A GRASSANO E RESIDENTE A MATERA. LAUREATA IN MEDICINA E CHIRURGIA, SPECIALIZZATA IN NEUROPSICHIATRIA INFANTILE È STATA PEDIATRA OSPEDALIERO A MATERA FINO AL 2015, ORA LIBERO PROFESSIONISTA E MEDICO DI BORDO SUPPLENTE. COME SCRITTRICE HA ESORDITO NEL 2013 CON LA RACCOLTA DI POESIE GIORNI SCALZI (III PREMIO FRANZ KAFKA 2014). NEL 2020 HA SCRITTO IL ROMANZO CIRO NELLA GROTTA DEI PIPISTRELLI. HA PUBBLICATO SAGGI, RACCONTI E POESIE SU RIVISTE NAZIONALI E QUALCHE ARTICOLO PER GIORNALI ON LINE. È REFERENTE SUD-ITALIA PER L’ASSOCIAZIONE MEDICI SCRITTORI ITALIANI. PREMI: CESARE PAVESE 2019, SAGGISTICA SEZIONE MEDICI; CRONIN 2019, SEZIONE TEATRO; LA SERPE D’ORO, NARRATIVA.
Cenzino e Rocco, amici fin da piccoli; e poi Ciccillo innamorato di Lucietta, per sposarla deve rinunciare alla sua famiglia; suo fratello Pasquale che sceglie di andare a combattere. Per loro la strada è stata maestra di vita, poi la vita ha presentato il conto tradendo i loro sogni. Maddalena, invece, è andata avanti tra figli, aborti e la durezza di una quotidianità pesante, un destino per niente clemente e i lutti portati dalla guerra. A calci e morsi di Maddalena Bonelli, ambientato tra gli anni ‘30 e ‘40 a Grassano, è un romanzo corale sull’umanità di gente umile che si misura con gli alti e bassi dell’esistenza e fa fronte, come può, a tragedie improvvise. A calci e morsi è un romanzo forte, “bilioso”, che tra mille contrasti e sporgenze fa pensare. A volte è truce, comunque sempre interessante. Non un affresco o un pastello ma una incisione scavata in profondità nell’argilla. Giovanni Caserta
ISBN
978-88-6960-153-8
9 788869 601538
€ 18,00
MADDALENA BONELLI A CALCI E MORSI
MADDALENA BONELLI, NATA
MADDALENA BONELLI
A CALCI E MORSI DAL BASENTO AL BILIOSO
A CALCI E MORSI FILTRI D’AMORE, SANGUE CATAMENIALE, ERBE MAGICHE E MASCIJE. ROBA DA MATTI! LA MASCÌJA LUCIETTA GLIEL’AVEVA FATTA DAVVERO, MA LO AVEVA AMMALIATO NON CON STREGONERIA, FILTRI MAGICI, FATTURE E LITANIE DI MASCIJARE. LUCIETTA GLI AVEVA INFUOCATO I SENSI E IL CUORE PER COME ERA FATTA. E CHE MALE C’È A SPOSARE UNA DONNA CHE TI FA BRUCIARE IL SANGUE NELLE VENE? NON È QUESTO CHE UN UOMO VUOLE DA UNA DONNA? UNA MOGLIE NON PUÒ ESSERE SOLO UNA COMPAGNA DI FATICA E MADRE DEI TUOI FIGLI. O FORSE HA RAGIONE PASQUALE CHE CON LE DONNE CI SI DEVE SOLO DIVERTIRE E POI, QUANDO ARRIVA IL MOMENTO, TROVARNE UNA TUTTA CASA E CHIESA E SPOSARLA? LE DONNE PERBENE CERTE COSE NON LE DEVONO FARE, PER DIVERTIRSI CI SONO LE ALTRE, LE…, DICEVANO I SUOI AMICI. LUCIETTA NON È UNA FACILE. LEI LO AMA COME LUI AMA LEI, PENSA FUMANDO FURIOSO MENTRE PERCORRE LA VIA MERIDIONALE CON L’OCCHIO FISSO SUL CAMPANILE A CIPOLLA DELLA MADONNA DELLA NEVE. OLTREPASSATA LA CHIESA S’INOLTRA VERSO LE CASETTE CHE SI AFFACCIANO DEGRADANTI DALL’ALTO DELLA COLLINA VERSO LA MERIDIONALE.
INTRODUZIONE
Nato dal mio legame per la terra-cultura del Sud, questo libro racconta, con un linguaggio adeguato alla storia, il modo di vivere dei contadini del Sud non attraverso l’occhio di chi guarda dall’esterno ma dal punto di vista di un “cafone” che ha vissuto in quel tempo e in quel luogo in prima persona. Sullo sfondo degli anni Trenta e Quaranta, nel profondo Sud, si dipana la vita di cinque protagonisti le cui storie si intrecciano. Un amore osteggiato, il ritrovamento di un morto ammazzato e i tentativi di un industriale del Nord di realizzare fattorie moderne in terre arretrate e malariche, sono gli ingredienti che danno sale alle storie di tre famiglie dell’entroterra lucano, dove si vive ancora un’esistenza da anno Mille, fatta di fatica quotidiana e sofferenza. Ogni giorno è una lotta per sopravvivere, anche per i bambini. Cenzino e Rocco, la cui amicizia nasce e matura nella banda di bambini che schiamazzano in vico I San Domenico e li accompagna attraverso la guerra, hanno entrambi un sogno: diventare maestri. Ciccillo ama Lucietta, ma per sposarla deve rinunciare alla sua famiglia. Pasquale, suo fratello, per amore patrio e curiosità, consuma la gioventù in guerra. Maddalena, una madre la cui vita scorre fra parti, aborti, cure alla casa e ai tanti figli e figliastri e dolori devastanti, affronta con dignità e silenzio il suo destino amaro. I ragazzi crescono nella strada, con giochi semplici e imparando la durezza della vita che prima tradisce i loro sogni e poi li mette di fronte alla tragedia della guerra. Ma la speranza e la voglia di vivere non muoiono mai. 5
Cenzino prende spesso la parola per dar voce ai suoi sentimenti e alle vicissitudini della sua gente, con il linguaggio schietto e rude del contadino. La crescita, la maturazione e la presa di coscienza dei giovani protagonisti è specchio del processo di evoluzione che in quegli anni difficili portò la gente del Sud, con un balzo mai visto, dal buio del Medioevo alla consapevolezza di un mondo moderno e alla rivendicazione del diritto di esistere come parte attiva della realtà. A Calci e Morsi è un libro che si rivolge ai giovani perché sappiano chi eravamo, da quali tenaci radici sono stati generati, e a chi non vuole rinnegare i poveri sogni della gente comune che nel primo mezzo secolo scorso contribuì a cambiare il destino amaro e in apparenza immutabile dei contadini del Sud.
Nota per i lettori Per i personaggi di questo libro, che è un omaggio al mio paese, mi sono ispirata a persone e storie reali che ho trasformato a mio piacimento inventando situazioni e caratteri del tutto avulsi dalla realtà, più aderenti al mio estro creativo e alle esigenze narrative che alla realtà del singolo. Per maggiore realismo ho preso in prestito molti termini dialettali e soprannomi che ho abbinato a caso alle storie e agli aneddoti che ho collocato, a volte, in spazi temporali più idonei alla narrazione, lasciando aderenti alla realtà solo gli eventi storici. Mi scuso in anticipo se qualcuno, credendo di riconoscere sé stesso o un suo parente in qualche personaggio o affresco paesano, possa esserne infastidito in qualche modo. 6
PROLOGO Ritorno alla Procesa. Agosto 1943 Le cime delle Dolomiti Lucane occhieggiavano in lontananza, fra le fronde degli alberi, alte, bianche e irte, sotto il chiarore della luna nascente. Il soldato le salutò rinfrancato. Il faticoso cammino che lo aveva condotto verso casa era al termine. Un lungo sospiro, trattenuto per mesi, eruppe dalla bocca come un singhiozzo, attraversando il petto e portandosi via la fatica dalle spalle. Il calore della terra natia. Lei lo aspettava? L’avrebbe trovata ad attenderlo nel luogo dell’appuntamento? Aveva ricevuto la lettera che le annunciava il suo arrivo? L’Italia del Sud era allo sbando. Gli americani avevano conquistato la Sicilia e avanzavano verso la Penisola rapidamente attirando ingenti forze tedesche. Quando era in trincea, fra le voci sussurrate fra una marcia forzata e l’altra, da una strada all’altra e in mezzo ai boati assordanti, lo aveva sostenuto il ricordo della sua pelle, profumata come le note di violino che gli suonavano incessantemente nella testa, simili a una preghiera consolatoria che lo riportava alla quiete del suo paese. Le aveva ascoltate spesso quando Don Carlo Candela, un giovane maestro timido e timorato di Dio, ora in guerra, ufficiale del regio esercito, appartenente a una famiglia perbene, il padre notaio, vedovo da qualche anno e con cinque figli, si allenava all’alba, prima di andare a scuola. Note melanconiche che strappavano lacrime e talvolta conducevano in luoghi del cuore misteriosi e solenni come la messa di Pasqua. Don Carlo suonava il violino anche in un complessino del paese, prima di partire per quella guerra maledetta. Erano partiti in tre, i fratelli Candela, chiamati uno dopo l’altro. Ne sarebbe tornato almeno uno a casa? 7
La domanda si fece più incalzante man mano che i passi lo avvicinavano a casa, al fratellino ormai grandicello, alla terra che aspettava le sue braccia robuste e alla tomba di suo padre. In fondo si riteneva fortunato: il colpo alla testa non l’aveva ucciso e per di più gli aveva garantito una licenza illimitata. Durante il viaggio di ritorno il treno aveva avuto vari intoppi per via dei bombardamenti e alla fine lui aveva deciso di proseguire a piedi. Messosi in viaggio senza altri indugi, aveva calpestato tutti i viottoli più nascosti, quelli che l’istinto di contadino gli indicava deserti e sicuri, privi di attrattive per tedeschi e americani. Aveva incontrato altri come lui e anche soldati fuggiaschi che tornavano verso casa a piedi o cercavano un rifugio nelle masserie isolate, in attesa di tempi più sicuri. Una serie di fortunate circostanze lo aveva condotto sano e salvo fino al Basento e poi nei pressi del suo paese e ora, seguendo la creta di uno stretto viottolo, tracciato da secoli di cammino, su e giù dalla collina di Grassano, da piedi di cristiani e da zampe di muli, asini e capre, si diresse verso la masseria di suo padre, già tremando al pensiero di rivedere la sua ragazza. L’avrebbe atteso all’alba come promesso? “Se non la trovo”, pensò, “riproverò domani, e dopodomani e il giorno dopo e l’altro ancora e, nel frattempo, rimarrò nascosto in qualche grotta, vicino alla masseria”. Non intendeva presentarsi a casa prima di averla vista e di aver avuto notizie dei suoi parenti. Non si sa mai cosa può riservare il destino. Arrivò a notte fonda. La masseria era illuminata dalla luce della luna al culmine della parabola crescente. Di solito non c’era nessuno a quell’ora, eccetto il pastore dal sonno pesante. Decise di entrare per dare un’occhiata e magari dormire qualche ora sul letto di frusci. Un’ombra dietro le ristoppie, fra la bassa vegetazione di sterpi e rovi, lo mise in allerta. Arretrò lentamente scendendo dietro un basso costone verso un dirupo poco lontano, dove per certo avrebbe trovato un rifugio sicuro. “Se è il guardiano delle pecore”, pensò, “aspetterò che si addormenti”. La donna spiò, attraverso il finestrino socchiuso del vecchio portone di legno, la landa deserta dei campi di grano: la luna alta nel cielo si preparava a calare e la gobba piena illuminava i campi. Tutto 8
era caldo e argentato, il cuculo lanciava monotono il suo richiamo e di tanto in tanto, da un ramo della grande quercia, la civetta spargeva sull’aia il suo canto affatato. I lavori della mietitura erano finiti da un pezzo, si era fermata alla masseria con un garzoncello dal sonno pesante per trovarsi sul posto la mattina e fare qualche lavoretto nell’orticello. Questo perlomeno aveva detto al giovane figlio. Le scuse non mancavano: era anche tempo di fare la salsa e il cotto di fichi. Nessuno avrebbe avuto da ridire. Il richiamo della passione le urgeva dentro come un rombo incontrollabile. Il ricordo della prima volta con lo zoppo le bruciava le viscere. Mai provato nulla di simile in passato. Era accaduto al tramonto due mesi addietro. Il collo sudato e il volto rosso di sole dell’uomo, l’acqua che scorreva in rivoli sul possente torace nudo e poi, dopo la mietitura, la capra gemeva, i mietitori a ubriacarsi sull’aia, e lui: «Posso darvi una mano padrona?» e infine la mano maschile che le sfiorava, in apparenza per caso, il sedere tondo e sodo, proteso nello sforzo di aiutare la capra che faticava a sgravarsi. Si era trovata nella paglia, di fianco al capretto riccioluto e umido, senza capire più niente. L’uomo l’aveva presa da dietro, con delicatezza e rispetto. Non c’erano state parole. Lei era la padrona, lui il bracciante stagionale. Il giorno dopo sarebbe andato via. Non l’avrebbe più visto. Si era girata verso di lui irretita dalla sporca mascìja, stordita dal bisogno soddisfatto, ma fissandolo in faccia con occhi severi: lei era la padrona, come si era permesso? E si era tirata giù la lunga gonna rassettando le pieghe con gesti lenti e quieti, poi era uscita con le spalle alte e la testa orgogliosa, lasciandolo nella stalla a testa bassa e con gli occhi fissi a terra, come si addice a un uomo che non ha altro che le sue braccia. Ma un lampo malizioso brillava ora nelle pupille di servo e non sarebbe più sparito. Anche l’uomo non era più andato via. L’aveva aspettata ogni alba, dormendo in un angolo nascosto della Procesa, finché la stalla della masseria era diventata la sua casa. Per tutti era il bracciante fisso che, per pochi soldi, aiutava nei lavori pesanti. Era solo, non aveva un posto dove andare. Il vecchio aiutante e pastore era anziano, non ce la faceva più, e dopo la mietitura aveva deciso di tornarsene per sempre in paese dove si sarebbe 9
goduto la vecchiaia. Il poco che aveva gli bastava per mangiare e per un sigaro. Che altro desiderare? La padrona aveva fatto un’opera di carità a tenere il gravinese, e ci aveva guadagnato buone braccia e un cane fedele pronto a tutto. Questo pensavano gli altri. E così dovevano pensare. Nessuno lo aveva mai visto bene in faccia, nessuno lo aveva mai sentito parlare. Era muto oltre che zoppo? Si teneva cautamente discosto dagli altri come un animale ferito. La donna spiò a fondo nel buio, spingendo lo sguardo verso la bassa vegetazione dove iniziava il dirupo sul Bilioso. Un’ombra sul ciglio aspro e secco ruppe per un attimo la quiete argentata della notte. Un soprassalto del cuore le fece tremare le ginocchia. Chi può essere in piena notte? «Oh», sospirò, «forse è solo una volpe, una volpe in cerca di galline». Spense il lume. Meglio non attirare l’attenzione. Lo zoppo varcò a notte fonda la porticina comunicante con la stalla mentre il garzoncello, buttato sulla paglia, sognava caviglie ben tornite, russando beatamente nel sonno reso più pesante dalla papagna, il decotto di papavero che la padrona gli aveva messo nel vino a cena. Bevi, bevi, te lo sei meritato. Hai fatto un buon lavoro oggi. I due amanti erano soli, straordinariamente soli per la prima volta. Dopo quel primo travolgimento, avevano sempre consumato in fretta e con furia, come animali in trappola. Questa volta no. Si era fatta imprudente. Voleva una notte intera nello stesso letto. Una sorta di luna di miele. E aveva lasciato il figlio in paese per fare compagnia alla nonna paterna, vecchia come il cucco e sofferente di afflizione al petto. Tossiva come un cane. Tubercolosi. Il materasso di frusci gemeva e stormiva come le acque del fiume in piena, mentre i due corpi si univano e sussultavano senza requie. Le foglie di granturco cantavano per i due amanti il loro primo canto. La donna le aveva sfilate dal torso, fatte seccare e infilate di sua mano, una a una nel grande sacco matrimoniale di spessa tela, fantasticando su quel primo incontro da cristiani, in un letto comodo. Infine giacquero appagati e stanchi, prima che il servo tornasse al suo posto nella stalla. Un lieve fruscio interruppe la quiete e spezzò l’incanto che aveva irretito la coppia clandestina. Saltarono a sedere sul materasso, in allerta. Qualcuno tentava di aprire la porta. 10
Lei scese con precauzione dall’alto letto sfatto, si avvicinò alla porta e spiò nuovamente attraverso il buco della serratura del finestrino. Sotto la luna vide un volto che a stento riconobbe. La lontananza e i patimenti lo avevano cambiato, eppure era lui, proprio lui! «È lui, è tornato!» bisbigliò spaventata e sorpresa all’amante acquattato dietro di lei. Più che un bisbiglio fu un muover di labbra. «Che si fa?» chiese quello col tono di chi è disposto a tutto. «Con lui qui, tutto è perduto, per me, per te. Ci tocca ricominciare daccapo: noi, la terra… Perché è tornato…» «Potrebbe non tornare» sussurrò lui, impugnando al buio il manico dell’accetta appesa di fianco alla porta che menava nella stalla. Lei sbarrò gli occhi e non rispose. Appostati ai lati della soglia, aspettavano. La maniglia si abbassò cocciutamente con un cigolio. “Dio fa che rinunci. Dio fa che non entri”, gridò l’ultimo barlume di coscienza nel cuore della donna. La porta infine cedette sotto il colpo di uno spintone. L’ombra smagrita e stanca si stagliò nel chiarore lunare. La scure calò dall’alto. Un riflesso di luna spinse l’ombra a spostarsi, la donna urlò, lo zoppo sibilò: «Maledizione!» La donna urlò ancora, accecata da una paura folle e primordiale, poi si buttò a corpo morto sull’ombra tempestandola di pugni, calci e morsi. Il soldato preso alla sprovvista non ebbe tempo di fiatare. Si difese dai colpi che lo assalivano a tradimento nel buio fitto della stanza. Avevano richiuso la porta. La sconosciuta voce maschile bisbigliò: «Spostati» e la scure si abbatté di nuovo. Il ragazzo non ebbe tempo di chiedersi di chi fosse quella voce, mentre la lama gli penetrava nel cranio, liberando nel buio le note del violino e il ricordo di una dolce, giovane donna, che vi avevano abitato negli ultimi mesi, proteggendolo dalla follia e dalla paura. Il volto della madre gli apparve per qualche istante per condurlo per mano in Paradiso, prima che il corpo cadesse nel suo stesso sangue senza un urlo. La donna si vide fissare dagli occhi sbarrati nella morte e coprì l’orrore con uno scialle. Il suo uomo provvide in poche ore a far sparire ogni traccia del disgraziato soldato. 11
«Tutto a posto padrona. Non t’ preoccupà d’ nudd, lu guaglione è sistemat’ e nisciuno lo potrà acchiare mai. Statti quieta» bofonchiò richiudendosi la porta della masseria alle spalle. Lei lo guardò con occhi sbarrati sull’ovale terreo nella fioca luce della candela. «Io, io… non volevo …» L’ipocrita bugia si spense nel buio. «E mo’» continuò baldanzoso lui senza dar segno di averla sentita «vin’ qua che m’ha venuta voglia». La prese per il busto, la buttò sul materasso di frusci, si lanciò su di lei con foga e le strappò via la camicia da notte bianca su cui spiccava una piccola scia di schizzi rossi. Le mani aprirono le natiche bianche e l’uomo la penetrò senza complimenti con brutale avidità. L’odore del sangue aveva reso temerario il bracciante, facendogli alzare la testa. Lei capì che la sua vita era intrappolata in quella del bracciante: un muro di pesanti massi ne aveva deviato il corso spingendola verso gorghi tempestosi e imprevedibili. Sottomessa all’inevitabile, si abbandonò alla furia dell’uomo, inarcando il bacino scosso dai colpi sempre più veloci, gemendo e piangendo, finché entrambi caddero sfiniti in un sonno cieco e sordo, sedotti dalla luna e dalla morte. Pochi giorni dopo l’omicidio, lui le regalò uno scialle decorato a rose rosse e, dopo una settimana, un anellino d’argento ornato di una rosellina di corallo purpureo. «Ho catturato la mia rosa rossa, il tuo profumo è mio» sussurrò stringendola prepotentemente al petto. In capo a un mese furono marito e moglie. Che altro poteva fare la massara vedova?
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