GLI AMICI DEL LOGGIONE Numero 10 – Gennaio 2020
GLI AMICI DEL LOGGIONE Rivista quadrimestrale on-line di Musica Classica e Lirica Numero 10 – Gennaio 2020
Coordinatore editoriale ed autore dei testi: Giuseppe Ragusa
In questo numero: 1a Copertina: Johann Strauss figlio [3] La famiglia Strauss [14] La musica degli Strauss [28] La musica degli Strauss: discografia [32] Il Concerto di Capodanno di Vienna [44] Lo st a o à asoàdellaàMa iaàdià‘adetzky [46] I grandi direttori delà : Ferenc Fricsay [49] Le Sinfonie di Gustav Mahler: Sinfonia n° 1 in re maggiore [63] Musica classica e cinema: Shining, di Stanley Kubrick [69] Strumenti musicali antichi: La zampogna medievale [71] La Musica medievale: La Comtessa de Dia [82] Melomania: Turandot, di Giacomo Puccini 4a Copertina: Giacomo Puccini
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A tutti i lettori della Rivista “Gli Amici del Loggione” gli auguri per un felice 2020!
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La famiglia Strauss Solo la famiglia Bach fu altrettanto dedita alla musica quanto gli Strauss, ma quest’ultimi, a parte i meriti artistici - più del “gruppo” capeggiato dall'immenso Johann Sebastian -, seppero interpretare la moda di un'epoca e di una città. «Non c'è vita senza Strauss», affermavano con convinzione i sudditi dell’imperatore Ferdinando e poi di Francesco Giuseppe. Gli Strauss ricambiarono questo diffuso riconoscimento con numerosissime composizioni, e anche offrendo generosamente spunti alle cronache mondane e ai pettegolezzi, protagonisti come furono di una saga familiare ricca d’invidie familiari, liti e separazioni, amori extraconiugali, matrimoni e divorzi.
Capostipite della dinastia fu Johann Strauss padre, definito per antonomasia "Padre del valzer", per essere stato - assieme a Joseph Lanner - il creatore del valzer viennese, che seppe portare a livelli di dignità mai raggiunti fino a quel momento contribuendo alla sua diffusione nel resto del continente europeo. Con lui il valzer smise di essere una semplice danza contadina e fece il suo ingresso anche fra i livelli più alti della società, sia come musica da ballo, sia come musica da concerti. [Johann Strauss padre in una litografia di Joseph Kriehuber, 1835] Johann nacque a Vienna il 14 marzo 1804. Il nonno era un ebreo originario di Budapest che si era convertito al cattolicesimo solo per potersi sposare con una donna cattolica. Il padre, di nome Franz Borgias, era un birraio che gestiva, assieme alla moglie Barbara Dollmann, una locanda nei sobborghi di Vienna, frequentata prevalentemente da marinai che navigavano sul Danubio. Da questa unione nacquero sei figli: quattro, Anna, Franz, Josefa e Antonia morirono tutti entro il secondo anno di vita, solo Johann e la sorella maggiore Ernestine raggiunsero l'età adulta. Nel 1811 Barbara morì e il padre si risposò l'anno successivo con Katharina Feldberger. Nel 1816, all'età di 52 anni, Franz Borgias annegò nel Danubio; la causa fu probabilmente il suicidio motivato da non poter pagare i pesanti debiti che aveva contratto. Katharina si risposò quasi subito con un certo Golder.
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Johann quindi, all’età di 12 anni, era orfano sia di padre che di madre e viveva con l'ex matrigna e il suo nuovo marito. I due genitori "adottivi" fortunatamente si affezionarono a Johann e a Ernestine e in più in pochi anni risolvettero i problemi economici della locanda. Cercarono di avviare Johann a un promettente futuro da locandiere, ma senza successo: la passione di Johann per la musica era veramente forte. Vivendo nella locanda che era stata del padre, Johann era entrato presto in contatto con la musica avendo avuto modo di ascoltare, con crescente passione, le esibizioni dei viandanti che improvvisavano in quell’ambiente dei piccoli concerti. Visto questo interesse Golder, in occasione della festa di San Giovanni, regalò al figliastro un violino di rozza manifattura, costruito con legni economici. Quando i genitori capirono che per Johann il nuovo strumento era molto più di un semplice passatempo, e che l'intenzione del giovane era quella di dedicarsi alla musica, tentarono di dissuaderlo con ogni mezzo. Golder e Katharina immaginavano per il figlio un futuro più sicuro e perciò, per fargli imparare un mestiere, mandarono il dodicenne Johann come apprendista presso un rilegatore di Vienna. La cosa non durò a lungo, troppo forte la determinazione del ragazzo di dedicarsi alla musica. I genitori dovettero infine cedere. Johann apprese i primi rudimenti da un suonatore ambulante, un certo Polischansky, e all'età di 15 anni, entrò a far parte dell'orchestra da ballo di Michael Pamer, allora una delle più celebri di Vienna, che si esibiva regolarmente al Cafè Sperl. Fu proprio nell’orchestra di Pamer che Johann Strauss incontrò per la prima volta colui che sarebbe diventato il suo grande amico e rivale: Joseph Lanner [nel ritratto a sin]. Nel 1818, Lanner abbandonò l'orchestra di Pamer per fondare un suo ensemble con i fratelli boemi Karl e Johann Drahanek, rispettivamente violino e chitarra, e Strauss alla viola: era nato il Quartetto il Quadrifoglio, che si esibiva al Caffè Rehburn, frequentato anche dal grande Schubert. Suonavano in osterie e taverne, lavorando a ritmi frenetici, ogni giorno nasceva un nuovo motivo ed il tema veniva orchestrato prima ancora che venisse finito. In breve si aggiunsero nuovi elementi, fino a diventare una vera orchestra, e nel giro di poco tempo l'orchestra di Lanner si impose come la migliore della città. Il marchio di fabbrica dell’orchestra era il valzer, il nuovo ballo “peccaminoso” (mai si erano visti prima uomini e donne volteggiare abbracciati così stretti), che faceva letteralmente impazzire il popolo viennese e che in breve avrebbe conquistato l'intera Europa. Vienna era allora un'unica sala da ballo. Ogni locale, anche il più modesto, voleva avere la sua orchestrina e la gente li frequentava con pervicace abnegazione: uno aveva addirittura predisposto una sala parto, nel caso qualche cliente rimanesse sorpresa da un lieto evento prematuro. [4]
Famosissimo, nella pur breve stagione in cui tenne aperti i battenti, sarà l'Odeon, che disponeva di un giardino d'inverno con 8 mila piante, specchi e fontane a profusione, e offriva un salone in grado di contenere sino a 15 mila persone. Nel luglio 1825, Johann Strauss si sposò con Anna Streim [nel ritratto a dx] ventiquattrenne figlia del proprietario della locanda "Il Gallo
Rosso" dove Strauss e Lanner si erano già esibiti in diverse occasioni. La fanciulla gli darà sei eredi, il primo dei quali, Johann figlio, sarà nel tempo il suo più temibile rivale. Il rapporto fra Lanner e Strauss si interruppe bruscamente una sera del settembre 1825, in seguito ad una furiosa lite tra i due. Johann pretendeva di non essere un semplice orchestrale, voleva firmare anche lui dei valzer come compositore. Lanner rifiutò. L’orchestra si scisse in due parti, e quattordici musicisti seguirono Strauss.
[Charles Wilda: Joseph Lanner e Johann Strauss (particolare), olio su tela, 1906.] In breve la fama di Strauss crebbe: il considerevole successo spinse Johann ad intensificare la propria attività arrivando a creare più complessi che potevano esibirsi contemporaneamente in più locali; nel 1830 gli strumentisti erano duecento, suddivisi in gruppi di venticinque l'uno, che Strauss smistava laddove vi era richiesta da parte di un pubblico che pretendeva sempre novità. Così il giovane Richard Wagner ricorda una serata del 1832, con Strauss alla guida della sua orchestra: “Non dimenticherò mai l'entusiasmo quasi frenetico in cui entrava immancabilmente il sorprendente Johann Strauss, ad ogni pezzo che dirigeva suonando, ad un tempo, il violino. All'inizio d'ogni nuovo valzer tremava, quell'autentico genio della musicalità popolare viennese, come una pitonessa sul tripode e il vero gemito voluttuoso dell'uditorio inebriato assai più dalla sua musica che dalle bevande consumate, spingeva l'entusiasmo del magico violinista ad un grado per me quasi angoscioso…”
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«Vienna è ai piedi di Strauss», scrivevano i giornali. E non solo la capitale austriaca, ma anche l'Ungheria, la Francia, la Germania impararono ad apprezzare e amare Strauss e la sua musica, mentre lui, consapevole dei propri limiti, studiava composizione e produceva melodie a getto continuo. Nel 1833 Johann Strauss, ormai incontrastato dominatore dei locali viennesi, decise di uscire dalle mura della capitale asburgica per effettuare delle tournée. Mentre si trovava a Praga, conobbe una nuova danza che tanto spazio avrebbe poi avuto nella produzione di famiglia: la Polka. A Parigi conobbe un vero trionfo: il re Luigi Filippo e il re Leopoldo del Belgio vollero incontrarlo per congratularsi con lui; il cancelliere Metternich lo invitò a Londra ad allietare l'incoronazione della regina Vittoria, e in quell'occasione la stessa diciottenne sovrana si lasciò andare a più di un ubriacante giro di valzer. Tornato a Vienna, Strauss fu nominato Direttore dei balli di corte. Con la morte di Lanner per tifo, nel 1843, Strauss si ritrovò senza rivali, in una posizione di assoluto dominio sulle scene musicali viennesi, e fu proprio lui a dirigere la musica ai funerali dell’amico/rivale. I successi pubblici non servirono però a rendere serena la vita in famiglia: fra Johann e Anna i rapporti si erano già raffreddati da diversi anni, anche a causa dei figli. Johann criticava la moglie per i suoi metodi educativi e soprattutto le rimproverava di aver concesso a Johann e a Josef di prendere lezioni di musica. La principale ragione dei dissidi era comunque la doppia vita di Strauss: il compositore, infatti, aveva due famiglie a Vienna, una ufficiale, con Anna e i suoi figli, e una segreta, con una giovane cappellaia con la passione del ballo, Emilie Trampusch, incontrata a Vienna nel 1833. La donna gli darà sei figli, da uno dei quali nel 1849 Johann contrarrà la scarlattina che lo condurrà alla morte. La legittima moglie Anna per un po' subì, poi, arrivati al sesto figlio illegittimo e soprattutto agli screzi continui tra Johann padre e Johann figlio, si schierò decisamente dalla parte del suo primogenito e diede al marito l'aut aut: o con lei o con l'amante. Johann padre scelse l'amante e se ne andò via di casa. Nel 1844 Anna chiese il divorzio, che le venne concesso due anni dopo, e intanto, grazie anche all'allontanamento del padre dalla famiglia, il giovane Johann fu libero di debuttare come compositore e direttore d'orchestra al Casinò Dommayer di Hietzing, vicino al Castello di Schönbrunn, il 15 ottobre 1844. [6]
Il debutto fu trionfale, davanti ad un pubblico in delirio che lo sommerse con ben diciannove richieste di bis. Là in mezzo, con gli occhi lucidi dalla commozione, c'erano mamma Anna, Kathi, la figlia di Lanner, prima fiamma del giovane Johann e destinata a una luminosa carriera nella danza, e il fedele Gustav Lewy, già compagno di scuola di Johann, ora suo impresario e suo futuro editore. Da quel giorno la Vienna danzante si divise in due fazioni: chi era col padre e chi col figlio. Strauss contro Strauss. Padre e figlio si trovarono dalle parti opposte della barricata, anche - e non in senso metaforico - durante i moti rivoluzionari del '48, con i conservatori il vecchio, nelle file dei liberali il giovane, che sapeva di correre un grave rischio per la sua futura carriera una volta sedati i tumulti. Fu proprio in questo periodo che vide la luce quello che sarebbe stato destinato a divenire il brano più celebre del Johann padre, la Radetzky-Marsch op. 228 (La Marcia di Radetzky). Il compositore la eseguì il 31 agosto 1848 al Water-Glass di Vienna davanti ad una folla di ufficiali dell'esercito convenuti per festeggiare il Feldmaresciallo Radetzky, l'eroe che aveva piegato la resistenza italiana sconfiggendo il re Carlo Alberto. Ripetuta quattro volte, la marcia divenne fin dall'inizio l'inno dei soldati austriaci. [Il Feldmaresciallo Josef Radetzky] Johann padre lavorava così intensamente che ebbe un collasso durante una tournée di concerti in Gran Bretagna; tornò a Vienna per riposarsi, ma venne contagiato da uno dei suoi figli malato di scarlattina che sarà la causa della sua morte avvenuta il 25 settembre 1849. Al suo funerale assistettero centomila viennesi e durante la funzione venne eseguito il valzer Das Wanderers Lebewohl op. 237 (L'addio del viandante) che Strauss aveva scritto prima di partire per la sua ultima tournée.
Johann Strauss figlio nacque a Vienna il 25 Ottobre 1825. Il padre Johann era contrario al desiderio del figlio di intraprendere anche lui la carriera di musicista; egli desiderava che facesse il bancario, un lavoro sicuramente più sicuro ma molto meno stimolante per il giovane Strauss. La madre invece aveva capito che il figlio aveva un notevole talento musicale, e prese apertamente le sue difese, consentendo a Johann, che aspirava a divenire un professionista, il proseguimento della propria formazione musicale. Ciò fu reso possibile soprattutto a partire da quando, nell'estate del
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1843, Johann padre lasciò la famiglia e andò a vivere con la sua giovane amante, la modista Emilie Trampusch. Nel 1844 il diciannovenne Johann divenne direttore di un’orchestra di 24 musicisti. Il debutto avvenne il 15 ottobre 1844: le musiche scritte e dirette dal giovane direttore riscossero un’accoglienza trionfale; gli stessi amici di Strauss padre (che inizialmente non avevano nascosto la propria ostilità verso il giovane
fischiandolo
per
metterlo
in
difficoltà
prima
dell'esibizione) si unirono agli applausi. Nei giorni successivi al debutto, i numerosi locali che, per timore di offendere Strauss padre, si erano rifiutati di ospitare il battesimo artistico del giovane Strauss, si affrettarono ad invitarlo alle loro serate danzanti e, come anni prima era accaduto per Strauss padre e Lanner, i viennesi costituirono due vere e proprie fazioni, una a favore del giovane Johann, la seconda propensa verso il vecchio Strauss. Durante la rivoluzione del 1848 il contrasto tra padre e figlio divenne ancora più aperto, inasprito anche dalle idee politiche divergenti dei due Strauss. Il giovane Johann era propenso politicamente alle idee rivoluzionarie che venivano dalla Francia, e con molte sue composizioni (dai titoli sovversivi) di quel periodo si schierò subito e apertamente dalla parte degli insorti (prevalentemente giovani studenti). Il 3 dicembre 1848, il giorno dopo l'incoronazione a nuovo imperatore dell'Impero d'Austria di Francesco Giuseppe, diresse a Vienna pubblicamente l'inno nazionale francese, la Marsigliese, allora severamente vietato in Austria; per questo venne arrestato e segnalato negli schedari della polizia. Tale decisione si rivelò profondamente dannosa per la futura carriera professionale poiché l'ambita nomina a direttore dei balli di corte gli venne negata per ben due volte, proprio a causa della diffidenza che la corte asburgica provava nei confronti del giovane compositore. Il padre, come sappiamo, rimase fedele alla monarchia. Dopo la morte del padre nel 1849 Johann Strauss riuscì comunque, vincendo molte resistenze, ad unire la sua orchestra a quella del padre, ed iniziò una frenetica attività che lo portò in giro per l'Europa a mietere successi artistici e mondani. Le donne lo adoravano e lui non era insensibile al loro fascino. Un giorno confidò al fido Lewy di essere un po' preoccupato perché erano ventiquattro ore che nessun’ammiratrice gli cadeva ai piedi. Pose gli occhi anche sulla serena bellezza della giovane Karoline, futura moglie del fratello Josef. Oltre ai valzer, Strauss si cimentò anche nella composizione di polke, marce, quadriglie e in tutti i balli allora alla moda, rivelando doti di compositore superiori a quelle paterne. Il successivo passaggio dalla sala da ballo a quella da concerto portò anche un ampliamento nella forma, nella melodia, nella ritmica e nell'armonia. [8]
Da allora la carriera di Johann Strauss fu prorompente, e si diffuse anche all’estero (Russia, Italia, Parigi, Londra e persino negli Stati Uniti), dove fece numerose tournée. Per alcuni anni fu ospite fisso della stagione estiva a Pawiowski, presso San Pietroburgo, invitato dalla zarina di tutte le Russie in persona. Anche là venne osannato come un dio e non mancò di imbastire una turbolenta relazione con una fanciulla di nobile famiglia. Molto importante per il suo successo fu anche la stretta collaborazione tra Johann e i suoi due fratelli Eduard e Josef, anch'essi compositori; a Vienna molti parlavano addirittura della "Ditta
musicale
Strauss".
Questa
collaborazione divenne particolarmente importante quando Johann, per lo stress del continuo lavoro e per la vita troppo sregolata subì, nel 1853, un crollo psicofisico, che lo costrinse a un periodo di totale riposo. [I tre fratelli Strauss: Eduard, Johann e Josef]
Dato che gli interminabili impegni andavano onorati, non senza difficoltà mamma Anna e Lewy riuscirono a convincere il fratello minore Josef, avviato a una promettente carriera di ingegnere (aveva già progettato una macchina per pulire le strade) a salire sul podio. E Josef se la cavò benissimo, fino a quando anche lui dovette chiedere il cambio: e fu la volta del giovanissimo Eduard, «il bel Edi», strappato a un brillante avvenire in diplomazia. Così, quando anche Johann tornò in attività, Vienna si ritrovò con ben otto orchestre che si fregiavano dei nome Strauss, guidate, a rotazione e anche nel corso della stessa serata, dai tre fratelli. Nel 1862 Johann sposò la mezzosoprano Henrietta “Jetty” Treffz [nella foto], allora mantenuta di un nobile al quale aveva dato sette
figli e che, secondo alcuni, aveva avuto in anni ormai lontani un'avventura anche con Johann padre. Henrietta era una donna piena di fascino e di senso pratico: era di otto anni più anziana del marito, al quale si sentiva legata da vero amore e al quale, nel corso degli anni, seppe perdonare le non infrequenti infedeltà. Nel 1867, in occasione dell'Esposizione universale di Parigi, Strauss conquistò la capitale francese con la sua ultima creazione, Sul bel Danubio blu. A questo punto, la vita di Johann ebbe una svolta per merito dell'intraprendenza di Jetty, che a insaputa del marito sottrasse alcuni abbozzi di sue composizioni e li affidò, perché venissero [9]
corredati da un testo, a Richard Genée, un Kapellmeister del Theater an der Wien. La prova ebbe successo e Strauss si convinse che poteva tentare il grande salto. Il 5 aprile 1874, domenica di Pasqua, il Theater an der Wien, lo stesso che aveva visto la prima del Fidelio di Beethoven, decretò il trionfo del Pipistrello, l'operetta che Strauss aveva scritto in 42 giorni e notti di furioso lavoro. Nel 1870 Josef morì per i postumi di una caduta dopo un concerto a Varsavia. La sua scomparsa fu un duro colpo per i due fratelli rimasti e i dissapori che già esistevano fra loro si intensificarono ancora di più, tanto che Eduard arrivò ad accusare Johann di essere stato responsabile della morte del fratello a causa del troppo lavoro e dei troppi incarichi che gli aveva affidato; successivamente, arrivò anche ad accusarlo di aver rubato il materiale di opere inedite di Josef servendosene per la composizione della sua celebre operetta Die Fledermaus (Il Pipistrello). Johann decise di abbandonare le sale da ballo e la musica dal vivo per concentrarsi sulla composizione, per dare al valzer sinfonico quella nobiltà musicale ancora non completamente riconosciuta. Nel 1871 chiese all’imperatore Francesco Giuseppe di venire esonerato, per ragioni di salute, dall’incarico di Direttore dei balli di Corte. Gli subentrò il fratello Eduard. Nel 1872 Johann venne invitato negli Stati Uniti ed il valzer conquistò anche gli americani; due anni dopo, arrivò in Italia e la percorse in trionfo, da Venezia a Napoli. Nel 1878 la moglie Henriette morì e per il compositore fu un colpo tremendo. Non resistendo alla solitudine, dopo solo 7 settimane dalla morte della moglie, sposò un'attricetta poco più che ventenne, una certa Angelika (Lili) Dittrich. Il matrimonio durò solo 4 anni e finì nell'inevitabile naufragio, con lungo e rissoso strascico legale fino al divorzio. Per potersi sposare di nuovo Johann Strauss rinunciò alla cittadinanza austriaca perché il diritto della cattolica Austria non prevedeva il divorzio. Prese pertanto la cittadinanza del ducato Sachsen-Coburg e Gotha e divenne protestante, e lo stesso fece anche la sua terza moglie Adele Deutsch [nella foto] che era originariamente di fede ebraica. Il matrimonio con lei, che aveva 31 anni meno di lui (Strauss ne aveva 62), fu molto felice e durò fino alla morte di Johann. Strauss non ebbe figli. Con Adele trascorse anni sereni, culminati nei festeggiamenti per i suoi 50 anni di attività, con la benedizione dell'imperatore Francesco Giuseppe (cui Strauss aveva dedicato il KaiserWalzer). In quel giorno egli fu ammesso nella Società dagli Amici della musica, della quale facevano parte Brahms, Bruckner, Liszt, Verdi e Wagner. [10]
Dopo un estremo ma inutile tentativo di rappacificarsi con il fratello Eduard, il 3 giugno 1899 Johann Strauss morì in conseguenza di una polmonite che lo aveva assalito mentre dirigeva alla Hofoper l’Ouverture del Pipistrello. Lasciò un patrimonio di 835 mila fiorini e una produzione musicale sterminata, composta da 200 valzer, 140 polke, 50 marce, 18 operette, un'opera e un balletto.
Josef Strauss nacque a Vienna il 20 agosto 1827. Figlio secondogenito di Johann Strauss padre e di Anna Streim, come già era accaduto per gli altri fratelli, anche Josef non avrebbe dovuto dedicarsi alla musica: il padre infatti, lo aveva destinato alla carriera militare. Josef tuttavia detestava la guerra, non si sentiva adatto ad indossare un’uniforme. Quando il padre, nel 1844, abbandonò la famiglia per andare a vivere con la sua amante Emilie Trampusch, Josef fu libero di dedicarsi a ciò che più amava, gli studi ingegneristici, e perciò frequentò il Politecnico di Vienna. Durante i moti del 1848, Josef si unì agli studenti ribelli del Politecnico rischiando anche l’arresto, scongiurato solo dalla determinazione con cui fu difeso e protetto dalla madre Anna. Conclusi gli studi al Politecnico, dopo essere partito dai lavori manuali più modesti aveva fatto una brillante quanto rapida carriera: a ventiquattro anni dirigeva già la costruzione di un acquedotto e pubblicava un manuale intitolato “Raccolta di esempi, formule, testi e tavole di matematica, meccanica, geometria e fisica”. Aveva inoltre inventato, nel 1853, una macchina per la pulizia delle strade che era stata anche adottata dalla città di Vienna. Il 1853 segnò una svolta nella storia della famiglia Strauss. Johann, già molto affaticato, ebbe un collasso che fece temere il peggio e i medici gli imposero un lungo periodo di riposo assoluto. La malattia del fratello Johann cambiò la esistenza di Josef che, sacrificando le proprie aspirazioni, dovette dedicarsi scrupolosamente allo studio musicale, perfezionandosi sotto la guida di Amon (già insegnante del fratello). Il 31 agosto 1853, a capo della propria orchestra (la grande orchestra degli Strauss si era divisa in tre monconi ed ogni sezione era diretta da un fratello) presentò al pubblico il suo primo valzer, significativamente intitolato Die Ersten und Letzten (Il primo e l’ultimo); tale titolo è esplicativo di come a Josef non interessasse per niente mantenere la sua posizione di direttore per molto tempo. Come il padre e il fratello maggiore, Josef ebbe subito dalla sua parte critica e pubblico, meravigliati dalla capacità dimostrata da un ingegnere di trasformarsi in breve tempo in direttore e violinista.
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L’8 giugno 1857 Josef Strauss si sposò con la sua compagna d’infanzia Caroline Pruckmayer, soprannominata Lintcherl, dalla quale ebbe una figlia, Karoline Anna. Era considerato lo Schubert del valzer. Poeta più che musicista, Josef incarnava la tipica figura dell’artista romantico, incline all’introspezione. I suoi valzer tristi e tormentati riflettono appieno il suo carattere, ombroso e schivo. Pochi mesi dopo la morte della madre (avvenuta il 23 febbraio 1870), durante un concerto a Varsavia, Josef (la cui salute era già malferma), particolarmente teso a causa di un diverbio con un componente dell’orchestra, svenne sul podio, cadde e batté la testa. Le sue condizioni apparvero subito disperate; trasportato a Vienna, vi morì prematuramente il 22 luglio 1870, all’età di quarantatré anni.
Eduard Strauss nacque a Vienna il 5 marzo 1835. Come già era accaduto per gli altri fratelli, anche Eduard non avrebbe dovuto dedicarsi alla musica: Johann padre, infatti, aveva già previsto per lui una futura carriera come diplomatico. Nel 1855, Eduard era entrato a far parte di una delle orchestre del fratello Johann come arpista. Il suo debutto nel mondo della musica come direttore d'orchestra avvenne il 5 febbraio 1859, alla "Diana-Saal" nel corso di un concerto in cui tre orchestre si alternarono nella stessa serata guidate a rotazione dai tre fratelli. Eduard Strauss si sposò l'8 gennaio 1863 con Maria Magdalena Klenkhart, figlia del proprietario di un caffè. Dalla loro unione sarebbero nati due figli: Johann III e Josef Eduard. Per ciò che riguarda la sua attività di compositore, il giovane Eduard si distinse per aver voluto creare un suo stile particolare, cercando di non cadere in una semplice imitazione dei fratelli; tuttavia venne sempre considerato e apprezzato più come direttore d'orchestra che come compositore. Era un infaticabile e trascinante direttore sul podio, possedeva indubbiamente delle ottime capacità e una indiscutibile perizia tecnica, ma non possedeva né l'estro di Johann né quello di Josef. Eduard riuscì a distinguersi e ad ottenere ottimi risultati nella composizione di polke veloci (Polka-schnell), un genere di danza allegro e vivace molto simile al galopp per la velocità e il ritmo incalzante; ma i suoi valzer non erano all’altezza delle migliori pagine dei fratelli. Eduard si sentiva per questo il più sacrificato, e fra lui e i fratelli (specialmente con Johann) spesso si verificavano delle discussioni, dovute anche all'invidia che nutriva nei loro confronti. Il 13 febbraio 1901, diciotto mesi dopo la morte del fratello Johann, Eduard, al termine di una nuova, lunga tournée in America, sciolse tutte le orchestre, ritirandosi a vita privata. Durante gli ultimi anni [12]
di vita si dedicò alla stesura delle memorie familiari che vennero raccolte e pubblicate col titolo di "Erinnerungen" (Ricordi) nel 1906. L'atto più clamoroso dell'ultimo periodo di Eduard è legato alla sua controversa decisione di aver dato alle fiamme l’intero archivio musicale degli Strauss, comprendente anche opere inedite sue e dei suoi fratelli. Sulla motivazione del gesto, Eduard parlò sempre di un presunto accordo segreto stipulato con Johann nel 1869, in base al quale l'ultimo dei fratelli a sopravvivere avrebbe dovuto distruggere l'intero archivio di famiglia, in modo tale da impedire che qualcun altro, dopo di loro, potesse impossessarsene e usarlo per tenere concerti. Seduto in poltrona, assistette personalmente al rogo, che si consumò per cinque ore nella fabbrica di stufe Schnitzer. Era il 22 ottobre 1907. Eduard morì a Vienna il 28 dicembre 1916.
Il figlio maggiore Johann III, dopo la laurea in giurisprudenza, scelse la carriera musicale: direttore e compositore, si trasferì a Berlino e compì molte tournée anche negli Stati Uniti. Morì nel 1939 senza aver creato opere particolarmente significative.
Dopo di lui, rimase il nipote Eduard II a mantenere il nome della famiglia associato al valzer. Docente al Conservatorio di Vienna, solo nel dopoguerra iniziò l’attività di direttore, compiendo tournée in tutto il mondo. L’ultimo Strauss musicista morì nel 1969, a Vienna.
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La Musica degli Strauss AN DER SCHÖNEN, BLAUEN DONAU (SUL BEL DANUBIO BLU), OP.314 An der schönen, blauen Donau è considerato da molti il vero inno nazionale austriaco, un simbolo di questo Paese. Il brano musicale e corale venne commissionato a Johann Strauss figlio dal Wiener Männergesang Verein, un coro viennese di voci maschili. L’Austria a quel tempo era ancora turbata dalla sconfitta di Königgratz del 1866 e non si sentiva in vena di festeggiare il Carnevale come se nulla fosse accaduto. Il Männergesang rinunciato
Verein alle
aveva
perciò
Narrenabende
carnevalesche, sostituendole con una serata di esibizioni corali: in una di queste doveva essere presentato il valzer, per la prima volta anche cantato, di Strauss. La prima esecuzione ebbe luogo il 15 febbraio 1867, nella sala da ballo del “Dianabad”; all’ultimo minuto si decise di arricchire il valzer con un accompagnamento orchestrale e Strauss vi aggiunse la celebre introduzione con il tremolio dei violini, oggi nota in tutto il mondo. Il pubblico accolse con freddezza il brano, incapace di distinguere tra la mediocrità del testo e l’eccellenza della melodia. Il testo - scritto da Josef Weyl, impiegato scrivano della Direzione di polizia - era una satira sulla politica del Paese e sulle condizioni morali del popolo della capitale (“Wiener seid’s froh! Oh o! Wieso?”, Il viennese dovrebbe essere felice! Oh o! ma perche?). Il Danubio non era neanche menzionato. Il grande fiume comparirà nel valzer di Strauss, rimanendogli indissolubilmente legato, soltanto nel 1890, quando Franz von Gerneth, consigliere di Corte d’appello, scrisse un nuovo testo, che fu cantato per la prima volta a Meidlinger, in occasione di un concerto corale estivo. “Donau, so blau, durch Tal und Au”, diceva il verso di inizio. Oggi non lo si dice quasi più, perché il valzer viene solitamente soltanto suonato, ma gli è rimasto il titolo, divenuto famoso in tutto il mondo. Nonostante l’insuccesso iniziale, il valzer di Strauss divenne celebre ben prima del cambio del testo. Il 28 maggio dello stesso 1867 venne eseguito a Parigi, nell’ambasciata austriaca: al concerto [14]
assistettero
lo
stesso
imperatore
Napoleone III e le più illustri personalità della capitale francese. Fu un successo strepitoso, che dalla capitale francese rimbalzò subito dopo a Londra e, solo dopo aver fatto il giro del mondo, si ripeté anche a Vienna. Da allora Sul bel Danubio blu viene eseguito in tutte le occasioni importanti della vita austriaca. Nel Concerto di Capodanno di Vienna è un brano immancabile nei bis finali. C’è, in questo capolavoro di Strauss, il ritmo allegro e divertito tipico dei valzer viennesi, ma c’è anche una vena sottile di malinconia, che coglie lo stato d’animo di un impero al culmine del suo sviluppo culturale ed economico (ma non più geopolitico), in cui però stanno affiorando i primi conflitti tra le tante nazionalità che ne fanno parte. Non è un presagio dell’imminente crollo, che allora nessuno poteva immaginare, ma un segnale del malessere di quel tempo, che solo il ritmo in tre quarti del “bel Danubio” sembrava poter lenire. ♫♫ Sul bel Danubio blu non è un valzer unico, bensì un insieme di cinque valzer interconnessi. Il tema del primo valzer, con un disegno agile e morbido, è presente dall’introduzione alla coda finale; il rischio di ripetitività è evitato dai numerosi cambiamenti di tonalità da un valzer all’altro. La composizione inizia con un Andantino caratterizzato da un tremolo pianissimo dei violini che accompagna il tema principale del primo valzer presentato all’inizio dal corno solo,
a cui
gradualmente si aggiungono tutti gli strumenti. Successivamente i vari valzer si succedono in un’elegante e suggestiva sequenza, ben legati tra di loro. Alla fine, in coda, si ripresenta il tema iniziale riproposto da tutta l’orchestra. Questo il testo di Josef Weyl: AN DER SCHÖNEN BLAUEN DONAU OP. 314 Donau so blau, so schön und blau, durch Tal und Au wogst ruhig du hin, dich grüßt unser Wien, dein silbernes Band knüpft Land an Land und fröhliche Herzen schlagen an deinem schönen Strand. [Danubio così blu, così bello e blu, attraverso la valle e il campo là tu scorri quieto, la nostra Vienna ti dà il benvenuto, il tuo nastro d'argento lega tutte le terre e rallegri il cuore toccato sulla tua riva leggiadra.] Weit vom Schwarzwald her eilst du hin zum Meer, spendest Segen allerwegen, Ostwärts geht dein Lauf, nimmst viel Bruder auf: Bild der Einigkeit für alle Zeit! [Lontano dalla Foresta Nera qua tu corri verso il mare dispensando benedizione ovunque. Verso l'oriente va il tuo corso, accogliendo molti fratelli, immagine di pace per tutti i tempi!] Alte Burgen Seh'n nieder von den Höh'n, grüssen gerne dich von ferne und der Berge Kranz, hell vom Morgen glanz, spiegelt sich in deiner Wellen Tanz. [Antichi castelli ti guardano dall'alto, salutano lieti da lontano e dalla corona dei monti, chiara dallo splendore del mattino, che si specchia nelle tue onde danzanti.]
[15]
Die Nixen auf dem Grund, die geben's flüsternd kund, was alles du erschaut, seit dem über dir der Himmel blaut. Drum schon in alter Zeit ward dir manch Lied geweiht; und mit dem hellsten Klang preist immer auf's Neu dich unser Sang. [Le sirene dal letto del fiume, sussurrano come il corso del fiume, tu sei udito da tutto ciò che sta sotto il cielo blu. Il rumore del tuo passaggio è una canzone di tempi lontani e con i suoni più brillanti non se li porta mai via.] Halt an deine Fluten bei Wien, es liebt dich ja so sehr! Du findest, wohin du magst zieh'n, ein zweites Wien nicht mehr! Hier quillt aus voller Brust der Zauber heit'rer Lust, und treuer, deutscher Sinn streut aus seine Saat von hier weithin. [Ferma il tuo corso a Vienna, che ti ama così tanto! In qualunque luogo in cui te ne andrai non troverai mai nessun luogo come Vienna! Qui si riversa a pieno petto la magia di desideri felici, e un sincero, germanico sentimento spande dal suo seme di qui molto lontano.]
KAISER-WALZER (VALZER DELL’IMPERATORE) OP.437 Kaiser-Walzer è un valzer di Johann Strauss figlio. Nell'autunno del 1889 Johann Strauss si esibì in 5 concerti in occasione della nuova apertura della sala da concerti Konigsbau a Berlino. Prima che il compositore partisse per la Germania, la stampa viennese diede l'annuncio che Strauss avrebbe presentato al suo editore di Berlino un nuovo valzer, dal titolo Mano nella Mano. Quel titolo faceva riferimento ai festeggiamenti che si erano svolti nell'agosto 1889 in occasione della visita dell'imperatore Francesco Giuseppe d'Austria all'imperatore di Germania Guglielmo II per rafforzare ancor di più i rapporti fra i due Imperi.
[I due Kaiser ai quali è dedicato il valzer: a sinistra Guglielmo II e a destra Francesco Giuseppe]
L'editore Fritz Simrock suggerì a Strauss che Kaiser-Walzer sarebbe potuto essere un titolo più adatto per l'opera: in questo modo il valzer sarebbe stato apparentemente dedicato ad entrambi i monarchi e in questo modo la vanità di entrambi sarebbe stata appagata. Fu così, con questo titolo, che questo valzer ebbe la sua prima esecuzione a Berlino il 21 ottobre 1889. Maestosità e fasto sono le componenti di questo valzer: da un inizio leggero e delicato si arriva ad un crescendo che irrompe fragoroso in tutta la sua maestosità. Chi ascolta si troverà nelle atmosfere della Vienna imperiale dove è palpabile la presenza di un vecchio imperatore legato alle tradizioni e alla vita militare di un tempo. ♫♫ Musicalmente caratterizzante è l'introduzione con tempo di marcia lenta, a cui segue il primo valzer proprio come una cordiale “stretta di mano”. La composizione è costituita da tre diversi valzer [16]
che si alternano tra di loro. Una fanfara suonata dalle trombe, un potente rullo di tamburi ed un fragoroso suono degli ottoni chiudono il brano.
GESCHICHTEN AUS DEM WIENERWALD (STORIELLE DEL BOSCO VIENNESE) OP. 325 La prima edizione per pianoforte del valzer Geschichten aus dem Wienerwald, oltre a raffigurare scene di vita quotidiana degli abitanti dei boschi viennesi, recava anche la dedica al principe Constantin Hohenlohe-Schillingsfürst. Il valzer ebbe la sua prima esecuzione proprio nel palazzo del principe a Vienna, durante l'estate del 1868, riscontrando da subito il favore del nobile dedicatario e della sua corte; anche le successive esecuzioni pubbliche del valzer ottennero uno straripante successo. L’ambientazione
è
romantica
ed
evoca
le
passeggiate nel bosco viennese, tanto care ai cittadini viennesi, lungo le pendici boscose delle Alpi Orientali, nella zona situata a nord-ovest di Vienna. Tale atmosfera bucolica venne ricreata da Strauss anche grazie all'uso di uno strumento come la cetra e ai ritmi tipici del ländler nell'introduzione e nella coda; in tal modo Strauss volle sottolineare gli stretti legami esistenti tra il valzer viennese e la rustica musica contadina della Bassa Austria. Molti di questi aspetti tipici della vita contadina vennero anche raffigurati sulla prima copertina dell'edizione per pianoforte, assieme ad altri personaggi ripresi mentre svolgono attività comuni della vita di campagna: giovani amanti che si godono un momento di isolamento, uomini che giocano ai birilli altri ancora che vanno a caccia e, ovviamente, il suonatore di cetra. ♫♫ Dopo la lunga introduzione, il valzer si avvia, lento e suadente, a piena orchestra sfoderando i suoi colori, e poi continua come per non finire mai, inghiottito dal dolce e fascinoso gorgo di quelle storie viennesi.
FRÜHLINGSSTIMMEN (VOCI DI PRIMAVERA) OP. 410 E’ un valzer di Johann Strauss figlio. L'autunno del 1882 vide Strauss impegnato a Budapest per curare la prima rappresentazione dell'operetta Der lustige Krieg (“L'allegra guerra”). Durante lo svolgimento di una delle serate in onore della visita del musicista viennese, fu Strauss stesso ad esibirsi al pianoforte con un altro degli [17]
illustri ospiti della serata, Franz Liszt. I due compositori si conoscevano già molto bene da almeno 30 anni e si incontrarono in numerose altre occasioni. Fu questa visita che fornì l'ispirazione per la scrittura del valzer Frühlingsstimmen. Strauss, dopo il successo che aveva ottenuto con i suoi valzer corali, fu felice di scrivere un brano per sola voce e il librettista Richard Genée scrisse anche il testo per il nuovo valzer. Compose questo valzer per il soprano austriaco Bianca Bianchi (il cui vero nome era Bertha Schwarz) [nella foto], nota ed acclamata cantante del Wiener Hopfoperntheater (Teatro dell'opera reale di Vienna). Il valzer fu eseguito per la prima volta al Theater an der Wien il 1º marzo 1883 ad un concerto di beneficenza per la fondazione degli indigenti
dell'Impero
austro-ungarico
fondata
dall'imperatore
Francesco Giuseppe e dall'imperatrice Elisabetta (Sissi). Successivamente il valzer venne arrangiato da Johann in versione solamente orchestrale e fu eseguito in questa forma, oggi celeberrima, da Eduard Strauss durante uno dei suoi concerti al Musikverein nel 1883. Durante il Concerto di Capodanno del 1987, Herbert von Karajan inserì nel programma il valzer Frühlingsstimmen eseguendolo nella versione vocale originale con il soprano Kathleen Battle. Qui di seguito riporto il testo del valzer scritto dal librettista Richard Genée: Die Lerche in blaue Höh entschwebt, der Tauwind weht so lau; sein wonniger milder Hauch belebt und küßt das Feld, die Au. Der Frühling in holder Pracht erwacht, ah alle Pein zu End mag sein, alles Leid, entflohn ist es weit! Schmerz wird milder, frohe Bilder, Glaub' an Glück kehrt zurück; Sonnenschein, ah dringt nun ein, ah, alles lacht, ach, ach, erwacht! [L’allodola fa la sua comparsa nel blu, il dolce vento che soffia leggermente; il suo bel respiro lieve ravviva e bacia il campo, il prato. La Primavera sorge in tutto il suo splendore, ah tutte le difficoltà son finite, i dolori diventano miti, buone aspettative, la fede nella felicità restituisce; il sole, è caldo, ah, tutto ride, oh, oh, si risveglia!] Da strömt auch der Liederquell, der zu lang schon schien zu schweigen; klingen hört dort wieder rein und hell süße Stimmen aus den Zweigen! Ah leis' läßt die Nachtigall schon die ersten Töne hören, um die Kön'gin nicht zu stören, schweigt, ihr Sänger all! Voller schon klingt bald ihr süßer Ton. Ach ja bald, ah, ah ja bald! Ah, ah, ah, ah! [Una fontana di canzoni è in aumento, dopo che è stata in silenzio per troppo tempo; suoni chiari, leggeri e la voce di nuovo! Ah, delicatamente consentono all'usignolo di cantare le prime note, a patto di non disturbare la regina; [18]
Tacciano, tutti gli altri cantanti! Presto e più potente si risveglia la sua dolce voce. Oh, presto, oh, presto! Ah, ah, ah, ah!] Sang der Nachtigall, holder Klang, ah ja! Liebe durchglüht, ah, ah, ah, tönet das Lied, ah und der Laut, süß und traut, scheint auch Klagen zu tragen, ah ah wiegt das Herz in süße Träumerein, ah, ah, ah, ah, leise ein! [Oh, il canto dell'usignolo, dolce suono, ah sì! Incandescente con amore, ah, ah, ah, suoni la canzone, ah, e il suono, che dolce e accogliente, sembra che trasporti via una nota di malinconia, ah, ah, da cuore di pietra a dolci sogni, ah, ah, ah, ah, molto delicatamente!] Sehnsucht und Lust, ah ah ah wohnt in der Brust, ah, wenn ihr Sang lockt so bang, funkelnd ferne wie Sterne, ah ah zauberschimmernd wie des Mondes Strahl, ah ah ah ah wallt durchs Tal! Kaum will entschwinden die Nacht, Lerchensang frisch erwacht, ah, Licht kommt sie künden, Schatten entschwinden! ah! Ah des Frühlings Stimmen klingen traut, ah ja, ah ja ah o süßer Laut, ah ah ah ah ach ja! [Nostalgia e desiderio, ah, ah, ah, vivono nel mio seno, ah, la canzone con ansia mi richiama, da lontano lo scintillio delle stelle, ah, ah, magia luccicante come la luce lunare, ah, ah, ah, ah, ondeggia attraverso la valle! Svanisce come la notte, l'allodola comincia a cantare, ah, una piacevole promessa, come ombre svanisce! Ah! Ah le voci di primavera suonano come casa, Ah sì, ah sì, oh dolce suono, ah, ah, ah, ah, ah si!]
KÜNSTLERLEBEN (VITA DA ARTISTA) OP. 316 E’ un valzer di Johann Strauss figlio. Analogamente al valzer An der schönen Blauen Donau, anche il valzer Künstlerleben appartiene alla serie di composizioni che vennero create in occasione dei festeggiamenti per il Carnevale del 1867, alle quali fu affidato il delicato compito di riportare allegria e gioia di vivere durante i festeggiamenti di quell'anno, profondamente turbato dalla pesante sconfitta militare subita ad opera dei prussiani nella battaglia di Königgrätz (estate 1866). I tre fratelli Strauss fecero pieno ricorso a tutte le loro doti creative al fine di poter creare delle melodie che potessero assolvere a questo delicato impegno il meglio possibile. Nonostante le avversità, e contro ogni aspettativa, gli Strauss riuscirono nel loro intento (soprattutto nel caso di Johann e Josef) e i loro lavori riportarono nei viennesi la voglia di ricominciare a vivere.
[19]
Il valzer Künstlerleben, che Johann Strauss stesso eseguì per la prima volta in occasione del ballo Hesperus nel Dianabad-Saal il 18 febbraio 1867 (appena tre giorni dopo la prima di An der schönen Blauen Donau), venne dedicato a tutti gli artisti che come scultori, pittori, poeti,
scrittori
e
musicisti
contribuivano a fare di Vienna un importante centro culturale. Al pubblicò viennese bastò ascoltare una sola volta
Künstlerleben per
decretarlo capolavoro del Carnevale di Vienna 1867, e quando Strauss si recò a Parigi alla fine di maggio per iniziare una serie di concerti, sua moglie Henriette, che lo accompagnava, scrisse ad un amico di Vienna una lettera nella quale riferiva del grande successo che il marito stava ottenendo nella capitale francese.
ROSEN AUS DEM SÜDEN (ROSE DEL SUD) OP. 388 Johann Strauss figlio compose il valzer Rosen aus dem Süden, assemblando vari motivi dalla sua operetta Das Spitzentuch der Königin (Il fazzoletto di pizzo della regina), che ebbe la sua prima al Theater an der Wien di Vienna il 1º ottobre 1880. Il valzer racchiude al suo interno alcune delle più belle arie dell'operetta, due arie che già avevano ricevuto la lode alla prima rappresentazione, quella del re nel primo atto Stets kommt mir wieder in den Sinn (il ritornello che Strauss sostenne di aver dovuto riscrivere per ben 12 volte) e la romanza di Cervantes del secondo atto Wo die Wilde erblht Rose. Di particolare interesse sono le due versioni per pianoforte pubblicate dall'editore Cranz nel mese di ottobre del 1880. La prima non ha grandi particolarità, sulla copertina mostrava il titolo del valzer con illustrate rose e rami di palma intrecciati in un fazzoletto di pizzo. La seconda versione, invece, mostrava alcune differenze: sulla copertina erano illustrate delle rose intrecciate lungo una veranda e sullo sfondo un vulcano (presumibilmente il Vesuvio). Questa versione per piano riportava una personale dedica di Johann Strauss: "Nel più profondo rispetto a sua Maestà Umberto I, re d'Italia"
[20]
WEIN, WEIB UND GESANG! (VINO, DONNE E CANTO!) OP.133 Questo valzer di Johann Strauss figlio era particolarmente amato da Richard Wagner. Un’ampia introduzione piuttosto solenne e prescritta come un “andante quasi religioso” precede l’accelerazione tipica del valzer più volte interrotta e poi ripresa: Strauss voleva dire che il gusto della vita va conquistato, prima di essere goduto fino all’ebbrezza, accelerando, volando via. Questa composizione fu eseguita per la prima volta, nella forma di valzer corale, dalla Wiener-Verein Mannergesang (Associazione corale maschile di Vienna) durante la festa di Carnevale che si tenne nella Dianabad-Saal di Vienna il 2 febbraio 1969. Fu dedicato a Johann Ritter von Herbeck, direttore imperiale di corte. Wein, Weib und Gesang! trovò la lode unanime dalla stampa e l'opinione pubblica decretò tale valzer come uno dei migliori scritti dal compositore.
WIENER BLUT (SANGUE VIENNESE) OP. 354 Sulle note di uno dei valzer che diventerà tra i più famosi al mondo avviene il primo incontro fra la musica di Strauss e l’orchestra dei Wiener Philharmoniker. Vienna è in festa per le nozze tra l’arciduchessa Gisella d'Asburgo-Lorena (la maggiore dei figli dell'imperatore austriaco Francesco Giuseppe e di Elisabetta di Baviera) e il principe Leopoldo di Baviera a Vienna, avvenute il 20 aprile 1873. Scrisse un critico: “Noi non crediamo di esagerare con la nostra lode, se eleggiamo questo lavoro tra i migliori del nostro amato re del valzer. Questo pezzo di danza è una vera e propria collezione di brani viennesi, pieno di melodie e ritmi elettrizzanti.” E un altro critico ancora così si espresse: “Sicuramente uno dei migliori valzer che Johann Strauss ha scritto negli ultimi anni. In questo valzer, alle volte sfacciato, a volte sentimentale, scorre fresco, libero e rosso il sangue viennese!”
[21]
♫♫ Wiener Blut ha una introduzione insolitamente veloce. Esplode quindi la danza che continua a volteggiare, girando attorno a melodie diverse e a cambi di velocità. Lineare e semplice, la vena melodica di Strauss scorre attraverso le varie parti di questa pagina, giungendo ad una coda che presenta il ritorno del valzer iniziale. Cresce la sonorità fino ai suoni ripetuti dei piatti che coronano con tutta l’orchestra la conclusione.
DIE FLEDERMAUS (IL PIPISTRELLO) E’ la più celebre operetta di Johann Strauss; il libretto è di Carl Haffner e Richard Genée, ricavato dalla commedia francese La reveillon di Henri Meilhac e Ludovic Halévy. Strauss, contattato dal Max Steiner, co-direttore del Theater an der Wien, fu subito affascinato dal Doktor Fledermaus (questo era il titolo originariamente pensato per il libretto di Genée) e si mise al lavoro subito. Lavorando in stretta collaborazione con il suo librettista, completò la maggior parte della partitura musicale in soli 42 giorni. Il debutto per Die Fledermaus, titolo che alla fine venne scelto per l'operetta, avvenne al Theater An der Wien, di Vienna, con lo stesso Strauss sul podio, il 5 aprile 1874, giorno di Pasqua ma con scarso successo: i critici non gradirono il libretto, giudicarono severamente la messa in scena e trovarono banali alcuni brani. Il pubblico invece ne decretò un successo pieno e duraturo, e già solo dopo due anni l’operetta di Strauss contava oltre cento repliche nella sola Vienna. Oggi è, insieme a “La vedova allegra” di Lehar, l’operetta più applaudita nel mondo, anzi per molti è sinonimo dell’operetta stessa. Die Fledermaus è un’operetta di natura assolutamente frivola e farsesca. E’ celeberrima l’Ouverture che richiama i vari temi presenti nell’operetta. Il valzer che riposa, rinasce, si placa, ancora ritorna, come il volo notturno del Pipistrello, è uno dei brani più noti di Strauss.
DELIRIEN-WALZER (VALZER DEI DELIRI) OP. 212 Questo valzer molto ampio fu scritto da Josef Strauss nel 1867. Nel più articolato trattamento dell’armonia, nel peso dell’orchestra, nell’idea fissa che lo percorre, questo valzer riflette l’influenza che su Josef ebbe la musica di Wagner.
[22]
TRITSCH-TRATSCH POLKA (POLKA DEL CHIACCHIERICCIO) OP. 214 La polka è un ballo che trae origine da alcune danze popolari diffuse in Boemia all'inizio dell'800, di cui è un'evoluzione. La sua origine è sconosciuta. L'ipotesi più accreditata racconta che il maestro di musica Josep Neruda, che insegnava a Praga, si trovò ad osservare una contadina ballare e cantare; sui suoi passi e su quella melodia elaborò un ballo, la polka appunto, che lanciò prima a Praga e poi a Baden, dove ebbe un incredibile successo. Tritsch-tratsch polka è una polka veloce di Johann Strauss figlio. Conobbe da subito un successo sensazionale e il Wiener Allgemeine Theaterzeitung, nella sua edizione del 27 novembre 1858, scrisse: “L'enorme successo della TritschTratsch-Polka di Johann Strauss, che è stata ricevuta con gli applausi più tempestosi, verrà pubblicata nei prossimi giorni da Carl Haslinger. Non si vedeva una composizione di tale freschezza, divertente e piccante strumentazione da anni.» La composizione è veloce, energica, decisa, seduttiva.
ANNEN-POLKA Questa polka deve il proprio nome dalle celebrazioni per la giornata di Sant'Anna, ricorrenza che cade il 26 luglio 1852 (una delle più importanti festività del calendario viennese), anche se Johann presentò il suo nuovo lavoro due giorni prima, il 24 luglio, ad un festival all'aperto. Un reporter della stampa commentò: “Johann Strauss ha fatto un bel regalo a tutte le Anna, Ninas, Nanys, Nettchens etc, con la sua ultima polka, che ha intitolato Annen-Polka in loro onore. È piaciuta così tanto a causa della fascinosa, melodiosa e invitante melodia, che vi sono state ancora e ancora numerose richieste per riascoltarla.”
AUF DER JAGD! (A CACCIA!) OP. 373 E’ una polka veloce scritta da Johann Strauss figlio. [23]
Come altri pezzi, anche Auf der Jagd! viene da un’operetta e, negli anni, vive di vita propria, diventando ben più famosa del lavoro da cui proviene. L’operetta è Cagliostro in Wien del 1875, incentrata sulle truffe che il famoso imbroglione compie ai danni del popolo viennese durante le celebrazioni della cacciata dei turchi dalla città. La
prima
esecuzione
avvenne
ai
Volksgarten di Vienna il 5 ottobre dello stesso anno. ♫♫ Una galoppante prima sezione apre questa Schnellpolka, per concludersi con uno degli effetti sonori che Strauss ama usare per attirare l’attenzione e sorprendere: un colpo di pistola. La melodia si fa più cantabile, poco prima che i corni e gli ottoni annuncino l’avvistamento della preda. Inseguimento e spari a profusione. Riprende la prima sezione e la polka va verso la conclusione attraverso rapide scale discendenti, con colpi di piatti e suoni lunghi degli archi.
PIZZICATO-POLKA Assieme al fratello Josef, Johann inventò l’arabesca della Pizzicato-Polka. Il termine pizzicato indica l’esecuzione di un brano per strumenti ad arco facendone vibrare le corde, anziché con l’arco, con il polpastrello delle dita. In questa breve polka il passaggio delle dita sulle corde degli archi è dapprima piano, poi forte, poi ancora piano ma accelerando, poi svanendo gradualmente. Nonostante il grande successo del lavoro, è strano notare che Johann e Josef omisero la Pizzicato-polka dai loro successivi undici concerti e la reintrodussero solamente al loro spettacolo di beneficenza il 6 luglio 1869, quando il pezzo fu eseguito per un totale di sette volte.
UNDER THUNDER AND LIGHTNING (SOTTO TUONI E FULMINI) OP. 324 E’ una polka veloce di Johann Strauss figlio. [24]
La polka fu scritta per il ballo di carnevale dell'associazione degli artisti Hesperus e fu anche presentata in anteprima a questo evento il 16 febbraio 1868 nella Dianabad Hall. Inizialmente questa polka portava il titolo di Sternschnuppe (Stelle cadenti): si racconta
che il
musicista lo abbia ribattezzato Unter Donner und Blitz (Sotto tuoni e lampi), apportando anche modifiche all’orchestrazione per creare l’effetto temporale, perché proprio un fortunale aveva colto l’orchestra durante un’esecuzione. E’ forse il più rumoroso dei brani di Strauss: piatti e grancasse a volontà, fulmini e saette, ma l’atmosfera è assolutamente gioiosa. Ad oggi, è una delle composizioni più famose e popolari di Johann Strauss figlio. Appare frequentemente ai Concerti di Capodanno della Filarmonica di Vienna o viene spesso suonato come musica da registrazione nel secondo atto dell'operetta Die Fledermaus.
BANDITEN GALOPP OP. 378 Il Banditen-galopp appartiene a quella serie di brani che Johann Strauss arrangiò con le melodie della sua operetta Prinz Methusalem (Principe Matusalemme, 1877). Il titolo del galoppo deriva dalla presenza, nell'operetta, di banditi il cui intento è quello di spodestare il principe regnante. La melodia principale si trova nel duetto con coro del terzo atto, le altre melodie del brano provengono invece dal finale del primo atto.
ELJEN MAGYAR! (VIVA GLI UNGHERESI!) E’ una polka scritta da Johann figlio. Subito dopo la conclusione ufficiale del carnevale del 1869 (a Vienna), una serie di concerti avrebbe visto impegnati tutti e tre i fratelli Strauss nella cittadina ungherese di Pest. In coincidenza con l'apertura del nuovo Redoutensaal (Ridotto), i tre fratelli, per inaugurarlo, vi organizzarono 2 concerti il 16 e il 17 marzo. Qui vi fu la prima esecuzione della polka veloce di Johann, Éljen a Magyar!, composta appositamente per l'occasione e dedicata alla "nobile nazione ungherese". La polka, dall’andamento frenetico, venne costruita citando alcune melodie popolari magiare, care anche a Johannes Brahms; la coda del brano è liberamente ispirata alla Ràkòczi-Marsch, un canto tradizionale patriottico molto popolare in Ungheria, che già Hector Berlioz aveva utilizzato molto tempo prima per l'opera La dannazione di Faust (1846), sempre scritto in onore degli indipendentisti ungheresi. [25]
Il brano fu accolto con applausi trionfali e fu richiesto per molte volte durante il concerto.
DIE LIBELLE (LA LIBELLULA) OP. 204 E’ una polka mazurca di Josef Strauss. Josef era la parte introversa dell’espansiva famiglia Strauss. Al paragone con quelle del fratello Johann, le sue opere non risultano altrettanto brillanti e luminose: qualcosa di inquieto c’è sotto la superficie piana dei suoi valzer e delle sue polke, la cui strumentazione è comunque ricca e ben congegnata. Una sensazione indefinita, ma preziosa e interessante. Non del tutto allegro, ma neanche triste è lo stato d’animo che abita Die Libelle. ♫♫ L’inizio è sognante, danzante, con il movimento della libellula disegnato dai violini. Il clima di festa arriva con il tema principale e il canto diventa valzer nella più pura maniera di famiglia. Poi un attimo di sospensione e il motivo appena ascoltato ritorna a svolazzare letteralmente agli archi sostenuti dagli strumenti bassi. Marcetta e valzer si fondono per dare vita alla polka, che però resta contenuta, non trasborda mai in sfrenata allegria, quasi le emozioni vi siano intrappolate dentro. Più grazia che ardore, più serenità che divertimento.
PERPETUUM MOBILE (MOTO PERPETUO) OP.257 E’ uno scherzo musicale di Johann Strauss figlio. Nella terminologia musicale si suole dare questo nome a composizioni svolte interamente sulla stessa figurazione, e che sono quasi sempre destinate a porre in rilievo il virtuosismo dell'esecutore. Esempî notissimi sono l'op. 11 di Nicolò Paganini, il finale della 1ª sonata, op. 14, di Carl Maria von Weber e il finale della Sonata per violino e pianoforte di Maurice Ravel. Il lavoro di Strauss fu eseguito per la prima volta il 4 aprile 1861 nel sobborgo viennese di Rudolfsheim ad un concerto di addio di Johann prima della sua partenza per la Russia. Johann riconobbe subito il problema di trovare un modo adatto per terminare il brano: fu così che, ancora oggi, viene terminato con le parole “Und so weiter...” (E così continua...).
DER ZIGEUNERBARON (LO ZINGARO BARONE) Dopo Die Fledermaus, questa è ancora oggi l'operetta più celebre di Johann Strauss.
[26]
Nel mese di novembre 1883, Strauss prese la decisione di scrivere la musica per il libretto tratto da un romanzo di Jókai, Saffi. Di comune accordo venne deciso che il titolo per la nuova operetta sarebbe stato Der Zigeunerbaron (Lo Zingaro Barone). La prima esecuzione, diretta dal compositore, ebbe un successo trionfale. Il critico del Fremden Blatt commentò: “L'uomo che per decenni ha deliziato il mondo degli amanti della musica attraverso le sue creazioni, sembra ora aver raggiunto l'apice della sua potenza creativa.” Il recensore per il Morgen Blatt, non meno impressionato da quello che aveva assistito, scrisse: “La musica di Johann Strauss è stata una vera sorpresa sotto tutti gli aspetti, è certamente più accuratamente lavorata e più ricca la strumentazione di qualsiasi delle sue precedenti operette. In secondo luogo, viene un notevole sforzo per eguagliare lo stile della grande opera, determinato probabilmente dal libretto... Il primo finale, con la sua grande tensione, l'energia e l'utilizzo efficace di tutti i colori della tavolozza musicale, scoppia dalla forma artistica di un'operetta, ma potrebbe tenere il confronto con una grande opera.” Una delle arie di maggiore bellezza dell'operetta è quella che viene cantata da Sándor Barinkay, il giovane esiliato e poi ritornato nella sua casa natale in Ungheria, quando finalmente ritrova il tesoro nascosto molti anni prima dal padre. Insieme a Saffi e Czipra, Barinkay canta il valzer dall'atto 2° Ha, winkt di es di seht, es blinkt es klingt. La melodia in questione rappresenta la parte principale del valzer che Johann Strauss rielaborò sulle melodie della sua operetta e che intitolò Schatz-walzer (valzer del tesoro). E’ famosa anche la Marcia, dai toni esaltanti e festosi.
NAPOLEON-MARSCH (MARCIA DI NAPOLEONE), OP. 156. E’ una marcia di Johann Strauss figlio. Nell'autunno del 1854 Johann Strauss prese una delicata decisione politica: compose una marcia e la dedicò "Con la più profonda riverenza alla sua maestà Napoleone III (1808-73), imperatore di Francia (185270)". Con tale azione prese le parti in una controversia che, sullo sfondo della guerra di Crimea, aveva diviso la popolazione austriaca e, soprattutto, quella della capitale Vienna. A novembre di quello stesso anno fu annunciato dalla stampa viennese che: “Sua Maestà, l'imperatore Napoleone III, è stato lieto di accettare la [27]
dedica della Napoleon-Marsch composta da Johann Strauss. Da parte sua, il monarca francese ha espresso la sua gratitudine verso il giovane viennese Musikdirektor con un prezioso dono.” La Napoleon-Marsch ebbe un notevole successo come composizione musicale: l'Österreichischer Zuschauer la considerò "davvero scintillante e pieno di vita". La sua caratteristica è il ritmo marziale in crescendo che conferisce a questa composizione pomposità di carattere militare trionfalistico.
RADETZKY MARSCH La Radetzky Marsch è una marcia militare composta da Johann Strauss padre in onore dell’ottantaduenne feldmaresciallo verso la fine di agosto del 1848, per celebrare la sua vittoria contro gli italiani. Johann Joseph Wenzel, conte di Radetzky, era riuscito a sconfiggere l’esercito piemontese dopo una dura campagna di guerra, conclusasi con il ritorno degli austriaci a Milano e l’armistizio di Salasco del 9 agosto. A Vienna questa vittoria venne accolta con grande gioia dalla maggioranza della popolazione, fedele alla monarchia asburgica. L'intraprendente Friedrich Pelikan, funzionario statale e anche proprietario del ”Cafè-pavilion” sulla Wasserglacis di Vienna, colse al volo la vittoria di Radetzky per organizzare per la sera del 31 agosto 1848 nel suo Cafè-pavilion un "Festival per la Gran vittoria, con allegorica e simbolica rappresentazione e luminarie eccezionali, in onore dei nostri coraggiosi soldati in Italia, e per beneficenza ai soldati feriti". I volantini che pubblicizzarono l'evento del 31 agosto annunciarono anche che il direttore dei balli imperiali di corte, Johann Strauss, avrebbe diretto la musica avendo l'onore di dare l'anteprima, tra i vari brani musicali, anche di una nuova marcia dal titolo Radetzky-Marsch, composta in onore del comandante e dell'esercito imperiale. Vuole la tradizione che la marcia venne creata in sole due ore, poco prima dell’evento stesso. Il successo della Radetzky Marsch fu evidente sin dalla sua prima esecuzione. Ancor oggi questa marcia viene eseguita con frequenza in Austria, in molte celebrazioni pubbliche e in molte rievocazioni storiche. E’ divenuto uno dei pezzi musicali più eseguiti in Europa e nel resto del mondo. Gran parte della sua celebrità deriva dal fatto che la Radetzky Marsch chiude tradizionalmente, dagli anni ’50, il Concerto di Capodanno che si svolge ogni anno a Vienna, al Musikverein. Immancabilmente, secondo la consuetudine, il pubblico presente in sala partecipa attivamente [28]
all’esecuzione battendo il tempo con le mani; lo stesso direttore d’orchestra si volta verso la platea e dirige tutti i presenti nella sala, conducendoli come fossero un altro strumento dell’orchestra. Nella foto Karajan “dirige” il pubblico. Solo Carlos Kleiber non voleva eseguirlo perché di scarso valore, ma il pubblico lo obbligò a suonarlo. Questa abitudine a battere le mani, per chi in Austria conosce il significato dell’opera, ha spesso un duplice valore, uno istintivamente musicale e ritmico, un altro di gioia ed approvazione per la vittoria di Radetzky, per la sua marcia trionfale sui terreni italiani di guerra nel 1848, dalla battaglia di Custoza alla rioccupazione di Milano. Viene da chiedersi quanti italiani abbiano battuto e battano ancor oggi le mani alla fine del concerto di Capodanno, senza conoscere questo significato storico, tragico per l’Italia. Non dobbiamo dimenticare che il feldmaresciallo austriaco nella battaglia di Curtatone massacrò centinaia di studenti toscani venuti a combattere per l'indipendenza; che a Custoza umiliò il re Carlo Alberto; poi assediò e vinse per fame e colera la Repubblica veneziana del 1849 e, nominato Governatore generale del Lombardo Veneto, fece eseguire mille condanne a morte di patrioti e diede l'ordine di saccheggiare le case e i palazzi di chi era sospettato di aver simpatizzato con i primi moti del Risorgimento. Vi sono attualmente polemiche sull’ideologia nazista collegata a questa Marcia: ne parleremo a pag. 44 di questa Rivista. ♫♫ Dal punto di vista strettamente musicale è una marcia militare ben costruita, accompagnata dai rulli di tamburo e dalle fanfare: è sfarzosa, trionfante e dal ritmo trascinante, ammiccante verso il pubblico, perfetta per una sfilata di truppe vittoriose.
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La Musica degli Strauss: la discografia La bellezza e la popolarità della musica della famiglia Strauss ha prodotto la nascita di numerose incisioni sul mercato discografico, non sempre di ottimo livello. Questa guida vi presenta le incisioni che per bravura degli interpreti e qualità tecnica meritano di essere ai vertici e pertanto – a mio parere – assolutamente consigliabili.
Strauss: Waltzes, Polkas & Marches Wiener Philharmoniker, dir. Willi Boskovsky Decca London (6 CD) Se tra i grandi Direttori (e violinisti) del Novecento dovessimo scegliere un viennese purosangue, la scelta cadrebbe senza dubbio sul Maestro Willi Boskovsky. Nato nella capitale austriaca (allora austroungarica) nel 1909, Boskovsky fu Primo violino di spalla dei Wiener Philharmoniker dal 1939 al 1971, e ancor oggi detiene il record (presumibilmente imbattibile) nella direzione del popolarissimo Concerto di Capodanno di Vienna, trasmesso in tutto il mondo il 1° gennaio di ogni anno direttamente dalla Sala d'Oro Musikverein: ben 25 edizioni, che lo videro protagonista come direttore e primo violino (nel pieno rispetto dello stile di Strauss, che dirigeva la sua
orchestra
sempre
imbracciando
il
fedele
archetto)
ininterrottamente dal 1955 al 1979. Non solo: Boskovsky era tra gli orchestrali sin dalla prima edizione Concerto di Capodanno, nel 1939, allorquando Clemens Krauss propose una selezione di musiche degli Strauss con l'intento di muovere le coscienze in una Vienna da pochi mesi occupata militarmente dai nazisti. A Boskovsky va riconosciuta una vera e propria devozione per lo sterminato profluvio di valzer, polke e marce della famiglia Strauss che lo hanno portato a incidere, tra il 1958 e il 1976, questa che ancora oggi è l'edizione di riferimento per chi voglia avere un panorama completo, ricco e approfondito del genere. Eccelsa, ovviamente, è la performance dei Wiener Philharmoniker, che assecondano il loro Maestro concertatore col suono ricco e fastoso che da sempre li contraddistingue. Boskovsky e i Wiener Philharmoniker diventano così un tutt'uno, che restituisce meravigliosamente la fiabesca e sfavillante atmosfera delle vecchie glorie della capitale austroungarica, trasportandoci, attraverso i suoi ritmi vorticosi, in un viaggio fatto ora di magici boschetti (Le storielle del bosco viennese), ora di sfarzose stazioni termali (Thermen-Walzer), sino al festoso mondo dell'operetta (con tutti i valzer dalle più celebri operette di Strauss) e alle celeberrime pagine del Bel Danubio Blu, delle Rose del Sud, delle Voci di primavera, del Sangue Viennese, di Vino, Donne e Canto, non senza [30]
assistere prima alle sfilate marziali della Napoleon-marsch, della Marcia per l'anniversario di Francesco Giuseppe e dell'immancabile Marcia di Radetzky. Non mancano le rarità, che vedono impegnati anche gli effetti speciali più stravaganti, dai colpi di fucile di Auf der Jagd alle tonuanti deflagrazioni della Explosion-polka, sino all'esplosione dei tappi di champagne nella Champagner-polka e ai colpi d'incudine della Feuerfest. In questi sei cd è dunque raccolta tutta la magia dello spirito viennese degli Strauss, affidata a un Maestro che ne fu devoto interprete e che ne ha assicurato con impegno e mirabile cura la celebrità planetaria. Le incisioni, effettuate nell'arco di quasi un ventennio (1958-1976), sono tutte in ADD; in quelle meno recenti è possibile avvertire qualche segno del tempo, pur ferma restando la garanzia dell'ottima ripresa sonora firmata Decca.
Johann Strauss, padre: Piefke und Pufke-Polka, Op. 235 - Radetsky March, Op. 228 - Loreley-RheinKlänge, Walzer, Op. 154 Johann Strauss, figlio: An der schönen, blauen Donau, Op. 314 - Auf der Jagd, Op. 373 - Frühlingsstimmen Walzer Op. 410 - Pizzicato Polka - Egyptischer Marsch, Op. 335 - Tritsch-Tratsch Polka, Op. 214- KarnevalsBotschafter, Waltz, Op. 270 - Annen-Polka, Op. 117 - Geschichten aus dem Wienerwald, Op. 325 Demolirer-Polka, Op. 269 - Du und Du Walzer, Op. 367 - Spanischer Marsch, Op. 433 - Stürmisch in Lieb' und Tanz, Op. 393- Lagunen-Walzer Op. 411 - Freut euch des Lebens Waltz, Op. 340- Perpetuum Mobile, Op. 257 - Wein, Weib und Gesang, Op. 333 - Im Krapfenwald'l, Polka française, Op. 336 - Tausendundeine Nacht, Op. 346: Walzer nach Motiven der Operette - Napoleon-Marsch, Op. 156 (1854) - Wiener Blut Waltz, Op. 354 - Champagner-Polka, Op. 211 - Wiener Bonbons Walzer, Op. 307 - Liebeslieder-Walzer, Op. 114 -Eljen a Magyar Schnell-Polka, Op. 332 - Künstlerleben, Op. 316 - Banditen-Galopp, Op. 378 Russischer Marsch - Unter Donner und Blitz, Op. 324 - Morgenblätter Walzer, Op. 279 - Kaiser Franz Joseph I. Rettungs-Jubel-Marsch Op. 126 - Rosen aus dem Süden, Op. 388 - Vergnügungszug, Op. 281 Kaiser-Walzer, Op. 437 - Leichtes Blut, polka schnell, Op. 319 - Es gibt nur a Kaiserstadt, 's gibt nur a Wien, Polka, Op. 291 - Schnee-Glockchen, Op. 143 - Accelerationen, Op. 234 - Bitte Schon, Polka, Op. 372 Persischer Marsch, Op. 289 - Tik-Tak Polka, Op. 365 - Fledermaus-Quadrille, Op. 363 - Orpheus-Quadrille, Op. 236 - Bei uns z'Haus Waltz, Op. 361 - Nordseebilder Op. 390 - Freikugeln-Polka, Op. 326 - Mephisto's Hollenrufe, Waltz, Op. 101 - Auf's Korn! Bundesschützenmarsch Op. 478 - Erinnerung an Covent-Garden, Op. 329 - Bitte Schon, Polka, Op. 372 - Wein, Weib und Gesang, Op. 333 - Bei uns z'Haus Waltz, Op. 361 Tik-Tak Polka, Op. 365 - Auf der Jagd, Op. 373 - Leichtes Blut, polka schnell, Op. 319 Josef Strauss: Dynamiden - Waltz Op. 173 - Die Schwätzerin - Polka-Mazur Op. 144 - Jockey Polka, Op. 278 - Sphärenklänge, Op. 235 - Feuerfest (Fireproof), Op. 269 - Eingesendet, Op. 240 - Brennende Liebe Polka mazur, Op. 129 - Aquarellen - Waltzer, Op. 258 - Frauenherz-Polka Op. 166 - Auf Ferienreisen - Polka schnell, Op. 133 - Dorfschwalben aus Österreich waltz, Op. 164 - Delirien Waltz, Op. 212 - Die Emancipirte, Polka mazur, Op. 282 - Ohne Sorgen! - polka schnell, Op. 271 -Mein Lebenslauf ist Lieb' und Leben waltz, Op. 263 - Extempore, Op. 241 - Rudolfsheimer-polka - Mein Lebenslauf ist Lieb' und Leben - waltz, Op. 263 - Die Emancipirte, Polka mazur, Op. 282 - Moulinet-Polka - Pizzicato Polka - Rudolfsheimer-polka Sphärenklänge, Op. 235 Eduard Strauss: Fesche Geister, Walzer Op. 75 - Mit Extrapost, Op. 259 - Ohne Bremse Op. 238 Polka schnell
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Johann Strauss: Waltzes, Marches & Polkas Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan Deutsche Grammophon Duo In questo doppio CD della DGG sono raccolte tutte le incisioni di walzer, polke e marce effettuate da Karajan coi Berliner nei primissimi anni Ottanta. La grande domanda che molti si pongono è se Herbert von Karajan e i Berliner Philharmoniker possano interpretare Johann Strauss con il calore, lo spirito e la "Leichtes Blut" (leggerezza del cuore) che la sua musica richiede, ma l’esito dei brani presenti in questi due dischi è invece stupefacente, soprattutto per l’atmosfera che vi si respira. Ascoltando le varie musiche, la percezione di fondo è quella di una nostalgia tutta particolare del direttore austriaco per il grande Impero perduto, l'Austria felix, per la sua variegata cultura, il suo spirito, la sua immensa eredità. Karajan infatti, nato a Salisburgo ancora sotto l'Aquila bicipite nel 1908, ricordò in varie interviste la sua meraviglia quando, ancora bambino, sentì parlare della Grande Guerra e, adolescente, vide dissolversi e declinare il potere asburgico. Nostalgia che traspare anche dalle immagini del celebre Concerto di Capodanno del 1987 (l'unico diretto dal grande Maestro). Un Karajan da scoprire e riscoprire ad ogni ascolto, malinconico e gioiosamente fastoso allo stesso tempo. Splendida la registrazione digitale. Questa è una delle migliori registrazioni di Strauss che sia possibile ascoltare, imperdibile!
Disco 1: An der schönen blauen Donau, op. 314 - Eljen a Magyar, op. 332 - Accelerationen, op. 234 Persischer Marsch, op. 289 – Overture - Leichtes Blut, polka schnell, op. 319 - Künstlerleben, op. 316 Unter Donner und Blitz, Polka, op.3 24 - Kaiserwalzer, op. 437 - Tritsch-Tratsch-Polka, op. 214 - Rosen aus dem Süden, op. 388 Disco: 2: Ouverture - Annen-Polka, op. 117 (Arr. Max Schönherr) - Wein, Weib und Gesang, op. 333 - Auf der Jagd, op. 373 - Radetzky-Marsch, op. 228 - Sphärenklänge, op. 235 (Arr. Max Schönherr) - Perpetuum mobile, op. 257 - Delirien Waltz, op. 212 - Geschichten aus dem Wienerwald, op. 325 - Die FledermausQuadrille, op. 363 - Wiener Blut, op. 354 - Napoleon-Marsch, op. 156
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Johann Strauss: Walses et Polkas Berlin Radio Symphony Orchestra, dir. Ferenc Friscay Deutsche Grammophon In questo splendido CD, Ferenc Fricsay dà l'ennesima prova della sua maestria dirigendo celebri walzer e polke di Johann Strauss (padre e figlio), portando questi celebri pezzi fuori dalla routine esecutiva e riservando incantevoli sorprese d'ogni tipo. Stupefacenti i tempi serrati dell'Overture del "Pipistrello" e della Tritsch-Tratsch Polka, le danze vorticose della Polka ungherese "Elien a Magyar" (solo Fricsay – ungherese - poteva renderla così scintillante!) e l'atmosfera sognante di un "Bel Danubio blu" indimenticabile, il tutto coronato da un cavallo di battaglia di Fricsay, le belle "Leggende della foresta viennese". Con la sua bravura, il direttore ungherese è capace di rendere singolare persino l'usurata Marcia di Radetzky, dove le percussioni e l'ottavino emergono sull'orchestra con un effetto sorprendente! Complice di questo miracolo (siamo nel 1961) è la Radio-Symphonieorchester Berlin, fra le predilette orchestre del Maestro, che nella sua breve vita fu anche sul podio dei Berliner e dei Wiener. Interpretazioni che - per quanto la qualità del suono non sia eccellente - si collocano ai massimi livelli dell'interpretazione straussiana, certamente alla pari con quelle memorabili dei due Concerti di Capodanno di Carlos Kleiber.
Johann Strauss figlio: Il pipistrello, Ouverture; Annen-Polka, Polka Francaise, op. 117; Valzer dell i pe ato e,àop.à ;àT is h-Trasch Polka, op. 214; Il bel Danubio blu, op. 314; Elien A Magyar ! Polka ungherese veloce, op. 332; Leggende del bosco viennese op. 325. Johann Strauss padre: Marcia di Radetzky, op. 228
Johann Strauss figlio: Die Fiedermaus Julius Patzak, Hilde Gueden, Alfred Poell, Wilma Lipp, Sieglinde Wagner, Kurt Preger, Anton Dermota, August Jaresch Wiener Staatsopenchor - Wiener Philharmoniker, dir. Clemens Krauss Decca Eloquence
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Questo Fiedermaus del 1950 è considerato al vertice di tutte le interpretazioni di questa celeberrima operetta, e Clemens Krauss si conferma tra i migliori direttori di sempre del genere valzer viennese. In questa registrazione c'è una esplosiva gioia di vivere nonostante la tristezza della vita nella Vienna ancora occupata nel 1950, che non è stata eguagliata in nessun’altra performance. Inoltre, i solisti sono tra i migliori prodotti da Vienna e sono tutti eccellenti. I Wiener sono sempre magnifici, e il loro suono incanta.
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Il Concerto di Capodanno di Vienna STORIA A partire dal marzo del 1870 Eduard Strauss diresse un concerto ogni domenica pomeriggio nella grande sala del Musikverein a Vienna.
A queste esibizioni, denominate Concerti-promenade
sull'esempio di quelli londinesi, talvolta interveniva anche Johann, e non di rado in queste occasioni Eduard ebbe l'occasione di dirigere anche la prima esecuzione di alcune opere del fratello. Ebbe così inizio da allora il connubio fra la musica degli Strauss e la sede degli Amici della Musica, connubio che perdura ancora oggi: il tradizionale Concerto di Capodanno del 1° Gennaio è offerto dai Wiener Philharmoniker agli Amici della Musica di tutto il mondo ed ha luogo proprio nella sala dorata del Musikverein. Il primo Concerto di Capodanno di Vienna risale al 1939. Lo storico Fritz Trümpi ha dimostrato che il concerto faceva parte della macchina di propaganda di Joseph Goebbels e cita un contratto tra la Filarmonica di Vienna e il Reichsrundfunkgesellschaft, la radio del regime. Fu Hitler stesso a volere l'istituzione del Concerto di Capodanno, inaugurandolo il 10 ottobre del 1939. Il
viennese
Clemens
Krauss
[nella
foto]
diresse
i
Wiener
Philharmoniker in un concerto tutto straussiano di valzer e polke. Nel 1940 venne impedito lo svolgimento del concerto, che però riprese nel 1941 incentrato sulle musiche della famiglia Strauss e sulle tipiche danze austriache (valzer e polka). La manifestazione nacque principalmente come propaganda nazista. Dopo la guerra fortunatamente poté scrollarsi di dosso questa imbarazzante etichetta. Nel 1946 subentrò un altro maestro viennese, Joseph Krips [nella foto a sin] che restituì dopo due anni a Krauss lo scettro di quello che stava
diventando un momento irrinunciabile per l’affermazione di quanto, dopo la fine della seconda guerra mondiale, rimaneva dell’identità nazionale austriaca.
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Krauss morì nel 1954 e, dall’anno successivo, re incontrastato del Concerto fino al 1979 diventò un altro musicista viennese, Willi Boskovsky: eccellente violinista, dirigeva e anche suonava, come era consuetudine dei vecchi maestri. Nel corso degli anni Boskovsky apportò piccole modifiche introducendo le musiche di altri compositori austriaci. Nel 1959 l’evento fu ripreso dalle telecamere austriache, e da allora iniziò ad avere un respiro internazionale.
Willi Boskovsky Nel 1979 il concerto fu diretto da Lorin Maazel, nato in Francia ma di nazionalità statunitense, e fu la prima volta di un direttore d’orchestra non austriaco. A partire dal 1987 ogni anno si alternano i più famosi direttori d’orchestra di tutto il mondo, tradizione mantenuta ancora oggi.
Lorin Maazel [36]
Il Concerto di Capodanno della Filarmonica di Vienna si svolge al Musikverein, (che può essere considerato il cuore della musica classica di Vienna) nella bellissima Grande Sala, chiamata anche la Sala d’oro, costruita con sfarzo imperiale, impreziosita dalla presenza di cariatidi, statue, colonne e frontoni sui rilievi, e con una acustica eccezionale.
[Musikverein – Laà“alaàd o o] In realtà si svolgono tre edizioni del Concerto della Filarmonica di Vienna con lo stesso programma. Il primo si svolge la mattina del 30 dicembre, ed è riservato alle forze armate austriache; il secondo, chiamato Silvesterkonzert (Concerto di San Silvestro), va in onda nel tardo pomeriggio del 31 dicembre; infine il terzo, coperto dalla diretta televisiva ed accompagnato dai balletti, si svolge la mattina del primo gennaio per salutare il nuovo anno che arriva. INTERPRETAZIONE E DISCOGRAFIA Sembrano tutti uguali, si ripetono anno dopo anno secondo tradizione dal lontano 1939, sono affidati almeno negli ultimi trent'anni ai più affermati direttori del momento, il pubblico rigorosamente applaude e si diverte: eppure, ad un attento ascolto, non sfugge il diverso approccio, il suono più o meno trasparente, la dinamica più o meno vibrante, la confidenza con l'Orchestra (immancabilmente i Wiener Philarmoniker), in sintesi il segno che ciascun direttore lascia (o meno) sull'evento musicale più famoso dell'anno. Riccardo Muti così si è espresso: "Il concerto di Vienna è unico, non solo per la qualità dell’Orchestra ma perché quella musica a cavallo tra il sorriso e la lacrima fa parte di un periodo storico particolare [37]
e si adatta all’atmosfera del primo dell’anno, evocando desideri e sogni che non esistono in altri repertori". Quali sono i più bei concerti di Capodanno? La critica è concorde nel considerare insuperabili tre concerti, quelli del 1989 e del 1992 diretti entrambi da Carlos Kleiber e quello del 1987 diretto da Herbert von Karajan. Chi lo desidera, può acquistare altre versioni del Concerto, ogni direttore ha personalizzato il “proprio” Concerto, ognuno di essi ha un suo repertorio ed un personale fascino, i Wiener offrono sempre un’interpretazione eccezionale, ma questi tre dischi non devono assolutamente mancare nella discoteca di qualsiasi appassionato delle musiche della famiglia Strauss.
Carlos Kleiber
Herbert von Karajan [38]
àNe àYea sàCo e t Wiener Philharmoniker, dir. Carlos Kleiber Sony Classical Questa è veramente una performance leggendaria! Il Concerto è dedicato esclusivamente alle musiche degli Strauss, padre e figli, senza voler inserire a tutti i costi questo o quell'altro compositore di cui ricorre qualche anniversario, come avviene sempre più spesso negli ultimi anni: così attraverso variegati colori e sfumature timbriche, sagaci pause ed improvvisi crescendo, toni brillanti subito accompagnati da una vena malinconica, si respira la vera sfavillante viennesità del fin de siècle, così magicamente ricreata da Kleiber, in tal modo attribuendo agli Strauss il giusto riconoscimento di grandi compositori, e non solamente relegati al folklore musicale austriaco. Sebbene quando si pensa a Vienna e agli Strauss si pensi ai valzer, la preferenza di Kleiber è andata alle polke, col loro vivacissimo ritmo. Gli unici valzer sono stati l' iniziale Kunstlerleben (Vita d' artista) e Fruhlingstimme, un inno alla primavera, a parte l' imprescindibile Sul bel Danubio blu come bis. Bellissimo vedere dirigere Kleiber: la sua mano più attiva è la sinistra, quella dell'espressione che gli consente una cura estrema della dinamica e di ogni accento: musica trascinante sì, ma disciplinatissima, mai un lasciarsi andare. Difficile ascoltare la celebre polka di Josef Strauss Plappermaulchen eseguita in maniera così brillante, limpida, moderna e insieme così intrisa di spirito viennese. E bellissimo il Czàrdàs dall' opera Ritter Pàsmàn di Johann figlio, maestoso e poi scatenato (che il Corpo di ballo dell'Opera ha splendidamente interpretato). Al termine, Kleiber ha rispettato la tradizione dei bis, ancora con una polka, Jokey-Polka di Josef Strauss, poi il Danubio blu e infine la Marcia di Radetzky. Un trionfo. Questa registrazione è magnifica: la qualità del suono, inusuale per una registrazione dal vivo, è eccellente, i Wiener Philharmoniker si rivelano in tutta la loro profondità e dettagli.
àNe àYea sàCo e t Wiener Philharmoniker, dir. Carlos Kleiber Sony Classical [39]
Un meraviglioso concerto di Capodanno a Vienna con molti membri della famiglia Strauss. Ma la vera star qui è l'incomparabile Carlos Kleiber, che conduce con grande stile. A volte conduce con la bacchetta, a volte conduce con una mano in tasca, immerso tout-court dal suono della Filarmonica di Vienna. Gioia e tristezza nell’atmosfera di questa interpretazione. Il programma comprende più di una dozzina di valzer e polke di Johann Strauss, il più giovane e il più anziano, e di Josef Strauss. Sono tutti meravigliosi: ad esempio, nella Polka dei contadini si gode la gioia e la gioia dei musicisti: l'intera orchestra canta insieme alla musica. Un altro aspetto che rende attraente questa performance è l'opportunità di vedere e ascoltare alcuni strumenti piuttosto insoliti. Si arriva a vedere "in azione" questi strumenti che riproducono i suoni di un orologio che colpisce le ore, gli zoccoli a forma di graffetta di un cavallo da trasporto, un cuculo, un cinguettio e molti altri.
Neujahskonzert in Wien Wiener Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan Deutsche Grammophon E' il primo e ultimo Concerto di capodanno di Vienna diretto da Herbert von Karajan. Il Maestro salisburghese firma qui uno dei suoi migliori accostamenti ai walzer viennesi, che dirige con assoluta eleganza, leggera poesia, e malinconica nostalgia dei tempi straussiani. Nostalgia che traspare anche dalle immagini della versione in DVD, dove vediamo un Karajan, ormai provato dalla vecchiaia
e
dalla
malattia,
che
dirige
i
Wiener
Philharmoniker come assorto in una continua, malinconica rimembranza di un passato inesorabilmente lontano e irraggiungibile, con gli occhi velati di pianto. Karajan (forse anche perché finissimo bruckneriano) sembra dire: "Questo è il passato. Un mondo, formato da popoli profondamente diversi ma uniti sotto l'ordine marmoreo di una sola, perfetta corona, è tramontato."
[40]
Ne àYea sàCo e tà Wiener Philharmoniker, dir. Clemens Krauss Opus Kura Subito dopo gli splendidi Concerti di Capodanno diretti da Carlos Kleiber e da Herbert von Karajan, ho ritenuto opportuno commentare, e proporvi, questo cofanetto di due CD che rappresenta un documento storico: è la registrazione del tradizionale Concerto di Capodanno del 1954, il primo di cui è rimasta traccia discografica e l'ultimo diretto da Clemens Krauss, che del concerto era stato l'ideatore, e che della musica degli Strauss è stato un grande interprete. Da questa registrazione - fatta salva l'atmosfera gioiosa che si ricrea ad ogni Capodanno e che si percepisce nella partecipazione
emotiva
del
pubblico,
peraltro
allora
rappresentato prevalentemente da viennesi e non così internazionale - emergono anche alcune interessanti differenze rispetto a quanto siamo oggi abituati ad ascoltare. Innanzitutto tutti i brani erano rigorosamente straussiani, di Johann, padre e figlio, e di Josef, senza incursioni nel repertorio di altri compositori, come poi avvenuto progressivamente negli anni successivi; in secondo luogo il concerto procede più spontaneamente di quanto accade ora, il pubblico applaude anche nel corso delle esecuzioni (e non solo all'attacco del "Bel Danubio blu"), vengono dati bis di alcuni brani, la tradizionale "Marcia Radetzky" al termine del concerto non è accompagnata dai battimani di rito, il direttore non fa gli auguri: in altri termini non si vede l'usuale copione degli ultimi anni, in cui - ad eccezione del diverso direttore - tutto si ripete immancabilmente come l'anno precedente e come succederà l'anno successivo. I CD contengono due walzer e cinque polke di Josef Strauss, tre walzer e cinque polke di Johann Strauss figlio, oltre a quattro bis e alla "Marcia Radetzky" di Johann padre alla chiusura del concerto: Clemens Krauss si rivela un autentico viennese e, anche grazie ai Wiener Philarmoniker (che hanno nel sangue la musica degli Strauss), allietò il pubblico allora presente - come si evince dai fragorosi applausi - e ritempra gli ascoltatori attuali, mettendo soprattutto in luce la voglia di vivere e il messaggio di speranza (piuttosto che la malinconia) presente nelle musiche straussiane.
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CONCERTI DI CAPODANNO – DIRETTORI 1939 1940 1941 1942 1943 1944 1945 1946 1947 1948 1949 1950 1951 1952 1953 1954 1955 1956 1957 1958 1959 1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979
1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020
Clemens Krauss Non organizzato Clemens Krauss Clemens Krauss Clemens Krauss Clemens Krauss Clemens Krauss Josef Krips Josef Krips Clemens Krauss Clemens Krauss Clemens Krauss Clemens Krauss Clemens Krauss Clemens Krauss Clemens Krauss Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky Willi Boskovsky
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Lorin Maazel Lorin Maazel Lorin Maazel Lorin Maazel Lorin Maazel Lorin Maazel Lorin Maazel Herbert von Karajan Claudio Abbado Carlos Kleiber Zubin Mehta Claudio Abbado Carlos Kleiber Riccardo Muti Lorin Maazel Zubin Mehta Lorin Maazel Riccardo Muti Zubin Mehta Lorin Maazel Riccardo Muti Nikolaus Harnoncourt Seiji Ozawa Nikolaus Harnoncourt Riccardo Muti Lorin Maazel Mariss Jansons Zubin Mehta Georges Prêtre Daniel Barenboim Georges Prêtre Franz Welser-Möst Mariss Jansons Franz Welser-Möst Daniel Barenboim Zubin Mehta Mariss Jansons Gustavo Dudamel Riccardo Muti Christian Thielemann Andris Nelsons
I direttori italiani sinora chiamati a dirigere il Concerto sono due: Claudio Abbado (anni 1988 e 1991) e Riccardo Muti (anni 1993,1997, 2000, 2004, 2018)
Claudio Abbado
Riccardo Muti
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Lo “strano caso” della Marcia di Radetzky Una “nuova” Marcia di Radetzky come non si era mai sentita chiuderà il 1° gennaio il Concerto di Capodanno 2020 di Vienna. La celeberrima pagina del 1848 di Johann Strauss padre, sulla quale il pubblico immancabilmente batte le mani a ritmo di musica, è stata rielaborata su decisione del direttore di quest’anno, il lettone Andris Nelsons. La motivazione nascerebbe dal fatto che la versione correntemente in uso (che dal 1946 i Wiener Philharmoniker e tutti i direttori che si sono alternati sul podio del Musikverein hanno sul leggio come bis obbligatorio che chiude il Neujahrskonzert) è stata a suo tempo scritta da Leopold Weninger (1879-1940) un oscuro musicista iscritto al partito nazista fin da prima della salita al potere di Adolf Hitler. [Il feldmaresciallo Radetzky in una fotografia del 1857]
Weninger pose mano alla Marcia a metà degli Anni 30, e da subito questa versione venne inserita nel repertorio dei corpi musicali delle Schutzstaffeln (SS), per poi diventare un caposaldo del programma viennese di ogni anno sin dalle origini. L’accusa che Nelson muove all’orchestrazione di Leopold Weninger è di peccare di eccesso di militarismo e di avere avuto evidenti intenzioni propagandiste del regime nazista. Nelson ha chiesto ed ottenuto dagli Archivi dei Wiener Philharmoniker di ripristinare, quanto più possibile, la versione originale: si avrà così quest’anno una orchestrazione meno scandita, non marziale, più morbida e “viennese”. Nel mirino anche l’abitudine di battere a tempo le mani accompagnando l’orchestra: consuetudine nazista, ma inveterata nel pubblico che assiste al Concerto. Daniel Froschauer, primo violino dei Wiener Philarmoniker, ha dichiarato che la nuova edizione, realizzata grazie alla collaborazione di tutto lo staff dei Wiener, è finalmente libera dalle “ombre brune” del passato, e che da quest’anno in poi sarà questa la versione in uso nei concerti. La versione di Weninger va quindi definitivamente in archivio. Almeno al Musikverein. Con questa decisione caso chiuso? Assolutamente no. Innanzitutto dal punto di vista musicale la versione Weninger è più sensibile, profonda e "inclusiva" dell'originale. In quegli anni la ridotta orchestra mozartiana si era trasformata in quella tardoromantica, molto più ricca: Weninger inserì così tutti i "nuovi" strumenti, impiegando gli ottoni - in particolare i corni - a rinforzo dell'armonia in modo sapiente e non superficiale. L'impiego del [44]
tamburo rullante con la cordiera rese più briosa e allegra la partitura. I critici lo definiscono un lavoro intelligente e raffinato, ed è per questo che l'orchestrazione di Weninger è stata da sempre scelta da un'orchestra di altissimo livello come quella dei Wiener. Inoltre, ad un attento e obiettivo esame storico, non si può fingere di ignorare che Johann Strauss padre era un riprovevole ammiratore e sostenitore dell’impero asburgico oppressore dei popoli in rivolta per la libertà, nel fulgido 1848. Il nuovo arrangiamento della Marcia sarà anche libero da “ombre brune”, ma l’originale a cui fa riferimento è un inno anti-libertario, motivato dall’entusiasmo (e dal sollievo: anche Vienna era stata attraversata dalla rivolta) per la vittoria di Custoza, con cui alla fine di luglio di quell’anno Radetzky aveva stroncato le speranze dei patrioti italiani.
[Fritz Neumann (1881-1919): Assalto finale austriaco a Custoza]
E Strauss sosteneva l’Impero asburgico: quella musica, come si legge nel frontespizio di un libretto d’epoca, fu scritta «in onore del grande generale» e fu anche «dedicata all’Imperial-Regio esercito». Militarismo al quadrato. Un pezzo scritto per festeggiare l’oppressione dei popoli, quello italiano della Lombardia e del Veneto, prima di tutto, ma con esso tutti i popoli delle nazionalità conculcate dagli Asburgo a metà dell’Ottocento. La polemica continuerà all’infinito, vediamo come reagirà il pubblico viennese… Per concludere, riproduco uno stralcio dedicato al “Camerata Puccini” tratto da un interessante articolo di Andrea Cionci, su Libero.it: “La censura ideologica sull' arte è sempre molto rischiosa: si sa dove si comincia, ma non dove si finisce. Ad esempio, cosa succederebbe se in Italia venisse fuori che, alla Scala di Milano, quest’anno la senatrice Liliana Segre ha applaudito entusiasticamente, insieme a Mattarella, la Tosca di Puccini, compositore che nei primi anni '20 scriveva così: «Se non c' è un governo forte, con a capo un uomo dal pugno di ferro, come Bismarck una volta in Germania, come Mussolini, adesso in Italia, c' è sempre pericolo che il popolo, il quale non sa intendere la libertà se non sotto forma di licenza, rompa la disciplina e travolga tutto. Ecco perché sono fascista: perché spero che il fascismo realizzi in Italia, per il bene del Paese, il modello statale germanico dell'anteguerra». Vogliamo mettere al bando anche Puccini?” [45]
I grandi direttori d’orchestra del ‘900: Ferenc Fricsay CENNI BIOGRAFICI Ferenc Fricsay nacque a Budapest il 9 agosto 1914, nei primi giorni della prima guerra mondiale. Il padre Richard era un musicista militare di alto rango ungherese e fu il suo primo insegnante: grazie a questa corposa educazione musicale ricevuta, Ferenc, all'età di 14 anni, dopo aver superato un rigido esame, fu ammesso all'Accademia Franz Liszt della capitale ungherese. In questo prestigioso conservatorio, fu allievo prediletto dei grandi musicisti che lì insegnavano: Béla Bartók, Ernst von Dohnányi, Jenö Hubay, Zoltán Kodály e Leó Weiner, solo per citarne alcuni. Dopo aver superato l'esame di diploma a pieni voti nel 1933, Fricsay divenne Direttore dell'Orchestra filarmonica di Szeged (Seghedino), la seconda città più grande dell'Ungheria. Nell 1942 cominciò a subire persecuzioni politiche: Fricsay (che era ebreo dalla parte di sua madre) affrontò la corte marziale per "avere assistito gli ebrei", in particolare gli si contestò l’assunzione di artisti ebrei. Dopo l'occupazione tedesca del marzo 1944 il pericolo aumentò. Fricsay era nel mirino della Gestapo, e quindi fuggì da Szeged con la sua famiglia e si nascose a Budapest. Nel secondo dopoguerra ebbe un’ascesa folgorante tra Berlino e Vienna, purtroppo presto troncata da una grave forma leucemica che ne stroncò la vita, all'età di soli 49 anni, il 20 febbraio 1963. La sua morte prematura privò il mondo musicale di un direttore di grandezza per lo meno equivalente a von Karajan. Come ben sappiamo, il grande direttore austriaco, dopo la morte di Furtwängler, preso il timone della Filarmonica di Berlino, la trasformò nella formazione leggendaria che tutti sappiamo, ma la RIAS (Radio nel Settore Americano)
che Fricsay diresse non le fu
certamente inferiore: anzi i Mozart e Haydn di Fricsay, come i walzer della famiglia Strauss, i ballabili di Verdi e Gounod, Bizet e Rossini, sono ritmicamente superiori. [Busto in bronzo di Ferenc Fricsay Budapest, Teatro dell'Opera di Stato ungherese]
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Fricsay, come direttore, coltivò una feconda collaborazione con alcuni compatrioti come i pianisti Géza Anda, Andor Foldes, Louis Kentner e il grande violinista Tibor Varga.
DISCOGRAFIA Due stupendi cofanetti DG presentano un’ampia retrospettiva di questo grande direttore, il primo della produzione sinfonica, il secondo di quella operistica. Impossibile citare qui tutti gli autori inclusi, che sono numerosissimi. Ferenc Fricsay – Complete recordings on Deutsche Grammophon Vol.1 Orchestral works (45 CD) Deutsche Grammophon Box esaustivo comprendente tutte le opere orchestrali. In questo cofanetto troviamo la straordinaria versione della IX di Beethoven, che considero la migliore esecuzione mai sentita incisa in stereo (se estendiamo al mono, allora Furtwängler è irraggiungibile). Anche il "suo" Bartok è di riferimento, non ho ancora ascoltato alcuna interpretazione di altri direttori poter arrivare a scalzare Fricsay dalla prima posizione per quanto concerne le opere del grande compositore ungherese. Almeno i 2/3 delle registrazioni presenti sono monofoniche, ma il remastering
è perfetto: il suono è sempre
incredibilmente nitido, superiore a molte incisioni digitali, sempre vivace e dinamico, anche per le incisioni più vecchie. Il box contiene 45 CD, ognuno con una veste grafica che vuole ricordare (purtroppo solo sul fronte e non sul retro) l'originale copertina dell'LP dell'epoca. Il cofanetto è accompagnato da un libretto di 108 pagine con dettagli sui CD: nome del compositore, tracce e durate delle stesse), e note sulle date e luoghi di registrazione e pubblicazione dell'originale LP; il tutto impreziosito da alcune foto d'epoca che ritraggono Fricsay alla direzione e alcune note su Fricsay stesso e della sua "relazione" con la Deutsche Grammophon. Conclude il libretto l'indice dei compositori con la relativa opera e il numero del CD dove andare a ricercarla. Le registrazioni vanno dalla sua prima, datata settembre 1949 nella quale alla guida della RIASSymphonie-Orchester Berlin conduce il Concerto per Violino e Orchestra in Re maggiore Op.35 di Tchaikovsky con uno strepitoso Yehudi Menuhin al violino, alle ultime datate 1961.
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Ferenc Fricsay – Complete recordings on Deutsche Grammophon Vol.2 Operas, Choral works (38 CD) Deutsche Grammophon Nell'anniversario del centesimo compleanno del grande direttore ungherese, la DG ha pubblicato il secondo (e ultimo) cofanetto celebrativo. In questo box ci sono tutte le registrazioni di opere e di musica sacra che Fricsay fece per la DG. É sorprendente il numero delle registrazioni fatte nell'arco di quindici anni, specie considerando che gli ultimi due anni furono anche "strappati" alla grave malattia che lo stava consumando. Di meraviglie in questo cofanetto ce ne sono davvero tante, ad iniziare dalla musica sacra, in particolare la Messa in Do minore di Mozart, forse la più bella versione in circolazione, il Requiem di Mozart, lo Stabat Mater di Rossini e il Requiem di Verdi in ben due versioni diverse (entrambe monofoniche, ed in registrazioni - ahimè - tecnicamente non eccezionali). Molte le opere vocali di Bartok e di Kodaly, repertorio in cui Fricsay ha tuttora pochissimi concorrenti. Ma anche il Fidelio di Beethoven è eseguito in taglio così moderno che davvero non è poi così lontano, per impianto generale, dalla lettura capolavoro che Abbado consegnò alla Decca pochi anni fa con la Lucerne Festival Orchestra e un cast vocale stellare. La parte del leone la fa comunque Mozart, che è diretto in maniera "sublime e modernissima", cioè con archi con poco vibrato, fiati in evidenza, trasparenza del tessuto orchestrale assoluta. Insomma si capisce bene come Fricsay abbia influenzato, seppure in maniera indiretta, il modo di dirigere di Claudio Abbado, che in qualche maniera forse ne è stato l'erede ideale. Purtroppo allo splendore dell’arte direttoriale si contrappone la presenza di un cast non eccellente: il Don Giovanni e le Nozze di Figaro dirette da Giulini solo pochi anni più tardi si collocano davvero su un altro pianeta, e non tanto per la concezione direttoriale (seppure finissima) di Giulini, quanto perché la EMI era riuscita a mettere insieme un cast vocale stellare ed omogeneo, dove anche i cantanti tedeschi hanno un accento italiano pressoché perfetto. La grandezza di Fricsy non teme invece confronti con Klemperer nel Flauto Magico di Mozart e nell'Olandese volante di Wagner o con Karajan nel Pipistrello di Strauss. Completa questo bellissimo box un libretto esauriente (purtroppo non in italiano) con note introduttive affettuose scritte dalla figlia di Fricsay e un bel DVD.
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Le Sinfonie di Gustav Mahler
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SINFONIA N° 1 IN RE MAGGIORE GENESI DELLA COMPOSIZIONE La Sinfonia n. 1 in Re maggiore di Gustav Mahler fu composta in un lungo arco di tempo tra il 1888 ed il 1899. Quella che sarebbe divenuta la prima delle nove Sinfonie portate a termine da Mahler ebbe una genesi alquanto tormentata. La forma nella quale la conosciamo (quattro movimenti) fu il risultato di un lungo travaglio che accompagnò una fase importante nello sviluppo del pensiero sinfonico di Mahler. Quando cominciò a comporla, il compositore boemo aveva venticinque anni e alle spalle un gruppo di opere già significative e ambiziose. L'opera nacque e si sviluppò sotto il segno di una tormentata temperie emotiva, alimentata sul piano esistenziale da passioni amorose senza speranza; una, particolarmente seria, fu quella stretta con la moglie di Cari von Weber, nipote del grande Carl Maria. Quando Mahler (da poco nominato direttore del Teatro dell'Opera di Budapest) ne diresse nella capitale ungherese la prima esecuzione il 20 novembre 1889, questa Sinfonia non aveva ancora raggiunto la forma definitiva: al pubblico di Budapest la presentò come "poema sinfonico in due parti", senza però indicarne il titolo e il programma, che sarebbero state in teoria indispensabili in questo genere musicale. L’accoglienza del pubblico ungherese fu fredda, e non fu che la prima della lunga catena di insuccessi incontrati da questa partitura (come, d'altra parte, dalla maggior parte di quelle successive): Mahler decise quindi di apportare delle modifiche che chiarissero meglio il significato del lavoro. Dopo questa ulteriore revisione, ultimata il 16 agosto 1893, la Sinfonia (sempre suddivisa in due parti) recava il titolo "Titano", e presentava un programma vero e proprio. Il titolo gli fu ispirato da un romanzo di Jean Paul, lo scrittore romantico che era stato fra i prediletti da Schumann, dalle atmosfere vicine allo Sturm und Drang, nella cui opera passionale ed ironica il compositore si riconosceva. La Sinfonia si articolava in cinque movimenti ognuno dei quali presentava all’inizio una didascalia programmatica all'inizio dei singoli movimenti, sul genere della Sinfonia fantastica di Berlioz. In questa nuova veste, indicata come "poema sonoro in forma di sinfonia", la partitura venne eseguita ad Amburgo il 27 ottobre 1893 sempre con il compositore sul podio. Che cosa raccontava il programma di accompagnamento alla Sinfonia? La prima parte ("Dai giorni di gioventù: fiori, frutti e spine") cominciava con la rappresentazione del risveglio della natura dal
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lungo sonno invernale ("Primavera senza fine”; Introduzione e Allegro comodo), proseguiva con l'Andante Blumine ("una ghirlanda di fiori") e terminava con lo Scherzo, "A gonfie vele". "Commedia humana" era invece il titolo della seconda parte, concepita in due sezioni: la prima, "In difficoltà!", una "Marcia funebre nello stile di Callot" ( ispirata al quadro infantile e fiabesco del "Funerale del cacciatore”), si mutava repentinamente in un Allegro furioso, "Dall'Inferno al Paradiso"(in italiano nell'originale), per descrivere "l'improvviso scoppio di disperazione di un cuore ferito nel profondo". Ma più che a precise immagini o a una vera e propria storia a cui la musica si doveva attenere, queste indicazioni programmatiche, aggiunte solo in un secondo momento e poi ripudiate, servivano a stabilire un clima, a evocare delle suggestioni. Certo, in esse si ritrovano i temi prediletti della poetica mahleriana: il senso dell'immensità della natura, il rimpianto per l'innocenza perduta, e nello stesso tempo la sensazione di estraneità dell'uomo di fronte al mistero dell'esistenza, con momenti di estasi e di disperazione in continua, problematica interazione. Se è vero che Mahler non dubitava della forza espressiva della sua musica, un tratto di fondamentale ingenuità presente nella sua indole di sognatore lo spingeva a credere che fosse necessario spiegare i contenuti delle sue partiture, non fosse altro per mettere l'ascoltatore nella disposizione d'animo giusta ad affrontarne il peso e le atmosfere. Ma quando si rese conto che i programmi, anziché aiutare la musica, al contrario ne dilazionavano e complicavano
la
comprensione
favorendo
equivoci
e
banalizzazioni, con altrettanto senso pratico li abolì, senza che per questo cambiassero la sostanza e il senso delle cose. Quindi, dopo la terza esecuzione (Weimar, 3 giugno 1894) Mahler ritornò ai quattro movimenti canonici eliminando l'Andante, ossia Blumine - per quanto si tratti di una pagina deliziosa, luminosa e serena - e il programma illustrativo, intitolando l'opera semplicemente "Sinfonia in re maggiore". E in questa forma essa venne data a Berlino il 16 marzo 1896 e apparve nelle edizioni a stampa, senza Blumine, che rimase ineseguita fino al 1967, quando Benjamin Britten la presentò da sola in un concerto al Festival di Aldeburgh, riproponendola all'attenzione del pubblico e degli studiosi. Il titolo definitivo di Sinfonia n. 1 apparve in occasione della prima edizione a stampa del 1899.
GUIDA ALL’ASCOLTO Nonostante le varie revisioni, la concezione originaria del poema sinfonico in due parti ha lasciato tracce anche nell'aspetto in cui la Sinfonia si è consolidata, e cioè nella netta contrapposizione fra i due primi movimenti, dal piglio solido e sereno, e gli ultimi due dai colori tragici ed eroici.
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P i oà o i e to:àLa gsa ,à“ hleppe d.à Wieàei àNatu laut à - Im Aanfag sehr gemächlich; belebtes Zeit assà(Le to,àst is ia do.à Co eàu àsuo oàdellaà atu a à- all'inizio molto tranquillo). Il senso della natura impregna tutto il primo movimento, echeggiante di richiami boscherecci, ritmi di danza, versi di uccelli, in particolare quello del cuculo, che assurge quasi a motivo conduttore. Nella lenta introduzione del movimento ("Lento, strascicato") che precede il quieto snodarsi del tema principale ("Sempre molto tranquillo"), Mahler raffigura la concezione originaria del suono, intesa come Naturlaut, suono di natura: su un lungo pedale tenuto dagli archi i legni a turno espongono un motivo di quarte discendenti, simbolo della voce intatta della natura. Ma la natura di Mahler è ben lontana dalla visione beethoveniana, la natura di Mahler è un labirinto, popolato di voci segrete. Egli disegna frammenti tematici che si rispondono da punti diversi e con diversi colori, ora in primo piano, ora di lontano. Lo spazio, così, s'incrocia con il tempo in una nuova dimensione della musica; le trombe con sordina suonano remote, i corni spalancano prospettive di valli e di montagne mentre, dopo i richiami iniziali, ad un certo punto la vita prende forma: un tema circolare, affettuoso, che si snoda passando da uno strumento all'altro, acquista movenze danzanti, e cresce sino a vere e proprie esplosioni vitali. Un tema dei violoncelli ripreso a canone dai fagotti è la melodia del secondo dei Lieder eines fahrenden Gesellen, "Ging heut' morgen übers Feld" ("Me ne andavo stamane sui prati / sull'erba c'era ancora la rugiada") che domina l'esposizione di una forma-sonata assai libera; nello sviluppo, sembra che il tempo si arresti per poter tendere l'orecchio ad auscultare pulsazioni segrete. Nella seconda sezione dello sviluppo risuona un tema di caccia esposto dai corni, un richiamo silvestre che rimanda ad antichi effetti weberiani, sino all'esplosione di una travolgente fanfara, con trombe, corni e legni, che riescono a spezzare quell'atmosfera tenebrosa e a portare un cambiamento improvviso di luce risplendente e trionfante. E’ l'apoteosi che, dopo un'ultima e rapida ripresa del tema del Lied, conclude il movimento. Originariamente seguiva l'Andante (Blumine), omesso nella versione definitiva, un delicato e penetrante Lied in forma tripartita,
di sviluppo non particolarmente
elaborato, ma ornamentata da un fluente controcanto degli
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archi che fungono da accompagnamento alla linea melodica principale intonata dalla tromba solista in mezzopiano. Melodia e controcanto oscillano in microscopici e languidi momenti di timidezza espressiva, senza preoccuparsi di ulteriori elaborazioni tematiche, per poi spegnersi lentamente su di un lungo pianissimo in decrescendo, costituito da un'unica nota tenuta del registro acuto dei primi violini. Secondo movimento, Kräftig bewegt, dock nicht zu schnell. Trio: Recht gemächlich (Vigorosamente mosso, ma non troppo veloce. Trio: Molto tranquillo). Da un’atmosfera quasi pastorale, il secondo movimento - uno Scherzo in forma tripartita – si passa al mondo della danza rustica: sono i ricordi delle danze contadine morave e il tono da musica da taverna che Mahler aveva ascoltato in gioventù, e che formano, qui, un quadro di vita paesana che, rude e quasi sarcastico, si esprime nell'aspro suono dei bassi, nello squillo di corni e trombe, nel tinnire della percussione e nel continuo sobbalzare dei ritmi puntati. Al centro del pezzo, annunciato da un lontano richiamo del corno, volteggia un ritmo di valzer viennese. Questa atmosfera carica di ricordi di infanzia è però insidiata da ombre inquietanti, in particolare da una specie di moto perpetuo degli ottoni, che percorre - ora più ora meno percepibile - l'intero movimento, e che trova la sua naturale conclusione nella parte finale dello Scherzo, con i suoi ritmi ostinati e lo stridore delle dissonanze. Queste allusioni "dialettali" acquistano in Mahler una carica di nostalgia per uno stato d'innocenza ormai perduto. L'irruzione dell'elemento popolare non è nuova, risale ai minuetti di Haydn e di Mozart: ma in Mahler acquista un carattere di fulminante ricordo nell'ambito di una emotività incontrollabile, come ci suggerisce l'orgiastica ripresa dello Scherzo iniziale. 3° movimento: Feierlich und gemessen, ohne zu schleppen. (Solenne e misurato, senza trascinare). Il terzo movimento è una "Marcia funebre alla maniera di Callot". Nella fantasia di Mahler aveva agito il "Funerale del cacciatore", una illustrazione ben nota alla letteratura tedesca per l'infanzia, con il parodistico corteo degli animali del bosco che scortano, suonando e danzando, il catafalco del cacciatore. Mahler stesso la descrive nel programma di Budapest: «Gli animali del bosco accompagnano alla tomba la bara del cacciatore morto: le lepri portano lo stendardo, davanti c'è un gruppo di musicanti boemi con i quali suonano gatti, rospi, cornacchie ecc. e cervi, caprioli, volpi, e altri animali del bosco, alati o a quattro zampe, seguono il corteo in atteggiamenti farseschi».
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Si tratta di una marcia funebre dalla connotazione ironica e corrosiva; il motivo scelto è quello del canto infantile Frère Jacques, ma parodiato nel modo minore; timpani e contrabbasso solista danno l'avvio a un canone dalle straordinarie risorse timbriche. Grottesco e tragico si sommano: l'atmosfera è dunque ambigua, e oscilla tra ironia, sarcasmo e sinistri presagi. Mahler elabora il tema della canzoncina infantile Frère Jacques (da noi, Fra Martino campanaro), trasformandolo in una marcia funebre parodistica e allo stesso tempo spettrale, che inizialmente, sulla scansione implacabile dei timpani, viene sussurrata in un registro innaturalmente acuto dal contrabbasso, cui progressivamente si aggiungono a canone fagotto, violoncelli, basso-tuba e poi via via l'intera orchestra, mentre l'oboe sembra commentare sarcasticamente. Vi sono anche echi di un canto popolare ebraico. Come scrisse il grande direttore d’orchestra Bruno Walter, «siamo condotti in un inferno che non ha forse l'eguale nella letteratura sinfonica». Il tono parodistico si accentua con l'entrata di un tema melodico ungaro-boemo, suonato dagli oboi con il controcanto di due trombe: i cimbali turchi contribuiscono all'effetto. Si affaccia quindi uno squarcio lirico, una melodia paradisiaca tratta dall'ultimo dei Lieder eines fahrenden Gesellen, che evoca il riposo primaverile (da suonarsi, prescrive Mahler, "in maniera semplice e disadorna, come un'aria popolare"), ma che viene prontamente rimosso dal ritorno della marcia, nella sua originalissima sovrapposizione di elementi sublimi e infernali, funebri e sarcastici, umoristici e funesti. 4° movimento: Stürmisch bewegt (Tempestosamente agitato). Alla sinistra dissolvenza con cui si conclude il terzo movimento, si contrappone il fragoroso incipit del quarto (Mahler lo definì "il grido di un cuore ferito") aperto da un roboante colpo di piatti: è la transizione che, nel poema sinfonico, portava "Dall'Inferno al Paradiso", e non a caso si contrappongono nel movimento citazioni dalla Sinfonia "Dante" di Liszt e il tema del Graal del Parsifal di Wagner. [54]
L’introduzione è violenta e drammatica, battagliera e tumultuosa, condotta da ottoni e percussioni in fortissimo. Emerge poi un secondo tema struggente, una sorta di adagio lirico e nostalgico, in cui ritroviamo lo spirito musicale di Tschaikowskij (conosciuto da Mahler, durante il primo tour di concerti del compositore russo in Europa occidentale, in una serata musicale a Lipsia nel gennaio 1888). Ritorna quindi nello sviluppo un clamore combattivo e trionfale che porterà alla comparsa di un motivo religioso, derivante dal wagneriano Parsifal, ma non immemore dell'Alleluja del Messia di Händel. Questo tema, libero e slanciato, esprime l'impulso verso la redenzione. Dopo un ritorno alle "voci di natura" che l'avevano aperta, la Sinfonia si conclude con una trionfale sintesi di inno, marcia e fanfara; ma la stessa eloquenza con cui s'inarca e quasi si spacca assegna a questo trionfo qualcosa di insicuro, di pronto a rimettere tutto in discussione.
DISCOGRAFIA Bruno Walter conducts Mahler – “y pho yàà °à à TheàTita Columbia Symphony Orchestra, dir. Bruno Walter Sony Nella storia delle interpretazioni mahleriane, punto di origine imprescindibile è costituito certamente da Bruno Walter. Assistente del compositore all’Opera di Amburgo dal 1894 e all’Opera di Vienna dal 1901, Walter fu uno degli apostoli della musica di Mahler, primo esecutore della Nona sinfonia e del Canto della Terra. I due si frequentavano già prima del matrimonio del compositore con la giovane Alma Schindler, e Walter, rimasto fedele al suo maestro fino alla fine, si prodigò per eseguirne e inciderne le sinfonie anche in suolo americano. Il suo è un Mahler pienamente inserito nel solco della tradizione classico-romantica, dove, anche se non mancano le accensioni e gli abbandoni lirici, il senso dell’unità e della totalità non viene mai meno. É un Mahler dove è forte il senso delle radici e dove gli echi della musica boema e dei balli viennesi, del kletzmer ebraico e del sinfonismo classico si accostano con innocente naturalezza. Questa performance si presenta subito interessante anche perché il grande direttore fu l'unico degli interpreti di massimo livello a dirigere costantemente l'opera del compositore austriaco nella prima parte nel secolo scorso, in quanto Mahler era stato di fatto ostracizzato sia dai direttori tedeschi per motivi razziali essendo egli di origine ebraica, sia da Arturo Toscanini per i forti dissapori risalenti alla scomoda convivenza comune negli Stati Uniti agli inizi del '900 (si vedano anche i poco lusinghieri giudizi di Toscanini su Mahler). La lettura che Walter dà delle opere di Mahler è rigorosa e influenzata dal decennale rapporto di stima e amicizia che ha legato entrambi. Verrebbe da dire che è un'interpretazione "autentica" [55]
dell'opera mahleriana. Walter è tra i pochi che ha potuto non solo ascoltare dal vivo, ma discutere e commentare le esecuzioni del compositore. L'ascolto di questa Sinfonia n° 1 non delude certo le aspettative, anche se l'interpretazione data da Walter alle composizioni di Mahler diverge sensibilmente da altre celebrate esecuzioni. In effetti le integrali dirette da Bernstein si presentano più esuberanti ed espansive, quelle di Abbado più intime e sofferte, le esecuzioni di Boulez più complesse e cerebrali, ma tutte difettano di un elemento fondamentale: la naturalezza, la facilità di esecuzione, in altri termini l'essenzialità che rendono le composizioni di Mahler più fluide e scorrevoli. Questa registrazione è la dimostrazione del genio di Walter: a giudizio di molti critici è la più bella interpretazione della Prima Sinfonia, assieme a quella dello stesso Walter con la New York Philharmonic e a quella di Kubelik. La registrazione è di ottima qualità, grazie all’intervento dei tecnici Sony. Gustav Mahler: Simphony n° 1 Symphonic Orchestra des Bayerischen Rundfunks, dir. Rafael Kubelik Audite Questa esibizione di Kubelik dal vivo, presa da un concerto del 2 novembre 1979, aggiunge alla freschezza e al calore primaverili della precedente sua versione in studio del 1968 con la stessa orchestra (etichetta Deutsche Grammophon) un tono vibrante e superbo, il genere di cose che accade solo quando l'orchestra e il direttore sono completamente in sintonia con l'un l'altro.
I grandi momenti della sinfonia (i momenti culminanti del primo movimento e del finale) esplodono con il tipo di energia che di solito si associa a Leonard Bernstein, anche se non presentano una benché minima traccia di esagerazione espressiva che alcuni musicofili contestano nel Mahler del direttore americano.
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In questa performance si rileva la particolare affinità di Kubelik con le melodie ebraiche nella marcia funebre del terzo movimento, mentre l'allegro spirito rustico e i ritmi di danza contadina dello scherzo scaturiscono direttamente dalle radici boeme del direttore. Questa è una delle migliori esibizioni di sempre e, come quella registrata in studio nel 1968, è altamente raccomandata. Il suono registrato (indubbiamente da fonti analogiche di ottimo livello) è di primissimo ordine. Gustav Mahler: Simphony n° 1 New York Philharmonic, dir. Leonard Bernstein Sony Classical Il ciclo Bernstein – Mahler di solito si riferisce a due serie di registrazioni audio s delle sinfonie, rispettivamente negli anni '60 e '80. Il primo ciclo Mahler di Bernstein comprende un’integrale delle Sinfonie registrate tra il 1960 e il 1967 sull'etichetta CBS (ora Sony): l’orchestra è sempre quella della New York Philharmonic, la stessa che Mahler diresse durante un breve mandato tra il 1909 e il 1911, anno della sua morte. Bernstein rifiutò di dirigere la decima Sinfonia completa, quella postuma riscritta dal musicologo Deryck Cooke sugli schizzi di Mahler, ma registrò l'Adagio di apertura con la New York Philharmonic nel 1975. Devo dire che questo CD è assolutamente sublime. Il primo movimento è preso ad un ritmo abbastanza convenzionale, anche se Lenny non è mai schiavo del tempo e lo modifica a sua volontà ma sempre al servizio della musica. Anche il secondo movimento aveva un tempo generalmente convenzionale, ma era più variabile che nel primo movimento. L'interpretazione è stata, ovviamente, drammatica. Il terzo movimento Frere Jacques ha un tempo che non potrebbe mai essere definito lento, anche se Bernstein rallenta il ritmo alla conclusione del movimento, per marcarne il valore drammatico. Il quarto movimento è emotivamente drammatico e i tempi sono i più variabili, che vanno dal convenzionale a molto vivace. Gustav Mahler: Simphony n° 1 Concertgebouworkest Amsterdam, dir. Leonard Bernstein Deutsche Grammophon Il secondo ciclo Mahler di Bernstein registrato per Deutsche Grammophon ha sfruttato le nuove tecnologie di registrazione digitale degli anni '80. Il nuovo ciclo prevedeva anche registrazioni con [57]
orchestre strettamente legate alla produzione compositiva e conduttiva di Mahler, tra cui la New York Philharmonic, la Vienna Philharmonic e l'Amsterdam Concertgebouw. Bernstein ha registrato diverse esibizioni dal vivo con sessioni di riserva per correggere piccoli errori, ritenendolo più soddisfacente di una registrazione in studio completa. Leonard Bernstein era sulla sessantina durante il suo secondo ciclo Mahler, le ultime registrazioni furono fatte a settant'anni: aveva la reputazione di essere diventato più lento e più pesante con l’avanzare dell’età. Bene, questo è un disco che smentisce quanto scritto sopra: questa esibizione è solare, superbamente suonata, magnificamente registrata, che ci rivela un Bernstein vivace e disinibito. Laddove la sua prima registrazione sembrava a volte inventata e priva di flusso, questa versione ha tutta la naturalezza, il fascino e la grazia di una mattina di primavera. Fin dalle prime battute dalla spaziosità wagneriana, Bernstein raccoglie l'atmosfera di prima mattina in un ambiente naturale, con fanfare lontane e richiami di uccelli ben messi in evidenza. Il tempo accelera con la sezione allegra in forma di sonata, che è estremamente solare, e raffigura bene la camminata mattutina del viandante. Lo
Scherzo
suona
estremamente rustico, e la sezione centrale del Lander sembra ordinatamente affascinante. La gaiezza dei primi due movimenti viene bruscamente interrotta dal terzo movimento, che non ha mai suonato più minaccioso o presuntuoso, e la parodia funebre della marcia è qui presa ad un ritmo molto veloce, e presenta esattamente il carattere della musica da fumetto che Mahler intendeva esprimere. Ma, nel finale, Bernstein fa davvero scatenare l'inferno nel tema primario, feroce e tempestoso, ma rende romantico il tema secondario. La coda, con la sua intensità, è meravigliosa e incorona una prestazione senza rivali. La performance di Bernstein della prima sinfonia di Mahler è una delle più belle disponibili oggi, forse la migliore versione moderna: sebbene Lenny fosse nel crepuscolo della sua carriera, la sua affinità con questa sinfonia qui brilla perfettamente. La Concertgebouw Orchestra suona come se avesse la musica di Mahler nel suo DNA, avendo registrato questo lavoro due volte con Haitink per la Philips durante l'era stereo. La registrazione della DG è eccellente ad ogni livello, ad ogni minuto dettaglio accuratamente catturato e un senso dell'atmosfera ben sentito. Nel complesso, se qualcuno volesse comprare un CD della prima sinfonia di Mahler, questa deve essere senza alcun dubbio la prima scelta.
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Gustav Mahler: Simphony n° 1 Berliner Philharmoniker, dir. Claudio Abbado Deutsche Grammophon Questa esecuzione risale all'ottobre 1989. Era appena morto Herbert von Karajan, Claudio Abbado solo pochi giorni prima era stato eletto suo successore. Erano anche i giorni febbrili del crollo del blocco sovietico. Tutto questo, nella registrazione, si sente. L'esecuzione è tesissima, come la corda di un violino. L'orchestra - quella virtuosissima di Karajan suona al massimo delle sue possibilità. Abbado imprime una tensione impressionante, e uno scavo e un'analisi senza pari. Mai in nessuna esecuzione i "suoni della natura" si sentono con tale luminosa chiarezza e precisione. E nel secondo movimento gli archi emettono vere sciabolate nelle orecchie degli ascoltatori. L’ultimo movimento è di un impeto irresistibile. Difficile immaginare una lettura più grande della Prima di Mahler. Sicuramente è in assoluto la migliore firmata da Claudio Abbado. Questa maestosa sinfonia, alternando momenti di assoluto lirismo a climax fragorosi, cattura l'ascoltatore e (dato che è una registrazione dal vivo) dà una buona approssimazione di cosa significava sedersi in pubblico mentre Abbado dirigeva con cura l’orchestra di von Karajan. Dall' inizio del soleggiato movimento di apertura, pieno di richiami di uccelli e di un'atmosfera allegra generale, Abbado ne asseconda lo spirito, ma non si limita a lasciare che la musica si muova senza ostacoli, aggiunge la sua personalità: con il meraviglioso suono dei Berliner, promuove un ambiente intimo dove la musica brilla di lirismo. Abbado cattura istantaneamente l'attenzione dell'ascoltatore con l'inizio del secondo movimento accelerando le prime note di apertura, e le cose migliorano con il progredire del movimento. Il 3° movimento con il suo riferimento sarcastico a Frere Jacques viene letto da Abbado con un senso ossessionante di mistero combinato con una nostalgia profondamente commovente. Durante i continui cambiamenti d'umore del movimento, Abbado cambia i toni senza perdere la visione d’assieme. E nel finale in cui Mahler ci fa sapere come dare fuoco al mondo, Abbado non trattiene nulla, lasciando che tutte le esplosioni si incontrino con un gioco vibrante. Qui quello che trovo più convincente è la sua capacità di lasciare che il dramma si imbatti con chiarezza sorprendente senza perdere di vista la giovinezza di Mahler. Anche quando Mahler sembra infuriare, Abbado è intrinsecamente lirico. C'è molto di più che rabbia in questo movimento, e, quando la tempesta cessa, Abbado trova la bellezza che lascia senza fiato.
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Raccomando questo CD quasi senza riserve, solo per le sue leggere imperfezioni sonore derivanti dal suo essere una registrazione dal vivo. Gustav Mahler: Simphony n° 1 London Symphony Orchestra, dir. Sir Georg Solti Decca Fra le tante interpretazioni di riferimento ha un posto rilevante questa stupenda incisione di Georg Solti del 1964. Il direttore magiaro è alla testa di una eccellente London Symphony Orchestra, lussureggiante nei suoni e nei colori (proprio come la natura descritta nel primo movimento della Sinfonia), che risponde perfettamente al "piglio" direttoriale caratteristico di Solti ed alla sua intelligente lettura, carica di tensione dalla prima, lunga e misteriosa nota fino all'ultima. Il sublime incipit, col prolungato pianissimo, è di una bellezza sconvolgente: le evocazioni pastorali, le fanfare in lontananza (le trombe sono celestialmente distanziate), i cinguettii di uccelli sono suonati con straordinaria concentrazione e atmosfera. Il secondo movimento è, in questa lettura, l'equivalente mahleriano della "festa contadina" nella Pastorale di Beethoven, e dopo la parentesi dell'accennato valzer, la ripresa del tema è ancor più esuberante: qui Solti dona un rubato superbo, con chiaroscuri rifiniti fin nel minimo dettaglio. L'assolo di contrabbasso che apre il terzo movimento, seguito dall'eco dei "temi ebraici" (per dirla con Prokofiev) è senz'altro la prova di quanto personale sia la lettura del direttore ungherese, che chiude la Sinfonia con un finale incandescente. Una interpretazione di riferimento assoluto fra quelle degli ultimi quarant'anni e imprescindibile per ogni amante del compositore boemo. Anche il suono è registrato in maniera più che eccellente, nonostante sia analogico. Mahler : Simphony n° 1 New York Philharmonic, dir. Dimitri Mitropoulos Idis Il CD contiene la registrazione dal vivo della prima sinfonia di Mahler, eseguita dal maestro Mitropoulos il 21 ottobre 1951 alla Carnegie Hall di New York alla guida della New York Philarmonic Orchestra. [60]
La registrazione, proprio perché dal vivo senza alcun ritocco successivo, risente purtroppo di rumori di fondo (brusii, colpi di tosse) che talora disturbano l'ascolto. Premesso ciò, l'interpretazione del grande Maestro greco emerge prepotente e supera ogni manchevolezza tecnica. Mahler è stato uno degli Autori preferiti da Dimitri Mitropoulos che, sulle tracce di Bruno Walter, l'ha fatto conoscere ed apprezzare negli Stati Uniti, fin dai suoi esordi in terra americana: in particolare della prima sinfonia esistono quattro registrazioni, di cui la prima effettuata nel 1940 con l'Orchestra di Minneapolis, peraltro poco avvezza alla musicalità mahleriana, altre due ancora con la New York Philarmonic, l'ultima negli anni '60, poco prima della prematura scomparsa di Mitropoulos, nell'ambito di un memorabile ciclo dedicato alle sinfonie di Mahler (eccezionale l'esecuzione della sesta e dell'ottava). Per tutte le diverse esecuzioni della prima (e in genere di tutta la produzione mahleriana) l'interpretazione di Mitropoulos segue lo stesso indirizzo: la sinfonia, ed al suo interno i singoli movimenti, si compone di numerosi frammenti, ognuno dotato di vita propria, che vanno però ricondotti ad unità nell'ambito dell'esecuzione complessiva. Ecco allora i continui cambiamenti di tempo, di volume, di sonorità, gli sprazzi immediati di vitalità cui seguono improvvisi abbassamenti di umore, il colore ora brillante ora decisamente ruvido (e non per incapacità dell'orchestra, ma per precisa volontà del Maestro), l'alternarsi del ritmo all'interno della stessa frase dello stesso movimento. Così si sviluppa il percorso: primo e secondo movimento con pianissimi e tempi molto lenti, di scatto lampi e bagliori improvvisi, tono lamentoso all'inizio del terzo movimento quasi strascicato, i contrabbassi esprimono ruvidezza, poi una fiammata improvvisa degli ottoni, ancora una ricaduta nella cupezza, fino al clangore dei piatti che apre il quarto movimento, allora si va a tutta forza, ottoni lanciati a tutto fiato, all'estremo limite della stonatura, poi di nuovo rallentamento e intensa partecipazione nello sviluppo della melodia, nuovo cambio di ritmo e di volume per rendere il finale grandioso e solenne, con bombardamento di timpani prima dell'accordo definitivo. Questo è Mitropoulos. Eppure si percepisce, dall'inizio al termine dell'esecuzione, un'idea di fondo: la prima sinfonia non è per il Maestro un'occasione di gioia né di svago (talora resi in modo così esuberante ad esempio da Bernstein), prevalgono invece i momenti lamentosi, di mestizia, intervallati solo a tratti da rapidi intermezzi più briosi, sintomi della lacerazione psicologica già presente fin dagli inizi in Mahler. La New York Philharmonic offre una prestazione eccezionale, e questa performance può essere considerata una delle registrazioni di maggior successo di questa Sinfonia. [61]
Mahler: Simphony n° 1 London Symphony Orchestra, dir. Jascha Horenstein Unicorn La registrazione di Horenstein con la London Symphony Orchestra della Sinfonia n° 1 di Mahler fu considerata dai critici negli anni '70, quando venne pubblicata, la migliore disponibile. Sebbene sia stata superata nella qualità del suono dalle registrazioni più recenti, rimane sempre un’interpretazione eccezionale, principalmente per il ritmo del finale (impiega oltre 22 minuti per il quarto movimento; al confronto della gran parte dei direttori che ne impiegano 18): il culmine del 4 ° movimento, contrassegnato da Mahler come "Trionfale. Pesante", solo Horenstein lo osserva e la differenza è straordinaria. Le registrazioni di Bruno Walter (che ha diretto con e per Mahler verso la fine della carriera del compositore, e presumibilmente sentito il compositore dirigere questa sinfonia) sono vicine a questa interpretazione, ma penso che Horenstein sia superiore. Mahler: Simphonie n° 1 Chicago Symphony Orchestra, dir. Pierre Boulez Deutsche Grammophon Alcuni critici amano le letture di Boulez della musica di Mahler. A mio modesto avviso non sono eccezionali, per via della irriducibile tendenza del francese a razionalizzare ogni aspetto della partitura in modo quasi ossessivo. Se questo aspetto è caratterizzante e vincente in tanta musica contemporanea che Boulez dirige - e risulta affascinante ed alternativo quando egli affronta il "suo" repertorio nazionale del primo '900 (Ravel e Debussy) diventa a mio avviso poco incisivo nel momento in cui affronta Mahler. Racchiudere Mahler in schemi rigidi, "meccanizzarlo" un pochino per evidenziare le componenti moderniste della sua opera alla fine risulta, in Boulez, un esercizio che mortifica il senso stesso della musica del boemo il quale si sforzò per tutta la vita di evidenziare la frattura lacerante che esisteva tra ciò che sentiva ed il mondo che lo circondava. Nella performance di Boulez trovo eccellente solo il suono di un'orchestra superlativa, la Chicago Symphony, ricca di eccezionali musicisti, che si distingue per il suono potente ed incisivo degli ottoni. [62]
Musica classica e Cinema: Shining, di Stanley Kubrick Da vero e proprio sperimentatore dei generi Stanley Kubrick decide nel 1980 di cimentarsi con l’horror, un ambito che ancora non aveva frequentato. Come sua abitudine il regista americano sceglie di adattare un romanzo e per questa sua sortita si affida a uno dei maestri riconosciuti del terrore letterario, Stephen King, il cui Shining era uscito appena tre anni prima. Nel progetto finiscono varie ossessioni di Kubrick, tra cui la sua estrema
cerebralità,
l’utilizzo
nelle
inquadrature
della
prospettiva a un punto (già vista in 2001 Odissea nello spazio), il tema della violenza insita in ogni uomo e la meticolosità delle riprese, per le quali venne praticamente inventata la steadycam, la macchina da presa mobile stabilizzata da un sistema di ammortizzatori, che si può apprezzare nella scena del labirinto innevato. Kubrick ci ha regalato una pellicola enigmatica, a tratti incomprensibile, che gioca sadicamente con chi cerca di trarne interpretazioni, offrendogli spiegazioni solo parziali e confondendolo con diabolici stratagemmi.
TRAMA Il film si apre con Jack Torrance (interpretato da Jack Nicholson) e la sua famiglia formata dalla moglie Wendy e dal figlio Danny che si dirigono verso l’Overlook Hotel, imponente struttura alberghiera totalmente isolata su una montagna, dove saranno i guardiani durante il periodo di chiusura invernale. Jack è un insegnante disoccupato a causa di un problema di alcolismo, ha accettato il lavoro non sapendo che l’albergo era stato costruito sopra un cimitero indiano e che era stato teatro di un gesto di follia assassina da parte del vecchio guardiano, Mr. Grady, che aveva assassinato e tagliato a pezzi con un'accetta la moglie e le due gemelle di 8 anni. Una volta giunti all'hotel Danny (che possiede doti telepatiche), viene avvertito dal cuoco Dick Halloran di stare attento all’albergo e in particolar modo alla stanza 237. Halloran gli rivela di essere anche lui in possesso della "luccicanza" (è il termine italiano che traduce la parola Shining), ovvero una sorta di magico potere tramite il quale le persone che lo padroneggiano possono prevedere eventi futuri e comunicare tra loro. I mesi passano, Jack è frustrato dai suoi tentativi falliti di scrivere il romanzo che ha in mente, mentre Wendy e Danny si sentono sempre più in ansia per la mancanza della linea telefonica provocata da
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una violenta nevicata. Danny inoltre nel suo vagabondare in triciclo tra i corridoi dell’albergo rivive
alcune fasi angoscianti
della tragedia passata. Jack
esibisce
comportamenti
violenti,
mentre iniziano a moltiplicarsi gli incontri con spiriti e fantasmi che affollano l’albergo e che tentano di convincere l’uomo a uccidere moglie e figlio. Jack Nicholson scatena a questo punto del film tutta la sua follia omicida del suo personaggio, regalandoci immagini e frasi inquietanti che entreranno nell’archivio della storia del grande cinema. Infatti lo scrittore completamente impazzito e indemoniato manomette radio e gatto delle nevi, compromettendo così ogni speranza di fuga, per poi cercare di uccidere moglie e figlio armato di un'accetta, proprio come aveva fatto a suo tempo Mr. Grady. Resosi conto del pericolo Danny contatta telepaticamente Dick, che gli promette di venirlo a salvare. Nel frattempo Jack è completamente impazzito e Wendy si ritrova costretta a colpirlo con una mazza da baseball e a rinchiuderlo in cucina. Aiutato dagli spiriti, cui giura di voler compiere il massacro, Jack si libera e inizia a inseguire i due, non prima di aver ucciso
il
sopraggiunto
cuoco
tendendogli
un’imboscata. Nella fuga che ne segue Danny e Wendy riescono a far perdere le proprie tracce nel labirinto di siepi, completamente ricoperto dalla neve. Jack ormai ha perso qualsiasi istinto di sopravvivenza e mentre la coppia scappa, utilizzando lo spazzaneve di Dick, l’uomo muore congelato nella bufera.
Nell’epilogo del film vediamo una fotografia datata 1921 in cui Jack sorride in mezzo agli ospiti dell’epoca, come a voler significare che l’uomo ha sempre fatto parte del passato di questa tragedia pur senza saperlo.
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COLONNA SONORA “CLASSICA” Gyorgy Ligeti: Lontano Sinfonie-Orchestra des Sudwestfunk, dir. Ernest Bour Teldec Le musiche del compositore rumeno Ligeti erano già state usate da Kubrick in 2001: Odissea nello Spazio e saranno impiegate nuovamente in Eyes Wide Shut. Il Lontano è utilizzato in Shining tre volte: inizia come accompagnamento per la scena in cui Danny vede le gemelle Grady nella sala giochi dell'Overlook Hotel, si ritrova quando Halloran parla nella dispensa con Wendy e comunica telepaticamente con Danny e infine fa da sottofondo nelle scene dopo la prima nevicata quando Jack scrive a macchina e Wendy scopre che le linee telefoniche dell'albergo sono interrotte.
Bela Bartok: Music for Strings, Percussion and Celesta (III movimento) Berlin Philharmonic Orchestra, dir. Herbert Von Karajan Deutsche Grammophon
Il brano è presente tre volte nel film: quando Danny e Wendy giocano nel labirinto, mentre Danny vaga per l'hotel con il triciclo, mentre il padre tenta di scrivere a macchina il suo romanzo, e quando Danny entra in camera dei genitori e parla con suo padre. Particolarmente interessante è il suo uso come sinistro contrappunto al discorso di Jack al figlio in quest'ultima sequenza. Il ritmo dell'intera sequenza è costruito a partire dalla musica, che aderisce perfettamente alle battute dei personaggi: per arrivare a questo effetto, le riprese furono accuratamente montate da Gordon Stainforth che operò anche piccoli tagli sul brano musicale per raggiungere la perfetta corrispondenza con i dialoghi registrati durante le riprese.
Krzysztof Penderecki: De Natura Sonoris No. 1 Polish Radio National Symphony Orchestra, dir. Krzysztof Penderecki EMI Questa lunga e complessa composizione di Penderecki è presente nel film quando Danny pedala per i corridoi dell'albergo e incontra le gemelline, e nella scena in cui Wendy esce dall'hotel per andare a controllare il gatto delle nevi.
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Krzysztof Penderecki: De Natura Sonoris No. 2 Polish Radio National Symphony Orchestra, dir. Krzysztof Penderecki EMI Penderecki torna con un altro estratto dalla seconda parte del De Natura Sonoris utilizzato da Kubrick in diversi frammenti per commentare scene differenti del film, sfruttando la ricchezza musicale del pezzo. In particolare lo si ascolta quando Danny ferito raggiunge i genitori nella sala Colorato, quando Halloran tenta di raggiungere l'hotel sul gatto delle nevi, e durante la corsa finale di Danny nel labirinto con l'arrivo di Wendy.
Krzysztof Penderecki: Polymorphia Polish Radio National Symphony Orchestra, dir. Krzysztof Penderecki Deutsche Grammophon La composizione di Krzysztof Penderecki è stata usata principalmente a commento di due lunghe scene: quando Wendy scopre che il dattiloscritto di Jack contiene solo la frase “All work and no play makes Kack a dull boy” (Solo lavoro e nessun divertimento rendono Jack un ragazzo annoiato) ripetuta ossessivamente nel foglio, e poco dopo quando Wendy trascina Jack in dispensa, dopo averlo colpito. La varietà di suoni del brano si sposa alla perfezione con le numerose svolte narrative di queste scene. Inoltre, estratti del brano sono stati mixati anche nel finale del film, quando Wendy scopre che il gatto delle nevi è stato manomesso, mentre Jack inizia a rincorrere Danny dentro l'hotel e infine
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quando Wendy vede l'allucinante rapporto orale con l'uomo-cane, e infine quando Jack esce dall'albergo per seguire Danny nel labirinto.
Krzysztof Penderecki: Utrenja - Ewangelia Symphony Orchestra of the National Philharmonic Warsaw, dir. Andrej Markovski Deutsche Grammophon Il brano è un estratto dalla composizione Utrenja (preghiera mattutina) ed è usato varie volte nel corso del film per sottolineare particolari momenti dinamici con le sue inquietanti percussioni ritmate: ad esempio quando Wendy legge la parola REDRUM allo specchio, o mentre Jack colpisce Hallorann con l'ascia. Torna di nuovo quando Wendy scopre il cadavere di Halloran.
Krzysztof Penderecki: Utrenja – Kanon Paschy Symphony Orchestra of the National Philharmonic Warsaw, dir. Andrej Markovski Deutsche Grammophon Altro estratto dalla composizione Utrenja, si tratta di un canone intitolato alla festa ebraica Passover. Come l'estratto precedente, anche questo brano è impiegato più volte per sottolineare alcuni momenti drammatici del film, grazie alle sue acute stilettate di violino e le voci dei cori. La prima volta accentua il colpo che Wendy sferra sulla testa di Jack con la mazza da baseball, la seconda quando Jack si affaccia alla porta del bagno colpita con l'ascia, la terza sulla cascata di sangue dall'ascensore alla fine del film.
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Krzysztof Penderecki: The Dream of Jakob Polish Radio National Symphony Orchestra, dir. Krzysztof Penderecki Warner Un brano tratto dal Cello Concerto di Penderecki, a volte indicato come The Awakening of Jacob. Kubrick lo ha utilizzato nella prima scena di luccicanza di Danny, quando chiede a Tony di mostrargli cosa abbia di malvagio l'Overlook Hotel. Il brano commenta anche le due visite alla camera 237, prima da parte di Danny e poi da parte di Jack, che incontra un’inquietante donna che, prima giovane e poi vecchia, esce dalla vasca da bagno della camera.
In quest’ultimo episodio, il brano di Penderecki continua fino alla scena in cui Jack si sveglia dall'incubo dopo essersi addormentato alla scrivania nella Colorado Lounge: si creano così curiose assonanze tra il titolo del brano e quello che appare nella scena.
Krzysztof Penderecki: Kanon for String Orchestra and Tape Polish Radio National Symphony Orchestra, dir. Krzysztof Penderecki EMI Questo brano era stato utilizzato anche nella colonna sonora di un altro importante film horror, L'Esorcista di William Friedkin. Kubrick sfrutta la potenza della composizione di Penderecki principalmente nell'ultimo atto di Shining per "rimpolpare" la colonna sonora, come ha confessato Gordon Stainforth. Il brano entra in scena quando Jack prova a sfondare la porta del bagno, e torna più volte nelle concitate corse finali di Jack e Danny nel labirinto e di Wendy nei corridoi dell'hotel. [68]
Gli antichi strumenti musicali: la zampogna medievale La zampogna è uno strumento antichissimo, probabilmente di origine mediorientale. E’ un aerofono a sacco, uno strumento cioè a fiato caratterizzato dalla presenza di una sacca che funge da riserva d'aria. È costituita da una sacca di pelle di pecora o capra alla quale sono collegati una canna corta o un soffietto per l’insufflazione dell’aria e una o più canne sonore, ad ancia semplice o doppia. Uno dei tubi è munito di fori digitali e serve per eseguire la melodia; gli altri sono a intonazione fissa e fungono da accompagnamento, o bordone. La forma della sacca ma soprattutto il numero, l'intonazione e il timbro di bordoni e canne del canto differenziano tra loro i vari tipi di cornamuse. Ritenuta, nella Grecia antica, esito della trasformazione del flauto (o siringa) del dio Pan, era conosciuta anche nell'antica Roma. La prima zampogna di cui si hanno notizie storiche risale al I secolo d.C., all'epoca di Nerone. Gli storici Svetonio
e
Dione
Crisostomo
raccontano di uno strano strumento suonato da Nerone realizzato con canne inserite in un sacco (otre) da comprimere con il braccio. Da qui il nome latino "utriculus" . Nel Medioevo, dopo l'anno Mille, iniziano ad apparire le prime testimonianze iconografiche sotto forma di sculture e codici miniati In quel periodo le zampogne erano suonate non solo da pastori e contadini, ma anche da musici di corte. Se possiamo conoscere a grandi linee la forma delle zampogne medievali nulla sappiamo sulla loro sonorità: nel Medioevo era nota la teoria degli intervalli ma non si aveva la nozione di diapason e altezza assoluta dei suoni, quindi non sappiamo in che tonalità fossero accordate le zampogne e in generale gli strumenti di quel periodo (anzi, probabilmente ogni strumento faceva storia a sé), inoltre nessun reperto è giunto fino ai giorni nostri.
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[Miniature di suonatori di zampogna tratte dalle Cantigas de Santa Maria, XIII sec.]
Dal Medioevo all'età moderna la zampogna si diversificò in varie tipologie territoriali, tra cui la cornamusa scozzese e irlandese, la musetta francese e la piva. Nelle isole britanniche ha avuto un peso notevole nella musica popolare e militare ed è considerata, specie in Scozia (con il nome di bagpipe), uno strumento nazionale.
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LA MUSICA DEL MEDIOEVO
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La Comtessa Beatriz de Dia La Comtessa Beatriz de Dia (1140 –?) è una vera figura di donna anticonformista ante litteram, laica e sensuale oltre che trasgressiva. E’ una delle poche autrici passate alla storia del gruppo vasto e spesso poco noto dei Trovatori. Originaria della Provenza, visse nella seconda metà del 1100 tra Provenza e Lombardia. Chi sia veramente la Comtessa di Dia è un mistero: nella sua “vida” (scritta molti anni dopo) è chiamata con il nome di Beatriz, ma il suo nome potrebbe anche essere Isoarda. Sarebbe stata la moglie di Guillem de Peitieus (tra il 1163 e il 1189), conte del Valentinois che regnò dal 1158 al 1189. Secondo altri, Beatriz sarebbe stata figlia di Jaufre Reforzat de Trets, e moglie di Raimon d'Agout (dal 1184 al 1214), un mecenate di trovatori (da cui ebbe un figlio, Isnart d'Entrevenas). Documentato dalle sue poesie è l'amore per il grande trovatore Rimbaud d'Orange (1146-1173) al quale ella dedicò varie poesie amorose. Delle sue composizioni, abitualmente accompagnate dalla musica del flauto, ci sono arrivate quattro cansons (canzoni) e un tenzone1, tutti in lingua d’Oc, segnati talvolta dalla delicata sofferenza di un cuore ferito e, in altri casi, da espliciti messaggi di rapporto adulterino. La concezione dell'amor cortese. L'amor cortese è un ideale elaborato nell'ambito della poesia epico-cavalleresca in lingua d'oïl e della lirica trobadorica in lingua d'oc, sviluppatosi soprattutto nei secoli XII-XIII. Secondo questo pensiero, viene stretto un vincolo amoroso tra un uomo nobile socialmente inferiore (solitamente un prode cavaliere, membro dell'aristocrazia militare) e una dama di rango più elevato, spesso la moglie del signore feudale del cavaliere. Questo amore viene definito "cortese" in quanto nasce e si esaurisce nell'ambiente della corte: tra l'uomo e la donna si stabilisce un rapporto di vassallaggio amoroso, in quanto il cavaliere giura fedeltà alla donna amata e le offre un servizio, che 1
La tenzone, in occitano tenso o tenço in catalano, è un genere poetico della letteratura medievale. Consiste in un dibattito tra due o anche più interlocutori, i quali, esponendo tesi diverse, costruiscono a battute alterne un componimento. La tematica è soggetta a variazioni: si va dalla questione amorosa alla politica e alla letteratura; anche il tono è vario, nelle varie circostanze: si va dalla sottigliezza intellettuale alla sboccata oscenità.
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può essere una impresa militare con cui mostrare il proprio valore o dei versi poetici, e in cambio la donna gli darà un beneficio che potrà essere un semplice saluto, un dono che simboleggi l'amore ricambiato, oppure il concedersi ad un congiungimento fisico adulterino. Una delle usanze dell’amor cortese era il rito erotico dell’asag (“la prova”): esso era una prova di forza interiore che consisteva nel passare una notte assieme alla dama, limitandosi a contemplare il suo corpo; gli amanti, entrambi completamente nudi, si scambiavano baci, abbracci, carezze nell’intento di portare fino all’estremo la forza erotica evocata, senza tuttavia arrivare ad alcun rapporto carnale; lo scopo era quello di andare al di là del corpo al fine di giungere all’unione dei cuori. Questo amore era considerato amore puro, inteso come l’unione dei cuori e delle menti, e per esso non era prevista l’unione carnale. Naturalmente l'amore tra cavaliere e dama può restare su un piano idealizzato e platonico, ma non di rado nei romanzi cortesi e nelle liriche provenzali l’amor cortese diventa pienamente fisico, adulterino, a dimostrazione che la donna medievale rivendicava e praticava una certa libertà in campo sessuale. E il marito della dama? Andrea Cappellano, nei primi due libri del suo trattato De Amore dichiara apertamente che l'amore coniugale è inferiore a quello cortese, perché risente dei doveri e delle responsabilità di quel vincolo.
Testi delle cansons ♫♫ A CHANTAR M'ER DE SO QU'EU NO VOLRIA [Ora debbo cantar qui ciò che non vorrei] Questa è l'unica canzone di un trobairitz arrivata a noi con la sua musica intatta. Scritta in lingua occitana, la musica di questa composizione si trova solo in Le manuscript di roi, una raccolta di canzoni copiate intorno al 1270 per Carlo d'Angiò, fratello di Luigi IX.
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Può risultare assai insolita l’idea che in un’epoca in cui si cantava l’amor cortese ad inarrivabili donne angeliche, fossero esse stesse capaci di scendere dall’alto del loro piedistallo per farsi autrici di canzoni audaci. Beatriz canta di un amore vissuto e non più corrisposto, da parte di un uomo che ha mutato improvvisamente atteggiamento verso la donna amata in passato, la quale a sua volta non riesce a dimenticarlo. Come spesso accadeva in questo tipo di componimenti, si valutava l’entità del sentimento facendo comparazioni con coppie di eroi protagonisti dei romanzi più in voga all’epoca, in questo caso Seguis e Valenssa (purtroppo non conosciamo nulla della storia di amore tra questi due personaggi). áàCHáNTá‘àM E‘àDEà“O QU EUàNOàVOL‘Iá [Ora debbo cantare qui ciò che non vorrei] A ha ta ’e de so u’ieu o vol ia tan me rancur de lui cui sui amia, a àieuàl a à aisà ueà uillaà e à ueàsia: vas lui no m val merces ni cortesía ni aà eltatzà ià osàp età ià osàse s,à at essià àsuiàe ga ad eàt ahïa o àdeg àesse ,às ieuàfosàdesa i e s. [Ora debbo cantar qui ciò che non vorrei, poiché tanto a me dispiace che di lui io son amica perché io l’a o più di og i alt a osa al o do a p esso lui o val la pena, né la pietà, né la cortesia, né la mia bellezza, né il mio valore, né il mio giudizio, perché io sono ingannata e tradita, o e s’io fossi po o att ae te.] D’aisso. o o t a anc.non fi faillenssa, amics, vas vos per nuilla captenenssa, anz vos am mais non fetz Seguis Valenssa, eàplatzà ià outà uezàeuàd a à osà e ssa lo mieus amics, car etz lo plus valens mi faitz orguoill en ditz et en parvenssa, e si etz francs vas totas autras gens. [Mi conforta il pensiero che mai in nessun modo commisi un torto verso di voi, amico, anzi, vi amo, più di quanto Seguis amò Valensa, e mi piace vincervi in amore, amico mio, perché voi siete il migliore. siete orgoglioso con me, delle parole e dei modi mentre con tutti vi mostrate gentile.] Be . e avill o vost e o s s’o guoilla, a i s,à asà e,àpe à u aià azo à u ieuà. àduoilla; o àesàgesàd eitzà aut a o sà osà iàtuoilla pe à uillaà e à u ieà.usàdigaà iàacuoilla; e membre vos cals fo .l comenssamens deà ost a o !à Ja Dompnedieus non vuoilla, u e à aà olpaàsiaà.làdepa ti e s. [Mi sorprende come il vostro cuore a me si sia mostrato duro, amico, così ho ragione di piangerne; è assai ingiusto che un altro amore vi allontani da me, sia quel che sia ciò che voi dite o concedete; e i o date uale fu l’i izio del ost o a o e! Dio non voglia che sia mia la colpa della separazione.]
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P oesa g a s u’el vost e o s s’aizi a e lo i s p tez u’avetz ’e ataï a ’u a o sai, loi da a i vezi a, si vol a a , vas vos o si’ a li a; mas vos, amics, etz ben tan conoissens que ben devetz conoisser la plus fina, e membre vos de nostres covinens. [La o ile vi tù he al e ga el vost o uo e e l’alto valo e he possedete mi intimidisce, dato h’io o o os o da a, vi i a o lo ta a, he disposta ad a a e o sia att atta da voi; però voi, amico, che avete molto giudizio dovete prima conoscere la più bella, e ricordate la nostra intesa.] Valer mi deu os pret e mos partages e ma beltatz e plus mos fis coratges, pe à u ieuà osà a dadàlaiào àesà ost àestatges esta chansson que me isa messatges: ieu vuoill saber, lo mieus bels amics gens, pe à ueà osà etzàta taàfe sà iàta tàsal atges o àsai,à si s esào guoillsàoà altale s. [Dovrebbero aiutarmi merito e nobiltà e la ia ellezza a he si e ità d’a i o, perciò io vi invio, ovunque voi siate questa canzone che è il mio messaggio e vorrei sapere, mio gentile e bello amico, perché siete tanto altezzoso e crudele con me non so se per orgoglio o malumore.] Mas aitan plus vuoill li digas messatges, u e àt opàd o guoillsàoàa tàg a àda à ai tasàge s. [Ma voglio che tu gli dica, messaggero, che per troppo orgoglio molta gente ha sofferto gran danno.] ♫♫ AB JOI ET AB JOVEN M'APAIS [Di gioia e gioventù m’appago] La canzone consta di quattro strofe di otto versi ciascuna, più una tornada (congedo o commiato) di quattro versi; celebra la dama che ama senza nascondersi; c'è l'esaltazione della felicità che dà l'amore, ma anche la continua allusione al giudizio invidioso degli altri. Questa canzone è priva di notazione musicale.
AB JOI ET AB JOVEN M'APAIS [Di gioia e giove tù
’appago]
Ab joi et ab joven m'apais, e jois e jovens m'apaia, que mos amks es Io plus gais, per qu'ieu sui coindet' e quaia; e pois ieu li sui veraia, bei.s taing qu'eI me sia verais, qu'anc de lui amar non m'estrais ni ai cor que m'en estraia.
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[Di gioia e giovinezza mi appago, e gioia e gioventù m'appagano ché il mio amico è il più gaio, per cui sono gioiosa e gaia; e poiché sono sincera con lui, ben pretendo che egli sia sincero con me, che mai m'astengo d'amarlo né ho cuore di astenermene.] II. Mout mi plait quar sai que vai mais cei qu'ieu plus desir que m'aia, e cd que primiers Io m'atrais Dieu prec que gran joi l'atraia; e qui que mal l'en retrala, no creza, fors ce qui retrais c'om cuoill maintas vetz los balais ah qu'el mezeis se balaia. [Sono lieta di sapere che è il più valoroso colui che più desidero che mi abbia e prego Dio di donare grande gioia a colui che per primo lo trasse a me; e a coloro che lo biasimano non creda altro a ciò che dico io, che si riceve secondo la misura di ciò che si è fatto]. III. Dompna que en bon pretz s'enten deu ben pausar s'entendenssa en un pro cavallier va en; pok qu'i/I conois sa va/enssa, que l'a us amara presenssa; que dompna, pois am'a presen, ja pois li pro ni li va/en non dirant mas avinenssa. [Una dama che miri al buon pregio ben deve porre il suo affetto su un cavaliere prode e valoroso; quando ella conosce il suo valore, dovrà amarlo apertamente; di una dama che ama apertamente i prodi e i valorosi non diranno che bene.] IV. Qu'ieu n'ai chausit un pro e gen, per cui pretz meillur' e genssa, Iarc et adreig e conoissen, on es sens e conoissenssa. prec li que m'aia crezenssa, ni om no. l puosca far crezen qu'ieu tassa vas lui faillimen, so! non trob en lui faillensa. [Così io ne ho scelto uno prode e nobile, il cui pregio migliora e aumenta, generoso, giusto e saggio in cui vi è giudizio e saggezza. Prego che egli creda in me, e nessuno possa fargli credere ch'io abbia mai commesso verso lui un torto a patto che non trovi colpa in lui.] V. Floris, la vostra vatenssa sa ban li pro e li va en, per qu'ieu vos quier de mantenen, si us plai vostra mantenenssa. [Floris, il vostro valore lo conoscono i prodi e i valenti, per cui io vi supplico di darmi, se vi aggrada, la vostra protezione.]
[76]
♫♫ ESTAT AI EN GREU COSSIRIER [Io ho vissuto in gran pena] Questa çanson, contraddistinta da una squisita sensualità, esalta l’amore adulterino, secondo un tema ricorrente della lirica provenzale. E’ una canzone di rimpianto, desiderio e promessa, equamente distribuiti nelle tre strofe. Nella prima la donna si pente di non essersi concessa all’uomo pur amandolo moltissimo, e per la sua ritrosia l’uomo l’ha abbandonata; ora, per riscattarsi, dichiara il proprio amore ad alta voce, che tutti lo sappiano e per sempre. Si rimprovera lo sbaglio, che paga con tormento e confusione. Nella seconda emerge la sensualità: i due corpi nudi allacciati, lei che si offre come cuscino, un cuscino prezioso di cui lui dovrebbe
sentirsi
onorato
E’
una
dichiarazione in piena regola, avvalorata dal riferimento letterario agli amanti di un romanzo famoso.
La leggenda di Florio e Biancofiore era molto conosciuta nell’Europa medioevale (ispirerà anche il Filocolo di Giovanni Boccaccio): Florio, figlio del re pagano di Spagna, nasce nello stesso giorno di Biancofiore, orfana presso la corte, ma di ascendenze cristiane e romane. Cresciuti ed educati insieme, i fanciulli si innamorano perdutamente. Divisi dal re (Florio è mandato in terre straniere, Biancofiore venduta ai nomadi), i due amanti si ricongiungeranno presso la Corte di Babilonia uniti nella fede in Cristo. Nella canson si noti, Beatriz si paragona all’uomo cioè a Florio, non a Biancofiore! Nella terza arriva la promessa-preghiera: quando potremo finalmente stare insieme, rifacendoci di quel che abbiamo perso? La donna è sfacciata, non vuole ripetere l’errore, stavolta glielo dice chiaro: “Vi vorrei al posto di mio marito”, ma non cede in dignità, nella coppia si sente ancora in diritto di comandare: sarà lei a dettare le mosse, fin dove spingersi e come. ESTAT AI EN GREU COSSIRIER [Io ho vissuto in gran pena] Estat ai en greu cossirier per un cavallier q'ai agut, e voill sia totz temps saubut cum eu l'ai amat a sobrier; ara vei q'ieu sui trahida car eu non li donei m'amor, don ai estat en gran error en lieig e qand sui vestida. [Io ho vissuto in gran pena per un cavaliere che fu mio e voglio che per sempre sia saputo che il fuoco d'amor mai s'è spento; ma ora vedo che son tradita perché non gli concessi il mio amore, per cui mi trovo in gran tormento sia in piedi, sia in letto vestita.] [77]
Ben volria mon cavallier tener un ser e mos bratz nut, q'el s'en tengra per ereubut sol q'a lui fezes cosseillier: car plus m'en sui abellida no fetz Floris de Blanchaflor: eu l'autrei mon cor e m'amor mon sen, mos huoills e ma vida. [Di notte vorrei stringere nudo tra le mie braccia il cavaliere, e che lui si sentisse felice solo h’io gli fa essi da us i o; perché ne sono invaghita più di quel che fu Florio di Biancofiore, a lui dono il mio cuore, il mio amore, la mente, i miei occhi, la vita.] Bels amic, avinens e bos, cora us tenrai e mon poder? E que jagues ab vos un ser e qu'us des un bais amoros! Sapchatz, gran talan n'auria qu'us tengues en luoc del marit, ab so que m'aguessetz plevit de far tot so qu'eu volria. [Amico mio, bello gentile e valoroso, vi avrò mai una notte in mio potere perché possa giacere i sie e a voi pe fa vi do o d’u a io d’a o e? Sappiate che avrei una grandissima voglia di stringer voi, non mio marito, a patto che mi giuriate di far tutto quello ch'io voglia.] ♫♫ FIN IOI ME DON’ ALEGRANSSA [La gioia cortese mi dona felicità] In questa çanson Comtessa de Dia afferma apertamente e sfacciatamente che la sua più grande felicità deriva dalla gioia d’amare chi ella vuole. Sfida coloro che la criticano, paragonando i maldicenti a una "nuvola che oscura il sole". Al marito geloso dice che ella desidera godere della gioia e della giovinezza, senza badare ai pettegolezzi: questo suo volere le permetterà che il marito non possa esercitare alcun potere su di lei, lasciandole completa libertà di amare.
FINàIOIàMEàDON àáLEGRANSSA [La gioia cortese mi dona felicità] I.àFi àioià eàdo àaleg a ssaàpe à u euà ha àplusàgaia e , e oà oàtei gàaàpe sa ssaà iàaà egu àpe ssa e , car sai que son a mon dan fals lausengier e truan, eàlo à alsàdizà o à esglaia,àa zàe àso àdosàta zàplusàgaia. [La gioia cortese mi dona felicità, perciò canto con maggiore gaiezza, e nessun turbamento mi cagiona, né porta nel mio animo tristezza, saper che intendono recarmi offese falsi invidiosi avvezzi a tali imprese [78]
ed il loro sparlar non mi spaventa, anzi poi son due volte più contenta.] II. En mi non an ges fianssa li lauzengier mal dizen, o à o àpotàa e àho a ssaà u aàa àelsàa o da e , u istàso àd alt estalàse la à o àlaà iuolsà ueàs espa e.làsolelsàe àpe tàsaà aia,àpe à u euà o àa àge tàsa aia. [Io o vo’ da e al u a o fide za ai tipi alevoli e aldi e ti perché nessu o può t ova vale za se s’affa a a te e seli o te ti, pe h osto o ha lo stesso se ia te d’u a uvola e a he, all’ista te, copre, offuscandolo, il sole splendente, perché meschina non amo la gente.] III. E vos, gelos mal parlan, no.s cuges queà a àta ça que iois e iovenz no.m plaia, per tal que dols vos deschaia. [E voi, geloso aduso a mal parlare, non crediate che io mi debba ristare e o più a a e giove tù gioia, solta to pe h voi l’avete a oia.]
DISCOGRAFIA In considerazione della esiguità del numero delle composizioni di Beatriz de Dia prevenuteci, non esiste alcun disco dedicato esclusivamente alla nostra Trobairitz. Troviamo però alcuni suoi brani in raccolte antologiche dedicate alla musica dei Trovatori.
Le Royaume Oublié Montserrat Figueras, Hesperion XXI, La Capella Reial de Catalunya. Dir. Jordi Savall Alia Vox Nella mia libreria conservo gelosamente questo splendido libro-CD, il cui ascolto mi trascina ad atmosfere e a ricordi personali profondi ed indimenticabili. La presentazione è sontuosa: tre CD e un libro con copertina rigida ampiamente illustrati con immagini di manoscritti dei secoli XII e XIII e testo scritto in sette lingue diverse. In un mondo perfetto, Jordi Savall sarebbe proclamato ufficialmente un tesoro universale, un patrimonio della umanità. Non registra solo musica in modo incantevole, crea un concetto culturale-filosofico, vera fonte di sapere ma anche di religioso ascolto. Montserrat Figueras, moglie di Savall e splendida interprete di musica antica, ci offre (disco 1, traccia 12) una indimenticabile interpretazione di A chantar m’er de so, a mio avviso l’interpretazione di riferimento di questa canson di Beatriz. [79]
La registrazione è ad altissimi livelli tecnici.
Lux Feminae 900-1600 Montserrat Figueras Hybrid Nel 2006, con la figlia Arianna, notissima artista e cantante, Montserrat Figueras ha pubblicato Lux Feminae 900 -1600 che raccoglie canzoni scritte da donne nella Penisola iberica fra il Medioevo e il Rinascimento. Qualsiasi tentativo di descrivere le abilità vocali di Montserrat non trova parole adeguate. L’artista ci accompagna attraverso la triste storia delle donne medievali, attraverso l'amore non realizzato fino ai lamenti dei matrimoni
forzati
e
dei
dogmi
religiosi
forzati.
Questa
interpretazione scava nell’intimità del mondo femminile antico che pochi altre cantanti possono eguagliare. Nel disco (traccia n° 4) troviamo Estat ei en greu cossirier. Che dire? Anche qui non so indicare un’interpretazione migliore. E’ triste sapere che un tragico destino ci ha sottratto per sempre Montserrat. La qualità dell’incisione è veramente notevole.
Troubadour songs Anne Azèma, Joel Cohen, Camerata Meditrranea Erato I tre dischi di questa collezione offrono una visione molto completa della tradizione poetica e musicale dei Trovatori. Nel primo Cd (traccia 7) possiamo ascoltare la splendida interpretazione di Anne Azèma della canson Ab joi et ab joven. Anne Azèma è un soprano specializzato nella musica antica: accompagnata dall’arpa medievale, brilla per sensibilità ed espressività. Il suono registrato è chiaro e realistico. [80]
Mediterranea Alla Francesca Zig Zag – Harmonia Mundi Alla Francesca è un trio di cantanti francesi, che si accompagnano su arpe, fiati e percussioni. Questa raccolta è eterogenea: brani sefarditi, canzoni dei trovatori, laude, ballate. Include anche un gruppo di canzoni di origine toscana e napoletana in quelli che oggi sarebbero chiamati dialetti dell'italiano, ma che all'epoca avevano altra valenza. Ci sono anche diverse danze strumentali (tammuriata, tarantella) Diversi anche i temi: canzoni sull’amor cortese, ninne-nanne, pezzi mariani, canto di un cavaliere errante. In questo disco possiamo ascoltare A chantar m’er de so (traccia n° 8), ben interpretata e con belle sonorità, ma - a mio avviso - Savall e Figuera sono su ben altro più elevato livello.
Troubadours Clemencic Consort, dir. Renè Clemencic Harmonia Mundi L'intera registrazione è una bella e autentica ri-creazione di ciò che i veri trovatori e trouver devono avere suonato. Una sorpresa più piacevole è l'apparizione di alcuni strumenti medievali come la chitarra saracena, il tintinnabulum e il tamburo di un grelots. Ogni pezzo ha le sue qualità, ma uno in particolare, il brano più lungo del CD vale da solo il prezzo del disco, e lo troviamo nella traccia n° 7: A chantar m’er de so qu’ieu non volria della Comtessa de Dia. È un capolavoro stupendo, si alza e si innalza sopra una musica sobria e sobria ed è letteralmente un mondo in cui perdersi. Consiglio vivamente questo disco a chiunque sia anche lontanamente interessato ai trovatori e alla musica medievale.
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Melomania: le pagine della Lirica
Giacomo Puccini Turandot
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Un’Opera senza fine
GENESI DELL'OPERA
Teatro alla Scala di Milano, 25 Aprile 1926. «Qui finisce l’opera, perché a questo punto il Maestro è morto. La Morte in questo caso è stata più forte dell’arte»; pronunciate queste parole, Arturo Toscanini poggiava la bacchetta, e interrompeva l’esecuzione dell’opera che stava dirigendo, la prima della Turandot di Puccini, eseguita fino al punto in cui il maestro l’aveva composta per intero, ovvero la morte della schiava Liù, due battute dopo il verso «Dormi, oblia, Liù, poesia!». Portata mestamente a spalla fuori dalle scene in un clima di sgomento e pentimento, quella sera Liù incarnava simbolicamente non solo uno dei più tipici personaggi femminili di Puccini – soavemente intrisa di dolcezza, eppur fiera e coraggiosa, innamorata fino a costo della propria vita – ma anche l’archetipo dell’opera italiana, e dell’opera lirica tout court: la sua morte, e il finale incompiuto della Turandot, hanno rappresentato e rappresentano ancora la fine del melodramma. Le parole di Toscanini eseguivano una specifica volontà di Puccini, che aveva chiesto esplicitamente, nelle sue ultime volontà, che qualcuno salisse sulla ribalta per annunciare che l’autore “ha musicato fin qui, poi è morto”. Qualcuno gridò “Viva Puccini!” e subito dopo esplose un lungo, caldo e commovente applauso. Turandot è quindi un’opera senza finale originale, anzi con un finale aggiunto, addirittura in due versioni distinte, per non parlare di un nuovo finale composto quasi ottant’anni più tardi.
La storia All’inizio del 1919 Giacomo Puccini cominciò a pensare ad una nuova opera da portare in scena, e aveva deciso che quella sarebbe stata la sua ultima opera. L'idea per Turandot venne al compositore in seguito a un incontro con i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni, avvenuto a Milano nel marzo 1920. Il soggetto dell'opera, ispirato al nome dell'eroina di una novella persiana, fu tratto dall'omonima fiaba teatrale (1762) di Carlo Gozzi, già oggetto di importanti adattamenti musicali: dalle musiche di scena composte da Carl Maria von Weber nel 1809, alla breve opera omonima di Ferruccio Busoni (1917), alla Turanda di Antonio Bazzini, maestro di Puccini al Conservatorio di Milano. Così Puccini scriveva a Simoni: «… Ho letto Turandotte. Mi pare che non convenga staccarsi da questo soggetto. Lavorerei per semplificare il numero degli atti e per renderlo snello, efficace e soprattutto per esaltare la passione amorosa di Turandot… Insomma io ritengo che Turandot sia il pezzo di teatro più normale e umano di tutte le altre produzioni del Gozzi… Un’opera che possiamo rendere moderna, con il lavoro tuo, d’Adami e mio.» [83]
Puccini iniziò il suo lavoro su Turandot nei primi mesi del 1920.
[Tratta dal Centro studi Giacomo Puccini – Lucca]
La stesura del libretto andò avanti per quattro anni, tra alti e bassi: Puccini chiedeva ai librettisti sempre nuove modifiche; a volte era abbastanza soddisfatto, altre volte, invece, gli veniva la tentazione di mollare tutto. Non riusciva a trovare l’ispirazione giusta per mettere in musica la trasformazione del personaggio di Turandot da principessa fredda e vendicativa a donna innamorata. I dubbi assillarono sempre Puccini, tanto che ad un certo punto, negli ultimi mesi del 1922, scrisse: “A Milano deciderò qualcosa, forse restituisco i soldi a Ricordi e mi libero”. I soldi non furono restituiti e Puccini, dopo una lunga pausa e dopo amari sfoghi, riprese a lavorare; nel dicembre del 1923 aveva completato e orchestrato tutta la partitura fino all’episodio della morte di Liù; gli mancava ormai solo il finale, la scena della trasformazione della principessa e della sua apertura all’amore. Puccini si tormentò fino ai suoi ultimi giorni dietro a questo finale: voleva creare una musica eccezionale per sancire quello che doveva essere il momento più alto dell’opera, ma quello che aveva finora scritto non lo persuadeva. Un esempio del suo travaglio: nei suoi abbozzi del finale, sul bordo di un foglio si trova un riferimento a Tristano ed Isotta di Wagner, considerato il compositore per antonomasia del rapporto fra amore, redenzione e morte. Ma purtroppo era destino che Turandot rimanesse un’opera incompleta. Le condizioni di salute del compositore lucchese peggiorarono nel giro di alcuni mesi e non gli lasciarono il tempo di scrivere un finale convincente. Puccini fu ricoverato a Bruxelles, dove fu operato per il tumore alla gola del quale soffriva, e lì morì il 29 novembre 1924, 5 giorni dopo l’intervento, per un infarto che lo colpì proprio in seguito a questa operazione. [84]
Rimasero i suoi ultimi appunti: 36 pagine di musica disposte su 22 fogli pieni di cancellature e ripensamenti. L'editore Ricordi decise allora, su pressione di Arturo Toscanini e di Antonio, il figlio di Giacomo, di affidare il completamento dell’opera al napoletano Franco Alfano, allora Direttore del Conservatorio di Torino.
[Puccini, Alfano, Toscanini]
Alfano compose integralmente una propria versione del finale, incorporando nel miglior modo possibile i materiali rimasti negli abbozzi pucciniani: questa prima versione è chiamata Alfano I ed è eseguita piuttosto raramente: essa è molto diversa dalla versione che si è abituati a sentire, è musicalmente più raffinata e dotata di una coesione interna che, ovviamente, con i tagli è andata perduta. Toscanini decise però di tagliare alcune parti di questo finale, perché troppo lungo, e Alfano dovette per forza farne una versione abbreviata (Alfano II), con il finale che viene eseguito solitamente. La Turandot venne rappresentata per la prima volta il 25 aprile 1926 (un anno e cinque mesi dopo la morte di Puccini) al Teatro alla Scala di Milano, con Rosa Raisa, Francesco Dominici, Miguel Fleta, Maria Zamboni, Giacomo Rimini e Giuseppe Nessi sotto la direzione di Arturo Toscanini, che interruppe l’opera, come già detto all’inizio, con la morte di Liù. La sera successiva, sempre sotto la direzione di Toscanini, l'opera fu rappresentata nella sua completezza, includendo anche il finale di Alfano. Luciano Berio elaborò nel 2001 un suo finale (ufficialmente riconosciuto dalla Ricordi), che tiene sempre conto degli appunti di Puccini, ma cerca al contempo di interpretare al meglio l’indicazione di un finale come il Tristano di Wagner, su cui Puccini si sarebbe espresso con molta convinzione.
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L’arte della Turandot Puccini per la Turandot sperimentò notevoli innovazioni musicali: dissonanze, bitonalismi, sonorità aspre; ci sono motivi tratti da canzoni tradizionali cinesi, che servono a dare il colore locale; l’orchestra prevede l’utilizzo di piatti, gong, campane, celesta, xilofoni, timpani, corni, ecc. Nuova è anche l’importanza data alle scene corali. L’impegno richiesto agli interpreti è davvero notevole a livello tecnico e interpretativo: alcune arie sono tra le più difficili da cantare; Puccini si spinse quasi fino al limite del possibile; l’orchestrazione così ricca e imponente richiede molta potenza canora perché le voci non rischino, in certi punti, di rimanere sovrastate dagli strumenti. Puccini non aveva mai fatto un’opera dall’impianto così grandioso; il soggetto fiabesco non era molto usuale per lui (ad eccezione di Le Villi, la sua prima opera, non l’aveva mai trattato); la sua bravura, più che nell’evocare grandi scenari storici o mitici, consisteva nel ritrarre le piccole cose, i sentimenti di singoli personaggi umili e realistici. Inoltre Puccini, che aveva sempre rappresentato amori tormentati e infelici (ad eccezione della Fanciulla del West), doveva per la prima volta sviluppare il tema dell’amore come redenzione e felicità.
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GUIDA ALL’ASCOLTO Antefatto. A Pechino, al tempo delle favole, vive la bellissima principessa Turandot, figlia dell’Imperatore Altoum. Molti principi arrivano da ogni parte del mondo per chiedere la sua mano, ma Turandot ha il cuore di ghiaccio e non intende sposare nessuno. Ognuno dei suoi pretendenti è immancabilmente sottoposto ad una terribile prova: deve risolvere tre indovinelli molto difficili; se non riesce nell’impresa, la principessa ordina che gli sia tagliata la testa. L’ultimo ad aver tentato è stato il principe di Persia, ma anch’egli ha fallito; l’opera si apre con il Mandarino che annuncia la sua imminente esecuzione.
ATTO I Il sipario si solleva su una sonorità sferzante, con l’orchestra che scolpisce il tema di cinque note associato alla crudeltà della principessa Turandot. La scena si apre davanti alle mura della Città imperiale. Ai piedi di un loggiato, sostenuto da due archi, vi è un gong di bronzo. Sugli spalti sono piantati i pali che reggono delle teste mozzate dei pretendenti che hanno fallito la prova data loro da Turandot. Siamo all’ora del tramonto.
[Turandot – Scenografia del I atto di F a oàZeffi elliàpe àl Ope aàdià‘o a] [87]
Davanti ad una folla assiepata nel piazzale - tra sonorità che gong, xilofono ed altri strumenti che ci introducono in un clima orientale - un mandarino, con voce monocorde ed indifferente, annuncia pubblicamente il solito editto imperiale, che forma il perno intorno al quale ruota tutta la vicenda dell’opera: Turandot, figlia dell'Imperatore, sposerà quel pretendente di sangue reale che abbia svelato tre indovinelli molto difficili da lei stessa proposti; colui però che non sappia risolverli, dovrà essere decapitato. Il principe di Persia, l'ultimo dei tanti pretendenti sfortunati, ha fallito la prova e sarà giustiziato al sorger della luna. Tra la folla accorsa per assistere al patibolo ci sono anche Timur, anziano re dei Tartari costretto all’esilio, e rimasto accecato nel corso della battaglia che lo ha privato del trono, e la sua fedele schiava Liù. Nella confusione creatasi per le spinte delle guardie imperiali, il vecchio Timur cade a terra; Liù tenta inutilmente di proteggerlo dall’urto della folla e chiede aiuto. Un giovane si affretta ad aiutare Timur: è Calaf, che riconosce nell'anziano uomo suo padre. Si abbracciano commossi, Timur dice al figlio di dovere a Liù la sua salvezza.
[Principe Calaf (Thiago Arancam), Timur (Wei Wu) e Liù (Maria Luigia Borsi) - Turandot, Pittsburgh Opera, Marzo 2017]
Calaf è commosso da tanta devozione (“Sia benedetta!”) e chiede alla schiava il motivo di tanta devozione. Liù risponde: Pe héàu àdì,à ellaà eggia,à
haiàso iso.
Rivela così il suo amore discreto ma totale per Calaf, già facendoci presagire il grande ruolo musicale ed interpretativo che avrà nell’opera pucciniana. Sulle ultime note cantate da Liù la musica si sospende con accordi lievi, come se il tempo, l’azione, il tumulto della folla si fermassero di fronte alla comparsa di un frammento di eternità e di purezza, rappresentato dall’amore. Il giovane Calaf prega il padre e la schiava Liù di non pronunciare il suo nome: ha paura, infatti, dei regnanti cinesi, i quali hanno usurpato il trono del padre e che perseguiterebbero anche lui. Ritorna il tumultuare della folla in un crescendo che le trasforma in grida eccitate: nel frattempo il boia affila la lama preparandola per l'esecuzione, fissata per il momento in cui sorgerà la luna. Le parole della folla raggiungono il culmine con “Ungi, arrota”, con un ritmo martellante e ostinato di una terribile cantilena fino all’invocazione “Morte!”: arrivata a questo momento l’orchestra, che
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aveva accompagnato l’eccitazione incalzante della folla, si spegne rapidamente, con una lugubre sottolineatura, sulle cinque note del tema di Turandot.
LE DONNE, GLI UOMINI (aizzando i servi del boia). Gira la cote! (Allora due servi, che han detersa la lama, la fanno passare e stridere sulla cote che vertiginosamente gira. E sprizzano scintille, e il lavoro si anima ferocemente accompagnato da un canto sguaiato cui la folla fa eco). GLI UOMINI. Gira la cote, gira, gira! Gira, gira, gira! I SERVI DEL BOIA. Ungi, arrota, che la lama guizzi, sprizzi fuoco e sangue. Il lavoro mai non langue, mai non langue. LA FOLLA. ...mai non langue... I SERVI DEL BOIA. ...dove regna Turandot. LA FOLLA. ...dove regna Turandot. I SERVI DEL BOIA. Ungi! Arrota! I SERVI DEL BOIA, GLI UOMINI. Fuoco e sangue! LE DONNE, GLI UOMINI. Dolci amanti, avanti, avanti! I SERVI DEL BOIA. Cogli uncini e coi coltelli... GLI UOMINI. Noi siam pronti a ricamar le vostre pelli! LA FOLLA. Dolci amanti, avanti, avanti! I SERVI DEL BOIA. ...siamo pronti a ricamar! LA FOLLA, I SERVI DEL BOIA, GLI UOMINI. Chi quel gong percuoterà apparire la vedrà. Bianca al pari della giada, fredda come quella spada... è la bella Turandot! LE DONNE, I SERVI DEL BOIA, LA FOLLA. Dolci amanti, avanti, avanti! Quando rangola il gong gongola il boia. Vano è l'amore se non c'è fortuna. Gli enigmi sono tre, la morte è una! La morte è una! Ungi, arrota! LA FOLLA. Gli enigmi sono tre, la morte è una! Che la lama guizzi, sprizzi sangue. Chi quel gong percuoterà? I SERVI DEL BOIA. Morte! Morte! LA FOLLA. Ah, ah! Ah, ah! I SERVI DEL BOIA, LA FOLLA. ...dove regna Turandot! (E mentre i servi si allontanano per portare al carnefice la spada, la folla si raggruppa qua e là sugli spalti e scruta con molta impazienza il ielo he a po o a po o s’ os u ato.) E’ sempre la folla a dominare la scena. Attende il sorgere della luna con crescente attesa. Puccini, forse vicino all’impressionismo di Claude Debussy, fa emergere vari strumenti (clarinetto, flauto celesta, arpe) che creano una combinazione di immobilità e stupore che distoglie l’attenzione di tutti dalla brama di sangue proiettandola sul sorgere di una luna splendente e spettrale.
FOLLA. Perché tarda la luna? Faccia pallida! Mostrati in cielo! Presto, vieni! Spunta! O testa mozza! O squallida! Vieni! Spunta! Mostrati in cielo! O testa mozza! O esangue! O esangue, o squallida! O taciturna! O amante, smunta dei morti! O taciturna, mostrati in cielo! Come aspettano, o taciturna, il tuo funereo, lume i cimiteri! O esangue, squallida! O testa mozza! Ecco laggiù un barlume! Vieni, presto, spunta! O testa mozza, spunta! Vieni! O testa mozza, vieni! Mostrati, o faccia pallida! O faccia pallida! O esangue, pallida! Vieni, amante smunta dei morti! O amante, smunta dei morti! Vieni, vieni, spunta! Ecco laggiù un barlume, dilaga in cielo, la sua luce smorta! Un coro di ragazzi invoca Turandot (la melodia è tratta dalla canzone folk cinese Mo Li Hua). [89]
Là sui monti dell'Est la cicogna cantò. Ma l'april non rifiorì, ma la neve non sgelò. Dal deserto al mar non odi tu mille voci sospirar: "Principessa, scendi a me! Tutto fiorirà, tutto splenderà!" Ah! Ai primi chiarori lunari, una fanfara regale (sul tema di Turandot), scandita da due malinconici sassofoni, precede il corteo che conduce al patibolo il giovane Principe di Persia. Il timbro dell’orchestra è scuro, la melodia viene esposta dalla tromba in sordina, nel registro grave, e dalle viole; i violini accompagnano con un ritmo esitante, irregolare. I sentimenti della folla mutano ancora: alla vista del condannato, che procede pallido in volto, la folla, prima eccitata, si commuove per la giovane età del Principe e la sua dignità nell’affrontare la morte, e ne invoca la grazia. Appare Turandot al loggiato imperiale: il suo tema “regale” non compare, come prima, sullo sfondo ed in chiave malinconica, ma in un intenso crescendo drammatico, nel suo massimo splendore e con tutta la sua potenza, pronunciato come una fanfara dagli ottoni e dalle percussioni che suonano in fortissimo. La folla che chiede la grazia per il condannato si zittisce e si prostra ai dinanzi alla Principessa, ma ella con un gesto imperioso, senza dire una sola parola, dà l'ordine al boia di giustiziare il principe. [Oksana Dika nel ruolo di Turandot. Arena di Verona, Luglio 2018]
Il corteo procede e la Principessa si ritira. Le parole dei Sacerdoti Bianchi del corteo si chiudono accompagnate dal suono sinistro, in orchestra di un ottavino che sale verso l’acuto. Calaf, che prima l'aveva maledetta per la sua crudeltà, è rimasto affascinato dalla regale bellezza di Turandot. Non è più padrone di sé e decide di affrontare la sfida. Timur e Liù provano a dissuaderlo, ma lui si lancia verso il gong dell'atrio del palazzo imperiale, per percuoterlo
e
farlo
risuonare:
ritualmente, è il segnale di un nuovo pretendente pronto a sfidare gli enigmi di Turandot.
[Arena di Verona, Luglio 2018. Ping, Pong e Pang. Scenografia di Franco Zeffirelli]
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Tre figure lo fermano: sono Ping, Pong e Pang, tre ministri del regno, che, con un linguaggio talora canzonatorio e provocatorio, tentano anche loro di convincere Calaf a lasciar perdere, rimarcandogli la insensatezza dell'azione che sta per compiere. I tre utilizzano un linguaggio musicale costituito da melodie brillanti, piene di salti, tutte giocate sul cambi di registro e sui passaggi improvvisi dal piano al forte. Nell’orchestra intervengono strumenti dal suono metallico come la celesta, il glockenspiel, il triangolo, i piatti, ad accentuare l’assurdità del gesto. Il beffardo tentativo di dissuasione viene interrotto dal coro delle ancelle di Turandot, che chiedono di rispettare il riposo della Principessa. La melodia è leggerissima, l’armonia è indefinita, divagante, il suono pizzicato dei violoncelli è appena sfiorato. Calaf è quasi in una sorta di delirio: “i,àp ofu aàdiàleiàl os u it . Ping, Pong e Pang cacciano via le fanciulle e riprendono il discorso, intonando una filastrocca dal sapore orientale. Le loro parole vengono però nuovamente interrotte da lugubri voci spettrali, quelle dei pretendenti già morti, che appaiono sugli spalti uniti in un coro di straziante immobilità. Essi incoraggiano il giovane Calaf a perseguire nella sua passione e nel suo intento. Svaniti gli spettri, i tre ministri tornano alla carica, sostenendo che Turandot è solo un’idea, un’ossessione, e, anche se esiste, è una donna come tutte le altre. Appare il boia con la testa mozzata del Principe di Persia. Timur invoca Calaf di aver pietà per il vecchio padre. TIMUR. Crudele! vuoi dunque ch'io solo trascini pel mondo la mia torturata vecchiezza? Aiuto! Non c'è voce umana che muova il tuo cuore feroce? Anche Liù cerca disperatamente un’ultima volta di convincerlo, il principe è commosso, ma rimane fermo nella sua decisione e le raccomanda di prendersi cura del padre. Il lamento di Liù, invece che lasciarsi andare ad un andamento disteso, si spezza in frammenti lirici e dolcissimi; i glissando dell’arpa rendono ancora più eterea e struggente la sua invocazione. Il canto di Calaf è invece più ampio e fluente. LIÙ (avvicinandosi al Principe, supplicante, piangente). Signore, ascolta! Ah, signore, ascolta! Liù non regge più, si spezza il cuor! Ahimè, quanto cammino col tuo nome nell'anima, col nome tuo sulle labbra! Ma se il tuo destino doman sarà deciso, noi morrem sulla strada dell'esilio. Ei perderà suo figlio, io l'ombra d'un sorriso. Liù non regge più! Ah!
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CALAF (avvicinandosi, con commozione). Non piangere, Liù! Se in un lontano giorno io t'ho sorriso, per quel sorriso, dolce mia fanciulla, m'ascolta: il tuo signore sarà domani, forse solo al mondo... Non lo lasciare, portalo via con te! LIÙ. Noi morrem sulla strada dell'esilio! TIMUR. Noi morrem! CALAF. Dell'esilio addolcisci a lui le strade! Questo, o mia povera Liù, al tuo piccolo cuore che non cade, chiede colui che non sorride più!
Siamo al vertice del dramma. Timur, Liù, Calaf e i tre ministri si uniscono gradualmente nel concertato finale in un unico tema pronunciato con sempre maggior forza. Ricompare anche la folla che versa parole di pietà per il giovane. Culmine drammatico del concertato sono le tre invocazioni drammatiche rivolte da Calaf a Turandot: l’uomo, sordo a tutti, fa risuonare i tre colpi fatale del gong, mentre l’orchestra riprende il tema regale della principessa, prima che i ministri e la folla pronuncino l’ultimo amaro commento di presagio.
ATTO II Quadro I.
La scena si apre in un padiglione formato da
una
vasta
tenda
decorata
da
simboliche figure cinesi. È notte. Ping, Pong e Pang - con il loro stile saltellante, ormai ben delineato - si lamentano di come, in qualità di ministri del regno, siano costretti ad assistere alle esecuzioni
delle
troppe
sfortunate
vittime di Turandot.
[Mauro Buda, Ugo Tarquini, Tiziano Barontini - Torre del Lago, Luglio 2016]
Con una soluzione musicale molto suggestiva si ode il coro che riprende il motivo della folla assetata di sangue dell’Atto I (“Ungi e arrota”), dapprima attutito fuori scena, poi forte e presente. La musica che accompagna i dialoghi di Ping, Pong e Pang ha un’idea di tipo orientale, è frammentata e più o meno equamente divisa tra le tre voci, presenta una rapida alternanza di registri molto differenti tra di loro, da quello dell’ironia a quello della malinconia, dallo scherzo al sentimentalismo. Particolarmente nitidi emergono le percussioni e gli strumenti a fiato (flauto, ottavino, oboe, [92]
clarinetto) a rimarcare un’atmosfera leggera che fa da contrasto con l’alta drammaticità del finale dell’Atto precedente. PING, PONG e PANG. O Tigre! O Tigre! O grande marescialla del cielo, fa che giunga la gran notte attesa, la notte della resa! Il talamo le voglio preparare! Sprimaccerò per lei le molli piume. Io l'alcova le voglio profumare. Gli sposi guiderò reggendo il lume. Poi tutt'e tre in giardino noi canterem d'amor fino al mattino, così... Non v'è in China per nostra fortuna donna più che rinneghi l'amor! Una sola ce n'era e quest'una che fu ghiaccio, ora è vampa ed ardor! Principessa, il tuo impero si stende dal Tsè-Kiang all'immenso Jang-Tsè! Ma là, dentro alle soffici tende, c'è uno sposo che impera su te! Tu dei baci già senti l'aroma, già sei doma, sei tutta languor! Gloria, gloria alla notte segreta, che il prodigio ora vede compir! Gloria, gloria alla gialla coperta di seta... notte segreta! Testimonio dei dolci sospir! Nel giardin sussurran le cose e tintinnan campanule d'or... Si sospiran parole amorose, di rugiada s'imperlano i fior! Gloria, gloria al bel corpo discinto che il mistero ignorato ora sa! Gloria all'ebbrezza e all'amore che ha vinto e alla China la pace ridà! I tre preferirebbero vivere tranquillamente nei loro possedimenti in campagna: intonano una nenia dolce e nostalgica, esprimono un desiderio di pace e di fuga. Alla fine dei loro dialoghi, Ping, Pong e Pang sognano - ad occhi aperti - che l’incubo rappresentato dagli enigmi di Turandot finisca al più presto. Il sogno dei tre non finisce musicalmente in modo brusco ma si scioglie in un’atmosfera movimentata, che si distende in una fanfara dal volume via via crescente, affidata agli ottoni. Sono finiti i preparativi, inizia la cerimonia degli enigmi! Quadro II. Sul piazzale della reggia, tutto è pronto per il rito dei tre enigmi. C'è una lunga scalinata in cima alla quale si trova il trono in oro e pietre preziose dell'imperatore. Da un lato ci sono gli otto sapienti, hanno ciascuno tre rotoli di seta che contengono le soluzioni degli enigmi, dall’altro ci sono il popolo, Calaf e i tre ministri. Risuona il solenne inno che accoglie il vecchissimo re Altoum. Diecimila anni al nostro Imperatore! Gloria a te! Anche l’Imperatore è stanco di vedere i pretendenti della figlia affidati al boia e invita il principe ignoto, Calaf, a desistere, ma quest'ultimo rifiuta. Il mandarino fa dunque iniziare la prova, ripetendo l'editto imperiale. Un coro di ragazzi intona il tema regale di Turandot, annunciandone l’ingresso. [Maria Callas nel ruolo di Turandot]
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Entra Turandot, tutta vestita d’oro, e va a collocarsi ai piedi del trono. La bella principessa spiega il motivo del suo comportamento: molti anni prima il suo regno era caduto nelle mani dei tartari e, in seguito a ciò, la sua antenata Lou-Ling era finita nelle mani di uno straniero, che l’aveva uccisa. Per vendetta di quella morte, Turandot aveva giurato che non si sarebbe mai lasciata possedere da un uomo: per questo aveva inventato questo rito degli enigmi, convinta che nessuno li avrebbe mai risolti. L’aria di Turandot termina con un minaccioso avvertimento allo sfidante che tuttavia sembra contenere una possibilità di rinuncia. TURANDOT. In questa reggia, or son mill'anni e mille, un grido disperato risonò. E quel grido, traverso stirpe e stirpe qui nell'anima mia si rifugiò! Principessa Lou-Ling, ava dolce e serena che regnavi nel tuo cupo silenzio in gioia pura, e sfidasti inflessibile e sicura l'aspro dominio, oggi rivivi in me! LA FOLLA (sommessamente). Fu quando il Re dei Tartari le sette sue bandiere dispiegò. TURANDOT. Pure nel tempo che ciascun ricorda, fu sgomento e terrore e rombo d'armi. Il regno vinto! E Lou-Ling, la mia ava, trascinata da un uomo come te, come te straniero, là nella notte atroce dove si spense la sua fresca voce! LA FOLLA (mormora riverentemente). Da secoli ella dorme nella sua tomba enorme. TURANDOT. O Principi, che a lunghe carovane d'ogni parte del mondo qui venite a gettar la vostra sorte, io vendico su voi, su voi quella purezza, quel grido e quella morte! Mai nessun m'avrà! L'orror di che l'uccise vivo nel cuor mi sta! No, no! Mai nessun m'avrà! Ah, rinasce in me l'orgoglio di tanta purità! (e minacciosa, al Principe) Straniero! Non tentar la fortuna! Gli enigmi sono tre, la morte è una! CALAF. No, no! Gli enigmi sono tre, una è la vita! Il motivo melodico degli enigmi è una elaborazione del tema di cinque note con il quale l’opera si era aperta e che simboleggia la crudeltà di Turandot. La musica non varia da un enigma all’altro, ma Puccini riesce a differenziarla in un drammatico crescendo degli archi, ora più graffianti, ora più ritmici, ora inquietanti. Il primo enigma viene accompagnato da un’orchestra ridotta al minimo: emergono frasi inquiete dei violoncelli e il pizzicato dei contrabbassi. TURANDOT. Straniero, ascolta: "Nella cupa notte vola un fantasma iridescente. Sale e spiega l'ale sulla nera infinita umanità. Tutto il mondo l'invoca e tutto il mondo l'implora. Ma il fantasma sparisce coll'aurora per rinascere nel cuore. Ed ogni notte nasce ed ogni giorno muore!" (Un breve silenzio.) CALAF (con improvvisa sicurezza). Sì! Rinasce! Rinasce e in esultanza mi porta via con sé, Turandot: la Speranza!
[Luciano Pavarotti e Montserrat Caballé, San Francisco 1977]
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In orchestra il secondo enigma è accompagnato dal tremolio degli archi, con improvvisi squarci aperti da violini e viole, e con incisi rapidi del clarinetto. TURANDOT. "Guizza al pari di fiamma, e non è fiamma. È talvolta delirio. È febbre d'impeto e ardore! L'inerzia lo tramuta in un languore. Se ti perdi o trapassi, si raffredda. Se sogni la conquista, avvampa, avvampa! Ha una voce che trepido tu ascolti, e del tramonto il vivido bagliore!" CALAF. Sì, Principessa! Avvampa e insieme langue, se tu mi guardi, nelle vene: Il Sangue! L’ultimo enigma impegna un’orchestra ampia, con il registro verso l’acuto. TURANDOT. "Gelo che ti dà foco e dal tuo foco più gelo prende! Candida ed oscura! Se libero ti vuol ti fa più servo. Se per servo t'accetta, ti fa Re!" CALAF. Ah! Non mi sfuggi! Non mi sfuggi più! La mia vittoria ormai t'ha data a me! Il mio fuoco ti sgela: Turandot! Quando viene data l’ultima risposta, la folla intona un peana al vincitore mescolando il tema regale di Turandot con l’Inno rivolto all’Imperatore, due temi che qui, accentuati dagli ottoni, esplodono nella loro totalità. Turandot disperata e incredula, si getta ai piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo straniero. Ma per l'imperatore la parola data è sacra. Turandot si rivolge allora al Principe e lo ammonisce che in questo modo egli avrà solo una donna riluttante e piena d'odio. Calaf non vuole obbligarla ad un’unione che chiaramente la rende infelice e la scioglie dal giuramento proponendole a sua volta una sfida: se la principessa, prima dell'alba, riuscirà a scoprire il suo nome, egli le regalerà la sua vita. Il nuovo patto è accettato, mentre risuona un'ultima volta, solenne, l'inno imperiale.
ATTO III Quadro I. È notte, nel giardino della reggia. In lontananza si sentono gli araldi che portano l'ordine della principessa: quella notte nessuno deve dormire a Pechino e il nome del principe ignoto deve essere scoperto a ogni costo, pena la morte. Calaf è sveglio, aspetta con trepidazione che arrivi l’alba, fiducioso che alla fine il suo amore vincerà.
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Fuori scena gli fa eco un coro femminile che, leggerissimo, impone uno stato di sospensione, di attesa.
CALAF. Nessun dorma! Nessun dorma! Tu pure, o Principessa, nella tua fredda stanza guardi le stelle che tremano d'amore e di speranza... Ma il mio mistero è chiuso in me, il nome mio nessun saprà! No, no, sulla tua bocca lo dirò, quando la luce splenderà...Ed il mio bacio scioglierà il silenzio che ti fa mia. VOCI DI DONNE (misteriose e lontane). Il nome suo nessun saprà... E noi dovrem, ahimè, morir, morir! CALAF. Dilegua, o notte! Tramontate, stelle! All'alba vincerò! Vincerò! Vincerò! Giungono Ping, Pong e Pang, che cercano di convincerlo ad andarsene via, perché hanno paura della vendetta di Turandot se non riusciranno a scoprire il suo nome. Gli offrono donne, ricchezze, gloria: ma il principe li respinge, vuole solo Turandot. Anche la folla minaccia il Principe con pugnali, vuole il nome. Appaiono soldati che trascinano Timur e Liù, e Calaf cerca inutilmente di proteggerli: sono stati visti in compagnia
di
Calaf,
devono
conoscere il suo nome. Invocata dai tre ministri e dalla folla, appare Turandot che ordina a Timur e Liù di parlare. Liù, per difendere Timur, afferma di essere la sola a conoscere il nome del principe ignoto, ma dice anche che non svelerà mai questo nome. [Serena Farnocchia (Liù) - Festival pucciniano Torre del Lago, 2014]
Nonostante le torture che le vengono inferte, Liù continua a tacere, riuscendo a impressionare Turandot, che le chiede cosa le dia tanta forza per sopportare le torture, e Liù risponde che è l'amore a darle questa forza. LIÙ. Tanto amore segreto e inconfessato, grande così che questi strazi son dolcezze per me perché ne faccio dono al mio Signore. Perché, tacendo, io gli do, gli do il tuo amore... Te gli do, Principessa, e perdo tutto! Persino l'impossibile speranza! Legatemi! Straziatemi! Tormenti e spasimi date a me, ah, come offerta suprema del mio amore! L’orchestra, assecondando il senso di fragilità del personaggio nella quale l’aria viene pronunciata, dà un minimo sostegno solo con il primo violino. Turandot è turbata da questa dichiarazione, ma torna ad essere la solita gelida principessa: ordina ai tre ministri di scoprire a tutti i costi il nome del principe ignoto. Viene chiamato il boia perché abbia inizio la tortura. [96]
Liù, allo stremo delle forze, prende ancora la parola per la sua ultima aria, una pagina in assoluto tra le più belle pucciniane. LIÙ. Sì, Principessa, ascoltami! Tu che di gel sei cinta, da tanta fiamma vinta, l'amerai anche tu! Prima di questa aurora io chiudo stanca gli occhi, perché egli vinca ancora...Ei vinca ancor! Per non vederlo più!
Strappa di sorpresa un pugnale a una guardia e si trafigge a morte, cadendo esanime ai piedi di uno sconvolto Calaf. Il
vecchio
Timur,
essendo
cieco,
non
comprende immediatamente quanto accaduto ma
quando
la
verità
gli
viene
infine
cinicamente rivelata dal ministro Ping, il deposto sovrano abbraccia disperato il corpo senza vita di Liù.
TIMUR. Liù... bontà! Liù... dolcezza! Ah, camminiamo insieme un'altra volta così, con la tua mano nella mia mano. Dove vai ben so. Ed io ti seguirò per posare a te vicino nella notte che non ha mattino! Il sacrificio di Liù commuove i ministri e la folla. Il corpo della sventurata schiava viene sollevato tra il rispetto profondo della folla. PING, PONG, PANG. Svegliato s'è qui dentro il vecchio ordigno, il cuore, e mi tormenta! Ah, per la prima volta al vedere la morte non sogghigno! Quella fanciulla spenta pesa sopra il mio cuor come un macigno! LA FOLLA. Liù, bontà, perdona, perdona! Liù, bontà, Liù, dolcezza, dormi! Oblia! Liù! Poesia! (Qui si conclude l’ultima scena portata a termine da Puccini.)
Turandot e Calaf restano soli, l’una di fronte all’altro. La Principessa, rigida, statuaria sotto l’ampio velo, non ha un gesto, non un movimento. Calaf è adirato con la principessa, che accusa di aver provocato fin troppo dolore in nome del suo odio e di essere ormai incapace di provare sentimenti. CALAF. Principessa di morte! Principessa di gelo! Dal tuo tragico cielo scendi giù sulla terra! Ah, solleva quel velo! Guarda, crudele, quel purissimo sangue che fu sparso per te! E si precipita verso di lei, strappandole il velo.
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TURANDOT. Che mai osi, straniero! Cosa umana non sono! Son la figlia del Cielo libera e pura. Tu stringi il mio freddo velo ma l'anima è lassù! CALAF. La tua anima è in alto, ma il tuo corpo è vicino! Con le mani brucianti stringerò i lembi d'oro del tuo manto stellato. La mia bocca fremente premerò su di te!... TURANDOT. Non profanarmi! CALAF. Ah, sentirti viva! La principessa lo respinge, ma Calaf non resiste alla passione e la bacia con ardore.
CALAF. Mio fiore! Oh, mio fiore mattutino! Mio fiore, ti respiro! I seni tuoi di giglio, ah, treman sul mio petto! Già ti sento mancare di dolcezza, tutta bianca nel tuo manto d'argento... […] TURANDOT. Del primo pianto. Ah! Del primo pianto! Sì, straniero, quando sei giunto, con angoscia ho sentito il brivido fatale di questo mal supremo. Quanti ho visto morire per me! E li ho spregiati. Ma ho temuto te! C'era negli occhi tuoi la luce degli eroi. C'era negli occhi tuoi la superba certezza. E t'ho odiato per quella! E per quella t'ho amato! Tormentata e divisa fra due terrori uguali: vincerti o esser vinta. E vinta sono! Ah! Vinta, più che dall'alta prova, da questa febbre che mi vien da te! Calaf le fa il dono della sua vita e le rivela il suo nome: Calaf, figlio di Timur. Turandot, saputo il nome, potrà perderlo, se vuole.
Quadro II. Il giorno dopo, davanti al palazzo reale, davanti al trono imperiale è riunita una grande folla. Squillano le trombe. Turandot dichiara pubblicamente di conoscere il nome dello straniero: «Il suo nome è Amore». Tra le grida di giubilo della folla la principessa si abbandona tra le braccia di Calaf.
[Turandot , scena finale – Arena di Verona 2010, scenografia di Franco Zeffirelli]
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DISCOGRAFIA Giacomo Puccini: Turandot Joan Sutherland (Turandot), Luciano Pavarotti (Calaf) - Montserrat Caballé (Liù), Nicolai Ghiaurov (Timur), John Alldis Choir London Philharmonic Orchestra, dir. Zubin Metha Decca
E’ l’irraggiungibile edizione di riferimento di quest’opera: orchestra strepitosa, maestro eccezionale, coro favoloso, interpreti stellari; e se, a volte, troppe stelle tutte insieme finiscono per offuscarsi a vicenda non è questo il caso: qui le tante eccellenze contribuiscono tutte ad elevare la qualità del prodotto finale. Grandissimo Pavarotti, anche se alcuni critici lo reputino inadatto al ruolo di Calaf. Suggestivo il canto notturno alla luna, ricco di armonie eteree e misteriose. Indimenticabile: "Signore ascolta", il canto della schiava Liù che confessa il suo amore silenzioso per il principe Calaf in un'aria struggente e incredibilmente commovente; le ultime note suonate da un'arpa salgono verso il cielo come a voler ispirare l'ascoltatore ad immaginare la meraviglia di una notte stellata senza età e senza tempo, luogo ideale dove il suo amore inespresso per un'intera vita potrà invece vivere in eterno. Nel Nessun dorma Pavarotti non prolunga, come diventata consuetudine nell'ultima parte della sua carriera, eccessivamente l'acuto: forse meno spettacolare dal punto di vista individuale, ma decisamente migliore come resa generale dell'opera! Superba la performance di Joan Sutherland come Turandot, la sua interpretazione drammatica di questo ruolo è sorprendente. Joan Sutherland di solito non è considerata una cantante pucciniana, e infatti ha cantato il ruolo di Turandot solo in studio di registrazione. Ma per quel ruolo aveva esattamente ciò che serviva: una voce che sembrava non avere limiti superiori e una personalità che nascondeva la vulnerabilità sotto un'aria di freddo distacco. Sutherland è una Turandot astrale, dolce, malinconica e purissima, dagli acuti sfavillanti e dal fraseggio sottilissimo. Incantevole la Caballè nel ruolo di un’ispirata Liù. Zubin Metha ha saputo interpretare con grande maestria la più bella favola lirica d'amore dei primi del Novecento: il direttore disegna un affresco grandioso, lucente e colorato, la potenza dei momenti solenni è spettacolare, si può udire la grandezza musicale dell'ultima fase della vita di Puccini sin dalle primissime note dell'opera. Ascoltare questa registrazione è un piacere e un'emozione ogni volta, nel suo insieme di musica, canto individuale e canto corale. [99]
Giacomo Puccini: Turandot Birgit Nilsson (Turandot), Franco Corelli (Calaf), Renata Scotto (Liù), Bonaldo Gaiotti (Timur) O hest aàeàCo oàdell Ope aàdià‘o a,àdi .àF a es oàMolinari-Pradelli EMI Altra edizione di riferimento proprio per la presenza di due cantanti che in quegli anni andavano per la maggiore: Nilsson e Corelli in sala d'incisione erano grandi, ma dal vivo erano superlativi! Nonostante fosse famosa per le sue intepretazioni Wagneriane, la Nilson, grandissima soprano svedese, è tuttora la più grande interprete della principessa di ghiaccio. Pronuncia ineccepibile, suono cristallino (Nell’aria In questa reggia, una delle più difficili per soprano, riesce a scandire e far comprendere le parole in modo sorprendente). Franco Corelli superlativo, con una voce senza limiti! Turandot e Calaf fanno a gara a chi canta con volume più alto… Renata Scotto grande Liù, anche se la registrazione in studio raffredda l'interpretazione ed il sentimento. Molinari Pradelli dirige da buon professionista. Nell’insieme, un po’ vecchia scuola ma non si può non averla.
Giacomo Puccini: Turandot Maria Callas (Turandot), Eugenio Fernandi (Calaf), Elisabeth Schwarzkopf (Liù), Nicola Zaccaria (Timur) Orchestra e Coro del Teatro alla Scala di Milano, dir. Tullio Serafin Warner Classics Opera Questa registrazione del 1957 è di notevole interesse storico, in quanto ascoltiamo la divina Maria all'inizio della sua carriera in un ruolo in cui non era particolarmente nota. Questa edizione conferma la forte e brillante preminenza vocale di Callas, insieme alle splendide qualità del cast. Eugenio Fernandi presenta un suono forte e un fraseggio di qualità; come partner di Callas, è difficile non essere eclissati dalla notevole tonalità musicale del soprano greco.
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Interessante è la Liù di Elisabeth Schwarzkopf, da molti conosciuta come grande interprete di lieder o per i suoi ruoli di Mozart. In quest’opera canta con una dizione italiana perfetta e un fraseggio notevole. Direi che è una performance di grande livello, a testimonianza della sua versatilità e sensibilità allo stile. Sottolineiamo la prova, con un bel colore e ritmo, del trio Ping, Pang e Pong. Tullio Serafin dirige con raffinatezza una splendida Orchestra alla Scala di Milano. Anche il coro della Scala in questa registrazione è musicalmente virtuoso. La qualità audio è ottima per una registrazione di 70 anni fa.
Giacomo Puccini: Turandot Birgit Nilsson (Turandot), Jussi Bjoerling (Calaf), Renata Tebaldi (Liù), Giogio Tozzi (Timur) Orchestra e Coro dell Ope aàdià‘o a, dir. Erich Leinsdorf RCA Questa ristampa (riprodotta su un sistema SACD) di una registrazione del 1959 è caratterizzata dalla presenza di quattro voci gloriose, interpreti di una prestigiosa interpretazione. La Turandot di Birgit Nilsson è elettrizzante: la sua voce risalta con intensa e brillante luminosità, specialmente nella gamma più alta, unisce potenza e dolcezza in una superba interpretazione della principessa del ghiaccio. Richiesta di cantare a tutto volume fino alla fine, la sua resistenza è incredibile, così come la sua capacità di modulare improvvisamente la sua voce dalla sfida vendicativa al calore umano. Il duetto finale con Bjoerling è indimenticabile: entrambe le voci si uniscono in espressioni liriche
e
drammatiche
di
rara
bellezza
che
suscitano
nell'ascoltatore qualcosa di simile al timore reverenziale. Jussi Bjoerling combina potenza e luminosità, che, uniti a un registro superiore luccicante, lo rendono estremamente efficace nel ruolo di Calaf. La voce della Tebaldi è dolorosamente bella, rende profondamente commovente la sottomissione e la forza di Liù. Il basso sonoro di Tozzi dona a Timur sia maestosità che disperazione. Di gran livello, come sempre, la direzione di Eric Leinsdorf.
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Giacomo Puccini: Turandot Montserrat Caballè (Turandot), Josè Carreras (Calaf), Mirella Freni (Liù), Paul Plishka (Timur) Coro dell Ope aàdià‘o a. Orchestra Filarmonica di Strasburgo, dir. Alain Lombard EMI Classics Nonostante la voce non al top, Montserrat Caballé ci regala un’interpretazione ancora avvincente, ricca di emozione. La voce di Jose Carreras, come sempre, è tecnicamente perfetta. Mirella Freni è grande, voce calda e ricca, e la sua prima aria è sufficiente per colpire l’emozione dell’ascoltatore. Il Timur di Paul Plishka è eccellente; il suo basso rigoglioso e aggraziato regala momenti strazianti nella sua piccola aria dopo il suicidio di Liù. Magnifica la direzione di Alain Lombard.
Giacomo Puccini: Turandot Katia Ricciarelli (Turandot), Placido Domingo (Calaf), Barbara Hendricks (Liù), Ruggero Raimondi (Timur) Wiener Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan Deutsche Grammophon "Turandot" fu affrontata per il disco in tarda età da Karajan: a quell'epoca le Principesse di Gelo tutte muscoli e acuti svettanti stile Nilsson erano già passate di moda, così il grande direttore austriaco, non diversamente da quanto aveva fatto Mehta all'inizio degli anni '70 con la Sutherland, si affidò a una scommessa: chi infatti avrebbe mai pensato che la Ricciarelli potesse affrontare, seppure solo in disco, il ruolo della principessa? La voce non era già più da tempo quella che aveva procurato così tanto piacere fino a qualche anno prima, né l'interprete, spesso inerte, era molto migliorata. E tuttavia, contro ogni previsione, la scommessa di Karajan fu, almeno in parte, vinta: la mancanza di mezzi adeguati quella volta si rivelò un valore aggiunto, e permise alla cantante di Rovigo di consegnarci una Turandot diversissima da quelle cui ci eravamo abituati: questa è una principessa fragile, lacerata, con la psiche in tumulto. "In questa reggia", per esempio, il sogno che racconta la storia così poco credibile dell'antenata stuprata, è reso con una voce strana e allucinata, in maniera del tutto diversa dal solito. Anche nella scena degli enigmi la Ricciarelli se la [102]
cava benino, mentre quando deve venir fuori la ferocia impotente di fronte all'amore (ma è bellissimo il "chi pose tanta forza nel tuo cuor?", cantato con voce stupefatta) e soprattutto nel finale, la nostra soprano fatica un poco per venire a capo della parte. Ma in definitiva, la scommessa è in gran parte vinta. Del Calaf di Domingo, colto in un momento particolarmente difficile della sua carriera, le critiche feroci non sono mancate: il personaggio comunque c'è, anche se gli acuti mancano (particolarmente impietosi risultano il "ti voglio tutta ardente d'amore" e - anche se non è così disastroso come talvolta si legge - il "Nessun dorma"). Questo è un Calaf più sognante del consueto, che ben si accoppia alla stranita, a suo modo affascinante, Principessa della Ricciarelli. E Karajan fa miracoli in orchestra per aiutare i due protagonisti a non naufragare quando la voce e l'ossigeno mancano. Della Liù della Hendricks si è sempre detto male: il personaggio è di psicologia semplicissima e nulla l'affossa di più di un'interpretazione bamboleggiante; non emoziona e la pessima pronuncia italiana completa il disastro. Direi che una cantante dovrebbe ascoltare la Hendricks per capire come NON deve interpretare Liù. Accettabile ma poco delineato il Timur di Raimondi; particolarmente infelice, invece, il trio delle maschere. Ma il vero protagonista di quest'incisione è ovviamente Karajan, mai come qui alchimista sopraffino, distillatore di sonorità quasi ultraterrene, tanto sono perfette. Egli scava davvero la musica stessa: da qui il vasto numero di piccoli dettagli, i molti cambiamenti di umore e atmosfera, i diversi livelli di dinamica musicale, anche all'interno di una sola linea musicale. Il grande direttore crea un’atmosfera trasognata e di un languore morboso. Straordinari sia l'orchestra che il coro. In conclusione: non si tratta della "Turandot" definitiva (allo stato attuale, l'edizione di riferimento resta sempre per me la prima di Mehta), ma di una lettura da conoscere e da porre tra le meglio riuscite: per l'affascinante principessa della Ricciarelli e, soprattutto, per l’immenso Karajan.
VIDEO
Giacomo Puccini: Turandot Giovanna Casella (Turandot), Sergej Larin (Calaf), Barbara Frittoli (Liù), Carlo Colombara (Timur) Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, dir. Zubin Metha La Voce del Padrone (DVD) La migliore Turandot in dvd è questa con la regia e la sceneggiatura del grande regista cinese Zhang Yimou, che ha girato l’opera a Pechino, nella Città Proibita, uno dei rari tentativi riusciti di opera nel luogo originario: uno straordinario scenario naturale, animato dalle bellissime voci sia dei singoli che delle masse, con un uso sapiente di simboli, costumi mai così belli e splendide coreografie usate per raccontare la vicenda (bellissima l’apparizione del boia Pu Tin Pao con il Principe di Persia).
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Il cast canoro è omogeneo, diretto molto bene da Metha (che ha un feeling particolare con quest’opera) con l’apporto determinante dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Giovanna Casolla è magnifica, un’autentica forza della natura, dalla tecnica granitica che le permette di essere ancora una delle Turandot più acclamate di sempre, e forse l’unica ad aver affrontato i tre finali, di Alfano (a cui va la sua preferenza), di Berio e del cinese Hao Weiya. Barbara Frittoli canta molto bene il suo ruolo lirico e aggiunge una bella presenza scenica. Sergej Larin, tenore drammatico specializzato nel repertorio russo, ci offre una eccellente interpretazione di Calaf (Larin morirà a Bratislava a causa di un arresto cardiaco, all'età di 54 anni). L'unico punto negativo di questa performance outdoor è che le voci suonano troppo distanti per la maggior parte del primo atto: se le voci fossero state registrate un po' meglio, questa sarebbe tra le prime 2 o 3 registrazioni di quest'opera.
Giacomo Puccini: Turandot Eva Marton (Turandot), Josè Carreras (Calaf), Katia Ricciarelli (Liù), John Paul Bogart (Timur) Chor der Wiener Staasoper. Wiener Sägerknaben Orchester der Wiener Staatsoper, dir. Lorin Maazel ORF (DVD) Dall'Opera di Stato di Vienna arriva per il nostro godimento un documento senza tempo di una grande opera, diretta da un superbo Lorin Maazel e con un cast meraviglioso di grandi cantanti. Questa edizione del 1983 della Turandot si contraddistingue per una concertazione distesa su tempi indugianti ma dal fraseggio secco e tagliente, con percussioni violente, fiati incombenti e legni in forte evidenza, sopra il pulsare ossessivo degli archi compatti: Maazel disegna un paesaggio sinistro e allucinato, fatto di ombre, stridori e repentini contrasti che per certi versi apparenta Puccini a Strauss, Schönberg e Stravinskij. Una giovane Eva Marton interpreta una Turandot imperiosa fredda e seducente, ma anche tormentata dalla tensione che crea tra la negazione dell'amore e l'affetto segreto, tra l'auto-sacrificio e l'ossessione per le vittime del sacrificio, tra la fredda crudeltà e il puro amore. [104]
Josè Carreras dimostra di aver superato il difficile momento della sua malattia e profonde una intensità senza precedenti. Katia Ricciarelli non è stata meno acclamata nel suo ruolo di Liù. La regia di Harold Prince percorre la strada dell’invenzione fantastica, superando molti vezzi di maniera: costumi variopinti, trapuntati di gemme luccicanti; tante maschere che servono a nascondere viso e anima; scena fissa, occupata da due scale strette incastrate nella parete; popolo trattato come un blocco unitario e personale, al pari del mondo fantastico che esso abita e sul quale alla fine spunta un sole gigantesco.
Giacomo Puccini: Turandot Eva Marton (Turandot), Placido Domingo (Calaf), Leona Mitchell (Liù), Paul Pliska (Timur) The Metroplitan Opera Ballett, Chorus e Orchestra, dir. James Levine Regia e scene: Franco Zeffirelli Deutsche Grammophon (DVD)
La produzione del MET del 1987 è spettacolare con bellissimi costumi, grande recitazione, grandi voci e grande balletto. Eva Marton è molto brava come Turandot, la sua recitazione non è sempre naturale ma copre tutto lo spettro emotivo, a differenza di altre esibizioni di Turandot che tendono ad essere più stantie. Domingo è stato assolutamente perfetto in questo ruolo, e il suo canto è fantastico come sempre: il gentile fraseggio della lingua, le transizioni fluide e il potente suono della voce si risolvono in una morbidezza vellutata. Ad essere onesti, "Nessun Dorma" non esplode del tutto come dovrebbe, ma raramente l'ho sentito con voce migliore: Pavarotti resta comunque inavvicinabile a ogni tenore. Leona Mitchell è fantastica come Liù: una voce di un angelo, innocente e piena di emozione. Toccante Le altre parti principali hanno cantato tutte le loro parti in modo eccellente. Soprattutto da notare sono i tre tenori che hanno cantato Ping, Pang e Pong, il miglior trio di tutte le esibizioni che ho ascoltato. Cantanti di prim'ordine che si sono armonizzati perfettamente. Ottima e accurata come sempre la direzione di Levine, che conduce una lettura serratissima di incalzante intensità drammatica. La produzione Zeffirelli è stata assolutamente mozzafiato nei suoi dettagli: illuminazione, colori, costumi e messa in scena sono stati davvero stimolanti. Ogni particolare riflette la cultura cinese in modo molto accurato.
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Tecnicamente, un appunto negativo: ci sono momenti in cui la presa microfonica non è eccezionale e viene fuori un "vuoto di scena" fastidioso. Questo problema di registrazione del suono è evidente soprattutto nel terzo atto.
Giacomo Puccini: Turandot Gabriele Schnaut (Turandot), Johan Botha (Calaf), Cristina Gallardo-Domas (Liù), Paata Burchuladze (Timur) Wiener Philharmoniker, dir. Valery Gergiev Festival di Salisburgo 2002. Regia: David Pountney (DVD) Una Turandot che non piacerà a tutti ma che colpisce in una nuova
interpretazione,
offrendo
una
visione
della
disumanizzazione della società. Perfino Turandot non sembra umana, il che potrebbe essere un modo per comprendere le sue azioni. La messa in scena creativa e i costumi sono straordinariamente evocativi delle visioni di fantascienza del futuro. Pountney immerge Turandot in una buia e violenta città di automi, con tutto il larghissimo palcoscenico della Festspielhaus di Salisburgo occupato da un’immensa fabbrica a tre livelli, abitata da esseri meccanici e robotizzati con le mani a forbice, a sega, a tenaglia, tragici ingranaggi di una società disumana e militarizzata. Una maschera gigante ci suggerisce l’ambientazione cinese. Su questa società si erge Turandot, che cercando di soffocare ogni sentimento umano, si mostra all’interno di una gigantesca testa umana dorata, immobile su una torre altissima e con una tunica d’oro di 9 metri. Spettacolare la scena degli enigmi, con la distesa di sudditi di un rosso accecante, con i robot quasi ugualmente posizionati dell'Imperatore e del Mandarino, in contrasto con Calaf dall'aspetto fragile e vestito di bianco. Quand’egli risolve il terzo indovinello, Turandot si porta al livello del palcoscenico e riacquista gradualmente sentimenti ed umanità come il suo popolo. Tutto finisce nell'utopia sociale: tutti distruggono le loro maschere e gli strumenti di tortura vengono scartati. Il finale è quello scritto da Berio nel 2001. Molte pecche nel cast. La voce di Gabriele Schnaut è usurata (è in circolazione da quasi 30 anni ormai, e questo conta sicuramente, con tutto il rispetto); il tenore cileno Johan Botha produce un [106]
palpabilissimo sforzo nello stressare una voce inadatta a un luogo così grande come il Grosses Festpielhaus; Cristina Gallardo-Domas è una Liù molto sincera, ma purtroppo ha un vibrato piuttosto spiacevole; anche la voce di Burchuladze si è notevolmente deteriorata nel corso degli anni, ma la gamma in cui si smuove il ruolo di Timur gli consente di mantenersi in un timbro ancora accattivante. I Wiener suonano molto bene e con la loro consueta raffinatezza; la direzione di Gergiev è aggressiva, aspra, con effetti fonici impressionanti e ricca di dettagli orchestrali che raramente si individuano. La sua lettura la avvicina alla musica del XX secolo.
Giacomo Puccini: Turandot Nina Stemme (Turandot), Aleksander Antonenko (Calaf), Maria Agresta (Liù) Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, dir. Riccardo Chailly Decca (DVD) Il video documenta la ripresa scaligera di Turandot di Puccini diretta da Riccardo Chailly (il primo spettacolo come direttore musicale alla Scala), spettacolo che ha inaugurato l’EXPO il 1° maggio 2015. Caratteristica quasi unica, è il primo video che presenta il finale dell'opera completato da Luciano Berio, pagina che, a differenza del finale di Alfano prende in considerazione la maggior parte degli abbozzi lasciati da Puccini. Concertazione eccellente, buono il cast vocale: Nina Stemme ha il potere di appartenere vocalmente a questo ruolo; come Liù, Maria Agresta è splendida, sia nella voce che nella presenza; Antonenko è spesso
- troppo spesso - "spento" sia nelle note che
nell'intonazione. Lo spettacolo di Lenhoff è una ripresa delle esecuzioni fatte ad Amsterdam nel 2001, rivisto per l'occasione dal regista: lettura insolita che accantona tutte le consuete "cineserie", ma assolutamente pertinente.
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Giacomo Puccini
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