Domani non è un altro giorno

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ISBN: 978-88-31314-67-1 © 2020 Les Flâneurs Edizioni di Alessio Rega • Bari a.rega@lesflaneursedizioni.it www.lesflaneursedizioni.it info@lesflaneursedizioni.it Editing: Andrea Corona Progetto grafico: Mariano Argentieri Copertina: Patrizio Prisco Finito di stampare a dicembre 2020 presso Creative 3.0 Srl • Reggio Calabria per conto di Les Flâneurs Edizioni


Marco Iannaccone Scarlet Lovejoy

DOMANI NON È UN ALTRO GIORNO



Dedico questo romanzo alla mia cara mamma, alla quale voglio un mondo di bene Al mio compagno Stefano Pascucci per l’affetto e la sopportazione reciproca A tutta la mia numerosa famiglia, dove ognuno è nato sotto un segno zodiacale diverso, quindi potete immaginare il delirio



Nota dell’autore

Mi piace guardare alla narrativa d’invenzione come a un mezzo con cui si fa intrattenimento e insieme si comunicano dei messaggi. Perciò, anche se i miei personaggi possono apparire bizzarri e sopra le righe, vale per Asia e per le sue amiche (e nemiche) ciò che Stanley Kubrick disse a Jack Nicholson ai tempi di Shining: «Non voglio che tu sia reale, voglio che tu sia interessante». Buona lettura a tutti! Un bacio da Marco “Scarlet Lovejoy” Iannaccone

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Domani non è un altro giorno

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Uno

Vivo drammaticamente l’inizio dell’anno scolastico. Soffro: d’angoscia, di malinconia, di depressione. Mi escono brufoli e occhiaie. Somatizzo tutto il mio disagio e mi alzo al mattino come un mostro. A volte, mi spalmo del succo di pomodoro sul viso e simulo di essere stata uccisa, ma mia madre, senza neanche guardarmi in faccia, capisce tutto e mi dice: «Non fare l’idiota e vai a scuola!». Non mi fa piacere vedere quelle oche delle mie compagne di classe, eccetto Mary, che è la mia migliore amica, per non parlare, poi, dei professori, tutti pazzi scatenati. Per fortuna, quest’anno il professore di matematica è La Rissa, che mi piace tanto. Assomiglia a Clark Gable e, quando lo vedo, mi viene voglia di strapparmi i vestiti e indossare abiti dell’Ottocento, che hanno più stile ed eleganza: corpetti, gonne ampie, ombrellini di raso. Sono più romantici e richiamano il mio film preferito: Via col vento. Mi vestirei sempre di nero perché mi sento molto gotica e cambierei il mio nome da Asia a Scarlet, che poi è il vero nome di Rossella O’Hara. 11


Sarebbe meraviglioso, inoltre mi farei passare tutti i compiti di matematica dal mio bel professore: beh, io coi numeri non ci ho mai capito un tubo! Assisterei al meraviglioso spettacolo di vedere tutte le mie compagne di classe gialle d’invidia: il mio compito immacolato, mentre il loro risulterebbe rosso fuoco, zeppo di tutti gli errori sottolineati dalla penna del professore. Immagino la scena come se fosse reale: le mie amiche, disperate, si vedono già bocciate, io sono chiamata dal prof. al centro dell’aula, come esempio da emulare. Inizialmente faccio la parte della schiva: «No, non posso venire, mi vergogno, non mi piace mettermi in mostra… sono timida». Lui, ovviamente, insiste, e allora io mi alzo dal mio posto, mi strappo i vestiti e, da sotto i jeans, faccio spuntare il mio bell’abito nero ottocentesco, pieno di fronzoli e strascico lungo vari metri, ovviamente con me c’è anche un gatto nero al guinzaglio e, come una diva, incomincio a camminare per tutta l’aula sculettando. Ad alta voce direi: «Grazie professore, ma il compito non è stato difficile. Sciaguratamente, le mie amiche di classe sono una massa di somare» e poi, ancheggiando, tornerei al mio posto. Mi riprendo dai miei sogni a occhi aperti e mi ritrovo davanti allo specchio, a sghignazzare con una faccia da bambina posseduta dal demonio. I capelli, per l’emozione, sono diventati talmente grassi da poterne estrarre l’olio, i miei canini si sono allungati e caccio la bava dalla bocca. «Ah ah ah ah!» urlo contenta per tutte le soddisfazioni e le cattiverie che potrei organizzare contro le compagne di classe, se il prof. stesse con me. Gli occhi mi si strabuzzano dalla contentezza e le mie gambe, da dritte, diventano arcuate. All’improvviso mi chiama mia madre, e ritorno quella di prima: i capelli ridiventano puliti, gli occhi rientrano nelle 12


orbite, i denti si limano e fanno ritorno nella loro classica dimensione umana. Domani inizia la scuola e, come dice Rossella O’Hara, «Domani è un altro giorno». Non riesco a dormire: sono troppo eccitata. No, non in quel senso: sono semplicemente eccitata perché vedrò il mio amore. Nel letto rido, piango di gioia e poi, dal momento che non riesco a dormire, incomincio a fare degli esercizi di yoga: ovviamente a modo mio, inventati da me, il che equivale a dire che non è assolutamente yoga. Mi alzo e cerco di allungarmi la schiena attaccandomi con le mani a una gamba del tavolo. Sveglio mia sorella e mi faccio tirare le gambe da lei. In sostanza lei tira me, io tiro il tavolo e, alla fine, pa ta ta tà, il tavolo cade a terra insieme al pc e al monitor. Io morta! Si sente un fracasso incredibile. I miei genitori vengono in camera e, come due lottatori di wrestling, mi mettono ko a suon di schiaffi e calci volanti. Sono completamente sconvolta: nel pc ci sono le foto che ho fatto con la macchina fotografica digitale l’anno scorso, quando il prof. di matematica è venuto con noi a fare una gita scolastica! Ricordo benissimo quel giorno: ovunque lui andasse, c’ero io che lo inseguivo. Mi nascondevo dietro alle auto, i camion, negli angoli più nascosti degli edifici, per non farmi vedere e per fotografarlo tranquillamente. Ricordo che, per scattargli le foto, caddi completamente distesa nel fango di una pozzanghera. Uscii da lì, sudicia da fare 13


paura. Una cosa allucinante: ero caduta con il viso in avanti e ora lo avevo tutto imbrattato. Che figuraccia! Tutti ridevano. Ero nera dalla rabbia e rossa dalla vergogna. Finsi che non fosse successo nulla e, per non dare soddisfazione a nessuno, esclamai: «Non vi preoccupate: sto bene! L’ho fatto apposta, mi andava di farmi dei fanghi, fanno così bene alla pelle!» e, dicendo questo, mi spalmai dell’altro fango sul viso. Beh, oggi, se ci penso, non posso credere alle idiozie fatte. “In quel periodo il cervello mi funzionava?” mi domando sconvolta. Ricordo che si avvicinò anche il prof., che mi chiese: «Va tutto bene?». «Bene, sì; tutto bene». «E la tua macchina fotografica? Si è rotta? Fammi dare un’occhiata!» A quel punto… panico… sudai freddo. Cosa fare? Se la macchina fotografica non si era danneggiata, lui avrebbe visto le mie foto e avrebbe capito tutto: dovevo trovare una soluzione. Mi buttai a terra, facendo finta di svenire dopo essermi messa la macchina fotografica in tasca. Lui, preoccupato, mi prese tra le braccia, mi distese su un sedile del pullman e mi fece portare dell’acqua. Aprii gli occhi. Prima feci dei gemiti con un’interpretazione da Oscar, li spalancai, fingendo di non capire che cosa mi fosse accaduto. «Che cosa succede? Dove mi trovo? Perché sono sul pullman?» Poi, dulcis in fundo, mi sciolsi in un bel pianto (ovviamente più finto delle mie ciglia finte!) del tipo “perché sono svenuta? Io sono una ragazza ingenua, che cosa sono queste cose?”. Mitica la mia interpretazione! Lo so, sono patetica, ma agli uomini piacciono queste moine. In quel momento ero troppo soddisfatta di me. 14


Mi vidi alla serata degli Oscar per il remake di Via col vento, con Sofia Loren che urla alla sala: «The winner is… Asia!». A quel punto mi alzo con la faccia incupita (però dentro di me godo come una pazza!) e mi dirigo sul palco, avvolta in un vestito ottocentesco e gufo imbalsamato sul cappello. Come diva del cinema mi posso vestire come voglio, no? Strappo il microfono dalle mani di Sofia ed esclamo: «Non mi stupisce aver vinto: sono davvero brava e ne sono consapevole; però, se avete dato un premio Oscar anche a delle sciacquette come Gwyneth Paltrow, mi rifiuto di ricevere un premio simile. Io non posso essere paragonata a queste divuncole da quattro soldi!». Poi, con gli occhi pieni d’odio, prendo la statuetta, e davanti a tutti, la metto nel bidone dell’immondizia. La gente mi applaude e io divento sempre più una diva agli occhi del pubblico. Finisco di sognare e, nell’alzarmi, mi stringo forte alle spalle del mio professore: sento il suo odore, il mio viso è vicino al suo, ci sfioriamo pure… A quel punto, davvero mi sento svenire. Tornata a casa, stampo le sue foto che diventano degli immensi poster. Confesso di aver fatto anche dei fotomontaggi con il poster di Via col vento, attaccando il mio viso sopra quello di Vivien Leigh e il suo sopra quello di Clark Gable. Dite che sono un po’ pazza? Tornando al presente, i miei mi hanno da poco fatto un paliatone (come si dice da queste parti) e io, scioccata, guardo il pc. L’accendo con disinvoltura ma non va… Già, non va… «Aiuto! Ora cosa faccio? Aiuto!» mi lamento. Mia sorella, per fortuna, fa cessare i miei patimenti dicendomi: «Asia, hai salvato le foto sulla chiavetta. Non preoccuparti, non hai perso nulla». 15


In quel preciso momento, mi sembra di sentire un coro d’angeli. Mia sorella è una santa: sì, proprio una santa, la santa dei file persi e ritrovati. Incomincio a urlare come una dannata. Sono felice, ma stanca. Fisso per un momento l’orologio a muro: «Cazzo! Sono le 6:00! Ho dormito un’ora e ne ho solo un’altra per dormire un po’. Devo riuscirci. Devo riposarmi. Domani devo essere al top! Non posso sbagliare. La prima impressione è quella che conta. Di sicuro lui già ha una pessima impressione di me dopo avermi vista tutta sporca di fango. Beh, non ci pensiamo… zZz meglio ZzZ dorrr… zZz mirci ZzZ sopra!

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