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L’altro contagio

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L’altro contagio: Europa e infodemia

Nei mesi piú critici della pandemia le istituzioni europee hanno registrato flussi anomali di notizie false o inattendibili che miravano a screditare la risposta europea all’emergenza, esaltando la gestione di Paesi come Russia e Cina. Il Parlamento europeo ha reagito coordinando campagne di verifica dei fatti e potenziando l’informazione sulle questioni sanitarie. Ma anche elaborando una strategia di lungo periodo che è l’unica arma possibile per combattere la guerra asimmetrica della disinformazione: rafforzare consapevolezza, senso critico e responsabilità.

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Testo Valentina Parasecolo

Il monitoraggio condotto dalle istituzioni europee ha registrato centinaia di migliaia di articoli e messaggi sui social media che veicolavano in modo coerente contenuti falsi e fuorvianti.

avete mai letto che l’Unione europea vorrebbe vietare gli spaghetti alle vongole? O dell’ordine di Bruxelles di abbattere gli ulivi in Puglia? Vi siete mai imbattuti in un post o un tweet sull’Ue che impone i sacchetti per frutta e verdura a pagamento? Nessuna di queste presunte notizie è vera. Ma fanno tutte parte della sistematica attività di disinformazione – condotta soprattutto online e capace di aggregare consensi trasversali e di fare opinione – di cui è oggetto l’Unione europea.

La complessità dei meccanismi democratici e la scarsa familiarità del dibattito pubblico italiano con i temi non immediatamente riconducibili alla politica interna fanno dell’Unione europea un terreno fertile per la diffusione di fake news, un fenomeno che la struttura dei social media e la crisi dei media tradizionali hanno amplificato. E che durante l’emergenza legata al Covid-19 ha assunto le dimensioni di una vera e propria “infodemia”, secondo la definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità: una proliferazione di informazioni spesso false o imprecise che hanno generato confusione e sfiducia nei cittadini ostacolando anche l’efficacia della risposta sanitaria. Dalle illazioni sull’origine del virus, alle indicazioni mediche contraddittorie, fino agli scenari complottisti su vaccino e tecnologia 5g, contagio epidemico e contagio infodemico si sono alimentati a vicenda. Nel vortice della disinformazione, accelerato dall’utilizzo intenso dei social durante il lockdown, sono finite anche le azioni messe in campo dall’Ue, distorte da un flusso consistente di notizie senza fondamento.

Il contrasto alla disinformazione è un’attività complessa, in cui bisogna distinguere i contenuti apertamente illegali da quelli dannosi ma legali. E la diffusione inconsapevole di informazioni false, nella quale un cittadino può incorrere in buona fede, dalla disinformazione tendenziosa condotta a scopo di lucro o con l’obiettivo di alterare l’opinione pubblica. È difficile stabilire con certezza, nella galassia di fonti ed emittenti, nelle intricate catene di condivisione e diffusione, da dove provengano le notizie, chi le abbia messe in circolazione, a quali scopi. Durante l’emergenza sanitaria legata al Covid-19, tuttavia, il monitoraggio condotto dalle istituzioni europee ha registrato in tutto il mondo centinaia di migliaia di articoli e milioni di menzioni sui social media che veicolavano in modo coerente messaggi falsi e fuorvianti. Supportata dai dati raccolti da un rapporto della European Union External Service (eeas), la Commissione europea ha denunciato l’esistenza di una serie di campagne di disinformazione dolose. Affermando, in un documento datato 10 giugno 2020, che durante lo sviluppo della pandemia “soggetti esterni e alcuni paesi terzi, in particolare Russia e Cina, hanno avviato nell’Ue e nel resto del mondo operazioni di influenza mirate e campagne di disinformazione incentrate sul Covid-19”. Con obiettivi precisi: “Boicottare il dibattito democratico, esacerbare la polarizzazione sociale e migliorare la propria immagine nel contesto della pandemia”.

Il report eeas descrive un’azione coordinata di condizionamento delle fonti informative, finalizzata a diffondere l’idea che alcuni paesi (in particolare Russia e Cina) agissero contro il coronavirus piú efficacemente rispetto ai paesi europei, e quindi a indebolire la fiducia nei si-

stemi democratici dell’Ue. Sempre secondo il report eeas la Cina avrebbe utilizzato anche gli account dei media di Stato, delle ambasciate e dei mezzi di informazione vicini al Partito per “contrastare le accuse” relative al ritardo con cui ha lanciato l’allarme sul virus, negare la responsabilità della diffusione planetaria dell’epidemia, e “utilizzare la pandemia per promuovere il proprio sistema di governo e rafforzare la propria immagine all’estero”.

La narrazione cosí orchestrata insisteva sul fallimento dell’Unione europea nella gestione della crisi, sulla mancanza di supporto ai paesi membri cui sopperivano gli aiuti e il sostegno provenienti proprio dalla Cina, sulla lentezza degli interventi di Bruxelles e sugli egoismi reciproci degli Stati europei. Al contrario le azioni promosse dall’Europa dopo lo scoppio dell’epidemia venivano oscurate e faticavano a entrare nella cronaca dell’emergenza. L’Europa era rappresentata sull’orlo dell’implosione, immobile e impotente, mentre gli aiuti russi e cinesi – poi rivelatisi piú utili alla propaganda che alla pratica sanitaria – venivano esaltati come operazioni salvifiche. Anche con la complicità dei media italiani, che hanno accolto l’arrivo del team di esperti dal Cremlino in Italia a metà marzo con uno storytelling enfatico e poco attento ai fatti. Risultato, a fine marzo il 52% degli italiani riteneva la Cina un partner amico, contro il 10% di gennaio. Viceversa, il sostegno alla Ue era sceso dal 42% di settembre al 27%.

Si è trattato insomma di un doppio attacco virtuale in grado di alterare sensibilmente l’opinione pubblica della regione del mondo con il regime democratico piú evoluto. Approfittando proprio del fatto che un simile regime prevede un livello ambizioso di discussione e armonizzazione dei punti di vista e degli interessi, con tempi sicuramente meno veloci rispetto a un sistema autoritario.

Osservata da dentro le istituzioni europee la lotta contro la disinformazione è una sorta di guerra asimmetrica: al fuoco incrociato di armi non convenzionali dalla potentissima capacità di penetrazione nel tessuto sociale si deve necessariamente rispondere con le armi spesso “depotenziate” dei protocolli istituzionali e del diritto. Di fronte a una nebulosa di messaggi non tracciabili, opachi, anonimi, in una giungla di account falsi, inverificabili, automatizzati, che condividono un flusso incontrollabile di notizie, le istituzioni devono reagire restando entro il perimetro della neutralità, della verifica paziente, della citazione di dati inoppugnabili. Anche perché il problema della disinformazione da “tecnico” si fa immediatamente politico: indicare esplicitamente uno Stato come committente di campagne di disinformazione per lo piú anonime o “mediate” da agenti difficilmente identificabili espone le istituzioni europee all’accusa di abbandonare la propria neutralità politica. Il contrasto alle fake news, infine, come afferma chiaramente la Commissione europea, deve essere compatibile con il pieno esercizio della libertà d’informazione, e non può essere condotto attraverso strumenti che limitino l’indipendenza dei media. Al contrario, è proprio il rafforzamento e il sostegno dei media indipendenti a costituire uno degli argini fondamentali al decadimento dell’informazione.

Confutare ogni singolo dato diffuso, del resto, è un proposito chimerico: la disinformazione si può combattere soltanto attraverso l’educazione, l’alfabetizzazione mediatica, il rafforzamento delle capacità critiche, il potenziamento degli strumenti di verifica. Che non devono essere utilizzati soltanto a livello istituzionale ma trasferiti agli operatori dell’informazione, chiamati a diffondere notizie verificate e a verificare quelle sospettate di fare disinformazione, e poi ai cittadini stessi, per metterli nelle condizioni di difendersi autonomamente dall’esposizione alle notizie false.

Già nel 2018 la Commissione europea e l’Alto rappresentante per la politica estera e di difesa avevano definito un approccio contro l’alterazione delle informazioni che mirava a coinvolgere l’intera società, dalle istituzioni ai giornalisti, dai ricercatori ai fact-checker, dai media digitali alla società civile. La piattaforma euvsdisinfo e i relativi account social documentano il lavoro fatto negli ultimi anni per contrastare le campagne di disinformazione, in particolare quelle provenienti dalla Russia. Riprendendo questo modello, le istituzioni europee hanno agito su piú livelli per rispondere alla disinformazione lega-

La disinformazione si può combattere soltanto attraverso l’educazione, l’alfabetizzazione mediatica, il rafforzamento delle capacità critiche, il potenziamento degli strumenti di verifica.

ta all’emergenza sanitaria. In collaborazione con l’oms hanno promosso il monitoraggio dei media per la verifica della correttezza scientifica delle informazioni in circolazione. Hanno potenziato la formazione dei giornalisti e dei professionisti della comunicazione attraverso l’organizzazione di corsi online e webinar promossi centralmente da Bruxelles, pensati anche per sensibilizzare gli influencer ai pericoli della disinformazione e appoggiarsi alla loro capacità di orientamento dell’opinione pubblica. La costituzione di un Osservatorio europeo dei media digitali consentirà di creare una comunità di verificatori di fatti e ricercatori universitari, e di elaborare strumenti digitali open source per l’individuazione di notizie inattendibili e flussi di informazioni sospette. Entro la fine dell’anno, infine, la Commissione dovrebbe lanciare un bando da 9 milioni di euro per selezionare progetti volti a creare centri regionali di ricerca sui media.

Sulla base di questi approcci complessivi, il Parlamento europeo ha anche allestito campagne di comunicazione attiva e di demistificazione. Ha utilizzato i propri account social per sviluppare thread e post dedicati alle bufale e alle informazioni scorrette piú diffuse. Ha potenziato la collaborazione con i fact-checker indipendenti e ha elaborato progetti editoriali che raccontano origini e dinamiche di diffusione delle notizie false (come il format “TrUe” ideato insieme a “Repubblica”).

A marzo 2019 è stato istituito un sistema di allarme rapido per mettere in contatto tra di loro gli esperti di disinformazione delle istituzioni europee e degli Stati membri. Centrale poi nel tentativo di debellare l’infodemia è stata la cooperazione con i social media e le piattaforme online, supportate nella definizione di un piano di buone pratiche che permettano di promuovere informazioni attendibili e autorevoli fornite da autorità sanitarie nazionali e da organi di informazione riconosciuti, e di rimuovere i contenuti falsi e potenzialmente dannosi per la sicurezza pubblica e la salute dei cittadini.

Infine, e forse soprattutto, la comunicazione europea dovrà fare tesoro dell’esperienza della crisi infodemica per inventare modi nuovi di raccontarsi, che sappiano prevenire la disinformazione sottraendole argomenti. Dovrà far emergere con chiarezza il fatto che l’Ue si è dimostrata negli ultimi mesi un orizzonte di concreto sostegno per la comunità dei propri cittadini. E comunicare efficacemente l’importanza degli accordi sul bilancio pluriennale e il Next Generation eu, l’ambizioso piano di rilancio post-crisi che punta su ambiente e digitalizzazione e dispiega risorse senza precedenti, non solo in senso quantitativo, ma per il notevole passo avanti nel processo di integrazione che gli accordi implicano.

La strategia di contrasto alla disinformazione, dunque, non può che avere come obiettivo a lungo termine il sostegno alla creazione di un sistema informativo e di una cittadinanza sempre piú consapevoli, critici e responsabili. La democrazia si fonda sulla trasparenza, e la soglia di attenzione delle istituzioni su questo aspetto deve essere alta per impedire ingerenze e mistificazioni. Ma non esiste una verità che possa essere imposta per via istituzionale: solo una diffusa cultura critica può proteggere i processi democratici e le società aperte dai loro nemici. ◊

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