A NOVA SIRI, MATERANA D’ADOZIONE. DOPO LE PRIME ESPERIENZE DI INSEGNAMENTO IN ALCUNI PAESI LUCANI, DAL 1970 HA INSEGNATO LETTERE A MATERA NELLA SCUOLA MEDIA “PASCOLI” E NELL’ISTITUTO INDUSTRIALE.
La storia singolare di una donna lucana tenace, una pioniera, è lo spunto per parlare di una famiglia di origine arbëreshe: “Finuzza e le sue storie” è il ritratto di un impegno nel lavoro e nel sociale, la testimonianza di un Sud positivo. Il volume non si limita a ripercorrere le vicende di una famiglia, è anche ricco di accadimenti storici strettamente legati alla genealogia degli Smilari.
MARINELLA BATTIFARANO FINUZZA E LE SUE STORIE
MARINELLA BATTIFARANO, NATA
ISBN 978-88-6960-014-2
9 788869 600142
€ 20,00
MARINELLA BATTIFARANO
FINUZZA E LE SUE STORIE
FINUZZA E LE SUE STORIE GLI INCONTRI CON PARENTI E AMICI ERANO PER FINUZZA UNA VERA TERAPIA, UN CONFRONTO DI IDEE CHE LE FORNIVA LA FORZA PER ANDARE AVANTI E SUPERARE LE DIFFICOLTÀ CHE LE SEMBRAVANO INSORMONTABILI. IN QUEL MONDO ISOLATO E RITMATO SOLTANTO DAL LAVORO INCESSANTE ERANO OCCASIONI PER ASCOLTARE FATTI ED ESPERIENZE DIVERSE, PER CONFIDARE LE SUE PENE E TROVARE CONFORTO, SOSTEGNO, AIUTO. NON AVEVA IL TIMORE DI RACCONTARE E RACCONTARSI, RIUSCIVA A COINVOLGERE I SUOI INTERLOCUTORI QUANDO CHIEDEVA: «TU AL MIO POSTO, COSA FARESTI? DIMMI, PUOI INDICARMI LA STRADA PER AFFRONTARE QUESTO PROBLEMA?» NON GIUSTIFICAVA MAI SE STESSA, SAPEVA DI NON POTERSI FERMARE, CHE AVREBBE DOVUTO SALVARSI DA SÉ E CHE NESSUNO, NEPPURE L’AMICO PIÙ CARO POTEVA TIRARLA FUORI DALLA SUA SITUAZIONE. DI FRONTE AL NUOVO CHE AVANZAVA, ALLA NECESSITÀ DI ACCOMPAGNARE I FIGLI NELL’INSERIMENTO NELLA SOCIETÀ, CERCAVA CON VIVACE INTUITO SOLUZIONI PER LO PIÙ CONTRASTANTI CON LA MENTALITÀ DEL MARITO. NON RIMPIANGEVA MAI IL PASSATO, SAPEVA CON SAGACIA PREVEDERE I CAMBIAMENTI, SI ADATTAVA ALLE NOVITÀ, GUARDAVA CON SPERANZA AL NUOVO RUOLO DELLA DONNA NELLA SOCIETÀ.
CAPITOLO 1 Antenati e parenti illustri, una lunga genealogia I Capostipiti In una famiglia di origini albanesi ben integrata nel clima nazionale, aperta all’amicizia e alla solidarietà, l’otto agosto 1917 nacque Finuzza, chiamata in questo modo da tutti per distinguerla dalla zia Serafina, sorella del padre. Diminuitivi affettuosi si proponevano spesso nell’antica famiglia Smilari, dove l’ereditaria prolificità creava omonimie tra zii, cugini e parenti, tutti numerosi e abitanti in un piccolo comune, San Paolo Albanese, nel Parco del Pollino, a cavaliere sulla valle del Sarmento. Qui, da cinquecento anni circa, vivono gli Smilari, partiti dalla Morea, regione greco-albanese, insieme con altri nuclei parentali, in seguito all’espansione turca. Nei documenti fiscali del vice regno di Napoli, anno 1658, si legge che uno dei più antichi capostipiti “possiede tre case, una vigna e gelsi, tre bovi; fa la masseria e campa mediocre”. Si tratta dello status sociale e contributivo di Alessandro Smelaro (era questa l’antica versione scritta del casato) capofamiglia, nato nel 1629, figlio di Giorgio. Ha sposato Maria Buccolo, è padre della piccola Domenica di 4 anni e vive a Casalnuovo (antico nome di San Paolo Albanese) in Basilicata, insieme con Zinobia Buccolo e il fratello Michele. A noi sembra povero l’antenato, nipote o pronipote, chissà, di cristiani di rito bizantino migrati dall’Est Albania. Dispone di un modesto patrimonio, “tre case, una vigna con gelsi e tre bovi”, eppure per l’epoca non era così. La famiglia di Alessandro Smilaro risulta una tra le più agiate di Casalnuovo, casale del feudo di Noja (odierna Noepoli). Quel capofamiglia, infatti, vive con la conduzione della propria terra 15
e rivela una dote tutta speciale e pregevole, sa leggere, scrivere e far di conto e compare tra i rappresentanti eletti del piccolo comune (università) dove svolge il ruolo di cancelliere. Compila i verbali delle assemblee cittadine, scrive e spedisce suppliche o proteste di vario genere alle autorità civili e militari, in sintesi, custodisce la segreteria del comune, che, sebbene piccolo, ospita sessantacinque fuochi (famiglie). Leggere e scrivere era un requisito culturale rarissimo, dati i tempi e le circostanze, segno di supremazia individuale e del casato. Certamente questi Smilaro del ‘600 trasmettevano da secoli l’uso d’istruire qualcuno del loro gruppo parentale. Anche il nome proprio Alessandro, che significa sogno sotto un albero “Glysi hëndere”, ricorre di frequente nelle genealogie della famiglia e fu introdotto dai Coronei (XVI sec.), cristiani di rito greco-bizantino devoti ai santi dell’Oriente. L’interessante documento sulle famiglie sanpaolesi del ‘600, qui riportato in appendice, si trova tra le carte di casa Smilari. Si tratta di pochi fogli consumati scritti a mano da Alessandro, nato nel 1831, magistrato, appassionato di studi storici sulla sua gente e sulla migrazione albanese in Italia del XV e XVI secolo. Il magistrato, zio di mio nonno Alessandro Smilari, riuscì a rintracciare nell’Archivio di Stato di Napoli, probabilmente nel fondo Sommaria, la numerazione e gli averi degli abitanti di San Paolo dell’anno 1658 e del 1664.2 Dalla memoria orale della famiglia mi è stato trasmesso che gli Smilari, sin dalle origini della loro migrazione, avessero avuto un ruolo di guida e di orientamento della comunità. È certo che uno o più membri della famiglia accettarono a Casalnuovo (San Paolo Albanese) e nei paesi vicini incarichi amministrativi; una testimonianza indubbia di queste voci proviene dal fatto che i discendenti di Vincenzo Smilari (1915-1993) conservano con attenzione e cura una copia del cosiddetto “Cervellino”: Direzione ovvero guida delle Università (comuni) di tutto il Regno di Napoli, per la sua retta amministrazione. Si tratta di un testo a stampa scritto da Lorenzo Cervellino nel 1686, molto diffuso, destinato a guidare gli eletti lo-
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Il documento è riportato in appendice.
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cali nel difficile compito di amministratori.3 Imposte, sgravi fiscali, questioni tra i locali feudatari e il governo centrale formavano una materia complessa, da sempre croce e delizia per gli eletti nel parlamento cittadino. Incarichi del genere presupponevano che non solo si sapesse leggere, scrivere e ben discutere in pubblico, ma anche tante altre capacità e conoscenze che sono facili da immaginare. A farla breve, i rappresentanti delle comunità locali occupavano un ruolo riconosciuto e rispettato in piccoli e grandi Comuni. Altro segno del prestigio della famiglia si coglie nel vecchio palazzo Smilari, situato nella parte più antica del paese, in piazza dei Coronei a San Paolo Albanese. Sebbene abbia subito nel tempo numerosi interventi edilizi, presenta ancora la struttura di un edificio fortificato di fine ‘700. Dal portone si accedeva a un grande cortile con tutte le aperture di servizio: stalla, cantina, legnaia; una grande scalinata con tre archi portava al piano superiore e alle soffitte. Il portale originale era molto simile a quell’altro palazzo Smilari, situato sul lato destro della chiesa madre di San Paolo. Procedendo per via Achille, si giunge all’antico e grande palazzo degli Osnato, famiglia con la quale gli Smilari si imparentarono più volte. La presenza di questi edifici ben costruiti ci ricorda che i nostri antenati sanpaolesi non rimasero estranei e lontani da quella generazione di riformatori napoletani che riconobbero come maestri Genovesi e Galanti. Non sappiamo se ebbero contatti con le Accademie Agrarie, nelle quali il Genovesi aveva riposto tante speranze per lo sviluppo del sud, oppure se erano associati, come molti intellettuali del tempo, in logge massoniche. Negli anni riformatori del regno di Napoli, gli intellettuali dell’area del Lagonegrese e quindi anche Terranova del Pollino, San Paolo, San Costantino e Cersosimo e i paesi vicini della Calabria-Citra parteciparono alla stagione delle riforme e del pensiero illuminato e, seppure con esperienze isolate, furono protagonisti del progresso socioeconomico in atto.
3 Lorenzo Cervellino (Oppido Lucano 1642-Oppido Lucano 1699), prete secolare. Il testo Direzione ovvero Guida delle università di tutto il regno di Napoli, per la sua retta amministrazione, ha una prima edizione presso la stamperia Manfredi nel 1686.
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Certamente a Casalnuovo isolato e povero, trasformazioni e miglioramenti arrivarono in ritardo rispetto a centri più evoluti. Lorenzo Giustiniani nel suo Dizionario geografico-ragionato del regno di Napoli del 1793 dà questa informazione sulle case di San Paolo: “Le loro abitazioni pochissime, non di fabbrica, mentre la maggioranza consistono in tante pagliare coperte di tavole”.4 Sembra che ci sia contraddizione tra quanto si può costatare sul posto e le affermazioni del Giustiniani. Presumibilmente il famoso geografo non raggiunse mai Casalnuovo e per la descrizione del paese si avvalse di quanto aveva già scritto sulla località Gerolamo Marafioti in Cronache e antichità di Calabria nel 1601. Settecento e Ottocento Le vicende politiche e sociali di San Paolo Albanese s’intrecciano con quelle della famiglia Smilari, precisamente con quelle dei numerosi e prolifici rami di questo forte gruppo parentale che presenta i caratteri del clan. Da un’attenta analisi dell’albero genealogico si nota che Antonio e Angela Tropo ebbero dodici figli. L’ultimo di questi, Alessandro, nato nel 1775 e sposato con Serafina Smilari, fervente borbonico, fu fucilato dai francesi. Appoggiò, insieme con altre famiglie benestanti e conservatrici dei dintorni, l’impresa del cardinale Ruffo e del suo esercito della Santa Fede contro i francesi e la Repubblica Napoletana, ritenuti nemici della religione, della famiglia e del re.5 Non abbiamo documenti che attestino l’appartenenza di Alessandro a quella rete organizzativa (Arcadia Reale 1794) di sostenitori della monarchia borbonica. Sappiamo, invece, che condivise insieme con il giovane e coraggioso capo massa Francescantonio Rusciani di Terranova di Pollino l’avventura di rispondere agli appelli del cardinale
4 Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del regno di Napoli, ediz. del 1802, pag. 211.
Eliana Rusciani, Biografia di un capomassa Francesco Antonio Rusciani (17711813) Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli 2005. Dal diario di Pietro Scutari, riportato nel testo, si legge: “Allora partì Rusciano coi terranovari, con Frances’Antonio Pace coi sancostantinesi (San Costantino Albanese), con don Domenico Montagna co li noiani (Noepoli), don Alessandro Smilari co li casalnovesi (Casalnuovo oggi San Paolo) si sono riuniti in Rocha (Rocca Imperiale) e formarono una grande truppa massa. Don Francesco Rusciano fu titolato colonnello e marciarono per Matera”.
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Ruffo in difesa del re di Napoli Ferdinando IV di Borbone. Molto probabilmente anche questo antenato aveva conseguito un titolo di studio, come tanti figli della borghesia agraria, e aspirava a una più adeguata collocazione sociale. Gli Smilari, come i Rusciani, non furono giacobini, rimanevano, invece, legati alla fedeltà borbonica e a quella stagione del riformismo illuminato che aveva lasciato un segno anche nei nostri territori.6 Non sappiamo se la morte di Alessandro per mano francese avvenne durante i numerosi combattimenti (Altamura, Bari, Barletta, Benevento) o alla ritirata da questa lunga avventura o alle rappresaglie successive. È certo che Alessandro si trovava a San Paolo nel 1804; infatti, nel maggio di quell’anno riceveva una lettera dell’amico Pasquale Della Ratta, noto medico di Senise, anzi, dottor fisico, come si diceva a quel tempo, che lo pregava di consegnare al suo mulattiere foglie di gelso per l’allevamento del baco da seta praticato dalle sue figliole in Senise.7 Dalla lettera si deduce che l’attività della seta era una delle occupazioni della famiglia Smilari insieme all’allevamento di ovini e bovini e alla cura dei boschi. Inoltre, il tono cortese e civile, la qualità espressiva del messaggio mettono in luce i legami di amicizia e familiarità oltre che di interessi, che correvano tra i galantuomini dei paesi nell’area del Pollino. Il personaggio che lasciò una maggiore impronta nella storia della famiglia fu probabilmente Vincenzo (1803-1868), figlio di Alessandro filoborbonico, che aveva sposato Teresa D’Agostino (mia madre Finuzza frequentava i D’Agostino di Trebisacce) dalla quale nacquero dieci figli. Fra questi il primo fu Alessandro (1831-1909) il quinto Ercole, nostro trisavolo, il nono Giorgio. Sappiamo per certo che questi tre figli maschi studiarono nel seminario di San Demetrio Corone (Cosenza) e successivamente frequentarono l’università di Napoli. Mentre Alessandro e Giorgio si laurearono in Giurisprudenza, Ercole ritornò in paese dove sposò la bella Anna Osnato (nostra trisavola) di famiglia benestante, e si occupò sempre di agricoltura. Vincenzo, alto, forte, combattente, era amante dei cavalli e delle sfide. Si raccontava che coinvolgeva i suoi coetanei tanto negli usuali
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Archivio privato Rusciani, Castrovillari, sunto del Diario Scutari.
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Lettera di Pasquale Della Ratta ad Alessandro Smilari. Appendice n. 2.
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lavori di campagna quanto nelle imprese commerciali e militari. Attraverso la via del Sale con i suoi coetanei valicava il monte Carnara e giungeva sulla costa calabrese dove scambiava i prodotti dei suoi allevamenti con il sale, con attrezzature agricole e tutto ciò che in paese non si poteva fare. Di lui si conserva un bel ritratto, ricoperto di un mantello e con un berretto militare. Era forse la sua divisa di capitano. Molto probabilmente si deve a lui, personalità brillante e intraprendente, l’iniziazione a quella formazione politica liberale che coinvolse molti membri della sua famiglia nell’avventura risorgimentale. Nei discorsi familiari si faceva riferimento a lui ogni volta che qualcuno tentava di intraprendere imprese avventurose. Come grande guerriero, accompagnato dai suoi amici, saliva e scendeva le balze del Pollino con un vigore e un allenamento indescrivibili. Affrontava lontananze, agguati e pericoli di ogni sorta, non temeva la neve durante i mesi invernali. Una volta riuscì a salvare dal congelamento due suoi amici riportandoli in paese sulle spalle. Molto attiva fu la partecipazione dei patrioti albanesi, insieme con altri della valle del Sarmento, ai moti del 1848, durante i quali si distinsero per impegno a Campotenese.8 In questa impresa Vincenzo Smilari (1803–1868) ebbe il ruolo di capitano, combatté con molti compaesani e alcuni cugini, tra cui anche Francesco Smilari, sacerdote e letterato.9 Il piccolo drappello era completato da Stanislao, Crispino e Francesco Smilari. Quest’ultimo morì durante i combattimenti.10 Gli Smilari erano parenti tra loro e la presenza del sacerdote–letterato indica che la famiglia esercitava una responsabilità attiva nel territorio e influente nelle scelte politiche. Di Francesco, definito galantuomo, si diceva che aveva sostenuto la rivolta della Calabria Citeriore nel giugno del 1848 e che si era dato
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Tommaso Pedio, Dizionario dei patrioti lucani, vol. V, ed. Bigiemme, Bari 1990.
Il sacerdote letterato, arciprete di San Paolo, concorse alla riorganizzazione delle forze liberali nei paesi della valle del Sarmento e, con Alessandro Tamburri, alla formazione di un reparto di volontari che accorse a Campotenese. Anche lui fu sottoposto a sorveglianza speciale e usufruì dell’indulgenza del 1855. T. Pedio, Dizionario dei patrioti lucani, vol. V, Bari 1990. 9
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Lorenzo Scutari, Gli albanesi di San Costantino e San Paolo, Potenza 1899.
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alla latitanza, durante la quale morì il 26 agosto 1848.11 Alessandro (1831-1909), magistrato, figlio maggiore di Vincenzo, si distinse sin da giovane per la vivace intelligenza e l’impegno culturale, mentre Giorgio, il minore, ebbe una vita avventurosa e movimentata. Dopo aver completato il suo corso di studi, ritornò in paese, dove fu incaricato di svolgere l’attività di esattore e consigliere.12 Da un opuscolo che raccoglie alcuni articoli scritti su riviste americane, si viene a sapere che alcuni suoi compaesani d’oltreoceano scrivevano di Giorgio e dei suoi familiari una lunga serie di calunnie. Giorgio sposò Rosa Smilari, dalla quale ricevette una dote notevole che forse gli permise di costruire il bellissimo palazzo situato sul corso Vittorio Emanuele II (oggi proprietà Blumetti), di fare viaggi e godere di lunghi periodi di villeggiatura. In seguito lo stesso abbandonò Rosa, per unirsi alla cugina di lei, Ernesta, dalla quale ebbe dei figli. Fu accusato di adulterio dalla moglie. Costretto a emigrare in America con Ernesta si stabilì a New York, dove fu accolto e aiutato da emigrati amici di famiglia. Alcuni di questi lo difesero pubblicamente e contestarono le accuse che gli venivano fatte. Sempre nell’opuscolo sopra citato si parla di un suo figlio di nome Manlio. Mia madre Finuzza raccontava che la sorella Nina mantenne rapporti epistolari con una discendente dello zio Giorgio, Argia, fino agli anni Cinquanta. Fra i patrioti lucani il Pedio annovera anche il cugino (di Giorgio e Alessandro) Crispino, nato dal medico Nicola e da Doranna Pace. Crispino Smilari fu nel 1848 fra i combattenti a Campotenese e di seguito sorvegliato speciale della polizia borbonica. Gli atti a suo carico furono archiviati dalla sovrana indulgenza del 1855.13 Nel 1860, dopo lo sbarco dei garibaldini a Marsala, molti abitanti di San Paolo insorsero contro il governo borbonico e gli Smilari furono parte attiva dell’insurrezione. Michele Smilari, nato da Crispino e Domenica Smilari il 17 aprile 1834, galantuomo, nel 1860 accettò il programma del Comitato
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Pedio, op. cit.
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Ai due minotauri di San Paolo Albanese, New York, 20 maggio 1904, pag. 21.
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Pedio, op. cit., pag. 159.
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dell’Ordine e nell’agosto, caporale degli insorti, fu aggregato alla VI Colonna delle Forze Insurrezionali Lucane che operò al comando di Aquilante Persiani con l’intento di partecipare alle battaglie del Volturno. Insieme con lui partecipò anche Vincenzo-Andrea, figlio di Agostino Smilari e Vittoria Buccolo.14 Tutto ciò è segno di quel legame parentale e politico che teneva unito questo casato. Lo zio Alessandro e la vicenda risorgimentale Anche Alessandro (1831–1909) figlio di Vincenzo Smilari e Teresa D’Agostino, si aggregò, nell’età giovanile, alle truppe del Persiani. Da Potenza fu inviato a Roccanova con un reparto di Guardia Nazionale per ripristinare l’ordine pubblico sconvolto dalle manifestazioni, svoltesi il 18 agosto 1860 per la divisione dei demani. Nominato dal Governo Provvisorio lucano giudice circondariale di Sant’Arcangelo, fu mantenuto in Magistratura e raggiunse il grado di Consigliere di Cassazione.15 Le vicende politiche e letterarie dello zio Alessandro lo resero famoso a San Paolo, nel circondario e anche a Roma, dove trascorse l’ultimo periodo della sua esistenza. Diede lustro alla sua famiglia, alla Lucania e all’Italia per la sua vivace intelligenza, l’attaccamento al dovere e il continuo impegno per lo sviluppo del suo territorio, cui rimase legato per tutta la sua vita. Per i suoi discendenti le vicende di questo antenato sono sempre state motivo di prestigio e di esempio, sia per il cospicuo patrimonio culturale e morale trasmesso, sia per le testimonianze di studi letterari, giuridici e sociali. Dal padre Vincenzo (1803-1868), che combatté insieme con altri albanesi della Valle del Sarmento a Campotenese nel 1848, aveva ereditato la passione patriottica.16 Valori civili e formazione liberale gli furono inculcati anche dallo zio Francesco Smilari, sacerdote
Michele Lacava, Cronistoria documentata della rivoluzione in Basilicata nel 1860 e delle cospirazioni che precedettero, Napoli 1985, pag. 760. 14
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Pedio, op. cit., pag. 159.
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Pedio, op. cit., pag. 161.
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letterato, persona colta, riferimento culturale e sociale per molti giovani di San Paolo.17 Come tutti i figli della buona borghesia di origine albanese, Alessandro Smilari frequentò il collegio di Sant’Adriano di Calabria a San Demetrio Corone,18 manifestando sin dall’adolescenza un’intelligenza viva e un grande amore per gli studi classici particolarmente per i poemi omerici e per le tragedie greche. I suoi docenti, quasi tutti preti greco-bizantini, nella formazione dei loro discepoli privilegiavano l’insegnamento degli autori latini e greci, sollecitandoli anche allo studio della storia, dell’italiano e alla lettura degli autori europei del loro tempo. Frequentò la facoltà di Giurisprudenza all’università di Napoli, dove incontrò giovani lucani e calabresi, con i quali condivideva passioni e opinioni aderendo alle società segrete e mazziniane. Organizzavano, poi, nei rispettivi paesi, gruppi e comitati pronti a intervenire in caso di rivolte anti-borboniche. In quegli anni, la frequentazione di autorevoli professori della scuola giuridica contribuì a formare la sua originale personalità. Certamente conobbe ed ebbe scambi culturali con lo scrittore Girolamo De Rada (1814-1903) che nel poema Skanderbeg sventurato lo descrive poeticamente come un autorevole e nobile capo albanese, vecchio e saggio, in procinto di abbandonare la sua terra in Morea.19 Gli eventi che portarono all’Unità d’Italia lo videro attento e partecipe tra il popolo lucano all’insurrezione del 1860. In quell’anno Alessandro accettò il programma del Comitato centrale dell’ordine e
Pedio, op.cit., “Francesco Antonio Smilari nacque a Casalnuovo, l’attuale San Paolo Albanese, il 4 novembre 1812 da Nicola e Duranta [Doranna] Pace… arciprete nel suo paese, concorse alla riorganizzazione delle forze liberali nei paesi della valle del Sarmento e, con Alessandro Tamburri, alla formazione di un reparto di volontari che accorse a Campotenese” pag. 160. Cfr. anche G. Racioppi, Storia dei moti di Basilicata, Laterza, Bari 1909.
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Renato I. Marchianò, Michele Marchianò: albanologo-umanista, Milano 1956, pagg. 37-39. Interessante descrizione della vita di collegio.
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Il poema Skanderbeg sventurato, si trova nell’Opera omnia di Gerolamo De Rada pubblicata in ed. critica da Vincenzo Belmonte per Rubbettino, 2005. Vol. VI, libro 1° al canto V, La discordia, pag. 187. 19
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nell’agosto fu a capo degli insorti di San Costantino Albanese.20 Partirono in quattro, tutti armati, e, insieme con i patrioti di Casalnuovo (San Paolo) formarono un piccolo manipolo di ventinove patrioti. Capitano Vincenzo Smilari (quale dei tanti omonimi della famiglia è difficile stabilirlo), Stanislao Smilari primo tenente, Nicola Maria Smilari portabandiera, Michele Smilari caporale, Vincenzo Andrea Smilari soldato. Questa famiglia allargata fa scrivere a Michele Lacava nella sua Cronistoria che nei due paesi albanesi di San Paolo e San Costantino l’operosità patriottica degli Scutari e degli Smilari fu ben grande.21 I drappelli lucani si muovevano dalla valle del Bradano, del Basento e del Sinni per convergere verso Potenza e unirsi al liberatore Garibaldi che si apprestava a raggiungerli dalla Sicilia.22 Il viaggio insurrezionale dei nostri avi durò circa un mese. Nella sola Basilicata si formò una truppa a massa di più di 3500 volontari. Molti di questi confluirono nell’esercito meridionale e diedero un forte contributo alle battaglie del Volturno e alla sconfitta definitiva dell’esercito borbonico. Il senso dell’unità della Patria, la prontezza dei suoi interventi e il profondo rammarico per le stragi si leggono nella bella lettera inviata all’amico Vincenzo Dorsa. Le rivolte antiunitarie del Lagonegrese e la nomina a giudice nei processi ai rivoltosi l’obbligarono a riflettere.23 Si chiedeva, così come facevano tanti che avevano appena combattuto al Volturno e si preparavano a costruire l’Italia, da dove provenisse tutto l’odio antipatriottico dei ribelli di Lagonegro. Alessandro Smilari fu uno dei primi a intuire che non si trattava soltanto di sobillatori borbonici o di strategie brigantesche, ma di una vera e propria guerra civile. Si trattava anche di guerra sociale. Nel
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Pedio, op. cit., pag. 159.
Michele La Cava, Cronistoria documentata della rivoluzione in Basilicata del 1860, Napoli 1895, pag. 219.
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Giacomo Racioppi, Storia dei moti di Basilicata, op. cit., pagg. 383-385.
Alessandro Smilari, Cenno storico delle reazioni del 21 ottobre 1860 nel circondario di Lagonegro, lettera del giudice Alessandro Smilari scritta al signor Vincenzo Dorsa, Tipografia Migliaccio, Cosenza 1862.
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suo breve scritto Cenno storico delle reazioni del 21 ottobre 1860 nel circondario di Lagonegro, lettera del giudice Alessandro Smilari scritta al signor Vincenzo Dorsa, questa felice intuizione viene chiaramente documentata. Le vicende unitarie e postunitarie segnarono duramente l’animo del giovane Alessandro, ma nello stesso tempo lo legarono interamente alle sorti del nascente Stato italiano. Il suo impegno e quello profuso dagli italo-albanesi alla causa nazionale si colgono chiaramente nel discorso da lui pronunciato e del quale si acclude copia, fatto alla presenza del prefetto Pera, giunto a san Paolo in occasione della piantagione di un piccolo bosco, ricordo e testimonianza dei caduti nelle numerose battaglie risorgimentali.24 Molti suoi articoli e saggi sono riportati in riviste giuridiche dell’epoca e in piccole pubblicazioni ritrovate in famiglia, in archivi privati e in biblioteche piccole e grandi del territorio nazionale.25 Benché lontano da San Paolo, studiava usi e costumi degli albanesi, suo popolo d’origine, al quale rimase tenacemente e orgogliosamente legato per tutta la vita. È del 1885 il testo Rapsodia albanese tradotta in italiano. Di seguito pubblicò nel 1891 Ricerche e pensieri sugli Albanesi d’Italia loro costumi e poesie popolari. Qui conferma l’origine pelasgica degli albanesi e sostiene la tesi che essi hanno tramandato oralmente poesie e canti di generazione in generazione. Per timore che questo patrimonio di preziose testimonianze andasse disperso, durante una vacanza nel suo paese natio, trascrisse il rito del matrimonio, i canti dei banchetti e quelli dei riti funebri.26
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Cfr. appendice n. 3.
Appassionato di studi giuridici, trovava sempre il tempo per una esegesi chiara e precisa, adatta a illuminare significati e finalità dei testi legislativi. Delle pubblicazioni forensi ricordiamo: Domicilio civile: ricerche e pensieri nel 1858, Saggio analitico del progresso legislativo dalla caduta dell’Impero Romano sino al Risorgimento del Romano nel 1859, Gli scioperi agricoli in Italia: cause e rimedi nel 1902, La suggestione nelle disposizioni testamentarie; questioni su di un caso speciale nel 1891. 25
26 Alessandro Smilari, Gli albanesi d’Italia, Napoli, A. Bellisario & C. tipografia De Angelis 1891.
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Portatore di una visione romantica della storia e memore dell’eroica epopea del popolo albanese, lo zio Alessandro interpretò i sentimenti, lo spirito patriottico e le ansie nazionali di questo popolo non solo del suo paese, ma di tutti i residenti in Italia. Gli italo-albanesi, infatti, pur essendo impegnati a risolvere i problemi di sussistenza non hanno mai smesso di pensare con nostalgia alla loro terra d’origine. Dopo la crisi dell’impero ottomano, alcuni studiosi, sollecitati da intellettuali come Girolamo De Rada e Gerardo Conforti, s’impegnarono a far emergere il problema dell’indipendenza dell’Albania in Europa. Essi vollero dimostrare che questa terra aveva una sua lingua originale, sempre viva e presente, una sua tradizione culturale e che poteva aspirare alla libertà e all’indipendenza. Del giudice Alessandro si conoscono anche alcuni aspetti del carattere, li traccia, sorridendone, il giornalista T. Rivella nel trafiletto intitolato Tribunali allegri comparso sul Foglietto giudiziario del marzo 1904. Il giudice, serio e assai preciso nello svolgimento dei suoi compiti, mal tollerava impiegati inetti e avvocati prolissi, categorie alle quali destinava battute ironiche non sempre benevoli.27 Nell’aprile del 1861 sposò la signora Lucia Basile di Plataci, altro paese italo-albanese della Calabria, che lo accompagnò nei vari luoghi dove svolse la sua professione. Visse molti anni a Lucera e a Trani come Presidente di Corte d’Appello. Non avendo figli propri portò con sé il nipote Alessandro (il padre di Finuzza), figlio del fratello Ercole, curando la sua formazione intellettuale e permettendogli di frequentare il liceo classico in questa cittadina pugliese. Nel 1888 si trasferì a Napoli dove continuò e rafforzò rapporti epistolari e di amicizia con gli intellettuali italo-albanesi del suo tempo. In famiglia si raccontava di una sua corrispondenza con Francesco Crispi, anch’egli di origine italo-albanese, che probabilmente si fermò a San Paolo durante le sue peregrinazioni fra la Sicilia e il nord Italia, mentre partecipava alle cospirazioni antiborboniche. Una let-
Foglietto giudiziario, giornale quindicinale di dottrina, cronaca, giurisprudenza, marzo 1904, fasc. 6.
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tera di ringraziamento per l’ospitalità ricevuta purtroppo è andata dispersa. Non sappiamo precisamente a quale degli Smilari fosse indirizzata. Successivamente, frequentò gli italo-albanesi che vivevano a Roma, dove trascorse l’ultimo periodo della sua esistenza. Quando la sua toga era ormai sdrucita (come usava dire) volle contribuire allo sviluppo della Basilicata del suo tempo essendo stato eletto consigliere provinciale, incarico che svolse dal 1890 al 1893. Erede di quella borghesia agraria illuminata, insieme con gli intellettuali del suo tempo, fu attento a promuovere lo sviluppo non solo sociale e culturale del territorio meridionale ma anche quello economico. Molto interessante è il discorso tenuto nel dicembre del 1890 al Consiglio Provinciale.28 Inizia con una breve descrizione dello stato sociale ed economico della Basilicata, prosegue denunciando la mancanza di mezzi di trasporto e quindi l’impossibilità di far sviluppare l’agricoltura, l’artigianato e il commercio, attività necessarie a risollevare dall’indigenza le misere popolazioni rurali del Sud. Manifesta una visione globale delle possibili vie di comunicazione, facendo proposte di viabilità che, se la classe politica avesse gradualmente messo in atto, forse si sarebbe superato da tempo il problema dell’isolamento dei nostri paesi. In queste sue pagine si nota tutta la passione romantica per i suoi compaesani e per il suo territorio. Auspica persino una ferrovia che colleghi Lagonegro ai paesi del Sarmento, a Oriolo Calabro e giunga a Sibari. Quando il giovane Stato italiano cominciò a vendere all’asta i beni ecclesiastici incamerati, trovò l’occasione per comprare il feudo ecclesiastico di Sant’Oronzo, sito in agro di Noepoli, tra San Giorgio, Colobraro e Valsinni. Don Alessandro quell’enorme fondo non l’aveva mai visto o visitato, sia per motivi di salute, sia per la difficoltà di raggiungerlo, infatti, mancando una strada, si ci poteva arrivare solo a dorso di mulo. Con l’acquisto egli mirava a sollevare non solo le sorti della sua famiglia, ma anche a promuovere il progresso agricolo di tutta l’area della valle del Sarmento. In questa grande azienda lavoravano centinaia di operai provenienti dai paesi limi-
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In appendice n. 4.
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trofi, svolgendo funzioni differenti e complementari, come si usava nelle grandi aziende ottocentesche. Sant’Oronzo, che misurava un’estensione di circa 800 ettari, probabilmente era stato un convento edificato dai monaci basiliani. Nelle numerose grotte e grandi androni degli edifici monastici ancora in piedi, dove vivevano e si svolgevano le attività comuni dei frati, s’intravedevano affreschi bizantini di soggetti sacri. Di Sant’Oronzo al momento non rimane che qualche rudere e un grande arco con uno stemma e la scritta “Caritas”. Di tutto l’antico splendore è rimasto solo il paesaggio bellissimo: si domina la valle del Sinni, si vede la diga di Senise, Colobraro, San Giorgio e Noepoli; si alternano macchie verdi, come il Piano delle Rose e zone brulle e calanchive. La proprietà del feudo di Sant’Oronzo fu donata dal magistrato al pronipote Sandrino (il fratello maggiore di Finuzza) quando, ancora bambino, andò a vivere con lui, con l’impegno di provvedere anche alle necessità degli altri fratelli. Il Magistrato Alessandro morì nel 1909 e fu sepolto a San Paolo nella tomba di famiglia, dopo che la sua salma fu esposta per giorni nella villa, perché tutti gli amici e i conoscenti dei paesi limitrofi gli dessero l’estremo saluto.
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Il “Cervellino”.
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Vincenzo Smilari in divisa da capitano.
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Il palazzo di Corso Vittorio Emanuele II (proprietĂ Blumetti).
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Il Magistrato Alessandro Smilari.
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