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La penultima parola

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La stanza di Sally

La stanza di Sally

PRENDERSI CURA DI SÉ SIGNIFICA PRENDERSI CURA DEL MONDO

Una conversazione di Luca Sossella con Davide Rampello

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prima di avere chiaro che l’etica è quella parte della filosofia che studia il comportamento umano, quando ero un ragazzo mi è capitato di leggere una frase: “Agisci soltanto secondo quella massima che tu nello stesso tempo puoi volere che divenga una legge universale”. Kant viene sempre raccontato come un filosofo complesso e incomprensibile, ma questa è una frase molto semplice: quello che vuoi fare deve valere come legge universale, altrimenti non farlo. La seconda formula dell’imperativo categorico esprime un passaggio dall’universalità alla visione soggettiva. Il filosofo dice: “Agisci in modo da trattare l’umanità, cosí nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre come un fine, e mai come un mezzo”. Gli altri non sono cose, sono prima di tutto nostri simili e immediatamente dopo sono da noi differenti. Comprendere questo semplice concetto significa interpretare il rapporto di cura verso gli altri e di cura verso noi stessi. Solo se riusciremo a prenderci cura dell’altro conosceremo quella gioiosa libertà che consiste nel riconoscere la volontà dell’altro di prendersi cura di se stesso. Su questa premessa è iniziata la conversazione.

Luca Sossella L’altro giorno mentre cercavo di mettere in ordine vecchi quaderni, e per ordine intendo selezionare solo le parole necessarie e strappare quelle servili, ho trovato queste parole

di Paolo Fabbri pronunciate durante un convegno tanti anni fa: “La cura è quel qualcosa tra cognizione e passione che è seguito da un fare, si conclude nell’azione. Curarsi di qualcosa significa starci attenti, preoccuparsene, ma nello stesso tempo essere pronti a fare, passare all’azione. È quel nodo essenziale che, come sostenevano Aristotele e Descartes, lega la cognizione e la passione alle azioni”. Pensavo di cominciare da qui per tentare di rendere esplicito il tuo concetto di design della cura o arte della cura, che ne dici? Davide Rampello Dico che è molto giusto, ma bisogna fare un salto ulteriore, dare un nome a quel qualcosa e nel contempo superarlo perché non si tratta di una cosa, ma di un sentimento per l’altro. La cura è quel sentimento tra la cognizione e la passione, fra te stesso e l’altro; ma bisogna fare estrema attenzione a quel sentimento che può trasformare l’altro in dominato, anche quando il dominio da chi lo subisce sia accettato, ovvero taciuto.

Bisogna innanzi tutto avere cura che l’altro non si senta sollevato dalla cura di sé, quindi avere cura non è una semplice attenzione verso qualcosa, ma un sentimento, un sentire, un acconsentire, un consenso, che altro non è che un sentire assieme.

LS Ciò che manca non è proprio una comunità a cui riferirci? DR Nelle prime comunità cristiane e nelle successive generazioni, il grande dono e sentimento della fede creò comunità. Una fiducia incorruttibile trasformava gli animi degli umani, era il motore unanime del fare e del saper fare, che tutto rende concreto: perché le cose divengono cum-crete, concrete, se sono cum-credute, credute assieme. Bisogna conquistare la fiducia o la fede, che significa entrare nel tempo dell’azione ovvero uscire dal lamento. Questo non vuol dire che non dobbiamo interrogarci sulla nostra fragilità. Anzi, solo esponendo le debolezze, affidandoci alla testimonianza, alla memoria, alla sopportazione, durante la pandemia c’è stata un’offerta straordinaria da parte di medici, infermieri, operatori sanitari, sacerdoti e di tutte le anonime pluralità operose, nell’affrontare i dolori, gli affanni, le infelicità. Questa fragilità ha risvegliato nella collettività il valore attorno al quale una comunità si rigenera: il

Agisci soltanto secondo quella massima che tu nello stesso tempo puoi volere che divenga una legge universale.

senso del sacro, che significa indagare nel mistero e nel limite dell’umano.

LS Il sacro? Intendi che nel sacro trovano spazio gli argomenti irrazionali non riducibili ai principi fondamentali della ragione pratica, economica? DR Considerare il sacro vuol dire esaminare la propria coscienza, ma cos’è l’esame di coscienza? Non è altro che recuperare se stessi dopo la disattenzione del giorno. Tornare presenti a se stessi, secondo l’antico principio di Sant’Agostino: il presente del passato è la memoria, il presente del presente è la visione, il presente del futuro l’attesa. Il sacrificio che l’umano compie sublima il valore della vita per ridonare agli altri esseri umani “l’amore rinnovato per la vita”. Le catastrofi lasciano nel cuore dei superstiti la volontà e il desiderio di rigenerarsi, di rinascere. Alcuni mantengono il patto e proseguono sulla via della ricostruzione virtuosa, altri dimenticano l’intesa e dominati dall’arroganza che li guida tentano di dominare gli altri. Il compito dell’avere cura, disegnare (de-signum) la cura, è impedire questa infernale volontà di dominio. L’Italia dovrebbe riproporre un’antica lezione magistrale, i Viaggi in Italia; i taccuini e i diari degli aristocratici e dei ricchi borghesi che venivano d’oltralpe nelle nostre città e percorrevano le nostre campagne, coltivate come giardini, per completare e perfezionare la loro formazione, sono la testimonianza dell’apprezzamento e della valorizzazione di tutto quel capitale umano che in mille modi diversi ha progettato campagne, borghi, palazzi, teatri. Coltivando, cucinando, componendo, dipingendo, recitando, scoprendo visioni e terre sconosciute. La “patria dell’anima”, che Gogol tanto amava, deve ancora una volta rigenerare se stessa; vivere all’italiana dovrebbe diventare un altro paradigma, ritrovare l’arte della cura, creare il design della cura.

LS La cura è intesa anche come sintesi dell’altruismo: soddisfare il proprio bisogno di affettività e di felicità nell’incontro con l’altro. DR Bisogna riabilitare la cura; Leonardo da Vinci è l’uomo curiosus per eccellenza in quanto è colui che si cura, che si prende cura del mondo prendendosi cura di se stesso. Guarda che è importante, per come interpreto io il problema, far comprendere la necessità di riconoscere l’interdipendenza dall’altro. E questo ragionamento ci obbliga e permette di pensare una diversa relazione con gli altri, con l’altro. La persona fragile, vulnerabile, è in grado di vedere l’urgenza della cura in quanto si riconosce a sua volta nella necessità di ricevere attenzione, ovvero uno sguardo che curi tutto ciò che lo circonda e sia spinto da qualcosa che è superiore anche alla responsabilità civica e politica, è oltre la preoccupazione della sostenibilità. Ci vuole la passione per l’altro, l’amore per l’altro. Attenzione, vale a dare senso, oltre che significato, la relazione con l’altro che non sia strumentale o sacrificale, ma sia riconoscere l’altro come una potenza che costituisce il proprio ascolto, altrimenti anche l’ambientalismo, il discorso sulla sostenibilità, senza l’ascolto, diventa giardinaggio. Il dramma della pandemia ci ha fatto dimenticare “le cose del mondo”, minac-

Marcus Maddox è un fotografo fine art che lavora tra Philadelphia e New York. La sua opera, guidata dall’empatia e dall’intuizione, si caratterizza per il lavoro sulla “naturalità” dei colori. Attratto dagli immaginari dell’intimità, cerca modi significativi e dinamici per rappresentare la condizione umana. Le sue opere sono state esposte negli Stati Uniti e in molti altri Paesi. Figures of Color è uno studio sulla pelle nera che esplora la relazione tra luce e oscurità. Le immagini presentano figure nere all'interno di ambienti colorati, creando una forma di astrazione fotografica basata su contrasti netti e colori piatti. Il progetto è ispirato al lavoro di artisti neri contemporanei come Kerry James Marshall, Amy Sherald, Jon Key, le cui figure hanno suggerito la possibilità di esplorare la pienezza del colore e il tentativo di rappresentare la lucente bellezza della pelle nera. Nella pagina precedente: All the pains, all the tears, Nashville, 2017

In questa pagina: Sosa no. 5, New York, 2019

Awaken my friend, New York, 2019

La persona fragile, vulnerabile, è in grado di vedere l’urgenza della cura in quanto si riconosce a sua volta nella necessità di ricevere attenzione, ovvero uno sguardo che curi tutto ciò che la circonda.

ciando le nostre notti con la paura, mentre la risonanza infausta dei bollettini quotidiani dava notizia del pianto del Paese; nei nostri cellulari e computer si moltiplicavano storie di lagune immobili, e nelle vigne e negli orti arrivavano famiglie di cinghiali. Uno stupore infantile e commosso testimoniava la necessità del riequilibrio rapido del pianeta.

LS Le nozioni connesse di responsabilità e cura assegnano una potenzialità nuova all’azione individuale, al gesto attivo del soggetto slegato dalla comunità: colui che lega i due termini, colui che partecipa alla cura responsabile, agisce dentro la catastrofe della disuguaglianza o della pandemia, poco cambia, fuori dall’abitudine. Fuori dalla schiavitú del senso comune, la pandemia ci insegna il senso della cittadinanza terrestre, ci prepara a un’era planetaria di inter-solidarietà, ci fa comprendere che l’umanità intera partecipa a una comunità di destino. È necessario formare operatori di partecipazione, tessitori sociali che ci permettano di interconnettere le discipline, di cogliere i legami fra i diversi saperi affrontando la spirale di dequalificazione, la caduta di capacità ideali e professionali di coloro che devono prendere decisioni politiche, non tecniche: politiche. DR L’impellente necessità deve essere di fatto la cosciente determinazione di rinascere. Superare il logoramento passivo dell’attrito e proseguire prendendo un’altra via: essere il frutto di un patto d’amore. Ricomporre le nostre rovine, ricomporre l’orchestra dei sentimenti gentili che abbiamo sopraffatto con la vanità: attenzione, ascolto e cura delle cose. Bisogna riappropriarsi della cura come attenzione per la comunità, riconquistare quel “senso del tutto” che nell’umanesimo motivava la “curiosità” di mercanti, artisti, uomini di scienza e d’arme, “curiosi” del tutto che si prendevano “cura” di ogni cosa. La sicumera dei poteri, l’ottundimento delle ideologie, l’indifferenza, l’ingiustizia, lo sfruttamento e la violenza sono il costante “lato oscuro” dell’umanità. Tutto questo oggi è moltiplicato dall’epica tragica delle migrazioni, dal dissennato depauperamento delle risorse, dalla corruzione delle acque e dell’atmosfera, dall’estinzione delle biodiversità, e ora dall’avvelenata incertezza del nostro quotidiano. Dobbiamo rigenerare il nostro lessico per dare nuova vita alle cose, parole inesatte non possono concludersi che in una conoscenza fuorviante. Le parole che compongono il nostro linguaggio quotidiano sono troppo imprecise nel senso e soprattutto nel sentimento. La precisione e la chiarezza sono generate dal prendere coscienza, come si diceva una volta, che siamo obbligati alla nostra ricostruzione. E la rinascita si concretizzerà se le comunità di imprenditori, progettisti, artigiani, commercianti, formatori, le comunità tutte dei borghi, dei campanili d’Italia non cesseranno, nonostante tutto, di “progettare”. È di tutte queste comunità il talento della creatività, dell’ideazione, del fare e del saper realizzare: vale a dire il design. È antica e radicata nella civiltà latina la cultura del progetto.

LS Una nuova politica economica? DR L’economia dell’ospitalità non è l’economia delle relazioni? ◊

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