DossierArte 2014

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BIENNALE DI VENEZIA Un dado dalle molte sfaccettature Cosa si intende per ARTE? L’arte è come un dado: ha varie sfaccettature e ogni persona in base alla propria sensibilità e conoscenza l’associa a qualcosa che può essere condivisibile o meno da altri. Visitando la Biennale di Venezia 2013, ognuno di noi ha riconosciuto all’arte un senso ben definito ed individuale. Non a tutti è piaciuta questa esposizione internazionale d’Arte che attrae milioni di persone da tutto il mondo e per questo non bisogna sentirsi mediocri rispetto a chi ne esalta la valenza artistica: si ha semplicemente una concezione diversa di questa espressione. La sede della Biennale è un palazzo storico che rappresenta lo stile tardo gotico veneziano, quasi un’arte nell’arte. Il nostro viaggio artistico è iniziato nel Palazzo Enciclopedico, è continuato all’Arsenale per concludersi ai Giardini dove sono dislocati ben 37 padiglioni tra cui il Padiglione Centrale(ex Padiglione Italia), una struttura versatile, polifunzionale e punto di riferimento per tutti gli altri. Passando la maggior parte della giornata a girovagare nell’arte, sono arrivata alla con-

clusione che ciò da cui sono rimasta estremamente affascinata è stato il Padiglione Israeliano, progettato nel 1952 dall’architetto Zeev Rechter: una struttura architettonica innovativa, suddivisa in tre piani espositivi, legati da un unico percorso logico ideato da Gilad Ratman, che ha voluto creare un vero e proprio Workshop documentando il percorso che gli artisti hanno fatto nel buio, attraverso i sotterranei di Israele, diretti a Venezia. Giunti qui, emergendo dal pavimento del Padiglione, si sono quasi “appropriati” dello spazio e, usando l’argilla portata dal proprio Paese, hanno creato una copia del proprio viso, inserendovi a fine lavoro un microfono in cui emettevano lamenti.

Penso che non si debba giudicare il gusto personale delle persone, soprattutto quello di carattere artistico. Io, ad esempio, ho trovato senza senso molte elaborazioni di questa esposizione, senza bellezza né emozioni, eppure sono lì davanti agli occhi di tutti, magari ideate e realizzate da artisti di fama nazionale. Alcuni ne restano affascinati, altri si pongono mille perché; c’è chi è attratto dalle “cose belle” e chi da ciò che è enigmatico. Non è una questione di limiti o di scarsa cultura, ma di sensibilità personale e di diverse chiavi di lettura della stessa parola ARTE. Federica Ricchiuti


IN GINOCCHIO ALLA BIENNALE D’ARTE Questa è stata la mia prima biennale e, ad essere sincero, non sapevo precisamente cosa aspettarmi, dato che tutte le impressioni e le testimonianze raccolte erano imprecise e non del tutto chiare. Dopo esserci passato attraverso e averla potuta osservare, ne ho capito il motivo: l’impatto è stato forte e in parte disorientante ma non in senso negativo. Le opere, nonostante il percorso in cui erano state inserite fosse semplice, pre-impostato e passasse attraverso l’Arsenale e il Palazzo Enciclopedico per terminare ai padiglioni nei Giardini, erano così varie e stranianti da dover essere per forza analizzate una per una per riuscire a coglierne il significato che, non sempre, era illustrato nelle targhette descrittive. Guardando le opere, si potevano unicamente percepire stimoli visivi: “Ah che bello! Anche questo è bello. Questo mi piace meno.” Il loro vero significato, se non descritto o non leggibile, era difficile o probabilmente impossibile da cogliere in alcuni casi. La libera interpretazione è un’ottima possibilità per stimolare la mente, ma basare la definizione di tutte le opere su supposizioni non è di certo il modo migliore per capire il senso della mostra o ciò che ogni artista voleva realmente comunicare. Una delle opere che mi ha sicuramente colpito di più si trovava nel padiglione russo di Zacharov Vadim dove il mito di Danae veniva rivisto sotto la particolare reinterpretazione dell’artista. La Danae di Zacharov non è una donna meravigliosa come vuole la tradizione iconografica, ma un’installazione ad alta valenza poetica: un buco nel soffitto della stanza principale da cui vengono fatte piovere monete d’oro (finte ovviamente). Nella stanza in cui piovono le monete possono accedere solo le donne le quali, munite da ombrello per proteggersi da questa pioggia dorata, possono raccogliere delle monete e metterle in un secchio che le le riporterà nel punto da cui vengono fatte piovere. Gli uomini non possono accedere alla stanza dell’impluvium aureo perchè si macchiano troppo spesso di peccati contro la vita.

A loro è lasciata la possibilità di assistere alla pioggia di denaro, inginocchiandosi ai bordi del compluvium attraverso cui sono fatte cadere le monete, quasi a voler dire: “Voi uomini per tutta la vita siete stati superiori al vil denaro, ed ora se volete godere dell’effetto sorprendente della pioggia d’oro, potete farlo solo inginocchiandovi.” Michele Augusto

55a BIENNALE D’ARTE DI VENEZIA “VENEZIANI” PAWEL ALTHAMER (Arsenale) “… Finché non arrivai a questo padiglione, nel quale, di fronte a me, si stagliava una squadriglia disorganizzata di figure grigie, scarnificate, dai tratti umani riconoscibili solo nei volti.” ¬ (Dal mio quaderno di viaggio) Questa è “Veneziani”, l’opera proposta alla 55a edizione della Biennale d’Arte di Venezia da Pawel Althamer, artista polacco già affermato nelle scene internazionali. Corpi a metà tra l’alieno e l’umano si muovono in un paradossale “caos armonioso”. Azioni fra le più disparate colgono sfaccettature della vita, più o meno comuni: abbiamo l’abbraccio


fra due amanti e il loro lieve sfiorarsi in un dialogo che non avviene, ma che comunque noi percepiamo, altre figure che impugnano invece i propri strumenti da lavoro; l’azione del pensiero, la preghiera, la stanchezza di un vecchio consunto dal tempo, ma anche quella di chi si adagia su una sedia o di chi si accascia sul pavimento. E molto altro. Vari sono i moti, sia dell’anima che del corpo, attuati da questi manichini semi-umani. Stralci di vita, sia attiva che passiva. Il risultato? Un’ampia gamma di riflessioni. L’impalcatura ossea, sopra la quale, frastagliate, sono talvolta visibili le fasce muscolari, viene ricoperta da bende, che sciolgono e sublimano ulteriormente le figure monocrome. Una moltitudine di corpi grigi, modellati a tratti morbidamente e realisticamente, a tratti

certo dinamismo che sembra non collimare coi manichini bloccati nell’istantaneità delle loro azioni quotidiane. Entrambi alludono ad un concetto di consunzione, di disfacimento. Burri, più esplicito nel suo messaggio (vedi serie “Combustioni”), Althamer più pacato, ma comunque legato a un concetto malinconico e nostalgico, esplicato attraverso l’intensità degli sguardi, spesso tristi, e lo stato dei corpi. Corpi consumati che fanno risaltare maggiormente i calchi dei volti. Althamer, infatti, per rendere partecipi i veneziani, arriva col suo staff nella città lagunare prima dell’inizio dell’esposizione, per realizzare alcuni calchi degli abitanti del posto. Solo un paio vengono selezionati e aggiunti agli altri corpi, per un totale di novanta soggetti. In questo modo

con più essenzialità e forme solo accennate, compongono una situazione che ci immerge in un altro mondo, definito dallo stesso Althamer “paesaggio lunare abitato da alieni”. Ciò è reso possibile grazie all’utilizzo di plastiche industriali trattate chimicamente, attraverso un procedimento che l’artista ha precedentemente appreso dal padre, impegnato in questo settore. La composizione è, dunque, giocata sulla contrapposizione di antico e contemporaneo: all’innovativo utilizzo delle plastiche industriali si affianca quello del calco in gesso, dalla tradizione millenaria. Come già in precedenza era stato fatto da Burri, artista italiano del ‘900, concentrato nell’indagine sulle qualità espressive della materia, Althamer sfrutta le plastiche sciolte, indurite e cristallizzate nel loro colare, dando adito ad un

i personaggi dell’installazione diventano le persone comuni, diventiamo tutti noi. Passando fra i diversi individui che fanno parte di quella collettività grigia e scarnificata, abbiamo l’occasione di poter non solo fruire dell’opera, ma di innestarci in questa, anche fisicamente, di entrare a farne parte. Il messaggio, unico e universale, non c’è; lo stesso autore tiene a precisarlo. I volti definiti potrebbero sottintendere la soggettività della persona e l’unicità della sua anima. I corpi sciolti potrebbero alludere al disfacimento della concretezza, alla caduta del tempio dell’anima in un tempo di crisi; non però, dell’anima stessa, che si eleva sopra le ceneri del corpo e si fa vicaria della Speranza, suggerendo una rinascita. Valentina Fracassi


ALLIEVI SCULTORI Il tema proposto è stato “stilizzazione del corpo umano in movimento”. Partendo dalla ricerca di immagini di corpi umani in movimento, si è studiato il corpo e la forma dei suoi muscoli. Per passaggi successivi geometrizzando, deformando, semplificando, si è ottenuta una nuova forma che, pur per alcuni tratti ricordando la forma di partenza, è completamente frutto della creatività personale e delle conoscenze delle leggi della composizione della forma (come l'equilibrio visivo di forme, di colore, ecc.).

NELL’INDIRIZZO FIGURATIVO SI COPIA LA MODELLA VIVENTE Per la prima volta nella nostra scuola, dall’11 Marzo per un mese, gli alunni della classe 4E (Indirizzo Figurativo) hanno avuto l’opportunità di copiare la modella dal vivo, per confrontarsi ed esplorare, sia nel disegno che nella modellazione in argilla, il corpo umano nudo nelle sue proporzioni, muscoli, pieni e vuoti, chiaroscuri e tonalità della pelle. Nei prossimi anni continueremo quest’esperienza con le future classi dell’indirizzo.


AN ALTERNATIVE LONDON Workshop in 2E: “Recicling London” Un’idea nuova e decisamente originale: conoscere i monumenti di Londra “ricostruendoli” con materiali riciclati. Questo è stato fatto dalla classe 2E, all’interno della quale i ragazzi, dividendosi in gruppi, hanno realizzato una nuova e particolare versione del Parlamento e del Big Ben, dando sfogo alla propria immaginazione e giocando con la fantasia. This project was an innovative way to study the monuments in London. We studied some London’s monuments like: Big Ben, Westminster Abbey, Parliament Square, Buckingham Palace, Piccadilly Circus, Trafalgar Square, Millennium Bridge, Hide Park and others. A week later we divided the class in five groups and we decided a common monument for the project. We chose one of the most important London’s landmark: the Big Ben and the Parliament. Then we created an original version of the monument with recycled material. Every group had to choose a particular material like: paper, plastic bags, screw tops, pieces of clothes, natural materials, buttons, sequin and stick them with a strong glue.We used our fancy and imagination to do them, and at the end every picture resulted very colourful and particular. It was a funny and ecologic experience. Erica Pani, Arianna Perna


LA FORMA DELLA PAROLA Sperimentazioni verbo – visuali dalla Sezione Grafica A partire dagli anni Cinquanta, si sviluppa nel contesto delle Neoavanguardie la corrente artistica della poesia visiva, nella quale la scrittura prende vita esprimendosi attraverso l’unione con il suo spessore iconico in una ricerca che diventa “gesto poetico”, il quale si caratterizza per la simultaneità tra l’aspetto fonetico e quello iconico del segno.

Mattia Meneghetti

Erica Antoniazzi

Andrea D’Arsiè

Andrea D’Arsiè


LA MANO NELL’ARTE Versatilità, capacità e sensibilità dell’essere Le immagini qui proposte riguardano alcune esperienze didattiche che si sono svolte nella Sezione di Pittura e Decorazione Pittorica all’interno del Corso Michelangelo dell’ISA Munari. Questi elaborati evidenziano innanzitutto la vastità ed allo stesso tempo la bellezza dell’ambito disciplinare: da un lato esperienze didattiche di Progettazione nelle quali gli allievi sono chiamati a dimostrare capacità nell’elaborazione di idee raggiungendo risultati del tutto originali sul piano formale e compositivo (il che significa arrivare a soluzioni estetiche del tutto personali); dall’altro, percorsi effettuati nelle esperienze di Laboratorio dove le esercitazioni possono prendere a modello opere più o meno note, o analizzarne le soluzioni più varie e profonde sul piano tecnico e materiale. Questi lavori dei ragazzi possono quindi facilmente esser intesi all’interno di ambiti diversi della ricerca: alcuni fanno riferimento a realizzazioni pittoriche a carattere decorativo

eseguiti per Enti Pubblici o Privati in spazi esterni o interni, sostanzialmente lavori su commissione che nascono da un tema assegnato per un determinato contesto, richieste alle quali le classi rispondono con una progettazione attenta ed efficace sia sotto il profilo tecnico/metodologico, sia sotto l’aspetto espressivo. Questi elaborati documentano esperienze anche particolari dove i nostri allievi sono stati chiamati a collaborare con alunni di altre scuole di grado inferiore, per offrire loro un coordinamento generale ai lavori e garantirgli il raggiungimento di adeguate soluzioni sul piano creativo. È il caso del murales realizzato dalla Sezione di Pittura in collaborazione con i bambini dell’Asilo di Scomigo, una circostanza che ha visto i ragazzi dell’Isa impegnati nella realizzazione di un disegno eseguito appunto da un bimbo, disegno che è stato sviluppato in dimensioni giganti dagli allievi del Munari che lo hanno poi riportato e dipinto sulla facciata dell’Asilo. L’esperienza ha comportato che diverse lezioni di pittura si svolgessero in cantiere, all’aperto, condizione che permette ogni tanto agli studenti di completare tutta la loro esperienza artistica: eseguire il riporto dell’opera, operare una selezione dei colori da preparare poi nella giusta diluizione e quantità, organizzare strumenti e materiali sul posto, infine, dipingere rispettando il progetto e stando dentro i tempi previsti. Un’altra esperienza di natura progettuale è rappresentata da un’attività realizzata dalla Sezione di Pittura per una scenografia: un fondale per la serata di premiazione di una esibizione di pattinaggio artistico avvenuta a Sedico. Altri lavori danno invece l’idea di elaborati grafici o pittorici che si caratterizzano per la loro tecnica (affresco, tempera, olio, acquerello, acrilico, …), oppure manifestano interessi per linguaggi narrativi come il fumetto e l’illustrazione, o, ancora, esibiscono abilità nella ricerca stilistica e nella sperimentazione delle diverse possibilità estetiche alle quali conducono, ad esempio, le esperienze dell’astrattismo nelle più recenti vicende dell’arte moderna o contemporanea, comprese le avanguardie storiche, le neoavanguardie e tutte le correnti successive che si sono sviluppate fino ai nostri giorni. Interessante a questo proposito può risultare l’elaborato “campi” di Arianna Gobbi che ha vinto il primo premio nazionale “Un mondo a colori” lo scorso dicembre, un’opera che


L’IMPOSSIBILE

DIVENTA POSSIBILE! Al VittorioVenetoFilmFestival 2014

esprime la capacità di saper utilizzare tecniche e linguaggi in termini personali ma, allo stesso tempo, significativi di una profonda acquisizione dei codici espressivi della pittura. “ …il disegno, la pittura e la scultura, correttamente concepiti, pongono problemi cognitivi degni di un buon cervello e esigono la stessa precisione che occorre per risolvere un problema matematico o scientifico.” (Rudolf Arnheim) Paolo Geminiani

Anche quest’anno la classe 4B ha partecipato alla V edizione del VittorioVenetoFilmFestival ovvero un festival creato per far conoscere ai ragazzi una nuova forma emergente d’arte, il cinema. L’edizione di quest’anno è stata dedicata a Marcello Mastroianni per festeggiare i suoi 90 anni (l’attore, nato nel 1929, è mancato nel 1996) e per ricordare la sua importanza a livello internazionale nel mondo del cinema. Precedentemente una commissione scientifica, composta da esperti di cinema e comunicazione, aveva scelto, tra le decine di film che sono stati iscritti al concorso dalle case di produzione, dodici lungometraggi che sono stati presentati a noi giovani partecipanti, alla Giuria di Qualità e al pubblico esterno che ha assistito alle proiezioni serali. I ragazzi sono stati divisi in cinque fasce in base all’età, quindi cinque diverse giurie a ciascuna delle quali sono stati presentati tre film, diversi sia nelle tematiche che nei linguaggi, ma tutti riconducibili ad un tema comune: l’IMPOSSIBILE. L’impossibile che diventa possibile attraverso la voglia di credere nelle proprie potenzialità, capacità e nei propri sogni. La Giuria di Qualità era formata da un gruppo di persone che lavorano nell’ambito del cinema e delle comunicazione, le quali hanno assegnato il premio “400colpi” del vvfilmf al film che tra i dodici è spiccato per l’eccellenza. I giurati sono stati scelti dalla direttrice Elisa Marchesini per le competenze e conoscenze specialistiche necessarie alla valutazione dei lungometraggi. Questi erano: Carlo Brancaleoni (dirigente produzione film di esordio e sperimentali), Silvia D’Amico (produttore cinematografico), Maria Teresa De Gregorio (direttore del dipartimento cultura della regione Veneto), Francesca Di Giamberardino (art director e post produzione), Dina D’Isa (giornalista e critico cinematografico), Elisa Fuksas (regista), Lucrezia Guidone (attrice), Cristiana Merli (produttore di rai radio2), Romano Milani (giornalista cinematografico), Cristiana Sparvoli (redattore giornalistico), Marco Testoni (compositore e musicista), Fabio Troiano (attore), Antonio


Urrata (direttore generale fondazione ente dello spettacolo). Nei quattro giorni in cui abbiamo partecipato al festival, la mattina ci recavamo al cinema Verdi di Vittorio Veneto per assistere alla proiezione dei film. Seguiva poi il dibattito riguardante tematiche, opinioni, chiarimenti e curiosità sul lungometraggio. Ci siamo confrontati direttamente con chi ha lavorato per realizzare i film: attori, registi, sceneggiatori.... Nel pomeriggio il festival si spostava al Teatro Da Ponte a Serravalle dove noi ragazzi abbiamo incontrato molti ospiti i quali, dopo essersi presentati ed aver parlato della loro carriera, rispondevano alle nostre domande sul loro ruolo nel cinema. Abbiamo incontrato: Barbara Mastroianni (figlia di Marcello) Elena Cotta (attrice), Carolina Crescentini (attrice), Gioia Magrini (regista), Roberto Meddi (direttore della fotografia), Marco Risi (regista), Vittorio Storaro (direttore della fotografia), Marco Bigiarini (digital artist), Gianni Galli (press agent), Francesca Rettondini (attrice), Eleonora Sergio (attrice), Saviano Zaba (conduttore radiofonico), Mariapia Timo (comica), Omar Fantini (comico), e i membri del la Giuria di Qualità. L’evento si è concluso sabato 12 aprile con il galà di premiazione del film vincitore. Elena Prosdocimo

UN PUNTO DI VISTA SULL’EVENTO «Il Vittorio Veneto Film Festival è nato per creare un grande Festival del Cinema per ragazzi che unisca ingegno e cultura e per proporre laboratori dedicati allo studio delle nuove forme d’espressione artistica». Questa definizione a noi ragazzi della 4B, che abbiamo partecipato per il secondo anno consecutivo al Festival, è apparsa quasi insufficiente per descrivere tale straordinario evento. Ragionando sull’esperienza appena vissuta, infatti, è risultato che il VittorioVenetoFilmFestival non è soltanto un momento di formazione ed educazione degli studenti, ma un’attività viva e coinvolgente che permette di riflettere su varie tematiche esistenziali. Dai dibattiti, seguiti alle proiezioni, sono emersi molteplici punti di vista che hanno portato a comprendere approfonditamente la trama e il messaggio delle opere in gara e ad interpretarle criticamente. Inoltre abbiamo capito che gli incontri con autori, registi, musicisti e attori preparano gli studenti al mondo del lavoro e li rendono maggiormente consapevoli riguardo alle possibilità professionali che possono loro presentarsi dopo gli anni dell’istruzione scolastica. Ascoltando e confrontandosi con diversi interlocutori


MEMORIES OF NETHERLAND

c’è stata anche l’opportunità di notare gli atteggiamenti e le opinioni degli stessi, che potevano rivelarsi, nonostante la loro notorietà, umili e condivisibili oppure esagerati e noiosi. Particolarmente interessante la riflessione finale sul significato dell’espressione: «Siamo tutti artisti» detta da un ospite. Ci ha lasciati un po’perplessi perché, secondo noi, anche se potenzialmente ciascuno può esserlo, lo si diventa solo dopo anni di lavoro, di apprendimento e applicazione delle tecniche; a nostro parere non basta avere l’ispirazione, bisogna anche saperla comunicare, renderla fruibile agli altri, tradurla in una forma significativa. La partecipazione a quest’evento è stata, quindi, positiva perché ha consentito di prender parte a un’esperienza che permette di approfondire le proprie conoscenze, confrontarsi, analizzare varie situazioni, condividere valori, insomma CRESCERE. Antonella De March

Here I’ve really breathed the Lightness. A Lightness which is hide in everything: In the speed running of the bikes, in the small garden in which we spent our evenings or in a drawing lesson at the park. Light are the houses and the people with their smiles and light is also the school, that seems more like factory or a laboratory than a school in which the mind can work without rules. It was strange to see the art also coupled to the buildings and strange traffic lights are those that just will not let you cross the road! In the Netherlands the skies resemble those of Turner, the fields are paintings of Mondrian but with elegant, impressive and artificial white “flowers”. Lightness even in the landscape, which is transformed into an angry force on the nocturne beach of the North Sea. Here only the Imagination has the power. Here there is Art in Everyone and in Everything. Sharon Colli


RICORDI D’OLANDA E FRAMMENTI ROMANI Il viaggio d’istruzione diventa occasione di esperienza poetica Opere inedite degli allievi di 4A e 4B

Il respiro di Amsterdam Quel grigiore leggero, quell’atmosfera dimenticata, quel segreto ricordo di casa propria. Un suono si muove. Mille biciclette investono il mattino, travestono i ponti intiepiditi di luce. E’il primo respiro di Amsterdam. Un quieto ticchettio, un alito musicale. Passano ore, scorrono ruote, si snodano catene. La città vive, canta la sua anima, drin drin. Valentina Pagotto, Guglielmo Turbian Mohamede El Ouajjajy

Famiglie olandesi L’umiltà si fa padrona la gentilezza riscalda il cuore e la disponibilità colora di sicurezza. L’energia e l’amore abbondano in quelle vite pronte per collaborare e sollevare gli animi in difficoltà. La leggerezza di una vita amata si offre accogliente e famigliare a dissolvere una nuvola di aria impaurita. Marta Dei Tos, Klea Shahini, Calvin Geronimo

Frammenti romani Tonalità d’antico, dentro un eco infinito di un vecchio respiro. Restiamo soli, aggrappati ai pallidi marmi che fanno ombra al cielo emozioni di carta che volano alte oltre un desiderio infinito che si è fatto città scalinate rosa tintinnano sotto i tacchi di mille cenerentole, al plauso della storia fioriscono segreti denudati occhi di bambini in piazza sigarette senza fine sul selciato tutto prende forma nell’attimo in cui la pietra diventa città; per sempre eterna tenuta insieme dal palpitare delle acque che tagliano il volto come l’ombra sul tuo viso una donna Roma la più bella di tutte ma la più sola. Alice Piccin, Elisa Pizzin, Elena Prosdocimo


Cinecittà

Fontane romane Dissetati dell’energia del popolo tuo, o Roma nell’immensità delle tue secrete vie odi lamenti, sospiri e lacrime di quella nostalgica gioia ardere nella sera vedo fra tutte in Roma la fontana fascino che fugge il tempo tra le tue limpide braccia s’annega il mio cuore e il fuoco, e l’ardor e il bruciar delle tue acque risveglia i miei spiriti sopiti nella quiete tempesta della tua meraviglia Giada Barbon, Diana Bernardi, Nicole Chiaradia, Lara Varaschin

Lei E una stanca luce l’avvolse, debole ma serena come l’acqua scende dalla roccia leggiadra, come un petalo si culla nel vento; cade un’orchestra di suoni si confondono tra i rumori della folla e segretamente scatena l’animo di chi la guarda; mortali voci mormorano tra le vie della città eterna, una stella le oscura nell’ultimo fremito della sua bellezza.

Rita Spinazzè, Giulia Dal Vecchio, Roberta De Min, Alessia Balliana

Vuote illusioni, deterioramento di costruzioni, scricchiolii, boati lievi che irrompono nel silenzio delle immobili azioni. Appare vivibile l’ambiente ma nessuno varca la soglia della finzione prorompente e le grandi città in spazi ristretti sono riassunte. Le pareti trasudano passato l’invisibile diventa visibile perché dalla mente inventato. Tutto riposa in un sonno forte, non vita, soltanto morte. Alessia Posocco, Giampietro Dal Cin, Valentina Papanikolaou, Antonella De March


EVOCAZIONI Disegnando Sei tu che nel non mostrare chi sei lasci a chi non è esser vόlto Carichiamo con linee sottili il vuoto che in noi si riflette. E cominciamo ad esser tutt’uno Cresciamo uniti in linee ed ombre, esaltano forse più loro che noi umili servi di un’emozione a venire In lungo abito nero ed eleganti motivi spegni la rabbia che non vedo Sei tu immagine

Fori imperiali Oh fermo sasso, che’l dì tutta scruti la scatenata gente, fulcro sei tu del tempo fuggente di avi muti voce narrante i principi e le virtù Oh pietra, che emblema di gloria fosti ora macigno di valore estinto, se tutti a lodarti son ben disposti ignavia si cela in lor parlar finto. Oh lode italica! Perpetua forza. Se il tuo esistere volge a sera quanto ancora subirai la sferza? A chi ti ignora concedi perdono poichè di fronte a tanta indifferenza flutti di sangue e inchiostro scompaiono. Mattia Pizzaia, Eros Basei, Matteo Da Frè

Tonon Riccardo

Farfalla Gaia allegrezza teco giovine brezza pari. Oh Hermes de li elisi! Lieta svolazzi errando Ove ivi il fiore schivi; Osi, ti posi, riposi; ‘sì vai pascolando Giorni tuoi giulivi. Retti sti dì avari? Nom tuo ti fa eco. Matteo Da Frè


SI PUO’FARE POESIA ANCHE TRA I BANCHI DI SCUOLA Versi scelti dal “Quaderno delle figure retoriche” della classe 2E La primavera Non era baccano, era musica soave. Non era solo colore, era un’esplosione di verde.

Non era pioggia, era un polverio luminoso. Non erano foglie svolazzanti, era una nube di farfalle danzanti. Non era un sogno, era primavera.

La pioggia

Sara Bedin

Il sabato sera Una strada, un’auto, una sera di felicità, ma una luce si avvicinò e improvvisamente rumore, energia, vivacità in tragedia si trasformò Elisa Moretti

Piove; arde il fuoco, l’anima si riscalda; apro un vecchio libro, le pagine emanano passato; la quiete mi abbraccia, nelle sue grandi braccia mi tiene; un alito di vento gelido apre la finestra, sul muro sbatte il legno; piccoli battiti si odono là fuori, cadono specchi bagnati; il presente sembra essersi fermato, piove. Arianna Perna

Il comodino Ho riaperto il cassetto del comodino di legno rugoso ricoperto di polvere ed ho riconosciuto l’aspro rumore scricchiolante. Sbircio rovisto ritrovo tutti quei sogni un tempo urlanti a giacere spenti. Guendalina Gatto


LA MIA FRONTIERA Estratto di testi in commento ad un saggio di Claudio Magris da “Infinito viaggiare” Le frontiere non sono solo linee, barriere che ci dividono da un determinato luogo. Sono “politiche, linguistiche, sociali, culturali, psicologiche”, spesso invisibili; sono barriere interne all’uomo, alla sua mente, perché non è, di per sé, la linea di confine su di una cartina geografica a spaventarci, ma il popolo stesso, il non-sapere cosa sta dietro al confine che creiamo noi. E così, il più delle volte, l’uomo costruisce una frontiera molto più incisiva e solida nella sua mente. Mi è capitato diverse volte di sentire persone lamentarsi del luogo in cui vivevano. Si lamentavano continuamente. Allo stesso tempo però, discriminavano i luoghi estranei al loro, si riempivano la testa di pregiudizi su interi popoli e luoghi mai neanche visti. Erano tutte giustificazioni portate a loro stessi. La realtà è che molto spesso queste persone hanno la paura dentro, la paura che magari qualcosa al di fuori di ciò che conoscono possa distruggere ogni loro convinzione. Ma è proprio questo che deve accadere. Anzi, non bisognerebbe mai partire con le proprie “verità”, soprattutto se riferite a qualcosa che non conosciamo proprio, in quanto non ne abbiamo avuto l’esperienza. Viaggiare dev’essere il modo giusto per pensare davvero alle cose, alle persone, alle situazioni. Un viaggio dev’essere affrontato a mente libera: dimentica le tue origini, dimentica ciò che hai sempre saputo, quello a cui hai sempre creduto, solo per un po’.

Riparti da zero e lasciati invadere e pervadere da atmosfere convenzionalmente diverse ma che nutrono il tuo animo. Viaggiare è ricominciare ogni volta un’esperienza con se stessi e il Mondo. Tornare a casa è ordinare ciò che si è, e se necessario, farlo ogni volta. […] Un uomo che sa amare il mondo per quello che è, ama perché scopre, perché è in continuo movimento sia fisico che mentale, perché dedicarsi e legarsi per lungo tempo ad un proprio pensiero o sentimento, spesso causa dolore. Così lui assimila come delle scosse vitali dal mondo, scosse momentanee che lo tengono in vita. È affamato di mondo. Irene Ambrogi


Sono frontiere non solo fisiche, ma anche politiche, linguistiche, sociali, culturali e psicologiche quelle che l’uomo valica quando parte alla volta di un viaggio. Frontiere che sono amabili all’uomo proprio per la loro caducità. Frontiere vive, quasi palpabili, che sembrano respirare. Frontiere labili, frontiere periture. Come l’uomo che le attraversa. È una sorta di PANTA REI quella che governa l’idea di frontiera. Infatti, è una frontiera sempre in movimento, che oggi c’è, ed è così, e domani... Chi lo sa! [...] Il viaggio amplifica i sensi, e ci fa rivolgere al mondo, a noi noto e ignoto, con curiosità. Spiccata ed estrema. Il vero viaggio, però, parte da dentro. Solo se lo si vive con l’anima diventa costruttivo: fare i turisti per la maggior parte del tempo ha ben poco a che fare col viaggio. Vero viaggio. Bisogna mettersi a girare su e giù per un ponte, mescolandosi alle persone che vi transitano e andando da una riva all’altra fino a non sapere più bene da quale parte o in quale Paese si sia [...]. Bisogna liberarsi dai pregiudizi, bagagli inutili e specialmente pesanti che rischiano di farci pagare all’aeroporto una sovrattassa d’ignoranza, e mischiarsi con le altrui culture fino a non capire da quale riva o in quale Paese si sia. Solo dopo avere fatto questo si è in grado di riscoprire la propria persona, nelle sue radici e nelle sue nuove esperienze, e concepire il mondo per quella meraviglia continua che esso è. Valentina Fracassi

Il viaggio è un invito a oltrepassare ogni frontiera palpabile o astratta che sia, superarle ma anche sentire e afferrare ciò che esse danno; respirarle e piegarle, farne uso a proprio piacimento, talvolta correndo, talvolta trascinandosi attraverso di esse. Viaggiare, non come inanimati, solamente traslati, ma come individui che si “appropriano” dei confini e che possono “essere sempre pure dall’altra parte”; il viaggio sta dunque in questa mescolanza di idee, culture, colori e respiri che porta a ritrovare la “benevolenza per se stessi e il piacere del mondo”. Un mondo che torna ad essere veramente Umano. Un ritorno ad un roussoniano “Amore per se stessi” in cui l’individuo si ama e brama la comunione armonica con il Tutto. È dunque questo l’Infinito Viaggiare: una perpetua ricerca di sé. Un viaggio che deve partire dalla mente e una mente che deve essere priva di confini, mentre leggera e duttile, in grado di farsi modellare e contaminare dal Nuovo. Un viaggiare eterno e inesorabile come la curiosità del pellegrino scalzo che mangia la strada e la vive; e nel viaggio cercare, cercare un’emozione, respirarla a pieni polmoni e formare l’impulso in idea. Forse è così che dovremmo essere tutti, un po’Alfieri e un po’Kerouac: sempre con l’Anima in fiamme e andar cercando paglia e non acqua. Sharon Colli


VIVI, DISEGNA... SCRIVI Viaggio interiore tra sogni e segni Della serie: anche gli insegnanti scrivono!

Primo senso E invece io uso la lingua. L’ho sempre fatto. Non la lingua delle parole: la lingua delle papille gustative. Quella che ha conosciuto il latte materno e il Bactrin frantumato nel cucchiaio con lo zucchero ma l’amaro lo sentivi lo stesso. Quella che mi ha aiutato a ingoiare tutto. Che muscolo, la lingua! Un giorno mi è apparsa un’immagine e “chiero-io” era una cuccia di cane. Fuori. Nel cortile. L’estraneo. Lo straniero. Quello che era rosso mentre gli altri erano tutti verdi. Rosso. Non c’è colpa ad essere rosso, adesso lo so. Ma nella cuccia del cane, mica lo sapevo. E non so nemmeno se ero il cane o la cuccia o il fuori. Ma che ero rossa, sì. Che ero fuori, sì. C’era il fumo delle braciole, di fianco alla cuccia. E anche i cani lo riconoscono. E’il fumo della domenica, che arriva insieme con le campane di mezzogiorno. Oggi si fa festa. A me arriverà l’osso. E’buono, l’osso.

La mano nascosta

Martedì 25 febbraio gli insegnanti del Munari, assieme a colleghi di altre scuole, hanno partecipato ad un’attività di scrittura creativa tenuta da Nino Ferrara, scrittore e illustratore di Novara. In pochi minuti e con precisi vincoli, hanno improvvisato un breve testo, tentando di dar voce alla propria anima. Ecco qualche risultato.

Guardavo davanti a me con quello sguardo straniero di chi sa dove si trova, ma non sa dov’è. Straniero a se stesso; diverso da come gli altri lo vedono, lo immaginano, lo vogliono. La gioia era lontana, come la corrente da uno stagno; il fuoco sopito sotto nuvole di abitudine, di assuefazione. Immaginavo quella mano nascosta, che ancora non vedevo: ci speravo senza entusiasmo, come di pietra.

Infanzia Tentoni “Tentoni, in cerca di una striscia di luce, di un raggio solitario - o di un pallido filo di fuoco - riesco ad afferrare un barlume di verità. Talvolta il passato, la paura sono pietre che colpiscono quella mano, ma il coraggio e la voglia di toccare leniscono il pianto…è un pianto diverso, ora: è bianco latte buono che scava il sentiero del destino”.

Da piccolo invidiavo quel tuo sorriso che non si spegneva anche quando i tuoi genitori te le davano di santa ragione per la tua presunta colpa. Poi per i sentieri della vita mi hai mostrato il blu e il rosso delle nuvole e ho pianto con te la gioia di un passato.


A mio padre Ho corso sulla scogliera, ho amato il vento sulla criniera scompigliata ho cercato il profumo del mare, il fuoco amico del silenzio ho dormito nei sentieri freschi del bosco nella paura ho preso coraggio Fino a quando il velo del destino ha interrotto il mio sorriso allora ho mangiato pane straniero e ho abbassato lo sguardo Lo avevo perso per sempre e ancora vacillo

Il superimperatore In realtà non sono sempre stato così, in realtà c’è stato un tempo in cui preferivo stare da solo, giocare da solo, parlare da solo, quasi fossi l’unico abitante di questa terra. Ed avevo un Mondo tutto mio, di cui ero il superimperatoreassolutodelmondoconosciutoesconosciuto. In questo Mondo non c’erano genitori, che ti dicevano cosa dovevi fare o non fare, dove gli amici non ti prendevano in giro, dove gli insegnanti non ti costringevano a studiare cose che non ti erano per niente utili, nel tuo mondo. In quel Mondo ogni tanto entrava mia sorella, era un grande onore per lei quando, fianco a fianco, camminavamo sulla sabbia della spiaggia, oppure seguivamo il sentiero che portava alle grandi pietre sul mare, dove si trovava il “Castello”, una grotta scavata dal mare, blu, che per secoli aveva lavorato, come fosse nostro schiavo. Non avevamo gelati che ci rendessero felici, solo lo stare vicini, re e regina del nostro Mondo. Finché il treno non ci portò via, altrove

IL NOSTRO INCONTRO CON LA DIVINA IN UN VIAGGIO SENZA TEMPO È un viaggio iniziato l’anno scorso, non per caso, imposto. Un percorso programmato da altri, “esperti tour operators”, da cui dipende la nostra avventura, la nostra formazione. Un viaggio rivelatosi strepitoso, anche se non privo di difficoltà! Vi proponiamo alcune nostre libere (si fa per dire!) riflessioni.

“La Commedia trasmette una sensazione di appartenenza, passione e orgoglio, alla nostra Italia. Leggerla significa conoscere ed interpretare il mondo”. (Elisa) “Si può parlare di opera senza tempo per l’analisi dei principi morali, delle virtù e dei vizi che affliggono ancora l’uomo …” (Antonella) “Leggendo i versi del poema, ci possiamo immedesimare nei personaggi, i cui problemi, vizi o virtù possono rispecchiare la nostra situazione; il poeta narra storie vere un tempo come oggi: l’amore senza freni che travolge due giovani, la disperazione di un padre impotente che vede morire i figli e i nipoti, la presunzione dell’intelletto umano, l’invidia e l’ingordigia che attanagliano l’anima”. (Roberta) “La penna ferisce più della spada! E la penna di Dante svolge bene questa funzione: collocare i propri nemici e le persone fastidiose all’inferno tra i dannati, sapendo che verranno ricordati come tali nel corso dei secoli è una delle migliori forme di vendetta, se non la migliore”. (Mattia)


“L’impatto sotto l’aspetto dell’immaginazione è fortissimo … Dante è un grandissimo poeta proprio per il fatto che percepisce le vibrazioni al di là della portata degli uomini comuni, ed è capace di ricrearle facendole sentire e vedere… Egli è colui che, liberatosi delle catene che lo trattengono come tutti gli altri uomini nel fondo della caverna, riesce ad osservare ciò che sta al di fuori del mondo per poi porre la sua conoscenza a disposizione di ognuno”. (Enrico) “Il poeta è atterrito davanti alla visione dell’inferno: si interroga sulle cose, chiede spiegazioni alla sua guida. Dante ha paura, ma non è un codardo, attraverso la sua paura ci induce a credere nell’Inferno”. (Giada) “Il nostro non è stato un semplice incontro nel quale ci si conosce e poi, forse, ci si rivede. La Commedia si addentra in ognuno di noi e non se ne va più. Quando avviene un tale incontro, si rimane semplicemente sbalorditi, catturati dalla sua maestà”. (Giulia)

“La modernità di Dante sta nell’aver aperto il mondo concreto con una chiave spirituale”. (Giampietro) “La Divina Commedia è fatta di visioni che qualche volta stupiscono ed altre volte incantano lo spettatore, in ogni caso lo catturano in una salita di emozioni”. (Alessia B.) “Io sono proprio così: penso sempre che dietro l’angolo mi aspetti la selva oscura, ma allo stesso tempo so di avere una guida che sa come aiutarmi”. (Alessia P.) “La Commedia è il libro della vita, un libro di istruzioni”. (Diana) “Dante Alighieri e Jack Kerouac: due scrittori figli di due epoche storiche quasi agli antipodi a testimoniare che è comune nei secoli la voglia di essere felici, di cambiare ed essere migliori, di oltrepassare i propri limiti e di non perdere la speranza anche quando la diritta via è smarrita”. (Lara)


L’ARCANA MELODIA PITTRICE

di Giovanni Filardo Per eternare i più profondi sentimenti dell’uomo L’abbandono Si dilata la mia solitudine nei giorni di sole. Mi aggredisce la tua assenza, brace che nell’anima discende. Improvvisa mi avvolge la follia, vento impetuoso oltre la ragione. Nell’intenso frastuono, inquieta, la parola si confonde. Malinconici si assopiscono i ricordi. Fragile si frantuma il mio racconto, confine che allo sguardo si nasconde. Si infrange l’onda e non passa oltre.

A mia madre Mi piego salice sull’acqua e attendo dell’imbrunire, l’ora di passaggio. Anche la tua voce, priva di colore, s’attarda nel bisbiglio dell’ombra. Mi sorprende il tuo inverno come schiaffo dato all’improvviso. L’eco del silenzio rapisce i tuoi pensieri; foglie cadute dopo il temporale. Declina il miglior tempo tra i ricordi; dettagli sparsi, frammenti di giornale. Affamata di voci mi avvolge la tua solitudine. Assonnata la stanza accoglie il tuo respiro. Maschera deforme tramonta la parola.

In memoria di mia madre Oltre la soglia lo sguardo si sottrae. Migranti scolorano i pensieri. Attonita soccombe la parola. Illimitata la tua permanenza nel silenzio dei giorni morenti. Nel frastuono molesto dei ricordi si smarrisce la voce narrante del tempo. Fremente il mio desiderio sulla traccia infinita della tua eco.

Alcune brevi considerazioni per comprendere nel modo migliore la trilogia poetica di Giovanni Filardo che vi propongo, senza cercarne un significato trascendente; desidero che voi, come me, possiate apprezzare la loro concreta e personale realtà. Famiglia: nucleo sociale composto da due o più individui legati tra loro da matrimonio, rapporti di parentela, di sangue, di affinità o fisionomia spirituale. Legame: rapporto o vincolo affettivo, che comporta reciproca fedeltà, oppure limitazione della libertà individuale. Ma pur sempre di affetto si tratta, amore incondizionato e doveroso, specie verso la famiglia. E quando si spezza nella dimensione fisica, a volte il dolore è un livido tangibile che abbiamo bisogno di curare, attraverso noi stessi, il nostro cuore, la nostra mente elevata alla dimensione poetica. Forte e profonda tanto quando leggera e delicata, quasi un sussurro, la poesia è un pensiero che si alza e si libera del suo stesso peso, e finalmente si placa l’animo. Francesca Perencin


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