La vergogna cancellata

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ALFONSO PONTRANDOLFI, nato a Grassano nel 1938, vive a Matera dal 1959. Nel biennio 1972-’74 è stato presidente del Circolo culturale “La Scaletta”. Negli anni 1984-’85 è stato Sindaco della città di Matera. Negli anni 1993-’95 è stato presidente della sezione regionale dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica). Dal 2006 al 2012 è stato presidente dell’associazione culturale “Centro Carlo Levi” di Matera. Dal 2011 è Deputato della Deputazione Lucana di Storia Patria. Ha pubblicato i seguenti altri volumi: Storia della bonifica metapontina (Altrimedia, 1999); La Terra – Ascesa e declino della borghesia agraria materana (Zetema, 2004); Storia di Grassano (Antezza, 2006); Il Fascismo a Matera (EditricErmes, 2018).

Il problema dei Sassi di Matera costituisce a pieno diritto, anche grazie all’impeto popolare iniziale con cui esso si impose all’attenzione della politica nazionale, un capitolo a sé nella storia del Mezzogiorno. Questa posizione di vantaggio e quasi di privilegio dipende essenzialmente da due fattori. Il primo è rintracciabile nel carattere di “modernità” che la questione dei Sassi assunse sin dal momento stesso in cui essa si pose: essa infatti nasceva dal cuore stesso delle lotte per la riforma agraria, ma spostava la sostanza del riscatto delle popolazioni meridionali su un terreno nuovo - quello urbano - che a un tempo appariva in gran parte inedito e irrinunciabile, cioè non eludibile ma anche di difficile gestione da parte delle stesse forze sociali, chiamate ora a misurarsi con problemi e modalità di conduzione della lotta quasi del tutto sconosciuti. Questa intrinseca difficoltà è ampiamente documentata nel presente studio di Alfonso Pontrandolfi, che, essendo uomo di sinistra, affronta criticamente la lunga e travagliata vicenda dello “sfollamento” degli storici quartieri, sottolineando l’iniziale incapacità o inadeguatezza dell’iniziativa politica delle sinistre (ma a maggior ragione delle altre forze) a superare la quasi totale assenza di prospettive culturali adeguate. La nuova prospettiva, del riuso a fini abitativi degli storici quartieri, fu appunto il secondo fattore di novità e di rinnovamento che caratterizzò la questione dei Sassi in senso originale e moderno, nel quadro delle realtà urbane e sociali del Mezzogiorno interno. Ancora una volta i Sassi e le lotte per essi si definivano in maniera peculiare come un aspetto della nuova “questione urbana”, non più solo come essa si era posta a metà del secolo, ma come essa veniva intesa alla fine del Novecento, cioè anche questa volta con una fisionomia notevolmente rinnovata, quale quella che faceva riferimento alla nuova cultura dei centri storici ed antichi, che ha fatto dei Sassi e della loro “storia dell’oggi” un modello in buona parte trainante ed esportabile. A cinquant’anni dalla prima Legge speciale per il “risanamento” dei Sassi di Matera, questo studio costituisce quindi un contributo considerevole alla conoscenza del travagliato percorso, di natura non solo tecnica ma anche politica, nel quale è stata impegnata la città nell’ultimo mezzo secolo della sua storia. (Dall’Introduzione di Raffaele Giura Longo).

ISBN 978-88-6960-068-5

9 788869 600685

€ 22,00

SECONDA EDIZIONE POSTFAZIONE DI AMERIGO RESTUCCI


Capitolo Primo Il problema del risanamento dei Sassi negli anni del fascismo

L’appellativo di Matera quale “Città dei Sassi” si può far risalire alla seconda metà degli anni ’40 del secolo scorso quando, nel riaccendersi dell’attenzione sulla insostenibile situazione abitativa dei due rioni, il giornale “Vie Nuove”3 in quel modo intitolò una corrispondenza da Matera. Ma l’esigenza del risanamento di quest’area urbana era però già emersa agli inizi del secolo, quando si avvertì chiaramente che il sovraffollamento aveva ormai raggiunto limiti insostenibili. La città in quegli anni non ricercò le cause di natura economica e sociale che lo avevano provocato. Il problema rimaneva essenzialmente di decoro urbano e di natura igienica, tant’è che nel regolamento edilizio del 1897 erano inserite disposizioni transitorie e speciali per i Sassi tendenti a un miglior decoro esterno, prendendo atto, però, che alcune norme igieniche dello stesso regolamento, per le “condizioni specialissime topografiche dei quartieri bassi dell’abitato, detto i Sassi, non sono applicabili alle costruzioni esistenti e da farsi”.4 Nel memorandum consegnato al capo del governo Zanardelli nella tappa materana del suo famoso viaggio in Basilicata del 1902, il Comune di Matera, fra le tante richieste all’autorità governativa, aggiunse per la prima volta l’appello al “dovere, altamente umano e civile, di provvedere, ormai, al risanamento della Città in cui una gran parte della popolazione agricola vive ancora in immonde caverne”.5 Zanardelli, nel discorso pronunciato a Potenza a chiusura del suo viaggio, fece un riferimento a Matera richiamandosi al memoriale presentatogli anche dal Comizio Agrario, dove era detto che “cinque sesti G. PUCCINI - Matera Città dei Sassi - “Vie Nuove” - Anno I, n. 3 del 6/10/46, p. 3. Biblioteca del Sen. Dottor Michele Guanti. 4 COMUNE DI MATERA - Regolamento Edilizio - Tipografia municipale - 1898. 5 P. CORTI [a cura] - Inchiesta Zanardelli sulla Basilicata - Torino, Einaudi, 1976, p. 53. 3

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della popolazione materana abitano in tuguri scavati nella nuda roccia, addossati, sovrapposti gli uni agli altri, in cui i contadini non vivono ma a mò di vermi brulicano squallidi avvoltoi nella promiscuità innominabile di uomini e bestie, respirando aure pestilenze”, e aggiunse che tali condizioni le aveva riscontrate in altri luoghi della Basilicata: “Quasi dovunque le camere dei contadini ricevono aria e luce soltanto dalla porta. Veri antri sono tali stanze, che chiamano sottani, abituri che in me destarono non solo meraviglia, ma profonda pietà. Così queste case dei contadini potessero andare sparse per le campagne”.6 Le ultime scarne parole dello statista contenevano un vero e proprio indirizzo programmatico a cui non fece riscontro un impegno del governo per la realizzazione di quelle riforme strutturali nel settore agricolo che avrebbero potuto spostare i contadini da tutti i “Sassi” della Basilicata verso la campagna. Com’è ampiamente noto, la legge speciale per la Basilicata, che seguì a quel viaggio, non rappresentò altro che lo strumento attraverso il quale le classi conservatrici dominanti poterono, da una parte, consolidare l’alleanza con il potere centrale, dall’altra, continuare a controllare agevolmente la realtà locale attraverso una politica di distribuzione a pioggia di interventi che non avrebbero inciso sulle cause strutturali, economiche e sociali, del degrado regionale. Infatti, assecondando la domanda dei ceti agrari locali, la legge privilegiò quegli interventi infrastrutturali tesi al miglioramento delle sole condizioni fisiche del territorio che, era il loro convincimento, impedivano la ripresa produttiva della regione. Furono, perciò, del tutto trascurate le questioni riguardanti i rapporti tra produzione agraria e trasformazione fondiaria dei latifondi, che impedivano la formazione di una nuova imprenditorialità diretto-coltivatrice. Gli stanziamenti complessivi della legge, che ammontavano a oltre settanta milioni, diluiti oltretutto in un ventennio, si dimostrarono ben presto assolutamente inadeguati ai bisogni reali del territorio regionale. Ciò nonostante, la legge speciale per la Basilicata, pur non avendo intaccato significativamente l’antico assetto territoriale e produttivo della regione, riuscì a svegliare le coscienze della limitata borghesia locale mantenendo aperto il dibattito sui problemi. D’altra parte, sul piano squisitamente territoriale, contribuì a smuovere la stagnazione esistente creando una prima maglia di rete viabile e risolvendo i primi essenziali problemi di assetto urbano, con opere di consolidamento e di risanamento.

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Idem - p. 23.


In questo contesto, per quanto riguarda la città di Matera, furono previste le prime opere di risanamento dei Sassi riguardanti la copertura dei due “grabiglioni” che al fondo delle due valli attraversavano sia il Sasso Barisano che il Caveoso, convogliando a cielo aperto, nel torrente Gravina, tutte le acque sia di fognatura sia meteorologiche della città e delle colline soprastanti. Per la realizzazione di questo unico intervento si dovette, però, aspettare oltre vent’anni dall’emanazione della legge del 1904. Nell’agosto del 1926, qualche mese dopo la visita a Matera del Re Vittorio Emanuele III, il Sindaco della città, avvocato Gabriele Giordano, pubblicò un rendiconto dell’attività amministrativa svolta dal suo insediamento nel 1923. A proposito delle opere di risanamento, precisò che era stata completata la copertura del “grabiglione” nel Sasso Barisano, mentre era in corso di realizzazione quella del Sasso Caveoso. Erano in corso di costruzione inoltre le case popolari, da assegnarsi, fra gli altri, anche agli abitanti di quelle case dei Sassi abbattute per l’attuazione delle opere di risanamento. Venne annunziata, infine, la futura realizzazione del villaggio Venusio, composto di 20 abitazioni e l’assegnazione, da parte dell’Opera Nazionale Combattenti, di altrettante quote di terreno ai contadini che vi si sarebbero trasferiti. Significativa era la conclusione del Sindaco Giordano circa queste prime modeste iniziative pubbliche nel settore della abitazioni: “Colgo l’opportunità di fugare le apprensioni di alcuni proprietari, i quali vedono un danno per loro nelle nuove costruzioni: queste hanno principalmente finalità igienica, e se in qualche modo potranno servire di calmiere alle esagerate richieste di fitti, non verranno mai a creare la crisi opposta degli alloggi e a far scendere le pigioni al disotto del giusto”.7 Come a dire che i proprietari delle grotte dei Sassi date in fitto non si sarebbero dovuti preoccupare perché non si sarebbero costruite tante case da sconvolgere il mercato esistente creando una crisi opposta degli alloggi. La relazione del Sindaco, a parte i toni trionfalistici circa l’impegno che il regime fascista stava profondendo, nella sostanza evidenziava sia la limitatezza dell’attività ordinaria del Comune, attestata su un bilancio che superava appena il milione di lire, sia le lentezze e le difficoltà dell’opera di miglioramento complessivo della città a causa della scarsezza dei finanziamenti statali in opere pubbliche. Tardava ancora il completamento della diramazione per Matera dell’acquedotto pugliese; venivano sollecitate opere quali la costruzione

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COMUNE DI MATERA - Relazione sull’Amministrazione Comunale Fascista fatta dal Sindaco nella seduta consiliare del 5/8/1926 - Matera, Ed. Conti, 1926, p. 16.

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della strada rotabile nei Sassi, la realizzazione o il completamento di alcune strade di collegamento con i paesi vicini come Irsina, Gravina e Santeramo, la sistemazione di strade interpoderali per l’allacciamento a Matera e allo scalo ferroviario di Venusio dei centri rurali al fine di incrementare la produttività agricola. Nel settore della pubblica istruzione rimaneva da completare la costruzione dell’edificio scolastico di via Lucana, occorreva risolvere il problema dei locali per l’apertura di un asilo d’infanzia nel Sasso Caveoso e si era in attesa di un mutuo per realizzare l’edificio della Scuola di Avviamento al Lavoro. Nel dicembre 1926 un telegramma di Mussolini annunciò la nomina di Matera a capoluogo di Provincia.8 All’amministrazione della Città fu designato un commissario prefettizio nella persona del dottor Alfredo Angeloni che, come primo atto, nel febbraio 1927 lanciò un ambizioso programma di nuove opere denominato: “Per la più grande Matera”, con una previsione di spese straordinarie per circa 38 milioni.9 “Il riassetto della città di Matera - egli affermava - è un vero e solo problema di risanamento igienico dell’abitato, già previsto da leggi speciali. Le opere straordinarie previste non sono, infatti, che un assieme di provvedimenti igienici, i quali, differiti costantemente per il passato o solo in minima parte attuati, si sono imposti oggi con carattere urgente e indilazionabile, anche per il fatto della elevazione della città a Capoluogo di Provincia”.

Nell’occasione il Sindaco Giordano diffuse il seguente manifesto: “Cittadini! È con inesprimibile commozione che voi al pari di me apprenderete dal seguente telegramma di S.E. il Capo del Governo la realizzazione della secolare aspirazione di essere Matera rielevata a dignità di Capoluogo di Provincia. “Sindaco di Matera - n. 30920 - Oggi su mia proposta il Consiglio dei Ministri ha elevato codesto Comune alla dignità di provincia - stop - sono sicuro che col lavoro colla disciplina e colla fede fascista codesta popolazione si mostrerà meritevole della odierna decisione del Governo Fascista. MUSSOLINI”. Ho espresso i nostri ringraziamenti e la nostra imperitura riconoscenza a Sua Eccellenza il Capo del Governo, nonché a S.E. l’Onorevole Francesco D’Alessio nostro illustre rappresentante e concittadino onorario che la nostra legittima aspirazione ha caldamente patrocinato presso il Governo Nazionale. Cittadini! Mostriamoci degni dell’alta considerazione concessa alla nostra città dal Governo Fascista col seguire fedelmente le esortazioni fatteci dal Duce amatissimo. Matera 6 dicembre 1926.” 9 AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELLA CITTÀ DI MATERA - Per la più grande Matera - Matera, Ed. Conti, 1927. Presso BPM, Op. Luc. n. 101. Le citazioni che seguono sono alle pp. 13 e 17. 8


Il Commissario continuava descrivendo la drammatica situazione dei “così detti Sassi, un agglomerato di casette e di grotte trogloditiche, senza vere strade, senza fognatura, senza acqua, senza aria e senza luce, dove gli uomini vivono in immonda promiscuità con gli animali”, e concludeva che “per risolvere a pieno tale problema occorre sventrare i Sassi e ridurli a quartieri abitabili, e dislocare altrove la popolazione che non potrà comunque ritrovare alloggio nei futuri quartieri sistemati nei Sassi stessi”. Per questi abitanti da trasferire a tutti i costi si prevedeva la costruzione di un nuovo quartiere in città per “gli artigiani e borghesi” e di case coloniche per gli agricoltori e i contadini, nonché l’appoderamento e la realizzazione delle necessarie opere di bonifica “nell’agro materano, agro feracissimo, che è tenuto solo in parte a coltura estensiva e parte abbandonato, perché mancante di strade e di case idonee per i contadini, e che potrebbe diventare il granaio della Nazione”. Per un tale impegno programmatico, visto che le entrate comunali erano di poco superiori al milione di lire e che esisteva già una situazione deficitaria di circa mezzo milione, in quale modo si sarebbe dovuto provvedere per coprire quel notevole fabbisogno finanziario? Il Commissario non aveva dubbi: “Non resta che fare assegnamento sulle provvidenze straordinarie da parte dello Stato, il quale non potrà certo non interessarsi delle eccezionali condizioni della città di Matera, e rendersi conto della impellente necessità di dare a essa l’assetto e il decoro di vita civile quale si impone a una città diventata oggi anche Capoluogo di Provincia”. Ancora una volta un evento, l’elevazione della città a capoluogo provinciale, determinava una visione della città completamente diversa. La funzione di capoluogo significava, prima di tutto, un immediato diverso rapporto con l’autorità governativa ai fini del finanziamento delle indispensabili opere pubbliche, e poi l’organizzazione degli uffici periferici dello Stato, quindi strutture edilizie, uffici e case di abitazione per gli impiegati e per la nuova classe dirigente burocratica, e ancora, uno sviluppo tangibile dei fattori economici indotti dal settore terziario dei pubblici servizi. Contemporaneamente a questo evento altri fattori si misero in moto: la costituzione dei due Consorzi di Bonifica (di Metaponto nel 1925 e della Media Valle del Bradano nel 1931) che, sin dai loro programmi preliminari, cominciarono a introdurre i temi dell’assetto territoriale e della trasformazione fondiaria dei rispettivi comprensori, e l’organizzazione di un sistema di trasporto per collegare i comuni al capoluogo provinciale.

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Sembrò insomma che in quegli anni il territorio materano non rimanesse estraneo alla generale mobilitazione di forze modernizzatrici che, sollecitate anche dal nuovo regime politico, investì l’area meridionale soprattutto nel settore agricolo. Ma tornando al progetto della “Grande Matera”, è opportuno illustrare il quadro delle opere che si prevedevano e che erano distinte in due categorie. La prima riguardava lavori straordinari e urgenti per elevare nel breve periodo la qualità della città, e precisamente: fognature in tutta l’area urbana, edifici scolastici, sistemazione di strade interne ed esterne, nuovo macello, mercato coperto, bagni pubblici, concimaie, porcili e ovili per eliminare la promiscuità di animali e persone nei Sassi, nuovo piazzale per la fiera, asili nido e istituti di istruzione media e superiore e, infine, un nuovo piano regolatore per ordinare l’ampliamento della città. Il tutto per il considerevole importo di 26 milioni di lire. La seconda categoria di opere riguardava “lavori straordinari indispensabili per la sistemazione integrale della Città”. In pratica, si prevedeva il risanamento dei Sassi con una spesa di 12 milioni di lire: da una parte sventramenti per realizzare nuove strade di collegamento con la restante città e per ricavare aree da utilizzare per la costruzione di civili abitazioni per gli stessi abitanti, dall’altra la costruzione di case coloniche e appoderamenti. “Così - proseguiva il documento - mentre con la costruzione di case coloniche e con la bonifica, a sistema di appoderamenti o villaggi agricoli, si accentua il carattere di ‘città’, e non più di borgo agricolo dell’abitato, si contribuisce all’intensificazione delle colture dell’agro, spostando verso le campagne i coltivatori”. A conclusione dell’ambizioso programma il Commissario Prefettizio, prendendo atto che il Comune non aveva la struttura tecnica per procedere alla progettazione degli interventi previsti, in attesa e anche per supportare le auspicabili decisioni dello Stato, determinava “di dare incarico a specialisti, di gradimento e di fiducia dell’Ill/mo sig. Provveditore alle OO.PP. di Basilicata, di compilare i progetti per il piano regolatore della città vecchia e nuova (comprese strade, fognature, ecc.), e per il piano regolatore dell’agro (villaggi agricoli, case coloniche, appoderamenti, strade)”. Il programma, che si è voluto così diffusamente illustrare, più che per le opere previste, rimane un importante documento per significare quanto produsse l’evento della elevazione a capoluogo provinciale sul piano della consapevolezza delle classi dirigenti locali a promuovere un radicale rinnovamento della città che, effettivamente, sulla linea tracciata da quel programma, vide iniziare, in quegli anni, importanti opere che ne segnarono l’assetto urbanistico per i decenni successivi. Nel 1935 il


progetto di un “Piano regolatore e di ampliamento della città” non fu più affidato tramite concorso nazionale, ma venne redatto dall’allora dirigente dell’ufficio tecnico comunale, l’ingegnere Vincenzo Corazza. Il piano10 distingueva nettamente le due parti della città: la zona alta del Piano e quella dei Sassi. Nella zona alta definiva gli sventramenti già in corso e le ulteriori demolizioni per realizzare un percorso scorrevole fra piazza Vittorio Veneto e via Duni; sistemava le zone già interessate dalle nuove espansioni verso la stazione ferroviaria e verso Altamura; prendeva atto della impossibilità, in quel momento, di qualsiasi spostamento della ferrovia e prevedeva, da una parte, aree produttive commerciali e industriali a monte della stazione, dall’altra, l’abbassamento della linea ferroviaria per eliminare il passaggio a livello che già impediva “l’ingresso alla città per alcune ore al giorno”. Tale opera avrebbe facilitato l’espansione della città prevista nell’area fra via Lucana, via Cererie e il campo sportivo. Un grande parco intorno al Castello e altre aree di espansione lungo via La Nera, nel tratto prossimo a via Lucana, completavano il piano di ampliamento della zona alta. Un piano, in verità, senza grandi prospettive e limitato all’assestamento di quanto era già in atto. Non a caso, come si vedrà, già nel 1940 il podestà dell’epoca si pose il problema di un vero piano regolatore generale, affidandone la redazione all’architetto materano Emanuele Plasmati. Per quanto riguardava i Sassi, il piano dell’ingegnere Corazza traduceva attentamente quanto fino ad allora era venuto maturando intorno alle possibili soluzioni per il risanamento dei rioni. Per prima cosa, egli affermava nella relazione di accompagnamento al piano, “il problema dei Sassi più che riguardare il piano regolatore, interessa il risanamento igienico di quella parte della città. Risanamento che non potrà mai ottenersi in modo integrale per difficoltà tecniche ed economiche”. Perciò, era chiaro già allora come fosse impensabile risanare i Sassi attraverso ampie ristrutturazioni urbanistiche anche perché “la caratteristica principale di questa città - continuava l’ingegnere Corazza - è data precisamente dalla esistenza dei Sassi; nessun lavoro demolitorio in grande dovrebbe esser fatto nei Sassi, bensì si dovrebbe tendere a conservarli allo scopo turistico”.

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La planimetria generale del piano è stata pubblicata in numerosi testi fra cui si cita il più recente: C. D. Fonseca - R. Demetrio - G. Guadagno - Matera - Ed. Laterza - Bari, 1998. La “Relazione al progetto di massima del piano regolatore e di ampliamento della città”, cui si farà nel seguito riferimento, è un dattiloscritto a firma dell’ingegnere V. Corazza una cui copia è conservata nelle biblioteca dello studio “Architetti Associati” di Matera.

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Data questa impostazione del problema, il piano, da una parte prevedeva di demolire le case a fianco della chiesa della Mater Domini per creare un affaccio “turistico” sul Sasso Barisano, dall’altra prevedeva il completamento a circuito della viabilità nei due Sassi in modo da eliminare l’attraversamento dei carri nelle vie della città alta, consentendo invece agli stessi carri di entrare e uscire dai Sassi raggiungendo direttamente le vie esterne di accesso alle campagne. Lo sfollamento dei Sassi, per la parte di abitazioni che sarebbero state dichiarate inabitabili, sarebbe dovuto avvenire però “di pari passo con lo sviluppo della bonifica integrale qui ancora ai primi passi”. La bonifica integrale, allora oggetto del dibattito nazionale intorno ai temi dello sviluppo agricolo, cioè della trasformazione fondiaria e della colonizzazione delle terre condotte a regime latifondistico, diventava la via unica attraverso la quale poteva essere risolto il problema dello sfollamento delle abitazioni trogloditiche dei contadini dei Sassi. Nel materano si erano da poco costituiti i due Consorzi di Bonifica, perciò era pensabile che, per quella via, potesse realizzarsi qualcosa di concreto. Con il nuovo piano di ampliamento il Comune approvava, nell’ottobre del 1935, anche il nuovo regolamento edilizio che sarebbe rimasto in vigore fino al 1959. Matera capoluogo di provincia aveva nel frattempo richiamato la curiosità della stampa nazionale. Tutte le corrispondenze manifestarono, in vario modo, sorpresa nello scoprire la realtà dei Sassi. La descrizione che ne fecero fu generalmente superficiale ed epidermica, ma non mancarono analisi più attente alle questioni che tale realtà faceva emergere. Salvatore Aponte, in un numero del “Corriere della Sera” del 1930,11 nella rubrica “Itinerari Provinciali”, poneva un titolo provocatorio al suo pezzo: “L’orrendo Sasso di Matera”. Nel suo lungo articolo si ritrovano esposti, con notevole attenzione, gli argomenti intorno ai quali maturò l’idea del risanamento dei Sassi esposta nel piano regolatore del 1935. Così esordiva il giornalista: “Chi voglia comprendere quanto sia atroce certa eredità che il Fascismo ha raccolta nel Mezzogiorno venga a Matera. (…) Sapete che cos’è il ‘Sasso’ di Matera? Fa senso percorrendo oggi la nostra adorabile Italia imbattersi in uno spettacolo come questo. Qui, non in case, ma in grotte scavate nel tufo della montagna, abitano gli altri due terzi della popolazione”. Si proseguiva con richiami storici al feudalesimo oppressore che tenne i materani rinchiusi nelle grotte facendo imputridire la vita pubblica, e al

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L’articolo è conservato nella biblioteca del dottor Mauro Padula.


Fascismo che aveva dovuto faticare per spezzare e spazzare via le tenaci incrostazioni. E poi concludeva ottimisticamente, dichiarando che “la soluzione più razionale del problema è dunque connessa alla bonifica integrale della provincia. Lungo questo percorso solutivo si è già incominciato a operare, si sono realizzate le prime fognature, l’acquedotto portò l’acqua, è in corso la bonifica del metapontino e della valle del Bradano, si costruiscono strade e a Venusio è sorto un villaggio rurale. Che altri villaggi come questo sorgano e il problema del Sasso sarà risolto”. E infine: “Turismo? E perché no? Matera è uno dei nostri centri più pittoreschi. Fra qualche anno, poi, essa potrà mostrare al visitatore, senza più arrossire, una città trogloditica interessantissima e finalmente non più abitata da genti umane”. Dello stesso tono, anche se più carico dell’ottimismo di regime, era un articolo di Luigi Bottazzi ancora sul Corriere della Sera del febbraio 193312 intitolato “Passato e avvenire di una provincia”. Sul “Giornale d’Italia” del dicembre 1934,13 Giuseppe Bertoni parlò invece della “Rinascita di Matera” per opera delle realizzazioni in corso, dichiarando di non condividere “le lagrimevoli espressioni dei perennemente commossi: i quartieri popolari di grandi città, di capitali europee (vedi Londra) non hanno niente da invidiare al Sasso di Matera” dove almeno, aggiungeva, è previsto il risanamento con demolizioni e ricostruzione di nuove case. Lo stesso “Giornale d’Italia”,14 in una corrispondenza del gennaio 1936, dava notizia dell’avvenuta approvazione, da parte della Giunta Provinciale Amministrativa, del piano regolatore della città argomentando che, con l’impegno di spesa previsto di 25 milioni di lire, Matera avrebbe potuto risanare la parte antica e, altresì, completare le nuove opere intraprese ampliando la città con i criteri moderni previsti dal piano e, così, “assumere il volto nuovo voluto dal regime fascista”. Dopo la fugace visita fatta da Mussolini nell’agosto del 1936, i giornali tornarono a interessarsi di Matera accentuando i toni trionfalistici e dando per certa l’opera di risanamento dei Sassi. Il “Messaggero” del 4 settembre 1936 intitolava, a firma di A. M. Livi: “Matera redenta dal regime”, e concludeva: “Così noi siamo sicuri che presto le abitazioni trogloditiche di Matera rimarranno una pura curiosità per amatori del pittoresco o studiosi della vecchia storia sociale italiana”.

Idem. Idem. 14 Idem. 12 13

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Sulla “Tribuna” dell’1 aprile 1937 e sulla “Stampa” del 4 settembre 1937, un certo Toddi, dopo aver inneggiato al bell’esempio di fecondità demografica, a proposito dei Sassi, proclamava che “quest’anno cominceranno ad apparire nuovi documenti, lapidari, dell’azione risanatrice del fascismo, brevi ed efficaci iscrizioni: ‘Chiuso nell’anno XV’. Ognuna di esse su una porta sbarrata per sempre, dirà che ormai quella è un’ex abitazione”. A fronte di tanti entusiasmi e convincimenti circa la volontà dello Stato di portare velocemente a compimento l’opera di risanamento della città, nel marzo del 1937, all’assemblea annuale dell’Associazione Nazionale Fascista per l’Igiene, tenuta presso l’Università di Bari, l’Ufficiale Sanitario di Matera, il dottor Luca Crispino, illustrò la sua realistica e drammatica inchiesta sull’abitato dei Sassi e sulle malattie sociali della città di Matera. L’inchiesta, per la prima volta, fornì gli elementi quantitativi della drammatica situazione abitativa dei Sassi di Matera.15 Delle 2997 abitazioni rilevate nei Sassi Caveoso e Barisano, “n. 1641 - si legge nella relazione - sono abitazioni trogloditiche, cavate nella roccia, senza aria, luce e sole, impregnate di umidità alle pareti, al soffitto e al pavimento; n. 501 sono in mediocri condizioni di muratura e di igiene, occorrendo fare riparazioni; n. 850 sono in buone condizioni di muratura e di igiene. Ne deriva quindi che 1641 case sono assolutamente inabitabili. Se si aggiungono le 501 case che hanno bisogno di riparazioni, per cui occorrerebbe una spesa superiore alla loro costruzione, si ha un totale di case inabitabili di 2142, cioè una percentuale del 71,5% di case inabitabili”. La popolazione dei due rioni risultava di circa 13.000 persone composte da 2910 famiglie (comprese le 274 assenti al momento dell’inchiesta perché dimoranti in campagna), su un totale della città di 23.040 abitanti. Delle 2997 abitazioni, ben 2552 erano costituite di un solo vano, con un indice di affollamento di 4,36 abitanti, 247 di due vani, 51 di tre vani, 28 di quattro vani, 12 di cinque vani e 7 di sei vani. Nell’80% delle case di un vano vi era anche la stalla per il ricovero degli animali. Così Crispino concludeva la sua indagine: “Matera ha bisogno di molte case, di carattere ultrapopolare, per i contadini, in modo da chiudere completamente tutte le case inabitabili esistenti nei Sassi. Molte case si sono costruite dal 1926; ma queste case sono servite quasi esclusivamente per la classe impiegatizia, essendosi trasferite nel Comune moltissime famiglie in seguito all’elevazione della

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L. CRISPINO - Inchiesta sull’abitato dei Sassi e sulle malattie sociali della città di Matera - Ed. Conti - Matera 1938. BPM, Op. Luc. B - 396 - pp. 13-14.


città a Capoluogo di Provincia. Dal registro dei certificati di abitabilità risulta che dal 1932 al 31/12/1937 sono stati costruiti n. 1291 vani, divisi in 375 appartamenti. Da indagini espletate, poiché non v’è traccia in registri, è risultato che dal 1926 a tutto il 1931 furono costruiti circa 1250 vani divisi in 420 appartamenti. Per i contadini e per gli artigiani nulla ancora si è fatto ed essi quindi seguitano ad abitare case trogloditiche e malsane. Un piccolo passo è stato fatto recentemente e cioè sono state costruite n. 60 case ultrapopolari per i contadini nel nuovo rione Piccianello, ma speriamo che la istituzione dell’Ente Autonomo Provinciale per le Case Popolari voglia proseguire su questa buona strada, in modo da augurarci che nel più breve lasso di tempo le case dei Sassi siano disabitate, restando semplicemente a testimoniare l’epoca di un tempo ormai tramontato”. È un’indagine, quella di Crispino, rigorosa sul piano scientifico, misurata e onesta nelle parole conclusive, coraggiosa sul piano della denuncia politica, mancante assolutamente di qualsiasi riferimento alle grandezze del regime fascista o al pensiero infallibile del Duce, come era in uso nella generalità delle relazioni, anche tecniche, dell’epoca. All’epoca della sua pubblicazione l’indagine passò inosservata, ma avrebbe costituito, come si vedrà più avanti, l’unico riferimento per il vasto dibattito che si sarebbe aperto nel dopoguerra, compreso quello parlamentare sulla prima legge speciale del 1952. Negli anni della sua pubblicazione si era nel pieno delle realizzazioni edilizie nell’area alta del Piano. La città si terziarizzava con l’afflusso di ceti impiegatizi anche dall’esterno, il regime proclamava l’impero, nella propaganda la questione meridionale era data per risolta, e perciò il risanamento dei Sassi perdeva il suo carattere di urgenza. Alla vigilia della guerra, del programma della “grande Matera” risultò realizzato molto poco. Delle opere progettate per il risanamento dei Sassi, si realizzarono soltanto la strada di circonvallazione, la dotazione di 7 fontanine pubbliche dell’acquedotto pugliese che assicurarono un minimo di approvvigionamento di acqua potabile e, nel rione Piccianello, le 60 abitazioni per contadini. L’asilo nido nella piazzetta Garibaldi del Sasso Barisano, iniziato durante gli anni di guerra, sarà completato soltanto nel 1945. L’idea del completamento della maglia della viabilità rotabile nei Sassi, attraverso nuovi sventramenti e demolizioni, per fortuna rimase soltanto nelle previsioni del piano regolatore. Dopo la costruzione della strada di circonvallazione dei Sassi, l’unico sventramento fu quello attuato nel Piano per la realizzazione degli edifici rappresentativi del Banco di Napoli, dell’INA e delle Poste, poi continuato, dopo la guerra, con la costruzione dell’edificio della Banca d’Italia e completato con l’edificazione della sede della Banca Popolare.

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