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Spazi di vita, spazi di consumo

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Ultimo tratto

Ultimo tratto

Testo Maura Latini

La frattura temporale prodotta dalla pandemia sembra aver smaterializzato acquisti e consumi, ma in realtà ha innescato cambiamenti che pongono importanti problemi di sostenibilità sociale e ambientale. La mutazione delle abitudini dei consumatori tuttavia non fa che accelerare processi già in corso, e richiede un ripensamento complessivo dei luoghi dell’acquisto, da riprogettare nel segno dell’ibridazione, della sostenibilità, della scoperta di nuove forme di socialità.

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Comprare nel futuro

La pandemia e il lockdown hanno segnato una frattura temporale che ha un valore universale, riguarda tutti e ha investito anche gli aspetti minimi dell’esistenza, come spostarsi da un luogo all’altro o fare la spesa. Un cambiamento che ha generato una sensazione di disorientamento collettivo inedita per le società occidentali, e quindi difficile da gestire. Conoscevamo la paura come sentimento individuale, legato alla propria relazione con le cose, le situazioni, i luoghi, ma da tempo non vivevamo piú una paura collettiva di questo tipo. Avevamo dimenticato i rischi connessi alle malattie contagiose, tragicamente connaturate alla storia evolutiva del genere umano; le abbiamo date per debellate, tanto da arrivare a mettere in discussione le vaccinazioni. Abbiamo vissuto una epocale e stravolgente regressione psicologica, che ha travolto il modello sociale, di lavoro, divertimento, conoscenza, viaggio, acquisti, relazioni che si era sedimentato nel corso della modernità. Una doccia fredda per gli umani che si pensavano invincibili nella loro cavalcata verso il futuro, tanto violenta da mettere a repentaglio il futuro della terra.

La prima rilevante conseguenza del Covid-19 per il mondo dei consumi è dunque la paura di frequentare persone e gruppi. Paura che nella migliore delle ipotesi potrebbe trasformarsi in leggera preoccupazione, ma che difficilmente scomparirà del tutto, a meno che non arrivi il vaccino capace di debellare il rischio, trovando la soluzione senza eliminare il problema. In questo caso tutto potrebbe riprendere come prima, almeno riguardo ai rapporti di prossimità con le altre persone. Diversa invece la situazione delle tendenze che riguardano il consumo di cibo e si ripercuotono sui luoghi degli acquisti, in quanto si tratta di trasformazioni che hanno una genesi precedente al virus, si sono affermate nell’ultimo decennio, e hanno trovato nella pandemia un moltiplicatore di cambiamento.

Le tendenze piú rilevanti al momento sembrano due: la volontà di concentrare il tempo e il modo di fare acquisti senza impoverirli nei contenuti; e l’aspettativa di acquistare prodotti di buona qualità a prezzo basso. Sintetizzando potremmo parlare di “semplificazione” e “convenienza”. Sono due tendenze che si sovrappongono e hanno trovato un terreno fertile nel mondo digitale. In realtà è proprio il digitale che ha contribuito alla loro nascita, crescita e sviluppo dirompenti. Le persone sono state rapidamente abilitate ai nuovi modelli di acquisto online, con un’estrema semplificazione operativa e i plateali attestati di convenienza cui il mondo digitale ci ha abituato, e senza dover pagare direttamente e in chiaro i costi di un servizio ubiquitario e specifico. Viviamo una sorta di dissociazione cognitiva che ci rende estranei a tutto ciò che ruota intorno ai nuovi modelli di acquisto. Per strada vediamo i rider della gig economy, ma non la realtà che rappresentano. Questi nuovi lavori hanno conseguenze rilevanti sulla competizione; rendono possibili servizi specifici e innovativi, ma a determinate condizioni di costo del lavoro, sostenibili solo per le imprese che non tengono conto adeguatamente delle relazioni sindacali e dei diritti acquisiti. Come si potranno garantire questi nuovi servizi che ci facilitano la vita, trovando però un corretto equilibrio tra valore del servizio e remunerazione dei lavoratori? La parcellizzazione degli acquisti e delle consegne, per di piú, non sembra compatibile con le rinnovate esigenze di sostenibilità ed equilibrio ambientale. Lo sviluppo economico che conosciamo si basa spesso su un rinvio del pagamento dei costi ambientali, addebitati alle generazioni future,

Si tratta di trasformazioni che hanno una genesi precedente al virus, si sono affermate nell’ultimo decennio, e hanno trovato nella pandemia un moltiplicatore di cambiamento.

che si troveranno un pesante conto da saldare. Le istituzioni nazionali e sovranazionali inizieranno finalmente a progettare cambiamenti guardando davvero al futuro, o continueranno a lanciare proclami non supportati da prospettici elementi normativi? La responsabilità civile è sempre piú un tema cruciale.

La forza dell’ibridazione

Le novità indotte dal digitale hanno attivato cambiamenti nelle modalità di fruizione degli ambienti e nella relazione delle persone con gli spazi. Stiamo superando il concetto di “ambiente specializzato” (un luogo per guardare un film, un altro per leggere, uno dove acquistare prodotti, uno in cui mangiare…). Tanto piú che alcune di queste specializzazioni potrebbero non essere piú percepite come utili, rendendo superati i relativi luoghi. Luoghi che potrebbero rinascere solo integrando la loro specializzazione originaria con attività complementari utili e gratificanti per il fruitore, ed economicamente ed eticamente sostenibili per l’erogatore. Certo serviranno anche progetti radicali, che in Italia faticano a imporsi.

La tendenza alla disintermediazione fisica dei luoghi dell’acquisto ha provocato contraccolpi già evidenti e in progressivo aumento da quando la mobilitazione fisica dei prodotti ha trovato un’alternativa funzionale ed efficace nella spesa online. Il Covid-19 e il lockdown hanno solo velocizzato i tempi di un’evoluzione già in corso. Il minor tempo di cui adesso disponiamo per andare da un luogo d’acquisto all’altro potrebbe fare la differenza, seppure in negativo. Ma non è detto: in piena pandemia i supermercati hanno dimostrato la loro importanza anche come luoghi di aggregazione (per quanto controllata); per instaurare relazioni positive le persone hanno bisogno di incontrarsi; e infine tutti i luoghi, grazie alla tecnologia, possono diventare molto altro rispetto a ciò per cui sono nati. Il punto vendita è un luogo ricco di stimoli che può offrire una sintesi efficace di vecchie e nuove risposte. Certo va riempito di contenuti diversi, ragionevolmente molto piú evoluti grazie alla tecnologia, radicati nelle relazioni e rigeneratori di socialità. Tanto piú se a fare da connettore c’è il cibo, forse il primo tratto culturale della specie umana, da sempre attivatore di socialità, come racconta la storia degli scambi costruttivi, e a volte distruttivi, tra esseri umani. Ma il cibo è anche qualità e quantità, elementi che concorrono a costruire e mantenere la salute delle persone, cosí come quella dell’ambiente. Per il cibo si impegnano ogni anno parte rilevante delle risorse anche non rinnovabili del pianeta. La sua produzione è responsabile del 70% del consumo di acqua, come del 35% delle emissioni di co2 sulla Terra, che sembra intenzionata a presentarci il conto velocemente se è vero che gli alimenti saranno in futuro meno nutrienti a causa degli alti tassi di co2 nell’atmosfera. I luoghi degli acquisti, dunque, potrebbero evolvere positivamente anche come ambienti per lo scambio di informazioni, la socializzazione dei contenuti e la scelta dei prodotti. Una scelta piú consapevole sarebbe di grande importanza in prospettiva, se vogliamo cambiare un modello economico e sociale non piú sostenibile già prima del Covid-19.

L’ibridazione dei luoghi di vendita, piú facile nelle città dove le diversità da portare a sintesi generano di per sé novità e cambiamenti, è funzionale ai bisogni delle persone, ma contemporaneamente utile anche a garantire allo spazio una nuova ragione di esistere. Ciò può creare opportunità rilevanti anche nei piccoli e piccolissimi centri urbani, dove spesso mancano i servizi che solo la presenza di tante persone può garantire. È ancora prematuro indicarla come una tendenza,

La diffusione e le ricadute dello smart working sono un caso recente sul quale riflettere, che presenta opportunità e rischi, promettendo grande duttilità e minacciando pericolose reclusioni domestiche.

L’opportunità data dall’ibridazione degli spazi, che da monotematici diventano polifunzionali, potrebbe permettere il recupero dell’esistente e la protezione del suolo residuo.

ma il Covid-19 sembrerebbe aver ridato valore alla vita fuori dai grandi centri urbani. I centri piú piccoli e periferici sono percepiti come piú sicuri grazie alla minore densità abitativa, come piú economici – nonostante le difficoltà economiche connesse alle conseguenze della pandemia siano ancora tutte da valutare –, e piú adatti a sfruttare le possibilità di connessione ubiqua offerte dal digitale. La diffusione e le ricadute dello smart working sono un caso recente sul quale riflettere, che presenta opportunità e rischi, promettendo grande duttilità e minacciando pericolose reclusioni domestiche. E potrebbe avere particolari effetti di esclusione per il genere femminile, che già adesso si fa carico della parte piú gravosa del lavoro di cura, e rischia di vedere questa situazione amplificata dal lavoro a distanza.

Il consolidamento della potenziale tendenza alla valorizzazione dei piccoli centri urbani dipenderà anche dalle capacità di organizzare la vita nei territori, sviluppando le facilitazioni che la tecnologia può garantire alle famiglie ma anche alle imprese. Potrebbe rappresentare una grande opportunità per l’Italia, storicamente policentrica, se le istituzioni e le imprese piú sensibili interpretassero come un volano di sviluppo l’implementazione di servizi innovativi e di base per la vita e la socialità delle famiglie. Ambienti unici per morfologia, cultura, arte, gastronomia potrebbero essere vissuti da nuove comunità che richiedono servizi moderni. È un grande salto prospettico, ma proprio in alcuni di questi contesti territoriali molto piccoli il supermercato come luogo di acquisto, già adesso predisposto e strutturato per il servizio in senso lato, potrebbe svolgere un compito privilegiato e funzionale alle caleidoscopiche nuove esigenze delle persone, facilmente aggregabili in questo luogo.

Ma c’è un altro capitolo potenzialmente connesso alle nuove necessità delle persone e all’oramai inderogabile riprogettazione degli spazi esistenti, che potrebbe diventare un fattore di rinascita: il ragionamento sul risparmio di suolo, legato alla riqualificazione del già costruito. Il suolo è un bene prezioso e finito, che non si rigenera una volta usato e cementificato. L’opportunità data dall’ibridazione degli spazi, che da monotematici diventano polifunzionali, potrebbe permettere il recupero dell’esistente e la protezione dello scarso bene prezioso che è il suolo residuo di cui il nostro paese dispone. Tutti i progetti del futuro devono fare i conti con la sostenibilità.

Il fattore tempo

Una delle incertezze piú grandi che abbiamo di fronte è dunque la quantità di tempo di cui disponiamo per ripensare agli assetti sociali, commerciali e urbanistici. Per quanto concerne il cibo le tendenze in atto non si fermeranno, tutti noi nel ruolo di clienti pretenderemo ciò che ci sembra utile e funzionale alla nostra ambizione di vita. Ma i tempi dei cambiamenti necessari al commercio sono tendenzialmente lunghi, perché profondi e impattanti per processi e strutture, e servirebbero davvero indirizzi istituzionali con una visione strategica perché le imprese possano sviluppare investimenti coerenti. In assenza di indirizzi certi, servirà responsabilità proprio da parte di coloro che a vario titolo ricoprono ruoli nella filiera alimentare, e sono chiamati a gestire cambiamenti e affrontare argomenti scomodi, temi difficili ma importanti in prospettiva come quelli dell’etica e delle scelte ambientali, la sicurezza, l’impatto sulla salute delle persone. Riuscirà una volta tanto la collettività economica a guardare al futuro e a lavorare per lasciare alle giovani generazioni qualcosa di migliore e non di peggiore di quanto è stato affidato alla nostra generazione? ◊

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