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Gustav Mahler: Sinfonia n° 5
Le Sinfonie di Gustav Mahler
ASPETTI STORICI
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Sinfonia n. 5 in do diesis minore
Nel 1901 reduce da una grave e dolorosa emorragia interna che lo aveva portato in fin di vita, Mahler acquistò una villa a Maiernigg, sulle rive del Wörthersee, nella quale trascorse l'estate occupandosi come d'abitudine di composizione.
[House Gustav Mahler Maiernigg 1901-1907 (Villa Mahler, Maiernigg n° 31)]
In questo ambiente nacquero alcuni lavori che celebrano il trionfo dell'uomo sul dolore e sulla morte ed in particolare il primo movimento della Quinta che con il suo carattere funebre risente chiaramente dell'angoscia provata da Mahler per aver sfiorato la morte. I primi abbozzi della Sinfonia n° 5 di Mahler risalgono proprio al 1901. Un anno importante per Mahler, sia nella sfera privata (per l’incontro con Alma Schindler, figlia di un illustre pittore viennese, che sposò nel marzo dell'anno successivo) che in quella professionale (con i primi promettenti successi come direttore dell’Opera di Vienna). Nel 1902, quando tornò a Maiernigg con la giovane sposa, il suo animo era totalmente trasformato: scrisse lo Scherzo che diventò la parte centrale di tutto il lavoro, e nei primi mesi del 1903 completò la sinfonia.
[Gustav e Alma Mahler]
La Quinta sinfonia venne eseguita per la prima volta in un concerto a Colonia il 18 ottobre 1904 sotto la direzione d'orchestra dello stesso autore, che raccolse un successo di stima. Poco dopo venne presentata a Praga e a Berlino con esiti contrastanti e tali da indurre il musicista a rivedere la partitura. La Quinta si rivelerà la sua creazione più difficile, Mahler continuò a rivedere questa Sinfonia da lui stesso definita “molto, molto complessa”, soprattutto per la strumentazione, fino all’ultimo. L’8 febbraio 1911, pochi mesi prima della morte, scrisse all’amico Georg Göhler: «Ho finito la Quinta: in pratica ho dovuto reistrumentarla da capo. E’ incomprensibile come abbia potuto allora sbagliarmi del tutto così da principiante. Evidentemente la routine acquisita nelle prime quattro
Sinfonie qui mi aveva del tutto abbandonato: poiché uno stile completamente nuovo esigeva una tecnica nuova».
CRITICA
Per vastità di impianto e di costruzione, oltre che per la varietà e ricchezza di immaginazione e di idee musicali, la Sinfonia n° 5 di Mahler ̀ un’opera poderosa e massiccia che si inserisce nella grande tradizione sinfonica tedesca. Secondo gli storici della musica, le prime quattro sinfonie di Mahler sarebbero le più «austriache», cioè quelle maggiormente legate alle immagini di una civiltà contadina già sciolta dal sentimentalismo di maniera, ma nella quale ogni visione tragica è pur sempre mediata dalla fiaba, dall'immutabile succedersi delle stagioni e dal passaggio che separa giovinezza e vecchiaia. In tutte queste sinfonie sono continuamente presenti temi e canti ispirati alle poesie popolari che Mahler aveva messo in musica nelle serie intitolate Des Knaben Wunderhorn (“Il corno magico del fanciullo”) e Lieder eines fahrenden Gesellen (“Canti di un giovane errante”) un repertorio di immagini fiabesche e allegoriche. La Quinta, la Sesta e la Settima Sinfonia sarebbero invece le più «viennesi», intendendo con questo termine un mutamento di prospettiva che colloca la sensibilità della musica mahleriana in un “paesaggio urbano”, non più ricomponibile nelle "visioni" che emanavano dalle fiabe popolari e dal mondo che le aveva espresse. Queste sinfonie perdono il riferimento al nucleo generatore del canto popolare, ossia al Lied. Sono costrette a misurarsi con lo spazio e con i ritmi imposti loro dall'ambiente della città e ad esprimere in prosa, non più in poesia, il nuovo senso di alienazione. Di fronte a questo scenario, le ultime sinfonie mahleriane compirebbero un passo ulteriore e diverrebbero «cosmopolite», in quanto descrivono lo stato di lacerazione del soggetto moderno non più in relazione a un ambiente specifico, urbano o contadino, ma rispetto al mondo nel suo insieme, secondo una più acuta determinazione esistenziale. La Quinta Sinfonia segna dunque il momento di svolta nel quale Mahler decide di recidere i suoi legami con il mondo liederistico ed in particolare con la voce umana (quasi sempre presente nelle sue precedenti composizioni) per concentrarsi su una musica puramente orchestrale.
GUIDA ALL’ASCOLTO
La Quinta sinfonia è divisa in cinque movimenti, suddivisi in tre parti, riconoscibili in base alle affinità dei materiali tematici e delle atmosfere espressive. Parte I: - Trauermarsch. In gemessenem Schritt. Streng. Wie ein Kondukt (Marcia funebre, Con passo misurato, Severo, Come un corteo funebre) - Stürmisch bewegt. Mit größter Vehemenz (Tempestosamente mosso, Con la massima veemenza)
Parte II: - Scherzo. Kräftig, nicht zu schnell (Scherzo, Vigoroso, non troppo presto) Parte III: - Adagietto. Sehr langsam (Adagietto, Molto lento) - Rondo-Finale. Allegro. Allegro giocoso. Frisch (Rondo-Finale, Allegro, Allegro giocoso, Brioso).
I PARTE 1° Movimento Il tema scandito in modo persistente dalla fanfara della tromba descrive il tono cupo e drammatico della marcia funebre, snodantesi come una processione (la partitura indica «Wie ein Kondukt», dal latino conducere che sta ad indicare una musica di tipo processionale, che anticamente accompagnava l'entrata dell'officiante in chiesa). La frase della tromba (già anticipato nella Quarta Sinfonia, e che ricorda la Sinfonia Militare di Haydn o la Quinta di Beethoven) è un ricordo delle musiche militari ascoltate da Mahler bambino, nelle sfilate dei soldati davanti alla casa dei suoi genitori quando viveva nella cittadina di Jihlava, alla frontiera della Moravia,.
La stessa fanfara tornerà nuovamente come una specie di ritornello per legare i diversi episodi della marcia. Il primo episodio Plötzlich schneller. Leidenschaftlich. Wild (“All'improvviso più rapido. Appassionato. Selvaggio”) è caratterizzato da un attacco concitato e affannoso, dominato dalle strappate violente e vigorose degli archi e sostenuti dagli accordi sincopati dei corni. La ripresa della marcia funebre e l'introduzione di un tema consolatore ristabilisce la calma e conduce al secondo episodio. Benché la sua atmosfera di dolcezza e di rassegnazione sia così lontana da quello che lo precede, il tema principale di questo episodio non è che una variante del primo mescolato ad altri motivi già sentiti.
Un colpo secco e pianissimo dei timpani e un pizzicato sforzato degli archi chiudono il movimento. 2° Movimento Come dichiara Mahler stesso, questo Allegro in forma sonata è il primo vero movimento della sinfonia; è strettamente collegato al primo, del quale sembra riesporre e a volte richiamare esplicitamente i temi ma in sembianze grottescamente deformate. L'inizio dell'esposizione non presenta un vero tema ma soltanto un breve ostinato dei bassi seguito da un motivo agitato di scale ascendenti e discendenti. Il primo vero tema compare in seguito con i violini primi. Il secondo tema Beteutend langsamer (Nettamente più lento) non è altro che una semplice citazione del secondo episodio della Marcia funebre iniziale. L'esposizione è seguita da un ampio movimento nel quale l'angoscia e la febbre raggiungono dei parossismi di violenza che raramente si trovano in tutto il repertorio sinfonico. Nella ripresa gli elementi ascendenti ed ottimisti sembrano trionfare progressivamente fino al momento in cui gli ottoni intonano un inno di vittoria in forma di corale. Ma questa vittoria resta senza futuro perché termina nella notte nell'angoscia e nel mistero.
II PARTE 3° Movimento Lo Scherzo seguente inizia dopo una lunga pausa, una cesura espressamente indicata da Mahler dopo la fine del secondo movimento, e costituisce di fatto il secondo blocco della sinfonia. E' anche una delle pagine più tormentate dell'intera composizione, tanto che richiese un ampio rimaneggiamento durante il lavoro di revisione che portò Mahler realizzare una versione definitiva della Quinta solo nel 1911. Le preoccupazioni di Mahler riguardavano in questo caso da un lato la distribuzione dei pesi orchestrali, dall'altro la fisionomia di una pagina che inizia con il tono spensierato del Ländler, la danza contadina progenitrice del valzer, ma poi corrode continuamente i suoi elementi costituenti, li trascina in una specie di danza infernale. «Lo Scherzo - scrisse Mahler alla moglie Alma - è un tempo maledetto! La sua storia sarà un seguito di dolori! Per cinquant'anni i direttori lo prenderanno in modo troppo veloce e ne faranno una cosa senza senso, mentre il pubblico, oh Dio, che faccia può fare davanti a questo caos che continua eternamente a partorire mondi che durano un solo istante e subito tornano a dissolversi?» Lo Scherzo di rilevante estensione (dura mediamente quasi 18 minuti) ha la fisionomia ritmica di un caratteristico Ländler austriaco, annunciato da un tema gioioso dei corni, cui segue un agile e fresco contrappunto tra la cornetta e i primi violini. Il Trio centrale è contrassegnato da un malinconico e nostalgico assolo di corno, sul quale si innesta un motivo di valzer elegante e spigliato, di origine popolare malgrado il controcanto di cui Mahler lo ha ornato. Nella ripresa dello Scherzo appare una melodia nostalgica di un secondo Trio affidata soprattutto ai corni. Un recitativo del corno avvia un lungo sviluppo dalle caratteristiche molto complesse, nel quale ricompaiono variamente intrecciati elementi di tutti i temi fin qui esposti. Il ritmo della grancassa dà poi inizio alla Coda conclusiva.
III PARTE 4° movimento L’Adagietto ̀ una semplice romanza senza parole affidata ai soli archi dell'orchestra su un accompagnamento discreto degli arpeggi dell'arpa. E' il momento del raccoglimento e dell'oblio dalle cose del mondo. E' una celeberrima pagina in forma di Lied il cui seme melodico troverà ampia risonanza nei Kindertotenlieder; lo struggente psicologismo romantico in essa racchiuso si esprime attraverso un interessante passaggio di modulazioni dal fa maggiore al sol bemolle maggiore, con accordi e impasti armonici di
sapore vagamente tristaneggiante.
5° movimento Il senso introspettivo dell'Adagietto è in netto contrasto con il carattere estroverso e brillante del Rondò successivo. L'introduzione, affidata ai legni che espongono ognuno un proprio tema, prende l'andamento insolito di un "divertimento" improvvisato. I differenti motivi che come tirati a sorte danno al movimento tutto il suo succo melodico, sono una serie di fugati ispirati a Mahler dai compositori classici viennesi. Il primo soggetto di questo movimento deriva direttamente dal finale della Seconda Sinfonia di Beethoven. Il successivo fugato è apparentato al tema secondario dello Scherzo. Il tema del Wünderhorn Lied del 1986 Lob des hohen Verstandes (Elogio dell'intelligenza superiore) nutre poi un episodio "grazioso" che dura solo qualche battuta e sfocia in una ripresa del primo soggetto, sempre preceduto dal suo divertimento. L'intermezzo successivo, che al contrario è lungamente sviluppato, combina diversi motivi che abbiamo già sentito con un nuovo delizioso giro degli archi che è una semplice metamorfosi dell'Adagietto qui ripreso quasi completamente. Dopo un accelerando improvviso gli ottoni ripropongono un corale che assomiglia molto a quello del secondo movimento. La sinfonia termina con un taglio contrappuntistico e corale di possente respiro e alla maniera di Bruckner. Secondo alcuni musicologi in questo finale si riconoscono varie presenze: da certi passaggi della Sinfonia «Oxford» di Haydn alla «Jupiter» di Mozart, dall'ultimo tempo della Seconda sinfonia di Beethoven ad alcune trovate provenienti dai Maestri Cantori di Wagner.
DISCOGRAFIA
Mahler: Sinfonia no. 5. Lieder Und Gesange Aus Der Jugendzeit. Philarmonic Symphony Orchestra di New York, dir. Bruno Walter. Naxos Historical
Il CD edito dalla Naxos su matrici originali Columbia contiene la prima registrazione in assoluto della Quinta sinfonia di Gustav Mahler, diretta nel 1947 da Bruno Walter alla guida della Philharmonic Symphony Orchestra of New York; fino ad allora era stato inciso solamente l'Adagietto, eseguito nel 1938 con i Wiener Philarmoniker. Non si deve mai dimenticare che Bruno Walter fu per molti anni assistente e amico di Mahler, fu presente a molte esecuzioni dirette da Mahler stesso o da direttori da lui scelti. Fin dalle prime battute emerge subito la cifra interpretativa di Bruno Walter, in assoluto il migliore esecutore di Mahler fra i direttori "storici" della prima metà del Novecento e uno dei più grandi in assoluto: tutto è risolto nell'espressione e nel suono, non c'è spazio per eccessivi languori né ripensamenti, al contrario tutto scorre linearmente, senza frammentazioni, con grande lirismo e sentimento privi di quelle introspezioni psicologiche alle quali ci hanno abituato interpretazioni più recenti. Così la prima parte: molto chiaro l'attacco dei fiati nella marcia di apertura, tempo veloce, grande energia, ritmo sostenuto, poi mutamento di clima, ora toni lugubri che progressivamente portano ad una sorta di timor panico, suono terrificante, lo "sturmisch" viene reso correttamente con tempestoso e "mit grosster vehemenz" con la più grande potenza, in ogni caso le soluzioni sono sempre ben definite - siano esse forza, energia, violenza, terrore - senza sfumature intermedie e in uno sviluppo continuo di lirismo e melodia. Seconda parte, lo Scherzo: anche questo eseguito secondo le indicazioni dell'Autore, forte e non troppo veloce, reso semmai con una certa esuberanza grazie al virtuosismo delle singole sezioni, in particolare delle prime parti dei clarinetti e dei tromboni, oltre allo stupendo pizzicato eseguito dal primo violino. Terza parte: l'attacco del famoso Adagietto è reso da Walter con grandissima partecipazione, violini, viole e violoncelli gareggiano, su piani diversi, in bravura e intensità, fino allo spasimo, alla lacerazione del suono, sempre più angosciante, fino all'entrata dell'arpa che riporta un momento di serenità. Infine il Rondò conclusivo: il virtuosismo dei legni introduce il nuovo tema ripreso quindi dagli archi e dall'intera orchestra, si torna al tema precedente contenuto nell'Adagietto che si sviluppa nella coda finale, con un'orchestra quasi ossessiva e martellante. Il CD contiene anche la registrazione di otto lieder prevalentemente tratti dalla raccolta Des Knaben Wunderhorn, registrati sempre nel 1947, affidati a Desi Halban accompagnata al piano dallo stesso [68]
Bruno Walter: la voce del soprano non è particolarmente aggraziata, ma l'espressività e la fantasia dell'interprete sono notevoli, al pari della brillantezza sfoggiata da Walter al piano. Un cd che deve essere incluso nella discoteca di qualsiasi Mahleriano doc!
Mahler: Symphonie n° 5 Wiener Philarmoniker, dir. Leonard Bernstein. Deutsche Grammophon
Sono passati quasi 35 anni da quando Leonard Bernstein, il 7 settembre 1987, registrò dal vivo con i Wiener Philharmoniker, dall'Alte Oper di Francoforte sul Meno, la Quinta di Mahler, una delle migliori registrazioni della Sinfonia mahleriana. Era una grande interpretazione allora, e lo è ancora oggi: una combinazione senza tempo di direzione ispirata e magnifica esecuzione orchestrale da parte di una delle migliori orchestre del mondo in splendida forma. Ci sono dei momenti davvero indimenticabili: chi oltre a Lenny avrebbe potuto evocare l'ascesa orgasmica al glorioso climax ricoperto di ottone del secondo movimento? L'Adagietto è lento, ma sostenuto dal senso flessibile del fraseggio di Bernstein e dalle incantevoli sonorità degli archi. Ricordo che esiste anche una bellissima registrazione di Bernstein del 1960, ma ritengo che questa le sia superiore su tutti gli aspetti.
Gustav Mahler: 5° Symphonie Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan. Deutsche Grammophon
Nel 1973, per la prima volta nella sua vita, Karajan incide con la DG, la Quinta di Mahler. Karajan si accostò assai tardi a questo compositore, soltanto a metà degli anni ‘70 (quindi aveva compiuto già 65 anni). Cos̀ il grande direttore austriaco giustificava questo ritardo: «Io ho fatto un lungo giro intorno a Mahler. Certamente perché non possedevo ancora la gamma completa dei suoi colori, e perché avevo ancora bisogno di trovare quello specifico suono-Mahler. Con Mahler il passo tra la profondità e il ridicolo è molto piccolo. Non credo che dirigerò tutte le sinfonie di Mahler, perché non ho più tempo. Me ne mancano adesso ancora cinque, e la mia vita
non basta, lo so». E fu così: di Mahler, Karajan ha registrato solo le Sinfonie nn. 4, 5, 6 e 9, oltre a “Das Lied von der Erde”. Interessante quello che racconta Hans Weber, il produttore discografico della Quinta di Mahler incisa nel 1973 da Karajan per la DG: «Questa registrazione fu la prima incisione di un’opera di Mahler mai effettuata da Karajan in quanto prima di allora - siamo agli inizi degli anni ’70 - aveva rifiutato ogni proposta riguardante l’esecuzione in concerto o la registrazione di sinfonie mahleriane, nonostante ne avesse un’intima conoscenza, e cì a causa del lungo lavoro di preparazione che avrebbe richiesto. La prima esecuzione con i Filarmonici di Berlino avvenne nel 1973 e fu preceduta da due anni di prove, da una registrazione sperimentale e molto più tardi, dalla presente incisione. Il lavoro sulla Quinta si estese nell’arco di sette sedute che si protraevano oltre le tre ore. Con Karajan a volte dovemmo comportarci con grande circospezione e diplomazia perché il Maestro era piuttosto riluttante a registrare nuovamente passaggi che il produttore giudicava insoddisfacenti. D’altro canto, in quell’occasione eravamo tutti alquanto irritati dalle interruzioni causate dall’atterraggio e dal decollo degli aerei nel vicino aeroporto di Tempethof, e inoltre la cabina di regia era purtroppo invisibile dalla navata della chiesa ove lavoravano i musicisti, così che potevamo contattarli solo per telefono. Per solito Karajan non insisteva ad approvare personalmente il master di una registrazione: in questo caso però, lo ricordo tutto intento ad ascoltare il nastro in uno studio vicino a Colonia, subito dopo aver diretto la prima incisione mondiale di “De temporum fine comoedia” di Carl Orff. Ci aveva raggiunti anche Orff che era venuto per ascoltare i nastri della sua opera: quando entrò nello studio, fu accolto dalle note della Quinta di Mahler e dalle grandi esclamazioni di delizia di Karajan nell’udire di quanto alta fosse la qualità della sua incisione. Orff non ne sembrò affatto divertito.» Amo moltissimo questa meravigliosa incisione di Karajan, una lettura molto fine della sinfonia, sontuosamente registrata e rimasterizzata dagli ingegneri del suono. Un suono tra i migliori ascoltati in registrazioni Deutsche Grammophon. L’ascolto del disco (ADD, 1973, rimasterizzazione del 1996) evidenzia il virtuosismo dei Berliner Philharmoniker (con nessuna altra orchestra Karajan si sarebbe impegnato a dirigere Mahler, grande direttore a sua volta) e la grande bravura degli archi e degli ottoni. Una esecuzione affascinante per interpretazione, dettaglio, timbrica, dinamica e scena sonora dove Karajan, nell’Adagietto riesce ad essere “diversamente romantico” rispetto alla struggente bellezza dell’interpretazione di Bernstein. Insomma, l’oblio dell’Adagietto (che in Bernstein ̀ dilatato) qui ̀ più contenuto ma in entrambi i casi la musica avvolge e coinvolge per bellezza. Il Mahler di Karajan ha una impalcatura sonora ed interpretativa di eccezionale bellezza, che può essere tranquillamente situata accanto alle grandi interpretazioni di Abbado, Bernstein, Barbirolli e Solti.
Mahler: Symphony n° 5 New Philharmonia Orchestra, dir. Sir John Barbirolli. Emi Classics
Questa è senza alcun dubbio una delle edizioni di riferimento della Quinta di Mahler, tra le migliori. Sir Barbirolli è un po' bistrattato dagli appassionati italiani, ma a mio avviso qui ha pochissimi rivali; anche la New Philharmonia Orchestra suona in modo splendido. Barbirolli interpreta il primo e il secondo movimento molto più lentamente del solito, ma senza ritardare il ritmo o lasciare che le frasi scomparissero. Ascoltate ad esempio la marcia funebre del primo movimento, che Barbirolli fa suonare anche più silenziosa di altri e che diventa così ancora più sensibile. Nell'enorme Scherzo, Barbirolli valorizza ogni sfumatura di colore e suono di questo movimento, e l'intensità degli assoli dei corni è particolarmente impressionante. Nell’Adagietto l’orchestra suona dolcemente, silenziosamente, ma non è mai troppo patetica. Il finale gode di splendore, trionfo e gioia sotto le mani di Barbirolli. Nonostante abbia più di cinquant’anni, la registrazione, rimasterizzata in digitale nel 1998, è chiara e luminosa come quella delle registrazioni moderne, con le infinite sfumature delle sinfonie mahleriane che sembrano davvero non bastare mai. Da avere assolutamente!
Gustav Mahler: Symphonie n° 5 Chicago Symphony Orchestra, dir. Claudio Abbado. Deutsche Grammophon
Esiste anche un interpretazione di Abbado della Quinta di Mahler con i Berliner Philharmoniker, un po’ troppo purificata e lucente sino a diventare quasi blanda e insapore, senza quel senso di “nervosismo” che la musica di Mahler possiede. Questa performance con la Chicago Symphony Orchestra è nettamente superiore (quindi più consigliabile) per intensità e timbro. Abbado arriverà al culmine della sua lettura della Quinta con l’Orchestra del Festival di Lucerna, una performance meravigliosa! Molto soddisfacente la qualità del suono.
Mahler: Symphony n° 5 Chicago Symphony Orchestra, dir. Sir Georg Solti. Decca
Questa registrazione dal vivo del 30 novembre 1990 è stata effettuata al Musikverein di Vienna, vent'anni dopo che Sir Georg Solti aveva già inciso questa Quinta Sinfonia al Tempio di Medinah nel marzo 1970 con la stessa orchestra di Chicago. La leggendaria disciplina dei musicisti americani si riflette qui in una lettura virtuosa, espansiva e sensibile.
Il movimento Trauermusik di apertura è misurato e pesante, la sua sezione centrale minacciosa e pericolosa, uno stato d'animo che pervade anche il secondo movimento. Lo Scherzo è audace ed energico, all'inizio sembra un po' pesante, ma l'ascoltatore riconosce poi che Solti sta seguendo i segni di Mahler: «kräftig, nicht zu schnell», costruendo lentamente; i passaggi del valzer si sollevano, si librano leggeri. L'Adagietto è ben suonato e non troppo lento, solo un po' rallentato, ha un'atmosfera davvero paradisiaca (il sottile vibrato delle corde...) che sonda le profondità di malinconia; l'unica tosse che ho sentito in tutta la performance live invade solo una volta all'inizio; altrimenti il pubblico è silenzioso fino all'esplosione di applausi che segue le grandiloquenti ultime battute del robusto Finale. Questa registrazione ha un'enorme gamma dinamica e una grande enfasi sugli strumenti in ottone, a volte sin troppo travolgenti. Nella registrazione degli anni '70 i tempi erano impetuosamente oscillanti, ma se si preferisce un approccio più espansivo ed epico, questa performance è qualcosa di molto speciale e sicuramente meglio registrata. Gli ingegneri del suono hanno catturato con grande successo l'atmosfera spaziosa della sala concerti Musikverein; dell’orchestra emerge chiaramente ogni particolare e anche la gamma dinamica è molto bella da ascoltare. Foto di copertina un pochino ridicola ma ormai "entrata nella storia"...!
Gustav Mahler: Symphony n° 5 Symphonie Orchester des Bayerischen Rundfunks , dir. Rafael Kubelik. Audite
Il catalogo della "piccola" etichetta Audite presenta la Quinta sinfonia di Mahler registrata da Rafael Kubelik il 12 giugno 1981 alla testa dell'Orchestra (la sua) sinfonica della Radio bavarese. Questa performance registrata dal vivo nella Herkulessaal nel 1981 è davvero molto bella: la registrazione è davvero molto buona e conferma il grande valore (per alcuni addirittura superiore) di questo ciclo live rispetto alle incisioni in studio firmate dallo stesso direttore con la stessa affiatata
orchestra per la Deutsche Grammophon (tuttora disponibile in cofanetto). Fiati in primo piano, archi meno lussureggianti del solito ma sempre ottimi. Kubelik e il BRSO non mancano mai di impressionare quando si tratta di Mahler, e che magnifica musica questa è quando viene suonata - come è qui - con tanta passione ardente e totale impegno! La lettura di Kubelik (direttore dall'anima centro-europea, comune anche alla formazione mahleriana) è come sempre un prodigio di chiarezza e dinamicità: la grande mobilità ritmica è una meraviglia che pochi maestri sanno davvero gestire. Kubelik adotta tempi più misurati che nella sua pur eccellente registrazione in studio per la Deutsche Grammophon, ma questa registrazione dal vivo è positivamente pulsante di vita, energia e angoscia mahleriana. La musica è a volte emozionante e si percepisce un brivido di eccitazione e sensazione di novità che si sperimenta solo con le migliori registrazioni dal vivo. Da sottolineare l’interpretazione dello Scherzo interamente pervaso dal ritmo del Ländler.
Mahler: Symphony n° 5. Kindertotenlieder. NDR Symphonie Orchestrer, dir. Klaus Tennstedt. Vidol
La carriera discografica di Klaus Tennstedt, tra i grandi interpreti mahleriani, durò appena 20 anni, ma abbiamo fortunatamente, come questo CD, a disposizione etichette specializzate nelle registrazioni dal vivo prese da vari archivi. Tennstedt esplode sin dal movimento di apertura, ha fiamma di rabbia e la «veemenza estrema» richiesta da Mahler nel secondo, presenta il rubato più scontroso nel terzo movimento, va oltre la cima nel famoso Adagio e attraversa il finale con vigore, energia e nessun piccolo segno di gioia. La sinfonia è stata registrata dalla NDR (all'apice della sua bravura) e rimasterizzato con un eccellente suono DDD in una bella acustica. Cè un ulteriore gioiello: la performance di Kindertotenlieder registrata nel novembre 1980 nella Kieler Schloss in cui la solista è Brigitte Fassbaender.
Mahler: Symphony n° 5 Concertgebouw Orchestra, dir. Bernard Haitink. Philips
Haitink ci ha lasciato un ciclo incompleto su Mahler con i Berliner negli anni Ottanta, in cui mancano solo le Sinfonie nn. 8 e 9. Le recensioni del tempo erano molto buone ma meno critiche di quelle moderne, che hanno riscontrato molte più pecche. Limitandoci alla quinta, riscontriamo una buona interpretazione generale (l’orchestra era il Concertgebouw!) con un buon suono. Il lato negativo di questa interpretazione è che manca una corrispondenza con i cambiamenti di temperamento ed eccitazione nervosa che la musica di Mahler impone. Infine questa Quinta è stato considerata troppo lenta. Il suono Philips è molto raffinato.
Mahler: Symphony n° 5 Wiener Philharmoniker, dir. Pierre Boulez. Deutsche Grammophon
La Quinta di Mahler può dare luogo ad interpretazioni ed esecuzioni assai diverse, quale è questa di Boulez. Boulez arriva a quella chiarezza cristallina che era l'intento di Mahler il quale sosteneva che tutte le note scritte devono poter essere ascoltate: se ciò non accade allora vuol dire che il tempo è sbagliato. Nell'Adagietto Boulez riesce 'ad essere romantico' senza essere romantico. Su tutto, la bravura degli orchestrali viennesi con una qualità del suono che Mahler stesso avrebbe amato. Un disco da ascoltare senza preconcetti e con la mente aperta.
Mahler: Symphony n° 5 London Symphony Orchestra, dir. Valery Gergiev. Decca
Gergiev e l'LSO hanno creato un ciclo Mahler degno di nota e memorabile. Questa versione della Quinta Sinfonia è tra le migliori: Gergiev ne ha colto le sonorità oscure e ardenti e la sua interpretazione si confronta favorevolmente con le altre grandi incisioni di questa Sinfonia. Quello che si sente in questo CD è un Mahler intenso, vario e totalmente impegnato. L'LSO suona con
virtuosismo e comunicazione sorprendenti, e il suo suono pesante e profondo potrebbe effettivamente rendere questa versione tra le più interessanti da acquistare. Per quanto riguarda i contorni dell'interpretazione, ciò che fa risaltare Gergiev non è niente di insolito nei suoi tempi o nei suoi equilibri. Cattura la qualità funerea del primo movimento ed evidenzia l'influenza dell'eredità ebraica di Mahler nella scrittura a fiato; all'Adagietto viene data una lettura silenziosa e riflessiva, né veloce né lenta. Questa è una Quinta avvincente e molto personale che si colloca tra le migliori; se non si è mai sentito il Mahler di Gergiev, non c'è incisione migliore per iniziare. La registrazione si espande in ampiezza sullo strato SACD multicanale, dove ha un impatto formidabile.
Mahler: Symphony n° 5 Berliner Philharmoniker, dir. Simon Rattle. Warner Classics
Quando Sir Simon Rattle assunse la guida della Filarmonica di Berlino, aveva una lunga storia come esecutore di Mahler. È stata quindi una decisione naturale celebrare l'inizio del suo mandato registrando la 5a, l'unica sinfonia di Mahler che non aveva registrato in precedenza. In questa registrazione la direzione di Rattle fa rabbrividire di desolata disperazione. Prende la marcia dei funerali di apertura con un'aria decisamente triste, non del tutto tragica; non punta sull'abbandono totale, l'atmosfera è inquietante, oscura e ambigua, con accordi che sono espressi per avere un effetto penetrante. L'atmosfera è più o meno la stessa nel 2 ° movimento, dove la musica è cupa e disperata. Il momento clou del 3° movimento è l'incomparabile assolo di corno di Stefan Dohr. L'Adagietto sembra suonare da solo, con il suono incomparabile dei Berliner. Nel finale, Rattle dimostra una veemenza forse sin troppo controllata, ma profonda come non mai. Una Sinfonia molto avvincente. La qualità della registrazione è molto buona.
VIDEO
Mahler: Symphony n° 5 Lucerne Festival Orchestra, dir. Claudio Abbado. Euroarts (DVD)
Questo è un DVD semplicemente meraviglioso, con un grande Claudio Abbado, per il quale è sempre difficile esprimere lodi adeguate al merito della sua immensa arte. I primi due movimenti di questa sinfonia sono estremamente drammatici e appassionati. Se vengono interpretati, come qui, proprio come Mahler li aveva scritti, dimostrano in pieno la drammaticità che posseggono. L’Adagietto ̀ più veloce (quasi quattro minuti più corto) rispetto alla versione con i Chicago, negli Scherzo e Finale risaltano le variazioni dei tempi volute da Abbado per chiarire nei minimi particolari la struttura. In tutti i movimenti l'orchestra segue splendidamente il suo direttore. In questa registrazione il video mostra in modo ravvicinato i solisti o le sezioni dell'orchestra che suonano le parti dominanti: così anche la macchina da presa funziona seguendo la composizione, sapendo con precisione chi e che cosa interpreta in quel determinato momento. Ed è tecnicamente la migliore registrazione audio della Quinta di Mahler che abbia mai sentito! Una delle grandi edizioni di riferimento della Quinta mahleriana, a giudizio unanime di tutti i critici. Da avere e ascoltare con entusiasmo!
L'incendio del Teatro La Fenice di Venezia
La notte del 29 gennaio 1996 un disastroso incendio doloso distrusse a Venezia il Teatro La Fenice, uno dei simboli della città, uno dei teatri più belli, dalla straordinaria acustica e protagonista da sempre della vita operistica, musicale e culturale italiana ed europea. Una notte terribile il cui ricordo è ancora vivo nella memoria dei veneziani. Sono le 20.59 quando una pattuglia della Volante della Polizia, passando per caso dalle parti del Teatro, che è in restauro, vede del fumo uscirne e sente i crepitii del fuoco: gli uomini allertano immediatamente i soccorsi. Nel frattempo arrivano altre telefonate alla Sala Operativa dei Vigili del Fuoco di Venezia che informano sulla presenza di un fumo denso e acre provenire da Corte San Gaetano, un piccolo campiello che si affaccia sul Teatro La Fenice. Dopo pochissimi minuti le squadre dei Vigili del Fuoco giungono sul posto: l’incendio si sta propagando velocemente e in pochi minuti ha già devastato tutto il primo piano. Le fiamme fuoriescono dai balconi e lambiscono gli edifici vicini, le calli in quella zona sono molto strette, si cerca di circoscrivere l’incendio impedendo che questo si propaghi anche agli edifici adiacenti. Arrivano anche le squadre dei Vigili del fuoco di Mestre, Treviso e Padova, ed accorrono anche pompieri fuori servizio, che hanno saputo del drammatico evento in corso. Le squadre, non potendo entrare nel Teatro dal Foyer devastato dalle fiamme, tentano di fermare l’incendio dalle Sale Apollinee che si affacciano in Campo San Fantin: le finestre sono per̀ chiuse da grossi balconi alti un paio di metri e, nel tempo impiegato per aprirli, le fiamme continuano a propagarsi. Una volta aperti i balconi i pompieri vedono che le sale sono completamente invase dal fuoco: è impossibile fermarle. Anche una buona parte dei palchi è semidistrutta. In breve tempo le fiamme raggiungono il soffitto delle sale e velocemente aggrediscono il tetto. Il cielo di Venezia si colora di un rosso spettrale. I tizzoni infuocati iniziano a volare sopra i tetti di Venezia anche a causa del forte vento: un nuovo problema, vi è paura che questi tizzoni possano in qualche modo innescare l’incendio sui tetti della città. A questo punto, il Comandante dei Vigili dà l’ordine che nessuno entri più nel teatro e che le squadre si posizionino tutte attorno all’edificio sia nelle strette calli sia sui tetti delle case adiacenti al teatro, in modo da controllare che l’incendio non si propaghi. La cosa non ̀ facile, Venezia ha una struttura architettonica molto particolare, l’intera città corre un rischio molto serio di devastazione di dimensioni inimmaginabili. Un ulteriore problema ̀ quello dell’acqua. In quel periodo il Comune di Venezia aveva deciso, con la chiusura provvisoria del teatro, di provvedere all’escavo dei rii attorno all’insula della Fenice. L’insula si trova nel cuore del centro storico e i quattro canali che la circondano sono chiusi. A causa di questo le autopompe lagunari non possono posizionarsi nella parte posteriore del Teatro.
[Le iママagiミi ミottuヴミe dellげiミIeミdio]
Per risolvere questo problema, viene deciso di far intervenire la motopompa della Marittima, che viene fatto attraccare nell’approdo più vicino, Santa Maria Del Giglio, che dista centinaia di metri dal luogo dell’intervento. Per realizzare la rete di tubazioni ci sono voluti molti minuti. Alle 22.13 crolla il tetto della scenografia e dopo 45 minuti crolla anche il tetto della platea. Alle 23.05 i soccorritori utilizzano un elicottero al quale è stata agganciato un serbatoio di mille litri, un’apparecchiatura che di solito è usata per lo spegnimento degli incendi boschivi. Il suo utilizzo è un’incognita e un rischio: volare di notte sopra i tetti di una città già ̀ difficile di giorno e di notte ̀ ancora peggio, mancano punti di riferimento e i tetti delle case di Venezia non sono tutti alla stessa altezza, ci sono le antenne, i camini. Per 122 volte l’elicottero fa la spola dall’adiacente Bacino di San Marco al Teatro, sul quale ogni tre minuti sgancia mille litri d’acqua. Il suo contributo sarà determinate anche per bagnare i tetti degli edifici adiacenti evitando la propagazione delle fiamme. Ci vorranno circa dieci ore per avere ragione dell’incendio. Alle prime luci dell’alba il teatro si presenta con un’enorme scatola vuota, la polvere, i calcinacci, le travi bruciate e l’acqua grigia che esce dal teatro. Il fumo acre e denso nasconde ncora dei focolai che bisogna estinguere, per giorni i vigili del fuoco veglieranno sulle rovine del teatro. Sullo sfondo la città di Venezia, rimasta stordita dalla tragedia.
I responsabili dell'incendio furono in seguito individuati e condannati ad una pena detentiva. Un imprenditore, E.C., e il suo cugino e dipendente elettricista M. M., con la loro ditta stavano lavorando alla manutenzione del teatro e, per non incorrere in una penale dovuta ai ritardi accumulati dalla propria impresa, avevano deciso di causare un piccolo incendio per provocare un ritardo imputabile a causa di forza maggiore. Il Comune decide di ricostruire lo storico teatro ispirandosi al motto «com'era, dov'era», ripreso dalla ricostruzione del Campanile di San Marco. Viene istituita la figura del Commissario Delegato per la ricostruzione che viene affidata, mediante bando di gara, alla A.T.I. Holzmann col progetto del noto architetto Aldo Rossi. I lavori furono molto lenti, e nel 2001 il Commissario per la ricostruzione decise di rescindere il contratto con la A.T.I. Holzmann, che aveva continuato a prorogare la data di conclusione dei lavori. Nel 2001 fu indetto un nuovo bando, vinto da un consorzio di quattro imprese, che finirono i lavori nel maggio del 2004: la Fenice venne alla fine ricostruita, com’era e dov’era!, e venne decisa la inaugurazione che avvenne il 14 dicembre 2003, alla presenza, nel palco reale, del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ed in diretta televisiva. La direzione del primo concerto inaugurale fu affidata a Riccardo Muti con l’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice. Il concerto si avviò con una pagina dal significato beneaugurante: La consacrazione della casa di Ludwig van Beethoven, cui seguì un programma improntato alla grande tradizione della civiltà musicale veneziana: la Sinfonia di Salmi di Igor Stravinskij, compositore che riposa nel cimitero dell’Isola di San Michele, seguita dal Te Deum di Antonio Caldara, compositore veneziano e
protagonista della vita artistica della città lagunare tra il 600 e il 700; infine Tre Marce Sinfoniche di Richard Wagner, legatissimo a Venezia per avervi soggiornato varie volte e per avervi composto il secondo atto di Tristan und Isolde e parte di Parsifal oltre che diretto una sua sinfonia giovanile nel 1882 alle Sale Apollinee della Fenice. I solisti vocali furono Patrizia Ciofi, Sara Allegretta, Sonia Ganassi, Sara Mingardo, Mirko Guadagnini, Roberto Saccà, Michele Pertusi, Nicolas Rivenq.
[14 dicembre 2003: Panoramica del Teatro e il saluto del Maestro Riccardo Muti.]
La Ricostruzione del Teatro. Il “nuovo” Teatro La Fenice si presenta adesso così: La facciata principale del Teatro prospetta sul Campo San Fantin: da qui avviene l'ingresso principale degli spettatori. Al piano terreno vi sono l'atrio ed il foyeur, dal quale, mediante lo scalone d'onore, si giunge alle Sale Apollinee.
[Esterno del Teatro, in Campo San Fantin; ingresso e Foyeur] [82]
Il restauro delle Sale Apollinee, gravemente danneggiate nell’incendio, è consistito in un intervento conservativo delle parti residue ed una ricostruzione filologica di quelle rimanenti. Nel restauro dei decori si è tenuto conto della loro stratificazione e modificazione in modo da permettere una lettura anche visiva della storia dell’edificio mantenendo anche quelle sopravvissute all’incendio. Nel sottotetto, liberato dalla sua antica destinazione di laboratorio scenografico, è stata ricavata una nuova sala espositiva aperta al pubblico, che si presta alla realizzazione di manifestazioni culturali. La Sala Grande è la principale delle cinque Sale Apollinee: è illuminata da tre finestre che si trovano al centro della facciata d'ingresso.
La sala teatrale completamente distrutta dall'incendio è caratterizzata da una ricostruzione filologica basata, sul rigoroso «com'era, dov'era», con il mantenimento di tutti i cinque ordini di palchi, corredati del medesimo apparato decorativo in cartapesta e legno. Il concetto informatore è stato quello di riproporre la sala originaria soprattutto nella sua specifica soluzione tecnica, basata sul prevalente uso del legno accuratamente scelto e sapientemente trattato per ottenere la migliore resa acustica. Il progetto ha dato luogo anche al ripristino dell'originario accesso alla sala teatrale dalla cosiddetta “entrata d'acqua” dal rio prospiciente il teatro. Tale accesso, originariamente voluto dal Selva, nel corso del tempo non era più stato utilizzato dagli spettatori. Nel piano sottoplatea sono state ricavate alcune sale prova per gli strumentisti che consentono ai professori d'orchestra di accedere al golfo mistico senza interferire con la sala. La modifica del sistema delle vie di fuga, oltre che l'adeguamento degli impianti, ha inoltre consentito di portare il numero degli spettatori ammissibili dagli 840, precedenti all'incendio, a 1000 posti.
La Torre Scenica è stata anch'essa devastata dall'incendio del 1996 ed il suo volume architettonico è vincolato alla configurazione precedente. La nuova macchina scenica, completamente rinnovata nell'ottica del miglioramento delle caratteristiche tecnologiche del teatro, collabora con le strutture murarie ed è stata progettata contestualmente all'Ala Nord per permettere il massimo utilizzo del palcoscenico e dei vani attigui idonei al ricovero delle scene. In tale ottica è stato realizzato un nuovo palcoscenico laterale che potrà traslare sul principale, ottenuto grazie alla demolizione dei preesistenti archi ad ogiva che delimitavano lo spazio scenico.
L’Ala Nord (camerini e servizi) ̀ il nucleo edilizio addossato al teatro vero e proprio, anch'esso danneggiato nell'incendio. In mancanza di strutture storiche di rilievo sono stati completamente ridisegnati i servizi teatrali tenendo conto delle esigenze funzionali del teatro stesso (spogliatoi, camerini, sale prova) razionalizzando ed adeguando alle norme vigenti scale di sicurezza ed i sistemi di risalita in generale.
[Sale Apollinee: Sala grande]
[Sala teatrale]
[Palco Reale]
L’Ala Sud anch'essa danneggiata nell'incendio, contiene, oltre agli uffici gestionali del Teatro, riposizionati ed organizzati, il segno architettonico più forte nella ricostruzione, la Sala Nuova, ora chiamata Sala Rossi. Tale sala è composta di una zona in piano per l'orchestra, e di un ballatoio a gradoni per i coristi o per il pubblico durante l'esecuzione di concerti da camera o conferenze. E’ caratterizzata dalla quinta scenografica interna che riproduce un frammento della Basilica Palladiana di Vicenza. La Sala Nuova può essere usata autonomamente con accesso dalla calle prospiciente il Rio de la Fenice: possono avervi luogo anche concerti da camera e conferenze, ampliando così le funzionalità della Fenice, e diventando quindi un altro importante polo delle attività del corpo teatrale al servizio della città.
(Le foto del Concerto inaugurale e degli interni del Teatro La Fenice sono di Michele Crosera)
La musica organistica dell’800 francese
di Paolo Duprè
Proseguiamo il nostro percorso sulla musica organistica toccando uno degli argomenti più cari ad ogni esecutore: la musica francese dell’800. Un capitolo importante e vastissimo che comprende circa un terzo di quanto sia stato scritto per l’organo (un altro terzo appartiene a Bach e l’ultimo a tutti gli altri autori). Questo ha prodotto la Francia a cavallo fra ‘800 e ‘900: tanti i compositori e di altissimo spessore, capaci di improvvisare sinfonie, di eseguire a memoria tutta l’opera di Bach, di portare il bagaglio romantico a spalancarsi nel moderno e nelle avanguardie, disponendo peraltro di strumenti sinfonici grandiosi, spesso ricostruiti conservando materiale fonico antecedente di pregio ed utilizzando validi servomeccanismi che permettessero di gestire rapidamente ed efficacemente la grande quantità di timbri o di suonare agevolmente tasti che vincessero la più alta pressione dell’aria nei somieri (la cosiddetta leva pneumatica Barker installata da costruttori quali Cavaillè-Coll).
[Alexandre Guilmant alla Trinité, Parigi] [César Franck a Santa Clotilde, Parigi]
Questi autori innoveranno la scuola organistica francese iniziando da François Benoist, che insegnerà per decenni al Conservatorio di Parigi fino al 1871, esercitando grande influsso sui giovani musicisti. Con la generazione di fine secolo – pensiamo a Franck e ai suoi allievi, a Widor, Boëllmann, Gigout, Dubois, Vierne – verrà così magnificato un repertorio che conoscerà una fioritura mai raggiunta in termini di quantità, varietà e qualità, in cui lo strumento entrerà anche nell’orchestra (Symphonie avec orgue di Saint-Saëns, Fantaisie triomphale di Dubois, Messe Solemnelle di Vierne ecc). Ma andiamo per gradi: incontriamo i principali Autori nel ruolo di insegnanti di composizione o di organo principale al Conservatorio di Parigi (CNSDP, Conservatoire National Superieur de Paris) e contemporaneamente titolari di importanti strumenti della capitale.
[Louis Vierne a Notre Dame] [Charles Marie Widor a S.Sulpice]
Ogni maestro produsse almeno un allievo degno del suo nome che presto divenne titolare della cattedra e trasmise gusto e genialità ai successori , in un crescendo che arrriverà fino a Marcel Duprè, morto nel 1974.
Maestro di François Benoist
Cesar Franck Cattedra d’orgaミo e coマposizioミe Organista alla Trinité
Charles Marie Widor Organista a St Sulpice
Theodore Dubois Cattedra di composizione Organista alla Maddeleine
Alexandre Guilmant Organista alla Trinité dopo Franck
Louis Vierne (insegna come assistente 9 anni) Organista a Notre Dame
Eugène Gigout Allievo di Saint-Saens
Marcel Dupré Organista a St Sulpice dopo Widor Maestro di
♫♫ Ed ora esaminiamo singolarmente ogni autore iniziando da César Franck. Nato a Liegi nel 1822, all’età di 13 anni ̀ già buon conoscitore della armonia musicale e lo troviamo a Parigi come allievo di Antonín Reicha, il professore di Berlioz, di Liszt e di Gounod. A 16 anni vince il primo premio per la classe di pianoforte e a 17 per quella di contrappunto. Rientra in Belgio e si dedica alla composizione fino all’età di 23 anni quando tornerà a Parigi. A 30 anni diviene organista presso la nuova basilica delle Sante Clotilde e Valeria, dove inaugura il a 37 anni, nel 1859 uno dei più begli strumenti della manifattura d'organi Aristide Cavaillé-Coll. Resterà ivi titolare fino alla morte. Nel 1871 è nominato professore d'organo al conservatorio di Parigi in sostituzione di François Benoist. Tra il 1874 e la sua morte, avvenuta nel 1890 comporrà oratori, opere per pianoforte, quartetti d'archi, sonate per violino, balletti, poemi e variazioni sinfoniche, pièces diverse per organo. Queste ultime rappresentano appieno il suo spirito creativo e la sincerità ed umanità della sua persona.
[Organo della Chiesa della Trinité a Parigi]
Le composizioni di Franck si segnalano per la complessità del contrappunto, le modulazioni frequenti e le forti influenze romantiche, da Liszt e Wagner. Franck ha messo a punto quella forma ciclica (ereditata da Franz Liszt) che, a mezzo del ritorno dei temi da un movimento all'altro e la loro sovrapposizione nel finale, tenta di assicurare la massima coesione alla struttura compositiva. Non molte le composizioni organistiche, ma tutte di altissimo valore per bellezza e complessità esecutiva, tenuto conto della trama contrappuntistica e dell’estensione della scrittura, che si confaceva all’ampiezza delle mani dell’autore, che riuscivano agevolmente a coprire un intervallo di dodicesima. Da ascoltare assolutamente il Prelude fugue et variations, la Pièce heroique, il Final, la Grand pièce simphonique ed i tre corali, tra le ultime opere scritte. Interpretazione imperdibile quella di Jeanne Demessieux degli anni sessanta nell’Eglise della Madeleine a Parigi. Non va dimenticato infine che la conoscenza di tutta l’opera di Franck ̀ obbligatoria nei conservatori italiani ai fini del conseguimento del Diploma in organo.
Veniamo quindi a Charles Marie Widor uno dei fondatori della scuola organistica francese. Nacque a Lione nel 1844 e studiò musica nella sua città natale, grazie agli insegnamenti di suo padre, organista. Svolse ulteriori studi a Bruxelles: studiò organo presso uno dei più rinomati organisti del suo tempo, Jacques-Nicolas Lemmens.
[Widor alla consolle di St. Sulpice a Parigi]
A 24 anni divenne assistente di Saint-Saens nella chiesa della Madeleine a Parigi ed a 26, per le pressioni combinate di Cavaillé_Coll, Charles Gounod e Saint-Saens stesso, fu nominato organista del grande della chiesa parrocchiale di Saint Sulpice, un impegno che svolgerà per ben 64 anni (gli successe nel 1934 Marcel Dupré). Le capacità spettacolari di quello strumento diverranno una grande fonte di ispirazione per Widor. A 46 anni subentrò come professore d'organo al Conservatorio di Parigi al posto di César Franck e vi divenne in seguito docente di composizione. Tra i suoi studenti, Louis Vierne, Arthur Honegger, Charles Tournemire, Darius Milhaud, Marcel Dupré ed Albert Schweitzer. Tra le sue composizioni ci sono innumerevoli opere organistiche, tra cui dieci sinfonie per organo, delle quali la quinta e la sesta sono le più conosciute. Scrisse inoltre messe, opere liriche, balletti, musica vocale, musica da camera e orchestrale ma di tutta la produzione oggigiorno soltanto le sue opere per organo sono eseguite con continuità. Tornando alle sinfonie per organo esse sono il suo più significativo contributo al repertorio organistico. Un passaggio della celebre toccata dalla quinta sinfonia per organo. Tale toccata è una delle prime della musica romantica francese e servì da modello per le opere successive di Gigout, Mulet , Boelmann, Dupré e Vierne. Widor era orgoglioso della fama che acquisì ovunque, lo infastidiva la rapidità con la quale gli organisti la imparavano e l’eccessiva velocità con la quale
la eseguivano. E’ insolito che ad un’opera scritta per uno strumento venga assegnato il nome di sinfonia: Widor fu in prima linea in tal senso. Lo strumento di St. Sulpice non aveva sonorità barocche chiare e nitide per dar risalto alla trama contrappuntistica, al contrario voci orchestrali calde che estendevano i timbri dello strumento permettendo crescendo e diminuendo senza pari ed incoraggiando una scrittura sinfonica. Le prime quattro sinfonie, op. 13, sono più propriamente denominate Suite, e [91]
rappresentano il primo stile di Widor; le successive quattro, op. 42, le più note sono la V e VlI, sono il massimo della esperienza contrappuntistica e delle capacità di esplorazione dello strumento. Più introspettive la nona e la decima (“Gotica” e “Romana”). Il secondo movimento della Gotica, “andante sostento” era uno dei pezzi preferiti di Widor. Widor mori a Parigi a 94 anni, ed è sepolto nella chiesa di St. Sulpice che onorò per più di mezzo secolo col suo servizio, inizialmente ritenuto “provvisorio”!
♫♫ Quanto ad Alexandre Guilmant, nato a Meudon nel 1837 , sappiamo che venne nominato a 34 anni organista della chiesa della Sainte-Trinité a Parigi. Assieme a Vincent d'Indy e Charles Bordes fondò nel 1896 a Parigi la Schola Cantorum succedendo a Charles-Marie Widor nella cattedra d'organo del Conservatorio di Parigi.
Guilmant fu conosciuto per la sua capacità di improvvisare sia durante le celebrazioni ecclesiastiche che in concerto, ispirandosi frequentemente a temi gregoriani ed era molto noto fra i colleghi per la padronanza delle melodie. Seguì dunque la carriera di virtuoso che lo portò a tournée negli Stati Uniti, Canada ed Europa. In America tenne più di 40 concerti compreso quello all’organo della esposizione organistica di St. Louis, il più grande del mondo (ora a Filadelfia, meglio conosciuto come Wanamaker organ). Come insegnante si distinse per la sua gentilezza e per l’attenzione ai dettagli: l’attacco, il rilascio ed il carattere del suono. Marcel Dupré fu il più celebrato fra i suoi allievi, fra i quali si ricordano anche Augustin Barié, Joseph Bonnet, e altri. Dedic̀ quasi completamente la sua opera al suo strumento, l’organo, e cur̀, assieme a André Pirro, l'edizione degli Archives des Maîtres de l'Orgue, una raccolta di spartiti organistici dedicata agli autori classici francesi (10 volumi, pubblicati dal 1898 al 1914). Sulla stessa falsariga cura l'edizione dell'École classique de l'Orgue (25 volumi, pubblicati dal 1898 à 1903), dedicata ai maestri stranieri.
finale). Queste le principali opere: Pièces dans différents styles ("Pezzi in stili diversi"), per organo, 8 sonate (o sinfonie), per organo, Soixante interludes dans la tonalité grégorienne ("Sessanta interludi nella modalità gregoriana") per organo, L'organiste pratique ("L'organista pratico"), raccolta costituita da 12 quaderni e L'organiste liturgique ("L'organista liturgico"), raccolta costituita da 10 quaderni. Una delle composizioni più note e più eseguite dagli organisti di tutto il mondo è la prima sonata in re minore (a fianco l’incipit del celebre
♫♫ Procedendo secondo l’ordine che ci siamo proposti giungiamo ad un altro celebre organista, sempre titolare della prestigiosa cattedra d’organo del Conservatorio parigino, e successore di Guilmant. Si tratta di Eugène Gigout. Nato a Nancy nel 1844 ed allievo della scuola Niedermeyer di Parigi a partire dal 1857, ebbe come professore Camille SaintSaëns e in seguito divenne a sua volta docente in tale scuola (di pianoforte e organo), per poi divenire come detto il successore di Alexandre Guilmant presso il Conservatorio di Parigi nel 1911 (a sua volta il suo successore sarà Marcel Dupré). Gigout per ben 62 anni fu organista nella chiesa di St. Augustin a Parigi e la sua fama crebbe sia come docente che come compositore ed improvvisatore. Le 10 pièces pour orgue (1890) includono la Toccata in B minor, la più nota creazione del maestro, proposta spesso nei bis dei concerti e lo Scherzo in E major, altrettanto gradito dal pubblico. Altre composizioni degne di nota e immancabili nel repertorio di un organista sono il Grand chœur dialogué (1881) e la Marche religieuse. Va infine ricordato che fu il primo organista francese a percorrere la strada della registrazione sonora delle esecuzioni musicali.
♫♫ Arriviamo quindi ad un altro grandissimo compositore ed organista: Louis Vierne. Succedendo agli altri grandi nomi dell'organo come César Franck, insieme a Charles-Marie Widor, Alexandre Guilmant ed Eugène Gigout al Conservatorio di Parigi, Vierne si distaccò dai suoi contemporanei per uno stile di composizione etereo, onirico ma anche sorprendentemente solenne. Fu l'organista della Cattedrale di Notre-Dame tra il 1900 e il 1937.
Poiché quasi cieco dalla nascita, avvenuta a Poitiers nel 1870 a causa di cateratte congenite, Louis Vierne venne avviato agli studi musicali all'Institut National de jeunes aveugles a Parigi. All'inizio della propria carriera Vierne usava comporre scrivendo le note con una grossa matita su spartiti di grandi dimensioni; in seguito, poiché la vista continuava a diminuire, utilizzò il Braille. Approdato al conservatorio, Vierne venne valorizzato per la sua eccezionale genialità compositiva da Charles-Marie Widor, professore di organo e composizione e titolare dello strumento monumentale di St. Sulpice, che aveva sostituito il precedente insegnante César Franck, nei confronti del quale Vierne aveva una profonda devozione. Si ricorda che nel 1881 ascolt̀ Cesar Franck all’organo e non poté trattenere le lacrime: “Non conoscevo e non capivo nulla ma l’istinto fu violentemente scosso dalla sua musica altamente espressiva!” All'epoca in cui Vierne fu nominato organista titolare di Notre-Dame, lo strumento versava in pessime condizioni, che peggiorarono ulteriormente a causa di circostanze ambientali critiche (l'esondazione della Senna nel 1910, l'estate eccezionalmente torrida del 1911). Egli decise quindi di intraprendere una lunga tournée di concerti in Europa e nel nord America per reperire il denaro necessario per il restauro, che venne ultimato nel 1932 grazie ai fondi da lui raccolti. Dopo alcuni anni di insegnamento al Conservatorio di Parigi gli subentrò Gigout ed egli passò ad insegnare presso la Schola Chantorum. Morì al suo 1750° concerto, il 2 giugno del 37, mentre stava per iniziare una improvvisazione su tema dato dal pubblico. Colto probabilmente da infarto si adempiva quello che spesso aveva spesso affermato esser il sogno della sua vita: morire alla consolle dell’organo. Il suo linguaggio armonico è romanticamente ricco ma non sentimentale o teatrale quale quello del suo mentore Franck. Come tutti i grandi organisti francesi di fine secolo, la musica di Vierne è dedicata al suo strumento ed ha ispirato le generazioni successive. La produzione organistica comprende 6 Organ symphonies, 24 Fantasy Pieces e Vingt-quatre pièces en style libre.
[Celeberrimo finale della prima sinfonia per organo, cavallo di battaglia di molti organisti]
♫♫ Concludiamo la carrellata con Marcel Dupré, che nacque a Rouen, in Normandia nel maggio del 1881. Cresciuto in una famiglia di musicisti, fu bambino prodigio; entrò nel Conservatorio di Parigi a 23 anni, per vincere nel 1914 il Grand Prix de Rome con la sua cantata, Psyché; nel 1926 fu nominato professore di organo, esecuzione e improvvisazione al Conservatorio di Parigi, posizione che tenne fino al 1954.
Dupré divenne famoso per l'esecuzione di più di 2000 concerti d'organo in tutta l'Australia, gli Stati Uniti, il Canada e l'Europa, e va menzionata una serie di 10 concerti nei quali eseguì l'opera omnia organistica di Johann Sebastian Bach, nel 1920 al Conservatorio di Parigi e nel 1921 al Palazzo del Trocadéro, suonando interamente a memoria. La sponsorizzazione di un tour transcontinentale per l'America ed i concerti sul monumentale organo del grande magazzino di John Wanamaker, sul quale improvvisò quella che sarebbe diventata la Symphonie-Passion, inserirono il suo nome sulla scena mondiale. Nel 1934 succedette a Charles-Marie Widor come organista titolare alla Chiesa di Saint-Sulpice a Parigi, una posizione che tenne fino alla morte nel 1971. Tra il 1947 e il 1954, fu direttore del Conservatorio Americano (Fontainebleau Schools), che occupa l'ala Luigi XV del Castello di Fontainebleau vicino a Parigi. Nel 1954, Dupré succedette a Claude Delvincourt come direttore del Conservatorio di Parigi, dove rimase fino al 1956. Morì nel 1971 all'età di 85 anni a Meudon (vicino a Parigi) nel pomeriggio del 30 maggio (Pentecoste) dopo aver suonato la Messa al mattino a Saint-Sulpice dove era titolare. Vasta la sua produzione (65 numeri d'opus), e fu insegnante di due generazioni di famosi organisti come Jehan Alain, Marie-Claire Alain, Pierre Cochereau, Jeanne Demessieux, Rolande Falcinelli, Jean Guillou, Jean Langlais, Olivier Messiaen, per nominarne solo alcuni. Il grado delle musiche di Dupré per organo va dal moderatamente all'estremamente difficoltoso, e alcune di esse richiedono tecniche pressappoco impossibili all'esecutore (ad es. Évocation op. 37, Suite, op. 39, Deux esquisses op. 41, Vision op. 44). Le sue composizioni più sentite e registrate provengono dai primi anni della sua carriera. Durante questo tempo egli scrisse i Trois préludes et
fugues, Op. 7 (1914); il primo e il terzo preludio (in particolare quello in sol minore con i suoi velocissimi accordi coi pedali e le armonie) sono stati ritenuti ineseguibili, parere tra l'altro condiviso anche dal suo predecessore a Saint-Sulpice, Charles-Marie Widor. Infatti, Dupré fu (assieme a Léonce de Saint-Martin) l'unico organista capace di eseguirli fino a tempi recenti, a causa della loro estrema complessità. In molti modi Dupré può essere visto come un Paganini dell'organo - essendo un virtuoso di massimo ordine - egli contribuì estensivamente allo sviluppo della tecnica (sia nella sua musica per organo che nei suoi lavori pedagogici) sebbene, come Paganini, la sua musica sia praticamente sconosciuta ai musicisti che non praticano gli strumenti per i quali le partiture sono scritte. Le sue opere di maggior successo combinano la virtuosità con un alto grado di integrità musicale, qualità trovate in lavori come Symphonie-Passion, Chemin de la Croix, Préludes et fugues, Esquisses, Variations sur un Noël, Évocation, e Cortège et litanie.
[Lげiミizio del II マoviマeミto ふfileuseぶ della Suite Bretonne, considerato tra i brani più difficili della letteratura organistica.]
Scrisse anche un metodo per organo, 2 trattati sull'improvvisazione all'organo e libri sull’analisi armonica, contrappunto e fuga nonché accompagnamento del canto gregoriano oltre che saggistica sulla costruzione di organi, acustica, e filosofia della musica. Come improvvisatore, Dupré eccelse come forse nessun altro fece durante il XX secolo, e fu capace di prendere un dato tema e spontaneamente tessere una intera sinfonia attorno ad esso, spesso con elaborati contrappunti inclusa la fuga. Il successo di queste imprese fu parzialmente dovuto al suo insuperato genio e parzialmente al suo duro lavoro facendo esercizi scritti quando non era occupato nella pratica e nella composizione.
[Marcel Dupré improvvisa la una intera sinfonia in 4 movimenti (symphonie-passion) nel grandioso organo Wanamaker durante una tournée a Filadelfia (USA)]