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il Santuario della Dea Mefitis a Rossano di Vaglio
... E“Esistono, l’acqua doveva certo avere un ruolo centrale nel rito e nel culto della dea Mefitis: per le sue molteplici valenze, da quella semplicemente purificatoria a quella più complessa di ‘elemento fondamentale che adombra processi di rinascita a una nuova vita’ ...
Santuario Dea Mefitis Rossano Vaglio
una rilettura degli aspetti archeologici e cultuali
ANTONELLA ANDRISANI
Antonella Andrisani, con questo saggio, ha vinto il Premio Letterario “Citta dei Sassi”, edizione 2007, nella sezione Saggistica.
ANTONELLA ANDRISANI
88-86820-64-6
i saggisti
STORIA DEGLI STUDI Gli scavi I primi ritrovamenti La presenza di un complesso monumentale nella contrada Madonna di Rossano, a Macchia di Rossano (o semplicemente Rossano), nel territorio di Vaglio di Basilicata, è nota fin dall’Ottocento. Nella letteratura archeologica la località è conosciuta per il recupero di materiali già dal 1790, quando compare in relazione al ritrovamento di un candelabro in bronzo, in seguito acquisito dal Reale Museo Borbonico di Napoli. Le prime notizie certe su Rossano di Vaglio si devono però ad Andrea Lombardi, storico locale, che in un suo studio del 1832 descrive la presenza, in località denominata “Pantano”, di strutture, “acquedotti” e resti di muri e menziona inoltre il rinvenimento di oggetti in bronzo. Nel 1882, altre preziose informazioni sono fornite dal Fiorelli il quale, senza aver visitato direttamente la zona, riporta una notizia avuta da Michele Lacava circa il ritrovamento, nell’area della Masseria Milano, di “avanzi di un pubblico edificio, forse un tempio […] tra i ruderi delle fabbriche” e “pezzi di antefisse che potrebbero aver appartenuto al tempio”. Dice inoltre che “nella medesima Masseria Milano si conservano alcune iscrizioni”.10 Nel 1891, lo stesso Michele Lacava in un suo lavoro su Metaponto, cita due iscrizioni11 e altri documenti epigrafici inseriti nei muri di alcune strutture moderne. Costruito su un falsopiano del versante orientale del monte Macchia di Rossano, al centro di un bosco di querce, il santuario sorge nel cuore del grande complesso montagnoso comprendente una serie di alture rocciose intorno ai 950-1000 metri s.l.m. che abbraccia tutta la zona a nord e a est di Vaglio di Basilicata.12 Un tempo, e fino al secolo scorso, tutta l’area era ricchissima di boschi, ora quasi del tutto scomparsi (fatta eccezione per alcune piccole aree), lasciando il posto a una 9
vegetazione sparsa a macchia mediterranea, formata da erbe e bassi arbusti, da cui, appunto, il nome di “Macchia” di Rossano. Le aree coltivate sono piccole e scarse, a causa della elevata pietrosità del terreno, caratterizzato in alcuni punti dall’affiorare di rocce calcaree molto dure. La principale caratteristica dell’area è data però dalla presenza di sorgenti. Il nome stesso della località, “Pantano”, che si ritrova nella letteratura ottocentesca, rimanda alla presenza di fonti o pozze d’acqua. La più grande e importante delle sorgenti è detta “Acqua della Madonna”, pochi chilometri a monte dell’area di Pantano. Un’altra grossa sorgente si trova accanto a una delle vecchie fattorie Danzi. Ma altre ancora sono sparse in tutta la zona, nell’area delle Masserie Milano, che delimitano l’estremità meridionale del complesso. Ovunque si possono osservare resti di fontane, canalizzazioni e vecchi abbeveratoi abbandonati. La vicenda archeologica di Rossano di Vaglio ha inizio alla fine degli anni ‘50. Già da alcuni anni Francesco Ranaldi, allora direttore del Museo Provinciale di Potenza, aveva avviato una serie di scavi in località Serra, nell’agro di Vaglio, in seguito all’individuazione di blocchi di una imponente fortificazione che racchiudeva resti edifici antichi. Grande impulso alla ricerca e allo studio fu dato, dopo l’istituzione della Soprintendenza alle Antichità della Basilicata, nel 1964, da Dinu Adamesteanu il quale, intuendo le enormi potenzialità del sito, concentrò risorse e mezzi dando inizio a una serie di campagne sistematiche protrattesi, in modo sia pure discontinuo, fino a pochi anni fa. Lo stesso Dinu Adamesteanu aveva iniziato, dal 1962, a studiare il problema della viabilità intorno a Serra di Vaglio, attirato in particolare dalla presenza, a nord est dell’abitato, di un grande incrocio viario. Un contributo essenziale in tal senso fu dato dalla fotografia aerea, disciplina nuova comparsa negli anni immediatamente precedenti alla seconda guerra mondiale. Alla fine degli anni ’50, proprio Adamesteanu era stato il fondatore e direttore dell’Aerofototeca Nazionale con l’obiettivo di applicare all’archeologia le tecniche aero-fotografiche, realizzando riprese aeree allo scopo di creare una nuova cartografia archeologica. Proprio dallo studio delle fotografie aeree del Volo Base del 1954, riguardanti l’area compresa tra Serra di Vaglio, Carpine di Cancellara, Oppido Lucano, Tolve e Civita di Tricarico, emergeva chiaramente come intorno a Rossano di Vaglio si radunassero o si dipartis10
sero tutte le antiche vie, mulattiere, tratturi colleganti dall’interno i centri indigeni menzionati. Un punto, quindi, particolarmente significativo a livello topografico, in corrispondenza della viabilità principale del territorio e al centro di una fitta rete di percorsi antichi convergenti da diversi centri lucani.13 Nel frattempo Rossano era stata completamente dimenticata. “Pantone di Milano”, “Macchia di Rossano”, “Madonna di Rossano”, “casa del cantore Danzi”, “Fattoria Milano” erano ormai nomi quasi del tutto sconosciuti. Pochi ricordavano ancora queste denominazioni. Nel 1964, ecco che però il nome di Rossano di Vaglio ritorna, con una succinta notizia, in un lavoro collettivo sulla Basilicata pubblicato dal Ranaldi.14 In circostanze non del tutto chiare compaiono anche due iscrizioni: la prima, con dedica a [μ]εfιτηι καποροιννα[ι] (RV-06) scoperta dallo stesso Ranaldi nel 1962. Un’altra iscrizione (RV-05) con dedica a Fενζηι . μεf […] era stata rinvenuta già nel 1925 e poi dimenticata. Nel 1967 Michel Lejeune, che aveva già raccolto bibliografia su Rossano e avviato uno studio riprendendo l’intero gruppo di epigrafi provenienti dalla zona di Vaglio e dalla vicina Potentia, riaccende l’interesse intorno a Rossano di Vaglio intervenendo sulla questione. Compare infatti uno studio dello stesso Lejeune in cui l’iscrizione RV-06, con dedica a Mefiti Caporoinnai è considerata proveniente da Rossano.15 Stessa provenienza è supposta dal Lejeune anche per l’iscrizione RV-05, con dedica a Venus-Mefitis, la cui datazione è fissata al II sec. a.C. Dopo una discussione piuttosto vivace tra M. Lejeune, D. Adamesteanu e M. Napoli, allora Sovrintendente alle Antichità di Basilicata, durante il VII Convegno di Studi sulla Magna Grecia a Taranto, nell’inverno 1968-69 una ricognizione effettuata a Rossano consente il recupero, nella proprietà degli eredi Milano, in località “Pantano”, proprio di un frammento della stessa iscrizione RV-05 che aveva originato il dibattito. Campagna di scavi 1969-1986 (1992) Nel 1969 la Sovrintendenza alle Antichità di Basilicata decide l’avvio di una prima campagna di scavi a Macchia di Rossano. I lavori si protraggono, con numerose interruzioni e in modo discontinuo, a cau11
sa della scarsità dei fondi a disposizione, in gran parte utilizzati per il restauro delle strutture messe in luce,16 fino al 1986, sotto la direzione di Dinu Adamesteanu ed Helmtraut Dilthey, e sono conclusi, infine, nel 1992 con la pubblicazione di un Rapporto Preliminare curato dagli stessi Adamesteanu e Dilthey.17 Compaiono contemporaneamente gli studi di M. Lejeune sull’epigrafia di Rossano di Vaglio.18 Se le ricognizioni dell’inverno 1968-69 avevano interessato tutta la zona di Macchia di Rossano, le indagini si concentrano ora nell’area di proprietà della famiglia Milano.19 Lo scavo poneva subito una serie di problemi, da un lato derivanti dal prolungato stato di abbandono del sito, lasciato all’incuria ed esposto a distruzioni e saccheggi, dall’altro connessi con le particolari condizioni geologiche e ambientali dello stesso, caratterizzato dalla presenza di argille, tendenzialmente instabili a contatto con l’acqua. Fenomeni franosi e di dissesto, dovuti all’incremento (data l’abbondante presenza di acque e sorgenti nella zona) di apporto idrico localizzato nell’area di culto hanno interessato a più riprese il santuario, in epoca antica e anche più recente,20 con conseguenze più che evidenti: muri sconvolti, spostati o abbattuti, piani di calpestio anch’essi sconvolti. All’inizio dei lavori l’intera area si presentava coperta da un enorme cumulo di pietre e di macerie e in stato di avanzata distruzione: oltre a essere stata tormentata per lunghi periodi da lavori agricoli la stessa era stata utilizzata per almeno sessant’anni come cava di pietra, per la ricerca di blocchi per la costruzione di recinti e nuove case coloniche sorte accanto alle vecchie case Milano. Blocchi lavorati e ben squadrati, provenienti certamente da edifici antichi, erano sparsi qua e là. Frammenti di vasi, di statuette, pezzi di antefisse fittili, embrici, frammenti di grandi tegole di copertura, capitelli e frammenti di colonne, addirittura qualche moneta affioravano, disseminati sul terreno, attirando gli occhi degli scavatori di frodo.21 Gli scavi consentono di portare in luce e di conoscere la planimetria generale di quello che si considerava essere il vero nucleo del santuario originario.22 Il complesso occupa un’area di dimensioni circa m 200x200 e si struttura intorno a un grande “piazzale” di forma rettangolare (m 37 12
x 21) accessibile sul lato NO attraverso un largo ingresso (largo m 6), leggermente decentrato rispetto al piazzale e più spostato verso O. I muri perimetrali dell’entrata presentano fondazioni in pietrame grosso, con alzato costruito con blocchi evidentemente riadoperati. Molti mostrano tracce di perni laterali per l’infissione di oggetti votivi. Lo stesso lato NO del piazzale è delimitato verso il sagrato da un muro, che assume l’aspetto di un vero e proprio temenos, costruito con due tipi diversi di pietra: mentre la parte orientale risulta costruita esclusivamente con blocchetti di pietra arenaria (anche se l’alzato si presentava, al momento del rinvenimento, parzialmente distrutto per la caduta di tre filari di blocchi), quasi tutti riadoperati, in quella occidentale gli ultimi due filari in pietra arenaria poggiano su un primo filare di blocchi squadrati in pietra calcarea, accuratamente lavorati. Sono inseriti nel muro, come elementi di costruzione, anche alcuni frammenti di iscrizioni, databili entro la fine del II sec. a.C. È da notare ancora che i blocchetti di arenaria del temenos mostrano segni di cava, non presenti invece sui blocchi in pietra calcarea. Gli stessi segni di cava, recanti talvolta lettere dell’alfabeto greco, sono stati rintracciati anche sui blocchi di fondazione, sempre in pietra arenaria, del grande monumento, interpretato da Adamesteanu come altare, di forma rettangolare (m 27,5 x 4,50) che occupa in lunghezza quasi tutto il lato SE del piazzale. Due le ipotesi possibili: l’intero muro di temenos é stato costruito o ricostruito con materiale riadoperato, ed é quindi databile a una fase posteriore della vita del santuario, oppure ha subito parziali rifacimenti o una risistemazione, almeno nel suo tratto occidentale, da ricollegarsi, secondo Adamesteanu, ai vari rifacimenti del sagrato e alla ristrutturazione dell’amb. IV nella sua fase più recente, fissata dallo stesso Adamesteanu al I sec. d.C. Il grande altare risulta diviso in due parti di diversa lunghezza: quella orientale di dimensioni m 16,73 4,50, quella occidentale m 10,52 con larghezza costante di m 4,50. Sotto un blocco del muro divisorio tra le due parti dell’altare era depositata, una spada in ferro lunga c.a. cm 40. Dell’alzato dell’altare poco o nulla si è conservato. I blocchi di arenaria che ne definiscono il perimetro sono peraltro stati riposizionati nel corso dei lavori di restauro eseguiti nel santuario negli anni ’80. Intorno all’altare si estende il sagrato, caratterizzato da una pavi13
mentazione in grandi lastroni irregolari in pietra calcarea durissima, di colore biancastro. Le testate delle lastre di pavimentazione del sagrato appaiono nettamente interrotte alla linea alla base del monumento, e si allineano perfettamente ai blocchi di fondazione dell’altare. Se ne deduce la preesistenza dell’altare rispetto al sagrato, mentre le due parti dell’altare sarebbero invece, secondo Adamesteanu, contemporanee. Esso risultava dunque diviso già in antico.23 La parte orientale dell’altare risulta costruita su terreno vergine, come anche la parte di sagrato tra l’altare stesso e il muro dell’amb. II. La parte occidentale, invece (che si presentava, al momento del rinvenimento, come la più distrutta e quasi priva di blocchi sui lati, sebbene la forma risultasse visibile grazie all’allineamento delle lastre calcaree della pavimentazione del sagrato), è costruita su terreno di riporto o appartenente - secondo Adamesteanu - a qualche fase anteriore, di cui però non abbiamo tracce. Da questa zona proviene l’iscrizione RV-28, menzionante la dedica di “statue bronzee dei re”, databile alla fine del II sec. a.C. Sotto la pavimentazione in calcare furono rinvenuti resti di un precedente pavimento in arenaria. È possibile che il primo tipo di pietra utilizzato nel complesso sia stato proprio l’arenaria tenera. L’altare apparterrebbe secondo Adamesteanu proprio a questa fase più antica del complesso. Anche le più antiche iscrizioni rinvenute, databili tra la fine del IV e l’inizio del III sec. a C. risultano realizzate in arenaria, pietra che si trova frequentemente utilizzata anche negli abitati indigeni della zona (Serra di Vaglio, Torretta di Pietragalla ecc.).24 Ai due lati dell’entrata, sono intagliati nei lastroni calcarei della pavimentazione due semicerchi collegati tra loro da una canaletta, anche questa intagliata nel calcare, che prosegue in direzione NE attraversando diagonalmente il sagrato. L’acqua vi doveva arrivare attraverso canali e grondaie leonine25 (di cui sono stati recuperati diversi frammenti) da una sorgente situata a poca distanza o forse da una vasca di raccolta, a sua volta però collegata, mediante una serie di piccole canalette e tubi fittili, ad una sorgente. Resti di questi tubi fittili (aventi diametro 6-8 cm) sono stati rintracciati in vari punti nell’area a N e NO del complesso. L’inclinazione attuale che il monumento presenta va da SE a NO, e risulta esattamente opposta a quella indicata dai canali di scolo e dalle cloache (da SO a NE) che riversavano l’acqua sul pendio. La nuova situazione è stata evidentemente determinata 14
da frane che hanno, come si è detto, interessato, a più riprese e anche in tempi più recenti, il santuario. Risulta ben evidente come il monumento abbia subito una serie di spinte che hanno completamente falsato i livelli originali del terreno su cui esso era impostato.26 Il sagrato mostra una forte distorsione del piano di calpestio che annulla completamente la funzione delle canalette che lo attraversano. Anche i due ambienti situati sul lato E del santuario sono stati visibilmente danneggiati dalla frana, soprattutto sul lato N, dove i muri appaiono distorti e in parte abbattuti. Durante gli scavi si dovette effettuare una bonifica della parte N del complesso, ove ristagnava abbondante acqua, forse, per la presenza di una sorgente sul lato NO del santuario. È stata questa sorgente, forse, la causa dell’ultima grande frana che ha investito il santuario. È possibile però, come si è accennato, che questa “sorgente” sia in realtà una semplice raccolta di acqua proveniente, attraverso un sistema di canali, dalla grande e vera sorgente situata vicino alla chiesetta della Madonna di Rossano, a circa 1 Km dal santuario: un canale sotterraneo, costituito da tubi fittili collegati maschio-femmina del diametro di cm 9 circa, collegante il santuario con la chiesetta della Madonna di Rossano posta più a monte fu individuato nel corso degli scavi nell’area a NO del complesso. In prossimità dell’angolo N dell’altare la canaletta piega leggermente verso est a gomito per aggirare l’ingombro dell’altare stesso e termina nell’angolo del sagrato immettendosi in una cloaca. Proprio il gomito della canaletta in prossimità dell’altare, e il fatto che la stessa sia intagliata nella pavimentazione calcarea del sagrato indicherebbe ancora, secondo Adamesteanu, la priorità dell’altare rispetto al sagrato e una preesistenza dello stesso al momento della realizzazione della nuova pavimentazione in pietra calcarea, la quale risulta quindi essere un rifacimento successivo.27 Questi due differenti momenti di costruzione sembrerebbero confermati anche dalla presenza di due cloache parzialmente sovrapposte. Quella inferiore, larga m 0.35, presenta fondo coperto di tegole, fianchi costruiti in pietrame irregolare legato con malta terrosa e copertura in lastre di pietra, probabilmente corrispondente alla fase più antica del monumento. Quella superiore, più larga (m 0.55) costruita a volta con fondo in pietra. Come si vede, la cloaca oblitera parzialmente il muro est dell’ambiente III e “risulterebbe costruita al momento in cui si è realizzato il sagrato con la pietra du15
rissima dell’ultima fase”.28 Un altro canale segue il perimetro del sagrato sul lato opposto, fiancheggiando l’amb. IV, poi piegando a 90° e seguendo il muro che separa l’amb. II dal piazzale, per poi immettersi anch’esso nella cloaca, nell’angolo E dello stesso. È probabile che questo canale fosse utilizzato per la raccolta e lo scolo delle acque piovane.29 Anch’esso è costruito con fondo in pietra durissima tagliata in lastre rettangolari. Nell’angolo O del sagrato, si nota una base in pietra calcarea, piuttosto grande (m 2,50 x 1). A essa dovevano essere pertinenti le due iscrizioni RV-17/42 ed RV-18 trovate nelle vicinanze e incise nella stessa pietra calcarea. Si tratta di due iscrizioni in lingua osca e caratteri greci, databili all’inizio del II sec. a.C. Davanti all’ambiente IV furono rinvenuti resti di quattro capitelli in pietra durissima, frammenti di architrave dello stesso amb. IV, uno dei quali recante l’iscrizione RV-22 menzionante Acerronius e Mefitis, frammenti di una colonna votiva, un elemento architettonico in pietra arenaria. Proprio in quest’area lo scavo consentì di individuare e mettere in luce resti dei due sagrati parzialmente sovrapposti. Nel sagrato inferiore era infatti inserita una base a forma di capitello in pietra tufacea, probabilmente il supporto di un donario. Poco oltre, inglobati nella gradinata che precede l’amb. IV verso il piazzale, due tronchi di colonne, anch’essi in pietra tufacea. Uno dei due era affiancato dall’iscrizione RV-33 con dedica a Mamertius e Mefitis. La colonna, appartenente ad una fase più antica, era stata - secondo quanto ipotizzato da Adamesteanu - “rispettata” nei rifacimenti successivi, come si nota dai blocchi della gradinata che la affiancano, seguendo la sua forma rotonda. L’altro tronco di colonna appariva invece poggiato su una base, la cui faccia superiore reca incisa l’iscrizione RV-52, una delle più importanti, nella quale è detto che “le terre e le acque sono della Mefitis”. Entrambe le iscrizioni appartengono al gruppo più antico, databili, con le colonne, alla seconda metà del IV sec. a.C. Quattro ambienti si dispongono intorno al grande piazzale pavimentato. Il lato S del complesso è chiuso da due ambienti, denominati I e II, giunti a noi in uno stato di avanzata distruzione, soprattutto a causa di una grande frana che ha sconvolto il santuario, oltre che per i numerosi scavi di frodo subiti. I muri sono costruiti tutti con la stessa tecnica: pietre spezzate irregolarmente e blocchetti di diverse dimensioni. Si trovano anche frammenti di tegole ed embrici. Sono utilizza16
te malte diverse, indice dei numerosi rifacimenti subiti. Di forma rettangolare, i due ambienti presentano approssimativamente le stesse dimensioni (m 6x46). I muri dei lati lunghi appaiono deformati e risultavano al momento del rinvenimento parzialmente distrutti a causa delle spinte della frana, soprattutto nella parte E. Qui solo le fondazioni hanno resistito perché poggiavano su un terreno solido, argilloso, di colore rossiccio. Nella parte O, invece, come si è detto, i muri stanno su terreno di riporto. L’ambiente II fiancheggia il piazzale e si presenta come un unico grande vano. Sono visibili solo poveri resti di divisioni interne e un muro, spostato e spezzato, nella sua parte NE. Il muro che lo separa dal piazzale doveva presentare - secondo Adamesteanu - un particolare rivestimento con lastre in pietra dura, poco spesse, alcune con forma a spiovente. Non è chiaro se queste lastre dalla forma particolare siano state create appositamente oppure se si tratti di elementi riutilizzati, forse coperture di muri più bassi o di canali. Nella fondazione del muro, nella parte sud, furono rinvenuti resti di antefisse gorgoniche di tipo benigno, ed un blocco squadrato, simile a quello dell’iscrizione RV-28, proveniente proprio da questa zona e datata alla fine del II sec. a.C., probabilmente attribuibili ad un monumento precedente. Anche nel muro divisorio tra gli ambienti I e II è riadoperata l’iscrizione RV-51, anch’essa databile al II a.C. Si tratterebbe, come nel caso del muro del temenos, di rifacimenti e modifiche attribuibili all’ultima ricostruzione del santuario, da collocarsi, secondo Adamesteanu, nella prima metà del I sec. d.C. Il muro SO dell’amb. II è particolare invece per la tecnica costruttiva: nella parte inferiore risulta costruito con blocchi di forma irregolare, mentre nella parte superiore si presenta simile a tutti gli altri muri. Lo scavo dell’amb. II poté restituire abbondante materiale fittile (frammenti di grandi statue in terracotta, frammenti di statue di animali) ed elementi architettonici. In particolare, nei livelli superiori del riempimento furono rinvenuti numerosi frammenti di blocchi squadrati in pietra calcarea, sostituiti nei livelli più profondi da elementi in pietra arenaria. Dall’amb. II proviene anche un capitello in pietra arenaria, purtroppo molto danneggiato, alcuni frammenti di panneggio di bronzo e un torso in marmo, oltre ad alcuni esemplari di punte di 17
lancia in ferro e monete. Sempre dall’amb. II, infine, provengono (oltre alla già menzionata RV-51) alcuni frammenti di iscrizioni, tra cui in particolare RV-35 con dedica a Nymelios, Mamartius e Mefitis, databile alla seconda metà del IV sec. a.C. Anche qui sono presenti forti tracce di bruciato. Appoggiata al muro SO dell’amb. II fu inoltre rinvenuta, rovesciata su un basamento in pietra formato da blocchi irregolari, una delle rare iscrizioni latine del santuario, RV-38, purtroppo molto danneggiata, databile alla fine dell’età repubblicana. L’amb. I si presenta invece diviso in sette vani di differenti dimensioni.30 Il muro esterno appare rinforzato, verso il pendio, da una serie di speroni di lunghezza diversa e diversamente distanziati. L’intervallo è minore quando si tratta, evidentemente, di pareggiare dislivelli maggiori del terreno. È probabile che anche alcuni dei muri interni avessero funzione di sostegno. Sul pendio, verso S, un breve tratto di muro, parallelo al muro S dell’amb. I, scende verso il burrone dove furono individuati i resti di una scalinata.31 Sul terreno, al momento del rinvenimento, erano ancora visibili numerosi frammenti di tegole. Nelle vicinanze dello stesso muro, fu trovata una piccola area con forte bruciato con ossa di volatili e vasi miniaturistici. Non fu possibile individuare accessi ai diversi ambienti o livelli pavimentali. Solo l’ultimo ambiente, verso S, sembrerebbe dare un’idea di possibile piano di calpestio con i resti di una canaletta coperta da lastre che lo taglia trasversalmente. Il materiale rinvenuto nei diversi vani risultava costituito da numerosi frammenti di statuette femminili, con rari esemplari integri, frammenti di antefisse, di vasi acromi, poca vernice nera, thymiateria, vari oggetti in bronzo e ferro tra cui fibule, cinturoni, elmi ed una cospicua quantità di monete di diversissima provenienza. Numerosi anche chiodi e uncini di ferro, appartenenti, secondo Adamesteanu, alle strutture lignee degli alzati: in tutti i vani è possibile riscontrare la presenza di un forte bruciato, che indicherebbe come il legno, oltre alla pietra, fosse largamente utilizzato per l’alzato dei muri. Sia nell’amb. I che nell’amb. II furono rinvenuti abbondanti resti di tegole ed embrici, segno che i vani erano coperti, forse con un unico tetto. Entrambi conservavano inoltre tracce di incendio.
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Secondo l’ipotesi di H. Dilthey, i piccoli vani dell’amb. I, forse costruito in un secondo momento, potevano essere utilizzati come negozi per la vendita di oggetti ai fedeli. L’amb. II, invece, privo di suddivisioni interne, doveva avere funzione di deposito votivo.32 Sul lato NE il piazzale è chiuso da un altro ambiente (amb. III), di forma rettangolare, avente dimensioni m 22 x 6,50. L’accesso avveniva tramite uno stretto ingresso (m 0.90) situato sul lato O dell’ambiente verso il piazzale, molto spostato verso N. Allo stipite N della porta è addossata una semicolonna in mattoni. Nel corso dello scavo, sia all’esterno che all’interno del muro che separa l’amb. III dal sagrato furono rinvenuti i resti di sei capitelli in pietra calcarea dura e vari frammenti di elementi architettonici con forma a spioventi (simili a quelli che dovevano costituire il rivestimento esterno del muro dell’amb. II verso il piazzale), sempre in calcare. I capitelli trovati all’esterno risultavano molto danneggiati. All’interno, adiacenti allo stesso muro, sono sei basamenti quadrati aventi lato di circa m 0.60, non allineati con la semicolonna della porta. Data la presenza, all’interno dell’ambiente, dei capitelli e di numerosi frammenti di laterizi e tegole, è ipotizzabile che su queste basi si innalzassero colonne in mattoni, sormontate da capitelli. Queste dovevano raggiungere secondo Adamesteanu un’altezza di m 3-3.50. I pochi blocchetti e la scarsa quantità di malta ritrovati invece sia all’interno dell’ambiente che all’esterno, nello spazio tra muro ed altare, fanno supporre che il muro divisorio dovesse raggiungere un’altezza massima di circa m 1-1.50, sistemazione, questa, frequente per i peristili pompeiani. L’ambiente, dunque, chiuso verso l’esterno a N ed O, doveva invece “affacciarsi” verso il piazzale, lasciando libera la vista alle azioni rituali che si svolgevano intorno allo stesso.33 Secondo l’iniziale ipotesi di Adamesteanu è possibile che questa nuova sistemazione dell’amb. III vada riferita a una trasformazione dello stesso verificatasi in età Repubblicana, forse alla fine della Repubblica, trasformazione che ha rialzato anche il piano del pavimento di circa 20 cm.34 Sul fondo dell’amb. III furono rinvenuti i resti di un basamento, presumibilmente a forma di “T” 35 quasi completamente distrutto, in linea con il grande altare del sagrato. Il basamento è realizzato in 8 blocchi squadrati e lavorati in calcare, simili a quelli in cui sono intagliati i capitelli e i blocchi del muro O del temenos, uniti con robuste 19
grappe in ferro. Se i blocchi sono stati lavorati dalla stessa equipe basamento, muro di temenos e capitelli potrebbero appartenere alla stessa epoca. Il monumento sarebbe databile alla seconda fase dell’amb. III, dato che la sua fondazione poggia sul pavimento Repubblicano. Un interessante frammento architettonico a zampa leonina con artigli, trovato all’esterno dell’ambiente, verso E, sarebbe da mettere in rapporto con lo stesso basamento. Sempre dall’esterno dell’amb. III proviene la parte inferiore di una testa femminile in bronzo. Intorno al basamento furono invece rinvenuti, come negli ambienti II e IV, numerosi oggetti in bronzo, frammenti di panneggio femminile ed un ramo di lauro, sempre in bronzo, forse pertinenti a una statua di culto della divinità (Mefitis?) sistemata, secondo l’ipotesi di Adamesteanu, nello stesso amb. III.36 Va sottolineato, tuttavia, come la scarsa quantità di materiale ed il ristretto numero di ex-voto rinvenuti nell’ambiente37 possa suggerire per lo stesso una diversa funzione, forse - secondo l’ipotesi di H. Dilthey - come sala di raduno per i fedeli.38 Il fatto che, a differenza di quanto verificato per altre aree del santuario, non siano state qui rinvenute antefisse, fa supporre che l’ambiente fosse privo di copertura. Interessanti sono inoltre due iscrizioni in lingua osca e caratteri greci, entrambe dediche private, provenienti dall’ingresso dell’ambiente, RV-11 databile all’inizio del III a.C. ed RV-12, ritrovata appoggiata al muro N dell’ambiente, risalente a fine IV sec. a.C.39 L’amb. III è il meglio conservato dell’intero complesso. I muri sono ben allineati e non hanno risentito, come invece negli amb. I e II del movimento franoso. La tecnica costruttiva è la stessa utilizzata per gli altri edifici del complesso: pietre spezzate irregolari legate con malta terrosa di colore giallastro, ma con minore impiego di tegole ed embrici. Le fondazioni scendono, dal battuto, fino a m 1.70 di profondità, indicando una certa cura nella costruzione. Un canale fiancheggia i lati NO e NE dell’ambiente, seguendone il perimetro per versare le sue acque nella cloaca superiore. L’ultima fase di vita del santuario sarebbe infine riconoscibile, secondo Adamesteanu, nell’ambiente IV che chiude il lato occidentale del sagrato. Di qui provengono numerosi frammenti di iscrizioni in caratteri latini, tra cui in particolare RV-22 che attesta lavori di restauro o costruzione nel santuario e menzionante un personaggio di nome Acerronius, oltre che frammenti di tegole (RV-14, RV-15, RV20
16) in lingua osca e caratteri latini. Proprio la presenza dell’iscrizione, rinvenuta sul piazzale accanto all’amb. IV, consentirebbe secondo la Dilthey di ipotizzare la funzione dello stesso come stoà monumentale verso il sacello della divinità.40 Anche questo ambiente presenta forma rettangolare con dimensioni simili a quelle dell’amb. III. Esternamente, il piazzale è separato dall’ambiente IV da una gradinata. Questa appariva, al momento del rinvenimento, parzialmente distrutta sul lato E, il più colpito dal movimento di frana. Ancora intatta, invece, la parte sprofondata verso NO, perché coperta dalla terra della frana. La gradinata doveva essere preceduta da sei colonne laterizie, di cui sono stati rinvenuti i resti, erette direttamente sui blocchi come su un basamento unitario. Davanti a ogni colonna, era una base sagomata, costituita da un blocco unico, che doveva servire a sorreggere statue o qualcos’altro. Una semicolonna, come nell’amb. III è inserita nel muro NO dell’edificio. Ad E due tronchi di colonne tufacee sono inseriti nella gradinata. Su questo lato del sagrato è possibile osservare un cambiamento nella struttura della pavimentazione: i blocchi sono sistemati con maggiore regolarità a creare una linea più regolare. All’inizio dello scavo l’interno dell’ambiente si presentava coperto da un enorme mucchio di pietre, tegole, blocchi ammassati. L’impressione era - secondo quanto riportato da Adamesteanu - che lo stesso fosse stato usato come scarico di ogni sorta di materiale rinvenuto nei dintorni. In questo cumulo di pietrame sono stati rinvenuti numerosi frammenti di statuette fittili, soprattutto femminili, busti e “maschere” (IV-III a.C.), frammenti di lastre marmoree con resti di iscrizioni latine, basi sagomate, intere o frammentarie, accuratamente lavorate, pietre irregolari provenienti dal crollo dei muri, intonaco, tegole, nonché l torso di un telamone (altri frammenti a esso pertinenti sono stati rinvenuti nel corso dello scavo dell’amb. IV), frammenti di tre statue in marmo del II a.C., frammenti di ceramica e thymiateria (bruciaprofumi), frammenti in bronzo, monete. La struttura è simile a quella degli amb. I, II e III del complesso. I muri sono costruiti con grande accuratezza. La tecnica è la stessa utilizzata per gli altri ambienti del complesso, anche se qui i muri si presentano più spessi e robusti. L’accesso all’ambiente doveva avvenire tramite una monumentale porta larga m 2.50 che si apre verso l’esterno, sul lato SO dell’ambiente. La soglia è ben lavorata. La fon21
dazione del muro, fino all’altezza della risega, è in spezzoni irregolari legati da malta farinosa di colore giallastro. Dalla porta, verso O, il muro poggia su roccia naturale. Verso E, invece, su terreno di riporto. L’alzato è in pietre tagliate a forma di dente con testa quadrangolare. Gli stipiti sono realizzati invece con una tecnica particolare, con blocchetti e grosse tegole. Nell’area tra la gradinata e la porta, nella parte O dell’ambiente, pure interessata da un forte sprofondamento di m 0.90 verso O a causa della frana, è ancora in parte conservato un pavimento in opus signinum. Sul muro NO dell’ambiente un grande basamento quadrato addossato alla parete è inserito in questo tipo di pavimento. Al di sotto fu possibile però individuare un altro livello pavimentale, precedente, in tegole disposte a “coltello” (opus spicatum). Nella parte est dell’amb. IV il pavimento in opus signinum non è conservato se non in modo frammentario. È ipotizzabile che la grande quantità di blocchi rinvenuti in questo punto sia servita per una probabile ultima pavimentazione oggi totalmente distrutta. Infine, sotto il livello delle fondazioni della gradinata fu rinvenuto un filare di blocchi di arenaria, ancora oggi visibili, coperti da un forte strato di bruciato. Poiché la sistemazione risulta simile a quella dell’altare, potrebbe trattarsi per Adamesteanu di resti di un precedente monumento distrutto da un incendio, relativo alle fasi di vita più antiche del santuario. Estremamente complicato lo scavo della parte E dell’ambiente IV, a causa dei forti dislivelli dello strato archeologico, che scendeva fino a circa 2 m di profondità. Un’immensa “cavità”, dunque, riempita completamente di macerie. Il dislivello continua anche all’esterno dell’ambiente, verso S, riempito però maggiormente con terra mista a malta friabile e poco materiale votivo.41 Si tratta forse dello scolo naturale di una sorgente o di una fontana, ricoperta in un secondo momento con questo enorme riempimento.42 Dalla “cavità” è emersa un’enorme mole di materiale: oltre ad alcuni esemplari di statue femminili (acefale) in marmo e il torso di un Erote (che costituiscono il più grande gruppo di statue in marmo scoperto in Basilicata), una ruota di carro in ferro, piedi di tripodi in ferro e bronzo, armi, elmi, schinieri, frammenti di una testa femminile in bronzo, fibule, monete, un orecchino e uno statere di Alessandro Magno, entrambi in oro. Lungo la fondazione del muro O 43 in uno spazio di circa m 0.50-0.70 sono state rinvenute alcune lucerne molto frammentate, databili alla 22
prima età imperiale. Dato che la sistemazione sembra intenzionale, si potrebbe trattare di una forma di thysia da riferirsi, secondo Adamesteanu, all’ultima grande ricostruzione del santuario e risistemazione dell’amb. IV nella prima metà del I sec. d.C. Quattro ulteriori piccoli ambienti (amb. V, VI, VII ed VIII) furono inoltre messi in luce nel corso dello scavo sul lato meridionale del complesso, come “agganciati” alle strutture analizzate,44 ma solo parzialmente esplorati. Degli amb. VI, VII ed VIII conosciamo solo l’estensione. Visibile, però, all’interno dell’amb. VIII, un tronco di muro che taglia diagonalmente l’ambiente, e che pare non essere in alcun rapporto con le strutture circostanti, forse residuo di qualche edificio pertinente a una fase precedente del santuario e dunque “conferma di quanto profondamente Acerronius o chi per lui abbia cancellato i monumenti precedenti”.45 L’ambiente V, invece, si presenta particolarmente interessante per il rinvenimento di resti di una pavimentazione particolarmente elegante formata da rombi in pietra calcarea durissima divisi da sottili lastrine in pietra di colore blu. Nella parte NE dell’ambiente il muro presenta una sistemazione particolare: in questo punto, il muro dell’amb, IV, fiancheggiante la “cavità” di cui si è parlato, poggia, come si è detto, sulla roccia a una profondità di 2 m. Il muro dell’amb. V, riguardante lo stesso lato, a esso parallelo, sta invece su terreno di riporto meno profondo. In questo muro fu possibile osservare una sistemazione simile a una nicchia o un basamento, forse destinato a ospitare una statua di dimensioni inferiori al naturale.46 Non convince Adamesteanu la prima ipotesi della Dilthey che proprio l’amb. V debba essere identificato con il sacello della divinità ospitante la statua di culto della dea Mefitis.47 La stessa Dilthey segnala il rinvenimento, all’interno dell’amb. V, di un frammento di colonna scanalata con una lettera Θ sotto la quale è leggibile un I 48, simili ad RV-33.49 Il testo potrebbe forse essere ricostruito come “μεfιτ-....??” e segnalare, quindi, nel luogo, la “presenza” della dea o di una divinità comunque ad essa legata, probabilmente Mamerte. Per Adamesteanu si tratterebbe invece di “ambienti minori”, le cui funzioni e caratteristiche sarebbero tuttavia “ancora da chiarire con lo scavo”,50 relativi all’“ultima fase di vita del santuario”, come confermato dalla presenza di frammenti di stucchi decorati ed il massiccio riu23
so di elementi architettonici in arenaria. In particolare, all’esterno dell’ambiente IV, verso S, un canale recinge l’edificio, fiancheggiando anche il lato NO degli amb. V e VI e proseguendo infine in direzione SE. Il canale sembrerebbe interamente realizzato con blocchi riadoperati (arenaria, blocchi lavorati, frammenti architettonici). Uno di questi reca un’iscrizione (RV-56). Pare anche che il canale fosse ricoperto per tutta la sua lunghezza da lastre rettangolari. Sul lato SO e fino alla porta di accesso dell’amb. IV, la canaletta è inoltre affiancata esternamente da un muro (che gira anche sul lato NO dell’edificio) sistemato poi a livello della canaletta stessa. Proprio dall’angolo NO dell’edificio provengono due grondaie fittili, una con testa leonina e l’altra a tubo. Altro reperto interessante, proveniente dall’angolo E dell’edificio (nel punto in cui la canaletta piega a 90° fiancheggiando gli amb. V e VI): si tratta di una lastra di buona lavorazione, sistemata a terra, dotata di tre fessure di drenaggio. In corrispondenza del gomito si notano due sistemazioni diverse della canaletta: quella fiancheggiante l’amb IV, costruita con blocchi riadoperati e quella che segue l’esterno del muro degli amb. V e VI, assai diversa, realizzata con pietre spezzate e malta e coperta da grossi blocchi di arenaria. Dallo scavo nell’area all’esterno dell’amb. IV, oltre il canale, sul lato SO, proviene una cospicua quantità di oggetti, soprattutto metallici (armi, morsi di cavallo in ferro), numerosi frammenti di intonaco e stucchi (alcuni con tracce di colore), antefisse. Sulla presenza di “altri monumenti minori sorti intorno al santuario”, citati da Adamesteanu e da H. Dilthey nelle varie pubblicazioni inerenti lo scavo del santuario di Rossano, non possiamo conoscere molto. Non solo risulta impossibile, infatti, rilevare l’esatta ubicazione delle strutture menzionate, non essendo infatti le stesse indicate nelle piante di scavo pubblicate.51 Le notizie si trovano disperse su testi differenti, le descrizioni e le notazioni spaziali risultano assai vaghe e confuse, al punto che è apparso difficile, talvolta, confrontando testi differenti, riuscire a capire se si stesse parlando delle medesime strutture o invece di monumenti differenti. Ci limiteremo, pertanto, prudentemente, a una semplice “elencazione”: - “grande vasca”, situata “nella zona ad O del complesso messo in luce”;52 24
- “basolato, identico al sagrato [...] a N del monumento”, al momento “non toccabile per ragioni geomorfologiche”;53 - “breve tratto di muro”, allineato con il muro S dell’amb. I, rintracciato “sul pendio verso il burrone”, in direzione SE. Nelle vicinanze sono visibili i resti di una scalinata, forse facente parte del complesso antico.54 La presenza nell’area di frammenti di tegole farebbe supporre la presenza di altri edifici e strutture pertinenti al santuario. Nelle sue vicinanze, un piccolo “mucchietto di bruciato, mescolato con resti di ossicini di volatili e qualche vaso miniaturistico”;55 - “nell’angolo NO del muro di recinzione del santuario”, area avente diametro m 1.50, caratterizzata dalla presenza di terra bruciata. Rinvenuto “un grande numero di oggetti in argento dorato” (cinture dorate, foglie, fili, oggetti di ornamento, peraltro di alto valore artistico) e frammenti in bronzo (panneggi, dita di statue), pertinenti al culto della dea Mefitis, forse oggetti di preda o acquisti fatti sul mercato delle colonie greche della costa per essere donati alla divinità di Rossano;56 - nell’angolo SO, all’esterno dell’amb. IV, strato denso di cenere, mescolato con pochi frammenti in bronzo, ossa di volatili, e frammenti di c.c. combusti. Forse “resti di un altare con cenere, una volta situato a monte”;57 - “più a monte, verso NE [...] a circa 100 m ad oriente del santuario”, edificio costruito in blocchi di arenaria, con tre condotte d’acqua in tubi fittili, non sembra avere un collegamento diretto con il santuario vero e proprio. Forse luogo d’incontro per festeggiamenti o edificio di abitazione per gruppi di fedeli, pur mancando muri divisori. Data la presenza di tubi che giungono fino al monumento esso potrebbe più plausibilmente essere interpretato come una fontana o una cisterna;58 - non localizzabile con esattezza, sempre “fuori dall’area principale, verso N-NO” un altro monumento, forse un recinto,59 costruito con grossi blocchi di pietra e pavimento sempre in pietra, di dimensioni m 2,50x12. La copertura doveva essere in tegole. Almeno 3 diversi tubi fittili portavano da N acqua al monumento. Più a monte dell’edificio poteva trovarsi una fontana, o una vasca coperta, come suggerito dal rinvenimento di alcuni resti di tegole e antefisse di tipo gorgonico benigno, in numero troppo esiguo per poter essere riferiti a un edificio. L’ambiente presenta tracce di incendio ed è riempito di frammenti di c.c. (brocche, scodelloni, grandi piatti). Manca quasi del tutto la cera25
mica verniciata, statuette e thymiateria, assai numerosi nel complesso centrale. Grandi quantità di ossa (quadrupedi, più o meno grandi) sono state rinvenute nell’ambiente. Interessante la presenza di una certa quantità di frutti di mare e tra questi la purpurea, usata per la tintura rossa della lana.60 Campagna di scavi 1998-1999 Dopo anni di interruzione, una nuova campagna di scavo nel santuario di Macchia di Rossano è stata condotta dalla Sovrintendenza Archeologica della Basilicata a partire dal settembre 1998, sotto la direzione di Elvira Pica e la collaborazione delle Dott.sse Anna Sartoris (scavo 1998) e Angela De Paola (scavo 1999). Parte dei risultati dell’indagine sono stati resi noti negli Atti del XXXVIII e XXXIX Convegno di Studi sulla Magna Grecia,61 e completati, nel 2001, dalla pubblicazione di un nuovo Rapporto preliminare62 a cura delle stesse Sartoris e De Paola. Indagini sono state effettuate in diversi settori del complesso allo scopo di definirne e precisarne ulteriormente planimetrie e fasi cronologiche. 1998 Un primo sondaggio è stato effettuato all’esterno dell’amb. I, lungo il muro perimetrale E, fino a livello delle fondazioni, con lo scopo di delineare possibili accessi.63 Lo scavo nell’area ha restituito abbondante materiale ceramico e coroplastica, manufatti in ferro e bronzo, monete, fibule ad arco, che hanno potuto confermare la frequentazione del santuario in età ellenistico romana tra IV e III secolo a.C. “Negli angoli esterni dei muri di delimitazione degli ambienti”64 visibili i crolli di strutture murarie probabilmente appartenenti a una fase cronologica precedente a quella, visibile, datata al I d.C.65 Dal crollo all’esterno di 1b provengono numerose testine di Demetra databili tra IV e III a.C. Numerose statuette femminili sono state ritrovate anche all’esterno di Ie. Qui, in particolare, interessante il rinvenimento di una testa marmorea femminile di età ellenistica in marmo greco bianco, h 13-15 cm con patina giallastra, pertinente a una statua la cui altezza complessiva doveva raggiungere gli 80 cm. Le caratteristiche del volto e dell’acconciatura (tipo Venere Capitoli26
na) consentono di identificarla come Afrodite. Evidenti i rimandi alla tradizione prassitelica66 ripresa nel clima classicistico di II a.C.: la solida costruzione del volto, la plasticità delle forme, la sensibilità nella resa delle superfici, ricche di modulazioni “pittoriche” ne fanno uno degli esemplari di fattura più elevata rinvenuti nel santuario. L’Afrodite deve essere stata prodotta da botteghe rodio-micrasiatiche di II a.C., forse le stesse che realizzarono per le élites di Rossano il Torso di Ermafrodito e le statuette di Artemide. Dall’ambiente 1g provengono invece una grondaia fittile leonina e un’antefissa a palmette. Due piccoli saggi sono stati effettuati anche all’interno degli ambienti Ic e Id allo scopo di definire più precisamente planimetria e funzioni. Sono emerse tracce di battuti in cocciopesto, forse resti di una pavimentazione. L’ipotesi è che possa trattarsi di botteghe o ambienti di servizio annessi al santuario o piccoli thésauroi di vari gruppi etnici che lo frequentavano.67 Anche dall’esterno di Ig proviene abbondante materiale ellenistico: monete bronzee, fibule in bronzo e ferro, antefisse con figure femminili, vasetti votivi, frammenti di ambra. All’interno dello stesso ambiente, strato con alcune monete bronzee Repubblicane (II a.C.) con il simbolo della nave sul diritto e Giano bifronte sul rovescio. Gli scavi hanno interessato anche la parte nord dell’amb. II. Qui, in linea con il lato breve N dell’altare, sono emersi resti di una struttura muraria di notevoli dimensioni (5,50 x 1m) con pietre a secco che taglia longitudinalmente l’ambiente, databile alla fase più antica (IV sec.),68 andamento NO-SE, in blocchi di arenaria parzialmente lavorati e pietre scheggiate. Interessanti i materiali venuti in luce nel corso dello scavo: 2 testine fittili e statuette, alcune pertinenti al culto di Demetra, con alto polos (copricapo di forma cilindrica), sono state rinvenute nei livelli più alti, documentando la presenza di una stipe a ridosso del muro del sagrato; esemplari di frutti votivi (mandorle e melograni); un’antefissa gorgonica e a testa femminile; un thymiateron fittile con base decorata da punzonature; una figurina di pantera in terracotta; varie monete romane e magnogreche; punta di lancia in ferro; maschere di sileno, placchette fittili di eroi alati.69 Poteva forse trattarsi di uno spazio usato dai fedeli come passaggio o come deposito votivo.70 27
Nell’amb. III lo scavo ha consentito di delineare più chiaramente la pianta del basamento, costruito in blocchi in pietra calcarea, squadrati e lavorati, e uniti da grappe in ferro. Sullo stesso dovevano essere collocati almeno altri due filari di blocchi, “digradanti verso l’alto”.71 Emerso un grande crollo di pietre e tegole, forse residuo di una copertura del monumento. Doveva probabilmente trattarsi di un podio con edicola, all’interno del quale era collocata la statua di culto72, forse pertinente alla fase originaria del santuario e in seguito riutilizzato nella monumentalizzazione del santuario in età augustea.73 1999 Nel corso dei lavori di restauro del basamento dell’amb. III, eseguiti dal Dott. N. Berterame, è stato rinvenuto un piede femminile in bronzo con calzare e orlo di peplo, con perno per fissaggio a una base, pertinente a una statua di dimensioni poco inferiori al vero. La scoperta sembrerebbe avvalorare e confermare l’ipotesi, già formulata da Adamesteanu, che l’ambiente ospitasse la statua di culto in un podio a edicola. Esplorata anche l’area (c.a. 100 mq di estensione) a SE74 del sagrato, alle spalle del portico dell’amb. IV, non esplorata in precedenza. I livelli superficiali hanno restituito reperti ellenistici (ceramica, coroplastica, strumenti ed elementi dell’armamento in bronzo e ferro, punte di lancia, un morso equino, un punteruolo, ornamenti ed appliques in bronzo, alcune fibule) tra cui una laminetta bronzea decorata a bassorilievo con una figura femminile recante una phiale e cavalcante un delfino, identificata con Anfitrite, appartenente ad un oggetto in legno, forse una cista75 (sono infatti presenti i fori per l’inserimento di chiodini). La datazione proposta è alla seconda metà del III a.C. Nel settore contiguo, nella metà N dello scavo è emerso un crollo in laterizi e pietre misti a cenere e argilla e resti lignei combusti, forse relativo alla fase di abbandono dell’area, causato da un incendio.76 Nel crollo sono stati rinvenuti numerosi blocchi in calcare e arenaria lavorati, alcuni dei quali riconoscibili come basamenti.77 Si trattava, forse, di un’area coperta destinata ad accogliere doni votivi.78 Il più interessante dei basamenti è un blocco in arenaria, alto c.a. 80 cm e modanato, che presenta una robusta grappa in ferro sulla faccia superiore. Su una delle quattro facce laterali, precisamente la faccia E, esso reca una iscrizione su 5 righe in alfabeto greco e lingua osca. Si tratterebbe, secondo l’ipo28
tesi di Poccetti, di una dedica votiva che fa riferimento a una offerta ad Ercole, “|–EPEKΛωI”, “BRATHIC ∆ATAIC”, “per grazia ricevuta” da parte di VIBIUS VILLENIUS, il cui patronimico LUCIUS “Λω[KTIHIC” = gen. “figlio di Lucio” richiama il nome LOVK, LOVKIS di altre epigrafi di Rossano. L’iscrizione si data sulla base di criteri paleografici tra II e I a.C. e attesta un culto fino ad ora non documentato nel santuario. L’epigrafe non poggia direttamente sul terreno ma su una lastra in arenaria.79 Interessante notare la presenza, “tra il piedistallo e la lastra”80 di una sorta di “zeppa” in laterizi, forse indizio che l’area aveva subito un cedimento.81 Frammenti di statue votive sono stati recuperati nell’area circostante. A O del basamento è emersa un’area di bruciato con uno spesso strato di argilla cotta, forse una fornace,82 come confermato dalla presenza di resti di fornelletti. La fornace doveva essere in uso nell’ultima fase di vita del santuario e doveva essere utilizzata per la fusione di statue in bronzo, di cui sono stati rinvenuti numerosi frammenti. Numerose monete sono state recuperate nel corso dello scavo, 17 in bronzo, 2 in argento, sia nello strato superficiale che nel crollo. Resti di una strada lastricata, interpretabile forse come una via processionale, data la presenza di statue e basi iscritte collocate lungo la stessa,83 proveniente da SO, collegava “il lato sud del santuario con il sagrato”, raggiungendo la soglia d’ingresso del portico-amb. IV. Un altro saggio è stato effettuato nell’area centrale del sagrato, tra i muri degli ambienti II e IV. Trovati frammenti di coroplastica votiva (dischi, statuette, testine, frutti, animali), ceramica miniaturistica, thymiateria, una scure miniaturistica in ferro, una fibula argentea, un gancio di cinturone, varie fibule bronzee, filamenti di oro, riferiti alla fase di frequentazione di età ellenistica.84 Campagna di scavi 2000-2001 L’ultima campagna di scavi nel sito di Rossano di Vaglio prende avvio nell’ottobre 2000 e si conclude nel settembre 2001, sotto la direzione di Elvira Pica e la collaborazione di Vincenzo Cracolici, Rocco Pontolillo e Nicola Berterame. Gli scavi hanno interessato una zona per certi versi “nuova” e non ancora esplorata del santuario, a O delle strutture messe in luce da Dinu Adamesteanu,85 allo scopo di descrivere stratigraficamente ed indagare la dinamica dei dissesti naturali86 che hanno coinvolto ripe29
tutamente il santuario, per poter programmare interventi di conservazione efficaci del monumento e del suo contesto ambientale,87 ma anche precisare l’estensione reale dell’area occupata dal santuario: già nel corso della prima campagna di scavi (1969-1986) condotta da Dinu Adamesteanu numerose strutture e resti di edifici erano emersi nelle vicinanze del sito indagato e in connessione diretta con l’area santuariale. Appariva evidente come la zona indagata costituisse solo la parte centrale di un più ampio complesso di cui non erano però chiari i limiti territoriali. Gli scavi hanno consentito di chiarire e precisare ulteriormente la reale estensione dell’area occupata dal santuario, accertando la presenza di altre strutture monumentali pertinenti al santuario stesso. Tali emergenze segnalano e fanno senza dubbio rilevare un tessuto architettonico complesso e articolato: il santuario poteva forse strutturarsi su più livelli, con una serie di terrazze, collegate tra loro mediante scalinate, di grande effetto monumentale e scenografico. I recenti interventi di scavo, inseriti nell’ambito del programma di ricerche recentemente avviato dalla Soprintendenza Archeologica della Basilicata, hanno permesso di confermare le linee generali di lettura planimetrica del grande complesso santuariale, individuando tuttavia più nel dettaglio i particolari delle diverse fasi di ricostruzione e restauro dello stesso. L’area situata a monte del cosiddetto “sagrato” si presenta attualmente come una terrazza in leggero pendio,88 con un aumento dell’inclinazione verso O, delimitata sul lato occidentale da un gruppo di grossi massi recanti segni di cava antichi, attualmente occupata da abitazioni ed edifici moderni. Le recenti campagne di scavo hanno comportato l’apertura di tre trincee, denominate A/00, B/00 e C/01 con una disposizione ad “U” rispetto al sagrato. A/00, avente dimensioni m 20x2, con orientamento grossomodo E-O, è disposta in corrispondenza dell’asse mediano dell’ingresso del piazzale. Si è potuta verificare in questa zona la presenza di tre setti murari, con andamento N-S, leggermente diverso da quello del sagrato, impostati ad una quota assai vicina a quella dell’attuale piano di campagna con un interro minimo, spesso di soli 5 cm. L’apertura di un saggio più esteso (D/02), posto ad angolo tra le trincee A/00 e C/01, ha consentito di mettere in luce la presenza di una struttura (US 4), nella cui fondazione è stato rinvenuto un denario d’argento di Quinto Antonio Balbo, emesso nell’83-82 a.C. La struttura taglia strati con ceramiche di IV e III seco30
lo a.C., indicando dunque che l’area era occupata fin dalle prime fasi di vita del santuario. Le fondazioni in piccole pietre fanno supporre che i muri non fossero molto più alti di quanto non si conservi (circa 20 cm). L’apertura di un secondo saggio denominato D/01,89 al piede della frana, ha mostrato la presenza di resti di una pavimentazione in basole litiche, assai simile a quella del sagrato, in stato di forte corrugamento. Se non è certo il collegamento con la struttura US 4, è tuttavia possibile ritenere che i due interventi siamo contemporanei, e che la struttura, sulla quale doveva poggiare la pavimentazione, sia stata realizzata per regolarizzare il pendio, in seguito forse a un primo movimento franoso verso valle. Originariamente l’intero pianoro, almeno fino alla zona occupata dai grandi massi, doveva presentarsi, dal punto di vista altimetrico, in piano rispetto al sagrato. La frana che ha portato all’inclinazione del sagrato ha cioè in seguito prodotto un dislivello che non doveva esistere al momento della costruzione del muro di temenos.90 Il saggio C/02, aperto “più ad O”,91 ha restituito i resti di un’altra grande struttura, forse un terrazzamento, che la frana ha fatto crollare verso monte. Inglobati nel terreno scivolato a valle nel movimento franoso, pietre di piccole e medie dimensioni sulle quali erano posti blocchi parzialmente lavorati. Rinvenuti anche elementi triangolari in laterizio, simili a quelli utilizzati per le colonnine degli amb. III e IV del santuario. Sarebbe ipotizzabile la presenza nell’area di un portico che doveva forse bordare e chiudere in questa zona il lato O della terrazza. Interessante la situazione riscontrata nel saggio B/00, situato circa 20 m più a S di A/00. Le dimensioni della trincea, m 42 x 2, hanno consentito di documentare facilmente i numerosi strati colluvionali che hanno riempito la spaccatura creatasi in seguito alla grande frana che ha interessato il santuario e che ne ha probabilmente determinato l’abbandono. A una profondità di circa 2 m, uno strato formato da materiale fangoso, contenente numerosi resti di conchiglie, doveva probabilmente costituire il fondo di una zona di ristagno dell’acqua. Nella parte della trincea più a O sono stati rinvenuti numerosi strati colluviali recenti, contenenti materiali evidentemente portati via dalla terrazza superiore, che coprono strati colluviali più antichi. Nella parte centrale della trincea, le indagini geoelettriche hanno individuato resti di strutture fino ad una profondità di 6 m. È in questo punto che deve 31
probabilmente situarsi la linea di scorrimento della frana. A ridosso del temenos lo scavo ha restituito materiali pertinenti al temenos stesso e al muro O dell’ambiente IV. Tra questi, un’antefissa raffigurante Artemide Bendis, forse da mettere in relazione con la presenza di “culti prestati alla dea della caccia”,92 chiodi in ferro e bronzo e una paragnatide in bronzo pertinente ad un elmo romano tipo “hagenau” databile al I a.C. La posizione dell’elmo e la presenza di chiodi farebbero supporre che lo stesso fosse collocato all’interno dell’amb. IV, probabilmente sospeso al muro. La presenza, inoltre, di numerose tegole e pietre nella massa di crollo farebbero supporre la presenza in questa zona di un ambiente coperto connesso al temenos ed adiacente all’amb. IV. Di notevole importanza anche il rinvenimento, nel muro di temenos di un nuovo frammento di iscrizione, in lingua osca e caratteri greci, databile probabilmente al III a.C., recante il seguente testo: TIANAI ПIEC T MEPTOI Si tratta, evidentemente di una dedica a Utiana e Mamerte, divinità la cui presenza nel santuario di Rossano è ben nota da altre iscrizioni. Il blocco nel quale è realizzata l’iscrizione, di notevoli dimensioni, prima di essere inglobato nel muro di temenos aveva già in precedenza subito un reimpiego come base per statua, come mostra chiaramente la rilavorazione con modanature di due delle sue facce. I dati cronologici raccolti nel corso dello scavo hanno consentito di ridefinire parte della cronologia del santuario, collocando una grande fase di ristrutturazione dello stesso nel corso del I secolo a.C. L’area non sembrerebbe invece essere stata interessata, come in precedenza supposto invece da Adamesteanu,93 da occupazioni o rifacimenti in età augustea e imperiale. Le tracce riscontrate all’interno e nei dintorni dell’amb. IV andrebbero pertanto riferite piuttosto “alle fasi finali del culto, più che a veri e propri interventi edilizi”.94
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