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Melomania: Rigoletto, di Giuseppe Verdi
GENESI DELL’OPERA
Il Rigoletto è la prima opera di quella che viene definita trilogia popolare, che comprende Il Trovatore (1853) e La Traviata (1853) capolavori ai quali Verdi fu, per varie vicissitudini, costretto a lavorarci contemporaneamente. Popolare è un aggettivo corretto in considerazione dell’epoca a cui fa riferimento, ma per essere meglio compreso ritengo che sia più adatto l’aggettivo democratico, nel senso stretto del termine, vale a dire "governato dal popolo". Il compositore sentiva forte il desiderio di avvicinare la cultura e la musica al popolo inteso come identità sociale non più ignorante e insensibile ma democraticamente consapevole e in grado di dare forma e dignità all’Italia. Da lì a pochi anni nei teatri dove venivano rappresentate le opere del Cigno di Busseto verranno lanciati dalle piccionaie i volantini con scritto VIVA VERDI, dove VERDI voleva dire Vittorio Emanuele Re D’Italia, il monarca illuminato in grado di rappresentare l’unità d’Italia.
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L’idea di quest’opera matur̀ in Verdi tra il 1847 e il 1849, durante il suo soggiorno nella capitale francese, dove era venuto a contatto con le più recenti correnti del Romanticismo europeo. Le sue preferenze si erano appuntate sul dramma storico di Victor Hugo [nella foto] Le roi s’amuse (“Il Re si diverte”), nonostante che egli sapesse che il soggetto avrebbe incontrato obiezioni da parte della censura: il dramma di Hugo infatti era stato proibito in Francia subito dopo la prima rappresentazione del 22 novembre 1822 per il tema scandaloso e immorale e i possibili riferimenti alla famiglia regnante. Un re che progetta di rapire la moglie di un cortigiano, che si mischia ai frequentatori di una taverna equivoca e infine, peggio di tutto, che seduce una virtuosa giovinetta, era un pericoloso intrecciarsi di argomenti proibiti Nel dramma di Hugo, che non piacque né al pubblico né alla critica, era facile vedere le dissolutezze della corte francese, con al centro il libertinaggio di Francesco I re di Francia! Verdi propose dapprima il racconto al librettista Salvatore Cammarata per un’opera destinata al San Carlo di Napoli, ma l’esito fu negativo. Una nuova occasione gli si presentò nella primavera del 1850, allorché la direzione del Teatro La Fenice di Venezia gli chiese un’opera nuova per inaugurare la stagione di Carnevale del 1851, Verdi ripropose il soggetto e indicò come librettista il muranese Francesco Maria Piave [ミellげiママagiミe]. Questi aveva conoscenze nell’ambiente della Fenice, e Verdi confidava che avrebbe potuto fare da mediatore nei rapporti con la censura di Venezia che si annunciavano difficili e assai complessi. Nonostante le inevitabili difficoltà e i contrasti sul tema prescelto, la presidenza del Teatro diede una generica approvazione sull’argomento e incaric̀ lo stesso Piave di [126]
ottenere personalmente l’autorizzazione della censura. Nell’ottobre del 1850 Piave sped̀ a Verdi il libretto finito, al quale era stato attribuito il titolo La maledizione. Tre mesi prima della rappresentazione, la direzione della Fenice si vide però rifiutare il visto dalla censura con durissime parole: «Sua Eccellenza il Signor Governatore militare Cavalier de Gorzowski mi ha ordinato di partecipare a cotesta Nobile Presidenza ch’egli deplora che il poeta Piave e il celebre Maestro Verdi non abbiano saputo scegliere altro campo per far emergere i loro talenti che quello di una ributtante immoralità e oscenità ed oscena trivialità qual ̀ l’argomento del libretto intitolato La Maledizione. La prelodata Eccellenza sua ha quindi trovato di vietarne assolutamente la rappresentazione». In particolare, i censori stigmatizzavano il comportamento ribelle del buffone verso il sovrano, la dissolutezza del sovrano stesso e il sacrificio (quasi un suicidio) della figlia del buffone; inoltre era sgradito che il protagonista dell’opera fosse un buffone (“un gobbo che canta”) e che sua figlia agonizzasse in un sacco. Piave tentò di smussare le asperità, proponendo una versione modificata del dramma, ma Verdi vi si oppose fermamente.
[Giuseppe Verdi ai tempi della stesura del Rigoletto]
Leggiamo quanto Verdi scrisse il 3 giugno 1850 Verdi a Piave: «In quanto al titolo quando non si possa tenere Le roi s'amuse, che sarebbe bello… il titolo deve essere necessariamente La maledizione di Vallier, ossia per essere più corto La maledizione. Tutto il soggetto è in quella maledizione che diventa anche morale. Un infelice padre che piange l'onore tolto alla sua figlia, deriso da un buffone di corte che il padre maledice, e questa maledizione coglie in una maniera spaventosa il buffone, mi sembra morale e grande, al sommo grande». Vi fu un estenuante alternarsi di proposte e controproposte; alla fine, per rispetto a Verdi e per la ragionevolezza del regime imperiale, si arrivò al compromesso di far svolgere l'azione alla corte di Mantova, a quel tempo non più esistente, trasformando il re di Francia nel duca di Mantova. Il resto rimase pressoché immutato per non compromettere l’essenza del dramma. La decisione finale sul titolo cadde sul nome del protagonista, cambiandolo da Triboletto (traduzione "letterale" dell'originale Triboulet), a Rigoletto (dal francese rigoler, che significa scherzare). La prima rappresentazione avvenne l’11 marzo 1851 al Teatro La Fenice di Venezia. Direttore d’orchestra e primo violino fu Gaetano Mares. Gli interpreti alla [127]
prima furono Felice Varesi nel ruolo di Rigoletto, Teresa Brambilla in quello di Gilda, Raffaele Mirate in quello del Duca di Mantova.
[Felice Varesi] [Teresa Brambilla] [Raffaele Mirate]
Il successo fu subito trionfale. Il pubblico accolse con calore l’intenso dramma di passione, tradimento, amore filiale e vendetta, e la combinazione di ricchezza melodica e potenza drammatica dell’opera. La stampa, da parte sua, reagì con una certa dose di stupore e perplessità. Questo il commento apparso il giorno dopo la prima sulla Gazzetta di Venezia: “Un’opera come questa non si giudica in una sera. Ieri fummo sopraffatti dalle novità; novità o piuttosto stranezze del soggetto; novità nella musica, nello stile, nella stessa forma dei pezzi e non ce ne facemmo un intero concetto. Ciononostante l’opera ebbe il più completo successo e il Maestro fu quasi ad ogni pezzo festeggiato, richiesto, acclamato e due se ne dovettero anche ripetere. E nel vero, stupendo, mirabile è il lavoro dell’istrumentazione: quell’orchestra ti parla, ti piange, ti trasfonde la passione.” La stessa calorosa accoglienza avvenne in buona parte dei teatri in cui fu allestita l’opera, ben 250 nell’arco del suo primo decennio di vita. Nel corso degli anni, con i teatri si moltiplicarono anche i conflitti con le censure di altre città che non sempre dimostrarono la stessa liberalità di quella veneziana. Ci furono così rappresentazioni ambientate nella lontanissima Australia e altre in cui Gilda saltava fuori del sacco incolume grazie alla “clemenza del Cielo”; né mancarono casi come a Bergamo in cui fu lo stesso pubblico a far interrompere lo spettacolo e a costringere la direzione del teatro ad abolirlo dal cartellone.
I personaggi dell’opera. Il Duca ci è presentato subito come un seduttore seriale, e dunque un paragone proprio con Don Giovanni sorge spontaneo, ma, a differenza del personaggio mozartiano, quello verdiano è assai più vacuo e leggero. Pur essendo un abile pianificatore delle proprie conquiste e indifferente alle conseguenze delle sue azioni ("A me che importa?", dice a Borsa), non è un manipolatore né un
calcolatore: addirittura per quasi tutta l'opera lo vedremo restare completamente all'oscuro di quello che accade attorno a lui. Quasi tutti gli eventi si sviluppano alle sue spalle, senza che lui ne sia (almeno coscientemente) il motore: il Duca sarà inconsapevole del rapimento di Gilda da parte dei cortigiani e anche, fino alla caduta del sipario, dei complotti di Rigoletto con Sparafucile. Non saprà mai di essere scampato a un attentato alla propria vita. In un certo senso, non possiamo nemmeno dire che il Duca sia "cattivo" o "crudele", se non per il fatto che utilizza il potere che ha nelle mani per soddisfare i propri istinti. A sembrarci crudeli sono semmai i cortigiani, e anche Rigoletto, che sin dalla prima scena si mostra spietato e irridente. Il Duca, invece, a parte pochi passaggi, rimane una figura leggera, da commedia del primo ottocento, quasi anacronistico rispetto agli altri personaggi dell'opera. Non è mosso da amore, ma soltanto da un desiderio continuo e inestinguibile, e questo si rispecchia anche nelle sue arie, sicuramente bellissime e memorabili dal punto di vista melodico ma in fondo "semplici" ballate orecchiabili, in contrasto con le nuove, cupe e tragiche sonorità che Verdi saprà inventare quando è di scena Rigoletto, l'autentico protagonista dell'opera. Il Duca non conoscerà mai la vastità dell'amore di Gilda, né sarà consapevole del sacrificio che questa sarà disposta a fare per lui. Se il Duca è e resterà un personaggio leggero, ben diverso è il discorso su Rigoletto, nonostante il fatto che all’inizio dell’opera i due si mostrino affini, quasi complici, nell'irridere e nello stuzzicare il Conte di Ceprano, sulla cui sposa il Duca ha messo gli occhi. Naturalmente la loro situazione è ben diversa: il Duca è un potente, e secondo le regole del tempo ha "diritto" di esercitare la propria volontà, anche perché ne trae un beneficio personale; il buffone di corte Rigoletto non è altro che un servitore, e la sua irrisione, che in realtà nasconde il suo profondo odio verso i nobili (compreso il Duca stesso) viene scambiata per servilismo e inutile compiacimento, il che lo macchia (agli occhi degli altri cortigiani) come inutilmente malvagio. In realtà si tratta di una figura complessa e sfaccettatissima, come riveleranno i suoi sensi di colpa, i suoi scrupoli, l'ossessione, l'amore paterno, la folle ricerca della vendetta. Ritratto spesso – seguendo l'iconografia cinque/seicentesca – con la gobba e il classico berretto a sonagli, Rigoletto è invece una delle figure più tragiche della storia del melodramma. Gilda è una donna fragile che sente la mancanza di un modello femminile di riferimento (madre), reale, tangibile, con il quale rapportarsi, ha idealizzato la figura paterna, vissuta come appartenente ad un mondo altro, pericoloso, dal quale è necessario essere protette. Ha una naturale curiosità nei confronti dell’amore e della sessualità ma nutre un contemporaneo senso di colpa per il desiderio fisico perché crede di deludere il padre. Vedremo come la giovane donna, nel primo atto, apparirà come una figura ingenua e cui Verdi dedicherà melodie dallo stile volutamente datato ("Caro nome" su tutte), per poi farsi sempre più complessa, anche musicalmente, quando acquisirà consapevolezza delle ingiustizie del mondo. Alla fine, come molte eroine dell’800 letterario, idealizza il concetto di morte e del sacrificio d’amore e sceglie l’esecuzione-suicidio come espiazione pur di salvare l’amato che non merita tale devozione con la sua dissolutezza e i suoi bassi valori morali. [129]
GUIDA ALL’ASCOLTO
PRELUDIO
Il tema del Preludio (o della “maledizione” che apparirà più tardi cantato da Rigoletto) si apre con una nota più volte ribattuta con insistenza ed un accordo dissonante, esposti dapprima da trombe e tromboni, quindi dagli archi su un tremolo crescente fino all’esplosione di tre accordi in fortissimo, infine da ottoni e legni. Evolve poi in una serie di figure suonate da violini e legni per poi concludersi con funebri rintocchi di timpano.
ATTO I
Scena I.
Dopo la cupezza del Preludio, l'opera vera e propria comincia con note rapide, sbarazzine, allegre, quasi come se ci trovassimo in un'opera buffa. Il contrasto non potrebbe essere più netto, ma naturalmente la leggerezza serve a preparare il terreno agli eventi tragici del dramma.
[Teatro alla Scala di Milano, 2019]
Siamo nel pieno di una festa nelle sale del Palazzo Ducale di Mantova, con "cavalieri e dame in gran costume" impegnati con allegria nella danza. Verdi qui si appropria di una soluzione che già Mozart aveva utilizzato nel primo atto del Don Giovanni, ovvero quella di mescolare più temi e melodie anche dal punto di vista dello svolgimento della rappresentazione: al suono dell'orchestra in buca si aggiunge infatti la musica di una banda che proviene dall'interno e quella di un gruppo d'archi, ad
accompagnare le danze, sul palcoscenico. I balli vorticosi e il continuo variare delle melodie accentuano il carattere libertino dei personaggi. Da una porta del fondo appaiono il Duca di Mantova e il suo cortigiano Borsa. Il Duca indica a Borsa una giovane ragazza che da tre giorni vede uscire dalla chiesa e che ha già seguito fino a casa: egli vuole insidiarla, però ancora non sa che trattasi di Gilda, la figlia di Rigoletto il deforme buffone di Corte. Borsa cerca di dissuaderlo, facendogli notare tutte le belle dame presenti alla festa. Il Duca torna quindi a corteggiare la Contessa di Ceprano, donna su cui ha già puntato gli occhi. Enuncia la sua filosofia libertina: incostanza, libertà in amore, prepotenza nobiliare; è la celeberrima aria “Questa o quella”, vero e proprio manifesto programmatico del personaggio, accompagnata dall’orchestra con ritmo saltellante.
[Vittorio Grigolo (Duca di Mantova). Teatro alla Scala di Milano. 2016]
DUCA. Questa o ケuella peヴ マe paヴi soミo a ケuaミtげaltヴe dげiミtoヴミo マi vedo; del マio Ioヴe lげiマpeヴo ミoミ Iedo マeglio ad uミa Ihe ad altヴa Heltà. La Iostoヴo avveミeミza X ケual doミo di Ihe il fato ミe iミfioヴa la vita; sげoggi ケuesta マi toヴミa gヴadita, foヴse uミげaltヴa doマaミ lo saヴà. La Iostaミza, tiヴaミミa del Ioヴe, detestiaマo ケual マoヴHo
crudele; sol chi vuole si seヴHi fedele; ミoミ vげha aマoヴ, se ミoミ vげX liHeヴtà. Deげ マaヴiti il geloso fuヴoヴe, degli
aマaミti le sマaミie deヴido; aミIo dげAヴgo i IeミtげoIIhi disfido se マi puミge uミa ケualIhe Heltà.
Scena II.
Sull’ultima nota dell’aria attacca direttamente un lento minuetto. Su questo sfondo musicale propizio alle scene amorose, il Duca muta del tutto l’atteggiamento, corteggiando la contessa di Ceprano con una passione che contraddice tutto quanto ha appena dichiarato. Il Duca e la Contessa si allontanano insieme, provocando l’ira del Conte suo marito che li segue. Scena III.
Sulle note della ripresa del ballo entra in scena Rigoletto, che con rapide e beffarde parole schernisce il Conte di Ceprano e plaude al libertinaggio del suo signore, quindi esce di scena.
Scena IV.
La musica riprende gioiosa preceduta da un breve perigordino, antica danza francese in tempo veloce. Entra in scena il cavaliere Marullo, che, in disparte, racconta agli altri cortigiani che Rigoletto, sebbene gobbo e deforme, avrebbe un'amante; la notizia è lo spunto per i cortigiani e per il conte di Ceprano per vendicarsi dell'ironia offensiva del buffone con il rapimento della donna. In realtà la giovane che Rigoletto tiene ben nascosta in casa (neanche il Duca ne è a conoscenza) non è altri che la figlia Gilda. Scena V.
Il Duca rientra seguito da Rigoletto e gli confida dei problemi che sta avendo ad avvicinare la Contessa di Ceprano senza che il Conte li infastidisca. Rigoletto propone allora al Duca di esiliarlo o decapitarlo. Il Duca rimprovera il buffone di prendere troppo alla leggera le parole e di portare oltre il dovuto lo scherzo. Rigoletto confida nella protezione del Duca, nessuno gli farà del male. I due non sanno però che il Conte di Ceprano ha ascoltato questa loro conversazione: infuriato, sguaina la spada ma viene fermato dal Duca. Il Conte medita vendetta assieme ad altri cortigiani che desiderano anch’essi vendicarsi del buffone, indignati dalle sue angherie. Verdi ha realizzato qui un vivace concertato contrappuntistico in cui l’intreccio delle numerose voci (il Duca, Rigoletto, Ceprano e cortigiani a loro volta divisi in voci di tenore e di baritono), supportato dagli archi e dall’orchestra, porta ad un culmine emotivo sottolineato dallo spessore sonoro. Al termine, con il canto “Tutto ̀ gioia, tutto è festa!” di tutti i partecipanti, si ritorna a quel clima di opera buffa che costituisce la nota caratteristica di questa sequenza introduttiva dell’opera. Scena VI.
Con l’ingresso dell’anziano Conte di Monterone, l’atmosfera della festa cambia di colpo. L'allegria dei canti e delle danze (pur solo apparente, visto che dietro la letizia delle melodie si nascondevano propositi di inganno, odio e tradimento che soltanto ora cominciano a essere espliciti anche sul piano musicale) si arresta, per lasciar spazio a un momento di silenzio e poi a un accompagnamento cupo e solenne da parte dell'orchestra (che recupera gli accordi del preludio). Il Conte, vecchio nemico del Duca, lo accusa pubblicamente di avergli sedotto la figlia. La sua figura austera e quasi sacrale, simbolo dell’etica morale (come non paragonarla alla Statua del Commendatore nel Don Giovanni mozartiano?) è scolpita da Verdi con pochi tratti dotati tuttavia di una straordinaria efficacia teatrale. La sua frase d’esordio ̀ resa da un declamato, accompagnato da un tremolo degli archi e rinforzato per due volte da accordi di corni, fagotti, cimbasso (il trombone basso caduto oggi in disuso) e da un rullo di timpani. Rigoletto lo schernisce, facendogli il verso (accompagnato da tutta l’orchestra). Monterone ̀ in preda all’ira, espressa da tre scoppi orchestrali in fortissimo su una scala ascendente, alternati da accordi ribattuti in pianissimo da violini e viole; quindi culmina nell’anatema che lancia contro il Duca e Rigoletto, il quale inorridisce alla maledizione.
[Richard J. Clark (Rigoletto), Enrico di Giuseppe (Duca di Mantova), Archie Drake (Monterone) Seattle Opera. 1982]
MONTERONE [fissando il Duca con nobile orgoglio] Sì, Monteron... la voce mia qual tuono vi scuoterà dovunque. RIGOLETTO [al Duca contraffacendo la voce di Monterone] Ch'io gli parli. [con caricatura] Voi congiuraste, voi congiuraste contro noi, signore; e noi, e noi, clementi in vero, perdonammo... Qual vi piglia or delirio, a tutte l'ore di vostra figlia a reclamar l'onore? MONTERONE [guardando Rigoletto con ira sprezzante] Novello insulto! [al Duca] Ah sì, a turbare, ah sì, a turbare sarò vostr'orge... verrò a gridare fino a che vegga restarsi inulto di mia famiglia l'atroce insulto; e se al carnefice pur mi darete, spettro terribile mi rivedrete, portante in mano il teschio mio, vendetta a chiedere al mondo, a Dio. DUCA. Non più, arrestatelo. RIGOLETTO. È matto! BORSA, MARULLO, CEPRANO. Quai detti! MONTERONE [al Duca e Rigoletto]. Ah, siate entrambi voi maledetti! BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO. Ah! MONTERONE. Slanciare il cane a leon morente è vile, o Duca... [a Rigoletto] e tu, serpente, tu che d'un padre ridi al dolore, sii maledetto! RIGOLETTO [da sè colpito]. (Che sento! orrore!)
Due alabardieri portano via il Conte di Monterone, tutti gli altri seguono il duca in altra stanza, mentre Rigoletto rimane ancora profondamente turbato da quelle parole. Scena VII.
E’ cambiato lo scenario. E’ notte, in una via deserta, a fianco di una casa con un piccolo cortile circondato dal muro; dall’altro lato il muro della casa del Conte di Ceprano. In questa atmosfera resa ancora più oscura da una orchestrazione cupa (clarinetti, fagotti, viole, violoncelli e contrabassi), avanza chiuso nel suo mantello Rigoletto, oppresso dalla frase della
maledizione. Ritorna il tema della maledizione già ascoltato nel Preludio, al quale segue una sinuosa melodia oscura esposta da un violoncello e da un contrabbasso e accompagnata da una grancassa a dal pizzicato degli archi. Lo segue a breve distanza Sparafucile, un sicario che, venuto a conoscenza delle attenzioni rivolte dal Duca alla giovane donna che il buffone nasconde nella casa, gli si offre per eliminare chiunque venga a insidiare la giovane. Gli racconta che egli uccide le vittime designate in casa della sorella Maddalena che li attrae con le sue grazie. Per il momento Rigoletto non ha bisogno dei servigi del sicario: per difendersi ed attaccare gli bastano le sue armi. Lo congeda, ma si fa spiegare come trovarlo se fosse necessario. Scena VIII.
Vedendo Sparafucile andar via, paragonandosi poi in qualche modo a lui, Rigoletto mette a fuoco i suoi pensieri: ancora scosso dalle parole di Monterone, maledice il suo destino di uomo deforme, condannato a divertire con le sue buffonate il Duca e i cortigiani che odia. Verdi qui scrive una linea melodica oscillante tra il parlato e slanci di più aperta cantabilità, sorretto da motivi orchestrali continuamente cangianti cui è affidato il compito di sottolineare le emozioni di Rigoletto.
RIGOLETTO: Pari siamo!... io la lingua, egli ha il pugnale; l'uomo son io che ride, ei quel che spegne!... Quel vecchio maledivami!... O uomini!... o natura!... Vil scellerato mi faceste voi...! Oh rabbia!... esser difforme!... esser buffone!... Non dover, non poter altro che ridere!... Il retaggio d'ogni uom m'è tolto... il pianto!... Questo padrone mio, giovin, giocondo, sì possente, bello, sonnecchiando mi dice: Fa ch'io rida, buffone... Forzarmi deggio, e farlo!... Oh, dannazione!... Odio a voi, cortigiani schernitori!... Quanta in mordervi ho gioia!.. Se iniquo son, per cagion vostra è solo... Ma in altr'uom qui mi cangio!... Quel vecchio malediami!... tal pensiero perché conturba ognor la mente mia!... Mi coglierà sventura?... Ah no, è follia.
Scena IX.
Rigoletto entra in casa dove lo accoglie la figlia Gilda, che, vedendolo scosso, gli chiede di confidarsi con lei. Gilda vuol anche sapere qualcosa in più di sua madre. L’uomo risponde con un cantabile di rimpianto per l’amata morta.
RIGOLETTO: Deh non parlare al misero del suo perduto bene... Ella sentia, quell'angelo, pietà delle mie pene... Solo, difforme, povero, Per compassion mi amò, Moria... le zolle coprano lievi quel capo amato... Sola or tu resti al misero... O Dio, sii ringraziato!... (Singhiozzando)
La giovane lo rassicura dicendogli che da quando si è trasferita lì (tre giorni prima) è uscita di casa solo per andare in chiesa. Gilda non conosce ancora il nome del padre, né tantomeno è a conoscenza del suo ruolo a Corte.
Scena X.
Terrorizzato dalle possibili ritorsioni dei cortigiani, Rigoletto chiama subito la governante Giovanna e le ripete l’ordine di non fidarsi degli sconosciuti e di tenere sempre sbarrata la porta di casa, raccomandandole di sorvegliare e proteggere la fanciulla:
RIGOLETTO. (a Giovanna) Veglia, o donna, questo fiore che a te puro confidai veglia attenta, e non sia mai che s'offuschi il suo candor. Tu dei venti dal furore ch'altri fiori hanno piegato lo difendi, e immacolato lo ridona al genitor. GILDA. Quanto affetto!... quali cure! Che temete, padre mio? Lassù in cielo, presso Dio veglia un angiol protettor. Da noi stoglie le sventure di mia madre il priego santo; non fia mai divelto o infranto questo a voi diletto fior.
Scena XI.
Rigoletto sente qualcuno fuori, esce a controllare se qualcuno l'abbia seguito; furtivamente il Duca (che era all’esterno con i suoi accoliti) entra in casa inosservato, si nasconde dietro un albero, e scopre che Gilda è la figlia del suo buffone di corte. Porge una borsa a Giovanna per farla tacere comprandone il silenzio. Rigoletto esce dalla casa. Scena XII.
Rimaste sole, Gilda racconta a Giovanna di provare rimorso per non avere rivelato al padre che un giovane la seguiva mentre ella si recava in chiesa. Ne ̀ stata conquistata (“ispira amore”), e le sue parole sono contrassegnate da una melodia trasognata suonata da oboi e clarinetti. Le sue parole vengono interrotte dal Duca che congeda Giovanna e, fingendosi un povero studente innamorato di nome Gualtier Maldè, manifesta a Gilda il suo amore:
DUCA. È il sol dell'anima, la vita è amore, sua voce è il palpito del nostro core... E fama e gloria, potenza e trono. Terrene, fragili cose qui sono. Una pur avvene sola, divina, È amor che agli angeli più ne avvicina! Adunque amiamoci, donna celeste, d'invidia agli uomini sarò per te.
Le voci di Borsa e Ceprano, che vengono dal di fuori, spaventano Gilda che manda via il suo giovin innamorato. Il Duca si allontana non prima di essersi accertato che il suo amore sia ricambiato. I due si lasciano con una brevissima e appassionata cabaletta:
GILDA e DUCA. Addio... speranza ed anima sol tu sarai per me. Addio... vivrà immutabile l'affetto mio per te.
Scena XIII.
Rimasta sola, rapita nel suo sogno d’amore, Gilda canta la sua passione in un’aria dominata dai legni (flauti, oboi, clarinetti e fagotti) fitta di fioriture che richiedono all’interprete doti virtuosistiche non comuni. Tali virtuosismi non sono fini a se stessi ma Verdi li ha scritti per connotare l’estasi amorosa, [135]
o meglio, l’estasi in cui ̀ caduta la fanciulla. Per meglio connotare il momento drammatico della vicenda che verrà, alla fine dell’aria Verdi inserisce il mormorio dei cortigiani che, armati e mascherati, vanno già riempiendo il vicolo.
GILDA. Gualtier Maldè!... nome di lui sì amato, Scolpisciti nel core innamorato! Caro nome che il mio cor festi primo palpitar, Le delizie dell'amor mi dêi sempre rammentar! Col pensiero il mio desir a te ognora volerà, e pur l'ultimo sospir, caro nome, tuo sarà.
Scene XIV-XV.
Rigoletto torna nel vicolo ripensando ancora alla maledizione che lo ossessiona senza requie. Si imbatte in strada nel manipolo di cortigiani. Al buio fitto egli non riconosce il gruppo di persone, solo Marullo si fa avanti. Gli dice che sono diretti a casa della Conte di Ceprano, per rapire la Contessa e portarla al Duca. Rigoletto, rassicurato, decide di unirsi a loro. Il gruppo di cospiratori lo obbliga a indossare una maschera e una benda che lo rendono incapace di vedere e udire. Non si accorge quindi di essere davanti la casa dove abita Gilda. Giunti sotto casa, piazzano una scala per salire sul terrazzo ed entrare nella casa; Rigoletto rimane fuori a tenere la scala per gli assalitori.La crudele burla sfocia in un coro sottovoce e in note staccate: gli uomini rapiscono e trascinano via Gilda la quale, pur con la bocca chiusa da un fazzoletto, chiede con la voce fioca soccorso al padre. Nel rapimento perde una sciarpa.
TUTTI. Zitti, zitti moviamo a vendetta, Ne sia colto or che meno l'aspetta. Derisore sì audace costante A sua volta schernito sarà!... Cheti, cheti, rubiamgli l'amante, E la corte doman riderà.
Rigoletto scopre l’inganno troppo tardi: si accorge di essere stato bendato, strappa impetuosamente la benda e la maschera, ed al chiarore d'una lanterna scordata riconosce la sciarpa, vede la porta aperta, entra, guarda Giovanna spaventata: la fissa con stupore, si strappa i capelli senza poter gridare. Su un’intensa pulsazione ritmica dell’orchestra culminante in un fortissimo, finalmente, dopo molti sforzi esclama, con la voce quasi strozzata “Ah!... la maledizione!!” e sviene.
ATTO II
Scena I.
La scena si apre nel salotto del palazzo Ducale. Su una breve introduzione orchestrale, affidata interamente agli archi, entra agitatissimo il Duca, che sembra ora abbandonare il suo ruolo di seduttore per indossare i pani dell’amante appassionato. Il rapimento, avvenuto a sua insaputa, suscita in lui un’improvvisa disperazione. Dopo un recitativo
(“Ella mi fu rapita!”), ecco comparire un cantabile (“Parmi veder le lagrime”), una splendida pagina melodica che dà vita ai sentimenti d’amore del Duca.
DUCA: Ella mi fu rapita! E quando, o ciel... ne'brevi istanti, prima che il mio presagio interno sull'orma corsa ancora mi spingesse! Schiuso era l'uscio!... e la magion deserta! E dove ora sarà quell'angiol caro?... colei che prima potè in questo core destar la fiamma di costanti affetti?... colei sì pura, al cui modesto sguardo quasi spinto a virtù talor mi credo!... Ella mi fu rapita! E chi l'ardiva?... Ma ne avrò vendetta lo chiede il pianto della mia diletta. Parmi veder le lagrime scorrenti da quel ciglio, quando fra il dubbio e l'ansia del subito periglio, dell'amor nostro memore, Il suo Gualtier chiamò. Nè ei potea soccorrerti, cara fanciulla amata, ei che vorria coll'anima farti quaggiù beata; ei che le sfere agli angeli, per te non invidiò.
Scena II.
Entrano in scena i suoi fidi, assieme ad altri cortigiani, che lo informano di aver rapito l’amante di Rigoletto e che la donna adesso è lì prigioniera nel palazzo.
BORSA, MARULLO, CEPRANO: Scorrendo uniti remota via, brev'ora dopo caduto il dì, come previsto ben s'era in pria, rara beltà ci si scoprì. Era l'amante di Rigoletto, che, vista appena, si dileguò. Già di rapirla s'avea il progetto, quando il buffone vêr noi spuntò; che di Ceprano noi la contessa rapir volessimo, stolto credé; la scala, quindi, all'uopo messa, bendato, ei stesso ferma tenè. Salimmo, e rapidi la giovinetta a noi riusciva quindi asportar. Quand'ei s'accorse della vendetta restò scornato ad imprecar, ad imprecar.
Il Duca, mettendo in relazione i fatti narratigli, trasale, capendo subito trattarsi della sua amata Gilda. Si allontana dunque per incontrare la sua amata e consolarla.
DUCA. Possente amor mi chiama, volar io deggio a lei; il serto mio darei per consolar quel cor. Ah! sappia alfin chi l'ama, conosca alfin chi sono, apprenda ch'anco in trono ha degli schiavi Amor.
Scene III e IV.
Sopraggiunge Rigoletto mostrando indifferenza: conscio che il rapimento è stato condotto dai cortigiani del Duca, cerca di scoprire dove è stata nascosta la figlia. Quando comprende che Gilda è nel Palazzo in quel momento assieme al Duca, furente cerca di raggiungere le stanze; viene però trattenuto a forza dai cortigiani, contro i quali sfoga la sua ira. A questa prima invettiva, seguono una seconda parte, più lenta, in cui Rigoletto esprime il suo compianto, e infine una conclusiva invocazione di pietà ai cortigiani. È una scena potente, giustamente fra le più celebri dell'opera, dove il protagonista mette in mostra un ventaglio tale di emozioni (il sospetto, l'ironia beffarda, il malcelato disprezzo, l'ira esplicita, l'umiliazione, l'implorazione) che ne sintetizza in pochi minuti tutta la complessità, giustificando le parole di Verdi quando lo descriveva come “un carattere che è una delle più grandi creazioni che
vanti il teatro di tutti i paesi e di tutte le epoche". E se finora avevamo già visto tracce di alcuni di questi aspetti (il canzonatore, l'irato, il calcolatore), appare qui per la prima volta il suo lato più vulnerabile e disperato, quello che lo spinge addirittura a implorare pietà dai suoi nemici.
[Leo Nucci]
RIGOLETTO. Cortigiani, vil razza dannata, per qual prezzo vendeste il mio bene? A voi nulla per l'oro sconviene!.. ma mia figlia è impagabil tesor. La rendete... o se pur disarmata, questa man per voi fora cruenta; nulla in terra più l'uomo paventa, se dei figli difende l'onor. Quella porta, assassini, assassini, m'aprite, la porta, la porta, assassini, m'aprite. Ah! voi tutti a me contro venite!.. (piange) tutti contra me!.. Ah!.. Ebben, piango... Marullo... signore, tu ch'hai l'alma gentil come il core, dimmi tu dove l'hanno nascosta?.. È là? non è vero? ... tu taci!.. ohimè! Miei signori.. perdono, pietate...al vegliardo la figlia ridate... ridonarla a voi nulla ora costa, tutto al mondo è tal figlia per me.
Scena V.
Su un motivo ascendente di violini irrompe Gilda che si getta tra le braccia del padre. L’orchestra sottolinea l’emozione dell’incontro mediante un disegno ritmico altalenante.
[Nadine Sierra (Gilda), Leo Nucci (Rigoletto). Teatro alla Scala Milano. 2016] [138]
Rigoletto, su richiesta della figlia sopraffatta dalla vergogna, allontana bruscamente i cortigiani su una nota ribattuta, che richiama la prima frase di Monterone, con il quale ora egli sembra identificarsi.
Scena VI.
Rimasti soli, Gilda confessa al padre che, diversamente da quel che gli aveva detto, nella sua vita di reclusa è apparso un giovane, incontrato durante le uniche uscite permesse per andare in chiesa (qui l’oboe disegna una lamentosa melodia che conferisce al racconto una piega di amaro disincanto). Narra come egli sia un povero studente, innamorato di lei, e come il rapimento abbia interrotto questa storia di puro amore.
GILDA. Tutte le feste al tempio mentre pregava Iddio, bella e fatale un giovine offriasi al guardo mio...se i labbri nostri tacquero, dagl'occhi il cor, il cor parlò. Furtivo fra le tenebre sol ieri a me giungeva...Sono studente, povero, commosso mi diceva, e con ardente palpito amor mi protestò. Partì... il mio core aprivasi a speme più gradita, quando improvvisi apparvero color che m'han rapita, e a forza qui m'addussero nell'ansia più crudel.
Tra due alabardieri passa frattanto Monterone, che sta per essere condotto in carcere. Il vecchio nobile si ferma e osserva il Duca ritratto in un quadro, constatando amaramente che la sua maledizione è stata vana. Udite le sue parole, Rigoletto promette che sarà lui stesso, padre ugualmente disonorato, a compiere la vendetta. Gilda ripete la veemente melodia del padre, ma invoca il perdono per l’uomo che ama.
RIGOLETTO: (con impeto volto al ritratto del Duca) Sì, vendetta, tremenda vendetta di quest'anima è solo
desio... di puミiヴti già l'oヴa sげaffヴetta, Ihe fatale peヴ te tuoミeヴà. Coマe fulマiミ sIagliato da Dio, te Iolpiヴe il
buffone saprà. GILDA: O mio padre, qual gioja feroce balenarvi ne gl'occhi vegg'io!.. Perdonate, a noi pure una voce di perdono dal cielo verrà. (Mi tradiva, pur l'amo, gran Dio! per l'ingrato ti chiedo pietà!)
ATTO III
Scene I e II.
La scena raffigura a sinistra una casa diroccata, appena fuori dalla città di Mantova: è la taverna di Sparafucile dove Rigoletto ha attratto il Duca adescato dalle grazie di Maddalena, sorella del sicario. Il resto del teatro rappresenta la destra parte del Mincio, che nel fondo scorre dietro un parapetto in mezza ruina; al di là del fiume è la città. È notte. Gilda e un inquieto Rigoletto sono sulla strada. Sparafucile nell'interno dell'osteria, seduto sopra una tavola, sta ripulendo il suo cinturone.
Un breve preludio introduce un recitativo d’apertura. Rigoletto vuole convincere la figlia della infedeltà del Duca, del quale ella è ancora innamorata, malgrado sia già trascorso un mese. Giunge il Duca, travestito con una divisa di semplice ufficiale di cavalleria, che entra nella casa. Sotto gli occhi di Gilda, che spia attraverso le crepe dl muro della casa, la realtà si manifesta nel suo peggior squallore. Il Duca, ignaro di essere osservato, esprime la sua indole licenziosa chiedendo vino e letto, e canta un’aria che sintetizza che sintetizza appieno la sua concezione dell’amore e della donna.
[Teatro San Carlo, Napoli. 2017]
DUCA. La donna è mobile qual piuma al vento, muta d'accento e di pensiero. Sempre un amabile leggiadro viso, in pianto o in riso, è menzognero. È sempre misero chi a lei s'affida, chi le confida mal cauto il core! Pur mai non sentesi felice appieno chi su quel seno non liba amore!
Questa melodia è intenzionalmente ordinaria, ma appropriata alla trivialità della situazione. Il brano gradualmente si spegne, assottigliandosi dal tutti orchestrale fino quasi a finire in un a solo di fagotto. Sparafucile rientra con una bottiglia di vino e due bicchieri che depone sulla tavola, quindi batte col pomo della sua lunga spada due colpi al soffitto. A quel segnale Maddalena, una ridente giovane, in costume di zingara, scende a salti la scala. Il Duca corre per abbracciarla, ma ella gli sfugge. Frattanto Sparafucile, uscito sulla via, si apparta con Rigoletto per sapere se ̀ lui l’uomo che deve uccidere o lasciare vivere.
Scena III.
Il Duca, con parole dolci e lusinghiere, ricolme di falso amore, cerca di incantare la giovane Maddalena e convincerla a concedersi a lui. Giunge persino a parlare di matrimonio.
DUCA. Bella figlia dell'amore, schiavo son de' vezzi tuoi; con un detto sol tu puoi le mie pene consolar. Vieni e senti del mio core il frequente palpitar. Con un detto sol tu puoi le mie pene consolar.
Gilda, che assiste al di fuori alla scena, rimane scossa dall'udire quelle stesse parole - una volta indirizzate a lei - rivolte a un'altra donna. Rigoletto le intima di partire in sella a un cavallo e andare a Verona, travestita da uomo per la sua incolumità; lui l'avrebbe raggiunta il giorno successivo. La giovane donna va via subito. Scena IV.
Ha inizio la sequenza del delitto, che si svolge su un tessuto orchestrale semplice ma efficace sotto il profilo teatrale: accordi di viole, violoncelli e contrabbassi per dare vita ad un’atmosfera notturna immobile e rarefatta; tremolii di violino seguito da un rapido arpeggio di flauto ed ottavino per alludere ai bagliori dei lampi e alla tempesta che si sta avvicinando; coro a bocca chiusa per raffigurare il vento. Tutti questi elementi si combinano e ritornano più volte per sottolineare il clima di orrore che si sta preparando. Inoltre a complicare il tessuto musicale, si aggiungono il clarinetto che suona le note di “Bella figlia dell’amore” e di “La donna ̀ mobile”. Le voci rimangono invece sullo stile recitativo, di impronta più nettamente teatrale che lirica. Sparafucile esce dalla locanda per parlare con Rigoletto: riceve da lui una parte del denaro per portare a compimento l'uccisione del Duca. Rigoletto si allontana, impartendo al sicario un ultimo ordine: vuole essere lui stesso a gettare nel fiume il corpo senza vita del Duca. La sua vendetta sarà così completa. Scena V.
Sparafucile rientra nella locanda e fa accomodare il Duca in una stanza per la notte. Questi depone il cappello, la spada e si stende sul letto, dove in breve si addormenta. Maddalena frattanto siede presso la tavola, Sparafucile beve della bottiglia lasciata dal Duca. Sono chiusi nei loro pensieri. La giovane Maddalena ha ceduto al fascino del Duca, e ne vanta la bellezza al fratello.
Scena VI.
Mentre si avvicina un temporale, Gilda, già in abiti maschili, travestita da mendicante, in preda ancora a un'attrazione irrefrenabile per il suo amato, è intanto tornata presso la locanda. Non vista, ascolta il drammatico dialogo che vi si svolge: Maddalena supplica il fratello affinché risparmi il Duca e uccida al suo posto Rigoletto non appena giungerà con il denaro. Viste le rimostranze del fratello, Maddalena propone una soluzione alternativa: se qualcuno fosse entrato nella locanda prima di mezzanotte, l'avrebbero ucciso al posto del Duca e intascato il resto dei soldi da Rigoletto. Sparafucile alla fine accetta un compromesso: aspetterà fino a mezzanotte e, se arriverà, ucciderà il primo uomo che entrerà nell'osteria. Sentendo queste parole, Gilda decide di immolare la sua vita per risparmiare quella del suo amato.
GILDA. Ah! presso alla morte, sì giovine, sono! Oh ciel, per gl'empi ti chieggo perdono! Perdona tu, o padre, questa infelice! ... Sia l'uomo felice - ch'or vado a salvar.
Mentre scoppia la tempesta, bussa alla porta della locanda. Sparafucile va a postarsi con un pugnale dietro la porta; Maddalena apre, poi corre a chiudere la grande arcata di fronte, mentre entra Gilda, dietro a cui Sparafucile chiude la porta. La giovane viene pugnalata a sangue freddo dal sicario mentre tutto intorno resta sepolto nel silenzio e nel buio. Scena VII.
La tempesta va scemando e Rigoletto fa ritorno alla locanda, tormentato dal desiderio di vedere conclusa la sua vendetta.
RIGOLETTO. Della vendetta alfin giunge l'istante! da trenta dì l'aspetto di vivo sangue a lagrime piangendo, sotto la larva del buffon...(esaminando la casa). Quest'uscio è chiuso!.. Ah, non è tempo ancor!.. S'attenda. Qual notte di mistero! una tempesta in cielo!.. in terra un omicidio!..Oh come in vero qui grande mi sento!..
Batte alla porta e consegna il denaro a Sparafucile, che gli dà un sacco con dentro quello che Rigoletto pensa essere il corpo del Duca. Parte quindi verso il vicino fiume per gettarvi il cadavere, ma arrivato alla sponda del fiume, ode una voce in lontananza: quella del Duca. Rigoletto trasecola e capisce subito l’inganno: apre allora il sacco per vedere quale corpo contiene e, straziato, vi scopre la figlia ormai moribonda.
[Simon Keenlyside (Rigoletto), Aleksandra Kurzak (Gilda). Royal Opera House, 2014]
Gilda chiede al padre di perdonare questo suo gesto d'amore e di perdonare il suo amato Duca. Un’atmosfera timbrica rarefatta accompagna le ultime parole di Gilda che muore davanti al padre disperato. Rigoletto urla il suo dolore contro la maledizione del Conte di Monterone e si accascia sul corpo senza vita della figlia.
DISCOGRAFIA
Verdi: Rigoletto Tito Gobbi (Rigoletto), Maria Callas (Gilda), Giuseppe Di Stefano (Duca di Mantova). Orchestra e Coro del Teatro alla Scala di Milano, dir. Tullio Serafin. EMI Classics
Che dire di questa splendida incisione? Partiamo dal fatto che siamo nel 1955; a quei tempi il grandissimo Tullio Serafin aveva esattamente 77 anni, quindi pur "anziano" era comunque ancora in gran forma; Serafin occorre ricordarlo è stato senz'altro un eccellente direttore d'orchestra in ambito di opere liriche, soprattutto Italiane (tra Bellini, Donizetti, Puccini) ma anche alcune "straniere" come ad esempio il Wozzeck di Alban Berg tanto per citarne qualcuna; inoltre aveva già precedentemente registrato il Rigoletto circa 9 anni prima, sempre con il grandissimo Tito Gobbi come protagonista principale nella colonna sonora del celebre film televisivo di Rigoletto con la regia di Carmine Gallone. In questa registrazione in studio della EMI di quegli anni, che si avvaleva della splendida produzione di Walter Legge e dell’Orchestra e del Coro del Teatro della Scala di Milano, assolutamente straordinari, Tullio Serafin dirige in maniera molto solida, robusta e potente imprimendo all'orchestra un carattere forte, deciso e con un suono molto compatto, nitido e magnificamente esaltato dal bellissimo riversamento tecnico della Warner (entrata in possesso del catalogo EMI oramai da parecchi anni). Tito Gobbi [nella foto] è assolutamente eccezionale, stratosferico, nel ruolo di Rigoletto, forse il massimo Rigoletto in assoluto nella storia discografica integrale dell'opera (per quanto ce siano stati diversi veramente eccellenti quali ad esempio: Lawrence Tibbett, Leonard Warren, Dietrich Fischer-Dieskau, Leo Nucci, Piero Cappuccilli, Renato Bruson tanto per citarne alcuni tra i migliori in assoluto nel ruolo); sentire come Tito Gobbi ad esempio consoli la povera Gilda, all'inizio del secondo atto con dei 'piangi' dolcissimi, con una voce delicata, tenera, da vero padre è veramente molto emozionante!! Maria Callas da parte sua, era molto giovane (aveva circa 32 anni in questa registrazione) ed era alle prime incisioni professionali: canta benissimo ed interpreta già magistralmente, certo la qualità della voce così "asprigna, ferrosa" non sarebbe
propriamente l'ideale per il ruolo di Gilda (che fondamentalmente è una giovane ragazza tra i 18 - 20 anni nell'opera) tuttavia la visione ed il carattere che la Callas imprime al personaggio è decisamente superiore a quello di tante altre cantanti, anche blasonate. Parlando invece del grande Giuseppe Di Stefano (di due anni più grande della Callas e quindi 33 o 34enne all'epoca di questa registrazione) bisogna dire che il suo "modo" di cantare non era propriamente l'ideale per la maggior parte dei ruoli Verdiani, soprattutto poiché tendeva sempre a spingere la propria voce con tonalità molto forti, cantando praticamente a squarciagola, lontanissimo anni luce dalle sfumature e chiaro-scuri di un Bergonzi ad esempio; comunque al suo Duca di Mantova riesce comunque a dare una certa spavalderia e simpatica istrionicità, quindi una prova nel complesso ampiamente soddisfacente (anche se oggettivamente, rimane pur sempre qualche gradino al di sotto di altri 3 o 4 tenori in questo specifico ruolo). I comprimari sono praticamente quasi tutti Italiani, quindi con un eccellente dizione, splendido è lo Sparafucile di Nicola Zaccaria, un interpretazione veramente notevole la sua e comunque bravissimi anche tutti gli altri. Il riversamento "tecnico" di questa registrazione è assolutamente eccezionale, il suono è splendido, ottimamente rimasterizzato, i piani sonori sono articolati con grande chiarezza ed estrema precisione, l'effetto complessivo è decisamente notevole, è indubbiamente un saldo punto di riferimento anche e sino ai giorni nostri. Assolutamente imperdibile!
Verdi: Rigoletto Sherril Milnes (Rigoletto), Joan Sutherland (Gilda), Luciano Pavarotti (Duca di Mantova). Ambrosian Opera Chorus. London Symphony Orchestra, dir. Richard Bonynge. Decca
Questa registrazione è stata fatta nel giugno 1971 alla Kingsway Hall di Londra, e nonostante gli anni suona straordinariamente bene, con il CD che mette in risalto la precisione del posizionamento e il senso del realismo. Solo una leggera mancanza di fioritura sui violini alti tradisce l'età del suono. Rimane tuttora tea le migliori versioni di riferimento di quest’opera verdiana. Milnes con una nota mai aspra o ruvida fa un Rigoletto vocalmente forte, forse troppo nobile di timbro per il gobbo: la performance è comunque di ottimo livello. Pavarotti ha una voce eccellente: il suo Duca è disegnato come un mascalzone affascinante ed egoista.
La pura bellezza, comando e brillantezza tecnica di Joan Sutherland rendono il suo canto un piacere, anche se un po’ matronale. Infine la capacità caratteristica di Bonynge di scatenare ritmi e disegnare melodie all'italiana funziona bene in quest'opera, con l'LSO in forma eccellente.
Giuseppe Verdi: Rigoletto Piero Cappuccilli (Rigoletto), Ileana Cotrubas (Gilda), Placido Domingo (Duca di Mantova). Wiener Philharmoniker, dir. Carlo Maria Giulini. Deutsche Grammophone - The Originals
Registrazione del 1979. Il cast è prestigioso e scelto con cura, anche in piccoli ruoli (Elena Obraztsova in Maddalena, Kurt Moll a Monterone, sontuoso il Sparafucile di Ghiaurov!), anche se Cappuccilli, che pure è un ottimo Rigoletto, certamente non ha la bellezza del timbro di Milnes; Domingo canta molto bene ed è molto musicale, il suo Duca di Mantova è leggero e seducente; Ileana Cotrubas ci offre una bella e commovente Gilda. La direzione di Giulini è molto particolare: molto lenta ma affascinante. L’orchestra suona ad altissimo livello. Manca però un quid, che mi fa preferire altre registrazioni. Il suono è tecnicamente registrato molto bene.
Verdi: Rigoletto Dietrich Fisher-Dieskau (Rigoletto), Renata Scotto (Gilda), Carlo Bergonzi (Duca di Mantova). Orchestra e Coro del Teatro alla Scala di Milano, dir. Rafael Kubelik. Deutsche Grammophone
Il Rigoletto del 1964 di Rafael Kubelik è dai più ritenuto la più bella versione mai incisa della celebre opera verdiana, e costituisce un sicuro punto di riferimento. Incredibile come il miglior Rigoletto della storia del disco sia firmato in direzione da un maestro al di fuori della tradizione italiana: eppure Kubelik in maniera per niente stereotipata accompagna con eccellenza i cantanti con magnifici colori orchestrali, e se qui e lì manca di incisività in qualche accompagnamento di maggiore drammaticità, o rallenta troppo i [145]
tempi, in compenso è magnifico in tutto l'impianto lirico e nei concertati, cosa non da poco vista la natura dell'opera. Bergonzi in questa esecuzione è valido interprete ma soprattutto grande cantante; gli sfugge in parte l'istinto predatorio e cinico del personaggio, ma quando al cinismo del seduttore si sostituisce l'afflato, anche momentaneo, del padre innamorato, siamo di fronte ad una prestazione veramente egregia (ad esempio ascoltate l’aria "Parmi veder le lacrime"). Renata Scotto è stata assieme a Maria Callas e Joan Sutherland la maggior interprete di Gilda che esulava dalla categoria del soprano lirico leggero. Supera la prima per compiutezza del canto in questo ruolo, e la seconda per espressività. Fisher-Dieskau non sarebbe a rigor di termini il Rigoletto ideale, soprattutto per due motivi: non copre gli acuti che quindi suonano aperti e privi di squillo, e scivola sovente dalla mezza voce al falsetto. A questo si aggiunga un modo non proprio idiomatico di articolare la frase italiana, con una certa pedissequità liederistica. Il senso della frase però è sempre rispettato ed espresso, la gamma dinamica e di colori enormemente ampia, la vigoria nei momenti drammatici apprezzabile, il lirismo del padre amoroso assolutamente soggiogante. Quindi senza dubbio una grande interpretazione. Con questa direzione, questo baritono e questo soprano, i due duetti Gilda-Rigoletto contenuti nella registrazione sono assolutamente magnifici e godibilissimi anche dai melomani meno raffinati. La registrazione si difende bene nonostante gli anni, ma nel remastering volto a toglierle un po' di rumore ha perso un pizzico della sua luminosità originaria, pur continuando a produrre un buon suono accettabile.
Verdi: Rigoletto Renato Bruson (Rigoletto), Edita Gruberova (Gilda), Neil Shikoff (Duca di Mantova). OヴIhestヴa e Coヴo dellげAIIadeマia di “aミta CeIilia, dir. Giuseppe Sinopoli. Philips
La bravura di Giuseppe Sinopoli non può che essere ancora riconfermata per questa esecuzione. Il Maestro, purtroppo scomparso troppo presto, dimostra ancora una volta la sua grande sensibilità nell'affrontare questa partitura in modo magistrale e naturale, senza arbitrarietà, anche supportato dall'ottimo cast di cantanti. Renato Bruson è in uno dei suoi cavalli di battaglia; Edita Gruberova è sorprendente, la sua espressività è delicata ed emotiva. Per molti è la migliore Gilda con Sutherland. Anche La
compatibilità con il Bruson è eccellente, i loro duetti sono molto intensi. Shikoff è eccellente, inaspettatamente è uno dei migliori Duca Mantova in disco. L’Orchestra di Santa Cecilia ̀ eccellente . Ottima la registrazione digitale, vivida.
Verdi: Rigoletto Robert Merrill (Rigoletto), Anna Moffo (Gilda), Alfredo Kraus (Duca di Mantova). RCA italiana Opera Chorus and Orchestra, dir. Georg Solti. Sony Classical Opera
Solti non è mai stato molto a suo agio con Verdi: anche in questa registrazione, la sua direzione è brutale, il grande direttore gonfia a dismisura il suono dell'orchestra, è ondivago nella scelta dei tempi e, infine, è compiacente coi suoi cantanti, ai quali consente troppe libertà. Avrebbe potuto rallentare un po', a volte, ma l'intera performance ha un impulso meteorico. Robert Merrill è un Rigoletto forte e vocalmente libero. Il suo personaggio è però superficiale, per nulla tormentato, pieno di c vezzi di tradizione e, in definitiva, il baritono americano manca proprio il personaggio. Alfredo Kraus è un duca molto commovente, molto più sottile vocalmente e drammaticamente credibile di Domingo con Giulini. A volte per̀ gigioneggia un po’ troppo. Perfetta come al solito la dizione, perfino migliore di quella di alcuni italiani di questo Duca non si perde una parola. Inaspettatamente il pregio di questa registrazione sta nella performance di Anna Moffo, soprano bella quanto brava. E’ semplicemente eccezionale, con una brillante luminosità nella sua coloratura e un'elevata purezza nella conduzione della linea di canto. Il carattere ingenuo di Gilda è centrato in pieno, i suoi toni sono liberi, ricchi e sensuali. La dizione, poi, è ottima: ciò non accade spesso con questo personaggio. Anche se questa Gilda non sarà ricordata come la migliore della storia del disco, si dovrà riconoscere che ce ne sono state molte decisamente meno efficaci e non poi così tante incontestabilmente superiori.Di livello accettabile i personaggi di contorno. La registrazione è troppo fantasiosa, con frequenti spostamenti delle voci da un canale all'altro ed effetti talvolta persino sgradevoli: si era in piena frenesia da stereo, una relativa novità al tempo di questa incisione; e i tecnici del suono, evidentemente, vollero sbizzarrirsi utilizzando tutte lo spettro delle possibilità loro offerte. In definitiva, un "Rigoletto" da salvare - chi l'avrebbe mai detto? - principalmente per la Moffo e, solo in parte, per Kraus.
VIDEO
Giuseppe Verdi: Rigoletto Cornell MacNeil (Rigoletto), Ileana Cotrubas (Gilda), Placido Domingo (Duca di Mantova). The Metropolitan Opera Orchestra e Chorus, dir. James Levine. Deutsche Grammophon (DVD)
Eccellente produzione del MET nel novembre 1977. Cornell MacNeil è probabilmente uno dei migliori Rigoletto mai registrati, capace di dare al suo personaggio una tinta umanissima, ma senza trascurare il lato malvagio. La sua voce suona un po' stanca in alcuni punti, ma questo aggiunge al dramma un lato poco sfruttato: Rigoletto è un vecchio amaro, quindi un baritono fresco non trasmette abbastanza quella personalità. MacNeil ha incredibili note alte, che non perdono mai il suono baritonale, semplicemente impressionante! Domingo è un Duca strepitoso per mezzi vocali e travolgente carica vitale; non sente però molto la cattiveria del personaggio. Ileana Cotrubas interpreta una Gilda molto credibile, fragile e implorante, trasmette abbastanza «innocenza» senza essere timida. Di alto livello anche il resto del cast, nel quale spiccano il possente Monterone di John Cheek e l’avvenente Maddalena di Isola Jones. La direzione di James Levine si distingue per un impressionante, serratissimo ritmo drammatico.Infine la messa in scena e la regia sono brillanti.
Giuseppe Verdi: Rigoletto Ingyar Wixell (Rigoletto), Edita Gruberova (Gilda), Luciano Pavarotti (Duca di Mantova). Wiener Philharmoniker, dir. Riccardo Chailly. Universal Music (DVD)
Questa produzione cinematografica del 1982 è stata girata nel palazzo e nel fiume in cui si suppone che la storia si svolga. Questa è una versione molto suggestiva dell'opera, al di là di ciò che normalmente si può presentare in un teatro. Cast di altissimo livello. Un giovane Pavarotti nella parte del duca di Mantova, nel pieno delle sue possibilità e qualità vocali. Questa è la migliore performance di Pavarotti nel Rigoletto sul disco, sia visivamente che vocale. Semplicemente non c'è nessun altro che possa avvicinarsi a lui sul ruolo del Duca. Ingvar Wixell nella parte di Rigoletto, veramente strepitoso, Lo stesso si può dire per quanto
riguarda Ferruccio Furlanetto, nella parte di Sparafucile. Edita Gruberova, nella parte di Gilda, a mio modesto parere non è entusiasmante, il suo assolo Caro Nome manca di brillantezza, la sua recitazione è senza emozioni e non è convincente come adolescente innocente, non aiutata dal suo costume e trucco poco indovinato. Riccardo Chailly guida egregiamente i Wiener che suonano come al solito superbamente. Qualche critica alla regia di Ponelle, con alcune scelte discutibili, come il finale molto strano e insoddisfacente, con Rigoletto e Gilda galleggiare in lontananza su una barca. Riversamento in Blu-Ray ottimo, audio e video eccellenti.
Giuseppe Verdi: Rigoletto Leo Nucci (Rigoletto), Inva Mula (Gilda), Aquiles Machado (Duca di Mantova). Coro ed orchestヴa dellげAヴeミa di Veヴoミa, dir. Marcello Viotti. TDK (DVD)
Si tratta di una superba performance di Rigoletto realizzata all'Arena di Verona nel 2001. Leo Nucci è dei migliori Rigoletti di sempre, anche quando lo interpretò in tarda età. Il suo timbro è in grado di esaltare tanto gli aspetti comici quanto quelli tragici di un personaggio così complesso, forse il più complesso del repertorio baritonale. E’ semplicemente grande nel ruolo del tragico padre che ha perso tutto ciò che ha nella sua vita. Un appunto: nella scena finale sembra debole e sobrio quando invece avrebbe dovuto sopraffare tutto il pubblico con dolore, dolore e orrore. Aquiles Machado è un ottimo Duca; la sua voce spinto è perfetta per il ruolo, e la sua interpretazione ha abbastanza con brio per adattarsi alla parte. Nel ruolo ella sua scena d'apertura con Rigoletto canta in puro stile lirico, ma la voce diventa più spinta nel secondo e terzo atto, con più ricchezza. Inva Mula nel ruolo di Gilda è una figura incredibilmente piacevole, sia all'orecchio che agli occhi. Mario Luperi (Sparafucile) e soprattutto una seducente Sarah M'Punga (Maddalena) interpretano bene i loro personaggi. Marcello Viotti conduce nello stile di Toscanini e Levine: è un'interpretazione vivace, ma non affrettata. L'immagine e il suono di questo disco sono perfetti. L'Arena è impressionante e la scena è nuova. Preferisco la vecchia maniera, ma la rivisitazione moderna non è sgradevole.