15 minute read
Milano e la sfida dell’Europa
from Relazioni: #1
by ale-rel
Un’intervista a Pierfrancesco Maran
Piazza Duomo è stranamente deserta, ma nonostante la calda giornata non è la canicola a tenere lontano le persone. È l’ombra lunga della pandemia causata dal Covid-19 a svuotare lo spazio pubblico. A cura di Stefano Lai Immagini Luca Strano
Advertisement
A Milano l’emergenza sanitaria non solo ha portato una tragica sequenza di lutti, ma ha colpito duramente l’economia e soprattutto l’immagine della città, lasciando i milanesi increduli e, per la prima volta dopo gli anni della crescita e della costruzione di un’identità forte, in balía di uno strisciante timore per il futuro. Relazioni: incontra Pierfrancesco Maran, Assessore all'Urbanistica, Verde e Agricoltura del Comune di Milano, nel suo ufficio con vista su piazza Duomo. Pierfrancesco Maran è giovane, ha da poco compiuto quarant’anni, sembra uno studioso ma non un secchione, conosce la politica, parla con sicurezza, senza esitazioni, e trasmette immediatamente l’impressione di avere ben chiaro in testa dove vuole arrivare.
Stefano Lai La prima domanda non può che essere di carattere personale. Cosa ti ha spinto verso la politica, visto che ormai da decenni si parla della disillusione dei giovani e della loro indifferenza per la gestione della cosa pubblica? Pierfrancesco Maran Il mio interesse verso la politica è nato durante il liceo, a metà degli anni novanta c’erano ancora degli studenti politicizzati, animati da un sentimento che crebbe notevolmente con la morte di Falcone e Borsellino. Le stragi di mafia hanno spinto me, e come me molti altri giovani, a uscire dall’immobilismo e a scegliere l’impegno politico e la cura della dimensione sociale.
I temi del territorio, invece, della politica di prossimità, li ho scoperti un po’ casualmente. Ero concentrato sui grandi problemi internazionali e sulle ingiustizie sociali “di sistema” quando, un mese prima della maturità, ho deciso di candidarmi per i Consigli di zona. Sono stato il piú giovane eletto a Milano e per un po’ di anni sono sempre stato “il piú giovane” in qualche ruolo istituzionale o funzione politica. Grazie a questa esperienza ho scoperto che accanto alle grandi questioni globali c’erano problemi che costituivano il tessuto immediato dell’esistenza delle persone: gli orari della biblioteca, la manutenzione del giardinetto… una dimensione della politica che secondo me è la piú bella. SL Peraltro sei entrato in giunta con Pisapia durante l’esperienza amministrativa che ha segnato il ritorno del centrosinistra al governo della città. PM Sí, esatto. Dei miei quarant’anni ne ho vissuti ventuno dentro le istituzioni; durante gli anni della mia “militanza” il centro-sinistra ha affrontato una faticosa risalita, e una lenta riconquista di quella che sembrava una città inequivocabilmente di destra. La sinistra sembrava destinata a non toccare palla, noi per primi ci sentivamo distanti dal senso comune dei cittadini. Alla fine degli anni novanta è cominciato un lungo percorso di ricostruzione della relazione con il territorio, all’interno del quale la fatica e la costanza sono stati elementi imprescindibili. E credo siano elementi essenziali di qualunque esperienza politica che non cerchi solo il consenso immediato, e ambisca a durare.
Poi dieci anni fa Pisapia ha fatto questa scelta che definirei “particolare”, affidandomi l’Assessorato alla Mobilità, che tanto per dare un’idea gestisce un miliardo e cento milioni su tre miliardi di bilancio comunale.
Luca Strano (1993) è un fotografo italiano che vive e lavora a Londra, dove ha recentemente conseguito una laurea in fotografia documentaria presso il London College of Communication.
Una scelta forse un po’ incosciente politicamente ma a conti fatti credo che sia andata bene per me, per il sindaco, e spero anche per la città. Del resto forse solo a trent’anni si poteva avere il coraggio, dopo sei mesi di assessorato, di varare l’Area c, la chiusura parziale del centro alle automobili. C’era stato un referendum, d’accordo, però era la prima volta in Italia che si adottava una congestion charge, una “tassa sul traffico”. A volte mi dico che forse in un altro momento della vita non l’avrei fatto. La decisione era coerente con la volontà di fare di Milano una città europea. A febbraio 2020, prima del lockdown, Milano era considerata una delle due o tre città piú dinamiche in Europa.
SL Tralasciando per un attimo la sospensione creata dal Covid-19, Milano è una città che è cresciuta tanto e continua a crescere, simbolicamente e fisicamente, espandendosi e inglobando i territori e i centri urbani limitrofi. Fino a dove può arrivare Milano, e che rapporto ha con i propri confini, con le aree-satellite che le gravitano attorno? PM Sicuramente fa parte della storia di Milano l’idea tossica che i comuni dell’hinterland fossero il dormitorio della città, mentre la città vera e propria si spopolava. Milano però nell’ultimo decennio si è ripopolata, è passata da 1.300.000 abitanti a 1.400.000. E non perché siano semplicemente arrivate 100.000 persone in piú: ogni anno arrivavano 40-50.000 persone, e se ne andavano 35-40.000.
Questi numeri danno l’idea di un fermento, che contiene molti piú aspetti positivi che negativi. Milano è entrata in competizione con Parigi, Barcellona, Londra, non portavamo via abitanti a Roma o Napoli, per molti eravamo e siamo stati l’unica alternativa italiana all’interno di uno spettro migratorio internazionale.
Negli anni settanta e ottanta si parlava molto della necessità di creare una città policentrica, ma io non credo si sia andati in quella direzione. Esistono dei centri alternativi, la fiera, Mind-Arexpo lo diventerà, Sesto San Giovanni. Ma quello che è accaduto in questi anni è che una città piccola come Milano ha avuto una straordinaria espansione del centro, che ha di fatto incluso tutte le zone all’interno della cerchia ferroviaria modellandole secondo caratteristiche omogenee, simili a quelle del centro. Porta Nuova e City Life non sono delle nuove centralità di Milano ma fanno parte del centro.
L’altra tendenza interessante che si stava già sviluppando, e che è stata incrementata nel periodo dell’emergenza sanitaria – la pandemia tra tante catastrofi ha avuto alcune conseguenze “reattive” che possono essere valorizzate in futuro – è la riscoperta delle dinamiche di quartiere.
Chi vive a Milano ha scelto di vivere a Milano, si riconosce nei valori di una città fondata sul lavoro e sulle opportunità. Una città in cui in parte devi vedertela da te, e quindi per certi aspetti dura, difficile. Ma anche una città che quando le cose vanno bene sa che deve restituire qualcosa alla comunità: il numero di ore di volontariato svolto dalle associazioni a Milano è impressionante per una città percepita tradizionalmente come “egoista”.
Scegliendo di vivere a Milano dunque si sceglie anche dove vivere, in quale zona, e quindi il tipo di esperienza della città che si vuole fare: c’è la città di chi si muove in macchina, quella di chi usa solo mezzi pubblici, le diverse città degli studenti universitari con annessa la geografia dei locali notturni, la città delle coppie e delle famiglie con i quartieri nuovi immersi nel verde e gli appartamenti piú grandi.
SL E in che modo la pandemia si è innestata su queste dinamiche di diversificazione della città? PM Noi pensiamo intuitivamente che la crisi sanitaria abbia giovato, per esempio, alla grande distribuzione, ai supermercati. A ben vedere, molti supermercati lamentano una perdita di clienti, particolarmente tra gli abitanti delle città a medio-alto potenziale d’acquisto, che hanno riscoperto i negozi di vicinato, e sono disposti a pagare qualcosa in piú per fare la spesa in una bottega di qualità, per il piacere e la comodità di trovare tutto sotto casa. Il paradosso da combattere è che questo rischia di creare un’ulteriore divaricazione rispetto alla periferia, che ha piú supermercati e meno offerta di piccoli negozi.
Durante il lockdown sono emersi con grande evidenza elementi di qualità della vita che prima
restavano impliciti: poter fare jogging sotto casa è un valore; il macellaio non ti sta derubando ma ti dà un prodotto garantito e un’esperienza di prossimità; avere il giardinetto per il cane nelle vicinanze è importante. La città in cui tutte le cose essenziali sono a 15 minuti a piedi di distanza, che è stata un nostro obiettivo, ora è diventata un valore primario e condiviso, mentre prima lo era solo per chi sceglieva – anche potendoselo permettere, certo – una determinata zona e quindi un determinato stile di vita.
SL Come si concilia questa grande espansione e differenziazione della città, e la sua accresciuta vivibilità, con una presenza massiccia dell’immigrazione e di fasce di popolazione che restano escluse dalle zone rese piú vivibili? Come
La città in cui tutte le cose essenziali sono a 15 minuti a piedi di distanza, che è stata un nostro obiettivo, ora è diventata un valore primario e condiviso, mentre prima lo era solo per chi sceglieva una determinata zona e quindi un determinato stile di vita.
si gestiscono i processi di integrazione senza creare quartieri-ghetto e forme di segregazione sociale? PM Milano secondo me ha alcune zone critiche ma non dei veri e propri ghetti. E gli unici punti davvero critici, significativamente, sono i quartieri che hanno soltanto edilizia popolare, nei quali non si è creato il mix abitativo e sociale che fa convergere tutte o quasi le fasce di reddito.
Noi stiamo investendo tanto al GiambellinoLorenteggio, in via Bulla, al Corvetto, che sono le sacche piú difficili. Il rovescio positivo dell’aumento dei prezzi è che tante famiglie che hanno un lavoro ma semplicemente non si possono permettere i prezzi delle zone semi-centrali scelgono di andare a vivere in quartieri tradizionalmente popolari, e critici, come Quarto Oggiaro, viale Monza, via Padova, creando cosí un tessuto socio-abitativo ideale, che rende davvero possibile l’integrazione. In zone in cui l’immigrazione è al 20% arrivano famiglie con un lavoro, con una buona formazione culturale, piú attente e piú disponibili all’incontro con altre culture. Di fatto nei quartieri dove ha funzionato meglio il libero mercato non abbiamo sacche esplosive dal punto di vista sociale.
Tuttavia bisogna monitorare che il mercato immobiliare non si stabilizzi su prezzi escludenti, proprio perché la cultura della città richiede che si abbia la possibilità di arrivare e giocarsi le proprie risorse anche senza tanti mezzi a disposizione. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare di una città come Milano, il 15% della popolazione vive in case popolari e il 70-72% in case proprie: un dato in calo, ma che ci dice
comunque che sette persone su dieci vivono in casa loro. È un elemento che va considerato quando si afferma che l’aumento dei prezzi è il male assoluto, perché significa che le case non sono in mano ai grandi fondi immobiliari, appartengono alle famiglie, che hanno investito e hanno visto incrementare il proprio patrimonio anche del 20%. Poi esiste un patrimonio di circa 100.000 case in affitto di cui ormai 20.000 sono occupate dai turisti.
In questo contesto gli studenti, i lavoratori fuori sede, le famiglie, i coniugi separati, appunto gli immigrati e altre categorie fragili sono a rischio espulsione, e vanno tutelate monitorando le dinamiche speculative. Va detto che a Milano queste dinamiche non sono gravi come si potrebbe pensare: esiste un Bubble Index promos-
so dall’istituto finanziario internazionale ubs che monitora un centinaio di città nel mondo per individuare le bolle speculative, e Milano a febbraio era fuori dalla bolla speculativa, il mercato non risultava drogato. Tuttavia la distanza tra il costo crescente degli affitti e gli stipendi medi è una forchetta che si sta ampliando, e questo ci preoccupa. A febbraio, una settimana prima dell’esplosione dell’epidemia, ho sollevato il problema di limitare Airbnb a Milano.
SL Parlando in uno dei suoi libri del “secolo delle città”, anche il sindaco Sala, insieme a tanti osservatori in tutto il mondo, sembra invocare uno scenario in cui le grandi città si autonomizzano dal tessuto degli Stati che le contengono, acquisiscono regole, meccanismi di funzionamento, relazioni e aree di influenza proprie, diventando degli organismi extra-territoriali, quasi delle città-stato. Anche secondo te si va verso questa configurazione? PM Il sindaco in realtà non parla mai di cittàstato, anzi contesta questa definizione e dice che Milano semmai è il motore, la locomotiva del paese, e che deve essere messa nelle condizioni di esercitare questo ruolo. Resta però il problema che proprio per incarnare una funzione di traino servono alla città un’agilità, un dinamismo, una possibilità d’azione diversi da quelli del resto d’Italia. Faccio un esempio a partire da una norma che ci siamo inventati a Milano, e che secondo me è eccezionale ma sarebbe molto critica se applicata al resto del Paese. Abbiamo censito 180 immobili abbandonati e offerto vantaggi e agevolazioni ai proprietari che avessero presentato un piano di intervento entro dodici mesi e aperto il cantiere per la rimessa in funzione entro diciotto mesi. Senza un piano di recupero entro il dodicesimo mese dal censimento l’immobile andava demolito e, in caso di mancata demolizione, veniva svalutato. Siccome gli immobili abbandonati a Milano sono in larga parte in mano alle banche, ai fondi d’investimento, alle assicurazioni, che mettono a bilancio valori immobiliari piú alti di quelli reali, la norma era un incentivo all’intervento per evitare svalutazioni che avrebbero pesato sui bilanci. Milano, però, seppure con molta fatica legislativa, può permettersi una norma di questo tipo che va a incidere sugli investimenti. SL Recentemente il sindaco Sala ha scritto ai leader europei per chiedere che le strategie di ripresa post-emergenza sanitaria includano investimenti strategici sulle grandi città. Come si fa a conciliare la grande città del lavoro e della produzione, che ha bisogno di infrastrutture e quindi può generare traffico, densità, inquinamento, e la città a misura d’uomo, vivibile, da attraversare in bicicletta? PM Io non credo ci sia contraddizione tra questi due approcci; il rischio semmai è creare un paese-arcipelago, formato da isole molto diverse tra di loro. Osservando anche il contesto internazionale io vedo che nelle grandi città, anche quando sono governate dalla destra o dal centrodestra, le strategie attuate sono davvero molto simili; chi governa fa quasi sempre le stesse cose, e chi si oppone dice quasi sempre le stesse cose. Magari è un abbaglio collettivo, ma le grandi città vanno tutte in una direzione coerente. L’idea di fondo è che la città debba diventare sempre di piú un’isola di vivibilità nella quale non basta avere un lavoro, ma è necessario preservare una certa qualità della vita, e quindi lo spazio pubblico viene valorizzato tanto quanto le infrastrutture. Le aziende che devono spostare la loro sede si informano sul livello delle scuole della città. Spesso pensiamo erroneamente che all’origine delle scelte ci siano motivazioni puramente economiche. Ma l’azienda che deve scegliere una città ha anche il problema di convincere manager e alti funzionari a viverci, e di conseguenza la vivibilità della città, i suoi spazi verdi, i mezzi pubblici, la connessione con il resto del mondo e quindi il sistema aeroportuale e ferroviario, la scuola come infrastruttura sociale, tutto viene valutato.
SL Come sarà la città del futuro e in che direzione si svilupperà il concetto di smart city? Come immagini Milano da qui a qualche anno e cosa stai facendo per prepararla? PM Il tema di fondo secondo me, di enorme rilevanza per tutte le città del mondo, è capire chi possiede i dati e come li si mette in condivisione. Perché c’è una distanza crescente tra le poche informazioni che ha a disposizione il pubblico e l’immane quantità di informazioni che
hanno i soggetti privati. Io non credo che la soluzione possa essere semplicisticamente rendere pubblica in blocco la proprietà dei dati, perché non è fattibile. Ma occorre un ragionamento su come una larga parte dei dati possa diventare un bene comune, a disposizione di tutti. È un punto essenziale che può produrre una vera svolta sia ambientale sia di qualità della vita. Pensiamo ai problemi della logistica e della mobilità. Se tutte le informazioni già disponibili fossero utilizzabili da chi deve fare una consegna, ogni fattorino inquinerebbe un terzo di quello che inquina oggi. Ognuno di noi integrando al meglio i servizi di viabilità esistenti potrebbe ridurre notevolmente la propria impronta di inquinamento e risparmiare decine di minuti al giorno sui tempi di spostamento. ha colpito duramente Milano, anche in termini di immagine. A un certo punto sembrava fosse l’epicentro dell’epidemia. Come ci si risolleva da questa situazione? PM Ci sono vari problemi. Uno è comunicativo, si tratta di ricostruire un senso di fiducia nella città, sia all’interno sia all’esterno. Il secondo è che abbiamo visto la morte alle porte della città. È una visione che lascerà delle tracce e indurrà i milanesi a un esercizio della prudenza e a prendere precauzioni anche maggiori rispetto a quelle prese dagli italiani che non hanno vissuto la crisi cosí direttamente. Terzo, non ci sono turisti. Questo certo è un fenomeno globale e non solo milanese.
Noi pensiamo però che Milano abbia delle caratteristiche per cui, quando si riaprirà davvero la competizione internazionale, sarà di nuovo
SL Come fai a convincere il privato, e in particolare le grandi compagnie della tecnologia e delle piattaforme digitali, a collaborare con il pubblico? PM Intanto il pubblico potrebbe utilizzare meglio alcune leve che ha, per esempio le autorizzazioni all’impianto di centraline 5g potrebbero essere concesse in cambio di una trasparenza seria sulle informazioni raccolte.
Quando abbiamo autorizzato le società di car-sharing a lavorare a Milano, abbiamo imposto loro di metterci a disposizione i dati che raccoglievano sulle loro corse. Le amministrazioni hanno questo grande potenziale, possono concedere la possibilità di fare cose comunque necessarie, chiedendo in cambio azioni di utilità pubblica. SL Sicuramente l’emergenza sanitaria lí in prima fila. Poi bisognerà aggiornarci, perché nel 2019 c’erano piú “week” tematiche delle cinquantadue settimane dell’anno. La crisi può affrancarci da alcuni eccessi di fiducia nell’evento permanente. Però sentiamo anche che c’è voglia di ritornare a visitare Milano, di ritrovare il suo istinto per il design e per la moda. Ci sono le condizioni per rialzarci e speriamo che avvenga presto. Non tutta la città è uguale: il centro è in grandissima difficoltà, e la sua sofferenza non è superabile senza turisti. Le zone dove non c’erano turisti né uffici ma che vivono della vita di quartiere si stanno riprendendo meglio. Ma la caratteristica che salva Milano è la sua attitudine a fare, a pensare soluzioni, a non stare fermi. Provarci, inventare, e alla fine trovare sempre un modo per risollevarsi. ◊