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Ditegli sempre di sí! Chill’è pazzo
from Relazioni: #1
by ale-rel
Un sistema di rilevazione che “sente” gli umori dell’elettorato. Un presidente sociopatico che sopporta solo di essere assecondato. Una realtà completamente ricreata dalla disinformazione. Un Paese reso immune all’empatia da un misterioso vaccino. Cronaca o immaginazione distopica?
Ditegli sempre di sí! Chill’è pazzo!
Advertisement
Testo Alessandro Carrera Immagini Lauren Greenfield
in interface, un romanzo di fantascienza uscito in inglese nel 1994 a firma di Stephen Bury (pseudonimo di Neal Stephenson e J. Frederick George), s’immagina una campagna elettorale negli Stati Uniti in cui un candidato è virtualmente imbattibile. Un chip impiantato nel cervello e collegato a un network di rilevazioni gli permette di percepire istantaneamente le variazioni nei sondaggi. Mentre pronuncia i suoi discorsi elettorali, “sente” in tempo reale le reazioni dell’elettorato e si orienta di conseguenza. L’aggeggio bionico non gli basta per vincere le elezioni. Anzi, per via di una serie di improbabili intrighi, la presidenza degli Stati Uniti va alla fine a una donna afroamericana di umili origini, che il giorno dell’inaugurazione affronta gli stupefatti membri del Congresso annunciando che sí, forse loro non ci possono credere ma questa black bitch è arrivata alla Casa Bianca e intende restarci.
Per i democratici ottimisti potrebbe essere la profezia di una futura vittoria di Kamala Harris, attualmente candidata alla vicepresidenza nel ticket elettorale che la accomuna a Joe Biden (anche se il Joe Biden del romanzo fa una brutta fine, altrimenti la presidenza non andrebbe a lei). I meno ottimisti faranno bene invece a meditare sull’altra profezia, quella del chip impiantato nel cervello. Non si è realizzata esattamente come gli autori avevano previsto, ma è qui, sotto i nostri occhi, e può darsi benissimo che, per vincere, sia piú che sufficiente.
L’attuale presidente degli Stati Uniti ha instaurato con il suo popolo un rapporto che potrebbe essere visualizzato dall’antica etichetta della “Voce del Padrone”, quella del cane fedele seduto davanti al fonografo ad ascoltare. In questo caso, però, non si sa chi sia il fonografo e chi sia il cane. I ruoli si scambiano continuamente. A volte il presidente è il fonografo e il cane fedele è la sua base elettorale. Altre volte è il contrario. La base elettorale è il fonografo e il cane fedele è il presidente, il quale ripete quello che ha appena sentito dalle sue fonti di informazione preferite: Fox News, Breitbart News, oan (One America News Network), Alex Jones, Rush Limbaugh, nonché le infinite teorie del complotto partorite da quel formicaio di menti dissennate che risponde al nome di QAnon. Non c’è filtro, non c’è discernimento, c’è solo caos. Caos verbale, caos mentale.
Sia chiaro, l’attuale amministrazione sa benissimo quello che sta facendo: sta trasformando gli Stati Uniti d’America in una repubblica totalitaria tramite la nomina di giudici federali conservatori, la deregolamentazione in materia di protezione dell’ambiente, la severa riduzione o abolizione delle leggi antinquinamento nonché la deificazione della polizia, usata come truppa antisommossa per spaventare i neri a dovere. Negli Stati Uniti le forze di polizia sono state regolamentate nell’ottocento con il primo e principale scopo di catturare gli schiavi che fuggivano e piú in generale di “tenere i neri al loro posto” (in inglese la frase suona piú cruda, ma qui non la voglio ripetere).
Il rapporto a specchio che si è instaurato tra l’industria della disinformazione e le parole pronunciate giornalmente, nonché caoticamente, dall’attuale presidente degli Stati Uniti deve però essere analizzato. Se la maggiore fonte di disinformazione alla quale attinge un buon 40% della popolazione è il presidente in persona, non si tratta piú nemmeno di disinformazione, bensí della creazione di una realtà alternativa. Ma anche questo termine è ormai inadeguato. Da quando Donald Trump è diventato presidente, dovremmo parlare piuttosto di realtà.2, ormai indipendente dalla realtà.1 nella quale si ostinano a vivere coloro che non si abbeverano alle fonti di disinformazione sopra menzionate. Un esempio sarà sufficiente: il 30 luglio 2020 è mancato un uomo di nome Herman Cain, 74 anni, afroamericano, imprenditore, ex amministrato-
re delegato di una vasta catena di pizzerie, presidente dell’Associazione nazionale dei ristoratori, nel 2011 candidato repubblicano alla presidenza, promotore della “tassa unica 9,99%” (“Non è il prezzo di una pizza?”, si chiesero in tanti), ardente sostenitore di Donald Trump tanto da farsi vedere alla manifestazione pro-Trump di Tulsa, Oklahoma, il 20 giugno 2020 senza mascherina sul volto e senza rispettare nessuna distanza sociale perché, come aveva ripetutamente affermato seguendo il suo presidente, la pandemia non esiste e la maschera è un trucco dei democratici per soffocare la libertà. Quaranta giorni dopo è morto di Covid-19.
La famiglia non ha cancellato il suo account Twitter, anzi ha continuato a usarlo a suo nome. Non molti giorni fa è infatti circolato un tweet in cui si sosteneva che il Covid-19 “non è poi cosí letale come si dice”. Firmato: Herman Cain. Questa squisita disinformazione dall’oltretomba non era venuta in mente nemmeno ai grandi tiranni del passato che, se una cosa sapevano, era di non essere immortali, e per quanto paranoici potessero essere, da Ivan il Terribile a Stalin, forse avevano il sentore che la morte non si fa disin-
Nella pagina precedente: Jackie Siegel, moglie del magnate immobiliare David Siegel, con sei dei suoi otto figli, nel salotto della sua casa in costruzione, di oltre 8.000 mq, ispirata alla Reggia di Versailles.
In questa pagina: Manifestazione dorata dell'ideale americano del self-made man, Limo Bob, autoproclamatosi “Limo King”, possiede un impero di limousine personalizzate con lampadari di cristallo, jacuzzi e stripper pole, che superano i 30 metri di lunghezza.
Lauren Greenfield è stata definita “la piú importante cronista visiva della plutocrazia” dal “New York Times”. Fotografa e regista vincitrice di un Emmy, ritrae le icone della cultura pop riflettendo sulle questioni di genere e sul consumismo, come nel caso del progetto “Generation Wealth”. I suoi lavori sono stati pubblicati ed esposti nei musei di tutto il mondo, inclusi l’Art Institute di Chicago, il County Museum of Art e il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, il Museum of Modern Art di San Francisco.
formare. Non cosí i sostenitori di Donald Trump: la loro trasformazione in zombie è ufficialmente cominciata. Non solo: è una tappa molto importante nella costruzione della realtà.2.
Sono zombie alfabetizzati; sanno scrivere, parlare, digitare un tweet, tutte cose che gli zombie di prima e seconda generazione non erano in grado di fare: ma perché non dovrebbe esserci evoluzione anche tra gli zombie? Il progresso tecnologico non è incompatibile con la zombificazione. Ciò che è incompatibile è l’introspezione, il dubbio che porta a chiedersi: “Ma che cosa sto dicendo? Ma chi me lo fa dire?”. La persona e lo zombie non possono coincidere; uno dei due deve farsi da parte. D’altra parte, il presidente degli Stati Uniti non è uno zombie; anzi è ben vivo. Non è lui a reggere le fila dell’industria della disinformazione, anzi a volte ne è solo un prodotto. Occupa la posizione privilegiata – un classico cliché da commedia – del matto al quale nessuno deve dire che è matto (non ho detto che è matto; ho detto che ne occupa la posizione).
C’è stato un momento, negli ultimi mesi, in cui sarebbe stato possibile smontare l’intero edificio della realtà.2 cosí pazientemente costruita fin da quando Donald Trump, allora non ancora presidente e nemmeno candidato, aveva lanciato la campagna secondo la quale Barack Obama non era nato negli Stati Uniti e dunque non era un presidente legittimo (c’è chi a questa forma di birtherism o “nascitismo” crede ancora adesso). Il momento si è verificato alla Casa Bianca, durante la conferenza stampa del 23 aprile, quando Trump, apparentemente improvvisando (in realtà seguendo i “consigli” di una sedicente chiesa della Florida, tutti suoi sostenitori, che predica di ingerire leggere quantità di lisoformio e candeggina per ripulire il corpo dal Male), ha detto allegramente che gli scienziati dovrebbero almeno considerare l’interessante possibilità di depurare il corpo umano dal virus attraverso l’iniezione in vena di disinfettanti da cucina, oppure con qualche macchinario capace di penetrare nel corpo e illuminarlo dall’interno di potenti raggi ultravioletti. Tutto il mondo ha visto la faccia terrorizzata della dottoressa Deborah Birx, coordinatrice della task force di risposta al coronavirus. Le telecamere hanno a lungo indugiato sui suoi occhi sgranati e la sua bocca serrata come in uno spasmo. Ebbene, se quella bocca si fosse aperta, se la dottoressa Birx si fosse alzata per dire: “Presidente, la smetta di dire idiozie!”, Trump, lo si può giurare, avrebbe perso il controllo della situazione, avrebbe smarrito la sua narrative, e forse non gli sarebbe stato possibile recuperarla.
Perché un episodio simile era già accaduto. Era il 9 giugno del 1954, quando il giudice Joseph Welch, seduto allo stesso tavolo del senatore Joseph McCarthy che stava torturando con domande insidiose l’ultima vittima della sua crociata anticomunista, improvvisamente si voltò verso di lui e gli disse: “Senatore, non le è rimasta nessuna decenza?”.
Fino a quel momento, McCarthy era stato intoccabile, invincibile, gli Stati Uniti tremavano davanti a lui. Una settimana dopo, non era piú nessuno. Non si può rimproverare a Deborah Birx di non aver avuto la stessa prontezza; lo stesso eroismo, anche. Perché sarebbe stata non solo licenziata, ma minacciata di morte, e da quel momento avrebbe dovuto vivere sotto scorta armata. Ma quel momento è passato, e Trump ha avuto modo di riprendere il controllo. Stava scherzando, no? È cosí bello scherzare, sdrammatizzare un po’. Che diamine, non si può piú neanche scherzare?
Ma se la dottoressa Birx avesse pronunciato quelle parole, sarebbe stato svelato il segreto degli Stati Uniti di Trump, la constatazione che da quattro anni la popolazione americana è impegnata in una gigantesca terapia collettiva a beneficio di un solo paziente – uno solo, ma affetto da una forma particolarmente severa di narcisismo esibizionista e fortemente sociopatico.
Cindy impugna una pistola durante una simulazione di attacco presso l'Elk Mountain Resort a Montrose, in Colorado. Durante le vacanze presso il resort di lusso, ai visitatori vengono offerti dei corsi di difesa personale.
Le interviste mattutine che Donald Trump rilascia a Fox News sono delle vere e proprie sedute terapeutiche in cui l’intervistatore di turno, com’è nella peggiore tradizione della psicologia dell’io, invece di aiutare il paziente a navigare fra gli scogli dei traumi di cui ha indubbiamente sofferto, si dedica con abnegazione a rafforzare il suo ego, ignorando che quell’ego è solo la somma delle sue frustrazioni e che rafforzandolo non si fa altro che ingigantire le frustrazioni stesse. Non lo rendono una persona migliore, le sedute di terapia dell’io in diretta televisiva; lo rendono solo un migliore sociopatico, ancora piú convinto del suo diritto di calpestare il mondo come se in fondo non gli importasse piú di tanto, come se per lui tutto fosse solo un gioco. Mortale, certamente, per i 190.000 morti di Covid-19 (nel momento in cui scrivo), ma in particolare per gli afroamericani che del coronavirus sono le vittime in piú alta proporzione: da coloro ai quali la polizia spara alla schiena un giorno sí e uno no, su fino a Herman Cain.
Lasciamo perdere la terapia. Gli interi Stati Uniti, inclusi i media critici di Trump e della sua amministrazione, da quattro anni stanno rappresentando una colossale farsa napoletana, a metà tra O miedeco d’e pazze di Eduardo Scarpetta e Ditegli sempre di sí (Chill’è pazzo!) di Eduardo De Filippo. La grande questione che si porrà tra novembre e gennaio, nel caso ancora molto improbabile che Donald Trump perda le elezioni (non faccio previsioni), sarà questa: siccome è certo che in caso di sconfitta sosterrà che si trattava di elezioni truccate dalla Cina, rifiuterà di concedere la vittoria a Joe Biden e non lascerà la Casa Bianca, la questione sarà dunque come convincerlo con le buone, come accompagnarlo fuori, come dirgli quelle paroline dolci che lo calmeranno e lo faranno salire su un elicottero che lo porterà docilmente in una delle sue tenute. Non c’è un protocollo per una simile crisi istituzionale. Se il presidente degli Stati Uniti impaz-
zisce (o fa finta per non pagare dazio), non si sa cosa fare se non dirgli sempre di sí.
Il 14 luglio 2020 una psicologa clinica ha pubblicato il libro forse piú rivelatore sulla personalità di Donald Trump: Too Much and Never Enough: How My Family Created the World’s Most Dangerous Man (ha venduto un milione di copie il giorno stesso in cui è uscito). L’autrice è Mary Lea Trump, figlia di Fred Trump Jr e nipote di Donald. Sostiene la nipote Mary che lo zio, per sopravvivere alla sadica figura di Fred Trump padre – che ha portato alla disperazione e al suicidio alcolico il fratello maggiore di Donald e padre di Mary – si è orientato sulla tattica del mentitore seriale. Fin dall’età di otto anni aveva capito che sostituire una menzogna con un’altra menzogna fa dimenticare la menzogna precedente. Gli interlocutori si scandalizzano dell’ultima, perché è sempre la piú sfacciata, ignorando o volendo ignorare che la prossima sarà piú sfacciata ancora.
Grazie a questa tattica, che Trump ha portato a perfezione, la struttura a specchio della disinformazione funziona veramente nei due sensi. Non solo Trump assimila e ripete le teorie del complotto che ha sentito dai suoi media preferiti; lui stesso ne crea di nuove, puntualmente ripetute da tutti, sia per assecondarle sia per denunciarle, perché dopotutto sono le parole del presidente. Cosí capita, come a me pochi giorni fa, di entrare nel negozio annesso a un distributore di benzina nel centro geografico del Texas e di buttare l’occhio al televisore ovviamente sintonizzato su Fox News, la rete di notizie piú seguita in assoluto. Sottotitolo casuale alla notizia in corso: Joe Biden fa uso di droghe? Donald Trump pensa di sí. Nessun seguito, nessun commento, nessuno che dica: ma se il presidente pensa che il suo avversario sia un drogato è una cosa gravissima, è suo dovere tirar fuori le prove.
No, non c’è bisogno di prove. Il messaggio deve agire esattamente nella forma in cui è stato enunciato, come una cosa cosí plausibile da essere detta per caso, nemmeno ripetuta, anzi lasciata cadere in attesa di qualche altra rivelazione piú grave ancora, che comunque non verrà commentata, non avrà seguito, sarà sostituita da qualcosa di perfino piú scandaloso, e cosí senza fine. Dopotutto, l’intero edificio della teoria del complotto sostenuta dai seguaci di QAnon è che Trump, in accordo con funzionari dello Stato che si mantengono anonimi (Anon, appunto), sta cercando di estirpare una cabala mondiale di democratici pedofili guidati da Hillary Clinton e Barack Obama. Chi ha bisogno di prove? Solo quei poveri falliti che vivono ancora nella realtà.1; la realtà. 2 si crea, si distrugge e si ricrea a volontà. Chi vive nella realtà.2 è Dio, e forgia il mondo a sua immagine e somiglianza.
Ma non è nemmeno questa la cosa piú importante che impariamo dal libro della nipote di Trump. Ce n’è un’altra ancora, piú significativa. Di suo zio, scrive M.L. Trump, non si può sapere come potrebbe sopravvivere in un ambiente, diciamo cosí, normale, dove una dottoressa Birx possa effettivamente dirgli: “Signor presidente, la smetta di dire idiozie”. In altre parole, se qualcuno portasse Donald Trump nel mezzo di Times Square a New York e lo lasciasse lí, noi non sappiamo se sarebbe in grado di tornare a casa da solo senza farsi prendere da una crisi di panico, perché per tutta la vita – parole di M.L. Trump – suo zio è sempre stato “istituzionalizzato”, altro termine per dire “ricoverato”.
No, non ricoverato in un ospedale psichiatrico, ma ricoverato di fatto, e protetto dal mondo esterno dalle persone del suo seguito e della sua organizzazione, che hanno sempre fatto tutto per lui, hanno diretto gli affari a suo nome, hanno comprato e venduto, l’hanno condotto attraverso sei bancarotte, innumerevoli rotture di contratti e cause per truffa, e soprattutto gli hanno sempre dato ragione (Ditegli sempre di sí!), sapendo che il
Eden Wood, qui a 6 anni, è una star di un concorso di bellezza per bambini che ha collezionato oltre trecento vittorie. Dopo questo scatto si è ritirata da questo genere di competizioni, per dedicarsi al suo personale reality show. loro paziente non era in grado di reggere il minimo no, la minima contrarietà senza lasciarsi andare a crisi di rancore e paranoici piani di vendetta.
Ho iniziato con un romanzo di fantascienza. Finisco con un film: Codice 46, diretto da Michael Winterbottom nel 2003. Un investigatore arriva a Shanghai per lavorare su un caso di frode. In una società retta da rigidissime norme genetiche alcuni certificati di assicurazione che permettono di viaggiare al di fuori della megalopoli sono stati falsificati e forniti a persone che per ragioni appunto genetiche non avrebbero dovuto riceverli. L’investigatore, padre e marito esemplare, s’innamora però di colei che ha commesso la frode. Colpa di un “virus dell’empatia” di cui si serve per entrare nella mente dei sospettati, e che lo rende però indifeso di fronte a una donna la quale, piú giovane di lui, per ragioni genetiche è di fatto un clone di sua madre (sí, è una variante del mito di Edipo, e la ditta che fornisce le assicurazioni si chiama Sfinge).
Nella situazione attuale della campagna elettorale americana, verrebbe da dire che Joe Biden sia stato soggetto a una massiccia contaminazione di virus dell’empatia. L’intero Partito democratico sta cercando di convincere gli americani che Biden “sente il tuo dolore”, che anzi per via delle tragedie della sua vita (la morte della prima moglie e di un figlio in un incidente stradale, la morte per tumore di un secondo figlio qualche anno fa) è proprio l’uomo del perenne dolore, The Man of Constant Sorrow della celebre ballata folk, una sorta di Madonna addolorata al maschile, quello che ci vuole per consolare un paese devastato dalla pandemia e umiliato dalla ferocia del suo presidente.
Ma l’altra parte del Paese non si fa impressionare. Anche se si dichiara contro i vaccini, da molto tempo assume regolarmente, e molto volentieri, dosi da cavallo di vaccino anti-empatia, un vero mix da sballo che rende piú forti, piú decisi, e non fa perdere tempo a soffrire per le disgrazie altrui. Dopo quattro anni passati a iniettarsi ogni giorno una siringa di vaccino anti-empatia, come si fa a non credersi invincibili, come supereroi della Marvel, come Alien, come Herman Cain twittante dall’oltretomba che la malattia che l’ha ucciso non è poi cosí mortale? ◊