MAP - Magazine Alumni Politecnico di Milano #3

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MAP Magazine Alumni Polimi

Numero 3 _ Primavera 2018

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Cari Alumni, vi racconto il Poli di domani: lettera aperta del rettore Ferruccio Resta • La community Alumni raccontata da Enrico Zio • Atlante geografico degli Alumni • Il Poli che verrà, raccontato dal prorettore delegato Emilio Faroldi • Vita da studente di fine ‘800 • Come si aggiusta il Duomo di Milano • L’ingegnere del superponte • Una designer per astronauti • La chitarra di Lou Reed, firmata Polimi • Architettura italiana in Australia • VenTo: la pista ciclabile che parte dal Poli • Fubles, gli ingegneri del calcetto • Il parco termale più grande d’Europa • Gli ingegneri del tram storico di Milano • Polisocial Award: un premio all’impegno sociale • Nuovo Cinema Anteo • Caro Poli ti scrivo

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Buona lettura. Il magazine che stai sfogliando esiste grazie al sostegno economico degli Alumni Polimi.

MAP Magazine Alumni Polimi

Numero 3 _ Primavera 2018

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Cari Alumni, vi racconto il Poli di domani: lettera aperta del rettore Ferruccio Resta • La community Alumni raccontata da Enrico Zio • Atlante geografico degli Alumni • Il Poli che verrà, raccontato dal prorettore delegato Emilio Faroldi • Vita da studente di fine ‘800 • Come si aggiusta il Duomo di Milano • L’ingegnere del superponte • Una designer per astronauti • La chitarra di Lou Reed, firmata Polimi • Architettura italiana in Australia • VenTo: la pista ciclabile che parte dal Poli • Fubles, gli ingegneri del calcetto • Il parco termale più grande d’Europa • Gli ingegneri del tram storico di Milano • Polisocial Award: un premio all’impegno sociale • Nuovo Cinema Anteo • Caro Poli ti scrivo

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N°0 - AUTUNNO 2016

N°1 - PRIMAVERA 2017

N°2 - AUTUNNO 2017

N°3 - PRIMAVERA 2018

PROSSIMO NUMERO

N°4 - AUTUNNO 2018

Unisciti ai 1931 Alumni che rendono possibile la redazione, la stampa e la distribuzione di MAP. Contributi annuali possibili

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· Presso il nostro ufficio: contanti, carta di credito o bancomat, da lunedì a venerdì dalle 9:30 alle 15:00 3 MAP Magazine Alumni Polimi


EDITORIALE

MAP, la mappa del Politecnico di domani 4 numeri, quasi 200 mila copie di carta che hanno raggiunto i 4 angoli del pianeta, 90 mila lettori. Queste sono le cifre del MAP a un anno e mezzo dalla sua nascita, un esperimento che finisce proprio con la copia che avete in mano e che ha avuto risultati molto positivi. Dal vostro sostegno e dalle vostre lettere emerge una grande curiosità per le novità dal Politecnico, la voce del rettorato, i percorsi degli Alumni all’estero, una ricerca di ispirazione nelle esperienze dei grandi, interesse rispetto a cosa stia facendo il Poli con la ricerca e con le aziende... E, anche in questo numero, le curiosità non mancano: vi portiamo dalla Stazione Spaziale Internazionale ai fondali della Nor-

vegia, dalle favelas fino in Australia passando per il cuore d’Italia, in un viaggio che comincia alla fine dell’800 e guarda a un futuro sempre più politecnico. L’esperimento continua, anche grazie al vostro sostegno economico che ci permette di pensare in grande. Quindi un grazie speciale ai quasi 2000 Alumni che scommettono su questo progetto finanziandolo di tasca propria. Avete in mano questa copia grazie a loro. Buona lettura e arrivederci a ottobre Federico Colombo Direttore Esecutivo AlumniPolimi Association Dirigente Area Sviluppo e Rapporti con le Imprese, Politecnico di Milano

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MAP

4 Editoriale

Magazine Alumni Polimi La rivista degli architetti, designer, ingegneri del Politecnico di Milano Direttore Responsabile Federico Colombo Direttore Esecutivo AlumniPolimi Association. Dirigente Area Sviluppo e Rapporti con le Imprese, Politecnico di Milano. Direttore della comunicazione Chiara Pesenti Dirigente Area Comunicazione e Relazioni Esterne, Politecnico di Milano Membri del Comitato Editoriale Ivan Ciceri Fundraising Manager, Politecnico di Milano. Luca Lorenzo Pagani Communication Manager AlumniPolimi Association, Politecnico di Milano. Irene Zreick Relations AlumniPolimi Association, Politecnico di Milano.

Cari Alumni, vi racconto il Poli di domani

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Una casa chiamata Politecnico

Caporedattore Valerio Millefoglie Collaboratori Davide Coppo, Nicola Feninno, Chiara Longo, Cosimo Nesca, Marco Villa Progetto grafico Stefano Bottura (www.betterdays.it) Impaginazione Beatrice Mammi Illustrazione di copertina Beatrice Mammi Crediti Foto pag. 4: 46137 on Visualhunt.com / CC BY-NC-SA Icone pag. 38 di Nook Fulloption da the Nounproject Pattern grafico pag. 96 da all-free-download.com Stampa La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio S.r.l. Editore e Proprietario AlumniPolimi Association Politecnico di Milano

Come si aggiusta il Duomo di Milano, secondo il Poli

Pubblicazione semestrale Numero 3 – primavera 2018 Registrazione presso il Tribunale di Milano n°89 del 21 febbraio 2017

Mappa 14 dei luoghi politecnici e Atlante degli Alumni Polimi

Vita da studente di fine ‘800

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26 L’ingegnere del superponte

Presidente Prof. Enrico Zio Delegato del rettore per gli Alumni Delegato del rettore per il Fundraising individuale P.zza Leonardo da Vinci, 32 20133 Milano T. +39.02 2399 3941 F. +39.02 2399 9207 alumni@polimi.it www.alumni.polimi.it PIVA 11797980155 CF 80108350150

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Gli Alumni al Politecnico, gli Alumni col Politecnico

Una designer per astronauti

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Il monumento nazionale australiano nato in Italia

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Di quando Lou Reed mi disse “That’s my guitar”

41 La magnolia del cuore Dal foglio bianco al parco termale più grande d’Italia

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Gli ingegneri del ’28

Polisocial Award, storie d’impegno sociale

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92 Lettere alla redazione

APMC, il business network made in Poli 7 MAP Magazine Alumni Polimi

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L’ingegnere del calcetto

La pista ciclabile più lunga d’Italia parte da qui

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Ho scelto il Poli perché

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Architetta o architetto?

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Nuovo Cinema Anteo

Coppa Polimi Sudore sui libri

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Noi e loro: maschi vs femmine

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CARI ALUMNI, VI RACCONTO IL POLI DI DOMANI Lettera aperta del rettore Ferruccio Resta

L’anno scorso, proprio su queste pagine, il rettore Ferruccio Resta ci raccontava la sua idea di un Politecnico “Open” e ci descriveva il suo primo giorno in rettorato: il 9 gennaio 2017, in cui ha trascorso un’ora di silenzio per riflettere sul suo incarico e mettere in ordine le idee. Ora ci racconta cos’è successo dal giorno dopo, con lo sguardo puntato ai prossimi anni di Ferruccio Resta

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Ferruccio Resta, 50 anni Alumnus Polimi Ingegneria Meccanica Rettore e professore ordinario di Meccanica Applicata alle Macchine 9 MAP Magazine Alumni Polimi


Interessante, avvincente, stimolante. Sono questi i tre aggettivi con i quali descriverei l’anno appena trascorso. Se riavvolgo il nastro dei ricordi rivivo attimi di grande emozione, come le prime volte in cui ho parlato a nome del Politecnico. Penso con soddisfazione ai primi passi fatti tutti insieme per dare concretezza alle idee, affinché i progetti e le ambizioni non fossero di uno, ma dell’intera comunità politecnica: studenti, personale tecnico e amministrativo, ricercatori, docenti e Alumni. Come sta il nostro Poli? Il Politecnico sta bene! Gli studenti sono in crescita ed è parallelamente in crescita l’occupazione dei nostri laureati. Siamo fra le prime duecento università al mondo – 7° in design, 14° in architettura, 24° in ingegneria – e abbiamo svilup-

pato una buona capacità di raccogliere fondi dalla comunità europea. Lavoriamo sempre più in sinergia con le imprese, che diventano partner del Poli, questo si traduce in quasi cento milioni di finanziamento all’anno. Ma le sfide continuano. L’obiettivo è comune: fare del Politecnico una delle massime istituzioni di ricerca e di formazione a livello internazionale. In tutto ciò, devo ammettere, il mio lavoro è facile. Al Poli le idee nascono dal lavoro e dalla creatività di molte persone, ne siamo ricchissimi: il mio compito è quello di incanalarle e far sì che divengano progetti all’interno di un quadro unico. Didattica innovativa Al centro dei nostri pensieri c’è la didattica. In un mondo in continuo, rapido mutamento, è necessario che ci confrontiamo

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con una domanda: il nostro insegnamento è ancora attuale? L’innovazione non è un processo legato ai fondi o alla tecnologia, ma è la volontà di costruire un progetto comunitario, un’unione di intenti e di visioni generati da un confronto continuo. Ho avuto così un altro insegnamento dal Politecnico: vedere come i colleghi fossero pronti a mettersi in discussione, a rivalutare metodi e direzioni, a riflettere non da dietro una cattedra ma da dietro i banchi. Poi c’è chi ha deciso di attuare un cambiamento e chi è rimasto sulle proprie scelte, ma tutti ci siamo fermati a chiederci se il nostro modo di fare didattica fosse in grado di rispondere alle nuove sfide. Perché, prima di tutto, l’innovazione non è tecnologica ma umana, di pensiero e passa anche attraverso un piano di formazione continua


dei docenti: non sulle aree di competenza degli insegnamenti, sempre attuali grazie al continuo confronto con la ricerca e con il mondo industriale, ma sui temi del metodo, degli strumenti, degli spazi, sul confronto con gli studenti che cambiano di generazione in generazione. Centralità delle persone È chiaro come un grande tema sul quale ci siamo focalizzati è l’importanza di mettere la persona al centro dell’attenzione. Per farlo siamo partiti da ciò di cui tutti abbiamo bisogno: il futuro. Per prima cosa abbiamo coinvolto dottorandi, ricercatori, personale tecnico e amministrativo e abbiamo identificato insieme un orizzonte minimo di 3 anni, che permette di attuare una pianificazione e una progettualità di medio termine. Poi abbiamo iniziato a lavorare con l’idea che il Poli debba diventare un luogo in cui non si studia o si lavora soltanto, ma si vive, un luogo in cui si sta bene, a partire dagli spazi. Ne parla nelle prossime pagine il prorettore Emilio Faroldi. Il Politecnico del futuro Ho parlato di un orizzonte temporale di 3 anni, ma i nostri obiettivi vanno ben oltre. Pen-

so al Politecnico che vorrei tra 20 o 50 anni: un’università pubblica, statale, inserita nel sistema universitario nazionale, dotata però di autonomie particolari, che le permetteranno di concorrere più rapidamente a livello internazionale e di stare al passo con evoluzioni tecnologiche, economiche e sociali che oggi fatichiamo a immaginare. Il Politecnico è nato nel 1863 secondo una precisa politica industriale: le imprese desideravano una scuola che le sapesse ascoltare, che sapesse dare una formazione attiva, anche pratica ai ragazzi, e in cui formazione, tecnologia, cultura e industria fossero in continuo dialogo. Questo è un valore ancora molto attuale ed è la direzione in cui stiamo lavorando. Un Poli fuori dal Poli Sono un uomo di laboratorio e credo molto nella pratica e nel saper fare. Per potenziare il dialogo col territorio sono partito proprio da lì. Se, come credo, l’Ateneo è le persone che ne fanno parte, il Poli non è più solo all’interno delle sue mura. Per citare alcuni esempi, ma ce ne sarebbero decine, a Milano stiamo sviluppando un progetto di rete 5G per la città, una col-

laborazione con la Veneranda Fabbrica del Duomo per la conservazione della nostra cattedrale (ne parla più avanti il prof. Stefano Della Torre), un distretto per le tecnologie 4.0, così come iniziative attente allo sviluppo urbano e del territorio. Dei veri e propri “cantieri” sul campo, che permettono a studenti e ricercatori di confrontarsi con problematiche reali. Allo stesso tempo, sono fattori di sviluppo del territorio, che in questo modo può avvalersi di tecnologie, metodi e strumenti politecnici all’avanguardia. Di una cosa sono profondamente convinto, che il fine di ogni sapere sia la capacità di liberare energie e di lasciarle correre; di non rimanere chiuso in sé stesso, ma di coinvolgere persone e territori in circuiti virtuosi. E voi Alumni siete i più importanti ambasciatori di questo progetto. Da Alumnus del Politecnico so che è un privilegio e una responsabilità prendere parte all’evoluzione del nostro Ateneo. Vi do appuntamento all’anno prossimo, sulle pagine di MAP

“Il fine di ogni sapere è non rimanere fine a se stesso, ma coinvolgere persone e territori. E voi Alumni ne siete i più importanti ambasciatori” 11 MAP Magazine Alumni Polimi


GLI ALUMNI AL POLITECNICO, GLI ALUMNI COL POLITECNICO Una community di 180 mila Alumni sempre più al fianco del Politecnico di Milano, per contribuire concretamente al suo sviluppo. Il prof. Enrico Zio, presidente e delegato del rettore per gli Alumni e per il fundraising individuale, ci racconta in che modo di Enrico Zio

Gli Alumni costituiscono una componente importante del Politecnico di Milano, attiva e coinvolta nel suo sviluppo. Le azioni e partecipazioni degli Alumni nelle attività dell’Ateneo sono capillari e profonde. Gli Alumni sono un riferimento per il confronto di idee sugli sviluppi di ricerca e l’evoluzione della formazione al Politecnico. Di questo ne beneficia direttamente il rettore, che si confronta due volte l’anno con un Advisory Board composto di 16 Alumni rappresentativi del saper fare architettura, design e ingegneria. Ne beneficiano anche i singoli corsi di studio, che hanno saputo cogliere l’opportunità di formare Advisory Boards specialistici per discutere le linee di avanzamento della formazione disciplinare, in risposta all’e12 MAP Magazine Alumni Polimi


voluzione delle esigenze professionali: ad oggi sono più di 50 gli Alumni coinvolti in questa attività di supporto ai corsi di studio. Ma ancora molti di più sono gli Alumni che hanno condiviso le loro competenze ed esperienze con i docenti del Politenico, nell’ambito di focus groups strutturati per affrontare i temi di avanzamento della didattica universitaria, e sono oltre 10 mila gli Alumni che hanno partecipato alle indagini occupazionali e sulle competenze dei nostri laureati e tanti altri sono coinvolti nelle attività di mentoring e tutoring in accompagnamento dei nostri studenti e giovani laureati che si affacciano alle professioni. Una presenza, dunque, quella degli Alumni, significativa in quantità e qualità, e reale e concreta nel suo apporto al Politecnico. Le competenze ed esperienze degli Alumni sono un valore importante a supporto dell’impegno del Politecnico di sviluppare e fornire formazione e ricerca di qualità.

Enrico Zio, 51 anni Alumnus Polimi Ingegneria Nucleare e PhD Professore ordinario di Impianti Nucleari Presidente AlumniPolimi Association Delegato del rettore per gli Alumni

Ma il contributo degli Alumni non si ferma qui: gli Alumni sono gli Ambasciatori del Politecnico nel mondo e contribuiscono con il loro serio e professionale lavoro alla diffusione dei valori Polimi, con un crescente apprezzamento dimostrato anche dalla scalata del Poli nelle classifiche delle migliori università internazionali, per la qualità della formazione offerta e per la preparazione dei nostri laureati e dottori di ricerca (si veda la classifica del QS University Rankings , dove siamo passati dal 63° posto al 53° su scala mondiale). Infine, gli Alumni sono sempre più impegnati a contribuire anche finanziariamente alle attività del Politecnico, con un sostegno che è diventato una risorsa significativa ed importante per portare avanti progetti studenteschi (come Dynamis, Polimi Motorcycle factory, Skyward, Solar Boat) e progetti di sviluppo dell’Ateno (come il bellissimo progetto di modifica del Campus Architettura Leonardo/Bonardi su progetto dell’Alumnus Renzo Piano). Nel 2016, 7643 Alumni hanno destinato il 5 per mille al Poli, permettendo all’Ateneo di devolvere 564.000€ a progetti di ricerca (ne parliamo più avanti in questo numero). Il progetto di fundraising “Circles”, avviato l’anno scorso, ha visto il coinvolgimento già di 24 Alumni, che hanno donato 114.000 € per supportare gli studi dei migliori studenti del Politecnico con borse di studio competitive con quelle dei grandi atenei internazionali. Infine, sono quasi 2000 i soci donatori di AlumniPolimi che contribuiscono alle tante attività dell’Associazione, come questa rivista, la Convention annuale e tante altre iniziative. Da quanto sopra, emerge l’immagine dello sviluppo dinamico e di qualità del nostro Politecnico, a cui la comunità degli Alumni partecipa con convinzione e contribuisce con valore. Stiamo, tutti insieme, costruendo il percorso di crescita del nostro Politecnico, con desiderio di contribuire, volontà di partecipare, saper fare: semplicemente, i veri valori Polimi. Continuiamo insieme per un sempre migliore Politecnico di Milano.

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MAPPA GEOGRAFICA DEI LUOGHI POLITECNICI CITTÀ STUDI PIAZZA LEONARDO MILANO

4.251

29.414

designer

Il Politecnico di Milano non si trova solo a Milano. Oltre ai campus Leonardo e Bovisa ci sono altri cinque poli territoriali. Le ultime statistiche ci offrono una mappa aggiornata di come gli studenti si suddividono per luoghi e facoltà.

ingegneri

LECCO

MANTOVA

Progettazione dell'Architettura Urbanistica

BOVISA CAMPUS LA MASA CAMPUS CANDIANI

Aerospaziale Biomedica Chimica Civile Civile e Ambientale Materiali e delle Nanotecnologie Automazione Produzione Industriale Edile e delle Costruzioni Elettrica Elettronica Energetica Fisica Gestionale Informatica Meccanica Per l'Ambiente e il Territorio

CREMONA

Moda Interni Comunicazione Prodotto Industriale

COMO

9.273 architetti

PIACENZA


ATLANTE DEGLI ALUMNI sono, quanti POLIMI ALL'ESTERO Chi sono e dove sono 10%

Oltre il dei laureati magistrali italiani lavora all’estero

11%

degli ingegneri

10,1%

degli architetti

10,3% dei designer

TOP 5

paesi di destinazione

U.S.A.

la retribuzione media è di

Regno Unito Germania

Francia

Svizzera

2241 €

a 12 mesi dalla laurea

TOP 10 dei settori in cui lavorano gli Alumni all’estero 1_ Architettura, Urbanistica e Ing. Civile 2_ Energia, Oil&Gas 3_ Consulenza IT 4_ Edilizia e Costruzioni 5_ Consulenza Aziendale

6_ Informatica (ICT), Internet 7_ Automotive 8_ Metallurgia e Metalmeccanica 9_ Meccanica e Impiantistica 10_ Elettronica ed Automazione


UNA CASA CHIAMATA POLITECNICO di Emilio Faroldi

Campus all’avanguardia, vivibili e aperti tra edifici storici e spazi che faranno la storia

Emilio Faroldi, 56 anni Alumnus Polimi Architettura Prorettore delegato e professore ordinario di Tecnologia dell'Architettura 16 MAP Magazine Alumni Polimi


Un Politecnico come brano di città “Considero la scuola come un ambiente spaziale dove sia bello imparare”, scriveva l’architetto Louis Kahn nel 1960 in “The Voice of America”. “La fondazione delle scuole era inevitabile, perché esse fanno parte dei desideri dell’uomo”. Da sempre le Università hanno costituito un laboratorio di costante monitoraggio dei nuovi modi di abitare, mettendo in relazione momenti lavorativi o di studio e tempo libero, interagendo con la città e diventando parte del suo tessuto sociale e connettivo. Ciò vale anche per il Politecnico che, sia in zona Bovisa sia in Città Studi, rappresenta un fattore di sviluppo e riqualificazione di spazi che appartengono a tutta la cittadinanza. Dal Trifoglio e dalla Nave, al campus per l’architettura di domani Milano è sempre più una città universitaria e Città Studi è emblematica in tal senso: qui le strade, i marciapiedi, gli alberi, i vicoli, sono tutti in collegamento, in accordo, aperti a tutti gli studenti delle diverse Scuole che vi convivono e agli abitanti del quartiere. È una storia che parte da lontano: nel secondo dopoguerra la Facoltà di Architettura cercava nuovi spazi che trovarono una risposta nella sede progettata da Gio Ponti e Giordano Forti, sotto la supervisione di Piero Portaluppi. Nacquero il Trifoglio e la Nave, come vengo-

no informalmente appellati, manufatti emblematici dell'architettura milanese degli anni Cinquanta e Sessanta che si aggiungono al nucleo storico di stampo ancora ottocentesco sorto negli anni Venti. Il Campus di Architettura vide la necessità di un’ulteriore espansione che si concretizzò con il progetto di Vittoriano Viganò degli anni Ottanta. Chi ha studiato in Leonardo si riconosce in questi luoghi. Oggi la necessità di nuovi spazi e nuove funzioni è evidente: entro l’estate del 2018 prenderanno il via i lavori dell’edificio Trifoglio con l’adeguamento tecnologico, impiantistico e morfologico, inseriti nel più ampio progetto di riqualificazione del Campus di via Bonardi, fondato sulle idee del nostro Alumnus, il premio Pritzker Renzo Piano. In parallelo, il Campus storico di piazza Leonardo vedrà il recupero di spazi interstiziali, oggi sottoutilizzati, per la creazione di aree all’aperto, semi-aperto e al coperto, dedicate agli studenti, oltre che la valorizzazione della vivibilità complessiva attraverso il trasferimento controllato delle automobili, che oggi invadono il nucleo storico dell’impianto. L’edificio Viganò amplierà notevolmente la sua offerta di spazi studio per gli studenti, esigenza primaria da questi ultimi sempre più evidenziata. L’obiettivo è quello di integrare ancora di più il Politecnico con la città e le persone che qui studiano, lavorano, vivono.

Nella pagina a sinistra, Emilio Faroldi, architetto e responsabile del programma ViViPolimi, progetto di riqualificazione degli spazi e degli edifici del Politecnico Nella foto accanto come si presenterà la nuova Agorà degli studenti del campus Architettura, con oltre 300 posti cablati e non

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Sopra: Come si presenteranno i cortili del nucleo storico Leonardo. Un’area verde accogliente e moderna, con spazi studio all’aperto e coperti A sinistra: Campus La Masa Bovisa. La collina degli studenti avrà un’area verde di 1200 mq, nuovi servizi e posti studio indoor e outdoor

Due campus equilibrati e complementari Nel Campus di Bovisa La Masa il problema valica il semplice riordino degli spazi universitari: è un tema che coinvolge la valorizzazione e rigenerazione di una porzione strategica e consistente di Milano. Sarà necessario agire principalmente su due temi: le connessioni tra spazio pubblico e spazio del Campus e la messa in relazione degli oggetti architettonici che compongono il Campus all’interno del suo perimetro, che oggi si configurano come spazi disconnessi e disarmonici. Bovisa si posiziona in un ambito urbano storicamente periferico della città di Milano, caratterizzato dal suo precedente vissuto industriale e oggi alla ricerca di

una propria e riconoscibile identità. Il progetto prevede un intervento di riconnessione degli spazi in grado di creare un legame tra esterno e interno del Campus, alla ricerca di un orizzonte fluido nel quale riconoscersi. Nuovi paesaggi urbani in linea con la funzione universitaria che contraddistingue oggi Bovisa. Al Poli come a casa Al centro della riflessione ci sono i nostri studenti: le loro esigenze, la loro formazione, il mutare della loro quotidianità, in particolare per gli studenti provenienti da contesti extra-urbani e fuorisede. La formula dei laboratori e l’obbligo di frequenza hanno cambiato

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l’essenza dell’essere studente: si arriva al Politecnico la mattina e lo si lascia alla sera. Oppure, grazie all’apertura di alcuni spazi nella fascia notturna, lo si frequenta anche di notte per studiare. Servono ambiti vivibili dove mangiare, trascorrere il tempo, studiare e coltivare altri aspetti della vita di tutti i giorni, altrettanto fondamentali per la vita relazionale e formativa. In questo senso lo sport costituisce una componente strategica per un Ateneo di qualità. Concretamente, questo si riflette sia sul Campus Leonardo, con investimenti che riguardano il Campo Sportivo Giurati, sia su Bovisa, con l’inserimento, a breve, di strutture sportive in un'area dedicata. Il Politecnico diviene così anche un luogo domestico, famigliare, nel cuore della città. L’università come motore di rigenerazione urbana e sociale La qualità in architettura esige un investimento di tempo da parte della collettività per garantire benefici alle epoche e generazioni fu-

ture. Il progetto complessivo e l’investimento inerente la “didattica innovativa”, messi in atto da questo Rettorato, manifestano proprio lo scopo di attivare, implementare e organizzare formule didattiche consone al mutare delle generazioni e al trasformarsi delle loro potenzialità di apprendimento. Lo spazio stesso è uno strumento didattico, sia nella sfera comportamentale sia in quella di affinamento alla sensibilità nei confronti della bellezza e del rispetto ambientale. Il Politecnico è sempre più luogo qualificato per attrarre i migliori studenti italiani e internazionali. La sinergia e il confronto con gli Atenei internazionali, compresi quelli orientali, costituisce una grande opportunità di crescita. Studiare al Politecnico è un elemento di orgoglio che caratterizzerà una porzione di vita di un ragazzo, futuro professionista. Un orgoglio rappresentato dalla somma di numerose variabili, tra le quali anche la sfera legata alla qualità della vita che dovrà costituire un elemento strutturante del “vivere il Politecnico”.

Il masterplan per il Campus Bovisa La Masa e per il Campus Leonardo

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VITA DA STUDEN La nuova istituzione universitaria denominata inizialmente Regio Istituto Tecnico Superiore di Milano, nata nel 1863 a due anni dalla proclamazione del Regno d’Italia con il compito di formare una nuova leva di ingegneri per il Paese, ha accumulato nel suo secolo e mezzo e oltre di storia saperi e competenze che la pongono tra le migliori università d’Europa, e al tempo stesso una ingente massa documentaria che ne racconta l’evoluzione, i successi, i contatti con i momenti emergen-

ti della cultura e della società. I progetti, i brevetti, i premi prestigiosi, i contributi degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano, impegnati nelle trasformazioni del paesaggio in cui viviamo, coincidono con la storia dell'Ateneo e ne incrementano insieme la memoria, rinnovata ad ogni celebrazione. Gli Archivi Storici del Politecnico, fondati nel 2011 accorpando diverse realtà archivistiche, la custodiscono e

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la curano inventariandone il materiale, rendendolo consultabile e riproducibile, presentandolo in mostre monografiche e pubblicazioni anche in collaborazione con importanti istituzioni internazionali.

Perché nel cuore dell’innovazione, che è da sempre ragione fondativa del Politecnico, la memoria costituisce uno spunto costante di confronto e di riflessione e assume un peso strategico per il progetto del futuro.


NTE DI FINE ‘800 I laureati del 1875. Il quarto a destra seduto è Enrico Forlanini, ingegnere, inventore dell’aliscafo e pioniere dell’aviazione nell’ambito degli elicotteri e dei dirigibili

Federico Bucci, 58 anni Alumnus Polimi Architettura Delegato del rettore per le Politiche culturali 21 MAP Magazine Alumni Polimi


1_Studenti in un viaggio studio “Lo stabilimento Ansaldo ci ha colpiti di meraviglia: è la più grande officina meccanica d’Italia, con un impianto largo, dotata di grandi mezzi; ha vaste fonderie e fucine con magli a vapore potenti, e potrebbe fornire qualunque lavoro di qualunque importanza esso fosse”. Da “Effemeridi dell’Istituto Tecnico Superiore - anno scolastico 1866-1867”

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2_Maria Artini si iscrive al Politecnico nel 1912-1913, per i primi anni è compagna di corso di Carlo Emilio Gadda. Consegue la laurea in Ingegneria Industriale, sezione Elettrotecnica, nel 1918. È la seconda laureata del Politecnico e la prima elettrotecnica italiana. Lavorerà nel Gruppo Edison collaborando alla realizzazione della Brugherio-Parma di 130 kW, la prima linea elettrica italiana ad altissima tensione

3_“All’indomani del terribile disastro sismico del 28 dicembre 1908, che desolava la Calabria e la Sicilia, rispondendo con generoso impulso all’appello che chiamava i volenterosi laggiù a portare aiuto e conforto, gli studenti del Politecnico si offrivano fra i primi per la formazione di una piccola squadra volontaria di soccorso”. Da "Relazione della spedizione di soccorso del Politecnico di Milano dell’Ing. Cesare Chiodi" 4_Carovana di carnevale Il secondo da destra è Giulio Natta

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5_I laureati del 1915, l’ultimo anno in cui sono in borghese. Grafica dell’architetto Giovanni Muzio, principale esponente del movimento artistico Novecento. “In un anno segnato dal clima concitato dell’entrata in guerra egli disegna un quadro dove le personificazioni dell’Industria e del Costruire, corredate dagli emblemi consoni alle rispettive attività, attorniano la figura centrale, tragicamente dominante, della Guerra”. Da “E furono diecimila: ingegneri e architetti dal 1863 al 1940” di Annamaria Galbani


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6_ Annuario dei laureati 1879-80 7_ Foto di gruppo dei laureati del 1871 8_9_Momenti in aula e in esterni

10_L’ingresso dell’Asilo Brioschi, prima sede del più antico ateneo di Milano, fondato il 29 novembre 1863. Un istituto rivoluzionario così annunciato dalla legge Casati del 1859 «in Milano a spese dello Stato verrà eretto un R. Istituto tecnico superiore cui sarà unita una scuola d'applicazione per gli ingegneri civili la cui indole e composizione sarà determinata con apposito R. Decreto» 24 MAP Magazine Alumni Polimi


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11_Modulo d’iscrizione dell’ingegnere e scrittore Carlo Emilio Gadda La ricerca iconografica è parte di un più ampio lavoro sulla storia dell'Ateneo, a cura di Archivi Storici, per la creazione del Museo diffuso del Politecnico di Milano 25 MAP Magazine Alumni Polimi


COME SI AGGIUSTA IL DUOMO DI MILANO, SECONDO IL POLI di Davide Coppo

Il progetto di collaborazione fra il Politecnico e la Veneranda Fabbrica del Duomo: un orgoglio della città di Milano e dell’Italia, coordinato con orgoglio dall’Alumnus Stefano Della Torre

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Stefano Della Torre, 62 anni Alumnus Polimi Ingegneria e Architettura Direttore Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito, Politecnico di Milano

“Se fosse stata una cosa semplice non avrebbero chiamato il Politecnico”, dice l’Alumnus Stefano Della Torre ridendo, eppure mantenendo una certa serietà e un certo orgoglio di fondo. Professore alla Facoltà di Architettura del Politecnico, Della Torre è responsabile dell’attività consulenziale dell’ateneo con la Veneranda Fabbrica del Duomo, una collaborazione che coinvolge una decina di donne e uomini politecnici da tutti i dipartimenti e che ha come obiettivo quello di razionalizzare e implementare la conservazione e il restauro della cattedrale di Milano. Il Duomo, in sé, è un monumento unico. Non

soltanto per il valore affettivo dei milanesi, e forse nemmeno per quello puramente architettonico. È l’intrinseca natura del Duomo a essere speciale, “Il Duomo è sempre stato un luogo di sperimentazione - spiega Della Torre - E quindi è interessante questa continuità ideale tra la sperimentazione artistica e le nostre sperimentazioni nel campo della conservazione”. Per il Politecnico, oggi il Duomo è anche un cantiere-laboratorio: un luogo in cui i nostri studenti e ricercatori possono fare ricerca sul campo e confrontarsi con problemi reali usando le tecnologie più all’avanguardia, in un contesto impossibile da riprodurre in

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PONTEGGIO P106

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MATERIALI CANTIERE

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PONTEGGIO A2

un laboratorio on campus. Il Politecnico, spalla a spalla con la Veneranda Fabbrica («l’impresa più antica d’Italia!», commenta ancora Della Torre), si prende cura, giorno per giorno, della chiesa più simbolica del Nord Italia. Come dice il professore, “è un lavoro incredibile” per le dimensioni del Duomo e per i rischi – i danni – a cui è sottoposto ogni giorno in una città come Milano: i visitatori, il clima e l’umidità, l’inquinamento, persino i concerti in piazza. “La logica del nostro intervento è quella di applicare al Duomo i più moderni dettami della conservazione, che si chiama conservazione programmata. Ovvero non

ARGANO CANTIERE

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MATERIALI CANTIERE

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ARGANO CANTIERE

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*1

SBARCO MONTACARICHI

Il gruppo coordinato dal prof. Della Torre sta costruendo un modello digitale del Duomo con una risoluzione altissima, in cui ogni pezzo potrebbe diventare cliccabile e contenere le informazioni relative alla sua manutenzione VENERANDA FABBRICA DEL DUOMO DI MILANO

PONTEGGIO Rg6

ING. FRANCESCO CANALI Architetto della Veneranda Fabbrica - Direttore lavori

ING. FRANCESCO FASSI, ARCH. CRISTIANA ACHILLE, ARCH. ALESSANDRO MANDELLI

OPERATORI: ARCH. LUCA PERFETTI, ARCH. CARLO POLARI, ARCH. GIULIA CECCARELLI

Ortofoto digitale metrica in scala 1:50 ottenuta mediante mosaicatura di 33 orto-immagini.

prospetto EST

prospetto OVEST

prospetto NORD

7.586 fotogrammi:

- 4.511 da PLE - 205 dal livello terreno - 1.936 da livello delle coperture - 934 per la porzione absidale (coperture est)

n°5 configurazioni-camera full-frame:

prospetto SUD

- Canon 5DSR, 51MP, f: 35mm, risoluzione a terra (GSD) = 1,8mm - Canon 5DmkIII, 24MP, f: 85mm, risoluzione a terra (GSD) = 1,6mm - Nikon D810, 36MP, f: 50mm, risoluzione a terra (GSD) = 1,5mm - Canon 5DSR, 51MP, f: 85mm, risoluzione a terra (GSD) = 2,4mm - Nikon D810, 36MP, f: 24mm, risoluzione a terra (GSD) = 2,0mm

Rilievi effettuati nel mese di aprile 2017

Elementi e porzioni architettoniche non rilevate per impossibilità di movimento e/o presenza di occlusioni

Risoluzione minima garantita di tutta l'ortofoto: 1cm/pixel, scala 1:50 Per i fronti evidenziati in blu: 4mm/pixel, scala 1:20

Presenza di aree di cantiere di carattere provvisorio alla data del rilievo

CESATA DI CANTIERE

INGRESSO MONTACARICHI

ASCENSORE SUD

*1 *2 * 34 *

presenza ponteggi

sbarco montacarichi

argano -A- e argano -B-

presenza materiale di cantiere

DATA: 0

1

2

3

4

5

Dicembre 2017

10

ORTOFOTO FRONTE SUD SCALA DI RILIEVO 1:50 SCALA DI STAMPA 1:100

28 MAP Magazine Alumni Polimi


intervenire “a spot” quando c'è un problema, ma coordinare e programmare tutte le attività”. Quando i milanesi sostengono che il Duomo sia un cantiere perenne hanno in realtà molta più ragione di quanto credano: “Il Duomo è davvero così. Si è iniziato costruire nel 1386, si è terminato nel 1932. Ma prima ancora di poterlo dire finito si è subito iniziato a mantenerlo”. Questa manutenzione, nello specifico, è un continuo incrocio di passato e futuro, e si basa su fondamenta solide e antichissime: le misurazioni micrometriche, oggi ripetute dal Politecnico ogni sei mesi, iniziarono oltre quarant'anni fa. A quelle, si affiancano altre tecniche di conservazione, le più moderne. “All'interno del Politecnico impieghiamo diversi gruppi di ricerca. C'è un gruppo che si occupa di continuare il lavoro sul monitoraggio attraverso i metodi tradizionali, perché è molto importante avere la continuità di misura nello stesso modo in cui si è costruita l’intera serie dei dati. Poi abbiamo progettato un nuovo sistema di monitoraggio, dinamico, con alcuni sensori che misurano le vibrazioni del Duomo, e attraverso la risposta del Duomo agli eventi si capisce come lavora dal punto di vista strutturale: se qualche elemento va fuori uso, la risposta cambia. E questo è il metodo più avanzato che integriamo con le altre misurazioni”. Big data, dice, sorridendo. Elencare tutti gli interventi che il

Politecnico, sotto la sua guida, sta eseguendo sulla cattedrale di Milano è un lavoro lungo, ma Stefano Della Torre è preciso e ordinato. C’è la prosecuzione delle misurazioni tradizionali, ci sono le misurazioni più all’avanguardia – con l’utilizzo di big data – e c’è la costruzione di un modello digitale, il BIM. C’è ancora orgoglio quando si fa serio e dice che “vogliamo essere una delle prime cattedrali europee con un modello digitale”, anche se, sottolinea ancora, “è difficilissimo: il Duomo è anche i suoi scantinati, un labirinto in cui ci sono i magazzini, gli spogliatoi, tutto un mondo che non conosciamo, passaggi segreti, anfratti. E tutto questo mondo è stato rilevato in tre dimensioni”. Continua raccontando il modello digitale, la vera eccellenza a cui ambisce l’accordo tra il Politecnico e la Fabbrica: “Il campione del modello digitale nasce quando sono stati fatti i lavori sulla guglia maggiore: siamo arrivati ad avere un sistema informativo dei lavori sulla guglia maggiore che segue la stessa filosofia del Building information modeling, il BIM, che oggi è l'ultimo grido per la nuova costruzione”. Questo metodo di analisi del patrimonio permette oggi di avere un accesso interattivo ai piani di tutto l’edificio. Per quanto riguarda la guglia maggiore, ad esempio: “C'è un modello digitale che individua pietra per pietra, e per ogni pietra ti dice


Le superfici del Duomo vengono costantemente sottoposte a monitoraggio per valutarne la sporcabilità e lo stato di salute. A destra, uno dei palloni aerostatici usati per studiare il microclima all’interno della cattedrale

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se quella pietra è stata oggetto di intervento, e recupera la documentazione di quale intervento è stato fatto, quale parte è stata sostituita, e le foto di tutta la lavorazione”. Gli altri interventi seguiti dal Politecnico si focalizzano sulla “sporcabilità” dei materiali, sulle vetrate e le vibrazioni subite, sul monitoraggio invece ora nello studio deldei materiali introdotti negli le vibrazioni delle vetrate. anni Settanta e sul microcli- “Abbiamo monitorato cosa ma interno. Quest’ultimo, ad succede durante i conceresempio, è stato studiato con ti”, dice Della Torre, poi ride sensori montati su palloni quando ricorda che attraveraerostatici, per progettare il so le curve di vibrazione “si sistema con cui sarà costan- riconosceva il crescendo deltemente monitorato. Della la Carmen di Bizet”. Poi spesporcabilità si occupa il Di- cifica in modo meticoloso “In partimento di Chimica. “Ab- realtà le cose più pericolose biamo individuato dei pun- sono gli “ultrabassi” dei conti di prelievo in cui studiamo certi di musica pop. È uno ogni mese cosa si annerisce studio anche questo piute quanto, per capire quan- tosto innovativo e non semto influiscono i trattamen- plice”, spiega tornando seti superficiali”. Il Dipartimen- rio.Sospirando, e come per to di Meccanica è impegnato tirare le somme, Della Torre

“L’Italia è il Paese dei beni culturali. Dobbiamo passare dall’essere i più bravi nel restauro ai migliori nella manutenzione”

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commenta: “L'Italia è il Paese dei beni culturali: siamo capaci di dare il senso di bene culturale a ogni cosa, al territorio in cui viviamo. Dobbiamo capire che questo è il nostro vantaggio competitivo, e passare dall’essere i più bravi a fare restauri a essere capaci di conservare intervenendo prima e al momento giusto, utilizzando correttamente le migliori pratiche, regolando il riscaldamento in modo da non fare danni, regolando l’uso per evitare di consumare i pavimenti. Questo è l’obiettivo”.


L'INGEGNERE DEL SUPERPONTE L'Alumna Arianna Minoretti è nel team del pioneristico progetto di autostrada che passa sotto e sopra le acque norvegesi di Valerio Millefoglie La norvegese E39 è una strada europea che non ha standard europei. Per lunghi tratti non ha neanche la strada. Sette traghetti trasportano i mezzi in un percorso che, per risalire 1.100 chilometri della costa occidentale, prevede un tempo di percorrenza di 21 ore. L’obiettivo dell’amministrazione e del governo norvegese è di ridurre la tratta a 11 ore, tramite infrastrutture immerse nel paesaggio: ponti galleggianti e gallerie sottomarine, innovazioni e tecniche antiche come il ponte di Archimede, oggi realizzabile grazie alle ultime tecnologie. Dietro i lavori di queste infrastrutture che cambieranno una nazione, e non solo, c’è un’italiana: l’Alumna Arianna Minoretti, ingegnere civile che fin da piccola disegnava strade sui prati verdi. Ci siamo fatti raccontare tut-

ta la strada che ha fatto: dal Politecnico all’autostrada del futuro. Partiamo da dove tutto ha avuto inizio, dalla casa dell’infanzia. L’Italia è luogo di terremoti e ho il ricordo della televisione accesa in sala, con i miei genitori che ascoltavano le notizie dei crolli. Fin da piccola quindi ho avuto questa idea della casa come del posto dove invece ci si dovrebbe sentire al sicuro. Ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto dare alle persone un posto in cui qualsiasi cosa accada fuori, nel mondo, lì dentro sei salvo. Finché ho lavorato in Italia mi sono occupata proprio di progettazione di ponti e di edifici in zone sismiche. Studiando ingegneria mi si aperto un mondo: non avevo mai pensato alle infrastrutture e invece adesso mi occupo esclusivamente di questo e non di edilizia. 32 MAP Magazine Alumni Polimi

Che ruolo ha avuto il Poli? Il primo anno di studi è stato quello più difficile. Quando ho iniziato c’era una percentuale bassissima di persone che riusciva a superare al primo colpo esami come Analisi 1 e Fisica 1. Erano visti come scogli enormi e io ero un po’ spaventata dalla prospettiva di ripeterli, mi ero promessa che se non avessi passato tutti gli esami del primo anno avrei cambiato perché voleva dire che questo percorso non faceva per me. Poi, è successo ciò che accade quando una persona sceglie la strada che fa per lei. Tutto sembrava facile. Era faticoso a livello di impegno di tempo, ma non a livello di comprensione, era divertente. Man mano che il primo anno passava, mi rendevo conto che era ciò che faceva per me. Io credo che gli ingegneri siano ingegneri in ogni aspetto della loro vita.


Studio del ponte di Archimede per l’attraversamento del Bjørnafjord, Norvegia

Io mi sento ingegnere non solo quando sono al lavoro, mi sento ingegnere quando ho un problema con la lavatrice e lo risolvo da sola, quando devo organizzare la giornata con la bimba piccola e devo magari incastrare anche la scrittura di un articolo per una conferenza. Essere ingegneri insomma è un modo di essere. Il Politecnico ti insegna innanzitutto una forma mentis che ti porti dietro per tutta la vita. Come ho già detto Fisica 1 e Analisi 1 sono esami giganteschi, che ti formano, ti danno una mentalità analitica, schematica. Ti insegnano a essere curioso, ad approfondire le cose. Ci racconta come poi dal Politecnico si è ritrovata in Norvegia? Lo Stato norvegese cercava una persona che fosse interessata a lavorare su questo grande progetto della E39, doveva essere una figura con

esperienza nella progettazione di ponti in calcestruzzo e ho inviato la mia candidatura. Mi ha chiamata il mio attuale capo per chiedermi se potessi fare il colloquio da lì a una settimana e, guarda caso, io avevo già prenotato un volo per essere lì in quei giorni. Il colloquio è durato due ore e alla fine mi ha detto: “Guarda, io oggi fermo i colloqui perché credo che tu sia la persona che stiamo cercando. Ti manderemo una proposta economica e se sei d’accordo ti puoi trasferire e inizi a gennaio”. Sul momento ho pensato che fosse pazzo. Non parlavo norvegese, i colleghi erano tutti norvegesi e mi stava prendendo a scatola chiusa. Oggi penso che, come si dice, ci abbia visto lungo. Sicuramente ha visto una persona con esperienza, che era ciò che cercava, ma anche una persona con un entusiasmo e una internazionalizzazio33 MAP Magazine Alumni Polimi

ne che ha permesso, in questi anni, di pubblicare molto del nostro lavoro non solo in conferenze del settore ma anche su riviste come Wired e Forbes. In questi anni in Norvegia, e in generale all’estero, mi è capitato di conoscere altri italiani laureati al Politecnico. Posso dire che è sempre una garanzia di preparazione e per questo siamo riconosciuti in tutto il mondo. Torniamo sulla rotta della E39, un cambiamento che modificherà le strade ma anche in un certo senso il “fuso orario” di una nazione. Ce ne può parlare? Molti dicono che dietro la E39 ci siano interessi economici, certo sulla costa ovest è localizzato il 50% di esportazione, che al di là del settore oil&gas comprende anche le società che producono e commercializzano salmone, merluzzo; il baccalhau portoghese arriva


Arianna Minoretti, 39 anni Alumna Polimi Ingegneria Civile Ingegnere Ente Stradale Norvegese

dalla Norvegia. Però io posso raccontare un’esperienza personale. Nella mia vita ho avuto uno shock anafilattico, che è una reazione allergica per la quale o ti fanno immediatamente l’adrenalina o soffochi perché ti si gonfiano le vie aeree. Così ogni volta che arrivo in un posto nuovo chiedo dove si trovi l’ospedale più vicino, anche se ho con me sempre una siringa di adrenalina. Nei fiordi è capitato mi dicessero: “Ci vogliono tre ore”. Ho risposto: “Ma state scherzando? Tre ore per raggiungere un ospedale?”. Mi hanno detto: “Allora chiami un elicottero?”. Peccato che se è cattivo tempo e l’elicottero non può volare, il problema non si risolve. Per questo motivo sono convinta che il progetto della E39 sia anche un progetto sociale. Basti pensare a chi vive al di fuori delle principali città della Norvegia: hanno problemi a raggiungere i luoghi di lavoro, le scuole, gli ospedali, e queste sono le prime infrastrutture da dare alle persone. Quali sono oggi i ricordi che si porta dietro del Politecnico e

che consiglio darebbe ai giovani studenti? Quando penso al Poli penso al blocco sud, dove c’è Ingegneria Strutturale, perché lì ho passato la maggior parte dei miei momenti. Mi rivedo seduta a quei banchi, in compagnia dei miei ancora attuali amici e colleghi, mentre passiamo lì tutto il nostro giovedì. Avevamo otto ore di fila di lezione: teoria e progetto delle strutture in calcestruzzo armato e calcestruzzo prefabbricato del professor Mola. Ancora oggi quando ci rivediamo con gli ex colleghi di studio c’è sempre qualcuno che a fine cena se ne esce con la frase: “Ma vi ricordate quella volta che”. Il mio ricordo più bello è appunto quando il giovedì, in pausa pranzo, andavamo a prendere gli gnocchi al gorgonzola e ce ne stavamo a mangiare tutti insieme, dopo magari facevamo una partita a carte aspettando che riprendesse la lezione. Sono momenti importanti che mettono le basi per collaborazioni e amicizie che durano una vita, e non vanno trascurati. Infine, ai giovani consi34 MAP Magazine Alumni Polimi

“Io mi sento ingegnere non solo quando sono al lavoro. Essere ingegneri è un modo di essere, una forma mentis che ti porti dietro per tutta la vita” glierei di scegliere nella vita ciò che amano fare. Molte volte ho incontrato persone che hanno scelto una data carriera professionale perché pensavano creasse meno problemi per trovare un lavoro e, non dico tutti ma quasi tutti, sono miseramente falliti. La vita è lunga, il lavoro occupa la maggior parte del nostro tempo, quindi è fondamentale scegliere ciò che ci piace fare per essere sereni. Se non scegliamo quello che ci piace, non abbiamo nessuna possibilità di essere i migliori a farlo.


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10° 20° 30° ANNIVERSARI DI LAUREA Dedicati ai laureati del 2008, 1998 e 1988

40° 50° 60° 70° ANNIVERSARI DI LAUREA Dedicati ai laureati del 1978, 1968, 1958 e 1948

12 mila politecnici 10 km per le strade di Milano 200.000 euro raccolti con le iscrizioni per le borse di studio, dal 2016

26 Maggio 2018

Ottobre 2018

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UNA DESIGNER PER ASTRONAUTI

L’Alumna Manuela Aguzzi è una istruttrice di astronauti. Ci ha raccontato la sua storia, dal Politecnico fino allo spazio

Manuela Aguzzi, 40 anni Alumna Polimi Design Industriale Astronaut Instructor - ESA di Davide Coppo Sono anni questi in cui probabilmente ci stupiamo troppo poco, anche davanti a cose straordinarie che diamo per scontate. Volare, ad esempio. Ma anche fare una videochiamata su Skype con un amico che vive dall’altra parte del mondo. Forse c’è qualcosa che ancora colpi-

sce, e in modo sempre nuovo: lo spazio. Di sicuro colpisce sentire Manuela Aguzzi quando dice che le capita, di tanto in tanto, di ricevere telefonate extraterrestri. “Fa sempre un po’ impressione ricevere una telefonata da una stazione spaziale”, spiega ridendo. Manuela, Alumna Polimi De36 MAP Magazine Alumni Polimi

sign Industriale 2003, negli ultimi dieci anni ha fatto un lavoro di cui non si parla molto, eppure riguarda una cosa straordinaria: è un’istruttrice per astronauti. Sappiamo che esiste là fuori una Stazione Spaziale Internazionale, ma a cosa serve, e cosa fanno, per settimane e set-


timane, gli astronauti che di volta in volta la abitano? La risposta più semplice è: fanno esperimenti. Quella un po’ più complessa la dà lei stessa: “Preparo gli astronauti a eseguire gli esperimenti perché loro saranno, una volta in orbita, l’estensione delle braccia dello scienziato. Possono essere esperimenti sulla fisiologia umana, dove è il loro stesso corpo a essere oggetto d’indagine, per esempio se vogliamo capire come varia il diametro di una vena in microgravità con il cambiamento della distribuzione dei fluidi corporei. Oppure si tratta di scienza dei fluidi, biologia”. La ISS è, in breve e in termini semplici, un laboratorio di ricerca scientifica che opera in assenza di peso e, a differenza di uno Shuttle, può ospitare esperimenti di lunga durata. “Ci sono dei rack, delle strutture attrezzate”, dice

Manuela, “che sono state lanciate con il modulo Columbus nel 2008, e sono fisse, danno capacità scientifica di fare esperimenti permanenti. C’è Biolab per la biologia che contiene una centrifuga, un refrigeratore per i campioni, un glovebox per inserire liquidi e campioni in condizioni di sicurezza. In più ci sono esperimenti che vengono portati e riportati ogni 6 mesi, li chiamiamo stand-alone”. Tutto questo equipaggiamento richiede preparazione spe-

Manuela Aguzzi con l’astronauta Paolo Nespoli al centro di addestramento astronauti (ESA EAC) durante una sessione sull'utilizzo di Portable Pulmonary Function System, un sistema usato sulla ISS per la ricerca in ambito di fisiologia umana, focalizzata sulla raccolta dati del sistema respiratorio, cardiovascolare e metabolico

“C’era un corso di specialistica sul design per le microgravità. Lì ho capito che il disegnatore industriale può dare un importante contributo al settore aerospaziale”


L’astronauta NASA Don Pettitt durante una sessione di addestramento sull'utilizzo dell'ecografo di bordo, per ricavare dati sulla variazione degli strati che compongono le pareti di vene e arterie L’astronauta Samantha Cristoforetti si prepara per l'esecuzione di Drain Brain, un esperimento condotto dal Prof. Paolo Zamboni e dal suo Team per conto della Agenzia Spaziale Italiana Sempre la Cristoforetti, con l’istruttrice Manuela Aguzzi, durante una simulazione a terra dell'esperimento Drain Brain mentre fornisce indicazioni, connessa in remoto con il Prime Investogator

cifica per essere usato in sicurezza. Lei si assicura che gli astronauti che vanno in orbita sappiano esattamente cosa aspettarsi e come muoversi nel laboratorio. Manuela si è laureata in Design industriale al Politecnico. “Ho un forte lato artistico, ma non ho mai voluto fare l’artista. Ho pensato che il disegno industriale potesse essere un buon equilibrio, con una formazione tecnica che mi permettesse in ogni modo di usare la creatività. C’era un corso di specialistica che venne fatto soltanto quell’anno dal Prof. Trabucco, mai più ripetuto, si trattava di design per la microgravità. Insegnava a ridisegnare gli 38 MAP Magazine Alumni Polimi


oggetti pensando a un corpo fluttuante che non ha più bisogno di sedersi, che non ha più scarpe ma ancoraggi, che sul tavolo non appoggia la penna ma ha bisogno del velcro. È stata una scelta un po’ kamikaze ma stimolante. Poi ho fatto un dottorato di altri tre anni sullo stesso argomento. Ho capito che il disegnatore industriale può dare un importante contributo al settore aerospaziale, e nei tre anni di dottorato sono riuscita a fare esperienza in azienda. Quando c’è stata una vacancy all’ESA mi sono detta: proviamo!». Manuela ha fatto da “maestra” anche alla più famosa astronauta italiana, Samantha Cristoforetti. “Fra noi si è creato un rapporto stretto. Due donne italiane, più o meno della stessa età, è naturale trovarsi”, spiega. Talmente stretto che hanno scritto un libro insieme, Uma, la chiocciola in orbita. “Racconta la storia di una chiocciola che va nella ISS con Samantha, è stato un modo di unire la mia parte più creativa, che viene dalla facoltà di design, con un lato più tecnico da istruttore”. Davanti le sono passati più o meno tutti gli astronauti andati sulla ISS, “più di

cento”, precisa. Tranne una, che nomina con rammarico: Peggy Whitson, statunitense, classe 1960, primo comandante donna. Manuela non è come un insegnante tradizionale – uno scienziato, in questi casi –, e la sua formazione è fondamentale. “Venendo dal Politecnico ho una preparazione in analisi del prodotto, e preparo un training sempre dal punto di vista dell’utente, non è una cosa banale. La mia lezione ha un taglio molto learner centered, legato all’interfaccia e all’usabilità. È un punto di vista che mi ha permesso di dare un taglio alle lezioni in cui mi metto nei panni di una persona non esperta, vedo cosa ho davanti, cosa mi dice questa macchina: c’è molta semiotica dell’oggetto”. La cosa più delicata è insegnare agli astronauti l’uso di questi strumenti senza lasciare alcun margine di errore, ma senza nemmeno pretendere che possano conoscere completamente le macchine, l’hardware. “Nel settore spaziale c’è una filosofia. Si dice che «failure is not an option»”. Ma quanto pesano queste responsabilità? Manuela sdrammatizza: “Natu-

“Nel settore spaziale c'è una filosofia: failure is not an option” 39 MAP Magazine Alumni Polimi

ralmente non è tutto sulle spalle di uno solo individuo. Il nostro sistema, per come è organizzato, per il fatto che si lavora con molto anticipo, che c’è sempre un backup, sempre un capitolo “what if”, è un bellissimo modo di lavorare. E poi mi occupo di esperimenti, non di cose più rischiose come le operazioni extra-veicolari, nello spazio aperto. Se fai un errore di interpretazione delle mie procedure, sbagli a mettere un elettrodo, non è critico per la vita o per l’abitacolo. Quando devi parcheggiare la Soyuz è un po’ più complicato”. La Stazione spaziale internazionale dovrebbe terminare le sue missioni entro il 2028. Agli oggetti, ai luoghi anche non naturali, è facile affezionarsi, e infatti Manuela spiega che «mi mancherà, ma sono anche molto orgogliosa. Ho l’impressione di aver dato un piccolo contributo a un pezzo della storia umana».


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LA MAGNOLIA DEL CUORE Racconti di chi ha lasciato le radici al Campus Leonardo

Campus Leonardo, edificio 3, alle spalle dell’aula De Donato. Questo era l’indirizzo dove gli studenti si sedevano non per seguire una lezione ma per fare un pranzo sull’erba, all’ombra di un grande albero di magnolia. Oggi la magnolia non esiste più, ma generazioni di studenti hanno lasciato qui il cuore e le radici. Paolo ci racconta: “La magnolia che c’era all’ingresso del padiglione sud, e il quadrato di prato con i pini dietro il rettorato, erano gli unici elementi che mi facevano rendere conto del tempo che passava al Poli. In primavera ed estate la magnolia era splendente, radiosa, piena di foglie e di fiori, segno di vita e di rinascita. Il giardino si riempiva di studenti che pranzavano, che giocavano a carte o con il frisbee. I nuo-

vi amori che lì nascevano erano il segno che il Politecnico non era solo studio ed esami, ogni cosa fioriva”. Chiara, proprio poco prima che l’abbattessero, gli ha scattato una foto ricordo. “L’ho mandata a un amico a Stoccolma, per ricordargli di quando un anno prima, nel giorno della sua laurea, ci eravamo fatti una foto proprio sotto quell’albero così maestoso. Mi aveva colpito come la magnolia fosse rimasta uguale, fissa a quell’istante. Rivederla mi ricordava quel giorno di festa”. Anche se oggi ha lasciato uno spazio vuoto, quei momenti sembrano esserci ancora in quel cortile del Campus Leonardo, edificio 3, alle spalle dell’aula De Donato. Lì dove ci sono le nostre radici.

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DI QUANDO LOU REED MI DISSE "THAT’S MY GUITAR" di Valerio Millefoglie

L’Alumnus Lorenzo Palmeri, progettista di mondi, ha ideato la Paraffina Slapster: la chitarra-icona in alluminio di Lou Reed. Lo abbiamo incontrato nel suo studio per farci raccontare di quella volta in cui Lou Reed lo abbracciò

Lorenzo Palmeri, 49 anni Alumnus Polimi Architettura Lorenzo Palmeri Studio

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Un giorno del 2007 squilla il telefono della Noah Guitars, azienda produttrice di chitarre. Dall’altra parte c’è un uomo che, parlando in inglese, si presenta come il manager di Lou Reed. Il cantautore e fondatore della storica band dei Velvet Underground, inserita da Rolling Stone fra i 100 migliori artisti di tutti i tempi, è alla ricerca di una chitarra che possa dargli un suono nuovo e ha pensato a uno strumento in metallo. Ne ha pensato a uno in particolare: quello progettato da Lorenzo Palmeri, con cassa in alluminio aeronautico,

in mostra in quel periodo al Design Museum della Triennale di Milano per un’esposizione sulle nuove generazioni di designer. Quando ne viene informato Palmeri pensa a uno scherzo e il giorno dell’incontro arriva anche in ritardo. “L’appuntamento era presso la sede della Noah Guitars a Milano, ma io pensavo fosse tutta una messa in scena”, ricorda oggi, nel suo studio. E invece Lou Reed c’era. “Appena sono entrato ha fatto una cosa incredibile. Si è alzato, mi ha abbracciato e mi ha detto: «That’s my guitar!»”. Così, in un’anti-

Navel, la chitarra più antica del mondo Una serie limitata in legno kaouri, l’unico legno non fossile, cioè vivo, di 40.000 anni. Preservato dall'assenza di ossigeno generatasi in via naturale in alcune zone paludose dell'est europeo

Paraffina slapster Chitarra elettrica in alluminio e legno. Selezionata per la mostra “The New Italian Design” (Triennale di Milano), ha incontrato lungo la sua strada alcuni grandi musicisti come Lou Reed

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Bozzetti originali di Lorenzo Palmeri per i progetti delle chitarre Navel e Paraffina Slapster

“L’architettura è storia di progetti che accadono, è filosofia e vita” ca villa settecentesca in zona Lambrate, sede appunto della Noah Guitars, Lorenzo Palmieri ha assistito a un piccolo concerto per pochi: Lou Reed che provava la sua chitarra suonando una delle sue canzoni più celebri, Perfect Day. Il giorno era proprio perfetto. “Questa chitarra la uso per raccontare come sia poco gestibile la vita di un progetto dopo che è uscito dal tuo studio. Senza alcun apparato di marketing ha

fatto una vita surreale e fortunatissima. Un paio di mesi dopo averla prodotta è stata scelta per il primo museo del design a Milano, già essere presente a quell’esposizione per me era un traguardo. Il punto in cui era stata inizialmente posizionata all’interno del percorso museale non andava bene perché non prendeva la luce giusta, quindi è stata più volte spostata fino a quando non è stata messa all’ingresso. Era la prima e l’ultima cosa che vedevi. Uno si chiede come sia arrivata a Lou Reed, io direi che sono piccole filiere del caso”. Saturnino, il bassista di Jovanotti, presente il giorno dell’incontro, ricorda uno dei commenti di Lou Reed: “Questa chitarra, a differenza di tutte quelle che ho visto e suonato è diversa, si vede che dietro c’è una grande tecnologia”. Tecnologia che lo porta a definirla: “La mia chitarra magica”. E la magia 44 MAP Magazine Alumni Polimi

è presente anche nello studio di Lorenzo Palmeri, dove il tavolo da disegno convive con un ripiano su cui sono poggiati sintetizzatori musicali e batterie elettroniche, dove i volumi di architettura sono sistemati in librerie accanto a strumenti antichi come un organo indiano e ad un blocco di legno. “Questo è un legno Kauri che ha circa


cinquantamila anni - spiega “Le catastrofi naturali come i cataclismi avvenuti alla fine dell’ultima era glaciale fecero sprofondate intere foreste di Kauri, in Nuova-Zelanda, ricoprendole di acqua e di fango. Questi due elementi, uniti alla mancanza totale di ossigeno, hanno impedito i processi chimici di decomposizione, permettendo loro di sopravvivere e di arrivare a noi con le stesse caratteristiche di un legno appena tagliato”. Ed è questo il materiale del suo ultimo strumento musicale: la chitarra più antica del mondo, ma progettata oggi. “L’ho chiamata Navel, come ombelico, perché al centro presenta un piccolo foro. Il primo pezzo, appena realizzato, è stato spedito subito in Giappone per una mostra sulle eccellenze progettuali. Questo legno ha un suono arcaico”. Andiamo anche noi indietro, alla prima grande fascinazione per l’architettura e alla scelta del Politecnico. “Dopo la maturità al liceo scientifico sperimentale, che univa la formazione artisti-

“Il Politecnico ci ha insegnato a sopravvivere una volta fuori dal Politecnico” 45 MAP Magazine Alumni Polimi


Dune - superficie in pietra Un indagine per Stone Italiana sulle potenzialità volumetriche della lastra, per definizione piatta e che qui si arricchisce di texture tridimensionale ca a quella scientifica, l’architettura mi dava l’impressione di poter aprirmi qualunque strada. L’architetto mi faceva pensare a una figura sfumata, che poteva dedicarsi al cinema, alla musica, a progettare qualsiasi mondo”. E infatti nel suo curriculum ci sono anche una scuola di regia cinematografica e sette anni di composizione musicale. “Dal Poli invece ho raccolto questo: una grandissima esperienza che entra nella mia vita lavorativa e non solo, generando un modo di agire, un approccio che definirei multioptical, multidisciplinare che deriva dall’aver messo insieme corsi e percorsi molto interessanti. Mi ricordo ad esempio professori di materie apparentemente difficili e

pesanti come Statistica che riuscivano, con una capacità pazzesca, a farti appassionare a una materia inavvicinabile, che per spiegare una data forza coinvolgevano gli studenti in gesti, dando loro in mano una sedia. C’era poi una certa libertà di scelta dello studente, che poteva crearsi un percorso personale di studi seguendo i professori che sentiva essere sulla sua stessa lunghezza d’onda. Personaggi che magnetizzavano, con un’attitudine umana fortissima e una visione del futuro. Penso ad esempio a Ida Fare’, che rappresentava la psicologia dell’abitare e le forme sociali. Eri coinvolto, andavi a caccia di questi professori magnetici. Tutto ciò mi attraeva perché era psico46 MAP Magazine Alumni Polimi

La lampada Promenade dotata di un esclusivo sistema di rotazione a 360°. Vincitrice del Good Design Award 2005


logia, era filosofia di vita, era il racconto di storie di progetti che accadono, di cose vive. Ecco, questo mi ha lasciato una grande capacità o volontà di scegliere cose che mi interessano”. Nominato nel 2017 tra gli “Ambasciatori del Design italiano” nell’ambito dell’Italian Design Day, Lorenzo Palmeri è un uomo dalla duplice biografia: architetto e designer, autore di due dischi come “Preparativi per la pioggia”, che vede la collaborazione di Franco Battiato e il già citato Saturnino al basso. Alumnus del Politecnico e a sua volta professore. “Direi che il Politecnico mi ha insegnato a sopravvivere una volta fuori dal Politecnico”. Dicendo questo, si avvicina all’armonium indiano posizionato al-

le spalle della sua scrivania, un organo dell’Ottocento che si suona azionando un sistema d’aria. Sulla parete è appeso un tappeto arabo. “Gira nella nostra famiglia da secoli. Qualcuno lo aveva regalato al mio bisnonno. Da piccolo ci giocavo sempre sopra”. Ora quel paesaggio che una volta era steso per terra è diventato un panorama verticale. Un orizzonte. “Faccio fatica a dare consigli sul domani ai giovani - dice- Però questo è quello che diedero a me: se tu cerchi, trovi. Penso che l’università debba incoraggiare a costruire delle proprie storie. Debba infondere forza e coraggio nel fare una cosa propria”. Più che un consiglio, un augurio: “Che ognuno trovi la sua strada”.

“Se tu cerchi, trovi. Questo è il consiglio che mi diedero. Che ognuno trovi la sua strada”

Armonium indiano Lorenzo Palmeri nel suo studio suona un organo dell'Ottocento

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IL MONUMENTO NAZIONALE AUSTRALIANO NATO IN ITALIA di Valerio Millefoglie

L’Alumnus Mario Antonio Arnaboldi, architetto e Medaglia d’argento al Politecnico di Milano, nel 1971 ha realizzato un grattacielo di 16 piani a Sidney. Oggi l’edificio è stato dichiarato monumento nazionale e porta il suo nome: l’Arnaboldi Building

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Mario Antonio Arnaboldi, 86 anni Alumnus Polimi Architettura

“Io sono malato di architettura. L’architettura è la vita che ho” “La storia la fa la pietra”, è una delle prime frasi pronunciate da Mario Antonio Arnaboldi. Ci accoglie in quella che da cinquant’anni è la sua casa e il suo studio, a Milano, nel quartiere Maggiolina, dove han trovato terreno le visioni delle case a igloo e a fungo dello zio, Mario Cavallè, a sua volta professore di Architettura del Politecnico. “Io sono malato di architettura - si presenta subito Arnaboldi - Per me l’architettura è la vita che ho. Ho trascurato qualunque atto personale, per me c’era solo il riuscire a fare l’architetto e a farlo bene, imparare a farlo come si deve. Il Poli mi ha

Studio Architetti Associati Arnaboldi&Partners insegnato questo. E mi ha in- con Google Earth su Sidney, segnato a mettere insieme il fra i risultati di ricerca è vepranzo con la cena. Mi ha da- nuto fuori un articolo su una to un’educazione. Mi ha da- mostra che portava i cittadito la disciplina. Ho scoperto ni alla scoperta proprio dela formazione fatta con sen- gli edifici storici della città. E timento, da persone che in- fra questi, vengo a conoscensegnavano con una passione za che quel grattacielo del ’71 incredibile”. E, a sua volta, è porta il mio nome ed è stadiventato una di quelle per- to dichiarato appunto monusone che insegnano con una mento di interesse nazionale. passione incredibile e por- Nessuno me l’aveva comunitano le proprie conoscenze cato in via ufficiale, è stata nel mondo. Ma torniamo al- una sorpresa, scoperta così la pietra. Nello specifico al- per caso”. Il grattacielo è stala pietra di Sidney. “Da un po’ to pensato in Italia, proprio di tempo l’Australia si è resa alla scrivania dove siamo seconto di non avere una sto- duti ora, ed è stato anche reria e ha capito invece che la alizzato in Italia, con dei mapietra parla. Dunque han- teriali allora introvabili in no suddiviso la loro storia, Australia. Secondo gli austradall’anno della fondazione liani la facciata di vetro ideaad oggi, selezionando una se- ta da Arnaboldi era infattibile, rie di case ed edifici rappre- “Dissero che si sarebbe disentativi. Ogni cinquant’an- strutta”. Un’azienda italiana, ni creano un monumento di la Secco di Treviso, accettò interesse nazionale. Qual- la sfida. Così, in un capannoche anno fa, facendo un giro ne completamente svuota49 MAP Magazine Alumni Polimi


to per fare spazio ai seimila vetri della facciata, l’edificio fu interamente montato sul pavimento. Poi fu diviso in tre sezioni spedite singolarmente dall’altra parte del mondo. Arnaboldi ricorda quei momenti vissuti co-

lano, che non ho mai voluto lasciare. Il primo tema da affrontare era questo mancato senso di appartenenza dei cittadini di Sidney. Ai party le persone per raccontare l’origine della propria famiglia chiedevano «Ma tu quan-

“L’Arnaboldi Building racconta la natura. La luce interagisce con la facciata dell’edificio e il passante coesiste, ha una relazione con questo paesaggio” me pionieri: “Mi sono seduto qui. Avevo attorno una ventina di ragazzi del Politecnico. Ho detto: «Adesso facciamo un lavoro in Australia». Allora insegnavo a Trento, a Sidney e facevo il pendolare fra queste due città e Mi-

to sei: 6 chili, 8 chili o 10 chili?». Si riferivano al periodo della regina Vittoria, quando i chili indicavano le palle al piede dei detenuti che sbarcavano dalle navi per popolare l’Australia. Ho notato che i discendenti non sentiva-

no l’appartenenza al territorio, non si sentivano cittadini, non si sentivano neanche australiani. Continuavano a vivere senza alcuna identità. Non c’era insomma quel rapporto di riconoscenza che deve instaurarsi fra un luogo e i suoi abitanti. Una città è fatta solo di spazi e gli spazi sono quelli di aggregazione, gli spazi sono quelli di incontri, gli spazi sono quelli dove nasce l’amore e dove nasce il rapporto con gli altri”. Ed ecco come nasce l’idea di giocare con l’arte, con le immagini ambigue inventate da Josef Albers, “Avevamo i suoi libri sempre sul tavolo in quel periodo”. L’architettura diventa un modo per sorprendere con le forme e che permette di scoprire un mondo interiore. “Siamo giunti all’immagine ambigua del grattacielo, che deve raccontare la natura, perché allora l’Australia era una nazione ancora profondamente agricola. Da qui l’idea di giocare con un’immagine a specchio e con la luce che trasforma il paesaggio dal giorno alla notte. Con il buio la figura del cubo presente sulla facciata prende forma tridimensionale, sembra quasi incombere sul passante. Di giorno, con il percorrere del sole, si percepiscono continui effet-

In questa pagina e accanto, la facciata dell'Arnaboldi Building a Sidney


ti dati proprio dal movimento della luce”. Cominciamo a parlare di altri effetti, quelli dell’educazione materna. “Quando ero piccolo mia madre mi diceva: «O tu fai l’architetto o fai l’architetto». L’avevo nella minestra l’architettura, tutte le volte che mi sedevo a tavola mangiavo la materia. La famiglia di mia madre era di umili origini e da giovane aveva do-

vuto lavorare per mantenere vo bisogno di uno sport foragli studi il fratello, Mario Ca- te, ho sempre creduto che da vallè. Quindi la cosa le era ri- soli non si fa niente e quindi masta un po’ qui e in qualche ho cercato uno sport di squamodo forse dovevo riscattar- dra, leale”. la. Una distrazione però l’ho avuta, sono stato nella na- “Dopo aver dato l’ultimo esazionale di rugby. Credevo nel- me, Fisica Tecnica, tornai a lo sport perché pensavo che casa e dissi: «Papà ho finito». l’università avesse bisogno di E lui: «Ah, hai finito?». «Sì ho una forza fisica. Essendo solo, proprio finito e mi laureo». senza aiuti, non mi interessa- «Finalmente, sono contento vano il calcio o il tennis, ave- di avere un figlio ingegnere». 51 MAP Magazine Alumni Polimi


La facciata dell'Arnaboldi Building disposta sul pavimento della Secco di Treviso

“Al Politecnico ho imparato molto anche quando ero professore. Dagli studenti” «Papà ho studiato architettura, come fai a dire ingegnere? Io divento matto, diventerò architetto». «Ah per me è lo stesso, per me è come se tu fossi ingegnere». Però è stato un padre favoloso”. Poi, racconta del periodo in cui è passato dall’altra parte della cattedra. “Avevo mille allievi e trenta assistenti. Un gio-

vane quando avvicina la matita al foglio di carta e tira la prima linea deve innescare la macchina della creatività. Ho fondato un corso di disegno che è diventato un corso ufficiale del ministero dell’Istruzione ma prima di tutto, al Politecnico, ho imparato io dai giovani. Ho imparato che il mondo andava avanti e che i professori, concentrati ogni giorno sulla materia, rischiano di rimanere fermi sempre alla stessa cosa. Io cominciavo dal punto, sostenendo che il punto è universale. Nell’attimo in cui fai il primo punto hai già un coinvolgimento di fenomeni di realtà. Poi il punto diventa una linea, la linea può essere fatta in tanti modi. Pensi che il primo esercizio che facevo fare partiva da un semplice foglio. Di52 MAP Magazine Alumni Polimi

cevo: «Dividetelo in quattro parti e per ogni parte fate delle linee. Nel primo riquadro una linea orizzontale, nel secondo una linea verticale, nel terzo una linea inclinata e nel quarto come volete voi». Tutti si bloccavano. Come lo divido il foglio esattamente? A matita o lo piego? A che distanza devono essere fra loro le linee. Innescava l’atto di pensare necessariamente, di confrontarsi”. L’atto dell’avere una storia comune, un futuro condiviso. All’uscita di casa, torniamo ancora una volta alla pietra. Sugli scalini che portano al cancello, sopra un muretto, sono adagiate dodici grandi lettere in metallo che messe in fila formano una parola: Architettura.


DATI Progetto Complesso per uffici in Clarence Street 263 Anno 1971

CARATTERISTICHE Superficie: 560 m² Superficie totale: 8800 m² Volume: 24750 m³ Area coperta: 550 m² Numero dei Piani: 16 piani Sistema Strutturale: facciata continua in acciaio inox AISI 304 Dimensione del telaio: 5,50 m x 5,50 m Altezza dell'edificio: 45 m Parcheggio interrato: 2 piani da 550 m² Classe di appartenenza: I d

DATI TECNICI Palazzo destinato ad uffici composto da 14 piani fuori terra e 2 piani di parcheggio interrati. La struttura portante è in cemento armato gettato in opera; è dotata di un impianto di termoventilazione e di quattro ascensori computerizzati. La facciata si compone di 23.000 pezzi e il reticolo è formato da profilati in acciaio inox del tipo AISI 304 assiemati con parti strutturali di lamiera di 3 mm di spessore. Non vi sono saldature ma viti e collegamenti meccanici speciali per permettere le dilatazioni dovute alle variazioni termiche. I vetri sono del tipo di cristallo stratificato a tre strati di spessore 18 mm con interposto plastico PVB 0,38 mm. 53 MAP Magazine Alumni Polimi


LA PISTA CICLABILE PIÙ LUNGA D’ITALIA PARTE DA QUI Milano, Alzaia Naviglio Pavese. Le finestre dei palazzi si affacciano non su una fila di macchine parcheggiate ma su una fila di tavolini e sedie disposte fuori dai bar. Sulle ve-

VenTo: come Venezia e Torino, come qualcosa di leggero, che è nell’aria. É il progetto di cicloturistica lungo il Po, nato al Politecnico. Ne abbiamo parlato con l’Alumnus Paolo Pileri di Valerio Millefoglie

trine di una libreria, di una ciclofficina, di una bottega di artigiani, si riflettono una fila variopinta di ciclisti. Così Paolo Pileri immagina che il passaggio di VenTo trasformerà 54 MAP Magazine Alumni Polimi

questa parte di Naviglio, che da qui incrocerà Pavia, all’interno del circuito Venezia-Torino. Ne parliamo camminando su uno stretto marciapiede che costeggia il corso d’acqua.


Qual è stato il primo passo di VenTo? L’idea è nata nel 2010. Mi occupo di paesaggio, di suolo, e quelli erano per l’Italia anni di piena crisi. Vedi il Paese che si svuota e ti chiedi cosa puoi fare. Credo che a imprimere i cambiamenti nei territori debbano essere anche le forze culturali. E noi, come Politecnico, facciamo cultura. Ho l’idea di un Politecnico generoso. È facile pensare al futuro di Milano, dove è più probabile che un investimento porti facilmente buoni frutti. Non è facile pensare al riscatto di altri territori, dove tutto è più duro: il freddo è più freddo, il caldo è più caldo ed è difficile trovare un lavoro. Girando per l’Europa ci siamo resi conto che dove c’era un fiume, c’era una pista ciclabile che funzionava da traino per l’economia. L’Italia è così bella, ci siamo detti, ed è sprovvista di infrastrutture leggere per connettere i luoghi e le tradizioni, le storie. Penso che l’Italia non debba dare un futuro solo alle città principalI e percepire il resto come un disturbo del territorio per arrivare da un punto all’altro. Nel mezzo c’è tanto da scoprire. Siamo progettisti, quindi con il nostro gruppo siamo partiti dall’analisi del territorio. Ho chiesto all'urba-

Paolo Pileri, 51 anni Alumnus Polimi Ingegneria Ambientale Professore di Tecnica e Pianificazione Urbanistica, Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Politecnico

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nista Diana Giudici e all'architetto Alessandro Giacomel, i miei collaboratori: «Avete una bicicletta?». Così siamo partiti lungo il Po. Abbiamo scoperto che c’erano quattordicimila aziende agricole e un paesaggio meraviglioso fatto anche delle storie di chi abita questi luoghi. Osterie, musei, piazze, parchi fluviali, castelli, borghi storici,

“A imprimere i cambiamenti nei territori devono essere anche le forze culturali. E noi, come Politecnico, facciamo cultura”

679 km da Venezia a Torino

pedalando abbiamo scattato più di settemila foto. Nel 2012 avevamo una mappatura che presentava già tutte le soluzioni infrastrutturali per progettare un tracciato sicuro. VenTo è nata così, inizialmente, senza avere alcun committente. Grazie alla voglia di immaginare quello che non c’era. Il passo successivo qual è stato? Ci siamo detti che tutto ciò andava raccontato. Siamo andati dai sindaci dei comuni. Alcuni di loro, a un primo impatto, si mostravano dubbiosi: associavano il Politecnico a Milano, quindi si chiedevano cosa ci facessimo lì in Piemonte o in Veneto. Un’università però è tenuta a prendersi cura di tutto il Paese, non solo della città in cui ha sede. Ai sindaci non abbiamo chiesto alcuna sovvenzione. Gli abbiamo solo detto che, nel caso gli fos-

400.000

visitatori l'anno stimati

se piaciuto il progetto, avrebbero potuto aderire con una delibera ufficiale del consiglio comunale al passaggio di VenTo dal loro comune. Abbiamo ricevuto più di duecento adesioni. Un giorno poi, mentre pedalavo in direzione di Chioggia, mi arriva una telefonata dal responsabile gestionale del mio dipartimento. Mi dice che è arrivato un telegramma del Ministro Bray. Scriveva che il progetto gli sembrava bellissimo, ci faceva i suoi auguri e prometteva di organizzare al più presto un incontro formale di governo. E così è stato, si è tenuto nell’Aula Magna del Politecnico. Abbiamo convinto il governo a immaginare di investire nella ciclabile. Ma è stato fatto di più, sono stati stanziati dei fondi per delle ciclabili su scala nazionale. Devo dire che c’è dell’orgoglio Politecnico in questo. Oltre al nostro progetto infatti, nel frattempo, sono state se-

100 mln €

di indotto annuo diffuso sul territorio

56 MAP Magazine Alumni Polimi

oltre 2.000

nuovi posti di lavoro


lezionate altre quattro proposte di ciclabile. Senza nulla togliere a queste, VenTo è l’unica che attualmente ha la capacità tecnica di diventare bando di gara. E questo grazie allo studio di fattibilità che abbiamo presentato. Verrano scelte quindi le aziende che si occuperanno della realizzazione di VenTo e noi, come Politecnico, saremo i supervisori di tutto il progetto unitario. Dopo aver fatto arrivare la vostra idea ai sindaci dei territori e al governo, come l’avete fatta arrivare alle persone? Nel 2013 ci siamo inventati il Bici Tour. Una pedalata collettiva, aperta al pubblico, a chiunque abbia voglia di scoprire le bellezze della natura e del nostro patrimonio culturale. Quest’anno si terrà dal 25 maggio al 3 giugno. Nel tragitto sono previsti incontri, conferenze, visite gui-

91 mln €

stanziati dalla Legge di Stabilità 2016 per 4 ciclabili prioritarie tra cui VENTO

oltre 3.000 beni culturali

57 MAP Magazine Alumni Polimi

oltre 40

aree protette

373

sapori


“La pista è un filo narrativo di luoghi e persone. Diventa un modello di lettura del territorio”

date. Nelle sedi di Piacenza to sulla riva una nave di quae di Cremona del Politecnico ranta metri. Un’architettusi terranno due incontri dedi- ra visionaria, come quelle di cati ad architetti, ingegneri e Duilio Forte, dotata di scale, designer; racconteremo co- passerelle, punti panoramici me si progetta una pista ci- e giochi per bambini. A Luzclabile. Quello che vorremmo zara invece c’è la Fondaziotrasferire è che la pista è un ne Cesare Zavattini, con un filo narrativo. Il cappellaccio gruppo di giovani fantastici, di Ferrara diventa agnolot- animati dal voler far rivivere to nel Piemonte e si trasfor- la cultura di queste terre. Lo ma perché gli ingredienti e la stesso Zavattini parlava di un tradizione mutano di metro “paziente inoltrarsi nei luoin metro. Le storie non sono ghi”. É la nostra stessa filodepositate a caso. Hanno un sofia. Se ti muovi lentamente filo, e quel filo può essere la scopri Nicola che ha aperto ciclabile che diventa un mo- un ostello, Germana che ha dello di lettura del territorio. un agriturismo con i cavalli, tanti volti e tanti posti inaQuali sono i personaggi spettati. e i posti che avete incontrato sul cammino? Il suo cammino al Politecnico Tantissimi. Mi viene in men- invece cosa le ha insegnato? te ad esempio la storia del Negli anni duri dello studio Re del Po, un signore che abi- di ingegneria ho capito che le ta vicino Brescello e che da- abilità aumentano con l’apgli anni ’70, con i legnami che plicazione. Applicarsi nel fare raccoglie dal Po, ha costrui- cose impensate eleva l’intel-

Progetto sostenuto da:

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ligenza. L’insegnamento del Poli è questo: non fermarti davanti a ciò che credi insuperabile. Cerca gli strumenti giusti e vedrai che ci riuscirai. Quando abbiamo iniziato a pensare a VenTo tante persone ci dicevano che non saremmo mai arrivati da nessuna parte. Il "virus" Politecnico ci ha aiutati. Che consiglio dà a chi si sta ora mettendo in marcia? Ai giovani dico sempre di non mettere la fantasia sotto i piedi, di non rimanere seduti. I sopralluoghi fatti nel 2010 per VenTo sono serviti tantissimo. Abbiamo visto situazioni che se fossimo rimasti seduti al nostro posto, magari utilizzando Google Earth, non avremmo mai capito. Bisogna fare questo mestiere immaginando di avere due paia di scarpe: uno non basta, nel cammino lo si consuma subito.


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L’INGEGNERE DEL CALCETTO di Nicola Feninno, foto di Cosimo Nesca Giuseppe De Giorgi, 32 anni Alumnus Polimi Ingegneria Gestionale Ceo e Co-founder di Fubles

Estate 2007. Spogliatoi del Centro Sportivo Crespi, Milano. Giuseppe e Vito si infilano i parastinchi nei calzettoni, si allacciano le scarpe. Vito Zongoli è il capitano della squadra del Politecnico, studia Ingegneria Elettronica. Giuseppe de Giorgi è il vicecapitano, ingegnere gestionale. Sono la coppia d’attacco. “Giuseppe io sto impazzendo. Siamo in troppi, non si capi-

sce più niente e immancabilmente – c’è sempre quello che bidona all’ultimo. Non ce la faccio più: o studio o organizzo partite di calcetto”. Fubles nasce così. Inverno 2017. Gli utenti registrati a Fubles sono oltre 665mila. Si tratta di un vero e proprio social network per giocatori di calcetto, il più grande d’Europa. Ci si può 60 MAP Magazine Alumni Polimi

iscrivere e giocare con degli sconosciuti. Oppure si possono organizzare partite private. Ci sono le statistiche di ogni giocatore: le pagelle, date da compagni di squadra e avversari. Ogni iscritto ha il suo rango, il livello di gioco. C’è il feedback sull’affidabilità e la puntualità. Si gioca sempre Bianchi contro Neri. Stasera, al Centro Sportivo


666.573 giocatori, 237.867 partite giocate, 17.097 centri sportivi. Sono i numeri di Fubles, un social network che permette di organizzare e gestire partite di calcetto mettendo insieme giocatori, che non si conoscono fra loro, partite e centri sportivi di una determinata zona. Ne hanno parlato Forbes, la BBC, la London Business School, ma la sua casa è qui: al Poli, dov’è nata l’idea. Ne abbiamo parlato con uno dei fondatori

di Cimiano, si gioca la partita la partita, di iscriverti, di conumero 237973. Io e Giusep- municare, di dare i voti a fine pe De Giorgi ci siamo dati ap- partita”. puntamento a bordo campo. E il nome? “In fondo tutto è nato dai so- “Anche il nome è stata un’inliti problemi, quelli che tutti i tuizione di Vito. All’inizio abgiocatori di calcetto conosco- biamo pensato a qualcosa no benissimo.” Mi dice Giu- come calcetto.com; giocaaseppe, mentre i Bianchi e i calcetto.com; calcioacinque. Neri entrano in campo, “Man- com. Ma tutti quei domini ca un uomo. Un amico ha da- erano già registrati. Così, abto il bidone. Sono cambia- biamo deciso di inventarti gli orari del campo. Manca ci una parola. Breve. Che riil portiere. Da bravi ingegne- cordasse l’inglese football, lo ri, ci siamo detti: dev’esserci spagnolo fùtbol. Che rimaun modo. Dev’esserci qualco- nesse in testa a chi la prosa che può risolvere i nostri nuncia. Fubles. Una parola problemi”. inventata” All’inizio Fubles era poco più Oggi, se digiti fub sulla barra di un insieme di griglie, ac- di ricerca di Google, il primo cattivante come può esse- risultato consigliato è Fubles. re accattivante una pagina “Devi immaginarti questi indi Excel “Era un sito fatto da contri, queste sessioni di ingegneri per ingegneri. In- brainstorming intensivo, nelguardabile. Però funzionava: la sede del DEIB, il Dipartiti permetteva di organizzare mento d’Informatica del Po61 MAP Magazine Alumni Polimi

litecnico. Lì Fubles ha iniziato ad assumere la sua prima, abbozzata, forma. Il Poli era il network perfetto da cui partire; t’imbattevi ogni giorno in competenze diverse e preziose, quasi senza cercarle: studenti aperti all’innovazione, che conoscevano le nuove tecnologie, c’era chi dava suggerimenti sul versante tecnico, chi su quello strategico, economico, qualcuno sulla parte grafica. Gli studenti del Poli sono stati i nostri primi utenti, i primi giocatori, e sono stati fondamentali per migliorare la piattaforma. Praticamente li facevamo iscrivere uno ad uno, nelle aule, durante la pausa caffè, nei cortili. Dopo qualche settimana eravamo in 50. Poi 100. Nel 2008 ci siamo accorti che qualcuno aveva iniziato ad usare la piattaforma fuori da Milano, a Firenze. Lì si è accesa una lampadina”.

“Da bravi ingegneri, ci siamo detti: dev’esserci un modo. Dev’esserci qualcosa che può risolvere i nostri problemi”


Nella foto la squadra dei fondatori di Fubles. Cinque di loro sono Alumni Polimi. In alto da sinistra: Mirko Trasciatti, Vito Zongoli, Nito Trasciatti. In basso da sinistra: Stefano Rodriguez, Giuseppe de Giorgi

“Al PoliHub si parlava di startup quando in pochi ne conoscevano il significato. Ho fatto tesoro di quanto imparato lì e l’ho applicato a Fubles” Così si forma un gruppo di lavoro: sette persone che concentrano gli sforzi per migliorare la nuova creatura, nei weekend, nelle serate, durante i ponti. All’inizio del 2009 esce la seconda versione di Fubles. “Avevamo costruito un algoritmo molto complesso per fare le quotazioni delle partite, era poco più che un divertimento. Un giorno ci chiama un marketing manager di Betfair, una delle agenzie leader nel campo delle scommesse sportiva. Era un utente Fubles. Ci dice: Ora venite qui in azienda e ci raccontate come diavolo fate a quotare la vittoria dei bianchi contro i neri, in una partitella amato-

riale. Noi facciamo fatica con i match di serie A! Era il maggio del 2009, andiamo nella loro sede, gli raccontiamo l’algoritmo. A loro piace moltissimo e ci chiedono di fare una collaborazione: organizzare un evento, un torneo nazionale, alla fine del quale la squadra vincitrice sarebbe andata all’Old Trafford, il tempio del Manchester United. L’evento è un successo. A settembre ci chiama lo stesso manager: Bene, abbiamo fatto un bel lavoro. Ora vi dovremmo pagare; ma come vi paghiamo, chi siete? In quel momento ci siamo resi conto che non avevamo una società”. Così, a ottobre del 2009, nasce Fubles srl. 62 MAP Magazine Alumni Polimi

Il vociare dei Bianchi e dei Neri monta di tono; c’è chi palleggia, chi tira in porta, chi scatta a zig-zag lungo il campo: pochi minuti di riscaldamento, poi si comincia. Il portiere dei Bianchi è un laureato in Giurisprudenza: sta studiando per l’esame da avvocato. Ha passato lo scritto, ora gli manca l’orale; ci dice che se non gioca almeno una volta a settimana impazzisce. Questa volta è capitato nel mezzo di un match tra medici del San Raffaele. Giovedì scorso era nei Neri, sempre in porta: ha preso 4 gol. Si ricorda ancora di un gol al volo di un nordafricano, un gol micidiale, dal lato destro a incrociare sotto l’incrocio dei pali a sinistra. Il nordafricano, alla fine del match, è dovuto scappare per non fare tardi al turno di notte: lui gli ha dato un 8,5 in pagella. Giuseppe mi racconta che gioca ancora a calcetto, almeno una volta a settimana. Gli piace farlo nelle partite pubbliche, contro gli sconosciuti, tramite Fubles, naturalmente, senza dichiarare di essere tra i fondatori. Io sono curioso di conoscere la sua


media voto, e il suo rango. “Sono tra il 7,2 e il 7,3. Ho giocato 278 partite. Livello: God, come lo chiamiamo nella piattaforma. Rientra nell’ultimo percentile, quello più alto. Non sono uno dei più bravi di Fubles, ma me lo cavo.” La partita inizia. Palla al centro. Pari e dispari: la prima palla è dei Bianchi. Un in bocca al lupo per l’esame al quasi-avvocato tra i pali, io e Giuseppe andiamo a berci un caffè, nel bar del centro sportivo. Eravamo rimasti a ottobre 2009.

decidiamo di fare il salto: io, Mirko Trasciatti e Stefano Rodriguez. I primi sei mesi temevo di dire ai miei genitori che avevo lasciato il lavoro. Vivono a Lecce, io sono salentino di origine. Al telefono si parlava della giornata, se il tempo era stato bello, cosa avevo mangiato.”

il prodotto. Semplicemente, a un certo punto, sono saltato dall’altro lato della barricata. Ho fatto tesoro di quanto avevo imparato lì, e l’ho applicato a Fubles. Mi restava solo da spiegare ai miei che avevo lasciato tutto per dedicarmi a organizzare partite di calcetto.”

Non devono averla presa bene, all’inizio, soprattutto perché Giuseppe dopo la laurea era stato assunto come consulente in una multinazionale e poi aveva trovato posto all’interno del PoliHub, l’incubatore d’impresa.

Gli chiedo come s’immagina il futuro di Fubles. “Metterei la firma per realizzare quello che abbiamo creato in Italia in una decina di nazioni all’estero: Spagna, Inghilterra, Francia, Germania, magari Brasile e Argentina. Diciamo: 10 milioni di utenti. Mi accontenterei di questo”. Ride. Poi si fa più serio. “Poi, chissà, una volta raggiunti a 10 milioni, ci metteremo in testa di arrivare a 50 milioni”.

“Il 2010 è l’anno decisivo per Fubles. Quello di transizione. “Lì si parlava di start-up quanI numeri erano in crescita co- do in pochi conoscevano il sistante, alla fine dell’anno ave- gnificato del termine. Per me vamo più di 10mila utenti, ave- – e per Fubles – quell’espevamo i primi investitori, i primi rienza è stata perfetta: il mio brand importanti tra i clien- lavoro era aiutare a far creti. Ma tutti noi, i sette fondato- scere le aziende degli alri, facevamo altri lavori. In tre tri, trovare fondi, migliorare

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Insomma, come si dice al Poli, Ad Maiora.


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HO SCELTO IL POLI

PERCHÉ 180.000 Alumni Polimi nel mondo. Oltre 400 hanno risposto su Facebook alla domanda: “Perché hai scelto il Politecnico?”. Qui abbiamo selezionato alcuni commenti. Puoi leggerli tutti, e lasciare il tuo, sulla pagina Facebook AlumniPolimi

Per sognare in grande. Perché sognavo astronavi nel cielo. Perché i sogni li volevo creare. Per progettare case bellissime. Per la sensazione di un futuro. Per avere un piede nel futuro. Per essere quello che sono oggi. Perché sono ingegnere dentro. Perché sono nata ingegnere. Per diventare ingegnera. Perché volevo essere architetto. Perché volevo restaurare il mondo. Perché volevo cambiare il mondo. Per costruire ponti. Per la voglia di imparare tanto. Per imparare dai Maestri. Per confrontarmi coi migliori. Perché volevo fare la differenza. Per autolesionismo. Volevo farmi del male. Perché avevo bevuto qualche goccio di troppo… Per l’aula quarta. Perché nessuno ci avrebbe scommesso. Ai tempi pura incoscienza, sana follia, oggi orgoglio politecnico. Per passione, studio e coraggio. Per diventare un Alumnus. Perché la professione di ingegnere ce l’ho nel sangue. Perché lo era mio nonno. Per la P di papà e di prestigio. Per il pensiero libero. Perché scuola di ingegno e di vita. Lo rifarei mille volte. Per orgoglio. Per essere il più richiesto. Perché, esistono altre università, per caso? Ho scelto il Politecnico perché è il Politecnico. Perché il Poli è per sempre. 65 MAP Magazine Alumni Polimi


DAL FOGLIO BIANCO AL PARCO TERMALE PIÙ GRANDE D’ITALIA di Valerio Millefoglie

Aquaderns, in provincia di Verona, è non solo il più grande centro termale d’Italia ma anche il secondo più grande in Europa. Ed è solo uno degli ultimi primati dell’Alumnus Giancarlo Marzorati 66 MAP Magazine Alumni Polimi


“L’inizio di ogni progetto è il foglio bianco. Il mio ufficio è questo”, dice Giancarlo Marzorati sfilando una manciata di penne colorate dal taschino della giacca e poggiandole su una scrivania accanto a un foglio bianco. “L’emozione del foglio pulito è quella che mette in moto stimoli e ragioni che appartengono alla propria storia e sensibilità”. Prende una matita e l’accompagna in una caduta perpendicolare sul foglio, dove segna un puntino. “Una goccia cade nell’acqua e dà vita a una serie di onde concentriche. Ecco come nasce la forma di un luogo di pace. Può essere un monastero, con il chiostro circolare immerso nella natura e ricoperto di verde, un anfiteatro in un prato, oppure un parco termale”.

Il parco termale si trova esattamente a Pescantina, nel cuore della Valpolicella. Diamo subito i numeri: 60 mila metri quadri di superficie, 5000 metri quadri d’acqua termale che sgorga a 46 gradi da una faglia proveniente da 200 metri di profondità. Il tutto per raggiungere una sauna da record, con 70 posti, potremmo definirlo un rito collettivo del relax. Viste dall’alto le teme hanno la forma di grandi piscine circolari, com’è nata l’idea? Il cerchio per me è una forma magica. Lo è perché è una

forma indefinita. Non ha un inizio e non ha una fine. Non ha uno spigolo e non c’è gerarchia delle superfici. Per raccontare però com’è nato il progetto di Aquaderns dobbiamo fare un passo indietro. Dobbiamo andare ai tempi in cui ero studente al Politecnico. Da sempre subisco il fascino di chi sa intrattenere il pubblico con argomenti importanti e capacità espressive. Ricordo che seguivo anche lezioni che non riguardavano affatto il mio corso di studi perché volevo ascoltare un determinato insegnante.

“Al Poli seguivo anche lezioni di altri corsi, ciò ha fatto crescere in me la voglia di occuparmi degli aspetti emotivi e sensoriali dei luoghi”

Giancarlo Marzorati, 70 anni Alumnus Polimi Architettura Studio Marzorati Architettura 67 MAP Magazine Alumni Polimi


Spesso tornavo a riascoltare la stessa lezione perché avvertivo che in qualche modo mi elevava. Ed è proprio questo che ha incrementato e fatto crescere in me l’esigenza di occuparmi degli aspetti emotivi e sensoriali dei luoghi. Così arriviamo ai giorni nostri, al parco termale che è proprio frutto di questa logica. Nasce infatti da quella che io ritengo essere una sensibilità nei confronti dello spazio in cui ci siamo inseriti e dalla sensazione e voglia di voler creare un posto magico. Una nuvola, qualcosa di estraneo al quotidia-

no, allo stress, ai caffè bevuti in piedi. Qui invece non si sta in piedi, si abbandona la giacca per sentirsi altrove, in un altro mondo di benessere. Proprio ispirandomi alle colline che cingono Pescantina, ho deciso che sarebbe stato il verde a delineare le forme di queste terme. All’ingresso c’è un lago, lei lo attraversa ed entra in paradiso. Il corso d’acqua porta all’esterno, poi rientra nelle grotte, si fa cascata, e ogni cosa segue un’armonia. Attualmente stiamo progettando un hotel di quattro livelli fuori terra, con 270 camere con vista sul-

“Al Poli si diceva che gli ingegneri funzionano. Per loro uno più uno corrisponde a due. Per gli architetti uno più uno fa quasi due”

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Vasche e lagune, grotte e cascate di acqua salsobromo-iodica scorrono in un complesso architettonico di oltre 60.000 metri quadri, con vista sulla Valpolicella


le terme. Anche dalla camere, sembrerà di essere immersi nell'acqua. Tornando al periodo del Politecnico, prima di scegliere Architettura si è iscritto a Ingegneria. Cosa le ha fatto cambiare idea e direzione? Sì, ho frequentato Ingegneria per poco più di un anno, dando esami scientifici: Geometria, Chimica, Analisi 1. Poi mi sono spostato ad Architettura, ma avevo già le scarpe sporche di cemento perché lavoravo in un cantiere a Sesto San Giovanni. Per me gli aspetti emotivi e umanistici prevalevano sull’ambizione matematica o scientifica. L’architettura ha un percorso più emozionale che accompagna l’uomo dall’origine. L’ingegneria invece è la capacità di risolvere i problemi. Al Poli si diceva che gli in69 MAP Magazine Alumni Polimi

gegneri funzionano. Per loro uno più uno corrisponde a due. Per gli architetti uno più uno fa quasi due. A parte gli scherzi, mi attraeva l’idea di costruire, di inventare qualcosa che non c’è. Strada facendo, esame dopo esame, ho avvertito una terribile e al contempo piacevole responsabilità che sento ancora oggi. Quando lavoro a un edificio mi rendo conto di modificare il paesaggio. Lo modifico per chi ci abita di fronte e per tutti quelli che passandoci vedevano qualcosa e ora vedono qualcos’altro. E questo non è solo un fatto meramente estetico. C’è dietro un aspetto ambientale, emozionale e sociale. Qualcosa che interagisce con la percezione delle persone, e questo trovo sia sorprendentemente importante. Ha infatti letteralmente cambiato il modo di vedere qualcosa di importante: i film. Ha progettato uno dei primi multisala in Italia, l’Arcadia di Melzo; che proprio nel 2017 ha vinto il premio miglior sala dell’anno di tutta Europa, indetto dall’International Cinema Technology Association. Qual è in questo caso il primo segno sul foglio da cui è partito per immaginarlo? Le schizzo la seduta delle sale. Quando ho lavorato al cinema mi sono voluto sfogare disegnando questa poltrona, perché sino ad allora andare al cinema, per me che sono alto, significava guardare il film con le ginocchia al pet-


L'Auditorium di Milano. Il ponte scenico e gli impianti di aerazione formano sagome lignee che ricordano i ponti di un grande vascello al servizio sella resa acustica. La struttura infatti a una funzione acustica nel rompere le onde sonore e riflettere intorno le vibrazioni Nella pagina accanto: L'atrio dell'Auditorium di Milano, caratterizzato dalle schermature che preannunciano i profili della sala, e della piramide rovesciata che fa da lucernario

tivamente e sensorialmente lo spettatore. La domanda che ci siamo posti all’inizio dei lavori è stata: «Come fai a portare la gente a Melzo, in una sera che piove che Dio la manda, per vedere un film?». Ecco la risposta.

to. Così fra le due sedute ho messo la distanza di un metro. Questo consente non solo la massima visibilità dello schermo, ma consente al signore che deve alzarsi per andare alla toilette di spostarsi senza bisogno che io mi alzi. In più ho aggiunto un

sistema di illuminazione costante che però non crea alcun disturbo alla visione. Abbiamo pensato anche a dei condotti, posti dietro le poltrone, che consentono di portare all’interno della sala dei profumi, per coinvolgere insomma anche emo70 MAP Magazine Alumni Polimi

Qual è stato il primo film che ha visto all’Arcadia? Armageddon. Ricordo molto bene l’emozione del razzo che parte e la sedia che trema, come fossi davvero sopra quel razzo. Dalla settima arte del cinema spostiamoci alla musica, nello specifico andiamo all’Auditrium di Milano. Ecco, lì il punto di partenza è stato proprio un violino. La cassa armonica. Ho immagi-


nato di far entrare il pubblico in un violino, per dare la sensazione di ritrovarsi all’interno di una camera acustica, avvolti e accolti dai suoni. Ho pensato anche a un sistema mobile disposto sul soffitto che può essere orientato in modo da cambiare la conformazione della sala e dunque l’esperienza musicale. Il concetto è che quando suoni Mahler hai bisogno di una certa corrispondenza acustica, che non è la stessa ad esempio di quando suoni Mozart. Il direttore d’orchestra Riccardo Chailly volle provare l’acustica della sala mentre l’Auditorium era an-

cora un cantiere. Così possiamo dire che quando ho assistito al primo concerto all’Auditorium, l’Audiutorium non esisteva ancora. Delle persone conosciute al Politecnico e con le quali le è capitato poi di collaborare chi ricorda? Ricordo Joe Colombo, io ero poco più che un ragazzino. Si era iscritto ad architettura ma la sua genialità stava nel percepire in modo sensoriale l’esigenza delle persone. Se lei si siede su quella poltrona (indica la poltrona posta in un angolo dello studio, NdR), vedrà che la percezione che 71 MAP Magazine Alumni Polimi

ha è di sentirsi in un grembo materno. Le due quinte all’altezza della testa tendono ad avvolgerla lateralmente, si ha una sensazione di comodità ma anche di essere accolti da qualcuno che ti culla. Ero con lui quando l’ha disegnata. L’ha chiamata Elda, come il nome della sua signora. Conservo ancora il suo biglietto da visita. Il mio invece ha più di quarant’anni anni. Cosa consiglia a chi sta iniziando ora, ai giovani? Più che un consiglio ho una confessione. Questo è il mestiere più bello del mondo, fate architettura.


ARCHITETTO O ARCHITETTA? Quando le pari opportunitĂ passano dal vocabolario di Redazione


L’architetto è diventato ufficialmente anche femminile: architetta. È successo a Bergamo, dove due Alumnae del Politecnico: Francesca Perani e Maria Cristina Brembilla, insieme a Silvia Vitali, hanno chiesto e ottenuto l’emissione di un timbro ufficiale da parte dell’Ordine degli Architetti, che porta appunto il titolo di “architetta”.

di tipo culturale”. Sui social ci sono poi quelli (e quelle) che sostengono la sempreverde posizione del “ci sono cose più importanti a cui pensare” e donne che commentano “Io sarò sempre architetto”, “Lo trovo quasi offensivo”, “Essere uomo o donna cambia poco, conta quanto vali” e c’è anche chi ironizza “Adesso sotto con le battaglie per l’autisto, l’atronauto e il piloto”. “La possibilità di veder riconosciuta dal punto di vista linguistico la mia professione è un’opQualche polemica c’è stata. portunità”, dice Francesca Perani Qualcuno sostiene che ar- che ha lanciato anche il progetto chitetta – così come ingegnera “Architette”: una pagina Facebook o ministra – “suoni male” e chi che ogni settimana pubblica rireplica che, in fondo, infermiera, tratti di architette da tutte le parmaestra e professoressa suona- ti del mondo e ambisce a racconno bene perché ci siamo abituati. tare 365 architette alla prossima Per qualcun altro è la lingua ita- Biennale di Venezia. liana stessa che non prevede la desinenza femminile per archi- Insomma, le parole sono importetto. Ci si potrebbe inoltrare nei tanti; soprattutto perché dentro meandri dell’etimologia e del- ci si legge lo spirito del tempo. E la linguistica: per fortuna l’Acca- i tempi cambiano continuamente. demia della Crusca lo ha già fat- Fino a ieri, nell’immaginario coto per noi. Architetta esiste, è un mune, l’architetto era uomo. Qggi termine formalmente corretto ed le donne sono passate dal 32% è anche raccomandabile, e forse del 1998 al 42% del 2015. 10% in – scrive Cecilia Robustelli per con- più, in soli diciassette anni. Ci soto della più prestigiosa istituzione no altri numeri che fanno rifletlinguistica d’Italia - “Le resistenze tere: nel 2017 gli architetti uomiall’uso del genere grammaticale ni hanno guadagnato – in media femminile per molti titoli profes- – oltre il 50% in più delle loro colsionali o ruoli istituzionali rico- leghe. Le parole sono importanti. perti da donne sono, celatamente, Ma anche i numeri.

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GLI INGEGNERI DEL ’28, IL TRAM CHE GIRA MILANO DA NOVANT’ANNI di Chiara Longo foto di Cosimo Nesca

Nell’Officina Generale ATM di Milano ha sede il reparto d’eccellenza che si occupa della revisione e manutenzione straordinaria degli storici tram gialli 1928. Costruiti quell’anno in 500 unità, oggi ne viaggiano ancora 125, anche grazie a due Alumni

“L’ingegneria è l’arte di trovare la soluzione giusta al primo colpo”, spiegano gli Alumni Matteo Villa e Simone Prosperi, rispettivamente responsabile manutenzione e responsabile revisione straordinaria degli storici tram d’epoca. Il deposito di via Teodosio è un luna park di tram sollevati, carrelli sparsi, motori uno di fila all’altro, vagoni svuotati, porte addossate l’una all’altra, binari che rimettono in circolo i tram. Tutt’intorno una popolazione di fabbri, falegnami, elettricisti, con competenze che vanno dai primi del ‘900 alle ultime tecnologie. “Dopo dieci anni trascorsi a lavorare per le cen74 MAP Magazine Alumni Polimi

trali nucleari, entrare qui nel 2009 è stato come entrare in casa - racconta Simone Prosperi - Il tram è il simbolo della città. Ogni giorno esco e vedo i risultati del mio operato”. Anche Matteo Villa ha iniziato a lavorare qui nel 2009, appena uscito dal Politecnico. “Mi piacevano l’elettronica e l’informatica. Il motivo è qualcosa che non si può spiegare, è così”, dice e poi ricorda del padre, autista di tram. “Quando aveva il turno corto io e mia madre lo seguivamo. Da piccolo mi piaceva starmene seduto sul seggiolino più vicino alla sua postazione per vederlo guidare”. Oggi, è rimasto in qualche modo sul quel tram. “Quando in città mi capita di salire sui tram faccio sempre caso a qualcosa, ad esempio se funzionano i freni”, dice Matteo Villa. “Sulla 28 do sempre uno sguardo agli arredi, ho l’orecchio e la vista te-


Matteo Villa, 33 anni Alumnusa Polimi Ingegneria Elettronica Capo deposito di Leoncavallo e Precotto

si, pronti a chiamare anche in diretta un collega per segnalare se c’è un rumore, una luce fulminata”, dice Simone Prosperi. “Il tram è il nostro posto di lavoro”, concludono. E il loro posto di lavoro è arrivato a San Francisco, dove sono state importate alcune vetture che oggi trasportano i passeggeri dall’altra parte del mondo.

Simone Prosperi, 45 anni Alumnus Polimi Ingegneria Meccanica Responsabile lavorazione casse tram e sistemi di equipaggiamento


TE EC LEC OM OM UN UN ICA ICA ZIO ZIO NE NE EL EL ET ET TR TR ON ON ICA ICA TE L

TE TE ST ST DI DI AM AM MI MI SS SS IO ION NE E “Ricordo il passaggio, e il paesaggio, dalla provincia di Bergamo alla città. Quel giorno sono arrivato più che puntuale, prestissimo, un’ora prima dell’inizio del test”

“Il secondo anno ho ricominciato in un certo senso dal primo. Mi ero iscritto a Telecomunicazioni e al secondo anno ho scoperto che mi affascinava di più Elettronica”

“Ricordo il momento preciso in cui ho visto i risultati e ho letto, associata al mio nome, la parola «Ammesso». È stata la prima emozione al Politecnico, ho pensato, Ok, ora sono dentro!”.

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DIF DIF FIC FIC ILE ILE

Linea Ing. Prosperi Percorso Linea Ing.Politecnico Prosperi Percorso Politecnico TE TE ST ST DI DI AM AM MI MI SS SS IO ION NE E

Abbiamo chiesto ai due Alumni di raccontarci la loro vita al Poli come se fosse il percorso di un tram. Fermata dopo fermata, tutti i traguardi raggiunti

Linea Ing. Villa Percorso Linea Ing.Politecnico Villa Percorso Politecnico

“Analisi, quello è stato il mio esame difficile”


“Ricordo esami difficili come Progettazione Elettronica”

“Non servono commenti”

LI ER BER AZ AZ IO IO NE NE LIB

LA LA UR UR EA EA

DIF

D FIC IFFIC ILE ILE

V V

“Dopo la laurea avevo bisogno di dire a me stesso: «Ce l’ho fatta»”.

“Ricordo che con i compagni di studi andavamo a mangiare tutti insieme sul lungolago di Lecco, dov’era la mia sede del Politecnico”

“Prima della tesi ho espletato il servizio militare, cinque mesi a Trento e cinque a Milano. Ero lontano dal Politecnico ma non lontano dagli studi, in quell’anno infatti ho preparato la tesi”

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E FIN E FIN

MI MI LIT LIT AR AR E E

LU LU NG NG OL OL AG AG O O

P P

“Dopo la discussione della tesi mi sono detto: «Ok, ho finito, e ora cosa faccio? Ora comincio»”


POLISOCIAL AWARD PREMIAMO L’IMPEGNO SOCIALE

La competizione “Polisocial Award” premia i progetti di ricerca a fini sociali del Politecnico di Milano. Valorizza le ricerche di natura multidisciplinare, che creino sinergie tra diversi gruppi di ricerca dell’Ateneo ma anche di altre università, e che coinvolgano partner esterni interessati agli esiti dei progetti di ricerca e alle loro ricadute sociali. I progetti vincitori sono finanziati con il contributo del 5 per mille IRPEF al Politecnico di Milano Il premio si pone come obiettivo quello di favorire lo sviluppo e l’avanzamento di una ricerca scientifica, di base e applicata, ad alto impatto sociale e sempre più attenta alle sfide poste dalla società. Il premio si propone inoltre di valorizzare progetti di ricerca multidisciplina-

ri, capaci di creare sinergie tra diversi gruppi di docenti e ricercatori dell’Ateneo e di coinvolgere partner esterni al mondo accademico interessati agli esiti dei progetti e alle loro ricadute sociali. Ecco tre dei sette progetti vincitori.

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SE LA FAVELAS PIÙ GRANDE DEL MONDO DIVENTA LA PIÙ VIVIBILE

Polimi Para Rocinha è un progetto d’integrazione urbana e sociale in Brasile, con la metodologia IMM sviluppata dal Politecnico Rocinha, a sud di Rio de Janeiro, in Brasile, è la favela più grande del mondo. Secondi i dati ufficiali, su una superficie di 1,44 km², vivono 70.000 persone. Le stime reali indicano 160.000 persone. Sono insegnanti, operai, impiegati, badanti e donne delle pulizie che non possono permettersi di andare a vivere altrove e che ogni giorno si spostano con molta difficoltà dalla favela per raggiungere i posti di lavoro. I servizi scarseg-

giano: mancano l’illuminazione Teheran, ma la sfida è applicarpubblica e un sistema fognario lo a un luogo così svantaggiaadeguato, l’elettricità ha preso to”, spiega Massimo Tadi , fra i forme di allaccio illegale, quan- coordinatori del progetto e prodo piove si creano piccoli fiumi fessore del Dipartimento di Arche trasportano i rifiuti dall’alto chitettura, Ingegneria delle Codella favela verso il basso, por- struzioni e Ambiente Costruito. tando con sé anche problema- “Noi consideriamo le città come tiche legate alla sanità. Le abi- un sistema adattivo complestazioni, una addossata all’altra, so, che ha nell’interazione degli senza spiragli, hanno dato vita a elementi la parte più significauna morfologia particolare del- tiva. Il nostro compito è creale strade: vie strette, dove non re delle correlazioni fra gli elepossono transitare auto, e dove menti deboli e farli diventare non circola neanche l’aria. i catalizzatori della trasformaIn questa geografia della so- zione. Una delle prime difficolpravvivenza si pone Polimi Para tà incontrate a Rocinha è stata Rocinha: un progetto di svilup- la mancanza di informazioni. La po e di inclusione sociale che prima cosa che abbiamo fatto intende proporre soluzioni per è stata dunque mappare il luoil miglioramento delle condi- go e i servizi. Mai nessuno l’avezioni di vita nella favela. Il pro- va fatto prima. La favela è quasi getto si basa sulla metodologia una città. Ci sono le funzioni urIMM (Integrated Modification bane, sono presenti banche, ufMethodology) che integra com- fici postali, scuole, una struttura petenze ambientali, di disegno che potremmo definire un ospeurbano e di efficienza energeti- dale”. ca con strategie di water e wa- Dopo una prima parte dedicata ste management. L’obiettivo è alle indagini si è passati a imidentificare strategie di inter- maginare possibili soluzioni. Il vento e sperimentare azioni pi- team è partito dal luogo più imlota per alzare il livello delle portante per gli abitanti: la casa. performance energico-ambien- “Il 98% della superficie della fatali, economiche e sociali. vela è coperta da edifici. C’è un “Fino ad oggi abbiamo testato problema legato alla creazione questa metodologia in mega- di spazi aperti. Secondo un relopoli come Barcellona, Milano, golamento interno alla favela la

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massima altezza per un edificio è di quattro piani, ma non tutti i caseggiati hanno quattro piani. Abbiamo quindi lavorato sulla ricollocazione dei volumi, immaginando che il volume messo via da una parte potesse essere ricollocato altrove, sopra un altro edificio. Questo fa sì che la gente possa avere uno spostamento di poche decine di metri dall’abitazione originaria. I progetti precedenti avevano fallito perché prevedevano di demolire e allontanare le persone di molti chilometri, sradicandole dal proprio territorio”. Aperte le strade, il pensiero è andato a come percorrerle. “Per la mobilità abbiamo immaginato a come collegare parti di città avendo come punto d’interesse la nuova metropolitana, che ha una sola fermata a Rocinha ed è nella parte bassa. Il che vuol dire che è utilizzabile da pochissime persone. Giusto per dare un’idea più chia-

Polimi para Rocinha è un progetto in collaborazione con l’associazione non-profit “Il Sorriso dei miei Bimbi”, in partnership scientifica con l’Escola Politécnica dell’Universidade Federal de Rio de Janeiro e coinvolge quattro dipartimento del Politecnico di Milano

ra del paesaggio, Mortirolo, il ro dei micro-ecosistemi autopunto più alto del Giro d’Ita- sufficienti, di coltivazione fuori lia, non è nulla in confronto al- dal suolo, con vasche e sistemi le salite, alle pendenze e ai per- di filtraggio e riciclo dell’acqua. corsi che ogni giorno affrontano “Sono tutti progetti di comunigli abitanti di Rocinha. Per que- tà, dove il nostro contributo di sto, dopo aver individuato nel- competenza tecnologica e tecla bicicletta il mezzo più econo- nica si integra con le capacità e mico, ma anche quello che più la volontà della popolazione di agilmente può districarsi tra le apportare un cambiamento. Vostrettoie, abbiamo pensato al- gliamo che la gente sia protagola pedalata assistita. Adattan- nista, che sia la base di questa do alle biciclette esistenti delle trasformazione. Questo è l’ubatterie elettriche si farà me- nico modo per far sì che le cono fatica, e ci sposterà più facil- se accadano. Tutto ciò che sino mente”. ad oggi hanno cercato di fare lo Le altre criticità del posto ri- Stato e il governo cittadino si è guardano il cibo. Food Desert è rivelato un fallimento perché il termine giusto, sta a indica- percepito come un’imposizione re le zone in cui è difficile avere dall’alto, la cittadinanza non è accesso a cibi freschi e nutrien- mai stata coinvolta”. ti e dove i ragazzi si cibano prevalentemente di junk food, ali- La chiusura del progetto è prementi artificiali e dannosi per vista per ottobre 2018. Speranla salute. “Stiamo intervenen- do che la favela più grande del do con la possibilità di attiva- mondo sarà conosciuta anche re orti urbani e didattici e con come la favela più ricca di collaun sistema acquaponico”, ovve- borazione e d’integrazione.

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DALLE PIROGHE ALLE COMMUNITY-BASED ENTERPRISES

Tambali Fii, una strategia di inversione dei fenomeni migratori dal continente africano Nel 2017 la nave “Hope” di Greenpeace ha navigato i Paesi costieri dell’Africa occidentale monitorando e analizzando il fenomeno della pesca illegale. Dal report “Hope in West Africa ship tour” sono emerse, fra le altre cose: reti illegali, pesca di specie escluse dai contratti di licenza, sconfinamento in altre acque territoriali dei pescherecci industriali, provenienti da altre parti del mondo. Andrea Ratti, del dipartimento di Design del Politecnico di Milano, spiega bene la situazione: “Il

Senegal è uno dei luoghi più pescosi del mondo eppure il pescato arriva sulle nostre tavole e non su quelle del Senegal. Allo stesso modo la ricchezza derivante dal commercio giunge in Europa e nel resto del mondo, ma non in Senegal”. Il progetto Tambali Fii, che significa “Partiamo da qui”, si propone di creare un polo diffuso di innovazione tecnologica e sociale nel territorio di Dakar; per la crescita della filiera nautica e ittica senegalese al fine di contrastare i fenomeni migratori dal continente. Il senso dell’operazione è quello di partire dal Senegal, per rimanerci, per far sì che i figli dei pescatori non abbandonino il lavoro paterno e le proprie terre. Per contrastare le cause all’origine dei flussi migratori grazie a un approccio integrato e interdisciplinare. E, ancora, partendo dal settore ittico per allargarlo a quello della tecnologia e dei servizi. “La pesca viene fatta con imbarcazioni di piccolo cabotaggio, cioè entro due miglia dalla costa, a bordo di piroghe di costruzione tradizionale - spiega Andrea Ratti - Vengono costruite assemblando assi di legno con tecniche rudimentali. La tenuta dell’acqua è fatta con impasti di poca durabili-

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tà. Ne derivano quindi una serie di problemi legati alla sicurezza delle imbarcazioni, che devono essere costantemente revisionate per renderle navigabili. Tutto questo crea incidenti, perdite di vite e anche di efficienza. Spesso le piroghe si spingono al largo, caricando al massimo l’imbarcazione, dunque il tempo del ritorno a riva si allunga e con questo la capacità di mantenere la catena del freddo. Sostanzialmente il pescato non è più utilizzabile”. Il progetto prevede diversi livelli d’approccio al problema. “Oltre al nostro dipartimento di design è coinvolto anche quello di ingegneria gestionale, quindi tutta la parte focalizzata alla creazione d’impresa e sostenibilità. Uno degli obiettivi che ci siamo posti è quello di trasferire un modello di business. Un altro livello è quello dei corsi di formazione avviati in collaborazione con l' Institute Polytechnique Panafricain di Dakar. Qui gli studenti vengono già formati nelle discipline di architettura, ingegneria ed economia e ci è sembrato il luogo perfetto per innestare competenze più specialistiche”. Se i beneficiari indiretti sono le comunità di pescatori e di addetti alle attività


del mercato ittico, i beneficiari diretti sono le università partner, gli studenti, i ricercatori ma anche tutti i tecnici e artigiani coinvolti nella pratica formativa, così come le associazioni e le imprese del luogo utilizzatrici delle risorse messe a disposizione dal polo. “L’idea è di allargare la visione non solo alle imbarcazioni ma anche ad altre sfere produttive sfruttando la tecnologia del composito, il cui utilizzo è molto trasversale. E qui si apre un altro ambito di ricerca legato al do it yourself, alla possibilità di generare ricchezza partendo da materiale auto-prodotto. Stiamo avviando una serie di tecnologie pilota per la trasformazione del composito, che prevedono anche la stampa 3D e la lavorazione degli scarti di produzione del legno. In questo senso abbiamo coinvolto Goliath, un progetto nato dalla tesi di laurea di uno studente di Design&engineering

del Politecnico centrata su un robot mobile per la lavorazione del legno. Una delle loro macchine sarà portata in Senegal. Stiamo realizzando anche il prototipo di un impianto che utilizza tecnologie open-source per dare vita a una piattaforma digitale navigabile da remoto”. Tecnologia, manifattura, sapienza e anche rinnovo delle materie. “Devo citare un episodio curioso. Quando ci siamo confrontati inizialmente con l’ambasciata di Dakar ci hanno chiesto: Farete qualcosa per i rifiuti plastici? Gli abbiamo risposto che non era in programma e che volevamo lavorare con le risorse del luogo. Ci siamo sentiti dire: La risorsa del luogo qui è il rifiuto plastico. Il Senegal, fra l’altro, al contrario di altri paesi limitrofi, non ha avviato alcun progetto sulla raccolta differenziata o su altre forme di contenimento di consumi delle

plastiche. Stiamo testando in laboratorio la possibilità di realizzare piccoli impianti di trasformazione del tessuto plastico”. Tambali Fii unisce dunque la progettazione nautica e le tecniche di produzione per la cantieristica al business process management e alla gestione di impresa. Come si legge proprio nel progetto: “Tale metodologia è fondamentale nella creazione di “Community-based enterprises” e di imprese sociali dove la comunità svolge un ruolo attivo nel processo decisionale e la mission e gli obiettivi delle nuove imprese sono di soddisfare le esigenze sociali e finanziarie di diversi gruppi all'interno di una società, mantenendo integrati i valori e le identità culturale e permettendone l’autonomia futura”.

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Tambali Fii è un progetto in collaborazione con il Ministère des Affaires Étrangères, l’Institut Polytechnique Panafricain e Sunugal 82 MAP Magazine Alumni Polimi


UN LABORATORIO IN UN CHIP CONTRO LA MALARIA

Nel 2015 in Africa si sono registrati 188 milioni casi di malaria e 390.000 morti accertati. Scopo del progetto Tid Mekii è sviluppare un test diagnostico lab-on-chip che permetta una diagnosi rapida e accessibile a tutti È una mattina come tante a Yundé, capitale del Camerun, e al dispensario c’è una lunga coda di persone in attesa di fare l’esame del sangue. Aspettano

di sapere se la propria febbre prende il nome di Tid Mekii, si chiama così in lingua locale la malaria. Il metodo diagnostico convenzionale, che consiste nel contare i globuli rossi infetti, non consente un ampio screening della popolazione a causa del tempo e del personale occorrenti: mezz’ora ad analisi e un laboratorio con operatore specializzato, spesso difficilmente raggiungibile dalle popolazioni dei villaggi lontani. “Le radici di questo progetto nascono dalla mia storia personale”, racconta Riccardo Bertacco, professore associato di Fisica al Politecnico, direttore del gruppo di ricerca di nanomagnetismo e vicedirettore del Polifab. “Il 23 febbraio del 1994 mi sono laureato in Ingegneria al Politecnico, mentre mia moglie in Architettura l’11 luglio. Ci siamo sposati a inizio settembre e poche settimane dopo eravamo in Africa, volontari della ONG italiana COE (Centro Orientamento Educativo). Abbiamo vissuto la malaria sulla nostra pelle”. Questa infezione è un problema sanitario che diventa problema sociale. La malattia debilita continuamente la popolazione

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e questo si traduce in assenze dal lavoro. I test diagnostici alternativi all'analisi al microscopio sono rapidi ed economici, ma presentano anche un difetto: danno il 30% di falsi positivi. Una semplice febbre viene così scambiata per malaria e trattata con i farmaci, facendo sì che il plasmodio sviluppi resistenze. L’idea per un test diagnostico veloce, economico e anche certo, viene in mente a Riccardo Bertacco mentre sfoglia una rivista scientifica. “In un articolo leggo che il plasmodio, durante il ciclo all’interno degli eritrociti, produce una sostanza magnetica. Siccome mi occupo di magnetismo ho intravisto una soluzione”. Nel momento dell’iniezione la zanzara deposita i parassiti che cominciano a entrare in circolo trasformando l’emoglobina in una sostanza magnetica chiamata emozoina. “Si tratta di nanocristalli che, entro un opportuno campo magnetico, possono essere orientati ed attratti - spiega Riccardo Bertacco - Diventano insomma delle piccole calamite. E l’emozoina è proprio il pigmento che viene analizzato al microscopio per determinare se l’eritrocita è malato o sano”. Il


Il progetto Tid Mekii riunisce il gruppo di ricerca del Dipartimento di Fisica, il Dipartimento di Elettronica e quello di Bioingegneria del Politecnico di Milano, insieme alla Divisione Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano e agli Operatori Sanitari del COE in Camerun

cuore del dispositivo diagnostico consiste in un chip all’interno della piastrina che permette il conteggio automatizzato degli eritrociti malati, grazie a dei concertatori magnetici che li separano da quelli sani. Secondo il metodo dianostico in fase di sviluppo, la goccia di sangue del paziente è posta su un substrato dotato di elettrodi; tramite l’utilizzo di magneti permanenti e strutture magnetiche sul chip, gli eritrociti infetti e i cristalli di emozoina vengono concentrati in prossimità degli elettrodi e rilevati mediante misure impedenziometriche. Il tutto al costo di meno di un euro e con un tempo di risposta inferio-

re ai dieci minuti. “Il dispositivo si basa inoltre su un metodo che sfrutta le proprietà fisiche e non chimiche. Ciò vuol dire che non ha problemi di conservazione come nel caso dei test biochimici. Questo è particolarmente importante in Africa, dove un villaggio puo' trovarsi a diverse ore di auto da un centro abitato con una struttura sanitaria equipaggiata per una corretta conservazione dei test". Il dispositivo diagnostico è stato brevettato con finalità sociali, può essere sfruttato solo rispettando criteri etici volti a favorire la massima accessibilità del test diagnostico. “Il progetto dovrebbe concludersi con un viag-

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gio in Camerun, tornando dove siamo stati negli anni Novanta, per fare una prima comparazione. L’intento è andare proprio in una zona dove la mattina c’è la coda di persone fuori dai dispensari”. E provare a farla scorrere più velocemente.

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20 MAGGIO

10km di corsa

per le vie di Milano dal campus Bovisa a piazza Leonardo da Vinci.

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, ci saranno i tuoi compagni di scuola, i tuoi ex professori, gli studenti e gli amici del Politecnico di Milano.

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con le iscrizioni dal 2016 per le borse di studio.

Una grande festa per tutta

la community politecnica.

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NUOVO CINEMA ANTEO di Marco Villa

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Inaugurato a settembre dello scorso anno, il Palazzo del Cinema a Milano è un luogo visionario: undici sale, una biblioteca, una birreria, un giardino e molto altro. Lo abbiamo visitato con il suo progettista, l’Alumnus Riccardo Rocco

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Riccardo Rocco, 63 anni Alumnus Polimi Architettura Studio Riccardo Rocco

“Al Politecnico percepivo la sensazione di una grande possibilità di futuro”

Esterno giorno, Piazzale za fantastica, perché era un Leonardo da Vinci professionista che spaziava a — tutto tondo. Io lo vedevo faA Milano sono i primi gior- re una cosa in un determini di freddo: il sole estivo è nato modo e per me il modo un ricordo e l’arrivo del cielo era quello e quello soltangrigio accompagna nelle au- to, senza compromessi. Non le del Politecnico una nuova rimpiango nulla di quegli anondata di matricole, di futuri ni: non sentivo la certezza di ingegneri e architetti. Siamo avere un posto garantito, ma a metà degli anni ‘70 e tra lo- avevo la sensazione di una ro c’è anche Riccardo Rocco, grande possibilità di futuro”. che 5 anni dopo si sarebbe laureato in Architettura con Interno giorno, Palazzo del una tesi di progettazione de- Cinema dicata al tema della residen- — za universitaria. Sigaro spento tra le labbra, Riccardo Rocco cammina tra “Ho iniziato Architettura l’an- sedie e tavolini, mentre si acno in cui rientrava al Politec- cavallano le comande per le nico Marco Zanuso: con lui colazioni. Siamo nella cafho fatto quasi tutto l’iter di fetteria, una delle novità nastudio. È stata un’esperien- te dal lungo lavoro di restau88 MAP Magazine Alumni Polimi


ro che a settembre 2017 ha portato all’inaugurazione di Anteo Palazzo del Cinema, 11 sale e una filosofia che è l’esatto opposto di quella dei grandi multiplex. “Gli esercenti tradizionali non ragionano come ragiona Anteo. Dicono: entra, mangia i popcorn, guarda il film ed esci. Nel progetto di Anteo invece abbiamo voluto tenere il pubblico nel cinema. Quando finisce il film, devi tornare per forza nel cinema, nei corridoi. È come se dicessimo “state qui, state da noi”. È un capovolgimento del mordi e fuggi o del tutto-a-domicilio di questi tempi”. La carriera di Riccardo Rocco copre ormai tre decenni, ma il legame con il luogo in cui tutto è iniziato è ancora forte. “Nei primi tre anni di facoltà credo di aver trascorso meno tempo con la mia famiglia di quanto ne ho trascorso con Francesco Trabucco, allora assistente di Zanuso, e con i miei compagni di corso: si studiava, si lavorava, si partecipava a concorsi, si andava a cena, ci si innamorava e per alcuni è anche arrivato il matrimonio all’interno del gruppo. Era quasi una vita di comunità. Ci confrontavamo con chi continuava a teorizzare e voleva sporcarsi le mani con il “fare”. Abbiamo passato notti a progettare un presepe per una mostra a Roma: ne uscì un allestimento folle, con tanto di colonna sonora con Nessuno mi può giudicare di Caterina Caselli. Era il no-

stro modo per dichiarare che c’eravamo e che volevamo dire la nostra. Senza pudore”. Gli inizi di Riccardo Rocco nel mondo dell’architettura sono in continuità con quanto fatto al Politecnico e già lasciano intravedere quale sarebbe stata la direttrice lungo la quale si sarebbe poi mossa la sua carriera: la fruizione pubblica. “Non mi sono mai occupato del privato fine a stesso: la casa della signora Maria non mi interessava, perché non mi interessava intromettermi nella vita delll'ipotetica signora Maria. Dopo la laurea, sono stato tre anni in studio con Zanuso, 89 MAP Magazine Alumni Polimi

“Quando finisce il film, devi tornare per forza nel cinema, nei corridoi. È come se dicessimo al pubblico di rimanere”


Nella pagina precedente: la sala lettura e una delle nuove sale del cinema Qui sotto la Poltrona Milano disegnata da Riccardo Rocco

lavorando sul Piccolo Teatro. Il confronto con lui è stato fondamentale, ma era una sfida continua. Ricordo un giorno in cui disegnando il controsoffitto del Piccolo Teatro non riuscivo a interpretare quello che Zanuso aveva nella testa. A un certo punto gli ho detto: “Architetto, però la diagonale è la diagonale, il lato è il lato”. Ovvero: tu puoi avere un’intuizione, ma poi bisogna fare i conti con la realtà. La sua risposta fu: “Liberati dal vincolo della geometria euclidea”. In quel momento mi gettò nel più totale sconforto, ma in realtà aveva ragione, perché voleva dire che bisognava cercare una soluzione che superasse quell’ostacolo, magari trasformando un quadrato in un rettangolo. Se tu rimani vincolato, hai bloccato la tua creatività”.

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Il secondo sodalizio fondamentale della carriera di Rocco non è con architetto, ma con un imprenditore: è Lionello Cerri, tra i fondatori di Anteo, che nel 1997 lo chiama per affiancare Cesare Serratto nei lavori di ampliamento. È l’inizio di una collaborazione che arriva fino a oggi, con la realizzazione di Anteo Palazzo del Cinema. L'edificio è sviluppato in verticale, su quattro piani: quando esci dalle sale sei già in mezzo alla città, perché dalle finestre vedi i palazzi intorno. Per i corridoi e gli atrii abbiamo scelto un pavimento molto simile all’asfalto, con una connotazione più da esterno. Stessa cosa per gli intonaci, che in alcuni casi sono rimasti come li abbiamo trovati. L’intenzione era quella di dare l’idea di non essere ancora in un interno reale e rendere ancora più evidente l’uso in sala delle tappezzerie, delle boiserie di legno e del parquet, che danno la sensazione di ritrovarsi in un luogo domestico”. All’interno delle sale, il grande protagonista è il legno, presente anche nelle poltrone, battezzate Milano in onore della città e disegnate, per Caloi, sempre dall’architetto Rocco. “Negli anni di lavoro con Zanuso la costante era il continuo passare dal disegnare lampade a palazzi a Buenos Aires e mi sembrava fosse giusto continuare così. La poltrona è una sorta di tributo a quelli che per me sono stati i maestri del design, da Eams a Bellini


In questa foto: la sala Nobel EATALY, dove non è vietato mangiare

allo stesso Zanuso”. Tra le novità di Anteo Palazzo del Cinema anche due sale molto particolari: una in cui si può mangiare mentre si guarda il film e poi una sala unica, dedicata a contenuti on demand, che può essere affittata da per vedere qualsiasi cosa, dai filmini delle vacanze a un film che si vuole recuperare. “È una sala in cui lo scontro tra ambiente urbano e domestico raggiunge il massimo della sua esposizione formale. C’è la tecnologia delle sale cinematografiche vere e proprie, ma l’ambiente è anomalo, perché siamo in un grande salotto con arredi importanti e con divani al posto delle poltrone”. L’apertura di Anteo Palazzo del Cinema è stata seguita a pochi mesi di distanza dall’inaugurazione di un al-

tro multisala, sempre appar- ca, inimmaginabile. Questo tenente alla stessa famiglia: signore americano spiegaCitylife Anteo. Due progetti va all’infinito il suo business fratelli, che però non potreb- plan, ma riceveva sempre dei bero essere più diversi. “A Ci- no. Il senso era proprio quetylife c’era un multiplex fi- sto, ribadire che Anteo non nito, pensato per un flusso era “quella roba lì”. monodirezionale: il pubblico entrava dalla grande sca- Esterno giorno, Palazzo del la, attraversava la sala do- Cinema ve si fermava per vedere il — film e usciva all’esterno di- Sul finale del nostro incontro, sperdendosi nel nulla. Que- Riccardo Rocco penso al fusta era la negazione di quan- turo. A chi lo scriverà. "Mi soto fatto ad Anteo fino a oggi: no reso conto che gli studenti quindi abbiamo completa- hanno perso la capacità di dimente smontato l’impianto, segnare a mano libera o con pur rispettando i canoni for- riga e squadra. Sono abituamali del progetto Hadid. Ci ti a lavorare al computer, che siamo complicati la vita, ma permette di replicare il segno non è la prima volta. Quando in maniera meccanica, ma liabbiamo fatto il primo am- mita la creatività. Quindi a chi pliamento di Anteo, incon- dovesse iniziare adesso Architrammo una società america- tettura al Politecnico ho sona che produceva macchine lo un consiglio da dare: sporper popcorn. Il popcorn ha catevi le mani, nel senso più una redditività stratosferi- letterale del termine”. 91 MAP Magazine Alumni Polimi


APMC, IL BUSINESS NETWORK MADE IN POLIMI

di Chiara Longo

APMC è l’acronimo di Alumni Polimi Management Consulting, il gruppo pensato per i consulenti e i manager “made in Polimi”. Dal 2015 ad oggi, APMC è cresciuta fino a contare una community di oltre 1000 professionisti. Li abbiamo incontrati alla loro reunion annuale “Era il 2014, mi ero appena laureato in Ingegneria gestionale e mi stavo preparando ai colloqui per iniziare a lavorare in consulenza. Proprio durante uno di questi colloqui ho incontrato Alessandro”, dice Andrea Fregola, che con Alessandro Conti e Michele Montesi, è membro del board di APMC. Alessandro continua a raccontare la storia: “chiacchierando, ci siamo resi conto che non

APMC

Alumni Polimi Management Consulting

info@apmanagementconsulting.com apmanagementconsulting.com

esisteva un network per gli Alumni che volevano entrare nel mondo della consulenza, un luogo dove il neolaureato potesse condividere le sue esperienze, le sue esigenze, i suoi dubbi e confrontarsi con chi, in quel mondo del lavoro, era già inserito. Ci siamo detti: «Facciamolo noi»”. “Ma non volevamo limitarci al networking: volevamo qualcosa di più stimolante”, aggiunge Michele. 92 MAP Magazine Alumni Polimi

“Da qui l’idea di strutturarci come un think tank. È il nostro modo per fare give back e restituire al Poli una piccola parte di ciò che abbiamo preso: ci ha dato un metodo rigoroso per affrontare i problemi e risolverli, ma soprattutto ci ha insegnato ad essere tenaci e a non abbandonare fino a quando non si ottengono risultati tangibili.” APMC si focalizza su tematiche di carattere strategico


Da sinistra gli Alumni Andrea Fregola, 29 anni (Ing. Gestionale), Alessandro Conti, 28 anni (Ing. Civile), Michele Montesi, 28 anni (Ing. Civile)

negli ambiti del business, del management e delle nuove tecnologie e facilita il dialogo tra Alumni che ricoprono posizioni apicali nel mondo del lavoro con neo-laureati e studenti attraverso newsletter mensili, eventi aperti a tutta la comunità del Politecnico e eventi informali. “Il numero degli associati è in costante crescita” dice Andrea, che passa la palla ad Alessandro, giusto con uno sguardo, come fossero giocatori di una squadra di basket, più che ingegneri: “Abbiamo le idee chiare per il 2018: continuare a crescere e aprirci ancor di più all’esterno: portare i problemi che la nostra società si trova ad affrontare all’attenzio-

ne dei decision maker e – soprattutto – provare, tramite nostri Alumni, a fornire delle possibili soluzioni innovative”. Conclude Michele: “Vogliamo anche trovare fondi per strutturarci ancora meglio. C’è un progetto che ci sta particolarmente a cuore: mettere in pista una borsa di studio per studenti del Politecnico. In fondo, loro saranno gli Alumni di domani”.

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“Vogliamo portare all’attenzione e coinvolgere i business leaders sui problemi che la nostra società deve affrontare. E delineare insieme a loro soluzioni innovative”


CARO POLI TI SCRIVO Fernanda Bisi, classe 1931, Alumna Ingegneria Chimica, scrive una lettera indirizzata al Politecnico. Le sue parole ci raccontano l’eredità di conoscenze ed esperienze ricevute dal Poli, e come ha deciso di ricambiare

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Caro Politecnico, sono nata il 17 giugno del 1931 e fra tutti i ricordi della mia vita ci sei tu. Mi hai insegnato una materia preziosa: mi hai insegnato a vivere. Il primo giorno che ricordo di aver trascorso insieme risale al 1950. Non eravamo soli. C’erano seicento ragazzi che, quando ho fatto per la prima volta il mio ingresso in aula, si sono portati le dita alla bocca e hanno fischiato. Io e la mia amica Luisa Faroldi eravamo le uniche due donne d’ingegneria. Sono diventata piccola così, poi ho alzato gli occhi e li ho guardati tutti. Abbiamo impiegato pochissimo a stringere amicizia con chi ci ha fischiato, e sono amicizie che durano tutt’ora. Con chi di loro c’è ancora. Tutti gli anni organizzo un pranzo e la cosa che mi pesa di più è telefonare per chiedere non come stai, ma “Stai? Stiamo? Siamo vivi?”. C’era uno spirito di solidarietà fra noi studenti, ecco quello non è mai venuto a mancare. Tutti insieme, noi Aulmni, abbiamo visto il mondo. Siamo stati alla fiera Achema di Francoforte, abbiamo visitato dei cantieri a Parigi, e abbiamo visitato anche il Moulin Rouge. Quanti momenti. Ricordo quando fuori dal Politecnico c’era un suonatore di organetto con un carrettino e una scimmia al seguito. Un giorno ci muovemmo tutti insieme a piedi dall’Asilo Brioschi alla Galleria Vittorio Emanuele, con lui che ci seguiva suonando. Una carovana musicale che gli fece guadagnare settemila lire; tutti amavano gli studenti del Politecnico e al nostro passaggio la città ci faceva festa. Altri luoghi del cuore sono l’aula sud e i laboratori. Fra le persone che non dimenticherò c’è Giulio Natta, fu l’unico a imporci l’uso dell’inglese. “I libri ve li andate a leggere in inglese”, ci diceva. La mia storia con te è una storia di famiglia. Mio padre si iscrisse a Ingegneria Elettrotecnica, già allora il Politecnico era considerato un focolaio di idee e così, prima ancora di terminare gli studi, venne chiamato a lavorare con Guglielmo Marconi. Il primo ricordo che ho della radio sono io a cinque anni che mi dispero perché sento la voce di mio padre e penso che l’abbiano schiacciato e messo dentro l’apparecchio. Anche mio fratello frequentava il Politecnico, prima che un incidente lo portasse via da noi e dagli studi. Guardavo mio padre e pensavo che ogni volta che per lavoro incontrava un ingegnere, vedeva suo figlio. Anche per me è stato naturale diventare ingegnere. Ho scelto chimica perché al momento mi sembrava la cosa più femminile che potessi fare. Non sapevo neanche cucinare un uovo. Il giorno della laurea, all’ingresso del Politecnico, mio padre mi regalò il mio primo biglietto da visita. “Questo è per te”, disse. Ce l’ho ancora. A parte il prefisso da aggiungere, il numero di telefono non è cambiato. Così, visto che mi hai dato tanto, voglio ricambiare. Nel testamento ho inserito una donazione. La frase esatta dice “Esprimo la volontà di donare questa somma per l’erogazione di borse di studio a studenti meritevoli e bisognosi di ingegneria chimica e per la realizzazione del nuovo edificio, sede del Dipartimento di Chimica dei Materiali e Ingegneria Chimica Giulio Natta”. Questo è il mio grazie. Essere Politecnici è un’eredità che si tramanda sempre. Ing. Fernanda Bisi Alumna Ingegneria Chimica

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COPPA POLIMI

SUDORE SUI LIBRI

Sulla pagina Facebook Alumni Politecnico di Milano vi abbiamo chiesto di votare i libri che più avete amatoodiato durante gli studi. Ecco cosa ci avete raccontato

“Fisica non scherzava. Ma Matematica ha causato un boom clamoroso di Novalgina"

“Metodi matematici per l’Ingegneria non si capiva nemmeno come si apriva. Rispetto a Fisica era un piacevole romanzo”

“Secondo me c’è qualcuno che dopo quindici anni si sogna ancora Analisi Matematica”

“Anche a occhi chiusi, nel letto, continuavo a vedere formule fluttuanti con x e y”

“Scienza delle Costruzioni e Analisi Matematica erano un incubo per chi proveniva dal liceo classico”

“Le mie rughe non sono di vecchiaia, sono di Fisica”

“Ho dato l’esame di Fisica nove volte, per un sudatissimo 23!”

"Libri? Io studiavo sugli appunti!"

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NOI E LORO:

MASCHI VS FEMMINE

Dal 1975 al 1985 Antonia e Paolo sono stati compagni di corso a Ingegneria. Hanno condiviso i banchi, i libri e anche i bagni. Sì, perché allora i bagni delle donne non esistevano. Qui rievocano l’eterna diatriba uomo-donna al Poli Paolo Colombo, 62 anni Alumnus Polimi Ingegneria Elettronica Antonia Figini, 62 anni AlumnA Polimi Ingegneria Elettronica Il primo impatto che ho avuto con il Poli è stato il bagno, perché il bagno delle donne non c’era. Mi sono trovata in un’aula piena di uomini e con solo tre bagni che avevano la porta, naturalmente senza chiavistello. I primi giorni non ci andavo, rimanevo otto ore al mio posto. Poi mi sono chiesta: «Vuoi sopravvivere fisicamente?», e così ci sono andata. Di quel periodo ricordo anche che mentre al liceo curavo la mia femminilità, al Poli ho iniziato a calzare scarpe all’inglese, a indossare camiciotti e a non truccarmi più. Mi ero mascolinizzata. Una cosa però rimaneva femminile: l’ordine con il quale redigevo gli appunti, quelli presi da noi donne erano sempre i più belli e i più richiesti dagli altri studenti. Quando mi sono ritrovata nel mondo del lavoro, davanti a duecento uomini, non avevo più timore di nulla. Alle spalle avevo cinque anni di Poli che mi avevano fortificato. Cinque anni in cui ho studiato tantissimo ma in cui mi sono anche divertita tantissimo.

Per noi le donne del corso erano maschi. Erano come i compagni del militare. Erano asessuate. Quelle belle erano le altre, quelle di Architettura o che venivano in visita da altre università, magari a trovare un amico o il fidanzato; quando entravano in aula queste “forestiere”, partiva la ola. Delle donne di Ingegneria ricordo invece che erano tre. All’inizio neanche ci accorgemmo della loro esistenza. Poi, però, mi resi conto che rispetto agli uomini erano più decise e motivate. L’ambiente culturale di allora non le invogliava di certo a scegliere la facoltà di ingegneria, quindi chi di loro prendeva questa strada aveva più determinazione. Ricordo che all’inizio le vedevi girare sempre in coppia. Ma eravamo così presi dallo studio che non c’era alcuna differenza fra noi. L’unica discriminazione era verso chi non studiava, che pian piano non si vedeva più a lezione perché fuoriusciva dal corso. Durante gli ultimi anni si erano creati dei gruppi misti, si faceva pausa in aula o in primavera stavamo fuori, sotto i pini. Tutti insieme, sia maschi che femmine. Ecco, a pensarci oggi, tra un uomo e una donna penso ci siano le stesse differenze che intercorrono tra un uomo e un altro uomo.

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Numero 3 _ Primavera 2018

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Cari Alumni, vi racconto il Poli di domani: lettera aperta del rettore Ferruccio Resta • La community Alumni raccontata da Enrico Zio • Atlante geografico degli Alumni • Il Poli che verrà, raccontato dal prorettore delegato Emilio Faroldi • Vita da studente di fine ‘800 • Come si aggiusta il Duomo di Milano • L’ingegnere del superponte • Una designer per astronauti • La chitarra di Lou Reed, firmata Polimi • Architettura italiana in Australia • VenTo: la pista ciclabile che parte dal Poli • Fubles, gli ingegneri del calcetto • Il parco termale più grande d’Europa • Gli ingegneri del tram storico di Milano • Polisocial Award: un premio all’impegno sociale • Nuovo Cinema Anteo • Caro Poli ti scrivo

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N°0 - AUTUNNO 2016

N°1 - PRIMAVERA 2017

N°2 - AUTUNNO 2017

N°3 - PRIMAVERA 2018

PROSSIMO NUMERO

N°4 - AUTUNNO 2018

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Numero 2 _ Autunno 2017

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