Almanda

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ISBN: 978-88-31314-94-7 © 2021 Les Flâneurs Edizioni Les Flâneurs Edizioni è un marchio del Gruppo Editoriale Les Flâneurs Srl

Editing: Loredana La Puma Impaginazione: Alessio Rega Progetto grafico: Mariano Argentieri Finito di stampare a maggio 2021 presso Creative 3.0 Srl • Reggio Calabria per conto di Les Flâneurs Edizioni


Ennio Maria Petruzzella

ALMANDA il viaggio



Ad Annalisa dei Sogni, da sempre E a te, Elvio, che sei dietro questa porta che non posso aprire


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Almanda

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1 Giulio Flaviano

Città Eterna Prima della Fondazione “… così come se guardasse il cielo e dicesse che era sempre stata lì, come se il tempo fosse trascorso nel cristallo raro di una clessidra antica e non nel cuore di un uomo. Il tempo di dire che era già lì, da sempre… da tutti gli istanti trascorsi a vederla sorgere e crescere su di sé e diventare questo disco incandescente di vite frenetiche e, a volte, solitarie. Come se guardasse il cielo e aprisse le labbra per dire che è sempre stata lì: città e abito e velo dei sogni e letto delle nostre notti”. Almanda era la città. Lì dove sorgevano le sue forme terrene, avresti indovinato, un tempo, solo l’ombra di uno scheletro invisibile nascosto nel nulla. Lì, proprio al centro di un cerchio perfetto di case e piazze e strade, tracciato tra il limes di un mare sconfinato e una dorsale di pietra concava, c’era già Almanda, segnata dall’emiciclo delle sue montagne. E prima che fosse fondata 9


e le sue torri squadrate o cilindriche sfidassero il vento del mare, ne avresti già scoperto il destino, nascosto nel vuoto in cui ora si stagliavano i palazzi. “… questo prima che sorgesse il suo nuovo sole, e prima che una mano invisibile la disegnasse nei suoi confini circolari e la posasse sulla terra… come un’opera visionaria a lungo cercata, nelle pergamene del pensiero, e ideata e fissata nelle pietre del mondo”. Almanda era già lì, dipinta in forma di città onirica e perfetta, attraversata dal taglio luminoso del fiume Dieng che dall’alto delle montagne scendeva lentamente al mare. Era lì, concepita dalla mente di un uomo che si era scoperto visitatore notturno di mondi fantastici e impossibili. Viaggiatore all’interno di sogni raccolti in spazi incantati e vissuti lungo notti prive di confini. Un uomo che misurava il tempo in ore trascorse all’interno di immaginari orologi metallici giganteschi e invisibili… i mondi magnifici che Giulio Flaviano aveva sempre sognato. Un uomo che aveva avuto tutto in questa vita: la fortuna, gli amori, la bellezza e una ricchezza incalcolabile. Al margine di ognuno dei propri giorni, esattamente dove la sua piena soddisfazione di vivere avrebbe dovuto incontrare solo il tempo del riposo, lui invece sognava e fingeva mondi che non avrebbe mai visitato, che non avrebbe posseduto mai, almeno non in quella sua vita perfetta e costante. E creava sogni che duravano intere settimane di un tempo sospeso e dilatato che Giulio non avrebbe più rintracciato al proprio risveglio e che poi alla fine, ora lo sappiamo, lo avrebbero salvato dall’inatteso e incombente grigiore della propria esistenza. Perché prima di ciò, molto prima che giungesse quella salvezza, era accaduto che, per un gelido incanto del destino, 10


i suoi sogni fossero svaniti all’improvviso, nel silenzio della notte, lasciandogli solo il terrore freddo della propria coscienza. Forse andrebbero definiti meglio i contorni di questa storia e gli avvenimenti che permisero a un uomo di giungere così vicino alla realizzazione della sua creazione più grande, ma le cose accaddero esattamente così, con una casualità tanto leggera da apparire crudele e per certi versi quasi efferata. Perché Giulio aveva sempre trovato il modo di annegare le tristezze degli eventi sinistri e imponderabili della propria vita e gli imprevisti e le crudeltà del mondo all’interno di sogni leggeri che ogni notte, per anni, ne avevano popolato il riposo. Così riusciva a tornare alla vita, ogni giorno, rigenerato dalla leggerezza dei colori notturni e dai mondi fantastici che aveva imparato a inventare nelle crepe del buio. Questo fino al giorno in cui si era visto sommergere, a un tratto, dal nulla inutile dell’assenza dei sogni; una condizione che aveva invaso le sue notti e gli aveva reso impossibile il riposo e la vita stessa. In risposta a questa assenza, aveva provato a intraprendere una lotta disperata contro il silenzio della notte e a studiare cerimoniali minimi che riuscissero a propiziare un sogno qualsiasi, anche trascurabile, nel tempo del proprio impossibile riposo. E così, chiuso nella penombra della propria camera, nel suo palazzo magnifico, al centro della Città Eterna, ogni sera provava a infilare il naso nella carta di un libro per perdersi in romanzi densi del piacere d’impossibili avventure, dame, pericoli, giostre di amore e d’odio e danze di vita e di morte. Poi, giunto al momento in cui le sue dita andavano a soffocare la fiamma di una candela, si ritrovava, vinto dall’ansia e dal sonno, in una nuvola fredda e molle in cui le immagini 11


evocate dalle sue letture avvizzivano e scomparivano nel filo del fumo. Notti e notti trascorse nel disperato tentativo di afferrare l’orlo di un sogno qualsiasi per farne un tesoro posseduto. Mesi. E mai, in tutto quel tempo, si era affacciata un’immagine che ne avesse accompagnato il risveglio al mattino, o che potesse essere anche l’eco lontana di un profilo, magari di una donna bellissima di cui innamorarsi e che non fosse realmente una donna, che non fosse necessario conoscere e corteggiare e seguire nell’incostante percorso di una storia reale, ma che più propriamente si dissolvesse con leggerezza, nella luce del mattino, e mai prima che sull’iride di lui fosse rimasto, appunto, solo per alcuni istanti, l’orlo appena percettibile delle sue labbra. Invece quell’assenza, quel baratro di nulla che riempiva lo spazio che lui avrebbe voluto dedicare ai colori onirici della notte, durò ininterrottamente per mesi, fino all’alba di un giorno di pioggia, al termine di una notte qualsiasi, persa tra le altre sempre uguali che si accatastavano sulla sua vita. Un’alba in cui Giulio aprì gli occhi sul mondo con la consapevolezza di averne mancato ancora l’anima e con la convinzione che, se anche la copia insignificante e tradita di un qualsiasi sogno si fosse affacciata nel tempo della sua notte, l’unica certezza che ora gli sarebbe rimasta era la sua totale e ineluttabile scomparsa. Era sgomento Giulio, perché, per quanto si affannasse a tentare di sognare, ogni tentativo si rivelava vano e quando i suoi occhi andavano, al mattino, a incrociarsi nella sua immagine riflessa in uno specchio vi leggeva inesorabilmente la propria feroce frustrazione. Così, ripensando a tutto il tempo che aveva perduto nel tentativo di afferrare l’anima della notte, si fece largo in lui l’idea che ormai non gli sarebbe più riuscito di sognare e con12


servare il sogno, e di fermare, in un pensiero sbiadito, il profilo sfuggente di un incanto colorato nel nulla della notte. Lui, che un tempo aveva potuto ricordare sogni bellissimi, piccoli attimi di bruciante vitalità del pensiero avvitati in lievi vortici di passione, si era ora irrimediabilmente smarrito in quel silenzio grigio e immobile: una pioggia lenta di fogli bianchi che cadevano al suolo senza emettere alcun suono. Poi giunse l’alba di quel giorno di pioggia in cui, senza che nulla facesse presagire un cambiamento, un suono leggero attraversò lo spazio del suo sonno, il nome di un luogo: Almanda. Accadde così, in quel preciso istante, che Giulio scese dal letto e si accorse che il peso dell’assenza dei sogni lo aveva sfinito. Con la ripetizione incessante di quel nome – “Almanda”, che gli risuonava dentro come un rintocco –, provò a immaginare il proprio futuro. Si convinse che, nonostante la sua grande passione per la vita, il peso di un’esistenza priva di sogni, da trascorrere così, nell’assenza dei desideri e dei progetti e della voglia di creare, non sarebbe stata sopportabile. Si fece forza Giulio. Discese dal letto portandosi via la lacrima che gli rigava il viso e affrontò quella che avrebbe dovuto essere l’ultima prova della sua vita. Lasciò la sua camera, avvolto in una coperta che non sarebbe mai riuscita a proteggerlo dal freddo del proprio cuore, e attraversò gli spazi bui della sua casa, immensa e deserta, raggiungendo le scale con un’idea maligna di libertà che si faceva strada nella sua mente: l’idea che una nuova vita potesse davvero nascondersi in un volo spiccato nella luce del mattino. Ma non era solo questo, era una fuga, da cercare e trovare in un volo planato sulle cose e sugli uomini che intorno a lui, nel frattempo, dormivano inconsapevoli la notte dei propri sogni. Salì sulla sommità del suo palazzo Giulio Flaviano, e seguì con i suoi occhi la linea del profilo del tetto fino al punto in 13


cui si interrompeva per volare nel nulla. La percorse interamente fino al bordo, si arrestò e respirò con forza l’aria della notte appena trascorsa sulla Città Eterna. Dal suo punto di osservazione, poteva facilmente immaginare migliaia di uomini sotto di lui, sospesi nel proprio riposo e assorti in desideri che non avrebbero neppure ricordato, in quel mattino piovoso, e sogni che si sarebbero estinti irrimediabilmente nell’attimo del loro risveglio. Una miriade di colori fluttuanti tra la notte e il giorno. Così li vedeva: in attesa di sbiancarsi nel bagliore del mattino. E camminò Giulio, sotto la pioggia fredda e battente, lungo l’orlo di pietra della sua grande casa, in un mattino privo di qualsiasi memoria, chiedendosi se davvero sarebbe stato possibile lasciarsi andare e planare su tutti quegli uomini addormentati e carpirne i sogni al volo, nell’attimo inafferrabile in cui li avrebbero liberati. Volare intorno a un sogno abbandonato, aprirlo come se fosse un infinitesimo forziere e scoprirne i segreti, con quell’acqua scesa dal cielo a rigare il volto come un velo sugli occhi, e scivolare sulla pietra viscida e incerta, sul filo di un muro a picco sulla città, e volare o cadere nel mezzo di un sogno intenso eppure senza risveglio. Così sarebbe apparso Giulio Flaviano dall’alto di una nuvola impietosa, in quell’alba di pioggia, a vederlo cercare disperatamente l’ebbrezza di un sogno altrui. Ma non volò Giulio, non annegò nella propria tristezza, e ritrasse il piede che accarezzava l’orlo di pietra come se fosse rimasto scottato dall’intensità imminente della morte, e si sedette sul bordo del tetto fradicio battuto dalla pioggia e dai suoi pensieri. In quell’istante irripetibile della sua vita, decise che avrebbe creato un sogno; questo avrebbe fatto. Un sogno in grado di entrare nel cuore degli uomini, magari di tutti gli altri uo14


mini, e soprattutto nel suo, e diventare un progetto inafferrabile e magnifico che lo votasse all’avventura e alla vita. E quando si trattò di sceglierne il nome, scelse esattamente “Almanda”, il suono misterioso che continuava ininterrottamente a battere nelle sue vene, immaginando che Almanda avrebbe potuto essere l’Essenza del Viaggio e l’Anima in Divenire. Tornò al sicuro nella sua camera, si distese sul letto e, fissando il soffitto affrescato della sua stanza, con l’acqua che scivolava dal suo corpo sulla seta delle lenzuola, si addormentò. E sognò. Incredibilmente sognò, all’improvviso, che avrebbe avuto un mare Almanda, e un fiume azzurro e limpido che avrebbe portato via tristezze e incubi nel blu aperto e sconfinato lasciato lì a lambire le sue case, e sarebbe stata chiusa da una curva di pietra, alberi e nuvole posate sul ghiaccio bianco di acqua ferma sulla cima del cielo. In modo che chiunque avesse superato l’orlo delle montagne e si fosse affacciato ad ammirarla l’avrebbe detto, fermo sopra l’orlo delle pietre ghiacciate, incantato dalle luci e dai colori e dai sogni di Almanda… “… così come se guardasse il fondo del cielo e dicesse, piano, che era sempre stata lì. Almanda”.

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