di capelli e acconciature sempre diversi, di lunghezze variabili, stili netti e colori molto decisi. L’ondulazione era molto usata all’inizio del ‘900, quando i capelli delle donne erano lunghi, e le acconciature erano rigorose, inventando anche il primo metodo di ondula-

zione permanente. Dopo la prima guerra mondiale, alla vigilia dell’emancipazione femminile, le donne decidono di riprendere il controllo dei propri capelli, scegliendo un’acconciatura meno rigorosa e decisamente più corta. Il taglio che va per la maggiore è il “Bob”, una sorta di caschetto corto, in cui i capelli non superano i lobi delle orecchie, rivisto anche, con onde morbide o rigide. Tra gli anni ’20 e gli anni ’30, i capelli sono corti e ondulati o lisci, dal taglio netto, le acconciature si arricchiscono di accessori preziosi, diademi e cappellini. Negli anni ’40, i capelli tendono di nuovo ad allungarsi e ad arricchirsi di onde morbide e volumi più corposi. Acconciature sempre più femminili e sensuali, che si confermano anche negli anni successivi, dalle pin up a Marylin Monroe. Dagli anni ’60 agli anni ’70 i capelli si allungano, le chiome si sciolgono e, come detta la tendenza hippy, si arricchiscono di elementi colorati. Si dà il via alle acconciature improvvisate, con capelli lunghi e righe in mezzo, ma quelle con i capelli ricci, Continua in ultima pagina 

NON LASCIAMOCI TRAVOLGERE DALLA MODA Un invito dalle Operette Morali di Leopardi Ogni epoca storica è caratterizzata da stili e mode che interessano diversi ambiti della vita, dall’architettura ai luoghi di vacanza, dall’abbigliamento alle fogge delle acconciature. Si segue una moda per farsi notare, distinguersi dalla massa ed essere ricordati. L’idea di lasciare una propria impronta nel mondo, magari lanciando una moda, per alcuni può essere un obiettivo attraverso cui potersi realizzare. Altri, invece, rincorrono le mode per essere accettati in un gruppo, per omologarsi alla folla, rischiando così di compromettere l’autenticità del proprio modo di essere e

di pensare …e, nel seguire la massa, il primo passo è proprio l’abbigliamento. D’altro canto, un cambio della moda può dare inizio a mutamenti profondi in quanto essa si presenta come un fenomeno imitativo di natura propriamente sociale, motore del divenire o della trasformazione e come tale essenzialmente diverso dall’usanza o dalla consuetudine. Può dunque avere un potere immenso, soprattutto nella società di oggi che tende a fermarsi solo alle apparenze e a non ricercare sempre il valore reale di una persona o di un oggetto.

La moda, come emerge dal Dialogo della Moda e della Morte, una delle Operette morali di Leopardi, può rendere immortali, ma può anche persuadere o costringere a sopportare fatiche e disagi, dolori e strazi. Pur di apparire come gli altri ci vorrebbero (o almeno così crediamo), ci arrechiamo danni a volte irreparabili; ne sono un esempio molte ragazze che diventano anoressiche o abusano di farmaci per dimagrire. La moda, sempre più fenomeno “cosmico”, vera e propria potenza metafisica in tutto simile alla morte e, in quanto tale, senza tempo, può essere uno

strumento grandioso di civilizzazione, ma attenzione perché può rivelarsi il peggiore dei nostri nemici! Martina Vigni - 1D


Giugno 2015

Orizzontali 1. Luoghi in cui risiede la rappresentanza diplomatica 10. Chiavetta per computer 13. Idrogeno e ossigeno 14. Imperatore latino 15. Governa la città del Vaticano 18. Dimora isolata 20. Materiale per candele 21. Ruolo inglese 22. Raggi ics in due lettere 23. Società in Accomandita Semplice 25. I confini delle Americhe 26. General Router Management Protocol 28. Gioco a pronostici con schedina 30. Gineceo 32. Pubblicazioni periodiche simili a Charlie Hebdo 37. Conflitto, conclusosi il 23 giugno 1918, che portò alla vittoria dell’Italia 38. La religione di Maometto 39. International Competi-

RELAX

tion Network 40. Uomini coi capelli tagliati a zero 41. Articolo romanesco 42. Tipo di foresta caratteristica delle regioni fredde 43. Napoli in auto 45. Possono essere scoscese 47. La fine dell’eroe 48. La fine dell’eroe 49. Segue il mi 50. Sire, maestà 52. Quelli degli Apostoli sono attribuiti a san Luca 54. Il paese di nascita 57. Avverbio di luogo 59. Sciocca, poco intelligente 61. Armando, generale italiano durante la Prima Guerra Mondiale 63. Forma d’arte pittorica schietta, quasi primitiva 64. Difetto, neo Verticali 1. L’albero della foglia della bandiera canadese 2.

Karl che scrisse il Manifesto del Partito Comunista 3. Ape americana 4. Provoca difficoltà respiratorie 5. Abiti francescani 6. Dispari in coro 7. Iniziali di Pacino 8. Monte tristemente famoso per il disastro del Vajont 9. Virgilio ne canto le gesta 10. Unione Europea Assicuratori 11. Iniziali della Ferilli 12. Pub dove si consuma una bevanda bionda 13. Canzone dei Beatles 16. Numero perfetto 17. Poesia di Ungaretti 19. Nome della ballerina Titova che ha partecipato a Ballando con le stelle 23. Canzone inglese 24. Elemento chimico che ha come simbolo Si 26. Si dice di motore che si è bloccato 27. Il Führer della

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Germania nazista 28. Veicolo su rotaia 29. Un tipo di salice 30. Leggendaria città sottomarina 31. Cortili rurali 32. È pericoloso se fugge 33. Mammifero marino simile alla foca 34. Gli estremi del sud 35. Associazione Editori Radiotelevisivi 36. Centosei romani 37. Bottiglietta per l’alimentazione dei bambini 42. Sono costruiti da lattonieri edili 44. Uccelli... ladri 46. Sigla di solfuro di platino 48. Moto in centro 51. Prima donna 53. Institute of Medicine 55. Fiume svizzero 56. Pronome dimostrativo 58. Così inizia il 5 maggio 60. È a trentatre giri 61. Giorno 62. Testa d’anatra.


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PUBBLICAZIONI ISTITUTO

CHARLIE HEBDO

 Continua da pagina 3

che alla domanda: “Che pensa del dibattito sulle vignette?” ha risposto: “Mi piacevano le loro vignette? No. Le avrei fatte vedere ai miei figli? No. Ma per questo bastava non comprare il giornale, non esiste che qualcuno debba pagare con la vita” (Da “La Repubblica”). Forse ciò che più è emerso da questo attentato, oltre ovviamente alla tragedia in sé, è appunto la problematica della libertà di espressione e di stampa, che al giorno d’oggi si ripropone più accesa che mai, il cui emblema di solidarietà umana con le vittime è diventato lo slogan “Je Suis Charlie”. Gesti quotidiani come scrivere, disegnare, viaggiare o semplicemente esprimere una propria opinione possono risultare pericolosi per la propria vita. Il mondo d’oggi sta combattendo una dura lotta, una sorta di “terza guerra mondiale” che vede come nemico comune a tutti gli Stati il terrorismo contro la libertà delle idee. Combattere e risolvere il problema, però, non è cosa da poco. Ciò che possiamo fare

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ora è andare avanti a testa alta, come sta accadendo nella nuova sede di Charlie Hebdo, nella quale i “superstiti” della strage si sono riuniti per continuare la pubblicazione del giornale, non in versione ridotta, bensì normale, tradotta oltretutto in numerose lingue, tra cui l’arabo. Hanno voglia di normalità, i sopravvissuti, voglia di ridere e far ridere facendo della satira anche sulle religioni, senza dover aver paura di essere coinvolti in attacchi terroristici, poiché si vive in un Paese laico in cui ci dovrebbe essere libertà, uguaglianza e fraternità. Annalisa Corazza - 5C

LA BELLEZZA...  Continua da pagina 14

arrivo per la ricerca della verità, in quanto entrambi questi momenti si celano in essa: prima riconoscendola in tutti i suoi aspetti sia maestosi che crudeli e, successivamente, dopo aver capito che non necessita di spiegazioni perché è lei che guida il corso del mondo, riconoscerla come suprema forma di Genio. Questa conclusione diventa provocatoria per il fatto che Oscar Wilde come esponente dell’Estetismo dovrebbe essere spinto a rinnegare la realtà, rifugiandosi tra i più diversi

piaceri della vita, invece qui afferma che bisogna partire dall’esterno per arrivare alla bellezza suprema. Tutto ciò perché la realtà che bisogna rinnegare è quella sociale basata sull’industrializzazione, la quale ci allontana dalla ricerca del bello. Oscar Wilde con questo pensiero stimola i lettori anche dopo duecento anni: in cosa, se non nella natura, si può ricercare la bellezza? II modo più diretto e semplice di conoscere il bello sta nello scoprire la natura, la quale non ha mai smesso di stupire. Elena Prosdocimo - 5B

SE VUOI CAMBIARE  Continua da pagina 22

invece, cotonano la prima chioma come all’afro style. Dopo gli hippies, le acconciature diventano voluminose e decisamente poco sobrie in confronto a quelle degli anni ’80 e degli anni ’90, con tagli più sfilati e senza troppi segni particolari come nei primi anni del 2000. Insomma, c’è proprio da perderci la testa! G. Da Frè, M. Toffoli - 3D

Anno 5 - Numero unico

EDITORE: Liceo Artistico Bruno Munari

SEDE: Vittorio Veneto - TV Via Gandhi, 14

Voci libere dal Munari Periodico del Liceo Artistico Bruno Munari

CONTATTI:

telefono 0438551422 fax 0438940130 TVSD1000a@pec.istruzione.it

In allegato a questo numero de LA VIRGOLA trovate il

RESPONSABILI: Annamaria Gazzarin Direzione Redazione Aldo Merlo Art Director e impaginazione

REDAZIONE: Tutti gli studenti della classe 3D con il contributo di Arianna Rusalen 5D, Chiara Vecellio 5A, Dalila Khbizy e Daniela Trivunovic 1G, Martina Vigni 1D

Ringraziamenti: La Redazione ringrazia tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo numero del giornale, inviando articoli e materiale vario.

www.liceoartisticomunari.gov.it Seguite gli eventi sul sito del nostro Liceo!

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