MAP - Magazine Alumni Politecnico di Milano #4

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MAP Magazine Alumni Polimi

Numero 4 _ Autunno 2018

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Il bello del Politecnico: quello che i ranking non possono raccontare • Un Politecnico da Olimpo • Dottori di ricerca alle frontiere della conoscenza • Qui costruiamo il futuro del mondo • Ricordi della Casa dello Studente • La Nuova Biblioteca Storica • Il telescopio che guarda indietro nel tempo • Scelti da Forbes: i più giovani innovatori europei • Big (Designer) Data • L’architetto e il suo bracciale salvavita • L’ingegnere che pulisce gli oceani • Un campus aperto alla città • L’uomo che sente tutto dell’America • La Gazzetta del Poli • Alumni da Trofeo: Fabio Novembre, Stefano Boeri • Tutte le Ferrari dell’ing. Fioravanti • I ragazzi del Circles • Il 1° incubatore d’Impresa in Italia • 1968-2018 in Piazza Leonardo

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Buona lettura. permanente del MoMA e che ha al suo attivo un TEDTalk con più di un milione di visualizzazioni; o come Lorenzo Ferrario e Gio Pastori, scelti da Forbes come due tra i più giovani innovatori d’Europa; o ancora, come Giulio Cesareo, la cui azienda ha brevettato una “spugna” per ripulire gli oceani.

In questo 4° numero di MAP abbiamo dato ampio spazio ai più recenti traguardi del Politecnico di Milano. È stata una scelta dettata dall’entusiasmo: al di là di ogni autocelebrazione, abbiamo la speranza di condividere con voi lettori la passione per questa Scuola e l’impegno con il quale, quotidianamente, la comunità politecnica nel suo insieme si adopera per tenera alta la sua bandiera. Ne parliamo in diversi articoli, toccando i temi dei ranking universitari, della ricerca di frontiera, dello sviluppo tecnologico e culturale promossi dall’Ateneo grazie alle tante realtà che ne fanno parte: citiamo ad esempio Polihub, primo incubatore d’impresa in Italia, e i nuovi progetti che stanno partendo, come quello della ristrutturazione del Campus Bonardi che offrirà nuovi spazi di interazione a tutta la città, non solo agli studenti e ai docenti.

Queste storie, insieme alle tantissime altre che non possono, purtroppo, trovare spazio qui, rappresentano per il Politecnico motivo di orgoglio e uno stimolo a fare sempre meglio. Senza darvi ulteriori spoiler, vi auguro buona lettura, sperando che queste pagine vi rendano altrettanto orgogliosi. Federico Colombo Direttore esecutivo Alumni Politecnico di Milano P.S. Anche questa volta siamo riusciti a stampare e inviare MAP a 50 mila Alumni perché in 1950 avete scelto di contribuire concretamente con una quota a sostegno di questo progetto. Grazie ancora per questo contributo che permette di tenere aperto anche questo canale per tutta la famiglia politecnica.

Non mancano le storie degli Alumni, fiore all’occhiello del Politecnico, e dei loro importanti contributi alla crescita del mondo tecnologico, culturale e industriale. Fanno la loro comparsa in questo numero 11 Alumni il cui lavoro ha un forte impatto a livello italiano e internazionale: come la designer Giorgia Lupi, esperta di data visualization, il cui lavoro è esposto nella collezione

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La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Magazine Alumni Polimi

Cari Alumni, vi racconto il Poli di domani: lettera aperta del rettore Ferruccio Resta • La community Alumni raccontata da Enrico Zio • Atlante geografico degli Alumni • Il Poli che verrà, raccontato dal prorettore delegato Emilio Faroldi • Vita da studente di fine ‘800 • Come si aggiusta il Duomo di Milano • L’ingegnere del superponte • Una designer per astronauti • La chitarra di Lou Reed, firmata Polimi • Architettura italiana in Australia • VenTo: la pista ciclabile che parte dal Poli • Fubles, gli ingegneri del calcetto • Il parco termale più grande d’Europa • Gli ingegneri del tram storico di Milano • Polisocial Award: un premio all’impegno sociale • Nuovo Cinema Anteo • Caro Poli ti scrivo

Ferruccio Resta e il Politecnico di domani • Dossier: i numeri del Poli • La nuova piazza Leonardo • Renzo Piano: 100 alberi tra le aule • Gian Paolo Dallara e DynamiΣ: la squadra corse del Poli • PoliSocial: il 5x1000 del Politecnico di Milano • Gioco di squadra: tutto lo sport del Politecnico • Guido Canali, l’architettura tra luce e materia • Paola Antonelli, dal Poli al MoMA di New York • Zehus Bike+ e Volata Cycles, le bici del futuro • Paolo Favole e la passerella sopra Galleria Vittorio Emanuele • Marco Mascetti: ripensare la Nutella • I mondi migliori di Amalia Ercoli Finzi e Andrea Accomazzo • Nel cielo con Skyward e Airbus

N°0 - AUTUNNO 2016

N°1 - PRIMAVERA 2017

1 MAP Magazine Alumni Polimi

N°2 - AUTUNNO 2017

Magazine Alumni Polimi

Numero 4 _ Autunno 2018

Numero 1 - Primavera 2017

Numero 3 _ Primavera 2018

Magazine Alumni Polimi

N°3 - PRIMAVERA 2018

Quando ero studente al Poli • Dottori di ricerca alle frontiere della conoscenza • Dove si costruisce il futuro del mondo • Poli da Olimpo • Mi ricordo la Casa dello Studente • La Nuova Biblioteca Storica • Il telescopio che guarda indietro nel tempo • Speciale Forbes: Lorenzo Ferrario, Gio Pastori • Big (Designer) Data • L’architetto, e il suo bracciale, salvavita • L’ingegnere che pulisce gli oceani • Il nuovo Cantiere Bonardi di Renzo Piano • L’uomo che sente tutto dell’America • La Gazzetta del Politecnico • Alumni da Podio: Fabio Novembre, Stefano Boeri • Tutte le Ferrari dell’ing. Fioravanti • I ragazzi del Circles • PoliHub, l’incubatore di talenti • 1968-2018 in Piazza Leonardo • Lettere alla redazione

N°4 - AUTUNNO 2018

PROSSIMO NUMERO N°5 - PRIMAVERA 2019

Unisciti ai 1950 Alumni che rendono possibile la redazione, la stampa e la distribuzione di MAP. Modalità di pagamento:

· On line: sul portale www.alumni.polimi.it · Bollettino postale: AlumniPolimi Association – c/c postale: n.46077202 70€ Standard Piazza Leonardo da Vinci 32, 20133 Milano · Bonifico bancario: Banca popolare di Sondrio Agenzia 21 – Milano IBAN: IT90S0569601620000010002X32 BIC/SWIFT: POSOIT2108Y · Presso il nostro ufficio: Politecnico di Milano, piazza Leonardo da Vinci, 32. Edificio 2, piano 1° Da lunedì a venerdì dalle 9:30 alle 12:30 e dalle 14:00 alle 16:00

Contributi annuali possibili

120€ Senior

250€ 500€ Silver

Gold

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MAP

Magazine Alumni Polimi La rivista degli architetti, designer, ingegneri del Politecnico di Milano

3 Editoriale

Poli da Olimpo

La bellezza che i ranking non possono raccontare

Qui costruiamo il futuro del mondo 12

Direttore Responsabile Federico Colombo Direttore Esecutivo AlumniPolimi Association Dirigente Area Sviluppo e Rapporti con le Imprese Politecnico di Milano Direttore della comunicazione Chiara Pesenti Dirigente Area Comunicazione e Relazioni Esterne Politecnico di Milano Membri del Comitato Editoriale Margherita Cagnotto Responsabile Merchandising di Ateneo Politecnico di Milano Alessio Candido Communication and graphic designer AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano Ivan Ciceri Fundraising Manager Politecnico di Milano Luca Lorenzo Pagani Communication Manager AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano Francesca Saracino Head of CareerService Politecnico di Milano Diego Scaglione Head of Corporate and Continuing Education Politecnico di Milano Irene Zreick Coordinamento editoriale MAP AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano

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Stefano Bottura Progetto grafico Valerio Millefoglie Caporedattore Betterdays Redazione Ivan Carozzi, Davide Coppo, Nicola Feninno, Chiara Longo

Un campus aperto alla città

Dottori di Ricerca alle frontiere della conoscenza

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MAP è realizzato in collaborazione con Better Days srl (www.betterdays.it)

PoliHub: il 3° incubatore di startup al mondo

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Impaginazione Maria Serafini, Beatrice Mammi Crediti Fotografie pag. 24 NASA/ Chris Gunn Pattern grafico pag. 96 da all-free-download.com Stampa La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio S.r.l.

Un telescopio per guardare indietro nel tempo

Editore e Proprietario AlumniPolimi Association Politecnico di Milano Presidente Prof. Enrico Zio Delegato del Rettore per gli Alumni Delegato del Rettore per il Fundraising individuale P.zza Leonardo da Vinci, 32 - 20133 Milano T. +39.02 2399 3941 - F. +39.02 2399 9207 alumni@polimi.it - www.alumni.polimi.it PIVA 11797980155 - CF 80108350150

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Pubblicazione semestrale Numero 4 – autunno 2018 Registrazione presso il Tribunale di Milano n°89 del 21 febbraio 2017

26 Speciale Forbes: L’ingegnere dei satelliti

32 Speciale Forbes: Il designer di collage


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Big (Designer) Data

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Mi ricordo la Casa dello Studfente

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54 La Nuova Biblioteca Storica del Poilitecnico

Dalla Daytona alla Testarossa: tutte le Ferrari dell’ing. Fioravanti

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Huawei: come fare rete, 5G

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L’uomo che sente tutto dell’America

La Gazzetta del Poli

Alumni da trofeo

72 L’architetto salvavita

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Milano-Londra passando per la Nuova Zelanda La guerra del Poli

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L’ingegnere che pulisce gli oceani

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1968-2018 cinquant’anni nella nostra piazza

I ragazzi del Circles

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Lettere alla redazione

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IL BELLO DEL POLITECNICO: QUELLO CHE I RANKING NON POSSONO RACCONTARE Lettera aperta del Presidente Associazione AlumniPolimi

Mi sono iscritto al Poli nel 1985 e non ne sono mai uscito. All’epoca, questa grande istituzione mi faceva un po’ paura; invece, stava iniziando una storia d’amore che dura ancora oggi, dopo oltre 30 anni! Ricordo con affetto il “primo colpevole” di questo grande innamoramento, il mio mentore-gentiluomo, Marzio Marseguerra, professore di fisica dei reattori nucleari, che mi ha insegnato tutto (e io ho il rammarico di non essere riuscito a imparare proprio tutto). Ricordo tutte quelle esperienze, e al contempo sofferenze, che spesso ci raccontiamo tra Alumni: la lotta per gli sgabelli e per il posto in aula, i professori che incutevano paura, gli incubi di diventare un’esponenziale o una frazione, gli esami, il costante studio e il grande impegno che ci tenevano svegli la notte: tutto questo rivedo oggi nei miei allievi. Ricordo anche i bellissimi momenti di vita, le accese partite a briscola chiamata (anche quelle con Carlo Lombardi, professore di Ingegneria Nucleare, un finto burbero, pezzo di pane che si arrabbiava molto se lo facevi perdere!), le sfide a calcetto, la continua crescita accanto a colleghi-studenti di ieri che sono diventati gli Alumni-amici di oggi. Non è un caso che tanti di noi Alumni siamo coinvolti in progetti a supporto dello sviluppo del Politecnico, come

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Alla cerimonia dei diplomi di master all’UCLA, 1994

ENRICO ZIO, 51 anni Professore ordinario di Impianti Nucleari Presidente Associazione AlumniPolimi Delegato del Rettore per gli Alumni e per il Fundraising Individuale Alumnus Polimi Ingegneria Nucleare e PhD

le borse di studio “Circles” che premiano i migliori studenti, il progetto di riqualificazione del campus che apre nuovi spazi di cultura e vita sociale agli studenti, ai cittadini, ai visitatori di Milano, gli advisory board nei quali gli Alumni affiancano i docenti del Poli nell’ideazione dei corsi di studio, nelle direzioni della ricerca per la trasformazione e l’innovazione. Il Poli, in anni “non sospetti”, si apriva già all’internazionalizzazione offrendomi una borsa di studio con la quale mi recai ad approfondire gli studi presso la prestigiosa UCLA: ne uscii con un master (in Ingegneria Meccanica) e… la mia futura moglie. Era l’anno dei mondiali di calcio in USA e andai alla cerimonia dei diplomi indossando l’uniforme dell’Italia di Baggio sotto alla toga. Poi il dottorato, sia al Politecnico che al MIT – passando per il tremendo esame americano, durato due giornate nelle quali mi chiesero praticamente tutto, qualsiasi cosa vagamente correlata con gli studi di ingegneria. Fortuna che avevo fatto il Poli! E fortuna che alla discussione della tesi arrivò mia mamma dall’Italia, da perfetta mamma italiana con figlioletto emigrato, carica di valigie piene di prelibatezze. Voci di corridoio dicono che ciò abbia contribuito al buon esito dell’esame, anche se il Professor George Apostolakis, luminare dell’analisi di rischio e mio mentore al MIT, minacciò di bocciarmi per farmi tornare l’anno seguente con mamma e manicaretti. Enrico Zio nel giorno di laurea, 1991

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Il MIT mi apriva tante porte, ma io volevo tornare a casa, al mio Poli. Nel 1996 vinsi un posto da ricercatore e tornai a frequentare le aule del Politecnico, “dalla parte opposta della cattedra”, capendo ben presto che anche da questo lato si continua ad imparare. Con la voglia di dare il massimo per contribuire allo sviluppo del Politecnico, fin dall’inizio partecipai a tanti progetti che allora stavano partendo e 4. che oggi sono importanti nelle strategie di sviluppo di Ateneo. Sotto la guida della prof.ssa Anna Zaretti, a fianco della dr.ssa Chiara Pesenti e del prof. Giuliano Noci, mi ritrovavo a fare l’ambasciatore del Poli nei licei, per supportare gli studenti nella scelta dell’università (leggi: per convincerli a venire al Poli, a non perdere questa opportunità!), e intanto iniziavo, insieme al visionario prof. Giancarlo Spinelli, a partecipare allo sviluppo delle relazioni internazionali del Poli. Tutte esperienze dalle quali ho imparato e guadagnato, più che offerto e dato, e che mi hanno aiutato anche negli anni in cui ho avuto la fortuna di servire come direttore della scuola di dottorato. Anche lo sport, oggi al centro di un impegno importante del Politecnico, per la qualità della vita di tutti coloro che vi studiano e lavorano, mi ha visto partecipe dei primi passi “dal basso”: credo di essere stato l’ultimo vincitore del torneo di tennis organizzato dal CRAL, mi chiamavano “Boom Boom Zio” (erano gli anni in cui un certo “Boom Boom Becker” vinceva Wimbledon); sono stato finalista

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“Il Poli è campione del mondo anche su parametri che non si misurano, che non entrano nei ranking ma che hanno a che fare con la vita delle persone”

Nel cuore del MIT con la commissione di PhD, 1997

del primo torneo di calcetto, ma non presi parte alla finale perché dovevo studiare! Fui uno degli staffettisti nella 5x1000 al Giuriati assieme ad un giovane promettente e molto atletico, che oggi è vincitore di un ERC e presidente del nostro corso di studi in Ingegneria Nucleare: il prof. Matteo Passoni (non abbiamo vinto ma avremmo meritato il premio come migliore divisa grazie alle nostre parrucche da Cugini di Campagna). Ora mi trovo qui a scrivere su questo numero di MAP, dove raccontiamo di tante iniziative e situazioni più che mai attuali oggi, figlie di quelle di ieri che ho menzionato. Parliamo anche della Casa dello Studente e delle altre nuove residenze del Poli, che danno alloggio a tanti studenti. Già ai miei tempi, la Casa dello Studente era un punto di riferimento per i tanti studenti che venivano da fuori, facendo grandi sacrifici. Oggi, da docente, ancor più penso all’incredibile impegno di questi ragazzi e agli sforzi fatti dalle loro famiglie. Penso agli studenti che fanno i pendolari e si alzano all’alba ogni mattina per prendere il treno. Penso a tutti quei giovani che si trasferiscono qui da Paesi lontani, lasciando le loro famiglie e affidando a noi una frazione della loro vita per investire sulla loro formazione, sperando che serva a costruire un futuro migliore per loro stessi e i loro cari. Penso a loro con grande ammirazione: ci vogliono molta motivazione e un grande impegno, e il Politecnico continua a operare per accogliere questi giovani, per farli sentire figli del Poli. Saliamo nei ranking internazionali perché la formazione del Politecnico è apprezzata a livello internazionale (i nostri allievi sono richiestissimi nel mondo del lavoro) e la ricerca è tra le migliori del mondo. Ma per me il Poli è anche campione del mondo su parametri che non si misurano, che non entrano nei ranking ma hanno a che fare con la vita delle persone. È per questo che sono ancora qui, dopo 30 anni, con la voglia di dare il mio piccolo contributo, profondamente innamorato. Anche oggi, come (fortunato e privilegiato) Presidente dell’Associazione AlumniPolimi, continuo a imparare e ricevere tanto da tutte le persone con le quali ho il privilegio di entrare in contatto, persone che condividono con me la passione per il Poli. Gli Alumni sanno, come lo so io, che con il Poli saremo sempre in debito. Questa istituzione, seria, severa, è piena di personaggi che incutono timore reverenziale, il docente che ti boccia, quello che ti mette alla prova, ti spreme… per il fine comune di trasmetterti qualcosa; tutte queste donne e uomini ci mettono il loro cervello, il cuore, l’anima e il tempo, con risultati che vanno al di là dei voti e delle nozioni, perché la formazione di una persona passa anche per un altro tipo di sudore, quello umano della vita-vissuta. Il Poli è uno stile di vita, anche se quando sei studente non te ne rendi ancora conto. Con il tempo, da Alumna/us lo scopri e te lo porti dietro ovunque tu vada. Ce l’hai nel cuore. E io vado avanti a commuovermi quando alla fine degli esami del mio corso dò un 30 e lode.

Con i colleghi di ing. Nucleare alla staffetta 5x1000 nel 1999

In compagnia dei nuovi dottori alla cerimonia della scuola di dottorato del Politecnico, 2007

“Il Poli è uno stile di vita. Te lo porti dietro ovunque tu vada. Ce l’hai nel cuore” 8


LA BANDIERA DEL POLITECNICO Portiamo addosso i colori della nostra squadra Siamo tra le migliori università al mondo. I nostri Alumni sono tra i più apprezzati dalle aziende a livello internazionale, la ricerca politecnica è un motore di innovazione che spinge l’Italia verso il futuro. La nostra università collabora con le aziende per uno sviluppo industriale con un forte impegno sul territorio. Questo impegno si concretizza anche con progetti di riqualificazione dei quartieri, come l’apertura ai cittadini del campus di Architettura, che fanno bene al Poli e fanno bene alla città. Siamo orgogliosi di tutto questo e delle persone che lo rendono possibile, un “esercito” di quasi 200mila persone tra Alumni, studenti, docenti, ricercatori e personale che collabora a vario titolo alla crescita di questa grande istitu-

zione. Siamo orgogliosi di farne parte, per questo dal 2018 abbiamo deciso di concretizzare questo orgoglio sviluppando il progetto del merchandise ufficiale. Per farlo stiamo collaborando con aziende d’eccellenza che credono nel progetto e ne condividono i valori. Abbiamo scelto prodotti di alta qualità che rispecchino l’impegno che mettiamo in tutti gli aspetti della vita politecnica. È un modo per tutti noi, che ci sentiamo il Politecnico nel cuore, di indossare questo orgoglio e sostenere la nostra università, di mostrare al mondo, ovunque andiamo, la nostra appartenenza, la nostra bandiera: facciamo il tifo per il Poli.

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IL POLI NELL’OLIMPO DELLE MIGLIORI UNIVERSITÀ AL MONDO Nel 2018 il Politecnico di Milano porta a casa risultati record su diversi fronti: l’occupazione dei laureati politecnici è in crescita, siamo ai vertici delle classifiche universitarie internazionali, tante realtà nel mondo politecnico si distinguono tra le migliori nel loro campo. Vediamone alcune

FERRUCCIO RESTA Rettore del Politrecnico di Milano

Questi risultati sono figli di una politica che viene da lontano e che guarda lontano.

Per questo lavoriamo a programmi di formazione in grado di interpretare il cambiamento, mantenendo solide basi scientifiche. Per questo investiamo in laboratori di ricerca all’avanguardia e in campus all’altezza degli standard internazionali. Per questo puntiamo su alleanze durature con le principali imprese del territorio e sviluppiamo programmi internazionali con le più prestigiose università in Europa e nel mondo. Un pensiero finale va alla comunità dei nostri Alumni, sempre più attiva per l’Ateneo e attenta a restituire parte del suo successo. Un sentimento di orgoglio e di riconoscenza, su cui contiamo per il nostro futuro.

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CLASSIFICHE INTERNAZIONALI Il QS World University Rankings by Subject misura le migliori università di tutto il mondo per area disciplinare: confronta la loro capacità di fare ricerca, la reputazione dei docenti e la qualità dei laureati secondo le imprese. Per la 1° volta indica un ateneo italiano, il Politecnico di Milano, tra i primi 20 in tutte e tre le aree di appartenenza Fonte: 2008 QS World University Rankings by Subject

NEL DESIGN (10° NEL 2016)

NELL’ARCHITETTURA (15° NEL 2016)

17°

NELL’INGEGNERIA (24° NEL 2016)

INCUBATORE D’IMPRESA

1° in Italia

PoliHub è stato premiato nel 2018 come 3° incubatore universitario di startup al mondo. È l’unico italiano fra i primi 20 classificati, secondo il ranking di Ubi Global

nel Mondo

OCCUPAZIONE I neolaureati possono contare su un tasso di occupazione del 93,2% a un anno dal titolo di laurea magistrale Fonte: 2018 indagine occupazionale del Politecnico di Milano

93,2%

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Il Politecnico è ai vertici delle classifiche mondiali delle università anche grazie alla ricerca scientifica di frontiera che porta avanti nei suoi laboratori. I protagonisti di questo primato italiano sono i tanti scienziati e ricercatori del Politecnico: in queste pagine vi presentiamo i 18 scienziati politecnici, tra i migliori al mondo, che dal 2014 hanno vinto un fondo ERC - il più prestigioso in Europa per la ricerca “di base”

Prorettore vicario e Delegato alla ricerca Politecnico di Milano

Donatella Sciuto,

“La ricerca di base è quella visionaria, che sposta il limite di quello che conosciamo”

QUI COSTRUIAMO IL MONDO DEL FUTURO


vincitori di un fondo ERC (dal 2014 a oggi) lavorano al Politecnico di Milano, ciascuno supportato da un team di ricercatori di rilievo internazionale, giovani scienziati, studenti e dottorandi

SCIENZIATI

18 MILIONI

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OLTRE

di euro sono arrivati al Politecnico dall’Unione Europea dal 2014, attraverso fondi ERC (European Research Council) per la ricerca di base. Solo grandi scienziati possono ottenere questi finanziamenti, in base a criteri di curriculum, visibilità internazionale, originalità e visione del loro progetto di ricerca

Al Politecnico, oggi, 18 scienziati ERC lavorano su alcuni dei temi più attuali dello sviluppo tecnologico e sociale: energie rinnovabili, tecniche per l’interpretazione dei Big Data, tecnologie per la salute, per la conservazione del nostro inestimabile patrimonio culturale, studio di nuovi materiali e tecnologie d’avanguardia dalle applicazioni più svariate

FLESSIBILE E INTERDISCIPLINARE

RICERCA


14 Alumnus Polimi Ing. Elettronica DIPARTIMENTO: ELETTRONICA, INFORMAZIONE E BIOINGEGNERIA LA RICERCA ERC Data-Driven Genomic Computing

LA RICERCA ERC Extending the science perspectives of linear wires of carbon atoms from fundamental research to emerging materials

ALUMNA

Prof. STEFANO CERI

Alumnus Polimi Ing. Elettronica e PhD DIPARTIMENTO: ENERGIA

ALUMNUS

Prof. CARLO SPARTACO CASARI

ALUMNUS

ALUMNUS

LA RICERCA ERC Mid Infrared SpectrometerS by an Innovative Optical iNterferometer

Alumnus Polimi Ing. Elettronica DIPARTIMENTO: FISICA

Prof. GIULIO CERULLO

ALUMNUS

ALUMNUS

LA RICERCA ERC Control for Orbit Manoeuvring through Perturbations for Application to Space Systems

Alumna Polimi Ing. Aerospaziale DIPARTIMENTO: SCIENZE E TECNOLOGIE AEROSPAZIALI

Prof.ssa CAMILLA COLOMBO

ALUMNA

ALUMNUS

LA RICERCA ERC Improving Photosynthetic Solar Energy Conversion In Microalgal Cultures For The Production Of Biofuels And High Value Products

Alumnus Polimi PhD Fisica DIPARTIMENTO: FISICA

Prof. COSIMO D’ANDREA

ALUMNUS

E LE LORO RICERCHE PER COSTRUIRE IL MONDO DEL FUTURO

AL POLITECNICO DI MILANO

I 18 SCIENZIATI ERC


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LA RICERCA ERC HYbrid NANOstructured multi-functional interfaces for stable, efficient and eco-friendly photovoltaic devices

LA RICERCA ERC MIcrobiota-Gut-BraiN EngineeRed platform to eVAluate intestinal microflora impact on brain functionality

Prof.ssa PAOLA SACCOMANDI DIPARTIMENTO: MECCANICA

LA RICERCA ERC Laser Ablation: SElectivity and monitoRing for OPTImal tuMor removAL

Prof.ssa CORINNA ROSSI

DIPARTIMENTO: ARCHITETTURA, INGEGNERIA DELLE COSTRUZIONI E AMBIENTE COSTRUITO

LA RICERCA ERC LIVING IN A FRINGE ENVIRONMENT - Investigating occupation and exploitation of desert frontier areas in the Late Roman Empire

- Exploring the New Science and engineering unveiled by Ultraintense ultrashort Radiation interaction with mattEr - Innovative Neutron source for non destructive TEsting and tReatment

Alumnus Polimi Ing. Nucleare e PhD DIPARTIMENTO: ENERGIA LA RICERCA ERC

Alumnus Polimi Ing. Chimica e PhD DIPARTIMENTO: CHIMICA, MATERIALI E INGEGNERIA CHIMICA

LA RICERCA ERC A Minimalist Peptide Elastomer

Prof. MATTEO PASSONI

Prof. PIERANGELO METRANGOLO

ALUMNUS

Alumna Polimi Ing. Fisica DIPARTIMENTO: FISICA

DIPARTIMENTO: CHIMICA, MATERIALI E INGEGNERIA CHIMICA

ALUMNUS

Prof.ssa GIULIA GRANCINI

Prof.ssa CARMEN GIORDANO

LA RICERCA ERC Structured Reactors with INTensified Energy Transfer for Breakthrough Catalytic Technologies

Alumnus Polimi Ing. Chimica DIPARTIMENTO: ENERGIA

Prof. ENRICO TRONCONI

ALUMNUS

- Very fast Imaging by Broadband coherent RAman - A novel instrument to identify chiral molecules for pharmaceutics and bio-chemistry - Industrial implementation of a step-change technology to measure fluorescence

LA RICERCA ERC

Alumnus Polimi Ing. Elettronica DIPARTIMENTO: FISICA

Prof. DARIO POLLI

ALUMNUS

LA RICERCA ERC REsistive-Switch CompUting bEyond CMOS

Alumnus Polimi Ing. Nucleare DIPARTIMENTO: ELETTRONICA, INFORMAZIONE E BIOINGEGNERIA

Prof. DANIELE IELMINI

- Mechanobiology of nuclear import of transcription factors modeled within a bioengineered stem cell niche - Nichoid: nanoengineered three-dimensional substrate for stem cell expansion - Miniaturised optically accessible bioreactor for drug discovery and biological research

Alumna Polimi Ing. Meccanica DIPARTIMENTO: CHIMICA, MATERIALI E INGEGNERIA CHIMICA LA RICERCA ERC

Prof.ssa MANUELA TERESA RAIMONDI

ALUMNA

LA RICERCA ERC Structure-dependent microkinetic modelling of heterogeneous catalytic processes

Alumnus Polimi Ing. Chimica e PhD DIPARTIMENTO: ENERGIA

Prof. MATTEO MAESTRI

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LA RICERCA ERC An Integrated Heart Model for the simulation of the cardiac function

DIPARTIMENTO: MATEMATICA

Prof. ALFIO QUARTERONI

LA RICERCA ERC Chip-scale INtegrated Photonics for the mid-Infra REd

Alumnus Polimi Ing. Nucleare DIPARTIMENTO: FISICA

Prof. GIOVANNI ISELLA


PHD, OVVERO: DOTTORI DI RICERCA ALLE FRONTIERE DELLA CONOSCENZA di Paolo Biscari

Paolo Biscari, Direttore della Scuola di Dottorato di Ricerca del Politecnico di Milano, ci racconta il valore dei PhD per l’Ateneo e per il Paese

PAOLO BISCARI, 54 anni Direttore della Scuola di Dottorato di Ricerca


Dall’aerospaziale alle nanotecnologie, dall’architettura all’Ingegneria Meccanica, passando per tutto quello che ci sta in mezzo: più di 1100 persone che, una volta terminato il proprio percorso, sapranno tutto quello che c’è da sapere su un tema molto specifico e circoscritto, quello della loro ricerca. È questo che è un PhD, un dottorato di ricerca: uno specialista, che sa affrontare un tema e approfondirlo imparando a conoscere tutto quello che si sa di esso allo stato dell’arte; e poi spingersi oltre, ponendosi domande alle quali, ancora, non esiste risposta. Qualcuno che si spinge alle frontiere della conoscenza e cerca di spostarle un pochino più lontano. A volte si pensa erroneamente che un PhD porti necessariamente a una carriera accademica, ma non tutti i ricercatori, “da grandi”, vogliono fare gli scienziati, i docenti o i ricercatori. Molti entrano in azienda con una figura professionale dotata di forte spinta innovativa capace di trasferire conoscenza teorica al contesto industriale che si coniuga a un intenso allenamento al lavoro di gruppo e alla gestione dei gruppi di lavoro. Focus, visione e capacità di leadership sono cose che emergono naturalmente lungo questo processo. Sempre di più, le aziende stanno cogliendo l’importanza di questa risorsa e investono nei dottorati di ricerca nelle aree di loro interesse. Soprattutto le grandi aziende vanno “a caccia” di dottorati, mentre in Italia le piccole aziende, spesso a conduzione familiare, si concentrano sul lavoro quotidiano. Quello che auspichiamo e che incentiviamo al Politecnico di Milano è l’inserimento più capillare possibile dei nostri dottorati all’interno del tessuto industriale a tutti i livelli. Siamo convinti che questi ricercatori rappresentino una risorsa inestimabile per le aziende italiane, perché sono portatori di idee e di un metodo politecnico affinato da anni di sudore, studio e – direi – sana ostinazione. Negli anni del dottorato non si imparano delle nozioni: si impara a farsi le domande giuste, le domande che portano a scoprire nuove strategie e nuovi orizzonti. I risultati delle ultime indagini occupazionali ci rendono molto orgogliosi, sottolineano che il tessuto industriale italiano sta riconoscendo il valore e l’importanza dei dottori di ricerca ed è

pronto ad accoglierli. Le indagini rilevano anche che i giovani del Politecnico di Milano sono ben occupati e ricoprono spesso posizioni attraverso le quali possono incidere fortemente sulla società. Questo accade ancora più spesso e ancora più velocemente per i dottorati, che entrano nelle aziende in età più avanzata rispetto ai neolaureati. Siamo dunque di fronte a una responsabilità, quella di formare i leader che guideranno il processo industriale e tecnologico già tra 5 o 10 anni, e si rende necessario dar loro una formazione specifica sul tema delle ricadute etiche della tecnologia, sull’importanza del rispetto della diversità e dello sviluppo sostenibile. Questo si fa anche collaborando con discipline diverse da quelle tecniche che sviluppiamo al Poli: nei nostri gruppi di ricerca, infatti, ci sono sociologi, filosofi e psicologi, che ampliano la visione e stimolano i ricercatori su tematiche diverse. Sono insegnamenti che contribuiscono a creare una persona con un valore aggiunto, per farla diventare realmente responsabile. Quando questo indirizzo si coniuga alla conoscenza approfondita della materia, alla capacita di sintesi e visione, a quella di leadership, all’ambizione di spingere l’asticella sempre un po’ più in alto, ecco, è lì che nascono nuove idee.

"Al Politecnico oggi ci sono più di 1100 dottorandi che lavorano in oltre 20 corsi di dottorato, nei campi più svariati. In ogni gruppo di ricerca al Poli c’è almeno un dottorando, il nostro obiettivo è che ce ne siano 1500 entro i prossimi 5 anni"

Quello che dico sempre ai nostri dottori di ricerca è “non preoccupatevi se non conoscete ancora le risposte alle domande. Più che le risposte, ci interessa che sappiate creare un percorso per immaginare soluzioni nuove”. Non è scritto in nessun libro, non viene insegnato in nessun corso, è un metodo che emerge dalla natura stessa della ricerca e può avere un impatto importante per la società intera in termini di innovazione e crescita industriale, specialmente in un paese come l’Italia, culla di eccellenze e nicchie tecnologiche di grande valore.

Nelle foto, scene dalla cerimonia di consegna dei diplomi di Dottorato 2018 e la foto di gruppo finale in Piazza Leonardo Da Vinci

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POLIHUB

IL 3° INCUBATORE DI STARTUP AL MONDO, ARRIVA DAL MONDO POLI 3° INCUBATORE UNIVERSITARIO DI STARTUP AL MONDO

UNICO ITALIANO FRA I PRIMI 20 CLASSIFICATI, SECONDO IL RANKING DI UBI GLOBAL

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1270 IDEE

113 STARTUP

550+ IMPIEGATI

30 MLN DI EURO

RACCOLTE NELL’ULTIMO ANNO

INCUBATE

NELLE STARTUP

DI FATTURATO AGGREGATO NEL 2017 A FAVORE DELLE STARTUP INCUBATE


STEFANO MAINETTI, 58 anni CEO PoliHub Alumnus Polimi Ingegneria Elettronica

Un gruppo di ragazzi con in mano la tesi di laurea e in testa un’idea si presenta al PoliHub, l’incubatore di startup del Politecnico di Milano che individua idee ad alto valore aggiunto nel campo high tech, per supportarle nel definire modelli di business di successo. L’idea di questo gruppo di ragazzi consiste in una fresa intelligente, un robot per il taglio che si muove in autonomia. Piccolo, portatile, capace di operare anche su grandi superfici di legno, e non solo, per dar vita a barche, tavole da surf, sedie e molto altro. “Il primo passaggio che facciamo è capire se qualcuno, nel mondo, ha interesse per quel prodotto - spiega Stefano Mainetti, chief executive officer del PoliHub - Nel caso di questa fresa, che cambia completamente il paradigma del taglio, prima di andare avanti con lo sviluppo del prototipo abbiamo cercato appunto di capire se vi fosse mercato per qualcosa che fino ad al-

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lora era inesistente. Abbiamo aiutato i ragazzi a portare l’idea in Silicon Valley e nelle fiere di settore a Vienna e ad Hong Kong. Li abbiamo poi supportati nella raccolta di 250K da investitori privati, al fine di completare l’analisi di fattibilità tecnica. Superata questa fase, gli abbiamo suggerito di avviare una campagna di crowfunding su Kickstarter, mostrando una demo di prodotto con la quale hanno raggiunto in 45 giorni un milione di dollari”. La startup si chiama Springa, il robot Goliath. “Il mercato, ne decreterà il successo”, conclude Mainetti. La mission del PoliHub, si legge sul sito, è di “supportare le startup altamente innovative con modelli di business scalabili e di spingere i processi di cross-fertilizzazione tra l’Accademia, le diverse startup e le aziende consolidate attente all’innovazione”. Stefano Mainetti ha anche una spiegazione più poetica, “Cerchiamo ciò che noi definiamo i campioni. Idee di successo e al contempo di rapida crescita nel mercato. Quelle iniziative che oggi sono definite Scale-up. La storia ci insegna che una startup virtuosa può nascere anche

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in un garage. Ma se nasce in un incubatore trova una maggior concentrazione di condizioni favorevoli per sopravvivere e svilupparsi. Noi creiamo queste condizioni”. Il tasso di sopravvivenza delle startup incubate, a cinque anni dalla data di fondazione, è dell’85%. Acceleratori di invenzioni, che per il 65% arrivano dal Politecnico e per il 35% dall’esterno. “Essendo un centro di eccellenza riconosciuto a livello internazionale, abbiamo inventori che giungono dall’esterno perché qui trovano laboratori e competenza - racconta Stefano Mainetti - Può essere il caso ad esempio di un manager che ha pensato a un prodotto, ha già steso un potenziale modello di business, ma non sa come realizzarlo e ha bisogno di un team di supporto. Oppure aziende che hanno recepito il valore della tecnologia e si avvicinano al PoliHub per innovare prodotti e servizi, è il caso ad esempio di Franke Kitchen, leader mondiale nella produzione e progettazione di lavelli da cucina. L’azienda ha trasferito in PoliHub una piccola sede che si occupa di collaborare con startup e con il Politecnico per innovare i propri prodotti. In questo senso trovano spazio diversi servi-

In questa pagina immagini della fresa Goliath e del team della startup Springo. Accanto, l’Alumnus Dario Polli riceve l’assegno per il progetto Chimera, di cui è “Proof of Concept”


“Cerchiamo i campioni. Idee di successo e di rapida crescita nel mercato. Fra i tanti cigni bianchi, noi individuiamo i cigni neri da far volare”

zi, come appunto l’open innovation, in cui le aziende vengono supportate al fine di trovare le idee migliori e le migliori collaborazioni con le startup, fino al mentoring, “Si tratta di Alumni diventati manager, imprenditori o investitori di successo, che decidono di iniziare a collaborare con il PoliHub per mettere la propria esperienza a disposizione di una startup e accelerare la crescita”. Si crea qui la società che ancora non c’è: i posti di lavoro del futuro. Prodotti e startup che portano nomi suggestivi come Chimera, una tecnologia innovativa che attraverso la rifrazione della luce misura la struttura molecolare nei set-

tori farmacologici e di analisi biochimica. Greenrail rivoluziona il mondo delle traversine ferroviarie utilizzando materiali di riciclo come pneumatici e plastica, Mathesia è la prima piattaforma di crowdsourcing dedicata alla matematica applicata. Empatica (di cui parliamo in questo numero ndr.) è uno dei casi di successo sviluppatosi proprio al PoliHub. Dietro ogni prodotto, ogni startup ci sono storie visionarie. “Ogni startup è uno stato nascente di persone - conclude Stefano Mainetti”. E in PoliHub, come rabdomanti di idee, si cercano le persone che fanno la differenza.

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UN NUOVO SPAZIO PER MILANO Al Politecnico, in via Bonardi, c’è un distretto di eccellenza internazionale dove si fa ricerca e innovazione per il futuro delle città. Dal 2020 ci sarà anche un nuovo spazio dedicato a tutti i cittadini e visitatori: un pezzo di Milano cambia pelle grazie al Poli e al progetto firmato Renzo Piano 22


In queste foto il progetto del Campus di via Bonardi, che sarà luogo di innovazione per la città e i suoi abitanti

Giugno 2018: sono partiti i lavori per la riqualificazione degli spazi del Politecnico di Milano tra via Bonardi e via Ampère, dove ha sede lo storico campus di Architettura, con la demolizione della passerella tra il Trifoglio e la Nave. Nei prossimi due anni, il campus cambierà pelle e i due edifici verranno demoliti per fare spazio a giardini e nuovi laboratori d’avanguardia. L’ambizione del nuovo Campus Bonardi, già oggi un centro di studio e ricerca d’eccellenza a livello internazionale e un motore di innovazione per il Paese, sarà anche quella di essere un simbolo della capacità del “fare Politecnico” e un luogo di aggregazione per tutta la città, in accordo con il forte legame tra il Politecnico e il territorio milanese che negli anni scorsi ha già visto l’Ateneo coinvolto in primo piano nella riqualificazione di piazza Leonardo e che proseguirà anche in futuro con interventi su diverse aree di Città Studi. Un luogo per Milano e per l’Italia Il progetto del nuovo campus, donato

al Politecnico dall’Alumnus Renzo Piano, ha l’obiettivo di aprire l’università al passaggio dei cittadini e dei visitatori: in un contesto come quello milanese, denso di fermento e vitalità, il Politecnico ha voluto aprire questi spazi per donarli alla città di Milano invitando i cittadini, gli studenti e tutti coloro che transitano per via Bonardi a viverli e condividerli in modo nuovo. Coerentemente con l’impegno del Politecnico sulla qualità della vita, il nuovo Campus Bonardi sarà immerso nel verde grazie all’arrivo di nuovi alberi, un piccolo bosco visibile e visitabile dai passanti. Le coperture degli edifici più bassi diverranno terrazze per attività all’aperto e momenti di incontro, sia didattiche che ricreative, e i parcheggi diventeranno giardini frequentabili da tutta la cittadinanza. Nuovi laboratori e tecnologie allo stato dell’arte Il nuovo volto di Città Studi andrà di pari passo con la nascita di nuovi luoghi di studio e ricerca all’altezza della tra-

dizione che si portano dietro e in grado di spingere l’acceleratore sullo sviluppo di nuove idee che continuano a trainare lo sviluppo culturale, tecnologico e industriale italiani. Un progetto condiviso Il cantiere prevede una spesa di 37 milioni di euro ed è stato avviato grazie alla collaborazione di molti, sia donatori individuali che istituzioni partner che condividono gli obiettivi del progetto. Dall’inizio del 2018 oltre 100 donatori, tra i quali moltissimi Alumni, hanno raccolto oltre 6 milioni di euro e costituiscono ad oggi una community di appoggio che si fa ambasciatrice di questa collaborazione tra il Poli e la città di Milano e che, auspichiamo, crescerà sempre di più nei prossimi anni. Anche questo è un modo importante di sostenere il Politecnico e la città di Milano, prendendo parte a un progetto di cambiamento che prepara il futuro della ricerca e della città. Per saperne di più: www.sostieni.polimi.it

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UN TELESCOPIO PER GUARDARE INDIETRO NEL TEMPO

di Valerio Millefoglie Foto di Chris Gunn / NASA

L’Alumnus Giuseppe Cataldo conquista l’Early Career Public Achievement Medal e un Group Achievement Award dalla NASA per i suoi contributi al telescopio James Webb, il più potente al mondo 24


GIUSEPPE CATALDO - 32 anni Systems Engineer NASA Alumnus Polimi Ingegneria Aeronautica Costato quasi 9 miliardi di dollari, il telescopio JWST raggiungerà la distanza di oltre un milione e mezzo di chilometri, per scoprire com’era l’Universo quando aveva 400 milioni di anni. Questi i numeri. Il nome che invece c’è dietro è quello dell’Alumnus Giuseppe Cataldo. La sera del 27 marzo 2009 Cataldo era nella sua stanza, nella residenza per studenti in Francia, dove si trovava per un programma di doppia laurea. Nella posta elettronica giunse una lettera dallo spazio. Iniziava così: “Congratulations! You have been selected for the 2009 NASA Academy at the Goddard Space Flight Center (GSFC) through a fully-funded sponsorship by the European Space Agency (ESA). Your application was selected from six highly competitive ESA semi-finalists. The Academy Selection Committee found your application to be highly-favored in meeting all five selection criteria for the NASA Academy”. E pensare che tutto era partito da un libricino sulle missioni lunari che suo padre gli leggeva da piccolo. Ci siamo fatti raccontare il suo percorso stellare. Nel suo ufficio alla NASA ha appeso al muro una locandina dell’eclissi solare dell’estate del 2017 in America, una foto con sua moglie, un calenda-

rio del telescopio James Webb il cui lancio è previsto nella primavera del 2020. Grazie al metodo matematico da lei ideato i modelli del telescopio possono essere validati in due settimane, mentre prima occorrevano circa tre mesi. Come si svolge il suo lavoro? Mi divido fra l’ufficio, dove sviluppo le analisi matematiche, e i laboratori, dove lavoro all’hardware, fino all’hangar dove si trova il telescopio. I miei colleghi hanno sviluppato dei modelli per ogni sistema del telescopio. Dal sistema ottico a quello strutturale, fino al sistema più critico del telescopio, il sistema termico. Ognuno di questi sistemi ha bisogno di essere validato attraverso dei metodi matematici che siano in grado di riprodurre i dati misurati, per predire perfettamente ciò che avverrà in orbita. Mi occupo poi dello sviluppo di strumenti ad altissima sensibilità per i telescopi spaziali e dello studio delle proprietà ottiche dei materiali usati per tali strumenti. Che immagini ci riporterà il telescopio sulla terra? Potrà captare la luce delle stelle più antiche dell’universo. Ci permetterà di scoprire anche il modo in cui queste stelle si sono evolute in galassie.

Ci racconterà la storia dell’infanzia del nostro universo, che ancora non conosciamo bene proprio perché non abbiamo dati. Un’altra cosa che scoprirà sarà sicuramente la composizione chimica di stelle e pianeti, soprattutto dei pianeti al di fuori del sistema solare, e con un dettaglio finora mai raggiunto. E poi, credo, la cosa più interessante sarà scoprire quello che ancora non ci aspettiamo. Per arrivare sulla luna bisogna avere i piedi ben piantati per terra, concentrati sulla strada da percorrere. Quali sono i passi che l’hanno portata dove si trova oggi? Da bambino sognavo di lavorare alla NASA. Immaginavo che da grande sarei diventato un importante professore e che mi avrebbero chiamato a lavorare proprio qui, sui programmi di esplorazione spaziale della luna. Ricordo che a sei, sette anni, mio padre mi leggeva un piccolo opuscolo che raccontava tutte le missioni Apollo e le storie degli astronauti. All’epoca facevo anche il boy scout e passavo molte notti nei boschi a guardare il cielo e le stelle. I nomi delle costellazioni li conoscevo già tutti. Facendo un salto temporale direi che il momento cruciale è stato nel 2004, quando al primo anno di

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Fisica all’università Statale di Milano ho capito che la mia strada era un’altra, era l’ingegneria. Vivevo in una residenza universitaria dove una volta al mese si tenevano degli incontri di vario tipo, da conferenze a seminari, tenuti da professori o anche da studenti più grandi. Mi colpì molto l’intervento di un amico che frequentava il quarto anno di Ingegneria Aerospaziale al Politecnico, sullo scoppio dello Space Shuttle Columbia. Soprattutto mi appassionarono i dettagli tecnici. Andai così a parlare con i capi del dipartimento di Ingegneria Aerospaziale del Politecnico perché volevo dare un percorso più pratico alla mia laurea. Valutai con loro i pro e i contro di un passaggio di corso e di università e presi la decisione di trasferirmi, sapendo di andare incontro a una sfida alquanto forte. Non volevo perdere l’anno di Fisica, mi ritrovai così a dare undici esami quell’anno. Certo, nessuno mi obbligava. Mi obbligavo io. Ricordo ancora oggi la gentilezza di alcuni compagni di corso, che mi passavano gli appunti quando avevo sovrapposizioni con altre lezioni, e l’estrema disponibilità dei professori. Fu un anno veramente duro, anche perché contemporaneamente studiavo violino al conservatorio e dovetti passare l’esame dell’ottavo anno. Se dovessimo volgere un telescopio indietro nel tempo, verso quegli anni, cosa vedrebbe? La luce di quel primo semestre a Ingegneria. E vedrei anche la scia di quello che mi ha lasciato. Ho sempre considerato il Politecnico una palestra di vita. Mi ha insegnato, davvero come un te-

“Questo telescopio ci racconterà l’infanzia del nostro universo. E ci farà scoprire ciò che ancora non ci aspettiamo” 26


lescopio, a raggiungere i dettagli delle cose. Il mio motto al Poli era, ed è tutt’oggi: Tutto e bene. Si studia tutto nei dettagli, sino all’ultimo, senza tralasciare nulla. I professori ripetevano: «Se fai un errore di calcolo e invece di mettere un più metti un meno, l’aereo che stai progettando può cadere causando la morte di duecento persone». Questo mi ha segnato. Mi ha spinto a essere forte e ad andare avanti. Nonostante tutto riuscii a laurearmi a luglio 2007, l’obiettivo era raggiunto. Mi dissi, andiamo avanti con la specialistica in Ingegneria Aeronautica. Andiamo dunque avanti, come arriva in Francia per la specialistica? Al Politecnico mi avevano esposto il programma di doppia laurea come un percorso molto intenso, in cui ci saremmo ritrovati a studiare in modo diverso ma che ci avrebbe offerto l’opportunità di interagire con varie aziende del settore. In più, ero interessato a imparare una nuova lingua e a scoprire un’altra cultura.

E una volta lì, scoprì anche il programma della NASA Academy. Sì, era aperto a due studenti europei ed era sponsorizzato dall’ESA. Mi dissi: «Lo faccio, non ho nulla da perdere, tanto non mi chiameranno mai». Lavorai all’application durante tutte le vacanze di Natale a casa dai miei, a Lizzano, in provincia di Taranto. Lo inviai a gennaio e dopo qualche settimana mi sottoposero a due colloqui via telefono. Poi cominciò la lunga attesa. Mi recavo continuamente all’ufficio del career service francese, fino a che la responsabile non si informò. Le dissero: «Ci spiace, niente francesi. Abbiamo selezionato uno studente spagnolo e uno italiano». Lei rispose: «Giuseppe studia da noi!». Poco dopo arrivò la lettera ufficiale. Ecco, se c’è un consiglio che darei ai giovani è quello di non aspettare che le opportunità scendano dal cielo. A volte può capitare, altre volte no. Se non avessi fatto domanda per questo programma non credo sarei qui oggi. E se anche avessi fallito, avrei cercato altre opportunità. Bisogna lavorare per dare la forma che vogliamo alla nostra vita.

“Ho sempre considerato il Politecnico una palestra di vita. Mi ha insegnato, come un telescopio, a raggiungere i dettagli delle cose” 27


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L’INGEGNERE DEI SATELLITI di Valerio Millefoglie

Nell’annuale classifica stilata da Forbes, fra i 30 under 30 nel campo dell’innovazione tecnologica industrale in Europa, c’è l’Alumnus Lorenzo Ferrario; direttore tecnico di D-Orbit, startup specializzata in servizi per satelliti. Siamo andati a scoprire il suo universo

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“Siamo una delle poche aziende del settore new space in grado di lavorare a partire dall’idea sul foglio bianco alle operazioni in orbita”

“Welcome to the List”, titola una mail arrivata una mattina di fine gennaio 2018 a Lorenzo Ferrario. Il mittente è Forbes, la lista è quella dei 30 migliori innovatori under 30. L’innovazione è ION, in Orbit Now, della startup D-Orbit, di cui Ferrario attualmente è il direttore tecnico. ION è la prima “portaerei” spaziale che trasporta e rilascia satelliti in orbita. La mail di Forbes continuava così: “Dopo esserci incontrati ieri alla premiazione a Londra, rinnoviamo le nostre congratulazioni per essere stato inserito fra i 30 migliori innovatori under 30”. Oggi sorridendo Lorenzo Ferrario ricorda, “L’invito alla premiazione era finito nella cartella spam”. Ci accoglie nella sede della startup, a Fino Mornasco, in provincia di Como. La piazza principale del paese si mimetizza poco dopo l’uscita dalla tangenziale. Scorrimento di camion e saracinesche abbassate subito dopo l’ora di pranzo. Eppure qui si è molto più vicini alla luna di ciò che si pensi. Il giro dello spazio comincia dal tappetino all’ingresso di D-Orbit, si atterra con i piedi sul logo e sulla frase: New Space Solutions. “Benvenuto, questo è la nostra casa: la chiamiamo D-Home”, dice Lorenzo Ferrario mostrandoci, perdonate il gioco di parole, un grande openspace alle cui pareti ci sono i poster di alcune storiche missioni della NASA. “Siamo passati dall’avere circa 20 dipendenti a 40 - spiega - e per la fine dell’anno contiamo di arrivare a 60”. Poco più avanti, due modellini di razzi con il simbolo dell’ESA sono esposti nella sala dove vengono assemblati i satelliti. Da qui, giungiamo alla vera e propria plancia di comando. “Questa è la nostra piccola Houston”, la presen-

LORENZO FERRARIO - 29 anni Chief Tecnical Officer D-Orbit Alumnus Polimi Ingegneria Spaziale

ta così Ferrario, “Ci sono gli schermi di controllo per tutte le nostre missioni”. E mentre i computer cominciano ad accendersi, Lorenzo Ferrario racconta la missione D-Sat, avvenuta il 23 giugno 2017 e che ha portato per la prima volta D-Orbit nello spazio. “Ci siamo ritrovati qui alle cinque del mattino, mentre in India, dove avveniva il lancio, era pomeriggio. Ricordo tanta emozione nel vedere il lavoro di tre anni prendere letteralmente il volo, a bordo di un razzo”. Poi, approfondisce il senso di quella giornata. “D-Sat era un dimostratore tecnologico che serviva per due obiettivi: testare il nostro propulsore per la rimozione in sicurezza dei satelliti e per mostrare la capacità di D-Orbit di realizzare una missione spaziale. In questo settore industriale nessuno compra qualcosa sino a che quella determinata cosa non ha volato nello spazio. Siamo una delle poche aziende nel settore, in tutto il mondo, che riescono a lavorare su un satellite end-to-end, ovvero dall’idea sul foglio bianco, passando per la prototipazione, la produzione, la messa in orbita e anche il successivo monitoraggio”. La galassia è fatta di satelliti senza più vita, detriti che galleggiano rischiando l’impatto con meteoriti e altri elementi. Il ruolo di D-Sat è di riportarli sulla terra o di veicolarli lontano, in quelle zone denominate orbita-cimitero, dove il pericolo di collisione è più basso. Gli spazzini della galassia, si potrebbero chiamare in modo evocativo.

Nella sequenza di immagini qui sopra una serie di fotografie scattate in orbita dalla missione D-Sat

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“Nell’atrio del dipartimento aerospaziale del Politecnico c’era un volantino con sopra scritto: «Vuoi partecipare a una vera missione spaziale?». Tutto è partito da lì”

Qui in alto D-Sat, il primo satellite di D-Orbit nella pagina accanto, la sede della startup

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Le parole più emozionanti di quel 23 giugno furono il codice morse di D-Sat, “Diceva semplicemente Sono D-Sat e informava sullo stato delle batterie. L’equipaggio qui era di otto persone e io ero l’addetto al Flight Control, cioè colui che invia e riceve i comandi”. Due ore dopo il satellite è passato sopra la loro orbita, “Il passaggio durava massimo dieci minuti e in quel tempo dovevi portare a termine tutte le operazioni perché poi non lo vedevi per un’intera orbita di dodici ore. Avevamo inserito delle telecamere di bordo con le quali scattavamo delle foto in giro per il mondo, avevamo catturato anche l’immagine dell’uragano Irma sulla Florida. In quei momenti ti ritrovi a guardare queste foto che giungono dallo spazio e pensi a noi qui sulla terra. Provi un sentimento di fratellanza nel confronto degli altri, visti da lassù non ci sono confini ma solo cose mer-

avigliose. Scoprire che dietro tutto ciò che osserviamo in natura ci siano regolarità, modelli che si possono costruire e replicare in modo logico e deduttivo, che si adattino così perfettamente alla realtà che di deduttivo non ha nulla, dà continuo conferme alla mia fede. La matematica è una così buona e bella descrizione dell’universo che ci circonda, e ci dice che dietro c’è un tipo di ordine e di armonia quasi musicale”. Un’immagine ancora presente nel ricordo e nella biografia di questo innovatore è ambientata nell’atrio del dipartimento aerospaziale del Politecnico di Milano. “Vuoi partecipare a una vera missione spaziale?”, c’era scritto su un semplice foglio affisso in bacheca. L’annuncio pubblicizzava il progetto ESMO, l’European Student Moon Orbiter, un programma che riuniva un pool di università europee per la prima mis-


sione lunare di sonda che gira intorno alla luna, realizzata da studenti. “Il Poli partecipava con due gruppi. Io, che allora frequentavo la triennale in Ingegneria Aerospaziale, ero in quello che si occupava di propulsione”. La traiettoria non si ferma. “Finita l’esperienza mi è venuto spontaneo fare richiesta di una internship tramite l’ESMO. Grazie all’allora mentore della mia squadra del Poli, Luca Rossettini, sono andato a Gilford, in Inghilterra”. Appena rientrato in Italia per la magistrale, gli arriva una mail proprio da Rossettini, “Ho fondato un’azienda e mi piacerebbe che venissi a darmi una mano”. “Ci siamo trovati in un bar della Brianza, perché D-Orbit all’epoca non aveva nemmeno una sede. Siccome studiavo ancora ci siamo accordati per un part-time. Mi occupavo della validazione numerica dei satelliti per la rimozione dei detriti. Nei primi mesi lavoravo un paio di ore al giorno al computer, esattamente al mattino e alla sera quando ero in treno per andare e tornare dal Poli”. Poi, prende un aereo per lavorare alla tesi di laurea a Princeton. “Mi avevano offerto anche un dottorato ma ho deciso di venire a lavorare a questa startup perché al tempo, e in tutto il mondo, non esistevano molte realtà imprenditoriali focalizzate su quello che chiamiamo il new space. Ho iniziato a lavorare sui sistemi di controllo di D-Sat, poi nel 2014 è diventato un lavoro a tempo pieno. E devo dire che dopo la nomina di Forbes mi sono sentito orgoglioso, soddisfatto, ma ho anche avvertito una responsabilità sulle spalle”. Di responsabilità è puntellato anche tutto il suo percorso al Politecnico. “È un’università che crea un senso di identità. Credo sia molto simile a quel senso di vicinanza che si prova quando si è riusciti a scalare una montagna molto alta e ci si ritrovi con qualcun altro che l’ha scalata prima di te. Ci s’incontra sulla vetta e ci si dà una pacca sulla spalla. È complessa, difficile, pretende tanto e deve continuare a pretendere tanto. Penso anche che crei una precisa forma mentis: sai che esistono problemi difficili, che questi problemi difficili non te li allevia nessuno ma che se ci sbatti la testa riesci a trovare con creatività una soluzione. Spesso questa soluzione si trova in gruppo, chiedendo aiuto e appoggio agli altri. Al Poli l’ingegnere è colui che deve usare il proprio ingegno, e non all’americana, in cui il termine ingeg-

no deriva dal motore. L’ingegno italiano credo sia il principale insegnamento del Poli”. Pensando a un consiglio da dare ai giovani, riflette: “Sono arrivato a fare quest’intervista perché sono finito su Forbes e, andando ancora più indietro, all’origine del mio universo, sono finito su Forbes perché quel giorno al Politecnico ho visto un volantino e invece di passare dritto mi sono fermato e ho detto Sì, voglio andare sullo spazio. Il mio consiglio quindi è di guardarsi intorno, attivamente”. Dopo aver parlato del passato, parliamo dei prossimi orizzonti. “A D-Orbit ci siamo resi conto di essere in grado di realizzare dei sistemi spaziali che possono viaggiare indipendentemente dal proprio host. Così ora ci stiamo evolvendo in un settore più ampio che è quello del trasporto spaziale, legato non solo al deorbitaggio ma anche alla movimentazione delle cose in orbita. Da qui è nata l’idea di ION, in Orbit Now, una portaerei per satelliti. Possono essere utili per le comunicazioni, per il meteo, per l’osservazione della terra”. Tornando verso l’ingresso, al tappetino che accoglie in questa succursale dello spazio, dice: “Ho un po’ la pretesa di pensare che tutti noi qui stiamo lavorando per il prossimo grande passo dell’umanità: quello di diventare una specie che vive su più pianeti. Come nel Settecento scoprirono nuove terre, noi troveremo davvero la terza dimensione dell’umanità. Il mio sogno è di riuscire ad andare nello spazio. A casa ho un disegno di quando avevo tre anni, sopra c’erano un razzo e le parole “My dream house”. Sono rimasto a quell’età lì, quando tutti dicevano di voler fare gli astronauti. Gli altri sono cresciuti e hanno iniziato a fare gli avvocati, i medici, gli impiegati. Io sono rimasto al sogno dell’astronauta”.

“Il Poli crea un senso d’identità fra chi l’ha frequentata: come chi ha scalato con difficoltà la stessa vetta e ci si riconosce in cima” 31


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IL DESIGNER DI COLLAGE Nel 2017 Forbes l’ha inserito fra i 30 under 30 più influenti d’Europa in campo artistico. Con carta, forbici e colla crea mondi di cartotecnica e creatività per i marchi più importanti del mondo, per l’editoria e la musica. Un’intervista collage

“Più che un illustratore mi sento vicino alla figura di Visual Artist. È come se io con un determinato stile andassi a esplorare diverse situazioni in cui serve un’immagine applicata a scenografie, a set video, ad animazioni”. Si descrive così Gio Pastori nel suo studio milanese, che condivide con altri due artisti: un’ampio salone dove la carta è ovunque, ritagliata e conservata in contenitori trasparenti, avvolta in cilindri colorati agli angoli della stanza o ritagliata alle pareti dove prende forme geometriche e diventa visione e idea. Un bancone da falegname rende bene il tipo di lavoro che si fa in questa fabbrica di immagini, qui la materia viene maneggiata, tagliata, fatta in piccoli pezzi e ricostruita, rimodellata. “Ricordo un professore del Politecnico che ci insegnava a creare dei modellini, dei prodotti di design a partire dal foglio bianco. Da lui ho imparato tan-

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“Al Politecnico ci insegnavano a creare prodotti di design a partire dalla carta. Forse è uno dei motivi per i quali oggi sono così maniacale sui collage”

tissime nozioni sull’utilizzo della carta. Anche, banalmente, sul come incollare due pezzi di carta in modo che combacino in maniera perfetta e bellissima. Cosa tutt’altro che banale. Magari è stato uno dei motivi per i quali oggi sono così maniacale sul procedimento di lavoro e sull’esito di un collage”. Che sia un abito pensato in collaborazione con lo stilista Marco de Vincenzo, un’installazione per l’ultima boutique di Tiffany, un paio di Nike che volteggiano in un video o una scenografia per un video musicale; tutto parte da un bisturi che crea linee sulla carta. Parlando di una serie di video animati realizzati per il magazine Elle Decoro Italia, e proiettati nello storico Palazzo Bovara durante la Milano Design Week 2018, Gio Pastori racconta: “Qui ho avuto delle reminiscenze del Politecnico perché sono partito dal dover reinterpretare oggetti iconici del design italiano: dal calendario Timor di Enzo Mari del 1966 per Da-


GIO PASTORI - 29 anni Visual Artist Alumnus Polimi Design

nese alla radio Brionvega di Marco Zanuso. Sono andato a creare delle storie che si azionavano tramite touchscreen”. Sullo schermo si animava così il calendario con i giorni, i mesi ma privo dell’anno, “Si tratta di un calendario eterno - spiega - quello che volevo far trasparire era una sorta di scrigno dei ricordi, facendo ruotare le date e attraverso queste volare nel tempo e nello spazio”. Attorno al calendario prendono forma una spiaggia vintage, un bambino a bordo di uno slittino, poi le palle di neve diventano pianeti, stelle e compaiono delle piccole astronavi. Affiorano altre reminiscenze del Politecnico e di Milano. “Ricordo un ciclo di lezioni su Gio Ponti, il professore era innamorato delle sue architetture e di rimando te ne faceva innamorare. Inoltre ho

con Ponti un legame che affonda le radici nella mia infanzia. Sono stato battezzato nella chiesa di San Luca Evangelista a Milano, realizzata proprio da lui. Da piccolo avevo questa visione di una piscina gigante, con delle luci pazzesche che filtravano dai vetri e illuminavano le panchine nello stile della Superleggera”. Tra le carte si mimetizza una copia del libro “Leonardo da Vinci, 1452-1519: il disegno del mondo”. Uno degli autori è Pierfrancesco Marani, insegnante di Pastori al Politecnico. Sfogliandolo compaiono tra le pagine un trifoglio e alcuni passaggi sottolineati a matita. “Mi colpì la quantità di innovazione che Leonardo da Vinci, considerato un classico, metteva nelle sue opere. Ecco, quel corso me lo svelò da un nuovo punto di vista”.

“Un corso su Leonardo da Vinci mi mostrò tutta l’innovazione che c’era in un classico dell’arte”

Finita la triennale Gio Pastori decide di provare un’esperienza lavorativa all’interno di un’agenzia creativa. “Anche questo mi ha insegnato qualcosa. Ho capito che non avrei mai voluto un boss creativo dal quale arrivare tutti i giorni, in ufficio, per chiedergli cosa dovessi fare. In quel momento ho intuito che aspiravo a fare qualcosa da solo. E una volta deciso che non volevo un capo, ho fatto lavori di ogni tipo, dal commesso al barista. Intanto disegnavo. Quando ho messo da parte abbastanza soldi per mantenermi per un certo periodo, mi sono avventurato e ho detto «Faccio solo disegni». Mi sono impegnato a costruirmi una credibilità,

“Suonerà banale ma direi a tutti di perseguire i propri sogni”

per far arrivare agli altri la mia visione. Suonerà banale, ma direi a tutti di perseguire i propri sogni”. Sulle t-shirt realizzate per il progetto Armani Exchange, serie Gio Pastori, si leggono le parole “Love” e “Luck”: le intende come piccoli manifesti di buoni propositi. “Non so se farò collage per tutta la vita o se diventerò un art director in poltrona o un imbianchino. Per ora c’è questo aspetto di provvidenza per cui quando ho voglia di fare qualcosa, capita un lavoro in cui posso sperimentare esattamente quella cosa”. Mentre dice questo, alle spalle, sulla sua solita tavolozza-foglio di carta, c’è il mondo che ha immaginato e creato per il video di Myss Keta (progetto musicale e performativo nato sul web e diventato poi fenomeno virale e pop ndr.). Prende il modellino e se lo rigira fra le mani. Per il video è stato realizzato a grandezza naturale un mondo di bar, banche, piazze, una gigantografia cartacea, di carta non leggera, che non si strappa facilmente, di carta che rimane nel tempo.

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In questa pagina: (in grande) l’installazione realizzata per la boutique milanese di Tiffany. A seguire: l’abito pensato in collaborazione con lo stilista Marco de Vincenzo, un frame dell’animazione video realizzata per Nike Hypervenom 3, l’installazione autoritratto per Contexto, mostra diffusa nel centro storico di Edolo (Brescia), un frame del video ideato per Elle Decor Italia durante la Milano Design Week 2018, la cover del disco di Myss Keta “Carpaccio ghiacciato”

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BIG (DESIGNER) DATA Giorgia Lupi, un PhD in Information Design e un’opera entrata nella collezione permanente del MoMa di New York. L’interpretazione dei dati ai giorni nostri di Davide Coppo


“I dati sono una maniera per capire e descrivere la nostra natura umana” GIORGIA LUPI - 37 anni Partner and Design Director Accurat Alumnus Polimi Design Come si disegna una vita? In maniera ordinata e colorata, direbbe Giorgia Lupi. Information designer e artista di base a New York, Giorgia ha nel suo curriculum accademico un PhD in Information design al Politecnico. Il video del suo intervento al TED Talk del marzo 2017 ha ricevuto più di un milione di visualizzazioni online. Nel talk, Giorgia ha presentato la sua personale visione dei big data, o meglio il suo approccio alla ricerca e rappresentazione di questi: ciò che ha chiamato «Data Humanism». Nel talk ha parlato di Dear Data, il progetto che ha sviluppato con l’amica e designer Stefanie Posavec, diventato poi un libro nel 2016 edito da Penguin Books ed infine esposto al MoMA di New York. Dear Data è una raccolta di vere e proprie cartoline su cui Lupi e Posavec, di settimana in settimana, hanno annotato, mappato e visualizzato centinaia di aspetti della propria vita: i momenti di malumore, i «grazie» detti a persone vicine e sconosciute, la musica ascoltata, le porte attraverso le quali entravano e uscivano in precisi giorni, ogni aspetto del quotidiano. Tutto tradotto in infografiche disegnate a mano su cartoline che per un anno imbucavano in due caselle postali e si inviavano; Giorgia da Brooklyn e Stefanie da Londra. In pratica: l’information design al servizio dell’indagine umana. Data Humanism, appunto. “Quel progetto mi ha aiutato a riportare il focus sul fatto che i dati sono una maniera che abbiamo di capire e poi descrivere la nostra natura umana”, racconta in collegamento dal suo ufficio a New

York. E a proposito di dati e umanità, aggiunge: “Prima di iniziare Dear Data Stefanie e io ci eravamo viste solo un paio di volte. Ora siamo diventate incredibilmente amiche, è una delle persone più vicine a me nella mia vita. Per un anno abbiamo condiviso i dettagli più intimi della nostra vita. Sono figlia unica e non so cosa voglia dire avere una sorella, ma dev’essere qualcosa di simile”. L’originalità dell’approccio di Giorgia Lupi al design dell’informazione e all’infografica non è rimasta circoscrit-

ta a Dear Data, ma si manifesta ogni giorno in Accurat, la società di Information design che ha fondato con altri due soci, Simone Quadri e Gabriele Rossi, nel periodo in cui frequentava il Politecnico di Milano, il 2011. “L’approccio che ho usato per Dear Data guida la nostra filosofia anche in Accurat. Poi certo, a volte gli output possono sembrare progetti non necessariamente guidati da un aspetto umano, perché lavoriamo con grandi clienti come Google, Ibm, che hanno problemi da risolvere che non sono quante volte ti lamenti durante la settimana, però è im-

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cendere” la coscienza del fruitore sugli oggetti di cui si compone una casa, così come Lupi intende rimettere al centro il lato umano del dato, e non quello meramente numerico. A proposito, dice: “Sì, è simile. Non focalizzarsi sull’oggetto in sé, ma spostare il fuoco. Io dico sempre che per imparare a lavorare con i dati bisogna dimenticarsi dei dati e imparare a vederci attraverso, ed è simile all’approccio di Mari, ed è anche interessante che lui stesso, quando arrivava a teorizzare le cose, le teorizzava dopo aver fatto un sacco di esperimenti e progetti”. La formazione di Giorgia è molto legata a DensityDesign Lab, il research lab del dipartimento di Design del Politecnico: “Lavorare con Paolo Ciuccarelli mi ha davvero aperto un mondo”, ricorda. “Ho avuto una collaborazione stupenda con lui e con i ragazzi di DensityDesign, il laboratorio del Poli che si occupa di data visualization, e da lì in poi sono cresciuta molto sia umanamente che professionalmente, anche perché mi sono trovata in un ambiente molto collaborativo. Passavo le mie giornate lavorando su tantissimi progetti. Penso sia davvero un’eccellenza a livello mondiale”.

Nella pagina accanto una serie di cartoline del progetto Dear Data. Qui sopra l’esposizione permanente al MoMa di New York e alcuni fogli di lavoro del progetto.

“Il DensityDesign Lab del Politecnico mi ha aperto un mondo. E credo sia davvero un’eccellenza a livello mondiale”

portante per me quello che ci diciamo sempre con i designer e gli sviluppatori, con tutte le persone che seguono i progetti: ogni volta che rappresentiamo un dato dobbiamo sempre chiederci in che maniera questo dato ci aiuta ad arrivare più vicini a un fenomeno, a qualcosa che rappresenti la nostra vita. Non dobbiamo mai focalizzarci solo su costruire l’interfaccia in sé”. Come se fosse un manifesto? “Come se fosse un manifesto: come tutti i manifesti o le filosofie, di volte in volta si applicano e declinano in maniera diversa”, dice. Guardando agli inizi “architettonici” di Giorgia Lupi, questo approccio originale alla data visualization stimola delle eco del celebre volume Autoprogettazione? di Enzo Mari, «un progetto per la realizzazione di mobili con semplici assemblaggi di tavole grezze e chiodi da parte di chi li utilizzerà», secondo le parole dell’autore, che intende “ac-

Il primo progetto ufficiale di Accurat nasce proprio tramite DensityDesign, ed è la collaborazione con La Lettura del Corriere della Sera. “Serena Danna, giornalista dell’inserto culturale del quotidiano, aveva ideato la rubrica Nuovi Linguaggi per raccontare fenomeni globali attraverso la data visualization. E la prima collaborazione l’avevano avviata con Density, che poi ha passato la palla a noi come Accurat. Ci abbiamo lavorato per due anni”. Oggi Accurat ha due sedi – una italiana e una statunitense – e 35 persone che ci lavorano, “e stiamo crescendo sempre di più”. Anche Dear Data è cresciuto: dopo essere stato esposto al Museum of Modern Art di New York è pronto per andare in stampa con un seguito: si chiama Observe, Collect, Draw!, sempre realizzato a quattro mani con Stefanie Posavec. “È una sorta di journal per chi vuole fare quello che abbiamo fatto noi per un anno, con Dear Data”, spiega. Ovvero, in fondo, “quasi un’analisi terapeutica”, dice ridendo. “Quando parlo di Dear Data racconto che mi ha insegnato più su me stessa di quanto abbia fatto la terapia”.

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DALLA DAYTONA ALLA TESTA ROSSA: TUTTE LE FERRARI DELL’ING. FIORAVANTI LEONARDO FIORAVANTI - 80 anni AD Fioravanti Srl Alumnus Polimi Ingegneria Meccanica

La Ferrari Dino, la Ferrari Daytona, la Ferrari F40, la Testarossa e molte altre, sono state disegnate dalla stessa mano: quella dell’Alumnus Leonardo Fioravanti. Abbiamo visitato insieme una mostra molto speciale al Museo nazionale dell’automobile di Torino, quella a lui dedicata 40


Capitolo 1

80 ANNI DA CORSA Un distinto uomo con una ventiquattr’ore su cui compare il cavallino della Ferrari fa il suo ingresso al Museo nazionale dell’automobile di Torino. Per entrare alla mostra non ha bisogno del biglietto perché è lui stesso la mostra. “Rosso Fioravanti. Le auto di un ingegnere a mano libera”, questo il titolo dell’esposizione che raccoglie i disegni, le coppe delle gare automobilistiche, il libretto del Politecnico, la tesi di laurea, le memorie di una vita e, naturalmente, le auto di una vita di Leonardo Fioravanti: ottant’anni, cinquanta di questi trascorsi a fare la storia delle auto da corsa in Italia e in tutto il mondo. “Per me il rosso non è solo il rosso Ferrari - spiega fermandosi davanti a un esemplare di Alfa Romeo Vola presentata al Motor Show di Ginevra nel 2001 - Per me il rosso vuol dire Italia da corsa”. E la sua corsa comincia a casa dei nonni paterni a Genova. Proprio lì, all’età di sei anni, quando rimane affascinato da un bob a quattro che scende lungo la curva di un piatto d’argento dei primi del ‘900. Il soprammobile d’epoca, oggi, è al centro della prima sala della mostra. “A impressionarmi fu l’aria di questo equipaggio rappresentato: vanno veloci, ma sanno quello

che fanno, sembrano allo stesso tempo impegnati sino allo spasimo, eppure sono rilassati. Veloci e in sicurezza. Per vincere bisogna fare così”. Da questa folgorazione dell’infanzia nasce la sua passione per “tutto ciò che si muoveva per terra, per mare e per cielo”. A scuola riempie quaderni interi non con gli appunti delle lezioni ma con disegni di auto, moto, navi ed elicotteri. Un muro di fogli di quaderni ingialliti si staglia lungo una parete del museo. “Per capire a che anni risalgono - dice Fioravanti - abbiamo qui un quaderno con i Savoia in copertina”. Nella prima pagina una data: lunedì 10 aprile 1945. “Ho cominciato a disegnare da giovanissimo. Inoltre in quel periodo, come tutti i miei fratelli, prendevo lezioni di pianoforte. Ricordo bene le Scene Infantili di Schumann. Mi esercitavo con i tre pedali del piano che per me diventavano freno, frizione e acceleratore”. E sul freno di un auto, anni dopo, poggia rovinosamente i piedi all’ultimo secondo e si schianta contro un albero in piazza Leonardo Da Vinci. “Ero con un mio amico, anche lui studente del Poli. Uscimmo, raddrizzammo l’auto e ripartimmo”, dice. “Pensi, mi chiamo Leonardo, abitavo davanti a Piazza Leonardo da Vinci e ho fatto il Politecnico”. Un nome, un destino.

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Capitolo 2

IN PISTA, AL POLITECNICO A diciotto anni inizia a correre in pista e contemporaneamente si iscrive al Politecnico. Sopra una fila di trofei esposti in una grande teca illuminata c’è una foto in bianco e nero. Ci mostra Fioravanti, sorridente, seduto nella sua 500. “Ero alla Compiano-Vetto d’Enza, una corsa in salita attraverso l’Appenino di Reggio Emilia”. Indica un punto dell’auto, sotto il sedile, e racconta: “Qui c’erano stipati i libri e i testi di un esame che avevo dato al Politecnico proprio quel giorno”. Durante le prove di gare i libri saltavano da tutte le parti, ricorda nel suo libro autobiografico “Il Cavallino nel cuore”. “Io vedo una cosa e so immediatamente le proporzioni”, dice mentre arriviamo alla sezione dedicata proprio agli anni trascorsi al Politecnico. Una teca custodisce cerchiografi, un regolo e il libretto universitario su cui leggiamo: “Fioravanti Leonardo, matricola 12.241. È stato iscritto al corso di laurea in Ingegneria, il giorno 27 novembre 1956”. Nella stessa teca convivono

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i due modellini di legno realizzati per la tesi di laurea. “Il biennio al Politecnico è stato difficile - dice - arrivavo dal liceo classico e ricordo sempre la prima lezione di Analisi Matematica: aula piena, il professore che parla di derivata seconda e io che alzo la mano e chiedo «Scusi, ma la prima?». Poi, superato il biennio, quando ho iniziato a studiare la parte di meccanica, del disegno di costruzioni automobilistiche, ho iniziato a correre”. La tesi di laurea è dunque letteralmente un pezzo da museo, nelle pagine riprodotte in grande si legge: “Alcuni schizzi e il disegno definitivo della berlina aerodinamica scelta come argomento di tesi. Interessante lo spaccato che mette in evidenza l’abitabilità ed il motore inclinato all’indietro, alloggiabile in un cofano basso e penetrante”. Davanti ai documenti ufficiali della sua tesi Fioravanti spiega com’è nata l’idea. “Io ero malato di aerodinamica. Volevo un’autovettura per girare l’Italia con quelli dello Sgambo, ci chiamavamo così io e il mio gruppo di amici.


Eravamo in tutto sei persone, quindi volevo una macchina a sei posti e che consumasse il meno possibile, che di soldi non ne avevamo. I due modellini in legno, che vede qui esposti, furono testati nel tunnel della Breda e convinsero il professor Fessia, nonostante la sua avversione all’aerodinamica, a farmi da relatore”. La storia continua su uno dei pannelli: “Nel 1962 lo studente Fioravanti partecipa, col Politecnico di Milano, ad una visita alla Pininfarina. Ha portato una cartella di disegni, riesce a ritagliarsi un momento di colloquio con Sergio Pininfarina e Renzo Carlo”. Passando vicino a una foto in bianco e nero che lo ritrae proprio con Pininfarina commenta: “Vede che accarezza l’auto? Imparai da lui che oltre al vedere, bisogna toccare. I difetti che a occhio non si notano, si sentono col tatto”. “Il lampo e il tuono della mia vita” leggiamo sul pannello. Il lampo dell’idea e il tuono della realizzazione: all’età di 26 anni Fioravanti mette mano alla sua prima Ferrari, la 250 LM in versione stradale.

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Capitolo 3

TUTTE LE FERRARI DI UNA VITA Ancora qualche passo e ci ritroviamo al capitolo Daytona. “La Daytona non era nei programmi né della Ferrari ne di Pininfarina. Io cominciai a disegnarla a dicembre del ’66. Due mesi prima era stata presentata al Salone di Parigi la berlinetta Ferrari 275 GTB. Presi a disegnare un modello con una linea più aerodinamica, con una visibilità ottima, per tornare a vincere con il motore anteriore. In ufficio ci lavoravo poco, perché mi avrebbero chiesto cosa stessi facendo, dunque mi ci mettevo più a casa. Presentai il disegno a Pininfarina che commenta: «Ingegnere, ma lei è matto. Abbiamo presentato la Berlinetta solo due mesi fa» La fecero comunque vedere al commendator Ferrari, che commentò a sua volta «Ma quello è matto». Ad ogni modo diede mandato al capo dell’ingegneria Angelo Bellei di fare tutte le prove sulla meccanica, io da ingegnere l’avevo già disegnata perfettamente. Così, senza neanche realizzare il modello in scala ridotta fu realizzato un modello a scala 1 a 1”. Davanti alla foto della Daytona riflette un attimo e poi ricorda: “Dopo quegli eventi con il commendatore ci intendevamo alla perfezione. Avevo meno di trent’anni”. Snocciola memorie da record e frasi passate alla storia, come quando Enzo Ferrari gli chiede “Vorrei una Ferrari per andare alla Scala con i miei amici”. E tutto, ancora una volta, parte dalla matita che si posa sul foglio, “ il primo tratto che delineo è sempre il muso, perché entra nell’aria”. Cita Junichiro Hiramatsu, un facoltoso giapponese che commissiona una Ferrari solo per sé: nasce così la Special Project 1. Si attraversa un’esistenza leggendo i brevetti della Fio-

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ravanti, la società fondata nel 1987 con i suoi tre figli: Autoveicolo con un sistema di detenzione senza spazzole per superfici vetrate e simili, Autovettura - in particolare autovettura da competizione, Procedimento e sistema per la rilevazione delle impronte di appoggio dei pneumatici di un autoveicolo. “Prima facevo il matto per gli altri, da quel giorno potevo farlo per me”, dice. Poi, come un lungo flashback aggiunge: “Ho avuto la fortuna di essere un ingegnere che sa disegnare. E al Politecnico ho imparato il rigore della logica progettuale. Dal professor Fessia, ma anche dagli altri professori e da mio padre, ho imparato che il progetto è la somma di varie cose ma è anche una cosa unica. Non bisogna mai perdere di vista il progetto nel suo complesso. Non si può essere il più specializzato nei cuscinetti a sfera e non tener presente che esistono anche dei cerchioni, dei pneumatici e un’automobile. Ed è una cosa che ho studiato non solo sulla carta, ma vivendo e seguendo l’approccio mentale di questi professori. Era gente innamorata dell’insegnamento, erano veri progettisti: ciò che insegnavano lo esprimevano quotidianamente con le parole e con gli atti. E io ero quello che si sedeva sempre in prima fila, ad abbeverarsi di quel sapere”. Oggi, che è lui l’uomo del sapere, dice: “Una cosa che a questa tenera età posso francamente permettermi di dire ai giovani è questa: non permettete mai a nessuno di interferire coi vostri sogni. Secondo: sceglietene uno solo, perché nella vita, come disse il poeta, si può fare bene una sola cosa”.

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Capitolo 4

ALLA FINE, SI RIPARTE Nell’ultima sala ci sono finalmente loro: le macchine, in carrozzeria e motore, in design e aerodinamica. Posizionate su pedane rotanti si mostrano in ogni lato. Chiedo a Fioravanti cosa provi nello stare qui, davanti a tutto ciò che ha realizzato. Mi risponde con una

sola parola, pronunciata a bassissima voce come una confessione, nell’orecchio. Poi, rimane il silenzio delle pedane che ruotano. Nella testa il suono immaginato di tutti i motori accesi.

47 In questa pagina: Lorem ipsum


MI RICORDO LA CASA di Nicola Feninno foto di Giuseppe Vesce e Beatrice Mammi

1978/1979

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SA DELLO STUDENTE

GIUSEPPE VESCE

Studio tecnico Vesce Alumnus Polimi Architettura

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Sulla pagina Facebook ‘Alumni Politecnico di Milano’ abbiamo pubblicato una foto che ritrae la Casa dello Studente negli anni ’60. Siamo stati sommersi di commenti, ricordi, racconti. Ne abbiamo selezionati alcuni ed è nato questo testo, in cui gli Alumni parlano della loro esperienza e ci portano in un viaggio nella memoria della storica Casa dello Studente Mi ricordo sei bellissimi anni vissuti nella camera 110. (Luca Dorazio)

Mi ricordo il bar matricola con Mara. (Tina Malamati Gkiaouri)

Mi ricordo che più pagavi e più cantava. (Mario Gioia)

Mi ricordo che dal ’99 al 2005 ho vissuto nella camera 435 e poi nella 127. Indimenticabili, sia gli anni che le camere. (Carmine Perotta)

Mi ricordo il mio ultimo compagno di camera, amico per sempre. (Pierdomenico Lugara)

Mi ricordo il suo nome, Oshina. (Antonio Nastasi)

Mi ricordo quando dissi a Emma Bonino, “Tu intrattieni i bambini mentre noi siamo in manifestazione per il diritto alla casa in difesa degli sfrattati”. (Lucio Dorazio) Mi ricordo una mitica partita di calcio Italia vs Resto del Mondo al parco Lambro con i residente della Casa dello Studente. (Massimo Bernasconi) Mi ricordo anche la finale di Coppa del Mondo di calcio del 1982 svoltasi in Spagna tra Italia e Germania vinta poi dall’Italia ed il tifo infernale fatto per l’Italia da parte di quasi tutti gli studenti della casa. (Omar Hamadneh) Mi ricordo il bar al primo piano dove si faceva colazione. (Mario Esposito) Mi ricordo il piano “- 1” dove si faceva pranzo, cena, dopocena. (Piero Tacconi) Mi ricordo pausa pranzo con “I Simpson” alla tv. (Andrea Piccione).

In queste foto, l’Alumnus Giuseppe Vesce nella camera che condivideva con un altro studente nella residenza di Viale Romagna 92

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Mi ricordo una folla di ricordi. Mi ricordo un articolo del Regolamento che proibiva di far salire donne in camera senza l’autorizzazione. Mi ricordo che aggirammo il divieto usando l’ascensore di servizio che stava nel cortile interno, prodigiosamente riparata da alcuni laureandi in Elettrotecnica. Mi ricordo il ’67, quando convocammo un’assemblea nel salone e l’articolo del Regolamento fu abrogato con una votazione di 9 contro 1. (Antonio Nastasi)

Mi ricordo che si diceva fosse venuto in Italia per studiare canto lirico. Mi ricordo che in mensa offriva “buoni senza coda” a poco più di 200 lire. (Renzo Bovosecchi) Mi ricordo le feste in Auditorium. (Terry Noviello) Mi ricordo che io c’ero. (Tutti)

Mi ricordo mio papà, studente e residente della casa negli anni ’60. (Francesca Crisafi) Mi ricordo il barbiere che c’era all’ interno della casa, esattamente la finestra a sinistra del pian terreno. (Leonardo Miolli) Mi ricordo “O sole mio” cantato dal cinese, dieci lire a parola. (Paolo Sanzaro)

“Avevamo due letti, due scrivanie, due armadi a muro, un telefono citofono, un lavabo con lo specchio. All’ultimo anno si poteva chiedere, durante la stesura della tesi, la cameretta singola”


Qui albergano vite e ricordi “Ci sono ragazzi che entrano alle cinque del mattino, tornando dalla discoteca. E ragazzi che a quell’ora escono per andare a fare dei piccoli lavori nei supermercati qui vicino, prima di andare a frequentare le lezioni”. A parlare è Maurizio Ripamonti, il responsabile della Casa dello Studente, l’uomo con le chiavi della residenza. “Non basta imparare a risolvere le equazioni differenziali e gli integrali doppi. Uno studente che esce dal Poli deve aver imparato anche a relazionarsi con gli altri, a confrontarsi, a convivere”. Le sua voce riecheggia per il salone e si arrampica lungo lo scalone doppio che attraversa tutta la struttura, fino al quinto piano. “Una volta un ragazzo in una mail mi ha scritto: «La lavatrice mi ha rovinato la camicia». Aveva usato la candeggina per i pavimenti. Cose di questo tipo accadono ogni settimana; è normale, sono quasi tutti ragazzi e ragazze che non hanno mai vissuto da soli fuori casa, e questa è la loro prima esperienza”. Risalendo dai sotterranei s’incontra un’ampia aula studi. L’atmosfera qui, come in tutta la Casa dello Studente, più che il ciclo delle stagioni segue il ciclo delle sessioni d’esame. In uno degli angoli dell’ampio salone c’è una porta, che introduce a un piccolo regno del silenzio. Nessuna eco dei rumori esterni. Dentro questa casa per 333 abitanti si può studiare praticamente dappertutto: oltre alla più ampia sala studio, ce ne sono altre in tutti piani. “La prima cosa che faccio al mattino”, racconta Maurizio, “è aprire la casella mail dove ricevo tutte le richieste dalle varie residenze. Ricevo una media di una cinquantina di mail al giorno: in italiano, in inglese, o in un inglese – diciamo – di difficile comprensione. Io non ho avuto figli. Ma in questi 10 anni in cui ho lavorato per la residenze del Politecnico è stato come averne qualche migliaia. Anche se a tutti do sempre del lei”.

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La Casa dello Studente è cresciuta. Oggi le residenze Polimi a Milano sono 6 ed ospitano oltre 1.400 studenti

DOVE SONO LE RESIDENZE? PERIFERIA NEWTON Via Mario Borsa, 25 NUOVO DAL 2018

PARETO

258 ristrutturato nel 2015 232

Via Maggianico, 6

CENTRO GALILEI Via Filippo Corridoni, 22 CASA DELLO STUDENTE Viale Romagna, 62

NUOVO DAL 2018

EINSTEIN

294 ristrutturato nel 2007 333 ristrutturazione IN CORSO 214

Via Albert Einstein, 6 DATEO Piazzale Dateo, 5

90 ristrutturato nel 2006

POLI TERRITORALI DI COMO E LECCO

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COMO

165 ristrutturato nel 2016

LECCO

165 ristrutturato nel 2015


La nuova residenza Vilfredo Pareto Sono sei le residenze che fanno parte della rete di alloggi per studenti – aperte anche a dottorandi e visiting professor – del Politecnico di Milano. Oggi ospitano circa 1400 persone; il 58% sono stranieri, un dato che dà il polso della forza internazionale dell’Ateneo. L’ultimo complesso residenziale ad essere inaugurato, lo scorso maggio, è stato intitolato a Vilfredo Pareto, un ingegnere che fu una delle mente più bril-

lanti ed eclettiche di tutto l’Ottocento e il Novecento. “Il Politecnico crede fortemente nell’importanza delle residenze. E ha deciso di investirci molte risorse”. Ha dichiarato il prorettore Emilio Faroldi durante la cerimonia di inaugurazione. “C’è un nesso fortissimo tra qualità della vita degli studenti e qualità dello studio e della ricerca. Il Politecnico accoglie e forma persone, non solo ingegneri, architetti o designer”.

CHI VIVE NELLE CASE POLITECNICHE?

35,4% donne

ETÀ MEDIA 24 ANNI

64,6% uomini

SERVIZI INCLUSI

wifi

palestra

reception 24h

DA DOVE VENGONO? 42,1% italiani

57,9% stranieri

34,8% Lombardia

17,0% Centro

15,8% Nord

32,4% Sud e Isole

utenze

uso cucina

pulizie

spazi studio

COSA STUDIANO?

72,6% Ing

18,1% Arch

9,3% Des

31,9% Laurea Triennale

7,5% Altro

56,8% Laurea Magistrale

3,8% Dottorato

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di Nicola Feninno Foto di Cosimo Nesca

LA NUOVA BIBLIOTECA STORICA DEL POLITECNICO Nella Sala Ciliegio del Campus Leonardo ha da poco aperto un piccolo scrigno che raccoglie una grande storia: tutta quella contenuta in un patrimonio di volumi antichi 54


“Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla Meccanica & ai movimenti locali, del Signor Galileo Galilei”, si legge, in elegante carattere, sul frontespizio di un grande volume adagiato su uno dei tavoli della neonata Biblioteca Storica del Politecnico di Milano. Un patrimonio di ventimila libri, di cui seimila esposti e la restante parte conservata nel deposito dei Fondi Storici, ma con possibilità di consultazione. “Abbiamo anche i volumi acquisiti nel 1863 dal Regio Istituto Tecnico Superiore - racconta Marinella Trenta, responsabile della biblioteca - Laggiù c’è un’edizione del 1521 del “De architectura” di Vitruvio. Al piano superiore alcuni studi sul piano regolatore di Milano, del 1885. Volumi sulle ferrovie, sui ponti, sui serramenti. Reperire questo materiale è stata un’esperienza incredibile”. Una vera e propria immersione che ha riportato a noi scritti e documenti preziosi, “Si scopre - continua a raccontare Marinella Trenta - che i primi laureati del Politecnico sono quelli che hanno fatto la storia dell’industria italiana a partire da metà dell’800. i Pirelli, i Colombini, i Salmoiraghi”. Barbara Montoli, bibliotecaria del Politecnico da ben 31

anni, ricorda l’emozione provata nel trovare la seconda edizione del ‘Manuale di architettura’ di Luca Beltrami. Le coste dei libri sono una geografia di saperi: “Berzelius, Traite de chimie”, “Vocabolario marino e militare”, “Ferrini La luminosità elettrica”, “James Gekie, The Great Ice Age”. Estraendo a caso volumi dagli scaffali si aprono storie da altri mondi ed epoche: la prefazione di un piccolo tomo dedicato al volo degli uccelli, edito nel 1890, ci racconta che “Il volo degli uccelli ha sempre svegliato la curiosità dei ricercatori” Così queste parole e questi titoli risvegliano ancora oggi la curiosità. Formano un piccolo scrigno di libri stretti l’uno contro l’altro, sull’attenti, in perfetto ordine su prestigiose scaffalature di legno. Dalle finestre entra una luce gentile. Pare perfetta per concentrarsi, per ampliare il silenzio. Quasi sottovoce, il Rettore Ferruccio Resta qui in visita commenta: “Questa è una metafora perfetta dello spirito del Politecnico: guardare al futuro, senza dimenticare il passato. Se si vuole fare innovazione, non si può dimenticare la storia, la tradizione”. E il lavoro, alla scoperta della tradizione, continua in cerca di prime edizioni e rarità da far riemergere.

FEDERICO BUCCI - 58 anni Delegato del Rettore per le Politiche culturali

Alumnus Polimi Architettura “Penso che la Biblioteca Storica del Politecnico di Milano non sia un semplice deposito di memorie di carta, ma custodisca lo spirito originale del nostro Ateneo, che illumina anche tutti i nostri nuovi progetti. Dai libri acquistati o donati dall’anno della fondazione, il 1863, fino ai primi del Novecento, si può leggere infatti il ruolo che il Politecnico ha avuto nello sviluppo di Milano e del nostro Paese, i suoi legami internazionali, ma soprattutto, l’inarrestabile desiderio di conoscenza nel campo della cultura tecnico-scientifica”

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“La Biblioteca Storica è una metafora perfetta dello spirito del Politecnico: guardare al futuro, senza dimenticare il passato. Se si vuole fare innovazione, non si può dimenticare la storia, la tradizione”

La nuova Biblioteca Storica del Politecnico si trova al Campus Leonardo, Edificio 9, ingresso B, 1° piano. Aperta a studenti, docenti ed esterni, dal lunedì al venerdì per la consultazione. Il catalogo è consultabile nel catalogo di Ateneo: www.biblio. polimi.it

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E OLTR ETTE I MAGL TE 1200 T IS A ACQU MESE IN UN

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#ProudlyPolitecnico


Intervista esclusiva all’Alumnus più anziano della Polimirun 2018

La Gazzetta del Poli

MAP AUTUNNO 2018 LA GAZZETTA DEL POLI

Tutto il Poli

L’università dove si suda davvero Si suda nelle aule ma si suda anche in campo: al Politecnico lo sport è materia che unisce le persone. Studenti e Alumni, dipendenti e professori diventano una comunità che condivide valori ed esperienze. Dalla Polimirun al Torneo delle Residenze, dai campionati studenteschi di calcio, volley e basket, passando per i campi sportivi dove trascorrere ogni giorno le pause tra una lezione e l’altra: atletica, ping-pong, basket, calcio, volley. In queste pagine vi racconteremo un’università dove l’impegno, il lavoro e la fatica passano anche dal correre, fare sport e cercare di arrivare primi, insieme.

della vita

CON 12.500 RUNNER LA POLIMIRUN TAGLIA UN NUOVO TRAGUARDO

è la prima corsa universitaria d’Italia!

TUTTI I CAMPI DEI CAMPUS!

CAMPIONATI POLIMI Doppietta per gli ingegneri gestionali

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FERRUCCIO RESTA, Rettore e professore ordinario di Meccanica Applicata alle Macchine “L’adidas Runners Polimirun, alla sua terza edizione, è diventata un appuntamento ricorrente con la città. Milano ha accolto molto positivamente un evento sportivo che, di anno in anno, raccoglie al nastro di partenza un numero crescente di studenti, docenti e amici del Politecnico di Milano. Una manifestazione che si inserisce in una politica chiara della nostra università, che riconosce nello sport uno strumento efficace di aggregazione e di condivisione e, allo stesso tempo, una leva attrattiva per il nostro Ateneo”

Polimirun Winter Edition 11 novembre 2018 Partenza Campus Lecco Una corsa trail in un percorso fuori strada, tra le montagne lecchesi

Scopri di più su polimirun.it

POLIMIRU Da 10 km a 100mila euro raccolti per finanziare le borse di studio

12.500 persone sono partite dal Campus Bovisa La Masa e sono arrivate al traguardo in piazza Leonardo Da Vinci. Una folla colorata ha animato quella che in sole tre edizioni è ufficialmente diventata la più più importante manifestazione podistica universitaria in campo nazionale. Tra i partecipanti, gli studenti del Politecnico erano circa il 43% degli iscritti, i laureati il 17%, i dipendenti il 4%, mentre il restante 36% cittadini, milanesi e amici del Politecnico amanti della corsa. Tra gli iscritti, anche l’ex nuotatore Massimiliano Ro-

solino che ha dichiarato: “Direi che è andata abbastanza bene. Sono partito con una grande regolarità e non ho mai sorpassato nessuno”. Francesco Calvetti, delegato per le attività sportive del Politecnico, ha commentato, senza nascondere l’emozione, “Ho avuto la fortuna di assistere alla crescita della Polimirun da una posizione privilegiata. Sono e siamo fieri di ciò che siamo riusciti a fare in 3 anni, del gruppo di persone competenti che l’hanno reso possibile e della community politecnica che si dimostra sempre più unita e partecipe”.

I fondi raccolti grazie alle iscrizioni della Polimirun servono a finanziare borse di studio per gli studenti del Politecnico di Milano.

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100mila euro raccolti nell’edizione 2018 100mila euro raccolti tra il 2016 e il 2017

Sono state già assegnate 24 borse di studio per meriti sportivi, con l’obiettivo di valorizzare l’impegno, il talento e i risultati che, anche al di fuori del contesto puramente accademico, sono portavoce dei valori dell’Ateneo.

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UN 2018

L’Alumnus Giuseppe Stancanelli

IL MARATONETA DEL ‘46 L’Alumnus Giuseppe Stancanelli, 72 anni, laureato in Ingegneria Meccanica nel 1971 è il runner più anziano della terza edizione della Polimirun “La mia prima maratona è stata quella di Berlino nel 2013. Ho fatto un risultato di quattro ore e sei minuti, io sono del ’46, quindi è stato un inizio perfetto”. Si racconta con queste parole il maratoneta più anziano della Polimirun 2018, numero 7360. “Mi sono laureato il 23 marzo 1971 in Ingegneria Meccanica e ho fatto l’ ingegnere da allora fino ai giorni no-

stri. Da giovane non ero sportivissimo, poi un giorno ho corso con il mio genero che ha fatto la maratona di New York e mi sono reso conto che andavo più forte di lui. Mi sono detto, proviamoci!”. Non tornava da tempo nei luoghi dei suoi anni di studio, così attraversandoli per la Polimirun, da Bovisa a piazza Leonardo da Vinci commenta, “Oggi questo sembra il pae-

se del Politecnico, è una vera e propria città”. Dopo la laurea era pronto a tutto, ad andare all’estero, poi è rimasto in Italia per amore. Uno dei traguardi della sua vita, dice, “era piacere alla mia famiglia”. A chi ha qualche anno in meno di lui consiglia “di studiare per sé”. Di studiare non per superare gli esami, ma per superare se stessi, innamorandosi di ciò che si studia. E dei suoi anni da studente ricorda: “Ho fatto quasi tutti gli esami indossando lo stesso vestito e la stessa cravatta”. Al Politecnico ci è tornato in maglia a maniche corte e pantaloncini, per far parte di quello che definisce “un fiume di gioia, di sapere, e nel mio caso di memoria”.

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PLAYGROUND Per chi fa il Politecnico - anche - per sport

I campi sportivi degli studenti, nel cuore del Politecnico di Milano

Oltre ai libri, puoi portarti un pallone

I campo sportivi del Politecnico di Milano sono dislocati tra i campus Bovisa e Leonardo. Sono presenti campi di calcio a 5, volley, basket e ping pong. L’accesso agli studenti è libero, compatibilmente con le pause tra una lezione e l’altra. Il Centro Sportivo Giurati offre anche una pista di atletica e una palestra; all’interno della struttura si svolgono anche le attività organizzate dal Poli, come i campionati studenteschi e gli allenamenti di gruppo con i trainer specializzati per la corsa.

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MAP AUTUNNO 2018 LA GAZZETTA DEL POLI

Il futuro è un campo aperto: è infatti in corso un progetto di riqualificazione di tutto l’impianto del Centro Sportivo Giuriati, che prevede fra le altre cose la realizzazione di una tecnostruttura polivalente con nuovi campi di Volley e basket, e il rifacimento della pista di atletica

Centro Sportivo Giuriati

I Playground all’aperto, nei luoghi dell’università

Campus Leonardo 63


INGEGNERI MAP AUTUNNO 2018 LA GAZZETTA DEL POLI

Il 6 giugno in Piazza Leonardo da Vinci, con il Politecnico a far da splendida cornice, si sono disputate le finali dei Campionati Polimi; sono i campionati dedicati agli studenti del nostro Ateneo, dove i corsi di studio si incontrano e si sfidano in campo sportivo. Giunti alla sesta edizione, nella stagione 2017/2018 hanno partecipato 1500 studenti con più di 100 squadre di calcio a 5, volley e basket. Le finali dello scorso 6 giugno hanno visto trionfare il corso di studi di Ingegneria Gestionale nei campionati di calcio a 5 e volley e di Ingegneria Aerospaziale nel basket. Ingegneria Biomedica domina nell’albo d’oro dei Campionati Polimi, guardando tutti dall’alto con ben 6 titoli vinti nel corso delle varie edizioni. Ad inseguire, staccato di 3 titoli troviamo il corso di Ingegneria Gestionale. La stagione 2018/2019 inizia in autunno, fai il tifo per il tuo corso di laurea su facebook alla pagina Polimi sport.

DA PODIO La finale dei campionati Polimi • • •

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Per l’ Accenture Volley Cup vincono il trofeo gli Ingegneri Gestionali di Atletico Ma Non Troppo Per la Techedge Football Cup vincono ancora una volta gli ingegneri Gestionali di Hellas Maltese, che mantiene il suo primato dallo scorso anno Infine per l’UMANA Basket Cup si portano a casa il titolo gli ingegneri Aerospaziali di Space In My Veins!


PORTIAMO IL POLI NEL CUORE, OVUNQUE ANDIAMO

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ALUMNI DA TROFEO LA SALA DEI TROFEI DEL MILAN

FABIO NOVEMBRE - 51 anni Studio Novembre Alumnus Polimi Architettura

Nel 2014 l’Alumnus Fabio Novembre, architetto e designer, ha firmato il progetto del nuovo headquarter della sede rossonera: Casa Milan. In zona San Siro, novemila metri quadrati ospitano in quattro piani gli uffici per la dirigenza, i reparti marketing e comunicazione ma anche la sala stampa, un ristorante, uno store e il primo museo ufficiale del Club AC Milan.

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“Come negli edifici del passato in cui le figure dei santi, o dei potenti segnavano il profilo dei palazzi, così qui degli atleti in movimento campeggiano sulla facciata inclinata. Attimi congelati di una corsa in salita verso l’obiettivo. Un pallone calciato verso il cielo che con esso porta tutta l’energia e la forza del gesto, un impatto che si trasforma immediatamente in propagazione. Il messaggio che passa è che il calcio rappre-

senta una disciplina sportiva, ma allo stesso tempo anche uno strumento educativo, un simbolo di aggregazione e di crescita. E per sottolineare la forza della divulgazione del messaggio, la facciata stessa decorata con fasce concentriche colorate di rosso e di nero, si fa portatrice dell’onda d’urto positiva che idealmente invaderà tutta la città”. Fabio Novembre


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ALUMNI DA TROFEO LA SALA DEI TROFEI DELL’INTER

STEFANO BOERI - 61 anni Stefano Boeri Architetti Alumnus Polimi Architettura

Nel 2010, l’anno del Triplete, l’Alumnus Stefano Boeri, architetto, con il Boeri Studio si è occupato del progetto di ristrutturazione degli spogliatoi della squadra FC Internazionale. Spazio e arredi sono stati disegnati con particolare attenzione per cercare soluzioni originali e innovative, focalizzandosi sugli aspetti funzionali; studiando ad esempio i movimenti e i comportamenti dei giocatori all’interno dello spogliatoio è stata elaborata una panca

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rispondente alle loro esigenze. Anche la Sala delle Coppe è stata realizzata da Stefano Boeri e dal suo Studio. La Sala delle Coppe racchiude tutti i trofei vinti dalla FC Internazionale nel corso della sua storia. Le coppe sono ordinate in ordine cronologico e posizionate in pieno risalto su strutture illuminate alle pareti. Il soffitto è totalmente intonacato di nero con inseriti dei micro LED di luce bianca, il pavi-

mento invece è blu: insieme formano i colori della società. Al centro della stanza è stato posizionato un tavolo multi-touch, progettato appositamente per la squadra, e il visitatore può navigare attraverso la sala dei trofei. Quando qualcuno entra nella stanza, sul tavolo la grafica mostra le vittorie storiche della squadra. Sull’interfaccia è possibile selezionare un trofeo e visualizzare le relative informazioni mentre la coppa si illumina sul suo supporto.


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HUAWEI, DAI LABORATORI DI RICERCA ALLE SPERIMENTAZIONI SUL CAMPO: COME FARE RETE, 5G

Sul numero 2 di MAP - Autunno 2017, abbiamo parlato delle ricerche avviate da Huawei in collaborazione con il Politecnico di Milano, sulla rete 5G. L’Alumnus Renato Lombardi ci racconta gli sviluppi del progetto

“Huawei è leader nel settore delle telecomunicazioni e, per sviluppare le ultime tecnologie, investe molto in Ricerca e Sviluppo - spiega Renato Lombardi - nel 2017 l’azienda ha investito ben 13,8 miliardi di dollari, il 14,9% del proprio fatturato globale. Dal 2017 le nostre ricerche sono state supportate ancora di più dall’organizzazione aziendale nella valorizzazione dei giovani talenti attraverso varie collaborazioni, come quella con il Politecnico di Milano, principalmente nell’ambito degli algoritmi per le telecomunicazioni, delle architetture di antenna e dei circuiti integrati a radiofrequenze (RFIC)”. Le applicazioni della rete 5G prevedono la Realtà Aumentata, e una

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realtà in cui elettrodomestici come il frigo, ad esempio, si occupano di fare la spesa al posto nostro. Quali sono le nuove scoperte e nuovi modi di utilizzo della rete 5G? “Con le prestazioni della rete 5G si sta pensando a nuove applicazioni quali la guida autonoma delle vetture, ma anche di navi merci o velivoli, vi saranno poi nuovi sistemi di video sorveglianza che potranno riconoscere istantaneamente situazioni anomale e confrontare in tempo reale oggetti e persone, applicazioni olografiche e di realtà virtuale e molte altre che sono ancora in fase di definizione”. La tecnologia 5G è già uscita dai laboratori Huawei per una prima fase di sperimentazione. “A Ma-

tera è stato mostrato il primo scenario d’uso reale end-to-end, sviluppato dal Consorzio Bari-Matera 5G, composto da TIM, Fastweb e Huawei. Il progetto è finalizzato al supporto del turismo digitale per la valorizzazione del patrimonio culturale e artistico della capitale europea della cultura 2019 attraverso la soluzione di Virtual Reality, che consente di visitare da remoto con un visore alcuni dei luoghi di principale interesse turistico. A Bari invece è stata presentata la tecnologia di realtà aumentata per la manutenzione dei propulsori delle navi Isotta Fraschini che, grazie all’utilizzo di uno Smart Helmet e alle performance di alto livello della rete, offre assistenza


RENATO LOMBARDI, 53 anni Direttore del Centro Ricerca Huawei Italia Alumnus Polimi Ingegneria Elettronica

remota agli operai impegnati nelle attività di montaggio e smontaggio del motore di una nave attraverso l’assistenza e la ricezione di indicazioni tridimensionali. La tecnologia 5G di Bari e Matera rappresenta una delle prime implementazioni in Europa e nel mondo; questi test sul campo proseguiranno per tutto il 2018 e anche nel 2019 e ci permetteranno di capire nel tempo come questa tecnologia sia in grado di offrire prestazioni sempre più avanzate e aprire la strada a nuovi scenari applicativi”. Le collaborazioni tra Huawei e il Politecnico di Milano sono in numero sempre crescente. Il centro di Mi-

lano è molto attivo nella promozione delle eccellenze presenti al Politecnico di Milano e si fa promotore verso i dipartimenti in Cina per attivare sempre nuove attività di ricerca. “Oltre alle attività già avviate per lo studio di sistemi Wireless e Ottici - continua a raccontare Renato Lombardi - altri dipartimenti sono stati contattati in ambito automotive, di machine learning e product design. Il settore automotive con il 5G sta vivendo un’evoluzione che sta portando le macchine verso una guida autonoma. Diverse tecnologie hardware e software vengono sviluppate per poter rendere possibile in pochi anni questo obiettivo. Huawei sta conducendo alcune ricerche

con il Politecnico di Milano in questo ambito, in particolare con il Professor Savaresi su Sistemi di Stabilità in veicoli elettrici”. E il messaggio di Renato Lombardi per gli Alumni, ma anche per gli studenti di oggi, è questo: “Il Politecnico di Milano è riconosciuta da Huawei come una delle dieci migliori università in Europa e molti dei talenti che studiano in questo Ateneo entrano a far parte della nostra azienda. Le competenze che gli Alumni acquisiscono durante il loro corso di studio, li rende competitivi in ambito globale nel settore delle telecomunicazioni”. Ed è il caso di dire che gli Alumni fanno, letteralmente, rete.

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MATTEO LAI - 35 anni Co-founder Empatica Alumnus Polimi Architettura

L’ARCHITETTO SALVAVITA di Ivan Carozzi

L’Alumnus Matteo Lai è tra gli ideatori di Embrace, un braccialetto per prevenire l’epilessia: il primo dispositivo smartwatch al mondo ad essere approvato dalla Food and Drug Administration americana 72


Lo smartwatch Embrace è in grado di monitorare convulsioni e parametri fisiologici di chi lo indossa

Se nelle fiabe è un anello magico a imprimere una svolta alla trama, in questa storia, invece, è un braccialetto a segnare un prima e un dopo. “Adesso riesco a dormire bene, per tutta la notte, senza la paura di morire nel sonno”, scrive su Facebook una ragazza inglese di nome Megan. Il problema di Megan è l’epilessia, malattia neurologica che solo in Italia colpisce circa 500.000 persone. Tuttavia da una settimana Megan indossa al polso un braccialetto. Si chiama E3 e conosce tutto di lei. Il braccialetto, infatti, ascolta, è intelligente, sensibile, è sempre presente. In una parola: empatico. Quando Megan viene colpita da una crisi epilettica, il braccialetto invia una notifica al caregiver, che così è nelle condizioni d’intervenire tempestivamente e prestare soccorso. Ecco perché chi soffre di epilessia, oggi, può addormentarsi con un po’ più di tranquillità. “La nostra intenzione originaria era creare un software per esaminare ciò che succede, giorno per giorno, nel corpo di una persona”, mi racconta l’Alumnus Matteo Lai. E prosegue: “poi ci siamo resi conto che

non potevamo non passare attraverso il progetto del bracciale. L’idea è nata come esito di un percorso, più che come un’illuminazione. Per capire, per esempio, gli effetti dello stress su un individuo, prima occorreva andare in ospedale, collegarsi a delle macchine e sottoporsi a una lunga serie di esami. Il braccialetto, invece, consente di concentrare tutto in uno strumento piccolo, leggero e indossabile. Così è nato un dispositivo salvavita che si è rivelato molto importante per il quotidiano di chi è affetto da epilessia”. L’azienda che produce gli E3, di cui oggi Matteo è CEO, non poteva che chiamarsi “Empatica”. “Empatica” nasce da una Start Up e da un fortunato crowdfunding lanciato nel 2015 insieme a Simone Tognetti e Maurizio Garbarino. L’azienda ha sede legale negli USA e il braccialetto è in commercio dal 2016, dopo essere stato testato su 135 pazienti per 272 giorni, dimostrandosi in grado di rilevare crisi epilettiche nel 100% dei casi. “Al momento l’attacco epilettico è segnalato quando è in corso”, racconta Matteo, “ma stiamo

“Per capire gli effetti dello stress su un individuo prima occorreva andare in ospedale. Il braccialetto consente di concentrare tutto in uno strumento piccolo, leggero e indossabile” 73


Embrace rileva diversi tipi di parametri, dall’attività del sistema nervoso alla temperatura corporea, ed elabora i dati ottenuti grazie all’intelligenza artificiale. Qualora si verifichi una crisi, il braccialetto è in grado di inviare l’allarme su un device del soccorritore. Inoltre, acquisisce quotidianamente dati fisiologici monitorando il sonno, lo stress e l’attività fisica

“Ho scelto il Politecnico perché era il luogo migliore in Italia per quello che avevo in mente di fare”

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studiando per perfezionare il bracciale e capire come l’attacco possa essere previsto. Stiamo inoltre lavorando in nuove direzioni. C’interessa scoprire, per esempio, se questo tipo di tecnologia possa dirci in futuro, con una certa affidabilità, se un soggetto si trova in uno stato depressivo o meno”. Il percorso passa per gli studi in Architettura e incrocia presto l’Affective Computing, branca di studi della Computer Science nata con la robotica. “L’Affective Computing riguarda lo studio nell’uomo delle risposte emotive, a partire dall’analisi dei segnali fisologici. Per esempio le impressioni facciali. Lo scopo è ottimizzare l’interazione uomo-macchina e insegnare ai robot come reagiscono gli umani. Con Simone Tognetti e Maurizio Garbarino ho cominciato a lavorare sui sensori, per capire che cosa accadeva alle persone nella vita quotidiana. Si è trattato per me di passare dallo studio dei sensori sulla scala della città, all’epoca in cui lavoravo nel laborato-

rio di Carlo Ratti, allo studio dei sensori sulla scala dell’uomo. L’Affective Computing può produrre risultati in ambito medico-scientifico, come nel caso di Empatica, o può essere impiegato in pubblicità, per esempio, analizzando le reazioni di uno spettatore di fronte a uno spot”. Empatica è per 3\4 italiana, mentre americana è l’altra fondatrice, Rosalind Picard, direttrice del “Affective Computing Research Group” del MIT di Boston, che da subito ha creduto nel progetto. Dal febbraio 2018, inoltre, Empatica ha ottenuto la certificazione della Food and Drug Administration, ente americano che regola i prodotti alimentari e farmaceutici. Il braccialetto E3, definito dagli esperti “una pietra miliare nella cura dei pazienti con epilessia”, non è soltanto uno strumento che si è rivelato indispensabile nella vita di molte persone, ma vanta un design d’indubbio rigore e raffinatezza. È un aspetto al quale Lai attribuisce una certa impor-


tanza: “In medicina si tende a trascurare la qualità estetica di un prodotto, considerandola un dettaglio secondario. Come se le persone che soffrono di una malattia cronica fossero clienti di serie B. Invece se l’oggetto è bello ed elegante, ci si sente più a proprio agio e fieri d’indossarlo”. Nella biografia pubblicata sul suo profilo Twitter Matteo si definisce un “Techlover”. “Mi è sempre piaciuto costruire cose. Da piccolo avevo l’abitudine di disegnare prima il progetto su un foglio di carta, dopodiché con i Lego realizzavo l’oggetto disegnato. Ho sempre amato costruire, sia oggetti fisici che oggetti digitali, così come crescendo, al liceo, ho imparato ad amare la lettura. Una delle mie sfide è riuscire a leggere almeno un libro alla settimana, alternando il saggio al romanzo”. L’amore per la progettazione, quindi, se risale ai mattoncini Lego, nasce davvero da molto lontano, come un gioco, e diventa poi un lavoro, ricerca e una filosofia. “Progettare si-

gnifica creare prodotti che incontrano i bisogni delle persone. Che sia una casa, un’automobile, un’applicazione per cellulare, si tratta sempre della stessa cosa: soddisfare dei bisogni”. Una passione che non si è mai perduta, fino all’incontro col Politecnico che Lai riteneva, da ragazzo, il luogo migliore per intraprendere gli studi e dare sostanza alle proprie ambizioni. “I problemi che oggi si pongono a chi progetta sono complessi e sfaccettati. È necessario avere più competenze ed essere in grado di comunicare con professionalità diverse. Senz’altro la mentalità da progettista, la vera e propria forma mentis, che nel mio caso significa guardare le cose da più punti di vista, è il vero dono che ho ereditato dai miei studi al Politecnico e ho portato con me nel corso della vita”.

“La mentalità da progettista, imparare a guardare le cose da più punti di vista: questo il vero dono ereditato dal Politecnico”

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L’UOMO CHE SENTE TUTTO DELL’AMERICA Fluidmesh è un’azienda che si basa sulla tecnologia wireless per creare trasmettitori radio. Un orgoglio Made in Italy, e made in Polimi, utilizzato oggi dai principali dipartimenti di sicurezza d’America. Ne abbiamo parlato con uno dei fondatori, l’Alumnus Andrea Orioli di Nicola Feninno

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ANDREA ORIOLI - 38 anni VP Operations Fluidmesh Networks Alumnus Polimi Ingegneria Informatica

"Camminavo per i corridoi del Politecnico con un’idea in testa. Poi quell’idea divenne un business plan"

“You are your only limit”, recita un cartello appeso al muro nella sede milanese della Fluidmesh. Andrea Orioli racconta di quando, ancora studente al Politecnico, provò a sfidare i suoi limiti con un’idea. “Era il 2004, l’ultimo anno di università. Lessi un articolo che raccontava la dura vita del fotogiornalista sportivo. Te ne stai lì appostato per tutti i novanta minuti di una partita di calcio, dietro i cartelloni pubblicitari, con la tua macchina fotografica. Una sera sei fortunato: cogli l’attimo, il momento in cui l’attaccante segna il gol decisivo e la rete si gonfia. Hai la foto perfetta. Ma anche il tuo collega, quello lì a fianco, è stato bravo, ha colto l’attimo e ha la foto perfetta salvata nella sua fotocamera. Riesce a connettersi alla rete prima di te e a inviare la foto in redazione battendoti sul tempo. Il tuo scatto perfetto, a quel punto, non interessa più nessuno. Così mi è venuta l’idea: dare una connettività performante tramite wifi, durante i grandi eventi sportivi, per tutti i cameraman,

fotografi, giornalisti”. Siamo nel 2005, e ai tempi non esisteva né le rete 4G, né quella 3G. Non era ancora uscito il primo iPhone. “Con questa idea in testa camminavo per i corridoi del Politecnico. Ho notato una locandina della Start Cup, la competizione che premia le migliori idee per nuove startup. Lo prendo quasi come un segno. Così chiamo due amici. Ci iscriviamo, stiliamo il business plan, arriva l’estate e andiamo in vacanza. A settembre i risultati: ci classifichiamo secondi. Tradotto: il Politecnico ci mette a disposizione un piccolo budget di partenza, e la possibilità di entrare nell’incubatore in piazza Leonardo. Decido di contattare Torquato Bertani, un amico che come me frequentava il Poli. Torquato, a sua volta, coinvolge Umberto e Cosimo Malesci, due fratelli che studiano al MIT di Boston e che stanno lavorando su una tecnologia simile. Così – con quattro soci fondatori, due nazioni e l’Atlantico in mezzo – nasce Fluidmesh”.

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Nelle due foto: un tratto della linea Ferrovie del Gargano, una delle principali linee ferroviarie del Sud Italia, e la metropolitana di San Pietroburgo. In entrambi i casi, il sistema WiFi viaggia grazie a Fluidmesh.

Era il 15 gennaio 2005. L’incubazione al Politecnico dura più di tre anni. “Sono stati fondamentali. Avevamo a disposizione degli spazi di lavoro e un servizio di segreteria. Ma, soprattutto, lì dentro abbiamo capito come trasformare la nostra idea in un business concreto”. Poi il primo ufficio in via Farini. Oggi l’headquarter è all’81 di Prospect Street, a Brooklyn, New York. La parte di ricerca e sviluppo è rimasta in Italia. E anche l’idea, in fondo, è rimasta quella iniziale: dare connettività nelle situazioni più difficili. Sono le situazioni che sono cambiate. Non più il fotogiornalista sportivo in gara allo stadio con il collega. Ma – giusto per fare un esempio – l’intera città di Charlotte, nel 2008, durante la campagna elettorale di Obama: Fluidmesh si è occupata di tenere costantemente connesse tra loro tutte le telecamere, per garantire la sicurezza dell’evento. La stessa cosa è accaduta durante la maratona di Boston del 2014, l’edizione successiva a quella funestata dall’attentato. Oppure, ancora, in una miniera d’oro in Messico, 500 metri sotto il livello del suolo, dove macchinari grandi come palazzi si muovono coordinando i loro spostamenti tramite le reti installate da Fluidmesh. ”Abbiamo pensato a una tec-

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nologia disegnata in maniera speciale, che permette di non perdere mai la capacità della rete”. Dal 2005 ad oggi ha stabilito più di 30mila miglia di connessioni wifi. Poco più della circonferenza dell’intero pianeta Terra. “La nostra tecnologia è perfetta per dare un’ottima connessione anche ai treni, senza cadute di segnale. Ma anche per permettere a mezzi senza conducente – metropolitane, treni, in futuro anche le auto – di circolare in sicurezza: a Lione abbiamo fatto un progetto di questo tipo. Siamo presenti anche nel settore dell’entertainment, collaborando con Disney e Universal Studio, per i parchi di divertimento. Ad esempio le attrazioni su rotaia, che si muovono attraverso scenari magici, egizi, pirateschi, ora grazie a noi non hanno più le rotaie”. Passando dal divertimento a qualcosa di più concreto, Orioli consiglia sempre di “guardare le cose per capire come funzionano, e non solo per usarle. Capire perché sono state pensate e disegnate in quella determinata maniera. Questa forma mentis la devo al Politecnico”.

"La città di Charlotte durante la campagna di Obama. La maratona di Boston. Una miniera d’oro in Messico. Fluidmesh c’era sempre"


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MILANO-LONDRA, PASSANDO PER LA NUOVA ZELANDA L’Alumnus Giuseppe Bono ci racconta di traguardi e orizzonti internazionali, e dell’importanza di non dimenticare le proprie radici: i punti di partenza di Nicola Feninno

GIUSEPPE BONO, 32 anni Chapman Taylor Architects Alumnus Polimi Architettura

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“Girare il mondo non significa solo conoscere nuove culture ma soprattutto comprendere meglio la propria”

Una carriera internazionale che parte dal Politecnico, passa attraverso l’altra parte del mondo, in Australia e Nuova Zelanda, e giunge – per ora – a Londra, negli studi di Chapman Taylor, dove lavorano oltre 400 tra architetti e designer nelle 18 sedi dislocate in giro per il mondo. Giuseppe Bono in questo momento sta lavorando alla progettazione del Brent Cross Shopping Centre, a Londra: circa un milione di metri quadrati tra negozi, ristoranti, hotel, infrastrutture e spazi pubblici. Negli ultimi anni ha seguito la progettazione architettonica di edifici su varie scale, partendo dal design di interni sino a giungere al masterplanning di centri multifunzionali (aree urbane dove si mescolano strutture commerciali, residenze, infrastrutture, hotel e spazi pubblici) in diverse parti del mondo. Ha solo 32 anni. Iniziamo dal primo passo: come sei arrivato da Milano alla Nuova Zelanda? Facendo un corso d’inglese ad Oxford, appena dopo la laurea, nel 2012. E poi interrompendo un dottorato in composizione architettonica. Mi sono guardato in giro: a Auckland ho trovato l’opportunità; e ho fatto le valigie. Sono arrivato in un ufficio piccolo, molto più piccolo di quello in cui sono ora. Lo studio funzionava in maniera binaria, ovvero da un lato come un tradizionale studio di progettazione e dall’altro come una società che si occupava dell’importazione di prodotti e tecniche costruttive europee. In Oceania gli edifici residenziali sono per la maggior parte costruiti in legno oppure in blocchi di cemento. Non ci sono i laterizi forati che si usano da noi. E sono piaciuti, i nostri forati, in Oceania? Sì, li abbiamo utilizzati principalmente per la costruzione di ville singole e complessi residenziali. Le finiture, poi, venivano realizzate con altri prodotti, sempre di importazione europea: marmi, intonaci, mattoni, ceramiche. L’obbiettivo era quello di offrire alle persone una qualità diversa dell’abitare e del vivere, una soluzione concreta ai problemi costruttivi tipici in quelle aree del pianeta. Insomma hai tenuto ben presente da dove arrivavi... Già. Sembra un paradosso, ma girare il mondo non significa solo conoscere nuove culture ma soprattutto com-

prendere meglio la propria. In Italia tornerei, ma solo con un progetto serio e concreto. Abbiamo una grande storia, una grande cultura; ma dovremmo imparare ad avere una visione dinamica di questo patrimonio. C’è qualche momento degli anni del Politecnico che ritieni prezioso, fondamentale per le tue scelte di oggi? La prima cosa che mi viene in mente sono le lezioni di composizione architettonica del mercoledì mattina. Quelle coordinate dal professor Guido Canella. Erano opportunità imperdibili per conoscere grandi figure del panorama architettonico nazionale ed internazionale e per nutrire in maniera onnivora la propria conoscenza. Erano giri intorno al mondo, seduti dietro i banchi di scuola. In generale, mi ritengo molto fortunato ad aver frequentato gli ultimi anni dei corsi di Architettura in Bovisa: in quei luoghi ho imparato la misura umanistica dell’architettura italiana, la visione dell’architetto come figura intellettuale ancor prima che tecnica, l’inestimabile importanza del libro come deposito infinito di idee. Ho letto tantissimo, in quegli anni; praticamente tutto ciò che contenesse almeno un punto e una virgola: dalla critica di Longhi a quella letteraria di Contini, dagli Scritti corsari di Pasolini a quelli di critica operativa di Argan. Un approccio umanistico e intellettuale, che sembra diametralmente opposto a quello del mondo anglosassone; il mondo in cui lavori ora. Sì, sia in Inghilterra che in Nuova Zelanda si respira pragmatismo anglosassone e devo ammettere che questo mi piace molto. Sono sempre stato curioso e attratto da ciò che non conosco. Ecco, questa attitudine la devo in parte anche a quegli anni in Bovisa e a quelle lezioni del mercoledì mattina in cui apprendevo i rudimenti di un’intellettualità onnivora. Se avessi di fronte un ragazzo che sta per iscriversi ad Architettura, cosa gli consiglieresti? Di consigli veri e propri non ne do perché sono superflui; ognuno vive la vita alla propria maniera e secondo la propria sensibilità. Mi limito a suggerire solo una cosa: bisogna avere ben chiaro da dove si parte altrimenti non si arriva da nessuna parte. Le radici sono importanti.

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Stevenson House, Waikato (New Zealand)

“Al Politecnico ricordo giri intorno al mondo, seduti dietro i banchi�

Westgate Oxford Shopping Centre, Oxford (United Kingdom)

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GIULIO CESAREO - 62 anni Presidente e AD Directa Plus Alumnus Polimi Ingegneria Meccanica

L’INGEGNERE CHE PULISCE GLI OCEANI Il grafene, un nuovo materiale con enormi capacità di assorbimento, e un Alumnus che immagina di utilizzarlo come una spugna per ripulire le acque contaminate da sostanze tossiche. Storia di una startup diventata la più grande azienda produttrice in Europa di fogli di grafene 84

di Valerio Millefoglie


La sede di Ad Directa Plus si trova nel parco scientifico tecnologico di ComoNExT, a Lomazzo (Co)

Un imprenditore, uno scienziato, un top manager e un esperto di vendite si ritrovano attorno al tavolo di un pub di Cleveland, nell’Ohio. Non parlano di sport ma di nanotecnologie. “Era il 2004 e ci chiedevamo come arrivare a particelle molto piccole, che potessero poi essere usate come super-additivo”, ricorda oggi Giulio Cesareo, presidente e Ad di Directa Plus, uno dei più grandi produttori e fornitori, a livello europeo, di prodotti a base grafene. Nel 2010, pochi anni dopo quelle “chiacchiere da bar”, sono i primi a firmare il brevetto rilasciato dal Patent Office Americano per la produzione industriale e l’applicazione del grafene. Il materiale viene lavorato attraverso un procedimento originale che permette a Directa Plus di realizzare un prodotto naturale, chemical-free e sostenibile, per applicazioni commerciali in svariati settori; dal tessile ai pneumatici, dai materiali compositi sino alle soluzioni per la pulizia dell’ambiente. “Il grafene può assorbire fino a cento volte il suo peso - spiega Giulio Cesareo - i sistemi utilizzati finora assorbono una sola volta il proprio peso. Immagini delle enormi spugne che, immerse nelle acque contaminate, riescono ad assorbire tonnellate di quantitativi di olio. Il prodotto presenta caratteristiche sostenibili, perché può essere spremuto più volte e alle fine del processo, una volta ridotto a volumi limitatissimi, potrebbe andare a finire negli additivi per gli asfalti, rendendo la vita delle strade più lunghe”. E proprio nel 2018 Directa Plus stringe un accordo con Sartec

per sviluppare un sistema industriale per il trattamento delle acque di processo contaminate da petrolio, destinato alla filiera dell’Oil&Gas e basato sull’utilizzo di Grafysorber®, prodotto da fogli di grafene. Tornando indietro ai tempi da pionieri, Giulio Cesareo racconta: “Come in una storia americana, ci siamo chiusi in garage a fare esperimenti strani. Ho quest’immagine di me che giravo con una saldatrice ad arco. Nessuno prima di allora aveva pensato di espandere il grafene a diecimila gradi centigradi, una temperatura molto vicina a quella del sole. In questo modo il materiale esplode in modo violento, facendo sì che i singoli piani di grafene si stacchino, creando così dei fogli di grafite. Ci siamo accorti che stava realmente accadendo qualcosa di unico, abbiamo scoperto che riuscivamo a non danneggiare la natura cristallina del carbonio, a non cambiargli le caratteristiche, ritrovandoci così un materiale in 2D, sensibile, trasparente e multidisciplinare. E, cosa fondamentale, senza utilizzare sostanze chimiche”. La grafite è stata scoperta nel 1947 dal fisico Philip Wallace, convinto però di non poterla isolare. Cinquant’anni dopo ci riescono i russi Andre Geim e Konstantin Novoselov, utilizzando un semplice nastro adesivo. Pochissimo tempo dopo Giulio Cesareo apre Directa Plus. “Siamo una società piccola - spiega - ma che ha deciso di giocare subito la partita globale. Volevo trovare soluzioni applicabili nella realtà industriale del presente, non del

“Abbiamo scoperto qualcosa di unico, che può avere applicazione dal campo farmaceutico sino a quello tessile e ambientale”

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futuro. Sono un ingegnere meccanico del Politecnico ma ho anche tanta esperienza nel settore della strategia aziendale, così ho detto: Andiamo nei mercati esistenti, andando a validare il nostro brevetto competendo con il carbon black”.

“Con il grafene volevo trovare soluzioni applicabili nella realtà industriale del presente. Non del futuro”

Un ingegnere meccanico del Politecnico che, in una vecchia foto presente sul suo sito, regge un cartello in mano ai bordi di una strada. “Ero in Inghilterra e facevo l’autostop, partecipavo a un percorso ecologico con un gruppo internazionale per ripulire un fiume. Eravamo diretti a Capo Nord e credo che su quel cartello ci fosse scritta una località in cui nemmeno arrivava la strada. Immaginavo un mondo tutto da scoprire e ancora credo ci sia tanto da scoprire. Il mio patto con la vita è questo: l’innovazione ha senso se ci permette di vivere in un mondo migliore. L’innovazione che ti porta in un mondo diverso, peggiore, o che ti fa usare materiali difficili da recuperare, deve essere una visione passata. E i nanomateriali sono soste-

In queste foto granuli di grafene e una dimostrazione del procedimento di Grafysorber®

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nibili, e aumentano in maniera stratosferica le loro proprietà”. Dopo quel viaggio in Inghilterra, Cesareo prende la strada del Politecnico, anche grazie al padre. “Era un ingegnere e dirigeva le acciaierie Falk. Mi aveva affascinato portandomi sul suo posto di lavoro. All’epoca c’era poca automazione, parliamo degli anni ’70. Era un mondo di persone toste, di gente che faceva qualcosa anche di pericoloso e con grande coraggio e fatica. Ho fatto la mia tesi sperimentale proprio sul forno elettrico della Falq. E devo dire che trovo delle similitudini con il Poli. Al Politecnico si impara non solo l’ingegneria ma anche a fare fatica. S’impara prima di tutto a impegnarsi, a concentrarsi e ad avere un pensiero profondo. Tanti si concentrano in periodi brevi, ma se si vuole arrivare alla comprensione ultima e portare avanti un’attività bisogna sapersi concentrare a fondo. E questa è una caratteristica che ritrovo anche in tanti giovani che lavorano da noi in Directa e che provengono dal Politec-


nico. Sono tutti ragazzi che potrebbero andare a lavorare in Silicon Valley ma rimangono qui perché hanno un sogno. E hanno la capacità di arrivare per vie diverse a soluzioni sempre interessanti, non sempre corrette. Ma il grande dono di questa scuola è il saper farti trovare il tuo percorso. Chi viene fuori da questa scuola ha tante carte per realizzare ciò che desidera”. All’ingresso delle Officine del Grafene, sede di Directa Plus, nel polo tecnologico di ComoNExT, c’è questa frase scritta sul muro: “Senza coraggio non si inizia un viaggio”. Cesareo la spiega così: “Quando abbiamo inaugurato le Officine nel 2014 mi è stato chiesto come volessi condensare i miei ultimi dieci anni di vita da imprenditore. Il coraggio per me è stato lasciare una grande multinazionale nella quale lavoravo, la Union Carbide, e partire da zero, senza salario, cercando di costruire qualcosa. Il viaggio è stato mettermi in cammino, mostrando ad altri imprenditori solo la mia faccia e un pezzo di carta con sopra un’i-

dea. E, infine, devo dire che il viaggio è stato proprio quello nel grafene, un’esperienza che parte dal macro per poi arrivare al micro, ma anche un viaggio personale, fatto di incontri umani”. Oggi Directa Plus è stata quotata all’AIM di Londra, capitalizzando più di 52 milioni di sterline, e conta 30 dipendenti nella sede di Lomazzo, in provincia di Como. E ancora una volta, il Poli ha fatto la sua parte. “Una volta avviata la startup cercavamo un luogo dove installarci, eravamo indecisi se Germania o Italia. Poi sono andato a visitare il parco tecnologico di ComoNExT su invito di Roman Sordan, un insegnante del Poli che in uno scantinato aveva realizzato il primo chip al grafene. Con lui lavoravano studenti brillanti e mi sono detto che quella era la mia patria. La fonte da cui attingere. Pensi che ComoNExT è stato costruito dove prima c’era una vecchia stazione ferroviaria. Chi viene dall’estero commenta: «Solo gli italiani possono fare alta tecnologia in una stazione di fine ‘800»”.

“Al Politecnico si impara non solo l’ingegneria ma anche a fare fatica. Ad avere un pensiero profondo”

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Nella foto, da sinistra: Alberto Lucchini, Giulia Realmonte, il prof. Enrico Zio, Alessio Durante e Serena Farina

I RAGAZZI DEL CIRCLE

Ogni anno il Politecnico sceglie 2 studenti da premiare, su criteri di merito accaddemico, con “super” borse di studio da 20 mila euro, accompagnate da un percorso di mentoring con Alumni d’eccellenza. Ecco chi sono e cosa vogliono fare da grandi i 4 studenti che hanno vinto la borsa Circle del 2016

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ALESSIO DURANTE 24 anni - Teramo

“Quella dei Circle è un’opportunità unica in Italia. Nessun’altra università valorizza in questo modo i propri studenti migliori.”

Laureato a luglio 2018 in Ingegneria Elettrica (magistrale) con 110 E LODE! “Sono davvero onorato di essere entrato nei Circles. Sto imparando a dare sempre il massimo, raccogliendo tutte le sfide che si presentano. E sto apprezzando il valore delle soft skills, talvolta anche più importanti delle technical skills, ed in genere difficili da apprendere dai corsi universitari di Ingegneria. Penso sia un’opportunità unica in Italia. Nessun’altra università valorizza in questo modo i propri studenti migliori. Al termine del mio percorso di studi mi piacerebbe avere un ruolo attivo nella trasformazione del sistema elettrico, sempre più influenzato dalle rinnovabili, dalla digitalizzazione e dalla crescente diffusione di veicoli elettrici”.

Secondo anno magistrale di Ingegneria Elettronica “Sono contenta di essere entrata a far parte di Circles, in un certo senso rappresenta la ricompensa per gli sforzi di questi anni. Ho sempre cercato di essere protagonista attiva nello studio e di non vivere da semplice spettatore un momento di formazione e di crescita personale. Credo sia importante cercare di capire come quello che ci viene fatto studiare si colleghi con la realtà. Circle è un primo passo che permette a noi studenti di avere una relazione significativa con mentor di alto livello e confrontarsi con le loro esperienze. In futuro mi piacerebbe avvicinarmi al mondo della ricerca, sono particolarmente affascinata dalla grande sinergia fra i problemi dell’ambito biomedico e le tecnologie messe a disposizione dall’Elettronica, ma sarei curiosa di conoscere qualcosa in più sul Machine Learning e l’Artificial Intelligence”.

ALBERTO LUCCHINI 23 anni - Sedriano

“Il Politecnico è pieno di studenti brillanti e con molti interessi e perciò è davvero un motivo d’orgoglio aver ottenuto questa borsa di studio”

SERENA FARINA

23 anni - Milano

“Circle è un primo passo che permette a noi studenti di avere una relazione significativa con mentor di alto livello e confrontarsi con le loro esperienze”

Secondo anno magistrale di Ingegneria Automazione “Il Politecnico è pieno di studenti brillanti e con molti interessi e perciò è davvero un motivo di orgoglio aver ottenuto questa borsa di studio. Nello studio cerco di essere molto preciso e di non trascurare nessun dettaglio. Credo che l’insegnamento più importante del Politecnico sia quello di non accontentarsi facilmente e di non fermarsi di fronte alla prima difficoltà. L’impegno e l’entusiasmo sono un fattore decisivo per raggiungere i propri obiettivi. Inoltre la grande ricchezza dei Circles risiede nell’esperienza di tutte le persone che ne fanno parte, compresi gli studenti. L’ambiente universitario mi piace molto e dopo la laurea vorrei ottenere un Ph.D., magari all’estero. Inoltre mi piacerebbe lavorare nel settore dell’automazione industriale, in particolare della robotica.”

Laureanda magistrale in Ingegneria Energetica “È molto bello sentirsi parte di questa community di Alumni con un paio d’anni d’anticipo, mi sto rendendo conto di quanto deva all’impostazione politecnica il modo di affrontare tutti i problemi e le sfide che incontro. Mi piace ascoltare le storie dei donatori e ricevere consigli da chi ha accumulato esperienza tramite le scelte e gli errori fatti in passato. Parlando con loro ci si sente tutti quasi sullo stesso piano, in quanto accomunati dall’aver condiviso gli stessi banchi, e direi anche le stesse sofferenze. I Circles mi danno la possibilità di capire cosa ci sarà un domani, fuori dai confini dell’università e delle aule. Vorrei trovare un lavoro legato al tema dell’energia, perché penso che la transizione energetica che stiamo vivendo a livello globale sia una sfida affascinante e stimolante”.

GIULIA REALMONTE 24 anni - Milano

“È molto bello sentirsi parte di questa community di Alumni con un paio d’anni di anticipo e ricevere consigli da chi ha accumulato esperienza tramite le scelte e gli errori fatti in passato”

Circle of Donors è un progetto del Politecnico di Milano per supportare i migliori studenti con borse di studio abbinate ad un supporto personale di Mentoring. Gli studenti selezionati ricevono 10.000 euro all’anno per i due anni della laurea magistrale. Le borse di studio sono volute e finanziate dagli Alumni: ciascun donatore si impegna a donare 2.000 euro all’anno per 5 anni e a incontrare gli studenti selezionati almeno due volte all’anno, condividendo esperienze e consigli per il loro futuro professionale. il progetto è stato lanciato nel 2016 e da allora sono stati scelti 4 studenti; i prossimi due verranno “adottati” da Circle a partire da ottobre 2018. Per sostenere il progetto contatta alumni@polimi.it

SCOPRI I DONATORI

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GLI ALUMNI

DONATORI ROBERTO BELTRAME

ALESSANDRO CATTANI

PAOLO CEDERLE

PAOLO ENRICO COLOMBO

ENRICO DELUCHI

LUIGI FERRARI

GUGLIELMO FIOCCHI

ANGELO FUMAGALLI MARIO GAIA ROMARIO

AD MICROELETTRICA SCIENTIFICA ALUMNUS INGEGNERIA MECCANICA 1988

FONDATORE E AMMINISTRATORE DELEGATO ATANDIA SRL - IMPACT INVESTING INITIATIVES ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRONICA 1987

NICOLA GAVAZZI

CEO ESPRINET ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRONICA 1990

CEO LIMA CORPORATE ALUMNUS INGEGNERIA GESTIONALE 1992

MANAGING DIRECTOR E COUNTRY MANAGER RUSSELL REYNOLDS ITALIA ALUMNUS INGEGNERIA CHIMICA 1979

MASSIMO LUCCHINA

EXECUTIVE DIRECTOR SAMSUNG ELECTRONICS ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRONICA 1990

STEFANO SALTERI

FORMER CEO WINCOR NIXDORF ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRONICA 1979

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Il progetto, lanciato nel 2016, coinvolge ad oggi 23 Alumni Polimi e amici del Poli che hanno donato oltre 100.000 € in borse di studio.

VICE PRESIDENTE EVERIS ITALIA SPA ALUMNUS INGEGNERIA MECCANICA 1987

CEO E FOUNDER GF4BIZ ALUMNUS INGEGNERIA AERONAUTICA 1986

LUCIANO GOBBI

SENIOR ADVISOR LANDMARK GROUP ALUMNUS INGEGNERIA NUCLEARE 1977 ARCHITETTURA 1982

ANDREA MANFREDI

INTERNAL AUDITOR INTESA SAN PAOLO ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRICA 1978

FRANCESCO STARACE

PRESIDENTE E AD SOL ALUMNUS INGEGNERIA CHIMICA 1982

ALBERTO IPERTI

PRESIDENTE TERNA RETE ITALIA ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRONICA 1989

MARCO MILANI

PRESIDENTE VALLESPLUGA ALUMNUS INGEGNERIA CHIMICA 1967

AD ENEL ALUMNUS INGEGNERIA NUCLEARE 1980

EXECUTIVE VICE PRESIDENT TXT E-SOLUTIONS ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRONICA 1980

ENRICO ZAMPEDRI

RICCARDO MONTI

PRESIDENTE BCG - THE BOSTON CONSULTING GROUP ALUMNUS INGEGNERIA CIVILE 1984

AD METRA ALUMNUS INGEGNERIA GESTIONALE 1992

GIAN PAOLO DALLARA

FONDATORE E PRESIDENTE DALLARA AUTOMOBILI ALUMNUS INGEGNERIA AERONAUTICA 1957

FOUNDER & HONORARY CHAIRMAN TURBODEN ALUMNUS INGEGNERIA MECCANICA 1968

ANDREA LOVATO

CEO TENOVA ALUMNUS INGEGNERIA GESTIONALE 1989

ALBERTO ROSANIA

CONSULENTE INDUSTRIALE FINANZIARIO ALUMNUS INGEGNERIA ELETTROTECNICA 1964

ENRICO ZIO

PRESIDENTE ALUMNIPOLIMI ASSOCIATION ALUMNUS INGEGNERIA NUCLEARE 1991



NOI E LORO: PROFESSORI VS STUDENTI Fenomenologia semiseria di una lotta eterna

LAMBERTO DUÒ 56 ANNI ALUMNUS POLIMI INGEGNERIA ELETTRONICA

Io credo che l’unica differenza fra professore e studente sia anagrafica. Sono stato studente, e non ero meno intelligente di quanto lo possa essere oggi. Ero più giovane, più spensierato, ma ero sempre io. Infatti agli studenti do del “tu”. Alcuni colleghi mi dicono che non va bene, ma per me è proprio un modo per non rimarcare, al di là dei ruoli, la differenza. Quello che posso dire, rispetto al passato, è che gli studenti di oggi mi sembrano più educati, più disciplinati, ma anche più silenti. E il che non è una cosa esclusivamente positiva. Ho la sensazione che se entrassi in aula e annunciassi con grande serietà e convinzione: “Ragazzi, oggi facciamo ginnastica sotto il sole”, mi seguirebbero tutti. Quando io ero studente non sarebbe successo. Ricordo che eravamo una generazione più appassionata, accesa nelle discussioni, intraprendente, che provava a buttare il cuore oltre l’ostacolo. Forse adesso i ragazzi hanno un pochino meno quella cosa che definirei “fame”. Durante la lezione fatico a ricevere feedback, a capire se stanno capendo e, soprattutto, se a loro interessa di capire. A volte questo approccio poco consapevole lo ritrovo all’ul-

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timo esame, quando chiedo allo studente “Cosa intendi fare dopo la laurea?” e mi risponde spiazzato “Come cosa intendo fare dopo?”. Non c’è un “dopo vedrò”, è oggi che devi decidere cosa fare della tua vita. Capire cosa vuoi fare, ti fa capire chi sei e anche chi non sei. Un’altra cosa che mi fa arrabbiare è quando piangono durante gli esami. Lo trovo ingiusto. Mi verrebbe da dire: “Siamo qui, non ti sto torturando, tieni duro e andiamo avanti”. Pretendo, in sede d’esame, che vadano al di là della pagina letta e studiata, che mi facciano un collegamento, che mostrino insomma di aver costruito una loro impalcatura di pensiero. Detto questo, a me lo studente piace. Fa le sue cose, nel bene e nel male. E una cosa che dico spesso a lezione è di mantenere un approccio problematico allo studio, ovvero quella capacità di reggere il dolore interiore per l’impossibilità di comprendere tutto. Le cose sono difficili, non si capiscono, ci sono tante domande a cui non sappiamo rispondere.

VS


Illustrazione di Alessandro Baronciani

VS

Uno è professore di Fisica Sperimentale al Politecnico di Milano dal 1999, l’altro è studente di Ingegneria dal 2014. In comune hanno l’aula, che condividono prendendo posto uno di fronte all’altro. Li abbiamo fatti incontrare e fatti sedere accanto, per dirsi tutto

MICKEY MARTINI 23 ANNI STUDENTE DI INGEGNERIA FISICA

Ho avuto Lamberto Duò come professore. Non penso sia severo. Più che altro se a un esame uno studente sbaglia, è giusto che lo sia. Poi c’è una severità giusta e una fine a se stessa. Comunque la difficoltà dell’esame dovrebbe essere tale da spronare e invogliare lo studente a studiare parecchio e a ragionare. Non so se oggi, rispetto al passato, siamo più menefreghisti. Non c’ero, non so come fosse prima. Nel mio caso specifico, quando ho una domanda, il professore è l’ultima spiaggia a cui porla. Non lo trovo utile. Se ho un dubbio e gli chiedo subito delucidazioni, mi perdo la possibilità di trovare da solo la risposta. Di arrivare alla soluzione senza aiuto. E poi , certo, c’è anche la paura di mettersi in gioco, quel misto di timore e insicurezza che ti scoraggiano, che ti fan pensare che la tua domanda sia di poco conto, non così intelligente o acuta. Nei miei compagni di studio però vedo molta forza di volontà. Tutti studiano lo stesso quantitativo di ore. Rimangono fino a tardi in aula studio, fino alla chiusura. Poi tornano a casa e continuano

a studiare. Magari è meno visibile quell’approccio quasi “fisico” di discussione che poteva esserci una volta, però per parlare di ostinazione e di “fame”, vorrei portare un esempio personale. Al secondo anno ho dato tre volte l’esame di Tecnologie Meccaniche, materia che confesso non era fra i miei primi interessi e che mi dava solo 5 crediti, per cui avrei potuto accettare anche un voto basso. Alla prima sessione rifiutai 25 all’orale. La seconda volta mi propose 24, ma c’era una domanda dello scritto che secondo me era stata valutata troppo bassa. Il professore mi propose di alzare il voto di +0,5, per arrotondare a 25, e così rifiutai. Tutto questo a fine luglio, per cui tornai a settembre. Durante l’esame mi chiese “Secondo lei come sta andando?”. Voleva propormi 25, poi mi fece altre due domande e mi diede 27. Riguardo al cosa fare dopo, so che vorrei fare il PhD. Poi, per fortuna, ho tante domande ancora senza risposta.

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1968 – 2018

Cinquant'anni nella nostra piazza

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Da cinquant’anni piazza Leonardo da Vinci è teatro di vita. Come in questo scatto, realizzato dall’allora studente di Architettura Walter Barbero. Si sarebbe laureato l’anno successivo, per poi diventare, come ce lo descrive l’Alumnus Stefano Levi Della Torre: “un sommozzatore, un architetto, uno scrittore, un antropologo, un navigatore su gozzi dall’arcaica velatura triangolare, un fotografo scientifico e poetico, un collezionista di meraviglie, un designer, un restauratore di città. La persona più cubista che io abbia conosciuto”. Barbero è venuto a mancare nel 2010. I suoi punti di vista, rimangono. Così come rimane Piazza Leonardo, ancora teatro di vita e di giornate. Di momenti indimenticabili.

Per la concessione della fotografia si ringrazia l’Archivio Walter Barbero

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Lettere alla redazione

POLIMI E DUOMO DI MILANO: UNA LUNGHISSIMA STORIA D’AMORE, AVANGUARDIA E TRADIZIONE Sono un vecchio ingegnere, un vecchio Alumno, un vecchio professore del Politecnico. Sono anche un vecchio milanese. Infine, sono anche un vecchio figlio di un altro professore del Politecnico, Piero Locatelli, docente e Direttore dell’Istituto di Scienza delle Costruzioni per moltissimi anni. Ho letto con interesse l’articolo contenuto nel terzo numero di MAP, che tratta della collaborazione tra Politecnico e Veneranda Fabbrica del Duomo. La collaborazione tra il Poli e la Veneranda non è nuova. Già negli anni ’60 del secolo scorso, mio padre fu nominato Presidente della commissione prefettizia incaricata di sovrintendere i lavori di ripristino del Duomo allorché si palesarono rimarchevoli lesioni nei pilastri del tiburio, ci si accorse che le catene delle arcate a sostegno della cupola si erano rotte e dovevano essere sostituite, ci si avvide che alcuni pilastri erano “fuori piombo”. La situazione apparve allora così compromessa che si ventilò persino d’inibire totalmente l’accesso alla Cattedrale. Alla Commissione, tra l’altro, fu affidato la grande responsabilità di decidere in merito al problema di lasciare il Duomo aperto, almeno in parte, ai visitatori. Fu studiato, dalla Commissione, un piano di intervento, si misero in opera nuove catene, si progettò un sistema rivoluzionario di riparazione dei pilastri ammalorati del tiburio, fu organizzato un rilievo delle lesioni visibili dei pilastri, blocco per blocco, dalle basi ai capitelli. Fu costruito un modello di uno dei quattro pilastri del tiburio (non a caso, il Poli ha fatto scuola in tutto il mondo nell’arte della modellazione delle strutture). Il modello di pilastro fu caricato, portato a rottura parziale per simulare le lesioni osservate, riparato, seguendo la metodologia di cui ci si voleva avvalere, e infine caricato di nuovo per cogliere il funzionamento della struttura dopo l’intervento di restauro.

Accanto: il prof Piero Locatelli e un’immagine del Duomo di Milano durante il suo piano d’intervento. Nella pagina a destra: appunti delle lezioni, il prof. Locatelli con l’allievo Leo Finzi e le fasi di rinforzo del restauro dei piloni del tiburio del Duomo

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Gli esiti soddisfacenti dei test consentirono di intraprendere i lavori, al vero, in Duomo. Un formidabile impianto di rilievo dati fu installato, con trasmissione di segnali a distanza, utilizzo di rilevatori elettrici di componenti di spostamento, monitoraggio di stati tensionali con estensimetri elettici, eccetera. C’era anche un pendolo installato ai piedi della Madonnina che rivelò come la guglia, come ovvio, rispondesse con ritardo alle variazioni termiche, trasmettendo i dati rilevati negli uffici della Veneranda Fabbrica. Ci fu un terribile danno quando un fulmine colpì il Duomo danneggiando gran parte della strumentazione elettrica installata. Ricordo anche che l’Istituto di Topografia del Poli collaborò alla vicenda del restauro e dei necessari controlli mettendo a punto una nuova metodologia di rilievi ottici particolarmente complessi. Regista, mente progettuale di tutto questo rivoluzionario procedimento, che all’epoca fece scalpore tra i cultori della materia, fu la Commissione Prefettizia di cui facevano parte, oltre a Piero Locatelli, Leo Finzi e Guido Mangano, che in moltri, tra i miei colleghi Alumni, ricorderanno per aver seguito le loro lezioni. Anche questi miei ricordi rappresentano solo una piccola parte della storia politecnica e delle eccellenze tecnologiche di cui tutti noi siamo stati e siamo partecipi. Dobbiamo essere orgogliosi della nostra grande tradizione e non dimenticarla, nemmeno oggi che tanto si parla di futuro e innovazione. Marco Locatelli Alumnus ing. Aeronautica 1956 Membro di una famiglia politecnica da 4 generazioni

RISPONDE IL PROF. DELLA TORRE

Direttore Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito "Mi fa molto piacere che Marco Locatelli abbia voluto riaprire il tema della memoria storica dei rapporti del Politecnico con la Fabbrica del Duomo. L'intervento di consolidamento dei pilastri del tiburio avvenne mentre ero studente, ne ho un ricordo fortissimo, e mi capita spesso di illustrarne l'esemplarità: da ultimo, ci siamo

ispirati a quell'intervento per la riparazione dei pilastri delle navate della Basilica di Collemaggio a L'Aquila. Il fine dell'intervista a cui mi sono prestato era quello di informare sulle attività in corso, non certo quello di rendere giustizia a una storia secolare, di cui ci sentiamo fortunati eredi."

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Numero 1 - Primavera 2017

Numero 3 _ Primavera 2018

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Cari Alumni, vi racconto il Poli di domani: lettera aperta del rettore Ferruccio Resta • La community Alumni raccontata da Enrico Zio • Atlante geografico degli Alumni • Il Poli che verrà, raccontato dal prorettore delegato Emilio Faroldi • Vita da studente di fine ‘800 • Come si aggiusta il Duomo di Milano • L’ingegnere del superponte • Una designer per astronauti • La chitarra di Lou Reed, firmata Polimi • Architettura italiana in Australia • VenTo: la pista ciclabile che parte dal Poli • Fubles, gli ingegneri del calcetto • Il parco termale più grande d’Europa • Gli ingegneri del tram storico di Milano • Polisocial Award: un premio all’impegno sociale • Nuovo Cinema Anteo • Caro Poli ti scrivo

Ferruccio Resta e il Politecnico di domani • Dossier: i numeri del Poli • La nuova piazza Leonardo • Renzo Piano: 100 alberi tra le aule • Gian Paolo Dallara e DynamiΣ: la squadra corse del Poli • PoliSocial: il 5x1000 del Politecnico di Milano • Gioco di squadra: tutto lo sport del Politecnico • Guido Canali, l’architettura tra luce e materia • Paola Antonelli, dal Poli al MoMA di New York • Zehus Bike+ e Volata Cycles, le bici del futuro • Paolo Favole e la passerella sopra Galleria Vittorio Emanuele • Marco Mascetti: ripensare la Nutella • I mondi migliori di Amalia Ercoli Finzi e Andrea Accomazzo • Nel cielo con Skyward e Airbus

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Standard Quando ero studente al Poli • Dottori di ricerca alle frontiere della conoscenza • Dove si costruisce il futuro del mondo • Poli da Olimpo • Mi ricordo la Casa dello Studente • La Nuova Biblioteca Storica • Il telescopio che guarda indietro nel tempo • Speciale Forbes: Lorenzo Ferrario, Gio Pastori • Big (Designer) Data • L’architetto, e il suo bracciale, salvavita • L’ingegnere che pulisce gli oceani • Il nuovo Cantiere Bonardi di Renzo Piano • L’uomo che sente tutto dell’America • La Gazzetta del Politecnico • Alumni da Podio: Fabio Novembre, Stefano Boeri • Tutte le Ferrari dell’ing. Fioravanti • I ragazzi del Circles • PoliHub, l’incubatore di talenti • 1968-2018 in Piazza Leonardo • Lettere alla redazione

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