GRANT MORRISON ALL STAR

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GIOVANNI AGOZZINO NICOLA PERUZZI ANTONIO SOLINAS

GRANT MORRISON ALL STAR

cura grafica SAMUEL DAVETI

supervisione LORENZO CORTI

copertina FRANCESCO BIAGINI


www.gm-allstar.blogspot.com La presente opera è pubblicata con lo scopo di costituire un’analisi critica e storiografica. Pertanto tutte le immagini presentate sono riprodotte con finalità scientifiche, ovvero di illustrazione, argomentazione e supporto delle tesi sostenute dagli Autori. Le traduzioni delle interviste contenute nel volume sono opera degli Autori. Per le traduzioni estratte dai fumetti, laddove esista la traduzione italiana, si è utilizzata la versione ufficiale, salvo diversa indicazione. © aventi diritto

“Grant Morrison: ALL STAR” è copyright © 2010 Associazione Culturale DOUbLe SHOt Associazione Culturale DOUbLe SHOt e il logo DOUbLe SHOt sono copyright © 2010 Associazione Culturale DOUbLe SHOt Il logo è opera di Fabio Lai Copyright © 2010 dei rispettivi autori Nessuna parte di quest’opera può essere riprodotta o trasmessa (se non a scopo di recensione) in qualsiasi forma o mezzo senza il preventivo permesso da parte dell’editore.


sommario

PREFAZIONE

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introduzione

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capitolo uno

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capitolo due

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capitolo tre

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capitolo quattro

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capitolo cinque

87

capitolo sei

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capitolo sette

147

galleria immagini capitolo otto

161 177

capitolo nove

195

capitolo dieci

225

capitolo undici

259

di michele foschini degli autori

gli inizi di carriera (1978-1987) esordi “vertiginosi” (1988-1989) la consacrazione in casa dc/vertigo (1989-1992) interludio anglo/americano (1990-1998) imparando a diventare invisibile (1994-2000) bombardare il sistema: kill & flex (1995-1996) i più grandi eroi del mondo (1997-2000)

m come marvel (2000-2004)

rivoluzionare lo storytelling (2002-2006) world’s finest (2006-2009) oltre i supereroi (2009-2010)

il Morrison extrafumettistico intervista a grant morrison la casa dei desideri del cuore grant morrison: bibliografia completa

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prefazione

di michele foschini Grant Morrison non è molto furbo. Viviamo in una società profondamente affascinata dalla narrazione. Per quanto siano cambiate le metodologie del racconto, l’uomo moderno si nutre ancora di storie, di aneddotica, di trame e combinazioni di archetipi, adattati nell’apparenza e nell’esposizione al pubblico del nostro tempo. Gli autori più bravi a paludare nella modernità i topoi classici sono, molto spesso, i più apprezzati. Oltrepassare il sipario che protegge il fruitore dai trucchi dell’artista, tuttavia, spesso coincide con una cocente delusione. I meccanismi di giustapposizione, reinterpretazione, il reverse engineering delle storie a scatole cinesi, ne rivela le componenti fondamentali per ciò che sono: materia inerte che assume una valenza universale, una profonda significatività, solo quando viene esposta in un certo ordine, in un certo modo, secondo l’arte del narratore. Invece di meravigliarsi della capacità di qualcosa di tanto indefinito e generico di suscitare emozione semplicemente grazie a un’accurata disposizione ed esposizione degli eventi narrati, l’incauto curioso perde entusiasmo, demistifica il processo del racconto e si sente tradito. Perché è nell’animo umano credere nella magia. Ecco perché Grant Morrison ha cambiato le regole del gioco. Le sue storie non sono facilmente scomponibili nelle componenti primarie perché il diabolico scozzese non è appassionato di citazionismo, non utilizza snodi narrativi ricorrenti, non bara, costruendo storie all’inverso per arrivare a denouement costruiti a tavolino, non cede alla tentazione dei sentimentalismi (pur essendo uno dei pochi esponenti di riguardo della British invasion che non è possibile tacciare di anaffettività nel modo di raccontare le relazioni) e non è un fanatico del colpo di scena a tutti i costi. Passando da oscuri supereroi minori a gruppi di personaggi nati (editorialmente) morti, da testi teatrali in forma di fumetto al metalinguaggio che allude all’esistenza di un mondo “al di qua” del foglio di carta e di uno “al di là” – concentrando così mirabilmente l’attenzione sulla superficie d’attrito nel mezzo, il piano bidimensionale che ipotizza tutte le altre dimensioni, il foglio che è matrice della storia stessa – Morrison ha dimostrato per un quarto di secolo la soprannaturale solidità delle idee, la capacità degli archetipi di sopravvivere alle deformazioni del narrare, reinterpretando con una meticolosità senza uguali concetti apparentemente così usurati dal tempo e dal progresso da sembrare ormai inservibili perfino come fonte di intrattenimento. E proprio non disdegnando di lavorare su icone dell’intrattenimento, ha dimostrato come a certe congiunture sia superfluo, inutile parlare di distinzione tra letteratura popolare e d’autore. Perché le implicazioni delle storie di Morrison si possono proiettare, aumentandone la scala, all’infinito – oltre che alle estreme

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conseguenze – senza che esse perdano la loro forma, la loro intenzione originale. Che stia raccontando la psiche di Batman o la Creazione mascherata da allegoria teatrale, Grant Morrison sta sempre ragionando di massimi sistemi. Se le storie a fumetti sono preparati composti da molecole narrative, scomponendo le quali si ottengono semplicemente atomi, ovvero materia indifferenziata, le storie di Morrison sono massicce, fatte essenzialmente di storia, come un frattale, la cui forma si ripropone dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Il libro che avete tra le mani è estremamente umile e concreto. È stato scritto con passione da persone che hanno saputo mantenere un oggettivo distacco dalle storie, reso possibile in parte dalla straordinaria natura delle storie in questione: esse hanno la stessa forma da qualunque distanza le si guardi. È oltretutto una lettura appassionante a più livelli, perché non si limita a una disamina dei meccanismi narrativi o delle circostanze che hanno portato alla realizzazione delle opere per le quali Grant Morrison è celebre e celebrato nel mondo. I capitoli che seguono saranno una sorpresa per chi si sia da poco accostato al lavoro di questo eclettico sceneggiatore, e un’autentica rivelazione per chi già si consideri un appassionato o un esperto dell’opera dello scozzese, dato che rivelano una quantità di rimandi, influenze e macrotematiche non superficiali che spesso sfuggono anche a letture ripetute. Possibile? Una tematica difficilmente percepibile è solitamente segno di scrittura debole, di obiettivi mancati. A meno di non scrivere per l’inconscio. Uno scrittore furbo non lo fa. Si limita a titillare le estensioni mentali dei sensi, evocando, emozionando tramite ricostruzioni meticolose di aspetti della realtà, veicolando il proprio messaggio nell’atmosfera artificiale della storia. Grant Morrison non è molto furbo. Parla a una parte di noi che sta sotto a tutti i costrutti dell’intelletto, le razionalizzazioni della realtà. La parte che crede ancora che la magia sia possibile (e che cosa intenda per magia è una delle tematiche più interessanti delle pagine che potrete leggere non appena la smetterò di distrarvi). Le sue storie sono un pugno all’anima, dopo il quale stiamo tutti invariabilmente meglio. Sconcertati dall’ovvietà di qualcosa che abbiamo sempre avuto davanti agli occhi e che non abbiamo visto mai. Grant Morrison è un uomo con un evidenziatore in mano, che sottolinea i passaggi che più gli interessano del vostro libro preferito. E quando ve lo restituisce, se leggete solo ciò che ha evidenziato, scoprite una storia nuova, che non avevate mai sospettato potesse esistere tra quelle pagine. Benvenuti nel mondo di un mago del caos che lavora di sottrazione per far emergere l’ineffabile dal quotidiano. Non vorrete più andare via. Michele Foschini Milano, ottobre 2010

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introduzione

di giovanni agozzino, nicola peruzzi e antonio solinas Il libro che state per iniziare a leggere nasce dall’insana passione di tre individui per l’opera (e anche il personaggio, perché no?) di Grant Morrison, e si è concretizzato in quelli che, un po’ melodrammaticamente, sono stati quasi 9 mesi (un parto) di sangue, sudore e lacrime. Più sudore che sangue e lacrime, in verità, ma tant’è. Messa così, si potrebbe anche non dire altro, e lasciarvi alla lettura. Ma un piccolo preambolo con alcune spiegazioni ci sembra invece d’obbligo. Il libro è nato all’improvviso e quasi casualmente, anche se poi, a ben vedere, in situazioni del genere la casualità non sembra mai esistere, se si va a scavare abbastanza in fondo. Tutto è partito da una mail di Giovanni Agozzino ad Antonio Solinas, nell’Ottobre 2009: “Perché non scriviamo un libro su Morrison?”. “Volentieri, ma solo se coinvolgiamo anche Nicola Peruzzi”. “Ci avevo pensato appena spedita la prima mail, a dir la verità”. Semplice, vero? Ma le cose non sono mai così facili. Durante la gestazione dell’opera ci siamo resi conto che stavamo procedendo sul filo di coincidenze dal sapore “magico”. Per iniziare, il 2010 è l’anno ideale: Morrison ha appena compiuto 50 anni, e documentari e libri in lavorazione sembrano essere sull’orlo di consacrarne una volta per sempre l’immagine nel campo non solo delle “controculture” (qualunque cosa il termine significhi) ma anche a livello del pubblico di massa. Oltretutto, l’idea di una degna celebrazione dell’opera era nell’aria da anni, addirittura da prima che i tre autori si conoscessero. Nel 2001, Antonio Solinas era arrivato vicinissimo ad intervistare Morrison dal vivo, a Bristol, per la defunta “emailzine” Rorschach. Successivamente, lo stesso era accaduto a Peruzzi nel 2005 a Glasgow, ad Agozzino e, di nuovo, a Solinas intorno al 2006. Tutti contatti resi infruttuosi dal fatto che, evidentemente, non era il momento. Chi li conosce, sa che Peruzzi e Solinas vanno vaneggiando da anni di un articolo “Perché The Invisibles è il più grande fumetto mai scritto”, che sarebbe dovuto apparire sulla defunta webzine Comics Code. Quindi, in maniera rigorosamente terapeutica, ci siamo messi a scrivere un libro di cui non sapevamo nulla. Men che meno avevamo un editore. Dobbiamo ringraziare la lungimiranza di DOUbLe SHOt, che da anni fa un lavoro editoriale che apprezziamo e con cui ci sentiamo, a diversi livelli, in sintonia, e che ha accettato di produrre un’opera ambiziosa e che speriamo mantenga le promesse. In Italia e, passateci un filo di presunzione, nel mondo, non esiste un saggio

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che tenti di inquadrare criticamente l’opera di uno scrittore della grandezza di Morrison nella maniera che gli spetterebbe. Il 2010 è il momento giusto perché le cose cambino. I segnali, non solo in Italia, ci sono, e a noi fa piacere metterci in gioco e tentare di fare da apripista. Per quanto riguarda la struttura, abbiamo cercato di temperare l’impostazione cronologica, quando fosse il caso, accorpando insieme fasi tematiche analoghe. Per fare un esempio comprensibile, tutti i fumetti scritti insieme a Mark Millar sono analizzati nello stesso capitolo, il quarto. Allo stesso tempo, la nostra ambizione, in omaggio alla conclamata passione per esoterismo e magia di Grant Morrison, è stata quella di voler fare un libro che possa esser letto anche in maniera non lineare (una sorta di mini-ipersigillo, insomma). In questo senso, l’uso di box e di estese interviste inedite ai collaboratori chiave di Morrison è uno strumento d’aiuto per il lettore interessato a tornare indietro ed approfondire la lettura in maniera non rigida, così come lo sono il fumetto (pubblicato per la prima volta in Italia) La casa dei desideri del cuore, prima apparizione della parola feticcio Barbelith, e l’esaustiva intervista esclusiva all’autore. Senza dimenticare il blog, http://gm-allstar.blogspot.com, che sarà uno strumento di approfondimento parallelo al libro e che, nelle intenzioni dovrebbe fungere da interfaccia con i lettori. Alcuni ringraziamenti sono assolutamente dovuti. Rigorosamente in ordine sparso: Grant Morrison, Kristan Morrison, Frank Quitely, Gary Erskine, Dom Regan, Richard Case, Chaz Truog, Steve Yeowell, Alessio D’Uva, Paul Grist, Steve Bunche, Chris Weston, Nicola d’Agostino, Frazer Irving, Rian Hughes, Chris Blythe, Steve Parkhouse, John Bamber, Patrick Meaney, Steve Cook, Dan Fish, Dez Skinn, Emiliano Longobardi, Simone Satta, Matteo Bernardini, Carlo Del Grande, Alessio Danesi, Biblioteca delle Nuvole di Perugia, Michele Foschini per l’introduzione, Francesco Biagini per l’ottima copertina e soprattutto le rispettive consorti/fidanzate, che hanno sopportato stoicamente le nostre paturnie morrisoniane per un tempo forse troppo lungo.

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CAPITOLO UNO

gli inizi di carriera (1978-1987) Le origini (segrete) di Grant Morrison Grant Morrison, nato nella zona di Corkerhill, Glasgow (Scozia) nel 1960, può giustamente definirsi un predestinato. A suo dire,1 le uniche altre carriere che gli sarebbero potute interessare da bambino erano quelle di astronomo e cowboy: ma essendo abbastanza scarso in matematica, e visto che i cowboy erano piuttosto fuori moda, la scelta, praticamente obbligata, fu quella di dedicarsi ai fumetti. Battute ad effetto a parte, i fumetti erano certamente nel destino di Morrison: sin dall’infanzia è esposto in maniera massiccia all’influenza dei comics (quelli storici britannici, ma soprattutto quelli americani) e, parallelamente, a quelle idee bizzarre e controverse che trovano uno sfogo naturale nell’intrattenimento di massa. Idee bizzarre come quelle della madre di Morrison, grande fan di Star Trek e fantascienza in genere, che credeva fermamente che la razza umana provenisse da Sirio. Tramite la famiglia, e soprattutto lo zio, grande appassionato di comics (in particolare di Jack Kirby e Steve Ditko), l’immaginazione di Morrison, poco più che bambino, entra in contatto con gli aspetti più visionari della materia fumettistica americana, in particolare il Dr. Strange della Marvel Comics. L’immersione completa negli incredibili mondi disegnati da Ditko (e da Kirby, forse la più grande influenza “nascosta” dell’autore) appassiona il giovanissimo Grant, che è solito girare per i parchi di Glasgow nell’amato costume da Flash cucito dalla madre, a tal punto che ben presto il ragazzo decide di tentare di emulare i propri idoli, creando i primi fumetti scritti e disegnati in casa (il primo, The People of the Asteroids, lo produce da solo a otto anni per la madre). Già questi primi tentativi, una miscela di fumetto supereroistico e fantascienza classica, mostrano il tentativo di cercare (con un certo successo) la propria voce. In pochi anni, Morrison, che frequenta il liceo artistico di Glasgow, si impegna così tanto nel disegno da riuscire a raggiungere un livello di perizia grafica che lo rende una piccola celebrità locale, come testimoniato da un articolo pubblicato nel 1976 sul giornale The Reporter.2 Il pezzo, al di là degli aspetti folcloristici, è interessante per una curiosità, cioè il lusinghiero giudizio da parte della divisione inglese della Marvel Comics: il futuro “Pet Shop Boy” Neil Tennant (all’epoca editor della Marvel UK), si definisce “molto impressionato” dal lavoro del giovane Grant. Lo stile di Morrison, dal sapore vagamente psichedelico e già discretamente

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personale, si è ormai evoluto, fino a incorporare influenze diverse come J. G. Ballard, Leibniz3 e Jim Starlin (all’epoca sceneggiatore e disegnatore dell’acclamato Warlock per la Marvel americana), ma è sempre orientato verso territori supereroistico-fantascientifici. Near Myths e la scoperta di se stesso Dopo quattro numeri di una fanzine scolastica, The White Tree, per cui disegna le copertine e concepisce la serie Armageddon & Red Wine, a soli diciassette anni Morrison esordisce a livello professionale con le storie per il magazine sci-fi per adulti Near Myths. La rivista di fantascienza alternativa, stampata a Edimburgo, è un misto di anarchia e ambizione e, sebbene immatura nell’approccio e abbastanza caotica nella gestione, costituisce il perfetto “brodo di cultura” per il giovane Morrison, che aveva conosciuto l’editor capo Rob King a una convention fumettistica a Glasgow. Per Near Myths, Morrison inventa il personaggio di Gideon Stargrave (successivamente riutilizzato più volte nel corso della carriera, in particolare in The Invisibles), un avventuriero “entropico” apparso sui numeri tre e quattro della rivista e fortemente debitore del Jerry Cornelius di Michael Moorcock, ma soprattutto del protagonista di The Day of Forever (in italiano Il Giorno Senza Fine) di Ballard. Sebbene la narrazione sperimentale e in qualche modo non-lineare sia più ispirata alle brillanti intuizioni di Ballard e al cut-up di Williams Burroughs, certa hipness riconducibile a Cornelius ha determinato, nel corso degli anni, forti frizioni con Moorcock, che in varie occasioni ha definito Morrison “un disonesto” e “un ladro”.4 Fatto strano, sia perché Cornelius in qualche maniera è sempre stato un personaggio open source che altri hanno utilizzato, citato e omaggiato a piacimento, sia perche su Near Myths veniva pubblicato anche il The Adventures of Luther Arkwright scritto e disegnato da Bryan Talbot, a sua volta ispirato alle storie dell’anti-eroe creato da Moorcock. Una possibile spiegazione dell’astio dello scrittore inglese nei confronti di Morrison può essere legata a un pungente passo della recensione di quest’ultimo a The Adventures of Luther Arkwight5 di Bryan Talbot, riferita alla prima raccolta apparsa su Pssst!:6 “Nonostante la ridicola introduzione di un Michael Moorcock manifestamente annoiato...”. La tecnica narrativa utilizzata in Gideon Stargrave, a partire dalla prima storia, The Vatican Conspiracy, si caratterizza come frammentata, barocca e difficile da seguire. Il segno di Morrison è immaturo, ma già sufficientemente personale da sopperire a carenze tecniche comunque ancora troppo evidenti. A livello di sceneggiatura, in ogni caso, si notano già i prodromi di quello stile “da dandy” (una miscela di

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Near Myths n. 4, disegni di Grant Morrison Š Galaxy Media, 1979 – per gentile concessione di Daniel Fish (http://fish1000.biz)

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“swingin’ London”, cinismo in stile Byron, psichedelia e venature pop), che poi diventerà uno dei punti forti dello sceneggiatore. A detta dell’autore, “Le storie di Stargrave erano completamente pazzesche… avevamo la libertà di fare quello che volevamo e ognuno [in Near Myths] aveva l’ambizione di innalzare i fumetti dalla feccia, per farli entrare nel regno dell’Arte Alta. Alla fine, invece, la mancanza di disciplina ha avuto come risultato storie autoindulgenti e impenetrabili che non hanno fatto nessun tentativo di comunicare col lettore medio”.7

La storia di Gideon Stargrave È stato Morrison in persona, nella pagina della posta di The Invisibles vol.1 17 (febbraio 1996), a raccontare la storia editoriale del proprio personaggio feticcio, Gideon Stargrave, alter ego del super-assassino leader degli Invisibili, King Mob. Il personaggio ha fatto la prima apparizione nel numero 3 della rivista “di base” Near Myths nel dicembre 1978, in The Vatican Conspiracy. La storia, scritta e disegnata dal Morrison adolescente, è ispirata dall’entusiasmo dell’autore per il lavoro di J.G. Ballard e Michael Moorcock. Stargrave si presenta come una smaccata imitazione del Jerry Cornelius di Moorcock, uno spietato ma simpatico assassino che ha inavvertitamente spedito la terra verso uno stato di crisi e caos terminali tramite l’uso di una macchina del tempo difettosa. Questa sorta di James Bond mod e polisessuale è protagonista di un’avventura in due parti pubblicata su Near Myths e di decine di storie a fumetti e in prosa rimaste inedite, che secondo Morrison ora si possono leggere per quello che erano: “una strappalacrime richiesta di aiuto da parte di un adolescente tormentato e frustrato sessualmente”. Una seconda versione di Gideon Stargrave, coi capelli in stile Beatles e un approccio da “swinging London”, che l’autore giudica meno imbarazzante della prima, modellata sul Morrison ventunenne (che all’epoca suonava la chitarra e cantava nel gruppo punk psichedelico The Mixers) appare nel 1981, ed ha minore fortuna editoriale dell’originale. Infatti, il reincarnato Stargrave sarebbe dovuto essere il protagonista di The Entropy Concerto (un chiaro omaggio al libro di Moorcock Entropy Tango, il cui protagonista era Cornelius) una storia apparentemente portata a termine ma mai pubblicata. Lo Stargrave coi capelli a caschetto appare soltanto in una storia di due pagine, Famine, per l’antologia Food For Thought (Flying Pig Enterprises), edita nel 1985 da Gary Spencer Millidge come “charity comic” per l’Etiopia (il fumetto ospita autori come Alan Moore, Bryan Talbot, Hunt Emerson, David Lloyd, Alan Davis, Dave Gibbons e Pat Mills-Kev O’Neill). Dopo una pausa durata oltre un decennio, Morrison recupera il personaggio nella veste di una delle personalità di King Mob, anarchico, assassino, musicista rock, adepto delle discipline tantriche, mago e romanziere. Nell’arco narrativo Entropy in the UK, apparso in The Invisibles vol.1 17/19, Morrison, dopo sibillini indizi seminati nelle pagine della posta del fumetto, rivela per la prima volta la connessione King Mob-Stargrave. I flashback dell’interrogatorio a King Mob riportano in vita l’universo alternativo da cui proviene Gideon Stargrave. Morrison, coadiuvato dagli ottimi Phil Jimenez (matite) e John Stokes (inchiostri), riesce a ricreare lo stile originale dei fumetti in cui il personaggio era apparso in precedenza, dandogli un nuovo significato.

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Near Myths dura solo il breve spazio di cinque numeri, e chiude proprio nel momento di maggior splendore creativo, quando le energie del team (che include, fra gli altri, futuri professionisti come Graham Manley e Tony O’Donnell) stanno iniziando a essere indirizzate nella direzione giusta. L’amaro epilogo giunge proprio nel momento in cui Bryan Talbot prende le redini come editor, ma i pesanti problemi finanziari della casa editrice hanno il sopravvento su qualunque possibile slancio di entusiasmo. All’epoca, Morrison è una sorta di mascotte del gruppo di autori, una personalità silenziosa e determinata che spicca per “pulizia” in un ambiente caratterizzato dall’amore per il prog rock e dall’uso di allucinogeni e droghe da hippie.8 9 ,

Starblazer, Captain Clyde e Warrior: gli esordi professionali Nonostante la chiusura di Near Myths, il buon riscontro ricevuto dalle strip di Gideon Stargrave permette a Morrison (che ha già iniziato a essere invitato alle prime convention fumettistiche britanniche) di restare nell’ambiente. Abraxas, una serie disegnata da Tony O’Donnell, originariamente pensata (a colori) per Near Myths, è parzialmente pubblicata (in bianco e nero) sulla rivista Sunrise, che però chiude dopo due soli numeri, lasciandola incompiuta.

Captain Clyde, disegni di Grant Morrison © Grant Morrison, 1979

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Liberators, da Warrior n. 26, disegni di John Ridgway Š Quality Communications, 1985 – per gentile concessione di Dez Skinn (http://dezskinn.com)

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Morrison, nel frattempo, ha trovato spazio come autore completo su un pocket della D.C. Thomson, Starblazer (versione fantascientifica del bellico Commando). Allo stesso tempo, l’autore produce una striscia settimanale, Captain Clyde, per il giornale locale The Govan Press di Glasgow. Captain Clyde continua per 150 episodi, pubblicati su tre diversi giornali dell’area di Glasgow (The Govan Press, Renfrew Press e Clydebank Press) a partire dal primo novembre 1979, e presenta una serie di temi ricorrenti nella carriera di Morrison, a partire dall’interesse per l’occulto e la decostruzione dei temi supereroistici, sviluppati già in un periodo precedente al celebrato Marvelman (poi Miracleman) di Alan Moore. Come affermato in una intervista: “Guardando al passato, avrei voluto rendere [Captain Clyde] ancora più realistico, ma era prima di Marvelman, e, sebbene io sia fiero delle mie poche innovazioni, stavo ancora pensando nei termini di scazzottate in stile Marvel Comics per la maggior parte del tempo”.10 Durante questo periodo di frenetica attività, in cui l’autore sta iniziando a imparare la necessaria disciplina professionale e allo stesso tempo prova a rimodellare il proprio immaginario supereroistico, ora influenzato principalmente da autori come Neal Adams, Len Wein e Harlan Ellison, l’insorgenza di un glaucoma (con tutti i problemi professionali annessi e connessi) pone praticamente fine alla carriera di disegnatore di Morrison, relegandolo al ruolo di “semplice” sceneggiatore. Le storie di Starblazer, oltre al buon lavoro sul versante grafico, soprattutto da parte di Enrique Alcatena, si segnalano per una maggior razionalizzazione degli aspetti “bizzarri” della poetica morrisoniana e per alcune brillanti trovate narrative. Dopo la chiusura di Captain Clyde (che è sostituito da una più tranquilla striscia syndicated di Tom & Jerry!) nel 1982 e la fine del periodo continuativo su Starblazer, Morrison, scontento dello stato delle cose, si prende una sorta di pausa dai fumetti (interrotta solo per occasionali episodi - sempre di Starblazer), in cui prova a scrivere romanzi e a sfondare come rocker (con la band dei Mixers), con risultati alla fin fine fallimentari. Nello stesso anno, per fortuna, il giovane sceneggiatore vede in edicola Warrior, la rivista di Dez Skinn su cui vengono pubblicate le seminali Marvelman e V for Vendetta. Il rivoluzionario lavoro di Alan Moore sulle due serie riaccende immediatamente l’interesse di Grant Morrison per le possibilità espressive dei fumetti, e nel 1986 l’autore debutta proprio sul numero finale della rivista (il 26) sceneggiando 5 tavole di The Liberators, una serie originariamente concepita da Skinn. La serie regolare, annunciata dalla Quality Comics per il mercato americano (con John Ridgway alle matite), non verrà mai pubblicata. In questo periodo, Morrison (un po’ paranoico per il fatto che ogni rivista che lo ingaggia viene subito chiusa) approda alla Marvel UK, che ha apprezzato una

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sua storia “alternativa” in prosa di Capitan Bretagna, realizzata poco prima della chiusura della serie Captain Britain. L’incarico assegnatogli, Zoids, una serie per bambini che tratta delle avventure di robot legati agli omonimi giocattoli della giapponese Tomy (prima sull’edizione britannica di Spider-Man e poi sulla testata Zoids), non sembra uno dei più stimolanti. Morrison, all’epoca fortemente influenzato dall’opera “revisionista” di Alan Moore, opta per un approccio à la Watchmen, sovraccaricando la serie di simboli e di temi ricorrenti, con un discreto successo di pubblico. La crescita dell’autore dal punto di vista tecnico è ormai evidente: sempre per la Marvel UK, vengono pubblicati nello stesso periodo anche alcuni interessanti episodi di Dr. Who (tre episodi del 1988 sono stati ristampati nel 2008 dalla IDW). Zenith: supereroismo in salsa britannica Nel 1986, due brevi racconti in prosa appaiono in appendice alle versioni hardcover britanniche degli annual di Superman (illustrazioni di Barry Kitson) e Batman (illustrazioni di Garry Leach). Nello stesso anno, lo sceneggiatore scozzese inizia a scrivere per la prestigiosa rivista britannica 2000AD, affilando le armi con le brevi storie dei Future Shocks.11 Grazie all’apprezzamento ricevuto dai Future Shocks, a Morrison, che aveva sempre voluto cimentarsi con una saga personale, è data carta bianca per una serie supereroistica che lo lancia nel 1987 come astro nascente del comicdom britannico: Zenith. Inizialmente la serie era stata concepita per un’antologia settimanale dal titolo Fantastic Adventure, che David Lloyd, disegnatore di V for Vendetta, stava mettendo insieme nel 1985 e che non riuscì mai a partire, e poi rielaborata per 2000AD. Gli schizzi preparatori per la serie erano stati affidati a Brendan McCarthy, il dinamico e dissacrante disegnatore che, col Paradax scritto da Pete Milligan e pubblicato in USA dalla Eclipse nel 1984, aveva praticamente inventato i supereroi in jeans e giubbotto. Morrison cita la bizzarra antologia Strange Days del trio Pete Milligan-Brett Ewins-Brendan McCarthy come esempio di originalità e di bellezza artistica,12 e la sensibilità psycho-pop di McCarthy sarebbe perfetta per il sottotesto punk e gli scontri generazionali di Zenith. A causa dell’indisponibilità del disegnatore, invece, il posto è assegnato a Steve Yeowell, un autore dallo stile più realistico che finisce per disegnare praticamente l’intero ciclo di storie e con cui Morrison ha già collaborato in precedenza, in particolare su Zoids.

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Zenith esordisce nel Programma 535 di 2000AD (agosto 1987) e, ben presto, diventa un fan favourite in grado di rivaleggiare per popolarità con un peso massimo come Judge Dredd. La serie è articolata in 4 lunghi cicli narrativi o atti, chiamati Phases (Fasi), presentati di volta in volta in capitoli (episodi) da 5 pagine nel classico stile di 2000AD, e intervallati da interludi fra una fase e l’altra. Lo spunto di partenza della serie è semplice quanto, per l’epoca, rivoluzionario: l’idea è quella di allontanare i supereroi dal concetto che debbano per forza essere giustizieri, per renderli “semplici” celebrità con poteri sovrumani (si parla del 1985, ben 7 anni prima degli exploit della Image Comics). In questo senso, nel contesto di 2000AD, Morrison vuole compiere delle scelte molto radicali: una serie supereroistica, e per di più esplicitamente modaiola e ambientata nel presente, è una novità totale per la rivista di Judge Dredd. Lo scozzese, oltretutto, spinge l’acceleratore al massimo, cercando di creare un’opera che sia fortemente rappresentativa dello spirito degli anni '80. “[Zenith] riflette lo spirito del nostro tempo in maniera più profonda [di quanto fanno le serie futuristiche di 2000AD], e volevo raccontare qualcosa che risulti datato l’anno prossimo. Qualcosa che

Schizzo preparatorio per Zenith, disegni di Steve Yeowell © Fleetway, 1986 – per gentile concessione di Steve Yeowell

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rappresenti completamente il proprio tempo” - dice lo sceneggiatore nel 1987.13 E, in quest’impresa, il successo è completo. Il talk show di Jonathan Ross14 (per altro un noto appassionato di fumetti) in TV al venerdì sera, una malvagia Thatcher al potere, retrogusto lovecraftiano, supereroi vanesi e sgradevoli in abiti firmati e oscure nubi del passato che si addensano sul presente: poche volte lo zeitgeist degli anni '80 e dei primi '90 è stato colto con maggior precisione. In questo senso, è proprio in Zenith che lo sceneggiatore scozzese inizia la propria personale ricerca “pop”, rendendo tutta la serie un esercizio di stile, sia a livello di design (in gran parte dovuto proprio a Morrison) che a livello narrativo. Da un lato, infatti emerge un citazionismo apertamente plagiarista che l’autore definisce, con una analogia hip hop, da “scratch-mix supereroistico”,15 dall’altro domina la ricerca di un tocco “leggero” (e proprio per questo più anarchico e irriverente) rispetto alla “pesantezza” dell’approccio in voga dopo Watchmen. Il realismo dell’opera di Alan Moore e Dave Gibbons, comunque, è ancora il modello dal quale non sembra possibile sfuggire. Fortunatamente per i lettori, Morrison lo contamina da subito con l’influenza delle bizzarrie del Flash degli anni '60 di Gardner Fox e Infantino e di quello anni '70 di Cary Bates (che poi pervaderà anche il successivo Animal Man). Il personaggio principale della serie, appunto Zenith, è una popstar pigra e viziata, che non incarna alcuna delle qualità eroiche “classiche” legate ai supereroi, ma anzi si configura come sempre più arrogante, antipatico e opportunista con il procedere della storia (Morrison decide per questa soluzione dopo la Phase II, annoiato dall’idea del superumano borioso che impara a essere umile tipica di certe soluzioni all’americana).16 L’idea originale di una sorta di timeline dei supereroi (comprendente l’integrazione di elementi di epoche diverse come la Golden Age, la Silver Age, gli anni '70 e via dicendo) che caratterizzava la bozza embrionale inizialmente sviluppata per Fantastic Adventure, lascia ben presto il passo a un approccio narrativo in cui si fondono elementi mistici ed esoterici (è il primo periodo in cui Morrison viene in contatto con l’occultismo, e in particolare con la Chaos Magick), miti di Cthulhu, tradizione fumettistica britannica, fisica quantistica, allegorie religiose e una crescente disillusione verso i “poteri forti”. Il pastiche è intelligentemente tenuto insieme da una struttura “all’americana” che fornisce a Morrison la possibilità di cimentarsi per la prima volta con un crossover di proporzioni cosmiche, nello stile della grandeur del seminale Crisis On Infinite Earths della DC Comics, quasi un decennio prima che lo sceneggiatore diventi uno dei maggiori architetti dei maxi-eventi che la DC Comics organizza con cadenza regolare da anni. La struttura frattale dell’opera, con tutta una serie di temi e “riff” che si riverberano

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