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Ultimo tratto

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IL DENARO NON BASTA MAI

di Giacomo Pedini

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abbiamo ammirato tutti la baia su Aasiaat screziarsi di luci porpora nella notte boreale, dolce e chiara. Il suo sottile skyline, che non opprime le semplici silhouette delle casette in legno, non ha mai brillato cosí, neppure quando il 25 dicembre lí è stato inaugurato Hui, l’edificio della rigenerazione perpetua. Abbiamo sospirato uno “uau” davanti alle facciate di mezzo mondo o sui nostri palmi di mano, mentre sfilavano i colori pastello degli abiti presidenziali. Ma il discorso tenuto dalla neo-speaker della Federazione eb, nonostante i toni vivaci, era pieno delle solite frasi: “armonia tra produzione e natura”, “dovere della salute e del benessere”, “astensione dai conflitti”. Molti si aspettavano altro. Insomma, a dieci anni dal suo lancio Axus ha un po’ tradito le attese. La festa di ieri in Groenlandia non servirà a rilanciarne l’immagine. Neanche la generale tregua di guerra sarà d’aiuto. La rivoluzione della valuta hi-digital, pensata per migliorare il funzionamento dell’alta finanza e dei grandi gruppi d’impresa, non si è realizzata. È vero che, nell’ultimo decennio, le esigenze commerciali globali non soffrono piú l’impatto nefasto dei frequenti conflitti armati tra usa, Grande Korea, Cina e, talvolta, la Regione europea. Sganciati dalle valute nazionali o continentali, i colossi dell’energia, dell’hi-tech e del food possono continuare il loro fondamentale lavoro, permettendo tra l’altro la vita e lo sviluppo di un ormai vastissimo indotto. Se proprio una rivoluzione c’è stata, ha riguardato solo una parte del mercato e dell’ambiente. Eppure Axus era nata nel 2040 per realizzare un disegno piú vasto. Non avrebbe solo dovuto rompere il rapporto distruttivo tra gli Stati nazionali e la catena produttiva, di modo che eventuali conflitti, piú o meno sanguinosi, non recassero duri contraccolpi al commercio e alle macro-politiche ecologiche. Certo, bisogna pur ammettere che tutto ciò è accaduto, se pensiamo alla realizzazione delle nuove metropoli orizzontali, pulite e auto-rigenerantisi. Aasiaat ne è un esempio eccellente. Le diverse battaglie per il controllo della baia di Baffin non hanno impedito al vecchio scalo portuale e aereo di trasformarsi nella eco-capitale di oggi. Devo poi aggiungere che con il tempo Axus è servito a smuovere i grandi capitali che vegetavano in quelli che allora erano paradisi fiscali.

Sono le promesse microeconomiche e, dunque, sociali a non essersi compiute. Perché se le grandi aziende e i loro capitali lavorano ormai su Axus, lo stesso non si può dire per il commercio locale, che gira tutto sulle vecchie valute elettroniche. Se vado a comprare le mele dal fruttivendolo, o dal tanto in voga Hortus di Françoise Choi, non pago certo in Axus. Stesso discorso per l’affitto o l’acquisto di un apparta-

mento, a meno che non stia dentro un asset: io, però, a casa mia ci vivo. Va insomma ricordato che la vita quotidiana di miliardi di persone è regolata da questa microeconomia, che non significa solo commercio al dettaglio. Naturalmente questo problema è piú evidente nelle aree di guerra, nonostante negli ultimi dieci an-ni siano sempre piú circoscritte, grazie anche all’efficienza dei conflitti simulati. Tuttavia le zone belliche finiscono comunque per subire una sorta di isolamento, con i conseguenti episodi di saccheggio.

Eppure si tratta di un problema minore, perché localizzato: ormai la questione fondamentale è accedere ad Axus. È ottenere dalla Federazione eb la possibilità di operare nelle nuove sedi di borsa, che gli sono esclusivamente riservate. Non è un caso che i vertici del nostro capitalismo sono, di fatto, immutati da quarant’anni. Se il xxi secolo è iniziato con la corsa entusiasmante al digitale e all’ia, i centometristi di allora si sono trasformati in podisti: tra quanto cederanno le loro gambe?

Sparse in aree diverse del mondo, stanno fiorendo, con le vecchie valute nazionali, nuove realtà lavorative: le piú fortunate – poche decine l’anno – vengono comprate da società Axus. Le altre imprese continuano a fatica. Il sostegno degli Stati è minimo: sono troppo impegnati a gestire le esigenze militari e le piú varie disparità sociali. Le vecchie borse ormai hanno un volume di scambi ridicolo, piú simile al baratto che al mercato.

Non è un caso che, nell’ultimo biennio, ai soliti conflitti tra gli Stati nazionali si siano aggiunte regolari esplosioni di violenza interne, spesso in aree periferiche o sollecitate da gruppi politici rampanti. Finché è successo nel deserto di Atacama o a Bonoua nulla di strano: sono zone altamente organizzate nella difesa del lavoro. Ora però ci sono i recenti fatti di Stoccolma e di Tel Aviv, per non dire del caos che ha rallentato Chongqing. Sono fenomeni locali, d’accordo, tutti pervasi da un certo fanatismo fuori tempo massimo. Però invocano, chi piú chi meno, la medesima (contro-)rivoluzione: abolire le valute digitali (Axus in testa) e tornare alla cartamoneta. La cosa è impossibile, ma fa preNotizie, opinioni, fatti e curiosità dal 2099. L’attualità del futuro, raccontata in anticipo. Immaginare il mondo alla fine del secolo, per andare oltre la fine del mondo.

sa perché coglie un serio problema: non è il benessere materiale a garantire il futuro, ma l’idea che ogni persona abbia la possibilità di scegliere per se stessa, secondo i propri principi. Il meccanismo generato da Axus ha migliorato la qualità materiale della vita di molti. Ha pure messo un freno al disastro ambientale: le grandi aziende globali sono riuscite là dove i trattati internazionali fallivano. Il prezzo è però l’evidenza che gli esseri umani sono divisi in due categorie, che dialogano pochissimo. Ecco perché non mi aspetto nulla di buono dall’insistere sull’“armonia tra produzione e natura” e il “dovere della salute e del benessere”, come dal fatto di gridare “ban-co-no-te ban-co-no-te”. Né l’una né l’altra “rivoluzione” placheranno il caos che ci portiamo addosso. Anzi non credo che serva una rivoluzione. Piuttosto suggerirei di prendere atto che il denaro, di carta o digitale che sia, non basta, nel bene e nel male. Serve qualcosa d’altro, che non si tocca né si conta.

Un filosofo di fine novecento ha scritto che una comunità si fonda sul dono. La particolarità di questo dono, però, è il suo essere invisibile, immateriale. È il gesto che ogni persona a un certo punto fa per l’altra, senza aspettarsi nulla in cambio. Perdipiú non servirebbe, perché l’altra persona, di per sé, fa un gesto analogo. Tutto ciò può sembrare uno scambio, assomigliare a un commercio: eppure non lo è. ◊

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