Gli Amici del Loggione n° 18 - Maggio 2022

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GLI AMICI DEL LOGGIONE Numero 18 – Maggio 2022


GLI AMICI DEL LOGGIONE Rivista quadrimestrale on-line di Musica Classica Numero 18 – Maggio 2022

Coordinatore editoriale ed autore dei testi: Giuseppe Ragusa

A questo numero ha collaborato il M. Paolo Duprè

In questo numero: [1] 1a Copertina: Edvard Grieg [4] Peer Gynt op. 23, di Edvard Grieg [23] I gra di Direttori del 9 : Dimitri Mitropoulos [33] Viaggio in Italia: Capriccio Italiano (Piotr Ilijc Čajko skij) - Tre Sonetti del Petrarca (Franz Listz) - Sinfonia n° 4 Italia a (Feli Me delssoh -Bartholdy) [48] Sinfonia n° 8, di Gustav Mahler [78] Pierino e il lupo, di Sergej Prokofiev [87] La Toccata organistica (di Paolo Duprè) [103] Musica medievale: Cantigas de Toledo, di Alfonso X el Sabio (CSM 2 - 116 - 212 -12 - 122 - 69) [126] Strumenti musicali antichi: il Clavicordo [130] Musica e cinema: Fontane di Roma, di Ottorino Respighi (da Fantasia 2000) [132] 4a copertina: Ottorino Respighi

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Per ogni comunicazione: raggius@tim.it

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Ai miei Amici Lettori Da questo numero “Gli Amici del Loggione” cambia la sua struttura. La sezione Melomania, dedicata alla Musica lirica, scompare dalla Rivista per assurgere, come una fenice, ad una vita autonoma in una nuova Rivista anch’essa on-line, “Gli Amici del Loggione - Lirica”, che uscirà ogni 4 mesi (Febbraio - Luglio - Ottobre). Questo scorporo si è reso necessario a causa dell’irreversibile aumento del numero delle pagine dedicate alla musica medievale (alias, traduzione dei testi dei brani presentati) che ha appesantito in maniera notevole la Rivista, con il beneficio di dare maggior risalto ed interesse all’Opera lirica. Il primo numero della nuova Rivista verrà quindi pubblicato nel mese di Luglio 2022 e sarà dedicato all’opera “Aida” di Giuseppe Verdi. Vi ringrazio tutti, Giuseppe

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Peer Gynt op. 23, di Edvard Grieg Musica di scena per soli, coro e orchestra, per il poema drammatico di Henrik Ibsen Peer Gynt è una figura nota nella tradizione norvegese, probabilmente ispirata a un personaggio realmente esistito, vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento, delle cui vicende terrene però non si sa nulla. Secondo la leggenda Peer Gynt è un cacciatore solitario che nella foresta incontra e uccide un troll (un gigante, spirito del bosco) e da quel momento acquista la facoltà di udire voci misteriose che l'accompagneranno nelle sue eroiche avventure. Secondo altre leggende sarebbe un ragazzo vissuto intorno al XII secolo, che pare corresse molto velocemente a cavallo delle renne.

Il Peer Gynt di Henrik Ibsen Tra i padri riconosciuti della drammaturgia moderna a livello mondiale, c’è sicuramente Henrik Ibsen, nato nel 1828 a Skien, cittadina del sud della Norvegia e scomparso nel 1906 a Oslo, all’epoca chiamata Christiania. Tra le sue opere è molto conosciuto il poema drammatico Peer Gynt, scritto in lingua danese, un testo ricco di simboli, fantasioso ed anche polemico nei confronti di certe ipocrisie della borghesia norvegese del tempo. Il dramma di Henrik Ibsen è molto più di un racconto, è una riflessione sulla Norvegia del 1860, un tempo in cui molte persone lasciavano l’attività tradizionale nella fattoria di famiglia per iniziare una nuova vita in città. Il poema racconta la storia della caduta e della successiva redenzione di un antieroe, il contadino norvegese Peer Gynt. Per questo soggetto Ibsen attinse alle storie d'avventure dei racconti popolari fioriti nella regione della Norvegia chiamata Gudbrandsdal, dai quali forgiò la figura dell'amabile perdigiorno che vive tutto e solo sul piano edonistico, tra piaceri materiali e trovate fantastiche. Ibsen scrisse Peer Gynt nell'estate del 1867 mentre era in viaggio tra Roma, Ischia e Sorrento. Aveva lasciato la Norvegia nel 1864, e per ventisette anni sarebbe praticamente vissuto all'estero. A differenza di altre opere di Ibsen, Peer Gynt è scritto in versi: si tratta infatti di un dramma destinato alla lettura, ma non ad essere rappresentato sul palcoscenico. Le difficoltà dovute ai rapidi e frequenti cambi di scena (compreso un intero atto che si svolge nell'oscurità assoluta) lo rendono di difficile rappresentazione.

T a a dell’ope a letteraria. Si tratta di una storia fantastica, quasi una sorta di realismo magico, come nella tradizione della letteratura dei paesi scandinavi, ma Peer Gynt è anche la storia dell’uomo comune e delle prove e dei conflitti che tutti affrontiamo nella vita. [4]


Peer è un giovane pieno di energie, di vitalità e di idee. Rimane orfano del padre, Jon Gynt, uomo un tempo ricco e stimato, ma che, in quanto dedito all’alcool e ad altri vizi, finisce con lo sperperare il patrimonio; decide quindi di abbandonare il figlio e sua moglie Aase, lasciandoli in condizioni economiche assai difficili. Peer, arrivato all’età di vent’anni, è ancora un sognatore, anticonformista e idealista, che trascorre il tempo senza un lavoro e senza far nulla, ma divertendosi e spassandosela; ha vari vizi, tra i quali quello dell’alcool, ereditato dal padre, e ciò gli ha procurato guai e antipatie presso gli abitanti del suo paese. Ha comunque il desiderio di fare qualcosa di importante, vuole affermarsi anche sul piano economico allo scopo di riappropriarsi del patrimonio familiare perduto e ridare serenità a sua madre; si scontra tuttavia con la realtà, non riesce cioè a collocarsi nella giusta misura attraverso un lavoro stabile e una compagna con la quale sposarsi e formare una famiglia. Il suo aspetto fisico gradevole e la sua esuberanza lo rendono comunque attraente agli occhi di molte ragazze, verso le quali Peer mostra in generale un notevole interesse, ma il suo carattere molto sfrontato e i suoi racconti di improbabili imprese e avventure da lui vissute non gli attirano l’attenzione delle persone, anzi finiscono con il produrre l’effetto contrario. Il protagonista seduce e fa innamorare molte ragazze: tra le ragazze infatuate del giovane c’è Ingrid, la bella e ricca figlia del cosiddetto “padrone di Hagstad”, un facoltoso proprietario di un terreno coltivabile e di diversi altri beni, per la quale inizialmente sembra avere una infatuazione, ma poi invece lascia che si sposi con un altro uomo. Ibsen mette in evidenza il profondo legame esistente tra il protagonista e sua madre, un affetto sincero, autentico, dolce. Mamma Aase è una madre molto presente, protettiva verso suo figlio e pronta a difenderlo ritenendo che ogni sua azione, anche la più irresponsabile, sia fatta in buona fede. Per questa donna il cuore di Peer, malgrado gli innegabili limiti caratteriali del ragazzo, è puro, generoso. Questo non le impedisce tuttavia di preoccuparsi e di essere continuamente in ansia per lui: Peer infatti non accetta costrizioni e ostenta nervosismo e ribellione, che si esprimono attraverso un comportamento e un linguaggio che lo portano talvolta a trattare con durezza tutte le persone, compresa sua madre, che vorrebbero dirgli come dovrebbe agire. Un giorno Peer resta coinvolto in una rissa, diventa un fuorilegge e fugge dal paese. Solveig, una giovane donna che Peer aveva incontrato ad un matrimonio e di cui si era innamorato, lo raggiunge alla sua capanna nella foresta per vivere con lui, ma lui la lascia e parte per i suoi viaggi. Durante la fuga incontra prima tre giovani vedove e poi una donna vestita di verde, la figlia del re dei troll, che lo vuole sposare. Peer riuscirà a sfuggire al matrimonio e all’inseguimento dei troll che lo vogliono catturare e punire per la promessa mancata. Rimane lontano per diversi anni, cambiando identità ed occupazioni. Si finge un uomo d'affari impegnato in una spedizione sulle coste del Marocco. Vaga quindi attraverso il deserto, passa il Memnone e la Sfinge, diventa capo beduino e profeta. Prova a sedurre Anitra, figlia di un beduino e finisce persino in un manicomio al Cairo, dove viene salutato come imperatore. Infine, ormai vecchio, si imbarca su una nave per tornare al paese natio. Tra i passeggeri incontra il Passeggero [5]


Sconosciuto (considerato da alcuni studiosi il fantasma di Lord Byron) che vorrebbe usare il cadavere di Peer per scoprire dove si trovano i sogni. La nave fa naufragio, ma Peer riesce comunque a salvarsi. Tornato finalmente a casa in Norvegia, egli assiste al funerale di un compaesano e partecipa a un'asta, dove vende tutto ciò che possiede della sua vita precedente. Peer incontra il Fonditore di bottoni, il quale sostiene che l'anima di Peer deve finire nel crogiolo di un fonditore, insieme ad altri oggetti fusi mal riusciti, se Peer non è in grado di dire quando, nel corso della propria vita, è stato “se stesso”. Peer incontra anche un altro personaggio chiamato l'Uomo Magro (probabilmente il Diavolo), il quale crede che Peer non sia un vero peccatore da mandare all'inferno. Peer, molto confuso, finalmente raggiunge Solveig, che lo aveva aspettato in tutto quel tempo nella capanna. Lei sostiene che Peer è sempre stato se stesso nella fede, nella speranza e nell'amore che da sempre prova per lui. E sarà proprio grazie al suo amore che Peer verrà finalmente redento.

Il Peer Gynt di Edvard Grieg Non sappiamo per quali motivi Ibsen, che allora viveva a Dresda, decidesse, all'inizio del 1874, di adattare il testo del Peer Gynt per il teatro. E’ probabile che a ciò lo spingesse Ludvig Josephson , un ebreo svedese che nel febbraio del 1873 era diventato direttore del Teatro di Christiania. Josephson puntò subito sul repertorio ibseniano, allestendo con successo I pretendenti alla corona e La commedia dell'amore: ciò spianò la strada al mai rappresentato Peer Gynt. In una lettera da Dresda del 23 gennaio 1874 Ibsen chiese a Edvard Grieg, che aveva conosciuto personalmente a Roma nel 1866 e che a quell'epoca era il maggior compositore norvegese, di collaborare scrivendo le musiche di scena per la sua opera. Ibsen era del parere che la musica fosse un elemento essenziale e imprescindibile per la rappresentazione teatrale del Peer Gynt: non solo ne dava motivazioni estetiche, ma forniva anche suggerimenti precisi circa la sua funzione nel testo rielaborato per la scena. Non dubitava che altri importanti teatri avrebbero accolto con entusiasmo il progetto. Grieg, pur non essendo affatto entusiasta della proposta, accettò ugualmente, un po' per vanità, un po' perché lusingato dalla generosità di Ibsen, che gli aveva offerto la metà degli interi proventi. Lavorando a intermittenza su quel dramma che riteneva "il meno musicale di tutti i soggetti, un tema terribilmente intrattabile", giunse a terminare la partitura nell'agosto del 1875. L'opera, ridotta e potenziata soprattutto nei suoi aspetti liricopopolari, con poche concessioni alla satira, andò in scena per la prima volta al Teatro di Christiania il 24 febbraio 1876 in un ricco allestimento, riscuotendo un notevole successo: vi furono 37 rappresentazioni fino al gennaio 1877, quando lo spettacolo fu bloccato a causa di un incendio. [6]


I ruoli principali furono affidati agli attori più rinomati del momento, Henrik Klausen nel ruolo di Peer Gynt e Thora Hannson in quello di Solveig. Tuttavia, la voce di Thora Hansson fu giudicata inadatta al ruolo e fu chiesto a una giovane sconosciuta di cantare le toccanti canzoni di Solveig mentre Thora mimava il canto. Non ci sono tracce del nome e del passato di questa ragazza.

[Prima rappresentazione del Peer Gynt del 1876: Henrik Klausen nel ruolo di Peer Gynt e Thora Hannson in quello di Solveig.]

Grieg per parte sua non fu completamente soddisfatto del proprio lavoro, soprattutto per quanto riguardava l'orchestrazione, che rivide sia in occasione di un nuovo allestimento a Copenaghen nel 1886, sia quando l'opera fu nuovamente rappresentata a Christiania nel 1892. Grieg successivamente decise di ricavare dalle musiche di scena due suites sinfoniche (op. 46 e 55) e continuò ad aggiungere nuovi pezzi e a riorchestrare gran parte della musica. L’ultima versione fu pubblicata nel 1908, un anno dopo la sua morte.

Le differenze tra i due autori Il temperamento e la sensibilità artistica di Ibsen erano diversi da quelli di Grieg, perché il primo aveva una natura filosofica e battagliera dentro di sé che lo spingeva a servirsi del teatro per esporre le proprie tesi sociali e ideologiche, mentre il musicista, educato alla grande scuola romantica tedesca da Schumann a Wagner, mirava a cogliere l'elemento sentimentale e umano di ogni situazione psicologica. Cosi come Ibsen appare tormentato, estroso, anticonformista e sempre pronto a lanciare frecce avvelenate contro le convenzioni borghesi (La «Casa di bambola» resta ancora oggi un esempio emblematico del suo teatro), al contrario Grieg è un intimista, un sognatore, un ricercatore di atmosfere pre-impressioniste e un delicato melodista che mira al bozzetto e all'acquarello, senza preoccuparsi di dimostrare la validità di questa o quella filosofia. Nel Peer Gynt appare evidente la diversità di fondo fra questi due autori, anche se il legame fra il testo e la musica funziona abbastanza bene e in alcuni momenti è proprio il lirismo di Grieg e dare vibrazione e calore al simbolismo acceso del personaggio. Nel testo di Ibsen c'è un mondo fantasioso e irreale, quasi in una visione di allucinata poesia espressionistica, ma non c'è dubbio che la elegante e misurata musica di Grieg contribuisca [7]


notevolmente a creare l'incanto di una favola di straordinaria purezza espressiva, soprattutto nei tre momenti centrali del dramma, racchiusi nelle pagine più toccanti della partitura, cioè La morte di Aase, La canzone di Solvejg e la struggente Ninna-nanna di Solvejg, dove il musicista raggiunge il massimo della tensione emotiva con un’estrema semplicità di linguaggio.

GUIDA ALL’ASCOLTO MUSICHE DI SCENE I ATTO 1. 2. 3. 4.

Alle nozze (Preludio all'atto I) Processione nuziale Halling Springar

Non è cattivo, quello scapestrato di Peer Gynt: nella furia dei suoi vent’anni è solo un vagabondo irrequieto e un irresistibile bugiardo. Vuole bene alla mamma, la piccola e fragile Aase, anche se lei lo rimprovera sempre di vivere "contando trottole". Non ha molta voglia di lavorare, il ragazzo. Peer sogna, sogna a occhi aperti. Fantasia e realtà in lui si confondono. Tra una fuga da casa e l'altra ha corteggiato Ingrid, la figlia di un ricco possidente, ma poi se n'è stancato. Ora Ingrid si sposa con un altro e Peer per ripicca - dopo aver posato la madre scalciante sul tetto d'un mulino - si presenta tutto stracciato e sporco alla festa di nozze.

[Xilografia disegnata da William Sophus Bergstrøm]

La musica di Grieg ci introduce direttamente nella fattoria dove si celebrano le nozze della ragazza del podere di Hägstad, Ingrid. Il preludio orchestrale contrappone alla caratterizzazione musicale dello scapestrato Peer (descritto da Ibsen come un robusto ventenne) una calda melodia di sapore popolare associata alla figura di Solvejg, la giovane da cui Peer è attratto, fanciulla "dagli occhi bassi e dalle trecce d'oro", ma che gli incute timore per la sua pudicizia e la sua riservatezza. Al centro di questo preludio campeggiano frammenti di due danze norvegesi suonate da una viola sola, dapprima fuori dal palcoscenico. Al culmine della festa nuziale, durante la quale Peer, in preda all'alcool, rapisce la [8]


sposa, queste danze vengono riprese in primo piano, affidate al violino norvegese detto hardingfele [a dx,i foto dello strumento]. Grieg prescrive che entrambe le danze (uno Halling in 2/4 grazioso e tranquillo e uno Springar in tempo ternario balzante e rapido) debbano essere suonate in modo perfettamente conforme alle tradizioni della musica popolare. Peer è rimasto incantato dalla dolce, pura Solvejg, ma non per questo rinuncia a mettere in atto il suo diabolico piano: rapire e possedere la ricca sposa Ingrid, che d'altra parte si fa rapire volentieri. I due si rifugiano in un granaio e Peer seduce la giovane donna.

II ATTO 5. Il ratto della sposa: Lamento di Ingrid (preludio all'atto II) 6. Peer Gynt e le villanelle (melologo1) 7. Peer Gynt e la donna in verde (melologo) 8. Nell'antro del re della montagna (coro e melologo) 9. Danza della figlia del re della montagna 10. Peer Gynt inseguito dai troll (coro e melologo) 11. Peer Gynt e il gobbo (melologo) Il secondo atto ha inizio con un preludio basato sul contrasto fra le urla rabbiose di Peer (Allegro furioso) e il triste canto di Ingrid, la sposa rapita e rapidamente abbandonata (Andante doloroso). [Julius Kneiss: Lamento di Ingrid. Xilografia. Amsterdam, collezione privata] Descritto vivacemente in musica, si svolge il dialogo fra i due personaggi, l'uno insofferente e sprezzante (la brutalità di Peer è resa plasticamente dai corni), l'altra disperata e supplichevole. Peer se ne va per sempre, lasciando la povera Ingrid ai suoi tormenti... Se ne va sulla montagna, per sfuggire la vendetta della famiglia di Ingrid che già gli sta alle calcagna, armata di fucili e bastoni. Si arresta in cima a un pendio. E’ la fine del giorno. Lungo il suo cammino Peer incontra tre strane donne mandriane abbandonate dai loro fidanzati e desiderose di colmare il loro giaciglio vuoto. Una scena, questa, mista di canto e melologo.

Il melologo è un genere musicale nato nel XVIII secolo che unisce la musica con il parlato. In particolare, un melologo è un monologo nel quale i passaggi che hanno maggiore accento emotivo vengono sottolineati da un accompagnamento musicale. La musica serve anche per il passaggio tra un monologo e l'altro.

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Le tre ragazze (parti cantate) chiamano i loro perduti amanti troll; Peer (voce recitante sullo sfondo dell'accompagnamento orchestrale) si dichiara abbastanza prestante da poterle consolare tutte e tre: solo alla fine della scena l'orchestra diviene protagonista di un Quasi presto che illustra il lato demoniaco del personaggio di Peer. Peer, che dopo una notte d'orgia si è lasciato alle spalle anche le tre strane mandriane, continua la sua fuga verso la montagna. E’ notte. Una donna vestita di verde che cammina sul poggio gli appare improvvisamente davanti. Peer subito la segue facendo gesti da innamorato. Si proclama un re, la corteggia, le promette di sposarla. Peer seduce la Donna vestita di verde: la breve scena è basata sulla contrapposizione tra la melodia dell'oboe solo, che ritrae la Donna in verde, e la sinistra caduta del tema di Peer nel registro grave dei contrabbassi, che ora lo rappresentano. La donna è la figlia di Dovre, l’anziano Re della montagna dei troll. Accecato dalla ricchezza e dal potere, Peer vuole sposare la donna. La donna vestita di verde chiama a gran voce il suo cavallo nuziale: è un maiale con una corda per briglia e un vecchio sacco per sella. I due fidanzati saltano in groppa e corrono per i monti! Bandito dal suo paese, Peer si avventura quindi nel mondo dei troll, i nani maligni della mitologia nordica.

[Theodor Kittelsen: Peer nel regno dei troll]

Il giovane è accolto in una caverna, la sala del Re della montagna, al cospetto di Dovre, che gli ingiunge, se vuol diventar gnomo, di non occuparsi di quanto accade fuori da quelle montagne e di far suo il motto “accontentati d'esser come sei.” In onore di Peer la figlia del Re della montagna esegue una danza rozza e grottesca, dal marcato tono burlesco; l'effetto, già dichiaratamente parodistico, si tinge di comicità tutt'altro che involontaria: scriveva Grieg che questa musica doveva «puzzare di sterco di mucca, e di ristrettezza mentale norvegese e presunzione! Ma penso che il pubblico capirà l'ironia che c'è dietro».

[La danza del figlia del Re. Oper Halle. 2021]

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Davanti alla promessa di una dote ricca, Peer non esita ad acconsentire alle nozze, e subito le bizzarre creature prendono a spogliarlo di ogni suo connotato umano: gli sequestrano le vesti, lo fanno bere e mangiare come di loro usanza, tentano persino di agganciargli al di dietro una coda, sicché per la prima volta egli sente di star perdendo la sua umanità. Peer dovrà dimenticare per sempre cosa significhi essere un uomo? Giammai, e alla fine decide di fuggire. Segue un'ampia scena per coro e orchestra che descrive Peer inseguito dai troll, che lo hanno condannato a morte: proprio mentre la caccia sfrenata sta per avere successo, in un grande crescendo di tutta l'orchestra, il suono delle campane di una chiesa fa crollare la sala. I troll fuggono precipitosamente e improvvisamente tutto sparisce. Ora è buio fitto, assoluto. E nel fitto delle tenebre Peer Gynt incontra sulla sua strada il Gran Curvo, strana invisibile creatura senza forma che nelle tenebre sbarra il cammino a Peer da qualunque parte si volti. Per la prima volta la musica abbandona il lato descrittivo e illustrativo per farsi commento quasi metafisico del dramma. La scena è costruita come un melologo con coro fuori scena, che rappresenta le voci d'uccelli che sostengono il Gran Curvo nelle sue torve minacce; ma alla fine le campane, di nuovo, e un organo che si sente in lontananza, emblema della fede, consentono a Peer di fuggire e di salvarsi.

III ATTO 12. La morte di Aase (preludio all'atto III e melologo) E’ stata la dolce Solvejg a salvarlo con un suono purificatore di campane, Peer le chiede ancora d'aspettarlo, e quindi corre da sua madre in fin di vita, per un ultimo saluto. Nel lettuccio da bambino di Peer l’anziana donna invoca la fine, che sente imminente. Messosi a cassetta sulla sponda del letto Peer finge di accompagnare la madre in slitta verso un castello fatato. [Arthur Rackham: La morte di Aase] Così parla il giovane alla madre morente: «Vedi quello sfolgorio di luce, mamma? C'è una gran folla al castello; s'accalcano alla porta e gridano: «Arriva Peer Gynt con sua madre». Come sarebbe a dire, signor San Pietro? La mamma [11]


non può entrare? Ti dico che puoi cercare un pezzo prima di trovare un cuore così buono. Non parlo di me, io posso anche tornarmene indietro, ma lei dovete onorarla e trattarla come si deve, perché nessuno migliore di lei verrà quest'oggi al castello. Ma perché mi guardi con gli occhi velati? Mamma, non mi vedi? Non sgranare gli occhi in quel modo! Parla, mamma: sono io, il tuo Peer! Già... Riposati pure, mamma. Ora il viaggio è finito.» Cullata da quella voce, Aase gli muore fra le braccia, credendo d'andare in slitta in Paradiso. La sola musica composta per il terzo atto è un Andante doloroso intitolato La morte di Aase: due pagine di partitura per soli archi con sordina di semplice intensità espressiva, mesto e insieme radioso, com'è in fondo, nel suo aspetto profondamente serio, il rapporto che lega il figlio alla madre. Grieg voleva che questo pezzo fosse suonato due volte, come introduzione prima e poi come accompagnamento fuori scena, in pianissimo ed estremamente debole, alla morte di Aase. IV ATTO 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20.

Il mattino (preludio all'atto IV) Il ladro e il ricettatore (voci soliste) Danza araba (voce solista e coro) Danza di Anitra Serenata di Peer Gynt (voce solista) Peer Gynt e Anitra (melologo) Canzone di Solveig (voce solista) Peer Gynt davanti alla statua di Memnone

Il quarto atto, con il suo repentino cambiamento di luogo, tempo e azione, è senza dubbio il più complesso dell'intero dramma. In un primo momento Ibsen aveva proposto a Grieg di tagliare quasi tutto questo atto nella rappresentazione e di sostituirlo con un poema sinfonico di vasto respiro, che facesse pensare ai vagabondaggi di Peer Gynt per il mondo. L'idea non fu realizzata per l'opposizione del direttore del teatro, che evidentemente non voleva rinunciare alla parte più variopinta dello spettacolo; sicché Grieg si limitò a fornire alcuni pezzi di supporto con esplicito carattere di divertissement. Peer è fuggito, ha lasciato il paese natio per andar lontano, verso il mare, e più lontano ancora. È andato per il mondo in cerca di fortuna. E la fortuna gli ha accordato i suoi favori. È diventato ricco, molto ricco, con i mestieri più incredibili, mercante di schiavi negri, trafficante di opere d'arte, finanziatore di missioni, armatore. Lo ritroviamo sulla costa sud-ovest del Marocco, un bell'uomo di mezza età elegantemente vestito, che ammira il sorgere del sole. L’atto inizia con il dolcissimo e celeberrimo Allegretto pastorale (conosciuto come “Il mattino”) posto ad apertura dell'atto, pezzo che descrive il mattino su un palmeto ai bordi del mare e che Grieg stesso considerava «musica pura, dove l'interpretazione è di grande importanza». La melodia in 6/8 è lieta, semplice ed orecchiabile, di carattere sognante, una linea melodica eseguita inizialmente dal

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solo flauto, ripetuta dall'oboe e poi dagli archi in un crescendo di ampio respiro e di intensità espressiva.

Peer è in compagnia di quattro avventurieri, con i quali progetta nuove imprese, ma i quattro, approfittandosi della sua ebbrezza, si impadroniscono del suo panfilo con tutto il tesoro dentro e si allontanano a tutto vapore. Ma poco dopo il panfilo prende fuoco in mare e si inabissa. La folgore del castigo, pensa Peer. Ora però dovrà ricominciare da capo. E come? Quando le cose sembrano mettersi male per lui, ecco che un mattino nel deserto dell'Arabia trova i ricchi abiti, i gioielli e il cavallo bianco dell'imperatore, che un ladro e un ricettatore hanno abbandonato fuggendo. Ecco “sir Peer Gynt dalla testa ai piedi”. Peer, vestito con gli abiti orientali del sultano, è finito in mezzo a un'oasi nel deserto. Nella tenda di un capo arabo, disteso su cuscini, beve caffè e fuma una lunga pipa. La figlia del capo, la bella Anitra, e un gruppo di fanciulle danzano e cantano per lui. Fanno parte di questa scena la serenata di Peer Gynt ad Anitra, l'unica in cui a Peer sia richiesto di cantare; ma soprattutto si segnalano le due danze, quella araba per coro femminile e orchestra, pagina di grande trasparenza strumentale, e quella di Anitra, un piccolo, seducente valzer in tempo di Mazurka per archi, con violini con sordina, e triangolo.

CORO FEMMINILE: Il Profeta è arrivato! Suonate, flauti e tamburi! Il Profeta, ricco di ogni saggezza, è arrivato fra noi cavalcando su un mare di sabbia! Il Profeta, l'infallibile, è arrivato navigando su un mare di sabbia! Il Profeta è arrivato! ANITRA: Il suo corsiero è bianco come il latte che scorre nei fiumi del Paradiso! Inginocchiatevi! I suoi occhi sono stelle che brillano dolcemente. Ma quale creatura terrena può sopportare lo splendore folgorante che la colpisce? Dal deserto è arrivato. Oro e perle rimbalzano sul suo petto. Dove appare, gioia e luce appaiono, dove non appare, tenebra e carestia rendono tutto deserto. Lui, l'eccelso, è arrivato! La Kaaba è vuota ormai, lui stesso l'aveva predetto! [13]


Anitra, che ha danzato per lui, sembra invaghita dello straniero, soprattutto, a dire il vero, dei suoi tesori, e neppure lui è insensibile al fascino femminile un po' bizzarro di lei. Al chiaro di luna, con una chitarra araba in mano, Peer le canta una serenata.

PEER GYNT: Ho chiuso il mio Paradiso e mi son portato via la chiave. Ho preso il mare con il vento del nord mentre le belle donne sulla riva piangevano la mia partenza. Verso sud la rotta della nave ha tagliato l'acqua del mare salato. Dove le belle palme superbe ondeggiano, coronando la baia sul mare, ho bruciato la mia nave. Sono montato sulla nave del deserto, la nave a quattro zampe, che schiuma sotto le frustate. Sono un uccello leggero, prendimi! Cinguetto sulla cima di un ramo. Anitra, ora lo so: tu sei vino di palma! Neanche il cacio di capra d'Angora è dolce come te! Anitra, come te! Anitra, come te! I due amoreggiano, cambiandosi teneri sussurri d'amore e qualche grave parola di saggezza. Peer, estasiato, sentendosi davvero un imperatore, la issa sul cavallo bianco e galoppa, galoppa con lei verso il deserto. Anitra però lo lascia solo nel deserto. Peer resta a lungo come fulminato. Lontano, molto lontano, la piccola Solvejg lo aspetta ancora, lassù, nel paese degli avi e delle nevi: gli anni passano, ma lei lo aspetta ancora. Al carattere orientaleggiante ed esotico dell’atto si sottrae un vero gioiello della partitura, la Canzone di Solvejg, che ne approfondisce il carattere soave nello stile del canto popolare: il soprano è accompagnato da flauti, clarinetti e archi con sordina punteggiati dagli accordi dell'arpa.

SOLVEJG: Forse inverno e primavera passeranno, e poi l'estate e l'anno intero. Pure un giorno tornerai, lo so. E io ti aspetterò perché te l'ho promesso. Che Dio ti aiuti, dovunque il sole ti stia baciando! Che Dio ti allieti, se sei davanti a Lui! lo qui ti aspetto, finché tu sarai davanti a me! E tu aspettami lassù, dove ci incontreremo! Peer, grave e meditabondo, si è spogliato degli abiti turchi ed è di nuovo tornato se stesso: vuol tentare qualcosa di nuovo, un'impresa più nobile. Decide di rimettersi in cammino: esplorerà il passato, studierà le grandi epoche del mondo, continuerà da scienziato il suo viaggio alla conquista di se stesso. In Egitto, davanti alla statua di Memnone eretta nella sabbia gli sembra di udire uno strano mormorio, un canto enigmatico, come se fosse quella... la musica del passato. Delle musiche per questo atto fa parte anche un breve pezzo meditativo per archi e quattro corni, in origine pensato per la scena di Peer Gynt davanti alla statua di Memnone e in allestimenti successivi usato come preludio all'atto terzo, con il titolo Nel folto della foresta di pini, un brano a cui Grieg teneva molto e per il quale raccomandava che i quattro corni fossero suonati "con molta dolcezza, perché tutto deve avere le sonorità di un altro mondo". V ATTO 21. Il ritorno a casa di Peer Gynt: sera tempestosa sul mare (preludio all'atto V) 22. Naufragio (melologo) 23. Solveig canta nella capanna (ripresa della melodia della canzone) [14]


24. Scena notturna (melologo e coro) 25. Inno di Pentecoste: «Benedetto sia il giorno» (coro) 26. Ninna-Nanna di Solveig (melologo, voce solista e coro) Il quinto atto si apre con il ritorno a casa, nella natia Norvegia. Peer ha già sessant'anni, la barba e i capelli sono grigi, il volto un po' indurito: ha incontrato la grande Sfinge scolpita nella roccia, visitato il manicomio del Cairo, dove è stato acclamato "Imperatore dell'Io", cioè... del Nulla. È venuto il tempo di tornare a casa. Tra i fiordi, a bordo di una nave nel Mare del Nord presso la costa norvegese, contempla i luoghi familiari, mentre il mare è in burrasca e la nave in pericolo. La musica del preludio ritrae efficacemente, con ondate di crescendi e diminuendi wagneriani, una scena tempestosa sul mare, che culmina nell'affondamento della nave. Il momento del vero e proprio naufragio è sottolineato da grancassa, timpani e da un tremolo dei contrabbassi che, scriveva Grieg, "debbono fare un rumore terribile". Cielo buio, nebbia e nubi pesanti. La burrasca cresce. Presenze fantomatiche, allucinazioni forse, circondano Peer. A riva, fra scogliere e frangenti, la nave fa naufragio e affonda in un silenzio spettrale. Ma ancora una volta la fortuna soccorre Peer che si salva. Scampato al naufragio e proseguendo il proprio cammino verso i luoghi dell'infanzia, Peer ode Solvejg cantare nella capanna: una ripresa della prima sezione della sua canzone, accompagnata da un piccolo gruppo di archi fuori scena, sommesso e grave, conferisce a questo episodio un tono di misteriosa, mistica attesa.

SOLVEJG: Tutto è pronto per la Pentecoste. Mio ragazzo adorato, sei tu ancora lontano? Il tuo fardello è greve, prendi il tuo tempo: io ti aspetterò, come ti ho promesso. Segue una scena notturna in una brughiera annerita dal fuoco: Peer (recitante) è rimproverato da piccole cose della natura, come foglie secche portate dal vento e gocce di rugiada (coro all'unisono): la musica fa eco ai tormenti oscuri della sua coscienza, all'inizio da lontano con dolcezza, poi sempre più minacciosa, fino allo stretto in cui la voce lontana di Aase aggiunge un ultimo rimprovero. Nel suo cammino Peer è arrivato alle soglie della fine. Ha incontrato uno strano personaggio, il Fonditore di bottoni, che - dice - vorrebbe rifonderlo nella massa, perché Peer non è riuscito né come peccatore né come uomo onesto. L'apparizione del Fonditore di bottoni è l'immagine stessa della morte: Peer comprende che il suo destino è prossimo al compimento, ma indugia ancora ad ascoltare con la nostalgia della giovinezza un gruppo di fedeli che vanno in chiesa per il sentiero della foresta cantando l'inno della Pentecoste Benedetto sia il giorno: l'inno, precisa Grieg, "deve essere soltanto intonato a bocca chiusa (cioè cantato molto debolmente) fuori scena, e non deve essere cantato a voce piena", come un ricordo lontano. [15]


CORO: Benedetto sia il giorno in cui le lingue del cielo scesero sulla terra, acciaio fiammante! Dalla terra al cielo l'erede del regno divino canta nella sua lingua celeste. Siamo all'epilogo. Peer è finalmente pronto a varcare la soglia della capanna e a ricevere il saluto di Solvejg, ormai vecchia e cieca, ma ancora innamorata e pronta a intercedere per lui con il suo perdono. Dopo che il Fonditore di bottoni ha annunciato in tono di sfida che la sua ora scoccherà al prossimo incontro, Peer si addormenta cullato dolcemente dalla ninna-nanna di Solvejg e sogna, mentre all'orizzonte si annuncia il sorgere del sole. Senza rendersene conto, egli ha passato una vita: ma solo nel cuore di lei.

SOLVEJG: Dormi, mio dolce bambino, ti cullerò, ti veglierò... Nel mio grembo ha ascoltato il canto, con me ha giocato tutta la vita. Ora vuole stare stretto al seno di sua madre, che Dio lo benedica! Al mio petto lo lascio riposare, per tutta la vita. Ora è tanto stanco. Dormi, mio dolce bambino. Dormi! Dormi! Ti cullerò, ti veglierò... Dormi! Dormi! Dormi e sogna, bambino mio!

Su questa musica in dissolvenza intrisa di trasfigurazione, il sipario cala molto lentamente, lasciando Solvejg china su Peer Gynt giunto al termine del suo viaggio.

 LE DUE SUITES SINFONICHE Grieg dopo oltre 10 anni decise di ricavare due suites sinfoniche (n° 1 op. 46 e n° 2 op. 55), pubblicate rispettivamente nel 1888 e nel 1893 e destinate ad avere vita autonoma nel repertorio concertistico. Esse constano ognuna di quattro brani: in tutto otto pezzi ricavati dai 26 che costituivano l'intero lavoro. Solo la prima delle due canzoni di Solveig fu inserita nelle suites, affidandone la melodia ai violini. Suite n°1 op. 46 

Il mattino [16]


La morte di Aase La danza di Anitra Nell'antro del re della montagna

Suite n°2 op. 55 

Lamento di Ingrid Danza araba Il ritorno a casa di Peer Gynt Canzone di Solveig

Lo stesso Grieg realizzò una riduzione pianistica delle due suite. La canzone di Solveig fu inserita anche nei pezzi per pianoforte op. 52, una raccolta di trascrizioni di Lieder. Il suo incipit ha però un'origine più lontana, in quanto proviene dalla canzone popolare norvegese Jeg lagde mig så silde, che lo stesso Grieg trascrisse sia per voce sia per pianoforte.

[17]


DISCOGRAFIA

Grieg: Peer Gynt Sheila Armstrong. The Ambrosian singers. The Hallè Orchestra, dir. Sir John Barbirolli. Warner Classics

Questa magnifica interpretazione di Barbirolli del 1969 è considerata un’edizione di riferimento. Sir John Barbirolli conduce la Hallé Orchestra in una lettura sentita e rigorosa, e la soprano Sheila Armstrong consegna alla memoria una "Canzone di Solveig" indimenticabile. La rimasterizzazione in HQCD a 24 bit ci permette di avere un ascolto ottimale.

♫♫ Grieg: Peer Gynt orchestral works Royal Philharmonic Orchestra, dir. Sir Thomas Beecham. Warner Classics Ho sentito questa musica di Grieg suonata molte volte su disco e CD, ma nessuna è più brillante della resa di Sir Thomas Beecham del 1957, figura di primo piano nel panorama musicale internazionale della prima metà del Novecento, e annoverato tra i maggiori direttori d'orchestra del secolo scorso. La riproduzione è decisamente appassionata, con un suono orchestrale lussureggiante e caldo. È per questo che preferisco le registrazioni classiche analogiche che sono state accuratamente rimasterizzate, ovvero le registrazioni RCA Living Stereo dalla metà degli anni Cinquanta agli anni Sessanta. È stata prestata un'ovvia attenzione a riprodurre fedelmente il suono stereofonico, e i tecnici dell'EMI hanno fatto un lavoro straordinario qui. L'ottone e i piatti sono chiari, puliti e nitidi, i legni caldi e ricchi, e le corde morbide ma potenti. Il suono è incredibilmente superbo. Anche le voci sono splendidamente registrate, con grande fervore e sentimento. ♫♫ [18]


Grieg: Peer Gynt – Sigurd Josafar Barbara Bonney, Marianne Eklöf. Kjeli Magnus Sandve, Urban Malmberg, Wnche Foss, Torali Maurstad. Gotenborg Symfoniker e Coro, dir. Nerme Järvi. Deutsche Grammophon Questa è un’incisione integrale del dramma. Partiture da scoprire, che ti permettono di conoscere meglio il genio melodico di Grieg e di ascoltare la totalità della musica di scena, piuttosto che solo le due suite. Barbara Bonney è una Solvejg eccezionale, tra le migliori in questo ruolo. La musica di Grieg per Peer Gynt ha una sorta di freschezza intrinseca e perenne, e la direzione di Järvi cattura questa qualità particolarmente bene. La sua è un'interpretazione molto teatrale, con molta eccitazione nelle scene più vivaci. L'orchestra estone cattura efficacemente il sapore rustico della musica. Buona, ma datata, la qualità della registrazione. ♫♫ Grieg: Peer Gynt Peter Mattei, Camilla Tilling, Charlotte Hellekant. Estonian National Symphony Orchestra, dir. Paavo Järvi. Virgin Classics Registrata in lingua originale. Troppo spesso quest’opera viene suonata come se fosse un pezzo da concerto. Interpretata in questo modo, per tutto il tempo, come un dramma, ne percepiamo una bellezza e una partecipazione indescrivibile. Paavo Järvi gareggia qui con la registrazione di suo padre, fornendo un resoconto altrettanto (se non più) persuasivo. L'Orchestra

Sinfonica Nazionale

Estone

suona

in

modo

professionale e gradevole. I cantanti sono tutti di alto livello. Il Peer Gynt di Peter Mattei è eccellente, secondo me molto più avanti di Urban Malmberg nella registrazione di Neeme Järvi. Camilla Tilling nei panni di Solveig ha una voce da soprano piacevolmente dolce che funziona molto bene

in

questo

repertorio.

Potrebbe

non

trasmettere

perfettamente la sensazione dell'età di Solveig, ma è estremamente coerente ed è paragonabile all'interpretazione di Barbara Bonney.

[19]


Il coro è altrettanto eccellente, rendendo l'inno verso la fine del disco davvero glorioso nella sua bella semplicità. La qualità del suono è sorprendente. Edizione di riferimento, da avere assolutamente! ♫♫ Grieg: Peer Gynt (highlights) / Jean Sibelius: Finlandia – Valse triste Barbara Hendricks. Oslo Philharmonic Chorus & Orchestra, dir. Esa-Pekka Salonen. Sony La saga di Peer Gynt è un per i paesi nordici una specie di mille e una notte, e, tra le esecuzioni, quelle dei direttori nordici sono senza dubbio protagoniste. In questa performance del 1989 l'interpretazione del giovane ventottenne

direttore

finlandese

dimostra

rigore,

concentrazione, visione analitica della partitura. Il modo di esaltare le percussioni nella "Danza della Figlia del Re della Montagna" è davvero inaudito: quasi un'esperienza di "musica concreta". Proprio come questo modo di dissolvere il lirismo della "Canzone di Solveig" o della

"Morte di Aase" nelle

lentezza del tempo con toni tenui. Certe scelte ritmiche si rivelano al contrario frenetiche ed avvolgenti ("Danza araba", “Ritorno dell'eroe al suo paese”). Tra i ventisei brani che "Peer Gynt" conta esaurientemente, questi diciassette brani (tra cui il Preludio al III atto e l'inno al V atto, ascoltati raramente se non nella loro interezza) sono suonati dalla Philharmonia di Oslo in modo sottile, intelligentemente privo di ostentazioni. Il disco è caratterizzato dalla presenza della soprano Barbara Hendricks, che rappresenta un po’ il limite di questa esecuzione in rapporto a quella di Paavo Järvi, che si avvale di un cast eccezionale, con una intensità e presenza scenica inarrivabile. Intendiamoci l'esecuzione di Salonen è molto coinvolgente, la Hendricks ha una bella voce, ma non raggiunge i vertici e la drammaticità del cast di voci messa in campo dall'esecuzione di Järvi, quindi è (a mio avviso) da considerare una seconda scelta di lusso. I cori norvegesi cantano in lingua originale. ♫♫ Grieg: Peer Gynt Suites Bergen Philharmonic Orchestra, dir. Ole Krutian Ruud. BIS [20]


Esistono numerose registrazioni delle suite del Peer Gynt di Grieg, ma le versioni estese con testo sono poche. Ascoltare la musica nel contesto è importante, ed è molto piacevole ascoltare le parole in norvegese, poiché la lingua si adatta molto bene alla musica. I cantanti e il coro di Bergen sono chiaramente madrelingua, il che conferisce al loro canto una verve naturale. Direttore e orchestra hanno uno smalto di buon livello, senza adagiarsi nel puro sentimentalismo. Assieme alle due Suites troviamo incise la melodia e le variazioni dell'Old Norwegian, una partitura molto meno frequentata sul disco e tuttavia molto interessante e coinvolgente. La registrazione audio è assolutamente splendida per potenza ed ampiezza. ♫♫ Grieg: Peer Gynt Suites 1 & 2 - Lyric Suite - Holberg Suite – Two Elegiac Melodies Norwegian Radio Orchestra, dir. Ari Rasillainen. / The Hensilki Strings, dir. Geza Szilvay. / Ostrobothian Chamber Orchestra, dir. Jhua Kangas. Apex

Una buona panoramica del lavoro di Grieg. Il CD contiene le composizioni più famose di Edvard Grieg, in modo che anche le persone che non hanno avuto punti di contatto con questo compositore

possano avere una prima e soddisfacente

panoramica. Le tre diverse orchestre che hanno registrato le composizioni hanno fornito prestazioni di ottimo livello.

♫♫ Grieg: Peer Gynt Suites; Holberg Suite /Sibelius: Finlandia; Valse triste Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan. Deutsche Grammophon – Karajan Gold Karajan come direttore d'orchestra e Grieg come compositore è una delle migliori combinazioni che si possano immaginare nell'arte sinfonica moderna. Il risultato è sempre affascinante. Il fiorire del celeberrimo "Mattino" è pura gioia per le orecchie, con sonorità chiare e potenze impreziosito dalla grande maestria da Galway, vero virtuoso del flauto; ma subito dopo giunge la [21]


struggente "Morte di Aase" cui segue il vortice di troll del suggestivo "Antro del re della montagna", pura energia; non mancano di stupenda vitalità i numeri "esotici", tra i quali la seducente "Danza di Anitra". Eterea, eppure tristissima è la "Canzone di Solvejg", una elegia per arpa e archi di bellezza strabiliante dove Karajan esprime tutto il suo carisma. Karajan, in tutti i brani presenti nel CD (troviamo anche Sibelius in Finlandia e Valse triste) dimostra una sensibilità e una capacità interpretativa

eccezionale

che

giustifica

la

sua

fama

intramontabile. I Berliner ben assecondano il suo pensiero e le sue capacità musicali. Un CD altamente raccomandato.

[22]


I grandi Direttori del ‘900: Dimitri Mitropoulos  Cenni biografici Dimitri Mitropoulos nacque ad Atene il 1° Marzo 1896. Fin dalla tenera età dimostrò talento musicale: già a dieci anni aveva imparato a a suonare il pianoforte, scriveva e suonava le proprie composizioni. Essendo nato in una famiglia altamente religiosa - molti dei suoi parenti erano sacerdoti della Chiesa greco-ortodossa - anche Mitropoulos pensò di diventare sacerdote, ma per l'assenza di musica nella liturgia greco-ortodossa preferì iscriversi al Conservatorio di Atene, dove si diplomò in pianoforte nel 1918 e in composizione nel 1920. Proseguì i suoi studi musicali prima a Bruxelles, infine a Berlino con Ferruccio Busoni come insegnante. Tra il 1921 e il 1925 fu l'aiutante di Erich Kleiber all’Opera di Stato di Berlino. Ritornato in Grecia, dal 1924 in poi Mitropoulos diresse l'Orchestra del Conservatorio di Atene (che in seguito divenne l'Orchestra Sinfonica di Stato greca), esercitando una grande influenza sul gusto musicale greco introducendo nei suoi programmi numerose opere sconosciute e contemporanee. Nel 1930 fu nominato professore di composizione al Conservatorio e nel 1933 fu eletto membro dell'Accademia di Atene. Nel 1930 diresse con grande successo l'Orchestra Filarmonica di Berlino, presentandosi anche come pianista; seguirono concerti in Italia, in Francia, in Belgio, in Polonia, in Russia. Nel 1936 fece il suo debutto americano con l'Orchestra Sinfonica di Boston e l'anno successivo fu nominato direttore stabile dell'Orchestra Sinfonica di Minneapolis, incarico che conservò sino al 1949, anno in cui fu chiamato a dirigere stabilmente l'Orchestra Filarmonica di New York. Nel 1947 prese la cittadinanza americana. Mitropoulos venne spesso attaccato dai critici di New York, a cui non piaceva la sua programmazione, che si concentrava sulla musica tardoromantica e moderna europea e della musica americana contemporanea, piuttosto che sulle basi del repertorio tradizionale austro-tedesco. Inoltre, il suo stile di vita austero e la presunta omosessualità si adattavano male alla psicologia di massa maccartista del periodo. Non sorprende che in queste circostanze i giorni di Mitropoulos furono presto contati e la sua situazione fu aggravata da problemi di salute cardiaca che alla fine si rivelarono fatali. [23]


Diresse anche al Festival di Salisburgo, al Maggio Musicale Fiorentino e partecipò alle stagioni sinfoniche e operistiche del Teatro della Scala di Milano e dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia in Roma. All'inizio del 1959, Mitropoulos subì il suo primo attacco di cuore e i suoi medici gli consigliarono di riposare, tuttavia volle tornare presto sul podio, dirigendo sia in America che in Europa; mentre provava la 3a Sinfonia di Mahler con l'Orchestra della Scala di Milano, il 2 novembre 1960, subì un ulteriore infarto e morì di colpo sul podio.

 L’arte di Mitropoulos Mitropoulos è un direttore noto per la sua memoria incredibile (come Toscanini e de Sabata) e per la carica esplosiva delle sue interpretazioni, dal suono potente e inconfondibile, sempre chiarissimo nella costruzione architettonica del pezzo e nel sottolinearne la modernità della scrittura orchestrale (soprattutto in Mahler e Berlioz), ridonando nuovo vigore anche alle partiture più eseguite. Le sue interpretazioni sono sempre analitiche, taglienti e cristalline, spesso molto aggressive e senza eccessi emotivi di derivazione romantica. Sin da quando era studente egli veniva censurato da Ferruccio Busoni per la carenza di autocontrollo: «Troppa passione! Riprenda Mozart, impari lì la purezza della forma!» gli ripeteva continuamente il celebre compositore italiano. La sua natura gli imponeva di dare ogni volta il massimo, tale che il critico del New Yorker Winthrop Sergeant scrisse che gli ricordava “un barman greco che mischi dei cocktail agitandoli vigorosamente”. Lo stesso critico però aggiungeva che quando c’era Mitropoulos sul podio “l’aria era satura di elettricità”.

Si adoperò moltissimo per la diffusione delle musiche di Stravinskij, Berg (di cui diresse nel 1952 alla Scala la prima italiana del Wozzeck) e di altri autori del '900. [24]


Va ricordato che era un pianista di grande capacità, tanto che eseguì persino il difficile Concerto n° 3 di Prokofiev con i Berliner, e anche un compositore notevole: la sua Sonata per pianoforte è assai interessante e ingiustamente poco eseguita. Il suo rapporto con la New York Philharmonic Orchestra dal 1949 al 1957 fu decisivo non solo per questa formidabile orchestra, ma anche per il suo successivo successore, Lenny Bernstein. In questi sei anni, Mitropoulos conferì all'orchestra non solo un'espansione e virtuosismi sublimi, ma anche accese nell'anima di questi grandi musicisti la profondità e capacità di eseguire un repertorio variegato. Il repertorio operistico, il suo contributo decisivo alla diffusione della musica di Mahler, le sue indimenticabili registrazioni della musica dei russi (registrò la terza suite orchestrale di Čajkovskij più straordinaria, una brillante seconda e quarta con l’Orchestra di Minneapolis, e ancora Scriabin), il suo notevole quarto concerto per pianoforte di Beethoven nel 1945 con Joseph Hoffman, una cruciale seconda sinfonia di Schumann da Salisburgo) così come i suoi notevoli contributi con solisti dell'altezza di William Kapell, Arthur Rubinstein, Robert Casadesus non sono una casualità. 

DISCOGRAFIA Dopo la sua morte, le registrazioni di Mitropoulos caddero purtroppo rapidamente nell’oblio del grande pubblico. La sua fama svanì soprattutto per il fatto che la sua partenza dalla Filarmonica di New York coincise con la fine dell'era monofonica della registrazione, mentre le registrazioni del suo successore, Leonard Bernstein, apparse nel nuovo mezzo stereo e celebrate dalla stampa affascinata dalla nuova tecnologia, eclissarono in breve tempo tutto ciò che era stato espresso prima, lasciando le registrazioni più vecchie ai margini. Fu solo con la graduale ripubblicazione delle registrazioni trasmesse di opera e spettacoli di concerti, soprattutto in Italia e in Grecia, che la vera statura di Mitropoulos come musicista iniziò a essere pienamente valutata e apprezzata. La sua discografia commerciale è naturalmente incentrata sul suo lavoro a Minneapolis e New York. Sebbene la qualità complessiva delle registrazioni in studio di Mitropoulos sia estremamente alta, tuttavia per ottenere una comprensione ancora più completa di questo prodigioso musicista è necessario rivolgersi anche alle registrazioni delle sue esibizioni dal vivo. Una delle cose che colpiscono di più del suo stile, è la timbrica: quasi minacciosa, perforante. C'è un misto di anti-romanticismo e sovraeccitazione in tutto quel che di lui ho ascoltato. In alcune interpretazioni scavalca un po' troppo l'idioma dell'autore e la sua direzione risulta forse toppo spinta (con Beethoven, e un po' anche con Mendelssohn), ma la critica lo giudica straordinario soprattutto nella Fantastica, nella Prima di Mahler, in Shostakovich e in Verdi.

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Grandi Conduttori del 20° secolo: Dimitri Mitropoulos Mahler - Berlioz - Debussy - R. Strauss. EMI Classics Ho apprezzato moltissimo alcune delle uscite della serie Great Conductors, e questo volume è veramente pregevole. Presenta opere dirette da Dimitri Mitropoulos con la Filarmonica di New York e le due orchestre sinfoniche di Colonia, la WDR Sinfonie-Orchestre Köln e la Kölner Rundfunk Sinfonie Orchester. Il primo dei due CD contiene una grande interpretazione della Sesta Sinfonia di Mahler, diretta dall'Orchestra Sinfonica della Radio di Colonia in una registrazione dal vivo nel 1959. Molti critici considerano Mitropoulos uno dei migliori interpreti e conoscitore del repertorio sinfonico mahleriano, e qui La WDR Orchestra fa una delle loro esibizioni più fantastiche che abbia mai ascoltato. Supera decisamente una precedente registrazione, seppur pregevole, con la NYP. Il suono è molto buono: caldo e pieno, con l'eccitazione che deriva dalle migliori registrazioni dal vivo. Per me, questo Mahler rende già da solo indispensabile l’acquisto del CD. Questa registrazione ha anche un notevole interesse storico ed emozionale, poiché rappresenta l'ultima esecuzione di questo grande direttore. Mitropoulos subì un attacco di cuore durante il lungo primo movimento e, rifiutando le cure mediche, volle finire il resto del lavoro da una sedia. Morì tre giorni dopo, mentre provava lo stesso lavoro a Milano. Il secondo disco contiene diverse esibizioni con la New York Philharmonic degli anni '50, un ulteriore assaggio di come suonava quell'orchestra nei giorni prima dell’ avvento di Bernstein. Gli estratti del 1952 da Romeo et Juliette di Berlioz sono eccezionali: Mitropoulos cattura la drammaticità del lavoro e mostra un'immaginazione febbrile, un tocco dorato che si può sentire sin dalle prime battute. E condivide con Charles Munch e Igor Markevitch l'ambito onore di appartenere alla trilogia dei più notevoli direttori d'orchestra di Berlioz negli anni Cinquanta. L'orchestra di Köln, oltre che nella sinfonia mahleriana, brilla in La Mer di Debussy, che è stata registrata pochi giorni prima del Mahler. Il Debussy di Mitropolous è virile e sontuoso piuttosto che semplicemente contemplativo, e raggiunge una tela di tonalità e stati d'animo prodigiosi. Infine, abbiamo un altro compositore molto amato dal direttore greco: Richard Strauss. Mitropoulos può vantarsi di essere collocato insieme a Fritz Reiner, Clemens Krauss e Rudolf Kempe come uno dei direttori più febbrili e impegnati di questo noto compositore. La Danza dei sette veli da Salomè è impressionante per potenza e sensualità. Nel complesso, un album inestimabile di grande musica, che deve essere considerato un vero oggetto da collezione. Da non perdere!!!

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♫♫ Samuel Barber: Vanessa Eleanor Steber (Vanessa), Rosalind Elias (Erika), Regina Resnik (La Baronessa), Nicolai Gedda (Anatol), Giorgio Tozzi (Il Dottore). Metropolitan Opera Orchestra and Chorus, dir. Dimitri Mitropoulos. EMI Classics Versione di riferimento di quest’opera in 4 atti con libretto di Gian Carlo Menotti; eseguita a New York nel 1958, Vanessa ebbe un breve periodo di successo alla Metropolitan Opera House di New York prima di cadere in un ingiusto oblio. Quest'opera sembra oscillare costantemente tra commedia musicale, con passaggi orchestrali o vocali idi chiara timbricità musicale americana, e una tradizione più post-romantica che trae le sue fonti dall'opera italiana e da Strauss. Il tutto è inclassificabile, ma, fondamentalmente, molto piacevole da ascoltare. I personaggi principali sono rappresentati da tre donne: Vanessa, signora elegante su cui si concentra il dramma, sua nipote Erika, circa 20 anni, e sua nonna, la baronessa. Appare solo un importante personaggio maschile, il giovane Anatol, intorno al quale ruota tutto il dramma; sullo sfondo, il medico amico di famiglia. Il cast riunisce alcune delle voci più belle del tempo: si distingue il drammatismo di Eleanor Steber, anche se a volte è un po' esagerato, ma ci sono parti veramente molto commoventi e ben cantate. Nicolai Gedda, magnifico nel ruolo di Anatol, trasmette intensamente il dramma dell'opera con scene di grande tristezza. Grande energia della direzione di Mitropoulos. Il suono è eccellente per una registrazione della fine degli anni '50. La riedizione del 1990 ha prodotto, soprattutto per l'orchestra, un ottimo suono, chiarezza, definizione, rilievo, bei timbri ed un pregevole equilibrio vocale e strumentale mentre le voci appaiono un po' compresse. Anche se non c'è libretto, questo può essere facilmente reperito on-line. ♫♫ Shostakovich: Symphony n° 9 & 10 New York Philharmonic, dir. Dimitri Mitropoulos - Efrem Kurtz. Mangora Classical La Decima di Shostakovich fu presentata in anteprima nel dicembre 1953, e Dimitri Mitropoulos impiegò meno di un anno per dirigere la prima americana a New York. In questa registrazione per prima cosa notiamo che il ritmo della musica è notevolmente velocizzato. La registrazione stereo di Mravinsky dura 47 minuti e Mitropoulos si avvicina molto a poco più di 48 minuti, rispetto alla lettura di Bernard Haitink su Decca, che dura 54 minuti: interpretazione [27]


strepitosa, dai ritmi serratissimi (il "Moderato" dura 20:59 contro i 22:35 del già velocissimo Karajan) e dai contrasti folgoranti. Davvero memorabile. Le accelerazioni iniziano nel primo movimento, dove Mitropoulos divampa nella sezione degli allegri dopo la triste introduzione. Attacca lo Scherzo a perdifiato, cosa da brivido, e "risolve" il problema del finale, che è sempre sembrato troppo leggero per un lavoro così serio e pesante, impostando un ritmo più veloce della maggior parte dei conduttori. Lasciando da parte il metronomo, Mitropoulos ci regala una sensazione di spontaneità, che era uno dei suoi tratti distintivi come direttore d'orchestra. È un grande aiuto in una sinfonia così carica di sentimenti oscuri. È intenso senza solennità, assicurandosi sempre che lo slancio in avanti sia mantenuto. La NYP suona con vero impegno: particolarmente impressionanti sono i legni. Il suono mono è abbastanza chiaro e vivido; niente suona soffocato o ovattato. Per quanto riguarda questo CD, troviamo anche la 9a sinfonia di Shostakovich del 1949 con la NYP diretta con buona maestria da Efrem Kurtz, ma questa interpretazione non raggiunge il livello della decima diretta da Mitropoulos. ♫♫ Beethoven: Concerto per violino ed orchestra Jascha Heifetz (violino). New York Philharmonic Orchestra, dir. Dimitri Mitropoulos. Sterling Orchestral

Una grande e lucida interpretazione del Concerto per violino ed orchestra di Beethoven impreziosita dal violino del grande Jascha Heifetz, uno dei maggiori interpreti del novecento.

♫♫ Berlioz: Symphonie fantastique New York Philharmonic, dir. Dimitri Mitropoulos. CBS Columbia Beethoven aveva finito di comporre le sue sinfonie da pochi anni, quando nel 1830 un giovane compositore francese si mise in luce con uno stile orchestrale esuberante e completamente nuovo. Basandosi sui generi classici, Hector Berlioz concepì un imponente dramma orchestrale strutturato [28]


in cinque movimenti. Si trattava di un vero colpo di genio, nel quale la prepotente personalità artistica e il lacerante dolore dell’autore vengono espressi con un’intensità fino a quel momento del tutto sconosciuta nel Romanticismo francese. Berlioz utilizzò un’orchestra di grandissime dimensioni con una vasta sezione di percussioni, quattro fagotti e ottoni militari per delineare l’immagine di un giovane artista – dai tratti chiaramente autobiografici – che sogna alcuni episodi della sua esistenza, trasfigurandoli con visioni allucinate e frenetiche. Ascoltando la Sinfonia fantastica, si percepisce in maniera evidente l’intenzione dell’autore di esprimere in musica le visioni dell’artista protagonista in termini radicali e senza mezzi termini, a partire dalla idée fixe intrisa di una cocente delusione d’amore, che spinge il protagonista ad assumere oppiacei, che alla fine lo portano a vivere l’incubo terrorizzante del suo stesso funerale. Tra le numerose eccellenti edizioni discografiche del capolavori di Berlioz, molte delle quali pervase da una intensa passionalità, la registrazione realizzata nel 1957 da Dimitri Mitropoulos alla testa della New York Philharmonic Orchestra continua a essere considerata tra le principali versioni di riferimento. Infatti, il grande Maestro esalta la pulsione ritmica e la ricchissima tavolozza sonora, mettendo in straordinaria evidenza tutte le famiglie strumentali in modo da permettere all’ascoltatore di percepire dettagli sonori che nella maggior parte dei casi passano in secondo piano. La registrazione originale è stata effettuata nel febbraio del 1957 a New York. Questo disco è stato realizzato dai tecnici della Speakers Corner con una tecnologia interamente analogica, facendo ricorso sia a nastro analogico originale sia utilizzando un apparecchio di rimasterizzazione del tutto analogico. ♫♫ Giuseppe Verdi: Ernani Mario del Monaco (Ernani), Leonard Warren (Carlo), Cesare Siepi (Silva), Zinka MIlanov (Elvira), Helen Vanni (Giovanna), James Mc Cracken (Riccardo), George Cehanovsky (Jago). Orchestra & Coro del Teatro Metropolitan di New York, dir. Dimitri Mitropoulos. Bongiovanni Registrata dal vivo al Met alla fine del 1956, questa edizione vanta un cast super vocale e un direttore d'orchestra inimitabile. Mitropoulos è probabilmente il più grande direttore verdiano della sua generazione, Verdi è chiaramente nel suo sangue. La Met Orchestra lo segue con entusiasmo e con una tecnica eccezionale. Una chicca di questa performance è, tra le altre, la presenza della musica di balletto all'inizio dell'Atto IV mai registrata da nessun'altra parte. Mitropoulos lo dirige con i tempi giusti e il risultato è entusiasmante.

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Vocalmente il cast è perfetto per la conoscenza intima della partitura se non per le condizioni vocali di tutti i cantanti. Del Monaco è nella sua forma migliore di sempre, semplicemente imbattibile in questo ruolo, la sua voce suona potente dove necessario e sa essere anche un tenero amante per la sua Elvira. Elvira è una Milanov in netto declino, molte note di testa sono tese, ma la sua superba classe l’aiuta non poco. Warren conosce il ruolo di Carlo come nessun altro, qualche riserva per alcune note di testa forzate. Siepi è il miglior Silva della storia e questo dovrebbe bastare, maestosa eleganza e aplomb in qualsiasi momento, non importa quanto bassa sia richiesta la voce. Alla fine probabilmente la migliore registrazione di Ernani in assoluto. ♫♫ Giuseppe Verdi: La forza del destino Renata Tebaldi (Leonora), Mario del Monaco (Alvaro), Aldo Protti (Carlo), Fedora Barbieri (Preziosilla), Renato Capecchi (Fra Melitone), Angela Vercelli (Curra), Cesare Siepi (Padre Guardiano), Piero De Palma (Mastro Trabuco). Orchestra & Coro del Maggio Musicale Fiorentino, dir. Dimitri Mitropoulos. Archipel Records Registrazione live del 1953 al Maggio Musicale Fiorentino. Tebaldi è magnifica, con il suo timbro impareggiabile e una tecnica perfetta che le consente di salire e scendere con facilità, di rinforzare o di smorzare senza problemi. Non esiste Leonora migliore; "Pace mio Dio" è meravigliosa. Mario del Monaco sembra elettrizzato dall'evento live. Il suono è buono nonostante sia datato.

♫♫ Giuseppe Verdi: Un ballo in maschera Zinka Milanov (Amelia), Roberta Peters (Oscar), Marian Anderson (Ulrica), Jan Perce (Riccardo), Robert Merrill (Renato), Giorgio Tozzi) (Samuel). The Metropolitan Opera Orchestra & Coro, dir. Dimitri Mitropoulos. Sony Il suono mono 1955 richiede solo pochi secondi per abituarsi e poi si comincia a dimenticare le imperfezioni tecniche e si inizia a sentire le prestazioni, come si dovrebbe. Ci sono alcune imperfezioni vocali e orchestrali, ma è teatro dal vivo, veramente viscerale, davvero emozionante. I [30]


cantanti sono tutti così vividi che si possono 'vedere' le loro espressioni facciali e capire di cosa cantano. Jan Peerce e Marian Anderson impiegano un paio di minuti per riscaldarsi, ma sono entrambi veri verdiani. Robert Merrill è assolutamente affidabile e il suo 'Eri tu' è una meraviglia. Roberta Peters è meravigliosamente fresca come Oscar. Non c'è da meravigliarsi che abbia continuato ad avere una carriera così stellare e per così tanto tempo. Milanov è la vera ragione per l'acquisizione di questo CD: aveva l'autentico spinto soprano che tanto manca nel mondo oggi, la voce è piena, e il pianissimo assolutamente incantevole. Mitropoulos conduce una performance che è piena di passione e di italianità. ♫♫ Giacomo Puccini: La fanciulla del West Eleanor Steber (Minnie), Mario del Monaco (Dick Johnson), Gian Giacomo Guelfi (Jack Rance). Orchestra & Coro del Teatro Comunale di Firenze, dir. Dimitri Mitropoulos. Myto Registrazione live del 1954. Un ringraziamento alla Myto che propone questa superlativa edizione del Puccini “moderno”. Il direttore greco è fanatastico: espressivo, dinamico , tenero e dolce ed estrae dallo spartito il meglio di quest’opera. La Minnie della Steber è brillante e luminosa, Del Monaco è superbo e tonante, Guelfi interpreta in maniera eccelsa il suo rozzo personaggio. Per

il

suono

intenso,

straordinariamente

pregnante

dell'orchestra di Mitropoulos e per l'eccellente forma vocale dei tre cantanti protagonisti, questa rimane di gran lunga la migliore registrazione dell'opera pucciniana. ♫♫ Giacomo Puccini: Tosca Renata Tebaldi (Tosca), Leonard Warren (Scarpia), Richard Tucker (Cavaradossi). Orchestra & Coro del Teatro Metropolitan di New York, dir. Dimitri Mitropoulos. Cetra Forse è a causa del livello modesto dell'Orchestra del Met che Mitropoulos nel 1955 non riesce a ottenere in questa Tosca l'intensità e la continuità di tensione raggiunte con le compagini del Maggio [31]


Musicale Fiorentino nella memorabile Fanciulla di un anno prima. Però, sebbene discontinuo, ha momenti straordinari e una buona sintonia coi cantanti. Dei quali su tutti emerge una Tebaldi che esibisce una vocalità da sogno (ascoltare il suo "Ed io venivo a lui tutta dogliosa...") sebbene come interprete, secondo me, incappa in qualche eccesso di platealità, specie nel II atto. Tebaldi possiede gran parte del famoso fuoco di Callas nei panni di Tosca e la sua voce si spegne solo occasionalmente con un tocco di stridore. "Vissi d'arte" è un vero pezzo forte, cantato con squisita sensazione. Warren è uno Scarpia "signore", cortese e allusivo, elegante e perfido, grazie a una mezza-voce morbida e duttile, ma manca di energia negli accessi d'ira (o di libidine). Per finire Richard Tucker è un vibrante Cavaradossi che alla schietta vocalità tenorile unisce una solida tecnica. Come sempre la sua dizione italiana è eccellente.

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Gli Amici del… grammofono

Viaggio in Italia: Capriccio italiano op. 45, di Piotr Ilijc Tchaikowskij Tre Sonetti di Petrarca, di Franz Listz Sinfonia n° 4 “Italiana” di Felix Mendelssohn-Bartholdy

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Capriccio italiano op. 45, di Piotr Ilijc Tchaikowskij La fine del suo matrimonio con Antonina Ivanovna Miljakova e il profondo rapporto che nacque con la ricca vedova Nadezda von Meck segnarono in maniera decisiva la vita artistica di Piotr Ilijc Čajkovskij. La rendita annua che la von Meck garantì al compositore gli permise di abbandonare la cattedra al Conservatorio, di dedicarsi a tempo pieno, nell'ultimo quindicennio della sua vita, alla composizione, di viaggiare molto anche all'estero, mietendo ovunque grandi successi. Il 1880, che il compositore trascorse tra Mosca, Pietroburgo, Parigi e alcune città italiane, e per il resto ospite in residenze di campagna, si rivelò un anno particolarmente prolifico: nacquero infatti pagine orchestrali destinate a diventare assai popolari, come la Serenata per archi op. 48, l'Ouverture 1812 e il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra. Čajkovskij trascorse una vacanza di qualche settimana in Italia tra il 1879 e il 1880, visitando i luoghi più belli della penisola. Soggiornò a Firenze, Roma, Napoli, Venezia, e da ognuno di questi luoghi trasse impressioni ed ispirazioni musicali significative. In quei giorni italiani egli scrisse alla von Meck che i posti erano bellissimi, che non c’era né la pioggia, né la neve, e che si trovava in luoghi che mai avrebbe sognato: la musica, le danze, e il tutto circondato da uno splendido scenario, sempre illuminato dal sole. L'idea di trarre ispirazione da musiche popolari italiane gli era venuta dopo avere assistito ai festeggiamenti per il carnevale proprio tra le vie di Roma. Ne parlò in alcune lettere alla von Meck: «Stiamo assistendo all'acme del carnevale [...]. Naturalmente il carattere di questa festa è determinato dal clima e dalle antiche usanze [...]. Se si osserva bene il pubblico che si accalca in modo così selvaggio sul Corso, ci si convince che l'allegria di questa folla, per quanto possa assumere aspetti davvero singolari, in fondo è sincera e naturale. Non ha bisogno né di grappa né di vino, si inebria con l'aria del posto, con questa carezzevole calura.» Egli inoltre dichiarava: «Voglio scrivere una suite italiana su melodie popolari. Ho lavorato bene e ho già pronta in prima stesura la fantasia italiana su temi popolari. Sarà d'effetto grazie ad alcuni temi incantevoli che ho avuto modo di raccogliere parte dalle antologie, parte dalla strada con le mie orecchie.» Čajkovskij abbozzò l'intera composizione in meno di una settimana, mirando non tanto all'elaborazione tematica quanto alla ricerca dell'effetto, alla massima brillantezza della scrittura orchestrale, come scrisse sempre alla von Meck in una lettera del 12 maggio 1880: «Non so che valore musicale possa avere quest'opera, ma sono già da ora convinto che avrà una bella sonorità, che l'orchestra sarà brillante e piena di effetto». [34]


Ed ecco che arriva questa meravigliosa pagina, questo meraviglioso affresco, composto tra il Gennaio e il Maggio 1880, che descrive in musica le sue emozioni, il calore degli abitanti, per le festività di Natale, il canto della laguna, gli stornelli della toscana e alla conclusione una tarantella napoletana. Alla sua prima esecuzione (che ebbe luogo a Mosca il 18 dicembre 1880, sotto la direzione di Nikolaj Rubinstein) il Capriccio italiano fu criticato per una certa superficialità e come esempio negativo di occidentalizzazione e di cosmopolitismo, in un periodo in cui la Russia stava riscoprendo con orgoglio il valore artistico delle proprie radici musicali.  GUIDA ALL’ASCOLTO La progressione degli strati di colore, di movimento e di tempo, la sapiente orchestrazione, che sfrutta gli ottoni al completo e un nutrito set di percussioni, permettono a Čajkovskij di ottenere una partitura luminosa e vitale, piena di atmosfera, di verve, come un vorticoso girotondo. Il Capriccio è un omaggio all'Italia popolare. Indubbiamente si tratta di un'opera di grande fascino, poiché è ricca e variegata, piena di spunti popolari e divertenti: in essa troviamo del tutto spiegata la sua abilità nel maneggiare motivi e canzonette popolari, ed il risultato è, una vera e propria "cartolina multicolore".

Tutta la composizione è un susseguirsi di danze, un mosaico di luminose melodie popolari che incalzano l'una dietro l'altra senza un criterio ben definito. In questa brillante partitura si possono individuare molti riferimenti, più o meno espliciti, a composizioni musicali tipicamente italiane: serenata veneziana, stornello romano, tarantella napoletana. Čajkovskij ci dimostra qui che la sua musica non è soltanto espressione di drammi e tormenti interiori, ma è anche divertirsi, giocando con la fantasia di chi sa vedere gli aspetti più diversi e appassionanti della vita e della gente. È come se fosse riuscito, nella sua grandiosa opera, a cogliere

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gli aspetti estremi e opposti del nostro essere umani, quelle forme contraddittorie di vivere, ora troppo chiuse e profonde, ora più estroverse e spensierate. Il lavoro si apre con un richiamo delle due trombe (Andante un poco rubato), un segnale militare usato dai soldati della cavalleria italiana che il compositore - secondo la testimonianza di suo fratello Modest - aveva udito provenire da una caserma vicina alla sua abitazione romana. Dopo le fanfare degli ottoni si leva negli archi, all'unisono, una melodia dal carattere mesto, che ha l'incedere di una marcia funebre punteggiata dagli accordi ribattuti dei fiati. Lo stesso tema è poi ripreso dai legni in forma imitativa, e accelerato, su un tappeto di tremoli degli archi. Le due parti seguenti (Pochissimo più mosso e Allegro moderato) si basano su canzoni popolari, molto orecchiabili e piene di humour. La prima è una larga frase cantabile, per la verità più spagnolesca che italiana, "molto dolce, espressiva", affidata ai due oboi sul pizzicato di violoncelli e contrabbassi (questo motivo viene ripetuto da vari strumenti, variato, accompagnato da una girandola di disegni e controvoci, fino a espandersi su tutta l'orchestra, in un vero e proprio sfoggio di virtuosismo timbrico), cui fa seguito una serenata veneziana (sulla canzone "Mamma non vuole"). La seconda è uno stornello romanesco pieno di slancio, accompagnato dagli accordi ribattuti degli archi (come una cavalcata), esposto prima da violini e flauto, poi ribadito dalla cornetta a pistoni, con una frase intermedia, leggera e danzante, punteggiata dal tamburello. Raggiunto il suo culmine, questa esplosione di gioia sonora lascia poi spazio alla ripresa dell'Andante, con la sua triste melodia. Ma poi la festa riprende: un'incalzante concatenazione di terzine dà avvio a una trascinante tarantella napoletanadi archi e legni (Presto).

Compare quindi una ripresa della prima canzone popolare (ma in una diversa tonalità e con i valori dilatati su un tempo di 3/4) suonata da tutta l'orchestra ("fff largamentissimo", Allegro moderato). E alla fine ancora gli echi della tarantella che innescano l'ultimo grande crescendo, culminante in un Prestissimo impetuoso, dai ritmi coinvolgenti e veloci, pirotecnico, un vero tripudio di colori orchestrali.

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 DISCOGRAFIA Rimsky-Korsakov: Scheherazade / Tschaikowsky: Capriccio italien – Ouverture 1812 Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan. Deutsche Grammophon – The Originals Una registrazione magica, tre pezzi brillanti che si completano a vicenda splendidamente. Oltre a Scheherazade, una delle opere più belle del mondo classico, qui in una versione splendida diretta in modo magistrale da Karajan, in questo Cd troviamo il Capriccio italiano e l'Ouverture 1812 col coro all'inizio, due belle sorprese. Registrazione brillante. Von Karajan è un maestro inarrivabile, i Berliner presentano un suono superbo, inarrivabile. Disco sontuoso, non comprate altro!

Tre Sonetti di Petrarca, di Franz Listz Années de pèlerinage (“Anni di pellegrinaggio”) è una serie di tre libri per piano composti da Franz Liszt: sono da considerare una versione in musica di luoghi e di letture, una traduzione sul pentagramma di emozioni artistiche e storiche. Nel 1° libro sono contenuti brani ispirati alla natura e al paesaggio svizzero, il secondo contiene varie composizioni che sono una interpretazione in musica di luoghi, persone, quadri e occasioni legati alla fuga d’amore in Italia con Marie, contessa d'Agoult; il terzo non è dedicato ad un Paese in particolare ma va considerato una meditazione sul senso più interiore e profondo della vita e una testimonianza della costante ricerca della spiritualità da parte del compositore ungherese. Nel secondo libro, dedicato all’Italia, composto tra il 1837 e il 1849, sono contenuti sette brani. Il primo di essi, Sposalizio, riprende il famoso dipinto di Raffaello, lo “Sposalizio della Vergine” conservato presso la Pinacoteca di Brera, a Milano; Il pensieroso è invece ispirato alla statua “Il pensieroso” scolpita da Michelangelo che oggi si trova nella Basilica di San Lorenzo a Firenze; La Canzonetta del Salvator Rosa è in realtà la canzonetta “Vado ben spesso cangiando loco” di Giovanni Bononcini; vi sono infine i tre Sonetti [37]


(47, 134 e 123) del Petrarca, e infine la famosa Après une lecture de Dante: Fantasia Quasi Sonata, più comunemente conosciuta come “Sonata Dante” e ispirata alla Divina Commedia, con particolare riferimento all’inferno.

[Raffaello: Lo sposalizio della Vergine]

[Michelangelo: Il pensieroso]

Nel 1861 Liszt pubblicherà una appendice al volume 2° che intitolerà “Venezia e Napoli” contenente tre lavori: Gondoliera

basato sulla canzone La biondina in gondoletta di Giovanni Battista

Peruchini.; Canzone, basato sulla canzone Nessun maggior dolore dall'Otello di Gioachino Rossini; Tarantella, su un tema di Guillaume-Louis Cottrau. Tra questi brani “italiani” ho scelto quelli dedicati a tre Sonetti del Petrarca, in cui il poeta aretino esprime i propri sentimenti amorosi nei confronti dell’irraggiungibile Laura. Le liriche del grande poeta italiano offrirono a Listz la possibilità di esprimere, accompagnare, riassumere le emozioni e le riflessioni che la parola suggerisce,

dando

risalto

attraverso

i

suoni

all'intensità espressiva dei versi poetici. L’abilità di Liszt nel trasformare parole in effetti melodici risplende più che mai tra i pentagrammi dei sonetti, ad ognuno dei quali il compositore antepone il testo in lingua originale: chi ascolta si ritrova dunque immerso in una realtà sospesa tra parole e suoni che riflettono pienamente gli stati d’animo del poeta.

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 GUIDA ALL’ASCOLTO SONETTO 47: BENEDETTO “IA L GIORNO (Lento ma sempre un poco mosso, in fa minore) Benedetto sia 'l giorno, e 'l mese, e l'anno, e la stagione, e 'l tempo, e l'ora, e 'l punto e 'l bel paese e 'l loco, ov'io fui giunto da'duo begli occhi che legato m'ànno; e benedetto il primo dolce affanno ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto, e l'arco e la saette ond' i' fui punto, e le piaghe, ch'infino al cor mi vanno. Benedette le voci tante, ch'io chiamando il nome di Laura ho sparte, e i sospiri e le lagrime e 'l desio. E benedette sian tutte le carte ov'io fama le acquisto, e il pensier mio, ch'è sol di lei, si ch'altra non v'ha parte.

Più che ad una dichiarazione vera e propria nei confronti di Laura, ci troviamo qui di fronte ad una benedizione dei “doni” rappresentanti i sentimenti dell’amore, concludendo che potranno appartenere solo a lei, Laura, e a nessun’altra. Liszt dal canto suo, rispetta appieno la pacata consapevolezza del poeta, abbandonando i virtuosismi e dedicando al pezzo liriche di carattere quasi religioso. Il tema centrale della composizione è un tappeto di accordi che introduce un espressivo canto del soprano in cui traspaiono tutti i sopracitati doni che fanno del primo incontro con Laura un momento di grande serenità. Serenità a tratti interrotta: il crescendo e l’incalzare della melodia dimostrano l’affanno che Francesco ha provato nell’innamoramento. Riprende quindi il tema religioso nel colore del forte, la scrittura diventa subito molto più pianistica e meno liederistica, mettendo in risalto emozioni prima sconosciute al poeta. Liszt enfatizza tutto con una “quasi cadenza” che porta a un inciso di sei note che egli stesso indica in legato-staccato con l’indicazione “dolente”: il risultato è un ritmo pesante, un abbassare la testa lasciandosi vincere dalla malinconia. Ma è da qui che si riaccende la speranza, il tema riprende, la voce è nuovamente affidata al soprano, la benedizione ai doni riparte, ma stavolta Petrarca cambia direzione: solo a Laura apparterrà il suo pensiero. Ed è così che Liszt segue, introducendo una voce nuova, maschile, affidata al tenore, voce propria di un Petrarca che non intende lasciare spazi nel suo cuore, voce anche di un compositore che ha capito l’animo del poeta fino in fondo, e proprio qui, a poche battute dalla fine gli regala un ultimo respiro, un’immagine ancora, del tema di Laura, quello della prima volta, quello di una freccia che dal cuore di Francesco non si staccherà mai.

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♫♫ SONETTO 104: PACE NON TROVO (Agitato assai, in la bemolle maggiore) Pace non trovo, et non ò da far guerra; e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra; et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio. Tal m'à in pregion, che non m'apre né serra, né per suo mi riten né scioglie il laccio; et non m'ancide Amore, et non mi sferra, né mi vuol vivo, né mi trae d'impaccio. Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido; et bramo di perir, et cheggio aita; et ò in odio me stesso, et amo altrui. Pascomi di dolor, piangendo rido; egualmente mi spiace morte et vita: in questo stato son, donna, per voi. Questo secondo Sonetto ha tono e andamento di preghiera: la voce ha un recitativo prima di assestarsi in una quasi aria. Ci sono sbalzi d'umore nel brano simili ai contrasti della poesia, con momenti di grande tenerezza e riposo che lasciano il posto al tormento e all'angoscia. In questo sonetto il dissidio interiore del Petrarca risalta in maniera netta: ad una semplice lettura della prima quartina ci si rende peefettamente conto della precarietà sentimentale evidenziata dai termini in antitesi (pace/guerra, timore/speranza, ardo/son un ghiaccio etc.). La speranza di un amore ricambiato sfugge dalle mani di un Francesco afflitto, rinchiuso in un prigione che Laura non intende aprire. Le coppie di termini opposti percorrono tutto il testo, eccezion fatta per l’ultima frase, in cui il Poeta, solenne, espone direttamente alla Donna la condizione in cui ella l’ha ridotto. La versione in musica che Franz Liszt fornisce di questo sonetto è sicuramente la più nota delle tre. Molto più libera e pianistica della precedente, la composizione ricalca fedelmente solo determinati versi del sonetto originale, lasciandosi spesso trasportare in elementi di carattere totalmente esecutivo che non trovano immediato riscontro nel testo. Dopo un’introduzione agitato assai, appare il primo frammento: due battute, tre note ribattute come a creare un rallentando, un effetto di grande sconforto. Gli succede un secondo tema, di tono opposto, [40]


in cui la melodia si apre diventa meno greve, ci mostra ciò che l’innamorato potrebbe essere, se fosse ricambiato. Questa contrapposizione di temi percorrerà l’intero brano. Successivamente inizia un climax che ci conduce alla prima terzina del sonetto: il tema si fa incalzante ed appassionato, spinto solo dagli istinti e dalle passioni. Liszt crea un grande muro di suono disperato, ripercorrendo le prime due quartine ribadendone i concetti in maniera tormentata Ritorna quindi il tema originale, stavolta esposto però in piano, con accordi delicatamente arpeggiati; si entra all’interno di un elemento tematico nuovo sconsolato, molto lento, nuovamente pesante, certamente non virtuosistico: nei versi Petrarca si lascia andare in una dimensione in cui l’unico nutrimento è il dolore provocato da Laura. “Piangendo rido”, Liszt lo esprime riprendendo il tema iniziale annotando un agitato quasi a voler ricalcare lo stato d’animo del poeta aretino che, dopo un’ultima cadenza, declama un tema più lento, quasi solenne. (5.12) Nel versetto finale del sonetto “In questo stato son, Donna, per Vui.” Listz espone elementi frammentati, intervallati da accordi arpeggiati secchi caratterizzati da una musicalità aspra, cruda e priva di speranza. Il brano si chiude con un “brivido armonico” che ricorda, anche nel penultimo accordo, l'angoscia del poeta. ♫♫ SONETTO 123: I' VIDI IN TERRA ANGELICI COSTUMI (Lento placido [la bem.mag]. Sempre lento. Più lento) I' vidi in terra angelici costumi, e celesti bellezze al mondo sole; tal che di rimembrar mi giova, e dole: che quant'io miro, par sogni, ombre, e fumi. E vidi lagrimar que' duo bei lumi, ch'han fatto mille volte invidia al sole; ed udì' sospirando dir parole che farian gir i monti, e stare i fiumi. Amor! senno! valor, pietate, e doglia facean piangendo un più dolce concento d'ogni altro, che nel mondo udir si soglia. Ed era 'l cielo all'armonia s'intento che non si vedea in ramo mover foglia. Tanta dolcezza avea pien l'aer e 'l vento.

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Meno noto dei precedenti, questo sonetto descrive una figura angelica (Laura) che, anche in questo caso, crea un forte dissidio interiore dell’io poetico che prova alternativamente gioia e dolore, in cui vede sogni, luci ed ombre. La presenza angelica ha un impatto fortissimo sulla natura che, pur di non comprometterne l’immagine, fa sì che nessun ramo venga mosso dal vento. Diversamente dai primi due, la composizione si immerge subito in un tono leggero, di sogno, che ben ricalca la sostanza angelica di cui si fa cenno al primo verso. Il tono è pacato, il ritmo molto lento, elementi melodici simili si susseguono su un tappeto di leggeri bicordi. La melodia non è più conclamata e fiera, bensì sottile, eterea e immortale. Dopo una lunga introduzione molto descrittiva, una lunga pausa introduce il tema principale della composizione. Ritorna il canto accompagnato da accordi arpeggiati: si rimane piacevolmente sospesi su una materia sonora definita ma piacevole, quasi a rappresentare sogni, ombre e luci. Segue successivamente un cambio netto che Liszt indica con “un poco rallentando e agitato”, riferibile più a uno stato d’animo che non a un accelerando vero e proprio. Il ritmo si fa pesante, quasi a ricordare le parole sospirate la cui potenza può arrivare a far spostare le montagne e fermare i fiumi. Il materiale sonoro successivo espone il primo tema, una decima più acuto. La dolcezza che scaturisce da ciò, unito al sapiente uso del tempo rallentato dall’indicazione “più lento”, ricalcano la prima terzina del testo in cui i termini “dolce concento” si trovano espressi in musica con sapienti espedienti armonici quali gli accordi arpeggiati tenuti col pedale e una melodia al tenore caratterizzata da una triste malinconia, l’unica emozione che può provare Petrarca in questo momento. Liszt riprende poi elementi e temi già noti, trasformandoli, come sua consuetudine. Interessante la riga finale della composizione in cui da un pianissimo l’esecutore conclude con il colore “ppp” in un rallentando a piacere: è infatti egli stesso che deve capire quanto può essere delicato nello sfiorare i tasti, per non muovere i rami, per non fare rumore.  DISCOGRAFIA Listz: Années de pélerinage Lazar Berman (pianoforte). Deutsche Grammophon [42]


Mi sento di consigliare in termine di esclusività questo box di tre CD che contengono l’integrale dei tre libri degli Années de pelerinage suonate da Lazar Berman, pianista russo, divenuto in seguito cittadino italiano. Liszt e Berman, non ci sarebbe altro da aggiungere. Non credo che, anche in tempi recenti e su supporti più moderni, si trovi di meglio. Certo, com'è noto, digerire il terzo "quaderno" non è facile, ma Berman riesce anche lì a compiere il miracolo. Non manca nulla: interpretazioni di grande dolcezza, energia, colori, tecnica, timbro. La tecnica - indispensabile in Liszt - è fantasmagorica ma raffinatissima, tanto che in certi brani come "Orage" si ode l'impazzare della tempesta come l'Autore vuole, ma soltanto con lo spartito alla mano ci si rende finalmente conto della tremenda difficoltà della scrittura. Berman passa poi dal suono "retorico" dei "Cipressi di Villa d'Este" al canto spiegato di "Au lac de Wallenstadt" alla furia giocosa della "Tarantella" con una tale sbalorditiva facilità che quasi si stenta a credere che si tratti sempre dello stesso pianista. Rasenta, a mio modesto giudizio, la perfezione! Tecnicamente, anche se datata, incisione del 1977, è bellissima all’ascolto e altamente consigliabile per chi ami la musica romantica per pianoforte. Vi sono altre grandi interpretazioni (Sviatoslav Richter, Alfred Brendel, Aldo Ciccolini) ma – credetemi - questa è un vero must della musica di Listz e dell’intera letteratura musicale romantica! Acquistate QUESTA! Berman ha lasciato una ricca eredità di interpretazioni lisztiane che sono solo in parte state riprese da uno dei suoi allievi italiani: Giovanni Bellucci, un grande talento che purtroppo trova poco spazio discografico.

Sinfonia n° 4 “Italiana” di Felix Mendelssohn-Bartholdy Il «romanticismo felice», come fu ben definito quello di Mendelssohn, trova una delle sue più perfette espressioni nella Sinfonia n° 4 in la maggiore op. 90, detta “Italiana” perché i suoi primi abbozzi vennero scritti durante il viaggio del compositore in Italia. Infatti, come ogni artista tedesco, anche Mendelssohn subì il fascino culturale del nostro Paese, e dall'autunno 1831 all'estate 1832 soggiornò nella nostra Penisola, fermandosi a Roma, dove strinse amicizia con Berlioz, e a Napoli. A Roma sono soprattutto Piazza di Spagna (dove il compositore abitava), Trinità dei Monti, il Pincio, il Ponte Nomentano - allora immerso nel verde e nel [43]


silenzio della campagna romana - a suscitare nelle sue lettere le frasi di ammirazione più entusiastica. Ascoltando questa musica mendelssohniana non è luogo comune affermare ch'essa, soprattutto nei due movimenti estremi, ci appare irradiata di luce mediterranea e animata da una esuberante gioia di vivere. In una lettera del 21 febbraio del 1831, scritta da Roma, il musicista così si esprimeva: «Essa procede alacremente; è il lavoro più gaio che io abbia mai finora composto, specialmente nel finale. Niente ancora ho deciso per il tempo lento; forse dovrò aspettare di essere a Napoli per compierlo». La lunga gestazione della Sinfonia Italiana sembra contraddire l'immagine di un Mendelssohn compositore dalla vena fluente. Il primissimo spunto dell'opera risale all'estate del 1829, allorché il giovane musicista di Amburgo si trovava in Inghilterra, insieme ai primi abbozzi della Sinfonia Scozzese. Durante i lunghi vagabondaggi in Italia, nei due anni successivi, il progetto si consolidò senza tuttavia mettere capo a una stesura completa del lavoro, e fu solo dietro l’invito della Società Filarmonica di Londra, nel 1832, che il compositore si risolse a riprendere e ultimare il manoscritto messo da parte. La sinfonia fu terminata il 13 marzo 1833 a Berlino; la sua prima esecuzione ebbe luogo il 13 maggio alla Royal Philharmonic Society di Londra, diretta dallo stesso Mendelssohn. Nonostante il successo ottenuto, il compositore rimase insoddisfatto della sua composizione e l'anno successivo la sottopose a revisione. Altre modifiche e ritocchi vennero apportati negli anni seguenti, e solo la morte prematura dell'autore rese definitiva la versione che Julius Rietz fece conoscere nel novembre 1849 a Lipsia, alla guida dell'orchestra del Gewandhaus. Mendelssohn non diede mai alle stampe la sinfonia, che fu pubblicata postuma solamente nel 1851; pertanto venne numerata come Sinfonia n° 4, sebbene in effetti sia stata la terza in ordine di composizione.

 GUIDA ALL'ASCOLTO Il carattere 'italiano' della composizione va rintracciato nella sua spumeggiante freschezza, nella cantabilità davvero mediterranea di molti temi, nella luminosità della magistrale strumentazione, che privilegia spesso i colori solistici sugli impasti, e fa un uso parsimonioso degli ottoni. La cornice formale è quella classica, in quattro movimenti con ordinati ritornelli e riprese, che nella snellezza delle proporzioni sembrano guardare soprattutto ai modelli haydniani e mozartiani, anche se è avvertibile qua e là (ampliamento degli sviluppi, ripresa variata), l'influsso della grande lezione beethoveniana. Ma in molti punti traspare anche il grande amore che Mendelssohn nutriva per Bach: emblematico è in tal senso l'Andante con moto, dove i contrappunti dei flauti al tema principale e soprattutto il movimento dei bassi sembrano realmente rievocare lo spirito barocco.

 1° movimento: Allegro Il carattere della sinfonia si rivela subito nello slancio e nella spontaneità dell'Allegro iniziale -, scritto nel trascinante ritmo di 6/8 tanto caro a Mendelssohn - che si apre con un attacco risoluto e [44]


giovanile. Il primo tema viene affidato ai violini e agli strumenti a fiato. Subentra quindi il secondo tema in mi più dolcemente disteso, esposto dai clarinetti e dai fagotti e poi dai flauti e dagli oboi con un sostegno degli archi. Nello sviluppo, assai ampio, Mendelssohn introduce un terzo elemento tematico, che compare dapprima negli archi e viene subito sottoposto a una fitta elaborazione contrappuntistica, per poi intrecciare un serrato dialogo con il primo tema. La ripresa, magnificamente preparata da un lungo crescendo, è molto diversa dall'esposizione, e presenta una ulteriore elaborazione dei vari motivi; di particolare bellezza è la riproposta del secondo tema, affidato stavolta a viole e violoncelli che duettano per seste, su delicati arabeschi del flauto e del clarinetto. Si impongono infine di nuovo gli strumenti a fiato in un atteggiamento di fanfara, fino a cedere il passo agli archi che riassumono e concludono brillantemente il tempo.

 2° movimento: Andante con moto Di grande suggestione è l'inizio dell'Andante con moto che segue: una canzone di nostalgica malinconia che Camille Bellaigue definì come «un richiamo del genio della Germania da impressioni troppo italiane». Archi e legni intonano all'unisono un solenne motto, poi, sull'incedere dei bassi, l'oboe e i fagotti con le viole espongono la melanconica melodia principale, cui segue, nella sezione centrale, un nuovo tema, più dolce e sereno esposto dai due clarinetti. Il perentorio ritorno del motto di apertura introduce la ripresa, sempre sostenuta dall'incessante moto dei bassi, cui è affidata la concisa coda. Il secondo tempo è costruito su un canto di processione, passaggio quasi obbligato nelle escursioni musicali italiane dei romantici (vedi l'Aroldo di Berlioz, di cui l'"Italiana" è l'equivalente mendelssohniano, sia pure con ardore meno fantastico), col suo carattere vagamente popolaresco e con certi suoi andamenti di danza.

 3° movimento: Trio Il terzo movimento non è uno Scherzo, genere prediletto dall'autore, quanto piuttosto una nostalgica rievocazione dell'antico minuetto, pieno di grazia sfuggente e sottile inquietudine. Nell'originale motivo del Trio risuonano corni e fagotti sotto un leggero disegno di violini e flauti, quasi a disegnare un'antica scena di caccia nella campagna romana.

 4° movimento: Saltarello Il tempo più caratteristico ed emblematico di tutta la sinfonia, tale da riassumere e giustificare il significato del titolo, è il Saltarello finale che riproduce e rievoca liberamente gli atteggiamenti e le cadenze della popolare danza romana. Il tema è vivacissimo e brillante e scorre su un ritmo a note ripetute in un clima di briosa, spigliata e incandescente animazione. Il celebre Saltarello è una stilizzata tarantella, autentico banco di prova [45]


per il virtuosismo di orchestre e direttori: dal turbinio di terzine degli archi agli spericolati passaggi in staccato dei legni, tutto il brano è un'apoteosi del ritmo, e presenta straordinarie assonanze con il mondo fiabesco delle musiche per il Sogno dì una notte di mezza estate. Verso la fine flauti e clarinetti sembrano citare il tema del primo movimento, e la prorompente energia scema d'intensità, prima della brillantissima chiusa.

 DISCOGRAFIA Mendelsshon: Symphonien n° 3 Scottische, n° 4 Italienische Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan. Deutsche Grammophon – The Originals L'approccio di Karajan risulta particolarmente consono alle atmosfere da romanticismo nordico della Scozzese, di cui ci elargisce una lettura tanto raffinata quanto grandiosa, centratissima nella scelta dei tempi, nella fluidità del fraseggio, in tutte le sfumature dinamiche e timbriche: davvero uno degli esiti più suggestivi nella sterminata discografia di questo capolavoro. E un atteggiamento analogo prevale anche nell'Italiana, che, se si segnala per la tagliente luminosità del primo e dell'ultimo tempo (già essi, comunque, affrontati con atteggiamento più serio del consueto), trova gli accenti più autentici e originali nel mondo tutt'altro che mediterraneo dei movimenti centrali, con l'andamento processionale dell'andante e la scansione accentuatamente moderata di quel terzo tempo che Erik Werner ha definito "minuetto borghese", ma che è in realtà l'antesignano di quegli intermezzi fluidi che avrebbero sostituito lo scherzo nelle prime tre sinfonie di Brahms.  [46]


Mendelsshon: Symphony n° 3 Scottish, n° 4 Italian London Symphony Orchestra, dir. Claudio Abbado. Decca Risalgono a metà degli anni '80 le registrazioni dell'integrale dell'opera sinfonica di Mendelssohn che Abbado eseguì con la “sua” orchestra di allora, la London Symphony. Si tratta di una integrale così bella da essere riuscita ad imporsi come unica e diretta concorrente dell’allora sola (e meravigliosa) integrale di successo mai realizzata, ovvero quella firmata da Herbert von Karajan con i Berliner Philharmoniker nei primi anni Settanta, che assieme a questa continua a rimanere un vero riferimento per tutti gli appassionati della musica di Mendelssohn. In questo CD che raccoglie le due ultime sinfonie, l'interpretazione di Abbado riesce a valorizzare gli intenti del compositore, togliendo, sul suono degli archi, quel vibrato eccessivo che rende la musica di Mendelssohn eccessivamente "caramellosa" e sdolcinata, per far emergere una linea melodica pura che arriva diretta al cuore dell'ascoltatore. Nonostante l'età, la qualità audio è decisamente buona.

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Le Sinfonie di Gustav Mahler

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Sinfonia n° 8 in mi bemolle maggiore, “dei Mille” CENNI STORICI «Ho appena finito la mia Ottava. È la cosa più grande che io abbia fatto finora. È così fuori dal comune nel contenuto e nella forma che non è possibile scriverne. Provate a immaginare che l'universo cominci a produrre musica e a risuonare. Non sono più voci umane, ma pianeti e soli che ruotano». Con queste parole, indirizzate al direttore d'orchestra Willem Mengelberg in una lettera dell'estate 1906, Gustav Mahler annuncia la nascita della sua nuova ottava sinfonia, composta in un solo slancio d'ispirazione, a Maiernigg, in Carinzia, nell'Austria meridionale. E qualche tempo dopo, all'amico Richard Specht: «È un dono alla Nazione [...]. Le altre mie opere sono tragiche e soggettive. Questa è una immensa dispensatrice di gioia».

Nell'economia della produzione sinfonica mahleriana, l'Ottava getterebbe dunque un fascio di luce radiosa in un regno popolato da ombre inquietanti, rappresentando un esperienza isolata, tutt'al più ricollegabile con l'anelito alla redenzione della Seconda Sinfonia. La felicità stessa dell'ispirazione che permise al suo autore di completare l'opera in otto settimane, sembrerebbe confermarlo: «È stata come una visione fulminea: improvvisamente tutto stava davanti ai miei orchi [...]. Per caso mi è recentemente capitato fra le mani un vecchio libro, e l'ho aperto sull'inno “Veni, creator spiritus”, e d'un tratto tutto mi sta davanti: non solo il primo tema, ma l'intero primo tempo». Che la nascita di quest'opera sia avvenuta in circostanze particolari lo testimonia lo stesso Mahler in una lettera del 1910 alla moglie Alma. Nel 1906, egli si era recato a Maiernigg per la consueta vacanza estiva «con il fermo proposito di trascorrere il perìodo nell'ozio... e recuperare le mie energie. Senonché sulla soglia del mio vecchio studio... lo Spiritus creator s'impadronì di me, mi [49]


scrollò e mi costrinse al lavoro per le successive otto settimane finché la mia maggiore opera non fu portata a termine». Un'ulteriore conferma del travolgente ed impetuoso slancio di quell'iniziale accesso di creatività ci viene fornita da Alma stessa, che così descrive gli eventi di quell'estate: «Dopo il nostro arrivo a Maiernigg, ci furono, come ogni anno, le solite due settimane in cui veniva ossessionato dalla mancanza di ispirazione; poi una mattina, mentre varcava la soglia del suo studio nel bosco, improvvisamente gli venne in mente il Veni, creator spiritus. Compose e annotò l'intero coro iniziale su quanti frammenti ricordava del testo.» Alma Mahler parla di "frammenti di testo", ma di solito non si tiene sufficientemente conto della possibilità che Mahler conoscesse il famoso salmo nella traduzione tedesca fatta proprio da Goethe nell'aprile 1820 e nella quale il verso iniziale recita “Komm heiliger Geist, du Schaffender”. Inoltre, Goethe riteneva che il Salmo “fosse un appello al genio universale dell'umanità.” Ma le parole e la musica non combaciavano: la musica soverchiava il testo. In preda ad un'eccitazione febbrile Mahler telegrafò a Vienna e si fece mandare per telegramma l'intero testo dell'antico salmo latino. Il testo completo coincideva perfettamente con la musica: intuitivamente aveva composto la musica per ciascuna strofa di esso. A metà del mese di agosto 1906 Mahler aveva praticamente terminato la composizione, ma dovette interrompere le ultime rifiniture per recarsi a Salisburgo dove partecipò al 150° anniversario mozartiano. La prima esecuzione dell'Ottava Sinfonia, o "Sinfonia dei Mille" come divenne in seguito nota - otto solisti, coro di 850 elementi (comprendente un coro di 350 bambini), organo e l'orchestra allargata (170 orchestrali) del Konzertverein di Monaco diretti dal compositore stesso - ebbe luogo nelle nuova sala da concerto nel Parco Esposizioni della città il 12 settembre 1910, davanti a un pubblico di tremila persone.

Fu un avvenimento senza precedenti e come nessun'altra delle première di Mahler. Era presente il Principe reggente di Baviera Alberto I del Belgio e fra il pubblico figuravano molte personalità di [50]


primo piano della cultura europea: Bruno Walter, Siegfried Wagner, Richard Strauss, Georges Clemenceau, Alfredo Casella, Anton Webern, Stefan Zweig, Thomas Mann, Max Reinhardt, Leopold Stokowski, Otto Klemperer. Bruno Walter ricorda che al termine dell'esecuzione, mentre il pubblico applaudiva entusiasticamente, Mahler si affrettò a risalire il palcoscenico sino al coro dei bambini e, procedendo lungo le singole file, strinse ciascuna delle piccole mani protese verso di lui. Fu un simbolico atto di omaggio alla gioventù. Naturalmente era presente anche Alma, a cui l'opera era stata dedicata solo poche settimane prima della première. La donna racconta: «L'attesa di tutta Monaco e di quelli che erano venuti da fuori per assistere a questa première era enorme. Già la prova generale aveva estasiato tutti quanti. Ma all'esecuzione l'entusiasmo superò ogni limite. All'apparire di Mahler sul podio tutto il pubblico si alzò in piedi. Un perfetto silenzio. Fu l'omaggio più commovente che sia mai stato fatto a un artista. Io ero in un palco sul punto di svenire per l'emozione. Dopo - essa conclude - passammo una serata lieta e tranquilla durante la quale Mahler veniva acclamato e complimentato da tutti... Infine, restammo a conversare tra di noi sino al mattino con Gucki2 la nostra cara bambina che dormiva accanto a noi.» Desta una certa perplessità il fatto che proprio in quell'epoca il matrimonio dei Mahler era entrato in crisi, tant'è che uno dei segni di quell'opprimente turbamento fu un breve informale consulto con Sigmund Freud; eppure, per quanto si possa disapprovare la sua sconcertante insensibilità all'infedeltà, non v'è dubbio che Alma abbia avuto un ruolo di primo piano nella concezione e immaginazione dell'Ottava Sinfonia. Ne sono testimoni tanto i quesiti e le indagini molto perspicaci che Mahler le proponeva nelle lettere circa il significato dell'Ottava, quanto l'innegabile amore per la sua straordinaria seppur imprevedibile compagna. Ritenere però che l'Ottava sia incentrata esclusivamente su Alma sarebbe un errore grossolano; riconoscere invece che il rapporto di Mahler con Alma abbia costituito una parte importante del discorso musicale - si tenga presente che la Sinfonia si conclude con il Chorus mysticus di Goethe, le ultime famose parole del quale sono “Das Ewig-Weibliche zieht uns hinan” (l'Eterno femmineo ci sospinge verso il cielo) - è essenziale per comprendere il complesso intreccio tra passione personale e alta filosofia che è la chiave di lettura della definizione dell'Ottava. Scrive Quirino Principe: «Nelle eccellenti intenzioni, degli uditori, che si alzarono in piedi in silenzio quando Mahler comparve sul podio prima dell'esecuzione, c'era forse un cattivo presagio: quel

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Gucki è il nomignolo di Anna, la seconda figlia dei Mahler, la prima (Putzi) morì nel 1907. [51]


trionfo ebbe qualcosa di conclusivo, il monumento all'artista vivente si colorì di luce tombale, il giubileo parve, anticipare l'omaggio postumo.» Fu l'ultima sinfonia che il compositore udì eseguita. Il suo lavoro sinfonico successivo fu infatti Das Lied von der Erde (composto nel 1908) che, benché si tratti tecnicamente di una sinfonia per orchestra e voci soliste, Mahler non inserì nel conto delle sue sinfonie come "numero 9", e ad ogni modo debuttò solo sei mesi dopo la morte dell'autore; la Sinfonia n° 9 invece, composta nel 1909, non fu eseguita che nel 1912. Dopo la morte del compositore l’Ottava Sinfonia è stata eseguita piuttosto raramente, tuttavia, dalla seconda metà del ventesimo secolo, essa è stata inserita nel repertorio delle grandi orchestre di tutto il mondo ed è stato più volte incisa.

CONSIDERAZIONI CRITICHE ED ETICHE SULLA OTTAVA SINFONIA Gustav Mahler, nel 1906

volle così esplicare il suo pensiero sull’Ottava sinfonia

(da una

testimonianza riportata da Richard Spechtnel nel 1914): «E’ stata una visione fulminea: improvvisamente tutto stava davanti ai miei occhi e mi è bastato porlo su carta, come se mi fosse stato dettato... Questa Ottava Sinfonia presenta caratteri particolari già per i! fatto che unisce due testi poetici in lingue diverse, la prima parte è un inno latino e la seconda parte niente meno che la scena conclusiva del secondo Faust. Si meraviglia? Già da tempo desideravo comporre questa scena degli anacoreti e la chiusa con la Mater gloriosa, e in modo diverso da ciò che hanno fatto tutti gli altri, che le hanno musicate in modo così dolciastro e debole; ma proprio ora non ci avevo più pensato. Per caso mi è recentemente capitato fra le mani un vecchio libro, e l'ho aperto sull'inno Veni, [52]


creator spiritus, e d'un tratto tutto mi sta davanti: non solo il primo tema, ma l'intero primo tempo, e come risposta non potevo trovare nulla di più bello che le parole di Goethe nella scena degli anacoreti! Ma anche nella forma l'Ottava è qualcosa di completamente nuovo: può immaginare una Sinfonia cantata dall'inizio alla fine? Finora ho usato la parola e la voce umana sempre solo per spiegare, come fattore espressivo sintetico, per dire con la concisa precisione possibile soltanto alla parola ciò che in termini puramente sinfonici si sarebbe dovuto esprimere solo con enorme ampiezza. Ma qui la voce umana è al tempo stesso uno strumento; tutto il primo tempo è impostato in forma rigorosamente sinfonica eppure è completamente cantato. Tuttavia è proprio strano che nessuno finora abbia pensato a questa idea - è l'uovo di Colombo: la Sinfonia in sé, in cui lo strumento più bello che esista è portato a compiere il suo destino - e non solo come suono, perché la voce umana è anche portatrice del pensiero poetico.» Vista in questa luce e malgrado l'abbinamento di un salmo medievale in latino e di uno dei più famosi testi classici tedeschi, l'Ottava ci appare sorprendentemente come una testimonianza autentica di un'epoca segnata da diverse tendenze culturali, un'epoca in cui emergevano nuove ardite considerazioni sulla psicologia umana e suscitava grande interesse la tesi che la sessualità fosse alla base di ogni creatività.

[Johann Wolfgang von Goethe] Mahler meditò a lungo sulla forma definitiva da dare all'opera. A tal proposito, un indizio rivelatore si può ricavare dallo schema in quattro movimenti dell'Ottava che doveva iniziare con il Veni, creator spiritus e terminare con un ulteriore inno: Schöpfung durch Eros (Creazione tramite l'Eros). Il secondo movimento doveva chiamarsi Caritas, titolo che ricorre anche negli innumerevoli schemi della Quarta Sinfonia: il terzo movimento, uno Scherzo, viene descritto come Weihnachtsspiele mitdem Kindlein (Giochi natalizi con Gesù bambino).

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Se è vero che l'idea del secondo movimento Caritas non fu portata avanti, certo lo fu il concetto ideale sotteso allo Scherzo. In una lettera inviata ad Alma poco prima della première dell'Ottava, Mahler precisa la sua immagine dei bambini come «portatori di una stupenda saggezza pratica»; ciò ci aiuta a comprendere l'innovativo ruolo che i bambini dovevano svolgere nel mondo sonoro dell'Ottava. Essi non dovevano rappresentare dei "piccoli adulti", ma caratterizzarsi con le loro virtù, con la loro musica, come immagini vocali della loro "saggia" innocenza. Ascoltiamo ciò non solo nel salmo latino della Prima Parte della Sinfonia, in cui le voci bianche introducono un po' di colore nell'incessante polifonia del movimento ma anche nella seconda parte, dove i bambini impersonano i Selige Knaben (Bambini Benedetti) di Goethe. Tutto ciò spiega la pubblica attestazione di gratitudine che Mahler tributò fervidamente al coro dei bambini, al termine della prima esecuzione. Lo schema in quattro movimenti ci fa arguire che l'inno finale fu prefigurato come una celebrazione dell'Eros ed è proprio a tal proposito che Mahler cerca di chiarire, in una lettera ad Alma, la sua interpretazione dell'ultima scena del Faust II: «La sua essenza è proprio l'idea di Goethe che qualsiasi tipo di amore è generativo, creativo e che esiste una genesi fisica e spirituale che è emanazione dell'Eros.» Alla luce di questo messaggio trasmesso dall'opera, non è certo sorprendente che Mahler abbia ritenuto l'Ottava la sua più grandiosa concezione; in essa, le ambizioni filosofiche gareggiano con la pluralità delle risorse e la potenza e ampiezza, veramente

straordinarie,

della

musica.

La

stupefacente

molteplicità di generi e forme realizza quasi un compendio di storia della musica, raccolto da un musicista come Mahler che, essendo a cavallo fra due secoli, aveva un punto di osservazione privilegiato. Lungo la stesura della Seconda Parte, ad esempio, riscontriamo un gran numero di stili e generi vocali, come era d'altronde necessario dato che la voce umana doveva essere il veicolo principale delle idee filosofiche o poetiche: cantata o oratorio, canto solista o aria d'opera lirica, coro di fanciulli o corale solenne, tutti questi generi vengono

raccolti da Mahler per far svolgere a ciascuno un proprio ruolo

innovativo. Né vanno trascurati i gesti spiccatamente teatrali inseriti nella Seconda Parte, in particolare il momento intensamente drammatico in cui la Mater Gloriosa compare fluttuando ("schwebt einher", come annotò Mahler sulla partitura) e quindi esattamente come Goethe avrebbe immaginato la seconda parte del Faust. Oserei affermare che ancora più significativa è la "scoperta" di Bach da parte di Mahler (si potrebbe dire la sua totale immersione in Bach) che si manifesta così chiaramente nel Veni, creator spirìtus. Ciò che qui percepiamo è il tributo di Mahler a Bach e in particolare al mottetto Singetdem Herrn ein neues Lied molto ammirato da Mahler e che forse gli diede lo spunto per iniziare la nuova Sinfonia. Dietro quel flusso torrenziale di tessiture polifoniche e forme contrappuntistiche, che caratterizzano il movimento, si erge infatti la figura del compositore di Bonn. Una parte [54]


considerevole del movimento è costituita dalla famosa doppia fuga che accompagna, con intensità ed impeto crescenti, il verso "Per te sciamus da Patrem" (Per tuo tramite conosciamo il Padre). Un particolare infine che ha gettato una luce sinistra in questa Sinfonia. Mahler descrisse a William Mengelberg, l'illustre promotore olandese della sua musica, l'Ottava Sinfonia come la sua opera più "grandiosa e come un "dono alla Nazione". Queste affermazioni sono state talvolta fraintese come indicazioni di un latente sentimento di nazionalismo o di imperialismo culturale, il che mal s'accorda con quanto ci risulta della sua personalità e delle sue simpatie social-politiche. Invece, per "dono" si deve intendere certamente la creazione di un'opera che in effetti richiese per la sua esecuzione il concorso di una vera e propria comunità di esecutori: bambini, cori, solisti virtuosi e orchestra.

L’ORGANICO La Sinfonia n° 8 è detta dei Mille per l’enorme organico che richiede: 3 soprani, 2 contralti, tenore, baritono, basso, doppio coro misti, coro di fanciulli, 2 ottavini, 4 flauti, 4 oboi, corno inglese, 2 clarinetti piccoli, 3 clarinetti, clarinetto basso, 4 fagotti, controfagotto, 8 corni, 4 trombe e altre 4 trombe collocate in alto, 4 tromboni e altri 3 tromboni collocati in alto, basso tuba, timpani, grancassa, piatti, tamtam, triangolo, campane, glockenspiel, celesta, armonium, organo, pianoforte, 2 arpe, mandolino, archi.

[La prima americana della Sinfonia n. 8 di Mahler, diretta da Leopold Stokowski nel 1916] I personaggi sono: Magna Peccatrix (soprano), Una poenitentium (soprano), Mater gloriosa (soprano), Mulier Samaritana (contralto), Maria Aegyptiaca (contralto), Doctor Marianus (tenore), Pater ecstaticus (baritono), Pater profundus (basso), doppio Coro misto, Coro di fanciulli. 

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GUIDA ALL’ASCOLTO  PRIMA PARTE: «VENI, CREATOR SPIRITUS» [Inno di Rabano Mauro (Magonza 784 - 856)] (Allegro impetuoso). E’ basata sul testo di un inno di pentecoste alto-medioevale La sinfonia inizia con un unico accordo tonico in mi bemolle, suonato all'organo, al quale segue l'ingresso dei due cori che insieme espongono in fortissimo il primo tema «Veni, creator spiritus». Il motivo “creatore” a tre note viene subito ripreso dai tromboni e poi dalle trombe in un tema in marcia che sarà utilizzato come fattore unificante per tutta l'opera. Una successione di accordi di flauti e violini introduce il primo episodio vocale dello svolgimento, questa volta su un nuovo tema, già accennato da fagotti e violoncelli nell'interludio che precedeva il tema che era stato cantato precedentemente nel corale. Alla voce di un soprano solista sono affidate le parole «Imple superna gratia», un appello alla grazia divina, cantate in modo dolce ed espressivo. Al soprano si uniscono gli altri solisti.

Veni, creator spiritus, mentes tuorum visita, imple suprena gratia quae te creasti pectora. [Vieni, spirito creatore, visita le anime di di chi confida in te, riempi di grazia divina i cuori che hai creato.] È uno squarcio di pensosa mestizia che si apre in corrispondenza delle parole «Infirma nostri corporis», quando cioè il testo fa esplicito riferimento alla debolezza e fragilità umane, mentre l'invocazione alla saldezza della virtù divina giunge dalla voce del contralto solista, che svetta, con grande espressività, su un nuovo tema. La sezione è interrotta da un breve intermezzo orchestrale in cui vengono suonate le campane basse, aggiungendo un tocco cupo alla musica. Questo nuovo stato d'animo, si realizza quando "Infirma nostri corporis" riprende, questa volta senza i ritornelli, in cui i cori (compresi quelli dai bambini) si congiungono in un unisono fortissimo al gruppo dei solisti su un nuovo tema “cardine dell’opera e ponte di collegamento con la scena degli anacoreti (Mahler)”: "Accende lumen sensibus" (Illumina i nostri sensi). Sulle parole “amorem cordis” il coro dei bambini entra con un nuovo tema, in uno stato d'animo gioioso, mentre la musica prende forza e ritmo. Si tratta di un passaggio di grande complessità, sotto forma di una doppia fuga

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che coinvolge lo sviluppo di molti dei temi precedenti, con costanti modifiche alla tonalità. Tutte le forze si uniscono di nuovo nella ricapitolazione della sezione "Veni creator" in forma abbreviata. Qui Paraclitus diceris, donum Dei altissimi, fons vivus, ignis, charitas, et spiritalis unctio. [Tu che sei chiamato Paraclito, dono di Dio altissimo, sorgente di vita, fuoco, carità e consacrazione dello spirito] Veni, creator spiritus, infirma nostri corporis virtute firmans perpeti, accende lumen sensibus, infunde amorem cordibus. [Vieni, creatore dello spirito, con la tua virtù fortifica le debolezze del nostro corpo, dai luce ai nostri sensi, infondi l'amore nei cuori.] Nella successiva quarta strofa “Hostem repelleas longius” su una variante del tema appena espresso dal coro dei bambini cantano i due cori e i soprani e contralto soli. Una poderosa doppia fuga, basata su diversi elementi del primo tema («Ductore te praevio»), imprime nuovo impulso alla musica, in direzione della Ripresa, procedendo oltre, lungo il testo, ma anche ripercorrendo retrospettivamente temi e versi, con rinnovato slancio, attraverso una serie ininterrotta di modulazioni. Hostem repellas longius, pacemque dones protinus. Ductore sic te praevio vitemus omne pessimum. [Respingi il nemico, e donaci la pace eterna. Così, da Te guidati, eviteremo ogni male.] Dalla quinta strofa “Tu setptiformis munere” Mahler inizia la parte di più densa complessità contrappuntistica di tutto lo Sviluppo. Tu septiformis munere, digitus paternae dexterae, per te sciamus da Patrem, noscamus Filium, credamus Spiritum omni tempore.

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[Spirito dai sette doni, dita della mano destra paterna, facci conoscere il Padre e il Figlio; in te, Spirito di entrambi, ci sia concesso credere in ogni tempo.] Accende lumen sensibus, infunde amorem cordibus. Qui Paraclitus diceris, donum Dei altissimi, [dai luce ai nostri sensi, infondi l'amore nei cuori. Tu che sei chiamato Paraclito, dono di Dio altissimo.] Da gaudiorum praemia, da gratiarum munera, dissolve litis vincula, adstringe pacis foedera. [Dona a noi premi di gioia, dona a noi ricchezza di grazia, sciogli le catene della guerra, stringi patti di pace.] Una poderosa doppia fuga, basata su diversi elementi del primo tema («Ductore te praevio»), imprime nuovo impulso alla musica, in direzione della Ripresa, procedendo oltre, lungo il testo, ma anche ripercorrendo retrospettivamente temi e versi, con rinnovato slancio, attraverso una serie ininterrotta di modulazioni. Pacemque protinus dones; ductore sic te praevio vitemus omne pessimum. [Dacci la pace eterna; così sotto la tua guida, eviteremo ogni male.] Un più tranquillo passaggio conduce a una coda orchestrale prima che il coro dei bambini annunci "Gloria sit Patri Domino" ("Gloria a Dio Padre"). Da allora in poi la musica si sposta rapidamente e con forza al suo culmine, in cui un ensemble di ottoni fuori dal palco esplode con il tema "Accende" mentre l'orchestra principale e i cori terminano su una scala crescente trionfante. Una poderosa scala ascendente attraversa tutti i registri dell’orchestra e dei cori, giungendo ad un punto culminante fino all’accordo finale di tutta l’orchestra. Gloria Patri Domino, Natoque qui a mortuis surrexit, ac Paraclito in saeculorum saecula. [Gloria a Dio Padre e Signore, e al Figlio risorto da morte e al Paraclito consolatore nei secoli dei secoli.]

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 SECONDA PARTE: SCENA FINALE DAL FAUST II DI GOETHE (Poco adagio - Più mosso - Allegro moderato)

Alla monolitica compattezza della prima parte della sinfonia, la seconda contrappone un impianto formale assai libero, direttamente modellato sulla struttura episodica dell'ultima scena del secondo Faust. Un'introduzione lunga 170 battute svela un arcano paesaggio nordico, popolato da boschi, rupi e gole montane. Sul motivo letteralmente trasfigurato di «Accende lumen sensibus» (affidato a violoncelli e contrabbassi in pizzicato), si staglia pianissimo in flauti e clarinetti il tema dell'introduzione, che, costituito da elementi già noti, anticipa il coro iniziale e altri episodi successivi, contenendo, a sua volta, il germe del conclusivo coro mistico «Alles Vergängliche...».

Gole montanie, foreste, dirupi, luoghi solitari. Santi anacoreti, dispersi qua e là sulle alture dei monti, tra i crepacci. CORO ED ECO. Waldung, sie schwankt heran, Felsen, sie lasten dran, Wurzeln, sie klammern an, Stamm dicht an Stamm hinan. Woge nach Woge spritzt, Höhle, die tiefste, schützt. Löwen, sie schleichen stumm Freundlich um uns herum Ehren geweihten Ort, Heiligen Lìebeshort. [Foreste, che sembrano muoversi, rocce il cui peso incombe tutto intorno, radici, che penetrano a fondo, tronchi addossati a tronchi. Flutti inseguono schiumosi flutti; profonde caverne si schiudono. Docili leoni si aggirano in silenzio e benigni intorno a noi, o o a do uesto luogo sa o, asilo dell’A o e.] Alla fine dell'introduzione si collega il primo coro (inizialmente limitato alle sole voci maschili) che riprende, variandolo e con suggestivi effetti d'eco, il materiale tematico dell'inizio. Carattere operistico e di tormentata vocalità presentano invece gli assolo del Pater ecstaticus («Ewiger Wonnebrand») e del Pater profundus («Wie Felsenabgrund...»), rispettivamente su una libera trasformazione del tema dell'introduzione e su un nuovo tema. PATER ECSTATICUS (librandosi a volo su e giù). Ewiger Wonnenbrand, Glühendes Liebehand, Siedender Schmerz der Brust, Schäumende Gotteslust.

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Pfeile, durchdringet mich, Lanzen, bezwinget mich, Keulen, zerschmettert mich; Blitze, durchwettert mich! Dass ja das Nichtige Alles verflüchtige, Glänze der Dauerstern Ewiger Liebe Kern! [Gioia d’ete o a do e, giogo d'a o e a de te, dolo e he u ia ei petto, fe vente anelito a Dio. Frecce, trafiggetemi, lance, abbattetemi, clave, sfracellatemi, fulmini, schiantatemi, sì che tutto ciò che è vano si dissolva e scompaia, solo costante splenda il nucleo dell'eterno amore!] PATER PROFUNDIS (regione profonda). Wie Felsenabgrund mir zu Füssen Auf tiefem Abgrund lasten ruht, Wie tausend Bäche strahlend fliessen Zum grausen Sturz des Schaums der Flut, Wie strack, mit eignem kräft gen Triebe, Der Stamm sich in die Lüfte trägt: So ist es die allmächtige Liebe Die alles bildet, alies hegt. [Come sulla profonda voragine ai miei piedi li dirupo poggia il suo peso su più fondo abisso, come mille ivoli aggia ti va o allo spu oso o ido alzo, o e pe p op ia i ti a fo za, il t o o d’al e o si solleva ell’aria, così l'amore onnipotente tutto forma, tutto nutre.] Ist um mich her ein wildes Brausen, Als wogte Wald und Felsengrund, Und doch stürzt, liebevoll im Sausen, die Wasserfülle sich zum Schlund, Berufen, gleich das Tal zu wässern; Der Blitz, der flammend niederschlug, Die Atmosphäre zu verbessern, Die Gift und Dunst im Busen trug. [Intorno a me c'è un selvaggio fragore come se bosco e rupi o deggiasse o, a la pie a dell’acqua s os ia te p e ipita, a o osa giù ella gola, pe i iga e gli ape ti a pi; la folgo e s’abbatte, fiammeggiando, purifica l'atmosfera che aveva in sé veleni e vapori.] Sind Liebesboten, sie verkünden, Was ewig schaffend uns umwallt. Mein Innres mög' es auch entzünden Wo sich der Geist, verworren, kalt, Verquält in stumpfer Sinne Schranken, Scharfangeschlossnem Kettenschmerz! O Gott! beschwichtige die Gedanken, Erleuchte mein bedürftig Herz!

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Entrambi essi d'a o e, a u ia o l’ete a fo za ope osa he i avvolge. Potesse uesto a e de e il mio intimo, dove lo spirito, turbato e gelido, langue rinchiuso entro i sensi ottusi, stretto in ceppi di dolore. O Dio! dona pace ai miei pensieri, illumina la mia anima in pena!] Affidata prevalentemente alle voci femminili e infantili, la seconda parte dell'Esposizione annuncia, per bocca del coro degli angeli, il principio di salvazione di Faust («Chi si affatica a tendere più oltre, noi possiamo redimerlo»). ANGELI (volando verso la parte più alta dell'atmosfera, e portando la parte immortale di Faust). Gerettet ist das edle Glied Der Geisterwelt vom Bösen: Wer immer strebend sich bemüht. Den können wir erlösen. Und hat an ihm die Liebe gar Von oben teilgenommen Begegnet ihm die selige Schar Mit herzlichem Willkommen. [E’ salva dal Malig o uesta o ile pa te del o do dei Beati: hi se p e lotta pe as e de e, oi possia o redimerlo! E se il divino Amore dall'alto lo invita, lieta la schiera dei Beati si muove verso di lui per osannarlo.] CORO DI FANCIULLI BEATI (girando in cerchio intorno alle più alte cime). Hände verschlinget Freudig zum Ringverein! Regt euch und singet Heil'ge Gefühle drein; Göttlich belehret, Dürft ihr vertrauen; Den ihr verehret, Werdet ihr schauen! [Datevi la mano con gioia, e formate un cerchio! Ruotando cantate con sensi divini! Da Dio imparate, senza timore, a confidare; colui che venerate, un giorno voi lo vedrete!]

Nuovi temi caratterizzano il delizioso «Jene Rosen...» degli angeli novizi, mentre la terza parte dell'Esposizione riproduce l'«lnfirma nostri corporis» dell'inno, unitamente ad altri temi della prima parte della sinfonia.

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GLI ANGELI NOVIZI. Jene Rosen, aus den Händen Liebend-heiliger Büsserinnen Halfen uns den Sieg gewinnen, Und das hohe Werk vollenden, Diesen Seelenschatz erbeuten. Böse wichen, als wir streuten, Teufel flohen, als wir trafen. Statt gewohnter Höllenstrafen Fühlten Liebesqual die Geister, Selbst der alte Satansmeister War von spitzer Pein durchdrungen. Jauchzet auf! es ist gelungen. [Quelle rose, do o delle a i di pe ite ti he l’a o e sa tifi a, i ha o dato la vitto ia, e l’aiuto a compiere l'alta impresa: la conquista di quest'anima preziosa. Indietreggiarono i Maligni, quando le spa ge o, fuggi o o i de o i, ua do li e saglia o. No più le o suete pe e dell’I fe o, a tormenti d'amore provarono gli spiriti: anche il vecchio maestro Satana fu trafitto da un acuto dolore. Gioite! Abbiamo trionfato.] GLI ANGELI PERFETTI. Und bleibt ein Erdenrest Zutragen peinlich, Und wär' er von Asbest, Er ist nicht reinlich. Wenn starke Geisterkraft Die Elemente An sich herangerafft, Kein Engel trennte Geeinte Zwienatur Der innigen beiden, Die ewige Liebe nur Vermag's zu scheiden. [Du a i p esa è po ta e u esiduo di te a, su pe l’ete ea via; a he se fosse asbesto non sarebbe mai puro. Quando un eletto Spirito i corporei elementi a sé congiunge, nessun angelo tenti di separar le due nature unite tra loro, intimamente. Solo l'eterno Amore potrebbe separarle.] GLI ANGELI NOVIZI. Nebelnd um Felsenhöh Spür' ich soeben, Regend sich in der Näh, Ein Geisterleben. Die Wölkchen werden klar, Ich seh' bewegte Schar Seliger Knaben, Los von der Erde Druck, Im Kreis gesellt, Die sich erlaben [62]


Am neuen Lenz und Schmuck Der obern Welt. Sei er um Anbeginn, Steigendem Vollgewinn Diesen gesellt! [Mi pare ora avvertire nella nebbia di cime rocciose, muoversi qui vicino una vita di spiriti. Dei fanciulli beati vedo la mobile schiera, liberi dagli affanni terreni, radunati in cerchio che si appagano lieti della nuova primavera, e della grazia del mondo superno. Per cominciare, egli sia, mentre sale a farsi perfetto, associato alla loro compagnia. Che lo spirito novizio, mentre ascende a perfezione, a loro prima si unisca!] I FANCIULLI BEATI. Freudig empfangen wir Diesen im Puppenstand; Also erlangen wir Englisches Unterpfand. Löset die Flocken los, Die ihn umgeben, Schon ist er schön und gross Von heiligem Leben. [Con gioia accogliamo costui, ancora crisalide; così ci è concesso un pegno, per un angelo futuro. Liberatelo dall’i volu o he la circonda! Egli già grande risplende di vita eterna.] Annunciato dalla marcia gioiosa degli angeli novizi, l'ingresso dell'anima di Faust segna quindi l'inizio dello Sviluppo mentre il Doctor Marianus insieme al coro, in un clima vieppiù religioso invocante la Vergine, prepara l'apparizione della Mater Gloriosa.

DOCTOR MARIANUS (nella cella più alta e più pura). Hier ist die Aussicht frei. Der Geist erhoben. Dort ziehen Frauen vorbei, Schwebend nach oben; [63]


Die Herrliche mittenin, Im Sternenkranze, Die Himmelskönigin, Ich seh's am Glänze. [Di qui lo sguardo spazia infinito, in alto si libra lo spirito. In basso scorgo donne volare verso l'alto. Gloriosa, fra esse, corona di stelle, la Regina del cielo, io la vedo dentro il suo splendore.] (in estasi). Höchste Herrscherin der Welt! Lasse mich im blauen, Ausgespannten Himmelszelt Dein Geheimnis schauen! Billige was des Mannes Brust Ernst und zart bewegt Und mit heiliger Liebeslust Dir entgegenträgt. [Sublime Signora del mondo! Fa che io, nell'azzurra tenda del cielo, tutta spiegata e tesa, scruti nel tuo mistero! Accetta quanto a te offre un cuore d'uomo mosso da grave tenerezza e con sacra brama d'amore.] Unbezwinglich unser Mut, Wenn du hehr gebietest; Plötzlich mildert sich die Glut, Wenn du uns befriedest. [Incrollabile si fa il nostro animo, se tu, maestosa, lo comandi, subito si attenua l'ardore, se tu ci dai sollievo.] DOCTOR MARIANUS E CORO. Jungfrau, rein im schönsten Sinn, Mutter, Ehren würdig. Uns erwählte Königin, Göttern ebenbürtig. [Vergine immensamente pura, venerabile Madre, eletta a nostra regina, nata quasi divina.] Con la didascalia «Mater gloriosa schwebt einher» («la Mater gloriosa si libra in volo») ha inizio la seconda sezione dello Sviluppo: un Adagissimo lungo il quale, ai violini primi, su un accompagnamento di arpe e armonium, si dispiega lo splendido tema d'amore, vagamente schumanniano e forse memore dell'Adagietto della Quinta Sinfonia, che di qui in poi si rivelerà determinante.

La Mater Gloriosa viene avanti, librandosi in volo. CORO. Dir, der Unberührbaren, Ist es nicht benommen, [64]


Dass die leicht Verführbaren, Traulich zu dir kommen. In die Schwachheit hingerafft, Sind sie schwer zu retten; Wer zerreisst aus eig'ner Kraft Der Gelüste Ketten? Wie entgleitet schnell der Fuss Schiefem, glattem Boden! [Tu, Immacolata, puoi pe ette e alle fa ili vitti e d’a o edi ve i e a Te con fiducia. Trascinate a peccare dalla loro debolezza, sono difficili a salvarsi; chi di propria mano spezza le catene delle tentazioni? Come scivola subito i! piede su un terreno liscio in pendenza!] CORO DELLE PENITENTI E UNA POENITENTIUM Du schwebst zu Höhen, Der ewigen Reiche, Vernimm das Flehen, Du Ohnegleiche, Du Gnadenreiche! [Tu che voli in alto verso i regni eterni accogli la nostra supplica, tu, senza eguali, tu, piena di grazia!]

[Max Slevogt: Mater Gloriosa con il Coro delle penitenti ]

Seguono tre distinti interventi vocali femminili su testi di Luca (VII, 36, Magna Peccatrix) bo, Giovanni (IV, Mulier Samaritana) [14.01] e degli Acta Sanctorum (Maria Aegyptiaca). Le tre voci si uniscono poi un trio canonico sul tema d'amore. MAGNA PECCATRIX (San Luca, VII,36). Bei der Lieben, die den Füssen Deines gottverklärten Sohnes Tränen lies zum Balsam fliessen. Trotz des Pharisäer-Hohnes; Beim Gefässe, das so reichlich Tropfte Wohlgerch hernieder. Bei den Locken, die so weichlich Trockneten die heiligen Glieder…

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[Per l'amore, che sui piedi del tuo sempiterno Figlio riversava lacrime come balsamo, e vano fu lo scherno dei farisei; per l’a polla, che versò soavi esse ze d’a a, per le morbide chiome che asciugarono le sante e a…] MULIER SAMARITANA (San Giovanni, VII, 36). Bei dem Bronn, zu dem schon weiland Abram liess die Herde führen; Bei dem Eimer, der dem Heiland Kühl die Lippen dürft' berühren; Bei der reinen, reichen Quelle, Die von dorther sich ergiesset, Überflüssig, ewig helle Rings durch alle Welten fliesset… [Per la fonte, dove un tempo Abramo soleva condurre il proprio gregge, per la secchia, che rinfrescò il labbro al Salvatore, per la pura e ricca sorgente, che là da allora sgorga, sovrabbondante, eternamente limpida, e scorre intorno, attraverso tutti i mondi…] MARIA AEGYPTIACA (Acta santorum). Bei dem hochgeweihten Orte, Wo den Herrn man niederliess, Bei dem Arm, der von der Pforte Warnend mich zurückestiess, Bei der vierzigjährigen Busse, Der ich treu in Wüsten blieb, Bei dem seligen Scheidegrusse, Den im Sand ich niederschrieb... [Per il luogo consacrato in cui il Signore fu deposto, per il braccio, che sulla soglia, ammonitore, mi respinse, per i quarant'anni di penitenza in cui, fedele, rimasi nel deserto, per le sante parole di commiato che tracciai sulla sabbia...] MAGNA PECCATRIX, MULIER SAMARITANA, MARIA AEGYPTIACA Die du grossen Sünderinnen Deine Nähe nicht verweigerst, Und ein büssendes Gewinnen In die Ewigkeiten steigerst, Gönn' auch dieser guten Seele, Die sich einmal nur vergessen, Die nicht ahnte, dass sie fehle, Dein Verzeihen angemessen! [Tu, che le peccatrici non tieni da te lontane, e sollevi all’Ete o gli spi iti o t iti, concedi anche a quest'anima buona, che solo una volta cedette, ignorando il suo peccato, il tuo perdono, così com'è giusto!] Dello stesso disegno melodico si vale poi Margherita (Una poenitentium) nel primo dei suoi due episodi vocali («Neige, neige...»).

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UNA POENITENTIUM (stringendosi alla Vergine). Neige, neige, Du Ohnegleiche, Du Strahienreiche, Dein Antlitz gnädig meinem Glück! Der früh Geliebte, Nicht mehr Getrübte, Er kommt zurück. [Volgi, volgi, Tu, senza uguali, Tu, radiosa, il tuo sguardo di grazia alla mia felicità. Colui che un giorno ho amato, scevro da ogni dolore, ecco che a me ritorna.] Nel secondo intervento («Vom edlen Geisterchor umgeben»), dopo l'ultimo intervento dei fanciulli beati, riprende il tema di «Imple superna gratia», unitamente ad altro materiale tematico dell'inno.

FANCIULLI BEATI (si avvicinano ruotando). Er überwächst uns schon An mächtigen Gliedern, Wird treuer Pflege Lohn Reichlich erwidern Wir wurden früh entfernt Von Lebechören; Doch dieser hat gelernt, Er wird uns lehren. [Egli ci sormonta già con le sue forti membra. Delle nostre fedeli cure ci darà ricompensa. Troppo presto fummo rapiti dai cori della vita; ciò che egli apprese a noi lo insegnerà.] UNA POENITENTIUM. Vom edlen Geisterchor umgeben, Wird sich der Neue kaurn gewahr, Er ahnet kaum das frische Leben, So gleicht er schon der heiligen Schar. Sieh, wie er jedem Erdenbande Der alten Hülle sich entrafft, Und aus ätherischem Gewände, Hervortritt erste Jugendkraft! Vergönne mir, ihn zu belehren, Noch blendet ihn der neue Tag. [Circondato dal nobile coro degli spiriti, il nuovo venuto si riconosce appena, come avverte la sua nuova e fresca vita, già è simile alla santa schiera. Vedi come egli, libero da ogni vincolo terreno e cinto dall'eterea veste risplende forte della sua giovinezza! Concedimi di essergli guida, il nuovo giorno ancora lo acceca.]

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Sul “tema d'amore” della Mater gloriosa ha inizio la terza sezione dello Sviluppo. Il canto si distende (dolcissimo) in un'ultima, ampia e sospesa zona lirica, per poi essere raccolto dal coro maschile che, quasi in eco, ripete «Vieni! Vieni!» MATER GLORIOSA. Komm! Hebe dich zu höheren Sphären, Wenn er dich ahnet, folgt er nach. [Vieni! innalzati alle più alte sfere; se ti avverte qual sei, ti seguirà.] CORO. Ko ! [Vieni!] Segue «al modo di un inno» l'invocazione («Blicket auf...») del Doctor Marianus («col volto chino, in preghiera»), su un ennesimo nuovo tema, mentre il coro, ora anche con soprani e contralti, ripete l'esortazione «Vieni! Vieni!».

DOCTOR MARIANUS (col volto chino, in preghiera). Blicket auf zum Retterblick, Alle reuig Zarten, Euch zu seligem Geschick Dankend umzuarten. Werde jeder bess're Sinn Dir zum Dienst erbötig; Jungfrau, Mutter, Königin, Göttin, bleibe gnädig! [Volgete gli occhi allo sguardo che salva, voi tutte, miti anime pentite, per far vostro il beato destino riconoscenti. Ogni spirito più alto e puro sia pronto a servirti. Vergine, Madre, Regina, Divina, sii sempre piena dì grazia!] Un interludio orchestrale distende allora un velo di tersa luminosità e di quiete carica d'attesa, approdando all'entrata «wie ein Hauch» («come un soffio») del Coro mistico su una variante del tema introduttivo. Inizia quindi un lungo, lento crescendo sul «tema d'amore», che culmina nel fortissimo di orchestra e cori, con organo a piena potenza.

CORO MISTICO. Alles Vergängliche Ist nur ein Gleichnis; Das Unzulängliche, Hier wird's Ereignis; [68]


Das Unbeschreibliche, Hier ist's getan; Das Ewig-Weibliche Zieht uns hinan. [Tutto ciò che passa è soltanto un simbolo, l'inattuabile qui ha compimento; l'indescrivibile qui ha già esistenza; in alto ci attira l'eterna femminea essenza.]

La parola «hinan» («verso l'alto») viene ripetuta da sola, mentre corni e tromboni richiamano simbolicamente la fine del canto di Margherita, quindi il tema di «Accende lumen». All'ultima battuta del coro entrano gli ottoni isolati con una poderosa evocazione in valori aumentati del «Veni, creator» con cui si conclude trionfalmente la sinfonia.

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Discografia Dopo la morte del compositore l’Ottava fu eseguita piuttosto raramente. Tuttavia dalla seconda metà del ventesimo secolo la sinfonia è entrata nel repertorio delle principali orchestre in tutto il mondo. Nonostante le evidenti difficoltà organizzative che l’esecuzione di un'opera di tali dimensioni comporta, esistono molte registrazioni valide: riporto qui le più celebri, che costituiscono un punto di avvio per una buona esperienza di ascolto. Va tuttavia precisato che l'Ottava è un lavoro di comprensione non immediata, il cui ascolto, per poter essere apprezzato appieno, dovrebbe essere preceduto da quello delle altre sinfonie dello stesso autore.

 Gustav Mahler: Symphony n° 8 “ pho of a Thousa d Frances Yeend, Uta Graf, Camilla Williams, Eugene Conley, Carlos Alexander, George London. The West i ster Choir, “ hola Ca toru of Ne York, Pu li “ hool Bo s Chorus. Ne York Philar o i Orchestra, dir. Leopold Stokowski. Music and Arts Program Una delle grandi registrazioni (dal vivo) del secolo scorso (1950) dell’Ottava, purtroppo resa poco godibile per la scarsa qualità tecnica: purtroppo c'è più di uno spettatore in sala nella Carnegie Hall che tossisce con riprovevole costanza, le registrazioni andrebbero fatte a canali separati per togliere rumori inutili! In realtà sono rimasto abbastanza sorpreso di quanto questo CD da concerto sia luminoso e vivace Una grande performance, ed è mozzafiato su altoparlanti... Posso solo sognare di quanto impressionante deve essere stato dal vivo. Cd da acquistare per chi desidera avere una versione “storica”.

 Mahler - Symphony n° 8 Heather Harper, Lucia Popp, Arleen Auger, Yvonne Minton, Elena Watt, René Kollo, John Shirley-Quirk, Martti Talvela. Wiener Singverein, Wiener Staatsoper Choir, Vienna Boys Chor. Chicago Symphony Orchestra, dir. Sir Georg Solti. Decca – The Originals Sono passati cinquant'anni da quando il leggendario David Hervey ha prodotto questa registrazione della Ottava sinfonia operistica e spirituale di Mahler, tuttora insuperabile, il che sembra una

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prospettiva improbabile in considerazione dello straordinario talento in mostra qui. Questa versione diretta da Solti è stata registrata nel 1972 ma sembra incisa oggi come tecnica di incisione. Difficilmente

ripetibile

questa

incisione.

Storicamente

unica.

Rimane

immensa

anche

l'interpretazione di Stokowski live con il suo significato storico ma la potenza apocalittica della direzione di Solti rimarrà ineguagliabile. Si narra che assistendo alle prove delle sessioni di incisione, i membri dei Wiener si chiedessero come i fiati della Chicago Symphony potessero esprimere tanta potenza... Georg Solti, con la Chicago Symphony Orchestra, ci conduce in un viaggio spirituale commovente e stimolante che non solo cattura la natura eterea di questo enorme lavoro, ma lo fa con un vero senso di intento narrativo e musicale, con Solti in fermo controllo delle enormi forze orchestrali e corali sotto lui. Gli otto solisti (fra i migliori cantanti solisti di quel periodo!)

sono uniformemente superbi, anche se per

coloro che amano particolarmente la sua voce, Lucia Popp, si distingue per il suo lirismo unicamente dolce, ognuno fornisce un contributo distinto come solista o in combinazione con i cori. Il culmine della prima parte è mozzafiato, con orchestra e coro che raggiungono le vette estatiche, mentre la perorazione corale nel finale della Parte 2 è opportunamente magnifica, portando un vero senso di completezza alla sinfonia e al significato spirituale del compositore. Ciò che è eccezionale di questa registrazione in tutte le sue parti superlative è la sensazione totale di integrità e unità che ispirano il direttore, e la vivida immediatezza che assorbe l'ascoltatore in una performance che suona come se fosse dal vivo, e che si erge come un monumento culturale - dopo un mezzo secolo - all'umanità e al genio artistico di Mahler e Solti.

 Mahler: Symphony n° 8 “ pho of a Thousa d Margaret Price, Judith Blegen, Gerti Zeumer, Trudeliese Schmidt, Agnes Baltsa, Kenneth Riegel, Hermann Prey, José van Dam. Vienna State Opera chorus; Wiener Singverein; Wiener Sängerknaben. Wiener Philharmoniker, dir. Leonard Bernstein. Deutsche Grammophon – 100 Years Salzburg Festival Bernstein ha registrato ben tre volte l’8°: la prima con la New York Philharmonic nel 1962 (CBS Masterworks), la seconda nel 1966 con la London Symphony Orchestra (CBS), la terza (e la migliore!) con i Wiener Philharmoniker nel 1975. Quest’ultimo è un live al Festival di Salisburgo. [71]


Bernstein ha registrato tutte le sinfonie di Mahler tra il 1971 e il 1985, principalmente con la Filarmonica di Vienna, producendo un documento musicale unico e innescando un grande rivalutazione delle opere di Mahler. Questa lettura di Bernstein esalta questo grande e spirituale lavoro. Le trombe estaticamente squillanti e il tremendo volume orchestrale rendono le battute finali un'esperienza emotiva travolgente. Sebbene alcuni sostengano che questa esibizione

di

Salisburgo non sia "ideale", il colore unico degli archi e dei fiati e la passione con cui Bernstein ha diretto questa sinfonia ne fanno in ogni caso una performance memorabile.

 Mahler: Symphony n°8 Joyce Barker, Beryl Hatt, Agnes Giebel, Kerstin Meyer, Helen Watts, Kenneth Neate, Alfred Orda, Arnold van Mill. BBC Chorus. London Symphony Orchestra, dir. Jascha Horenstein. BBC La BBC ha finalmente aperto i suoi archivi e da allora ha riversato generosamente gemme. Questa esecuzione della monumentale Ottava Sinfonia di Mahler fu registrata dal vivo alla Royal Albert Hall di Londra il 20 marzo 1959, e fu solo la quarta volta che venne eseguita a Londra e la prima volta di Jascha Horenstein. Ha così sbalordito la sala gremita (quasi 6.000 persone) che potrebbe essere visto come l'inizio della rinascita di Mahler in Inghilterra. Horenstein non fa saltare dalla sedia con l'apertura "Veni, creatore spiritus", ma alle battute di chiusura, si è pronti ad unirsi agli applausi scoppiati quella sera del marzo del 1959. Il potere cumulativo di questa performance semplicemente travolgente per portata e grandezza è stragrande. E’ stata la qualità del suono che mi ha sorpreso, molto chiaro per l'epoca e alla Royal Albert Hall. L’eccellente suono mono è magnificamente rimasterizzato. CD consigliatissimo.

 [72]


Mahler: Symphony n° 8 Julia Varady, Jane Eaglen, Susan Bullock, Trudeliese Schmidt, Jadwiga Rappé, Kenneth Riegel, Eike Wilm Schulte, Hans Sotin. London Symphony Chorus, Eton College Bo s Choir. Lo do Philhar o i Orchestra, dir. Klaus Tennstedt. BBC L'ottava sinfonia è forse la migliore delle registrazioni della serie mahleriana di Tennstedt. Questa performance live è molto coinvolgente e viscerale, meglio della precedente registrazione in studio di Tennstedt per la EMI, sebbene anche questa sia eccellente. Tennstedt è sempre stato il migliore nelle esibizioni dal vivo e vale la pena possedere tutte le registrazioni live LPO di Mahler per l'etichetta BBC. I cantanti, generalmente, sono eccezionali, specialmente le quattro donne. La compianta Trudeliese Schmidt è particolarmente eloquente nei suoi assoli; Jane Eaglen vola magnificamente ed estaticamente nel suo grande assolo nella seconda parte. Quella di Kenneth Riegel non è una bella voce ma non è nemmeno poco attraente, ed è drammaticamente completamente coinvolto nel testo. Solo Hans Sotin non convince molto. L'Eton Boys Choir si distingue per il suono energico e naturale dei ragazzi. Il pubblico è completamente silenzioso fino alla fine, affascinato dalla atmosfera eterea e struggentemente malinconica che Tennstedt ha creato; la seconda parte (la scena finale del Faust di Goethe) è molto bella, più e più volte sono stato sopraffatto dalla spiritualità in questa performance. Il suono di questa registrazione non è del tutto soddisfacente, il che è sorprendente data la data di registrazione (gennaio 1991): suona in qualche modo sottile, del tutto diverso dal suono denso nella sua registrazione precedente in studio.

 Gustav Mahler: Symphonie n° 8 Cheryl Studer, Sylvia McNair, Andrea Rost, Anne Sofie von Otter, Rosemarie Lang, Peter Seiffert, Bryn Terfel, Jan-Hendrik Rootering, Rundfunkchor Berlin, Prager Philharmonischer Chor e Tölzer Knabenchor, Berliner Philharmoniker dir. Claudio Abbado. Deutsche Grammophon Questa bellissima registrazione di Abbado dell'Ottava è caratterizzata da una visione più equilibrata e romantica, con un pregevole dettaglio strumentale: è chiaro che il direttore milanese lo vede come una sinfonia piuttosto che una sorta di ibrido oratorio-cantata. [73]


I solisti hanno caratteristiche altalenanti. Cheryl Studer e Sylvia McNair sono un po' troppo leggeri nel tono, tuttavia sono a buon livello. Andrea Rost (Mater Gloriosa) è perfettamente accettabile, così come Rosemarie Lang, Anne Sofie von Otter è eccellente, un gradino più in alto rispetto alle sue colleghe. Jan-Hendrik Rootering è solido ma un po' distaccato, soprattutto rispetto al superbo Pater Ecstaticus di Bryn Terfel; la vera stella però è Peter Seiffert che riesce a sostenere gli assoli terribilmente difficili e alti della Parte II senza compromettere la precisione musicale o la bellezza del tono. Il coro è della giusta dimensione; abbastanza grande da generare la giusta potenza e volume. La loro dizione e canto è anche eccezionale, rendendo questo forse il miglior contributo corale in questo lavoro. La qualità del suono è eccezionalmente buona, con un sano riverbero, e un equilibrio naturale. L'unico leggero inconveniente è un organo dal suono piuttosto sobrio.

 Gustav Mahler: Simphony n° 8 “ pho ie der Tause d Martina Arroyo, Erna Spoorenberg, Edith Mathis,Julia Hamari, Norma Procter, Donald Grobe, Dietrich Fischer-Dieskau, Franz Crass. Chor der Norddeutschen Rundfunks, Chor des Westdeutschen Rundfunks, Knaben des Regensburger Domchors. Symphonieorchester e Chorus des Bayerischen Rundfunks, dir. Raphael Kubelik. Deutsche Grammophon Kubelik è un direttore d'orchestra che non ha mai cercato la fama, concentrandosi sulla creazione musicale. In questa ottava egli produce una qualità propulsiva che conserva comunque tutta la ricchezza musicale: sono presenti tempi più veloci del solito e un calore nella musica che non si trova nella maggior parte delle altre esibizioni dell’Ottava di Mahler. I solisti sono fantastici, il doppio coro è mozzafiato, BRSO è in ottima forma, la qualità della registrazione è buona. Esiste anche una versione live (Ed. Audite), probabilmente più eccitante ma un po’ più disordinata nel posizionamento dei microfoni dei solisti e di alcuni strumenti. 

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Mahler Symphonie n° 8 Twyla Robinson, Erin Wall, Adriane Queiroz, Michelle DeYoung, Simone Schröder, Johan Botha, Hanno Müller-Brachmann, Robert Holl. Chor der Deutschen Staatsoper Berlin, Rundfunkchor Berlin, Aurelius Sängerknaber Calw. Staatskapelle Berlin, dir. Pierre Boulez. Deutsche Grammophon Con questo disco Pierre Boulez conclude il suo lungo ciclo delle Sinfonie di Mahler (iniziato nel 1995). Questa non era una scommessa sicura, poiché le versioni precedenti variavano in termini di qualità: n. 1 eccellente, 3, 4 e 6 molto buoni, 5 e 9 mediocri, 7 "individuali" fino al punto di controversia, n. 2 e Das Lied von der Erde noiosi. Pur molto meticolosa e analitica, come caratteristica di Boulez, questa interpretazione è l'esatto opposto di quella di Bernstein, che dà l'impressione di saltare nella mischia, coltello con i denti: invece il relativamente freddo e distaccato Boulez enfatizza i valori musicali più di quelli emotivi. La Staatskapelle Berlin, un netto distacco dalle grandi orchestre (Cleveland, Chicago e Vienna) che hanno eseguito il resto del ciclo, suona magnificamente. La dedizione e l'entusiasmo dei musicisti sono distinguibili durante l'esecuzione, mentre le forze corali producono costantemente un suono ricco ed euforico che porta la musica verso l’alto. Le soliste femminili sono eccellenti, con una menzione speciale per la Una Poenitentium di Erin Wall; degli uomini, solo il tenore Johan Botha (Dottor Marianus) fa impressione. La registrazione di Deutsche Grammophon cattura gli artisti assemblati in un suono spazioso ma delineato che presenta un'ampia gamma dinamica e bassi solidi e profondi.

 Christine Brewer, Camilla Nylund, María Espada, Stephanie Blythe, Mihoko Fujimura, Robert Dean Smith, Tommi Hakala, Stefan Kocán. Netherla ds ‘adio Choir, the “tate Choir Lat ija , the Ba aria ‘adio Choir, the Netherla ds Bo s Choir a d the Netherla ds Childre s Choir. Co ertge ou orkest, dir. Mariss Janson. RCO Live «Prova a immaginare l'intero universo che inizia a suonare e risuonare. Non ci sono più voci umane, solo pianeti e soli che ruotano nelle loro orbite», scrisse Gustav Mahler al suo amico Willem Mengelberg, dopo aver completato gli schizzi per la sua Sinfonia n. 8. Il leggendario rapporto tra Mahler, la Royal Concertgebouw Orchestra e Mengelberg ha stabilito una solida tradizione nell'esecuzione di Mahler ad Amsterdam, che anche in questa brillante interpretazione di Mariss Janson della Sinfonia dei Mille è solidamente presente.

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Tra le numerose interpretazioni dell’8°, Mariss Jansons

si

segnala in quanto riesce a stabilire equilibrio tra sonorità, volume e timbro, e ad imbrigliare le sue forze per una lettura della partitura che sia elettrizzante e allo stesso tempo significativa nella sua finezza emotiva. Stellare il cast, tutti con prestazioni eccellenti. Il canto corale, così cruciale in questo lavoro, è molto disciplinato ed eccellente: i cori combinati sono a tutta voce nei grandi tutti ma molto sensibili nei molti passaggi più bassi. Quanto al coro di voci bianche, sono costantemente eccellenti: il loro canto è incisivo e sicuro e, incredibilmente, cantano questa musica complessa interamente a memoria e con studiata concentrazione! L'esecuzione della Royal Concertgebouw Orchestra è superba in tutto. Nei passaggi in cui Mahler richiede tutto il volume, sono sempre all'altezza dell'occasione senza mai sacrificare la qualità del tono. I punti in cui emergono davvero, tuttavia, sono i tratti più sottilmente incisi della partitura; una speciale parola di lode per il tono bello e rotondo del principale fagottista in vari assoli nella parte II. Questa superba performance è offerta in audio surround ed è accompagnato da un disco Blu-ray bonus della performance. Questa registrazione del 2011 è da classificare tra le migliori in commercio.

 Christine Brewer, Soile Isokoski, Juliane Banse, Birgit Remmert, Jane Henschel, Jon Villars, David WilsonJohnson, John Relyea. City of Birmingham Symphony Chorus, London Symphony Chorus, City of Birmingham Symphony Youth Chorus, Toronto Children's Chorus. City of Birmingham Symphony Orchestra dir. Sir Simon Rattle. EMI - Masters Rattle è conosciuto per la sua attenta cura dei dettagli e anche qui non smentisce la sua fama. Rattle, in questo live del 2004, dà alla Parte I un inizio emozionante e di slancio emotivo a cui il nuovo meraviglioso organo della Symphony Hall dà un contributo significativo. Questo conferisce all'impetuoso inno «Veni creatore spiritus» una freschezza e un'armonia impressionante. Negli ultimi minuti della prima parte l'ascoltatore è travolto da un vero e proprio torrente di suoni. Rattle è qui esuberante ed eccitante. La Parte II, l'ambientazione della scena finale del Faust di Goethe è per molti versi in forte contrasto con la parte I. Contiene alcuni "momenti importanti", ma gran parte di esso è su una scala più contenuta: Rattle analizza e valorizza in maniera spiccata i [76]


momenti di musica da camera e la sua orchestra lo segue con sfumature ombrose e accenti scintillanti. I solisti cantano in modo chiaro e corretto, anche se non sono tutti di madrelingua tedesca: nessuno dei cantanti maschi è in alcun modo eccezionale, le donne sono migliori con una citazione speciale per Soile Isokoski. I cori cantano in modo accurato ma con poca sensibilità udibile per il testo, e il suono è bidimensionale. Non è l'ultima parola sull'ottava di Mahler (non può mai esserci un'"ultima parola" su questo pezzo, né su qualsiasi opera d'arte performativa) ma è una registrazione di uno dei Mahleriani più stimolanti dei nostri giorni e che merita assolutamente di essere ascoltata. Ottima la qualità sonora della registrazione.

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Pierino e il lupo, di Sergej Prokofiev CENNI STORICI Pierino e il lupo è un lavoro composto da Prokofiev nel 1936. Compositore multiforme e talento poliedrico (fu anche un direttore d’orchestra e un valente pianista, viaggiò moltissimo, lavorò anni a Parigi, più volte andò negli Stati Uniti e dimorò anche in Baviera. Nel 1932 decise di tornare in Unione Sovietica, deciso a partecipare alla trasformazione culturale del Paese. Sulle ragioni che lo indussero a scegliere di vivere nell'Unione Sovietica si è molto discusso, arrivando fino al punto di asserire che il governo sovietico gli avesse saldato i debiti di gioco in cui Prokofiev affondava. Nell’aprile del 1934 alla prima esecuzione del “Canto sinfonico” egli però venne duramente stroncato dalle autorità che vigilavano sulla cultura e accusato da Stalin di essere l’artefice del declino della cultura sovietica; arrivarono anche dure minacce. Prokofiev fu costretto a difendersi e a pubblicare sull’Izvestija un’umiliante autocritica in cui tentò di difendere la propria musica e proponendo per il futuro la realizzazione di opere semplici ed orecchiabili che potessero onorare il popolo sovietico. Prokofiev successivamente incontrò Natalja Sats, direttrice del Teatro Centrale per l’Infanzia di Mosca, che gli parlò di un suo progetto musicale con la creazione di opere destinato ai bambini. Prokofiev accettò subito di partecipare realizzando in sole due settimane un racconto sinfonico di 20 minuti per voce recitante e orchestra, testo e musica entrambi scritti da lui. Si trattava di Pierino e il lupo, una fiaba musicale scritta per l’infanzia e i giovani per farli familiarizzare con gli strumenti dell’orchestra. Rientra nella cosiddetta musica a programma, che consiste nel narrare storie o descrivere situazioni attraverso mezzi esclusivamente musicali.

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La storia è molto semplice. Protagonisti Pierino, un bambino furbo, spavaldo e coraggioso, un nonno brontolone e protettivo, una foresta buia e misteriosa, un uccellino amico del bambino, un’anatra, un gatto e un grosso lupo grigio affamato. I ritratti musicali sono divertenti e acuti, si basano ognuno su un leitmotiv, brevi melodie che sottolineano i movimenti di ogni personaggio; ognuno ha come riferimento uno strumento musicale di volta in volta diverso: a Pierino gli archi, all’uccellino il flauto, al gatto il clarinetto, all’anatra il fagotto, al lupo i tre corni, ai cacciatori le percussioni. La musica di Pierino e il lupo è di fatto semplicissima, ma tutt'altro che banale, è pensata soprattutto per far familiarizzare i giovani ascoltatori con gli strumenti dell'orchestra; lo scopo educativo dell'opera è infatti essenzialmente artistico e non morale, anche se il cattivo della storia (il lupo) viene comunque punito. Si può fare un passo in più per addentrarsi nei significati allegorici più profondi del racconto: alcuni hanno letto in Pierino la figura del giovane proletario sovietico, l’anatra come il borghese codardo e il lupo come emblema del capitalismo. Una lettura più politica e meno innocente, identifica nell’uccellino l’artista, che riesce a sopravvivere, a farsi beffe del potere e far impazzire di rabbia il lupo Stalin che non viene ucciso, ma portato allo zoo: uno stratagemma per mettere in berlina il grande dittatore agli occhi del mondo? Stalin comunque continuò ad avversare il compositore, limitandone la libertà, facendo arrestare la prima moglie Lina Ivanovna [nella foto] (che avrebbe trascorso otto anni in un gulag) e proibendo l’esecuzione delle sue opere, nonostante fossero elogiative verso il regime. Poi anche il destino ci si mise in mezzo. Prokofiev e Stalin morirono lo stesso giorno, il 5 marzo 1953. La notizia della sua morte passò pressoché inosservata perché le autorità sovietiche imposero alla stampa di darne notizia solo una settimana dopo, incentrando l'attenzione sulla morte di Stalin. Al funerale del compositore, il 7 marzo, parteciparono solamente quaranta persone. Racconta il grande violoncellista Mstislav Rostropovic: «Tutto il Paese piangeva Stalin e nessuno sapeva che era morto Prokofiev, che viveva a quattro isolati di distanza dove era esposto il corpo del dittatore. A causa della folla, non fu possibile fare uscire il feretro di Prokofiev da casa. Al suo funerale non vi era neppure un fiore fresco: tutti i fiori di Mosca erano stati portati a Stalin.» Lina Prokofiev Codina seppe della morte dell'ex marito molto tempo dopo, da una compagna del carcere.

ORGANICO La partitura di Pierino e il lupo è realizzata per voce recitante e orchestra. L'orchestra richiede: - legni: flauto, oboe, clarinetto, fagotto; [79]


- ottoni: tre corni, tromba, trombone; - percussioni: timpani, triangolo, tamburello basco, castagnette, piatti, tamburo e grancassa; - archi: violini, viole, violoncelli e contrabbassi.

Testo ♫♫ La sto ia i izia o u a pi ola i t oduzio e dell’o hest a dove si i o os e già il te a di Pie i o. Po hi se o di e tutta l’o hest a si fe a o u a ota a uta e pia o, se a vole i izia e il a conto senza disturbare. NARRATORE. Posso raccontarvi una storia? Allora...C’era una volta... Ma che storia! Non è una storia normale: questa è una fiaba musicale. E tutte le fiabe, come voi sapete, hanno dei personaggi. Ma qui, in questa fiaba, ogni personaggio è rappresentato da un diverso strumento musicale. Pensate che soddisfazione! Ora, per farvi riconoscere i personaggi ogni volta che appaiono, io chiederò ai vari strumenti musicali di presentarsi a voi. State a sentire, dunque. ♫♫ Uno alla volta vengono presentati gli strumenti e i personaggi Prima di tutto l’uccellino. L’uccellino è rappresentato da un flauto. L’anitra dall’oboe. State a sentire l’oboe. Il gatto lo fa il clarinetto. Il nonno, molto severo, è rappresentato dal fagotto. Il lupo da tre corni. Eccolo che viene!

E Pierino, l’eroe della nostra storia, Pierino così importante è rappresentato da tutti gli archi dell’orchestra. E poi ci sono i cacciatori. Sono meno importanti di Pierino, ma sono importanti anche loro e sono rappresentati dai legni. Pensate un po’ che anche lo sparo dei fucili ha un motivo; ed è suonato dai timpani. ♫♫ Per ogni personaggio si sente un brevissimo assolo dello strumento. [80]


Oh! Abbiamo fatto le presentazioni. E ora... immaginatevi la scena. Si entra dentro la storia, in una casetta, circondata da un grande giardino, circondato a sua volta da una staccionata. Fuori, nei prati, c’è un grosso albero e uno stagno, non molto lontano da una foresta buia e misteriosa. Un bel mattino di buon ora Pierino aprì la porta del giardino di casa ed uscì nel prato di fronte. In mezzo al prato si trovava un gigantesco albero e su uno dei suoi rami più alti stava un uccellino, amico di Pierino, che appena lo vide arrivare cinguettò allegramente «Tutto tranquillo, tutto tranquillo.» ♫♫ U a se ie di ote velo issi e e a utissi e i p ese ta o l’u elli o o il flauto... se intorno, salgono come il suo volo.

a svolazza i

Accanto a Pierino un’anatra avanzò dondolandosi. Era contenta che il ragazzo non avesse chiuso il cancello e decise di farsi una nuotatina nel profondo stagno in mezzo al prato. ♫♫ Tutto si fe a pe p ese ta i o il suo o dell’o oe l’a it a he si aggi a ello stag o. Le ote ha o un suono basso e non definito per sottoli ea e il ovi e to u po’ goffo e i e to. I due st u e ti i izia o un dialogo, si alternano, mentre gli archi accompagnano senza farsi troppo notare. Al suo o i e to dell’o oe si sostituis e u a da e to più de iso e i alza te e t e il flauto on le sue note veloci passa da suoni acuti a più gravi: uccellino e anatra stanno iniziando a litigare tra loro. Vedendo l’anatra l’uccellino volò giù dall’albero, si posò sull’erba vicino a lei e alzò le spalle. «Ma che razza di uccello sei se non sai volare!» disse. «Ma che razza di uccello sei tu se non sai nuotare?» ribatte l’anatra, e si rituffò nello stagno. Seguitarono a litigare per un bel po’. L’anatra nuotando nello stagno e l’uccellino saltellando sulla riva erbosa. ♫♫ Ma il clarinetto, con un ti o a o a più asso dell’o oe e o morbidezza interrompe la lite: è arrivato, sornione, il gatto.

ote sta ate, i di a do elega za e

Ad un tratto qualche cosa attirò l’attenzione di Pierino. Era un gatto che avanzava strisciando furtivamente fra l’erba. Il gatto pensò: «Guarda, guarda, l’uccellino tutto preso dalla sua discussione... non mi sarà difficile catturarlo e farne la mia colazione.» Detto fatto si avvicinò sulle zampe di velluto senza fare alcun rumore. ♫♫ Di nuovo tutto si ferma con un pia o di tutta l’o hest a, a si ipa te su ito o u atta o fo te e i p ovviso, ip e de l’i segui e to al uale si è aggiu to a he Pie i o o gli a hi. «Attento!» gridò Pierino e l’uccellino volò svelto sull’albero. Dal centro dello stagno l’anatra fece «Qua Qua» al gatto. Il gatto girava intorno all’albero pensando: «Non mi conviene arrampicarmi sull’albero... quando arrivo su l’uccellino vola via». [81]


♫♫ Il fagotto comincia ad aumentare la dinamica, cioè diventa sempre più forte e si trasforma da strumento accompagnatore a personaggio... ecco il nonno! A un tratto il nonno si fece sulla porta del giardino preoccupatissimo di vedere Pierino in mezzo al prato: «Il prato è un posto pericoloso! Cosa faresti se dalla foresta dovesse sbucare fuori un lupo?» Pierino non prestò attenzione alle parole del nonno. I ragazzi come lui non hanno paura dei lupi. Ma il nonno lo prese per mano, chiuse il cancello e condusse Pierino dentro casa. E meno male! Pierino era appena rientrato che dalla foresta sbucò un grande lupo grigio.

♫♫ I corni iniziano a farsi sentire sempre più forte e con note molto vicine, il lupo inizia ad avvicinarsi e comincia a puntare le prede: suona il clarinetto, il gatto si arrampica su un ramo e le sue note diventano più acute, e t e l’u elli o si ifugia su u a o diffe e te e le ote del flauto iniziano a diventare più gravi. Pierino cerca di aiuta e l’u elli o e il gatto si sente il tema degli archi suonato sia dal clarinetto che dal flauto), a a pi a dosi sull’al e o (e qui il clarinetto ha un suono più acuto). Come un fulmine il gatto si arrampicò sull’albero. L’anatra starnazzò terrorizzata e stupidamente balzò sulla riva. Prese a correre con tutte le sue forze, ma un’anatra non può essere più veloce di un lupo. Il lupo si avvicinava, sempre di più, sempre di più, ecco la raggiunge... L’afferra e la inghiotte in un boccone. ♫ La

usi a si i te o pe

us a e te o

ote g evi, ui di l’o oe i izia u a brevissima melodia triste.

A questo punto ecco come stavano le cose: il gatto era accucciato su di un ramo. L’uccellino appollaiato su un altro... non troppo vicino al gatto, naturalmente. Mentre il lupo gironzolava intorno all’albero guardandoli con occhi ingordi. ♫ Il clima di paura viene interpretato con accordi bassi e grevi dei corni. Intanto Pierino guardava quello che stava succedendo da dietro il cancello, senza un briciolo di paura. Corse in casa. Prese una corda robusta e si arrampicò sull’alto muro di pietra. Un ramo dell’albero intorno al quale girava il lupo, si protendeva fino al muro.

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Afferrando il ramo, Pierino riuscì ad arrampicarsi e così si ritrovò sull’albero. Poi disse all’uccellino: «Vola giù e mettiti a svolazzare intorno al muso del lupo; attenzione, però, non farti acchiappare!». ♫ Il flauto suona con note velocissime ed allegre, mentre i corni esprimono la rabbia del lupo ma anche l’i utilità dei suoi assalti. L’uccellino quasi toccava il muso del lupo con le ali, mentre questo, aprendo la bocca, spiccava salti fulminei, cercando di azzannarlo. Come l’aveva fatto inferocire! Come voleva afferrarlo! Ma l’uccellino era molto più furbo della belva e continuò il suo gioco. Intanto Pierino aveva fatto un nodo scorsoio e cautamente lo calò giù dall’albero. Riuscì ad infilarlo nella coda del lupo e tirò con tutte le sue forze. Sentendosi preso in trappola, il lupo si mise a saltare furiosamente cercando di liberarsi. Ma Pierino legò l’altro capo della corda all’albero. E più il lupo saltava, più stringeva il nodo scorsoio. ♫♫ Archi e corni iniziano un dialogo incalzante a sottolineare la cattura del pericoloso lupo. E proprio in quel momento... i cacciatori uscirono dalla foresta. Seguivano le tracce del lupo e sparavano ad ogni passo. ♫♫ Con un pizzi ato d’a hi he s a dis e i passi dei cacciatori, si odono i legni in gran completo. I timpani rappresentano gli spari dei cacciatori. «Smettetela di sparare!» gridò Pierino, ancora seduto sul ramo dell’albero. «L’uccellino ed io abbiamo già catturato il lupo. Aiutateci piuttosto a portarlo al giardino zoologico.» E allora... immaginatevi che marcia trionfale: Pierino in testa e dietro i cacciatori che trascinavano il lupo. ♫♫ Una marcia trionfale degli strumenti accompagna il festoso corteo, con una serie di abbellimenti di flauto e clarinetto. Il nonno e il gatto chiudevano il corteo. Il nonno scuoteva la testa e continuava a brontolare: «E se Pierino non fosse riuscito a catturare il lupo, che sarebbe capitato?» Sopra di loro volteggiava l’uccellino cinguettando allegramente: «Però, che tipi coraggiosi siamo Pierino e io! Guardate che cosa siamo riusciti a catturare!» E se qualcuno avesse ascoltato con attenzione, avrebbe sentito l’anitra che faceva “qua qua” nella pancia del lupo, giacché questo, per la fretta, l’aveva inghiottita viva. ♫♫ L’o oe ip ese ta pa te del te a dell’a it a a o u ti o più a uto... (per forza è nella pancia del lupo, altrimenti non si sentirebbe!). Tutta l’o hest a te i a l’ope a i a ele a do e i fo tissi o. [83]


Discografia Sergej Prokofiev: Pierino e il lupo / Be ja i Britte : Guida del gio a e all or hestra Voce narrante: Eduardo de Filippo Orchestra Nazionale di Parigi, dir. Lorin Maazel. Deutsche Grammophon - Galleria

Due

versioni

di

riferimento,

assolutamente

eccezionali!

Grandissimo Eduardo in Prokofiev; unico nel suo genere Lorin Maazel nel narrare in italiano la Guida del giovane all'orchestra, in una versione che (credo) non esista in nessun'altra edizione! Consigliatissimo!!!

 Prokofiev: Pierino e il lupo Voce narrante: Roberto Benigni The Chamber Orchestra of Europe, dir. Claudio Abbado. Deutsche Grammophon

Un eccezionale incontro, quello tra il Maestro Abbado, tra i grandissimi Direttori del XX secolo, e l’attore istrionico Roberto Benigni che insieme eseguono con maestria e vivacità la fiaba musicale per eccellenza, quella di Prokofiev. Un solo difetto, il volume di registrazione molto basso, si è costretti ad alzare il volume al massimo per avere un ascolto decente. Per il resto un ottimo prodotto.  Prokofiev: Pierino e il lupo Voce narrante: Dario Fo Orchestra Verdi di Milano, dir. Alun Francis. Amadeus Piacevolissima interpretazione del 2015 di Dario Fo che rivisita con la sua genialità e inventiva la fiaba originale “donandole una nuova giovinezza". [84]


Il repertorio dell’Orchestra Verdi spazia da Bach ai contemporanei, con particolare attenzione agli autori del '900, particolarmente Mahler e Shostakovich, ma anche in questa registrazione esegue una ottima performance con leggerezza e agilità, ben diretta da Alun Francis.

Videoteca Prokofiev: Pierino e il lupo Voce narrante: Roberto Benigni Orchestra Mozart, dir. Claudio Abbado. Flamin DVD Dopo la storica incisione del 1990, Claudio Abbado e Roberto Benigni, entrambi in gran forma e con una palpabile voglia di divertimento, si ritrovano e rendono frizzante la classica storia musicale di Prokofiev. La performance mi è piaciuta nell'insieme perché caratterizzato da quell'entusiasmo molto coinvolgente di Benigni, che col sorriso ci insegna un sacco di cose. Bello da vedere soprattutto in compagnia di bambini che hanno la possibilità di ascoltare la storia e, insieme, la possibilità di vedere e conoscere gli strumenti dell'orchestra. Bella la musica. Eccellente l'esecuzione dell’orchestra diretta da un “fiabesco” Abbado!

 Prokofiev: Pierino e il lupo Voce narrante: Lucio Dalla Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna, dir. Aldo Sisillo. Fabula Classics - Libro + DVD La celebre favola musicale Pierino e il lupo di Prokofiev ha qui protagonista Lucio Dalla nella duplice veste di regista e voce recitante, per nulla spaventato dalla lista dei suoi predecessori che annovera attori illustri, come Eduardo De Filippo, Dario Fo e Roberto Benigni!. Lo spettacolo è stato registrato al Teatro Comunale di Bologna nel 2005.

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Questo grande cantautore racconta in una veste nuova la celebre fiaba musicale di Sergej Prokofiev, portandola in scena in un'originale opera teatrale in cui parole, suoni e immagini tornano a stupire, spaventare e affascinare il pubblico. Un allestimento scenico che riserva non poche sorprese grazie anche alle varianti testuali di Lorenzo Arruga e una attualizzazione che non mancherà di far sorridere grandi e piccoli come ad esempiol’annuncio della notizia al Tg della fuga del lupo che qui scappa dai Giardini Margherita di Bologna. Un dvd della spettacolo e un libro splendidamente illustrato da Gianluca Neri per entrare con Pierino (e con il lupo!) nel bosco dell'immaginazione dove si è o si torna bambini.

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La Toccata organistica: 500 anni di storia. Paolo Duprè

Treccani definisce la toccata un “genere di composizione musicale per strumenti a tastiera quali organo, clavicembalo, clavicordo, pianoforte, strumenti cioè con tasti da toccare”. In realtà le prime toccate furono per liuto; ne è testimonianza la raccolta "Intabolatura de leuto de diversi autori" (Milano, 1536) di Giovanni Antonio Casteliono: in questa vi sono quattro brani chiami Tochata di cui uno è di Francesco Canova da Milano. La Toccata dunque compare alla fine del periodo rinascimentale, circa nei primi decenni del XVI secolo. Ha avuto origine nell'Italia del nord e la differenza sostanziale fra le altre composizioni coeve è la fluidità e varietà del discorso musicale, nonché di impianti tematici assai liberi e vaghi ed un fare piuttosto improvvisatorio. Il contrappunto e imitazione sono scarsi od assenti, prevale la libertà nello scorrere delle parti. E dunque molte pubblicazioni della fine del 1500 comprendono delle toccate; i principali compositori sono Girolamo Diruta, Adriano Bamchieri, Claudio Merulo, Andrea e Giovanni Gabrieli, Luzzasco Luzzaschi e Annibale Padovano.

[Gentile Bellini: Processione in Piazza San Marco. 1496]

Intorno alla seconda metà del XVI secolo la toccata organistica ebbe un grande sviluppo a Venezia dove venne applicata solo al repertorio sacro ed eseguita quindi all'organo. Le composizioni prevedevano veloci movimenti prima di una mano e poi dell'altra, con passaggi brillanti che scendono a cascata contrapposti ad un accompagnamento di un accordo con l'altra mano. [87]


[Andrea Gabrieli]

[Giovanni Gabrieli]

Andrea Gabrieli autore di importanti madrigali, organista a S.Marco in Venezia, zio di Giovanni Gabrieli, usa anche il termine "intonazione", che indica una toccata in forma ridotta che può andare dalle cinque alle venti battute; l'intonazione aveva lo scopo di preparare il coro al brano da eseguire: inizia con degli accordi e prosegue con delle scale che fungono da raccordo fra un accordo (spesso una triade) e l’altro, poggianti su gradi vicini. Le intonazioni in genere non venivano trascritte poiché potevano essere facilmente improvvisate; alcune sono raccolte nell'opera "Intonazioni d'organo di Andrea Gabrieli et di Gio: suo nepote [...] Composte sopra tutti li Dodici toni della Musica, libro primo" di Andrea Gabrieli pubblicato a Venezia nel 1593.

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[Toccata di A. Gabrieli]

Le toccate per organo di Giovanni Gabrieli — probabilmente composte in giovane età — ci sono pervenute tramite dei manoscritti fatti da alcuni suoi allievi tedeschi. Adriano Banchieri pubblicò a Venezia nel 1605 un trattato intitolato "L'organo suonarino" che trattava l'arte dell'intonazione improvvisata.

[Una toccata manoscritta di Claudio Merulo]

[Claudio Merulo]

Claudio Merulo fu un altro organista e compositore vissuto nello stesso periodo. Le sue toccate furono stampate a Venezia su due tomi, il primo nel 1598 e il secondo nel 1604. La novità sta nella struttura delle toccate di Merulo: venivani intervallate sezioni improvvisate con sezioni fugate. Questa struttura a multi-sezioni fu la base di compositori successivi quali Johann Jakob Froberger, Dietrich Buxtehude e Johann Sebastian Bach. Tra i compositori attivi nella Serenissima in quel periodo, c'era anche il giovane Hans Leo Hassler, che studiò con il Gabrieli; fu lui a continuare il percorso della toccata, portandola in Germania, e fu lì che la toccata raggiunse il vertice del suo sviluppo, con il culmine nell'opera di Johann Sebastian Bach più di cento anni dopo, come vedremo.

[89]


Ma rimanendo in Italia ,la toccata ebbe anche un notevole successo a Napoli tra la fine XVI e l'inizio del XVII secolo ed ebbe come

noti

Trabaci che

compositori Ascanio

Mayone e Giovanni

Maria

trattarono

toccate

quasi

le

loro

in

modo

clavicembalistico con grande originalità, unendo accordi con altre varie figure melodiche

In questo esempio troviamo un altro esempio di scrittura spesso usata agli inizi del Seicento nella Toccata organistica le “durezze e legature”: modulazioni dirette da minore a maggiore, con passaggi di diminuita, in grado di creare un effetto emozionale senza peraltro difficili scale sulla tastiera. Effetti che sorprendono come oggi potrebbe fare il Jazz. Non dimentichiamo Domenico Paradisi , autore fra l’altro di una Toccata in la maggiore (per cembalo, organo od arpa) che divenne famosa percheè utilizzata dalla RAI per sottofondo dei famosi “intrevallo”. Con Frescobaldi, nell’Italia del Seicento, la toccata organistica raggiunge le più alte espressioni. Ne compose due raccolte. La prima (“primo libro di Toccate” del 1615) raggruppa composizioni che si rifanno al carattere improvvisatorio della primitiva intonazione, ossia serie di accordi fondamentali seguiti da diminuzioni che servivano per intonare un certo modo.

[Girolamo Frescobaldi e il primo libro di Toccate]

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Toccata I (I libro)

Subito una novità: non più presenti gli accordi introduttivi; molte le modulazioni, ambiente modale ed anche tonale

Toccata II

E’ già u apolavoro: o trasti tra gli a ordi sole i i ziali e melodia tipici della vocalità strumentale frescobaldiana

Toccata III e IV

Il sistema modale viene spesso soppiantato dal quinto grado ed inoltre la presenza del settimo grado dà un gusto tonale a tutte le cadenze

Toccata V

L’i ipit è addirittura u a polifo ia

Toccata IX

Impianto modale: il clima di tristezza preannuncia BACH

Toccata XI

Introduce un clima di instabilità dato dall’i siste te ro atis o

Toccata X

Caratterizzata da lunghi accordi e modulazioni sconcertanti. Frescobaldi infrange costantemente il sistema modale cercando di esplorare altri terreni

Toccata I (II libro)

sensibilità armonica completamente nuova

Toccata III, IV

Liriche e meditative, da sonarsi alla elevazione

Toccata V, VI

Monumentali, dove è suggerito di sonare con deille note alla pedaliera

Toccata VIII

Di durezze e legature in cui il contrappunto a 4 voci presenta ritardi cromatismi, risoluzioni eccezionali di cadenze perfette e cadenze evitate provocano un costante stato di incertezza

Toccata IX

Uno dei vertici della produzione: è al limite il processo di disintegrzione del discorso musicale in brevi sezioni contrastanti per metro, tempo e stile. La diffi oltà è e o s ia ll’autore he o e ta o se za fatiga si giu ge al fi e .

o e ti di dol e

La toccata barocca inizia con Girolamo Frescobaldi, è più articolata e di maggiore durata, intensità e di accresciuto virtuosismo rispetto alla versione tardo-rinascimentale, raggiunge perfino livelli di stravaganza pari all'opprimente attenzione ai dettagli riscontrabili nell'architettura di quel periodo. Spesso compaiono passaggi rapidissimi inframezzati da salti e arpeggi, alternati con parti che prevedono accordi o fughe. A volte manca un tempo regolare, e ciò aumenta quel senso di improvvisazione che contraddistingue spesso questo genere musicale. Altri compositori di toccate del periodo barocco italiano includono Michelangelo Rossi,e Domenico Scarlatti. Ma dovendo proseguire nell’evoluzione in Germania di questo genere musicale dobbiamo menzionare J.J.Froberger, J.P.Sweelinck e Dietrich Buxtehude. Poi si arriva a Bach.

[91]


[Jan Pieterszoon Sweelinck]

[Dietrich Buxtehude]

[Buxtehude, inizio della toccata in fa maggiore BuxWV 156]

Bach dunque: nella vasta produzione organistica le toccate rappresentano poco più della decima parte. Sono per la precisione cinque e ne vedremo descritte le caratteristiche. Una, in particolare, universalmente nota identifica da sola il grande maestro di Eisenach. Osserviamo però che se il giovane Bach era assai attratto da questo genere di composizioni, maturando egli si allontanò sempre più da uno stile che iniziava a reputare indisciplinato e fine a sé stesso. Dapprima l'incontro con Buxtehude quindi lo studio della musica di Vivaldi ebbero su di lui una grande influenza, poi abbandonò le sue passioni giovanili e si concentrò su opere più dense e complesse. Citando il Forkel: «Egli avvertì presto che quell'eterno correre e saltare non l'avrebbe portato a nulla; che erano necessari l'ordine, la connessione e la relazione delle idee». È quindi naturale supporre che Bach valutasse questa e altre sue opere coeve come primordiali esperimenti che non potevano essere in alcun modo considerati rappresentativi della sua scienza musicale.

[92]


[Inizio della Toccata in do maggiore BWV 564]

[Inizio della celeberrima Toccata in re minore BWV 565]

[Inizio della Toccata dorica BWV 538]

[Inizio della Toccata BWV 540]

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Toccata (adagio e fuga) in do maggiore Sebbene Bach abbia composto un numero decisamente ridotto di brani organistici durante la sua permanenza nella città di Köthen, non è da escludere che Toccata, adagio e fuga sia uno di questi. Diversi sono gli indizi a supporto di questa tesi: innanzitutto la tripartizione del brano nella tipica struttura veloce-lento-veloce, del tutto simile a quella dei concerti cameristici La toccata si apre con un passaggio virtuosistico eseguito ai manuali, cui segue un assolo del pedale tra i più lunghi in assoluto dell'intera produzione organistica (eccetto, ovviamente, brani scritti per pedale solo). A seguito di tale assolo, la toccata si sviluppa alternando, concatenando e permutando fra di loro tre figurazioni principali. La prima figurazione è di tipo prettamente accordale. La seconda è una figurazione costituita dall'accostamento di note secondo la struttura semicroma-biscroma-biscroma-semicromabiscroma-biscroma; essa è tra le più utilizzate dal musicista tedesco per esprimere gioia dirompente (come nei corali tratti dall'Orgelbüchlein Wer nur den lieben Gott lässt walten e Mit Fried' und Freud' ich fahr dahin). La terza figurazione è, caratterizzata come è da progressioni di terza discendenti, di carattere decisamente più drammatico rispetto alla solennità della prima o alla vivacità della seconda. La continua alternanza dei tre contrastanti motivi, unitamente alle ardite (per l'epoca) modulazioni di tonalità, creano un brano che trasporta e tiene in sospensione l'ascoltatore sino alla sua maestosa conclusione.  Toccata (e fuga) in re minore Si tratta di un lavoro composto da Bach non ancora ventenne, fra il 1702 ed il 1703, scritto su misura con l'organo che venne costruito per la Chiesa Nuova di Arnstadt. Bach inaugurò questo strumento con un concerto proprio nel 1703. Sono evidenti le influenze nordeuropee che caratterizzano la composizione. La struttura è quella tipica della Germania settentrionale: un'apertura di carattere libero (la toccata), il corpo centrale della composizione (la fuga) e una coda anch'essa di carattere libero (di nuovo in forma di toccata). Il celebre mordente sulla dominante con cui si apre la toccata è universalmente conosciuto anche a quanti non ascoltano musica classica. I raddoppi all'ottava, utilizzati per sopperire alla mancanza di un registro di 16 piedi al manuale dell'organo di Arnstadt, costituiscono un caso raro nella produzione organistica bachiana e sono un'invenzione decisamente creativa per poter creare l'effetto del tipico plenum nordeuropeo. Il motivo iniziale è proposto tre volte, la seconda con variazione e la terza all'ottava inferiore; il pedale ribadisce quindi la tonica, e i registri manuali vi costruiscono, una nota la volta, un accordo di settima diminuita, che risolve in un Re maggiore. Seguono tre brevi passaggi, ognuno dei quali propone un breve motivo doppiato all'ottava, quindi un nuovo accordo di settima diminuita che risolve in Re minore. La seconda sezione della toccata è un insieme di virtuosismi; il pedale è modulato alla dominante (La minore). Si giunge alla terza sezione della toccata, un passaggio doppiato alla sesta alla maniera della prima sezione. Dopo un breve passaggio virtuosistico al pedale, un accordo di Re minore chiude la sezione. [94]


La Toccata, che ha un evidente impianto improvvisativo, alterna parti manualiter in Prestissimo a potenti accordi in Adagissimo, che ben rappresentano lo stile compositivo del giovane virtuoso. Le parole di Johann Nikolaus Forkel, primo biografo di Bach, che descrivono il giovane compositore, sono assolutamente perfette per riassumere quest'opera: "[gli piaceva] correre lungo la tastiera e saltare da un capo all'altro di essa, premere con le dieci dita quante più note possibile, e proseguire in questo modo selvaggio fino a che per caso le mani non avessero trovato un punto di riposo".

[Una curiosità: la copia della Toccata in re minore non è autografa come altre (riviste spesso più e più volte dal maestro tedesco). Questo probabilmente perchè era ritenuta opera giovanile non meritevole di perfezionamento ma forse solo... di un nostalgico “sorriso”. Quest’opera potrebbe addirittura non essere di Bach! questo per vari motivi: risposte alla sottodominante nella fuga (caso unico nell'opera bachiana), esposizione del soggetto da parte della pedaliera, senza accompagnamento delle altre voci (caso unico), mancanza di un controsoggetto nella fuga, sostituito da terze e seste parallele, 'alla maniera del violino', conclusione del brano con una cadenza plagale minore seguita, anziché da un accordo in maggiore, da uno in minore.]  Toccata (e fuga) in re minore in stile dorico E’notevole l'assenza del si bemolle in chiave, che pure la tonalità di re minore richiede. Ciò può essere considerato come un tributo ai maestri cinque-seicenteschi, la cui musica, ancora indissolubilmente legata all'arte rinascimentale e ai modi gregoriani, non necessitava, salvo rarissimi casi, di alterazioni in chiave (proprio l'assenza del si bemolle dall'armatura ha fatto accostare la composizione al modo dorico, da cui il soprannome). Il brano presenta un'altra particolarità: è uno dei pochi nei quali l'alternanza di due manuali (Hauptwerk, ossia grand'organo, e Rückpositiv, cioè positivo tergale) è esplicitamente richiesta dal'autore, generalmente avaro di indicazioni di esecuzione.

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Dal punto di vista formale, il brano, assai lontano dallo "stile fantastico" delle toccate buxtehudiane, si presenta come un "moto perpetuo". Tale effetto è generato dal susseguirsi di figurazioni di sedicesimi eseguite alternativamente da manuali e pedale.  Toccata (e fuga) in mi maggiore E’ stata scritta probabilmente durante il suo soggiorno di 4 mesi a Lubecca o successivamente nell'inverno del 1705-1706 . Si compone di cinque sezioni ed è una delle prime opere in forma complessa di Bach. Ricorda quelle del compositore danese-tedesco Dieterich Buxtehude. La prima sezione, la toccata appunto, alterna cadenze manuali o a pedale a densi accordi sospesi. Bach scrisse anche una versione trasposta del pezzo in do maggiore (BWV 566a), per suonare su organi accordati in tono medio in cui il mi maggiore suonerebbe discordante a causa dell'accordatura dell'organo (con un RE ♯ molto acuto). Esistono varie registrazioni della versione in do maggiore principalmente su strumenti storici, ad esempio la registrazione di Ton oopman sull'organo Scnitger di Amburgo.  Toccata (e fuga) in fa maggiore La composizione, il più vasto brano che Bach abbia mai fatto seguire da una fuga, si apre con un lungo canone a due voci a distanza di una battuta sostenuto da un pedale di tonica a cui segue un virtuosistico assolo di pedale che conclude nella tonalità della dominante di do maggiore. Riprende di nuovo il canone di apertura nella nuova tonalità, seguito da un secondo assolo di pedale, al termine del quale il brano sviluppa in forma più elaborata il materiale tematico esposto fino a quel momento. Tale sviluppo si basa principalmente su figurazioni arpeggiate eseguite alternativamente dal manuale e dal pedale, accompagnate questa volta da evoluzioni armoniche e modulazioni per l'epoca assai ardite. Questa toccata intreccia così i diversi stili ed influssi della formazione bachiana: l'esordio infatti è nello stile delle toccate di Johann Pachelbel, mentre gli assoli di pedale e le vivaci figurazioni ad esso sono affidate sono tratte dall'arte di Dietrich Buxtehude. Notevole la complessità esecutiva. Molto spesso viene presentata dai concertisti senza la successiva fuga. E dopo Bach? Nella fine del ‘700 e nel primo ‘800 salvo qualche raro esempio (Schumann) non incontriamo più autori che scrivano toccate. Sicuramente gli organisti, avvezzi ad improvvisare per introdurre brani corali liturgici o concludere le celebrazioni hanno senz’altro continuato a proporre toccate, ma non rimane pressochè nulla di importante. Si riprende a fine Ottocento, in Francia e Germania, ad opera degli organisti delle grandi cattedrali parigine.

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Il percorso può partire a mio avviso da Léon Boëllmann (1862-1897), organista del prestigioso Cavaillé-Coll della chiesa di San Francesco di Paola a Parigi, autore nel 1895 della celebre Suite Gothique che si conclude con una brillante Toccata in do minore, la più conosciuta dei quattro movimenti della Suite. Inizia con l’anticipazione, per il rapido susseguirsi di gruppetti di semicrome, dell’accompagnamento del tema, introdotto dal basso (pedale) ma poi modulato e riproposto alle altre voci superiore. Brano sicuramente d’effetto, che non offre importanti difficoltà esecutive e viene presentato spesso tutt’oggi in competizioni musicali.

[Inizio della Toccata di Boëllmann]

Incontriamo poi Théodore Dubois (1837-1924), il cui contributo nella musica francese fu considerato della massima importanza e gli valse nel 1894 l’elezione a membro dell’Accademie des Beaux Arts. Maestro del coro a Santa Clotilde a Parigi, a fianco di César Franck fu poi organista titolare, dopo Saint Saens, nell’Eglise de la Madeleine, sempre a Parigi. Docente e poi Direttore del conservatorio di Parigi a cavallo fra 19° e 20° secolo, conservatore, osteggiò le novità proposte da Debussy e Ravel fino alla sua destituzione e sostituzione con Gabriel Fauré. Autore di musica lirica, vocale, strumentale e balletto, fra le sue composizioni organistiche, prettamente liturgiche, viene ricordata una pregevole Toccata in sol maggiore, tripartita, con movimento centrale lento, in cui la prima e l’ultima parte vedono un elegante melodia accompagnata dal susseguirsi di note a gruppetti di semicrome. Il pedale in questo caso non esegue mai il tema.

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[Inizio della Toccata di Dubois]

La struttura della toccata organistica poco muta con Widor o Gigout. Brillanti, di difficile esecuzione, ma sempre strutturate su arpeggi armonici velocissimi che accompagnano il soggetto, sempre più esposto a modulazioni ed affidato alle varie voci della tessitura. Famosissima la toccata che chiude la quinta sinfonia per organo di Charles-Marie Widor (1844-1937), in fa maggiore. Nella foto vediamo il compositore suonare nel poderoso Cavaillé-Coll di Saint Sulpice a Parigi, ove era titolare, dove immaginiamo abbia eseguito questa sua composizione.

[L ossessi a serie di is ro e i sesti e , o a ordi ri attuti, he a o pag a o l e trata del soggetto al pedale nella Toccata di Widor.]

Nella produzione per organo (Douze pièces, della maturità) di Eugène Gigout (1844- 1925), organista per più di 60 anni a Sant Augustin sempre a Parigi, troviamo ancora una pregevole Toccata in si minore . Anche in questa composizione gli arpeggi fanno intravvedere il motivo dominante, lo modulano ripetutamente per poi risolversi ad accompagnarlo quando è esposto dal pedale (rafforzato dai registri ad ancia, come vediamo suggerito dallo stesso autore).

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[Eugène Gigout al Gran Organo di SaintAugustin a Parigi]

Toccata in si minore di Gigout, punto in cui gli arpeggi accompagnano il soggetto]

Il discorso comincia a cambiare con Louis Vierne (1870-1837), organista di Notre Dame, dallo stile etereo, onirico, ma sorprendentemente solenne. Magnifiche e complesse le sue 6 sinfonie per organo, splendidi i 24 pezzi di fantasia, suddivisi in 4 suite. La seconda si conclude con una Toccata in si bemolle minore che veramente mette a dura prova le capacità di un esecutore: arpeggi, scale, cromatismi, accordi “impossibili” il tutto rispettando tempi brillanti. La toccata presenta una parte centrale , con registri più dolci ma non meno brillante, in cui gli arpeggi accompagnano un nuovo tema al pedale, che verrà elaborato e modulato fino alla reintroduzione del tema iniziale e conclusione anticipata da complessa cadenza.

L i ipit della to ata dalla II suite di Vier e]

Ancora, fra gli autori francesi merita una menzione il grandissimo anche se meno prolifico Maurice Duruflé (1902-1986) noto soprattutto per il suo Requiem. Duruflé, brillante organista, fu il sostituto

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a Notre Dame di Vierne, per poi diventare titolare dell’organo di Sant Etienne du Mont.La sua celebre suite op.5 del 1932 per organo si conclude con una strabiliante e difficilissima toccata. La composizione inizia con arpeggi dalle sonorità misteriose, che annunciano, mantenendosi solennemente quasi con ansia e sofferenza sulla tonalità dominante, l’entrata del soggetto anche questa volta al pedale, molto lungo ed articolato. Nella parte centrale seguono modulazioni e divertimenti su frammenti dello stesso , cadenze ripetute, e poi finalmente viene esposto il tema della toccata accompagnato da accordi ribattuti

e “schiere”di

semibiscrome. Venti pagine di partitura veramente impegnative ed affascinanti.

[Una pagina della celebre Toccata della Suite op. 5 di Duruflé]

Per completare la rassegna degli autori francesi arrivamo quasi ai giorni nostri con Olivier Messiaen (1908-1922), autore di grandissimo spessore, che nella raccolta di brani organistici dedicati all’Ascensione di Cristo propone una direi strepitosa quanto originale toccata intitolata “Trasporto di gioia di un’anima davanti alla gloria di Cristo, che è la sua”. Accordi discendenti quasi dissonati seguiti da poche note al pedale che anticipano il soggetto fanno da inizio, succeduti ancora da simili accordi e poi tutto il soggetto intero al pedale, quindi avanti in un turbinio di accordi e scale , sempre più veloci , e poi l’esposizione di una complessa linea melodica a due voci sole, in ottava, di estrema tensione per finire nel riposo gioiso - eternodell’anima che contempla nostro Signore.

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[I izio della to ata, III

o i e to dell Ascension]

Ci avviamo alla conclusione della rassegna prendendo come esempio uno solo fra gli organisti di quest’epoca, Max Reger (1873-1916]

[Max Reger e la sua Toccata in re minore op . 59. n.5]

Nella vasta produzione organistica , che affianca quella pianistica ed orchestrale, troviamo francamente poche composizioni identificate come toccate ( e sempre come in Bach seguite da una fuga). Per la precisione:

- toccata op. 59 n.5 - toccata op. 69 n.6 - toccata op. 80 n.11 - toccata op. 92 n.6 - toccata op 129 n.1

In tutte troviamo sostanzialmente lo stesso schema: alternanza di nuclei che ricordano lo stile fantastico della germania del nord del 600 (glissate, poderose successioni di accordi, complicati

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giochi di terzine e sestine) con frammenti pacati e polifonici; alternanza di pianissimi e fortissimi, ritmi incalzanti e veloci. La nostra rassegna è partita secoli fa dall’Italia e mi piace concluderla in Italia con un grande compositore ed organista della nostra terra: Marco Enrico Bossi (1861-1925). Nativo di Salò completo gli studi a Milano e già diciottenne era acclamatissimo concertista in Italia ed all’estero. La sua produzione organistica è particolarmente ricca. Ebbene anche per lui, come per Max Reger, l’attenzione alla toccata fu scarsa: nella raccolta dell’opera 59 troviamo una toccata ed un’altra nell’opera 118 denominata Toccata di concerto.

[Inizio della splendida Toccata da concerto in re minore di Marco Enrico Bossi]

Anche in questa composizione l’esordio vede subito enunciato il lungo tema, accompagnato da quartine di semicrome che si alternano con la ripresa al pedale di frammneti di soggetto. Il tutto è intervallato da momenti di riposo seguiti dalla ripresa modulata dello schema iniziale, spesso sviluppantesi in progressioni e cadenze per concludersi in una frenetica riproposta del tema all’unisono, mani e piedi assieme. Siamo lontani da quelle successive, in Francia, di un Duruflé o un Messiaen rimanendo fedele ai canoni armonici che Bach 200 anni prima aveva codificato e che rimarranno sempre validi.

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La Musica del medioevo

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Alfonso X el Sabio: Le Cantigas de Toledo Alfonso X nacque a Toledo il 23 novembre 1221 nel Palazzo di Galian. Il suo antenato Alfonso VI aveva conquistato il Regno di Toledo sconfiggendo i musulmani. Toledo era una delle città che il saggio Re amava sommamente, anche perchè era il centro del culto dei regni iberici mussulmani nel periodo finale della cultura arabo-andalusa. Il fascino che Toledo si era costruita nell’arco degli anni risale sin dalle sue radici nei secoli XII e XIII, allorchè divenne un punto di mediazione tra culture e conoscenze. Un paradiso terrestre nel quale tutti i saperi venivano coltivati con spirito di tolleranza, plurarità e la massima unità possibile. Alfonso fu l’ideatore e artefice di un vasto progetto di rinnovamento culturale che contemplava da un lato la scelta della lingua castigliana in tutte le sue opere, eccetto che nelle Cantigas, destinando il latino ad un posto inferiore. Decise di usare il galiziano-portoghese nei suoi lavori poetici. Nella seconda metà del secolo XIII la “Scuola dei traduttori” di Toledo si trasformò nel “Laboratorio di Alfonso”, creando una situazione di equilibrio tra l’Occidente cristiano e il mondo orientale. Al giorno d’oggi sappiamo che gli elementi originali di questo progetto furono alimentati dalle fonti orientali. Le Cantigas de Toledo rappresentano un originale progetto che rappresentasse il desiderio del Re Saggio di onorare la Vergine Maria nei canti dedicati alle sue feste e nella narrazione dei suoi miracoli e dei suoi misteri.

[Scuola dei traduttori di Toledo] Le opere musicali si presentano come un affresco o un mosaico medievale nello spirito delle rappresentazioni liturgiche del Natale e della Pasqua stabilite nella prima Partida de Alfonso, Re di Castiglia e Leone (la prima di un insieme di sette partide promulgate da Alfonso). Le Siete Partidas ("Sette Parti") sono un testo enciclopedico relativo al diritto, all'attività di governo, ai suoi presupposti e obiettivi, agli istituti giuridici. Volute nel 1265 dal re di Castiglia Alfonso X, [104]


costituiscono il tentativo da parte del potere monarchico centrale castigliano di superare con una legislazione comune i diritti consuetudinari locali (fueros). Largamente ispirate al diritto romano, il nome allude alle "sette parti" (tematiche) in cui è divisa l'opera: diritto canonico; prerogative dei regnanti; amministrazione della giustizia; le persone e la famiglia; diritto mercantile; successioni; diritto penale. Ispirate dalle miniature presenti nei Codoci che contengono le Cantigas, si percorre un itinerario aventi per argomenti i miracoli avvenuti nella zona di Toledo. In contrasto con il vario contenuto delle forme poetiche e musicali delle Cantigas, è interessante lo studio della descrizione dettagliata dei posti, città, Santuari nei quali sono accaduti i miracoli narrati. Alfonso X come “Trovatore di Santa Maria”, il suo grande amor divino, mostra un’abbondanza di affezione che più che condurlo ad una dimensione spirituale, produce un ampio riconoscimentodei valori umani. La sua bella e gioiosa Madonna si delizia di preghiere poetiche, fiori e profumi e si compiace di salvare tutti quelli che si rivolgono a Lei o al Suo Figlio, nonostante i suoi criteri non siano ortodossi nel senso teologico del tempo. Alfonso dimostra nelle sue Cantigas una sana religiosità liberatoria e dimostrativa di una fede robusta e senza complicazioni. I Poemi galiziani dedicati alla Vergine non sono abitualmente scritti per le funzioni religiose ma per essere cantati dai menestrelli e non dagli ecclesiastici. Le Cantigas sono state chiamate la Bibbia estetica del XIII secolo nel quale tutti gli elementi dell’arte medievale appaiono condensati in forma enciclopedica. (traduzione dalla presentazione di Eduardo Panagua) 

CANTIGA : MUITO DEVEMOS, VAROES, LOAR A “ANTA MA‘IA Questa cantiga posta nelle prime pagine dei Codici, racconta del primo miracolo che avvenne in Spagna, precisamente a Toledo, evidenziando così l’amore di Re Alfonso per questa città e la sua devozione al Santo del quale egli ha il nome. La storia racconta che Sant’Alfonso, Arcivescovo di Toledo dal 657 al 667, durante il regno del Re Visigoto Recesvinto, compose il trattato “De Virginitate Sanctae Mariae”. La Vergine lo ricompensò con una veste religiosa preziosissima. Il suo successore volle indossarla e subito morì. La melodia, in ritmo ternario, contiene una parte in ritmo a quattro, che le dà un incanto speciale. Altra singolarità di questa cantiga è l’introduzione di una quinta frase musicale, rispetto alle quattro contenute nel ritornello, una forma atipica nel virelai. Queste caratteristiche conferiscono alla Cantiga uno stile elaborato. Nell’interpretazione di Eduardo Panaguia è stata data una nota di festa con il suono delle campane che si ascoltano in una Chiesa mozarabica, e delle campanelle suonate prima di una celebrazione religiosa in onore della vita del Santo di Toledo. [105]


Testo: Esta é de como Santa Maria pareceu en Toledo a Sant'Alifonsso e deu-ll' ha alva que trouxe de arayso, con que dissesse missa. (Questa Cantiga racconta quando Santa Maria apparve a Toledo a Sa t’Alfo so, do a dogli u a veste portata dal Paradiso e con la quale celebrare Messa.) Muito devemos, varões, loar a Santa Maria, que sas graças e seus dões dá a quen por ela fia. (Uomini, innalziamo molte lodi a Santa Maria, che concede le sue grazie e i suoi doni a chi confida in Lei.) Sen muita de bõa manna, que deu a un seu prelado, que primado foi d'Espanna e Affons' era chamado, deu-ll' ha tal vestidura que trouxe de Parayso, ben feyta a ssa mesura, porque metera seu siso en a loar noyt' e dia. (Colpita dalle sue buone doti, ad un suo prelato, che fu Primate di Spagna e di nome Alfonso, donò una veste talare che Ella portò dal Paradiso, ben fatta, a sua misura, affinchè egli la indossasse quando celebrava le Sue lodi notte e giorno). Muito devemos, varões, loar a Santa Maria, que sas graças e seus dões dá a quen por ela fia. (Uomini, innalziamo molte lodi a Santa Maria, che concede le sue grazie e i suoi doni a chi confida in Lei.) Ben enpregou el seus ditos, com' achamos en verdade, e os seus bõos escritos que fez da virgidade daquesta Sennor mui santa, per que sa loor tornada foi en Espanna de quanta a end' avian deytada judeus e a eregia. (Ben eseguì la sua volontà, come abbiamo trovato in verità nei suoi bei scritti sopra la Verginità di questa Santissima Signora; grazie ad essi la sua magnificenza è stata portata in Spagna al contrario di quanto l’avesse o disp ezzata gli Giudei e gli e eti i. [106]


Muito devemos, varões, loar a Santa Maria, que sas graças e seus dões dá a quen por ela fia. (Uomini, innalziamo molte lodi a Santa Maria, che concede le sue grazie e i suoi doni a chi confida in Lei.) Mayor miragre do mundo ll' ant' esta Sennor mostrara, u con Rei Recessiundo ena precisson andara, u lles pareceu sen falla Santa Locay', e enquanto ll' el Rey tallou da mortalla, disse-l': «Ay, Affonsso santo, per ti viv' a Sennor mya.» (Questa Signora prima gli aveva mostrato iI più grande miracolo del mondo, e fu quando egli camminava con il Re Recesvinto in una processione, ed apparve santa Leocadia e, quando il re tagliò un pezzo del suo suda io, disse: O Alfo so sa to, g azie a te vive la ia “ig o a . Muito devemos, varões, loar a Santa Maria, que sas graças e seus dões dá a quen por ela fia. (Uomini, innalziamo molte lodi a Santa Maria, che concede le sue grazie e i suoi doni a chi confida in Lei.) Porque o a Groriosa achou muy fort' e sen medo en loar sa preciosa virgindad' en Toledo, deu-lle porend' ha alva, que nas sas festas vestisse, a Virgen santa e salva e, en dando-lla, lle disse: «Meu Fillo esto ch' envia.» (Perchè la Gloriosa lo trovò forte e impavido a lodare la sua preziosa verginità a Toledo, gli donò una veste candida perchè si vestisse nelle sue feste. La Vergine santa e salvifica, nel daglierla gli disse: «Mio Figlio ti dona questa.») Muito devemos, varões, loar a Santa Maria, que sas graças e seus dões dá a quen por ela fia. (Uomini, innalziamo molte lodi a Santa Maria, che concede le sue grazie e i suoi doni a chi confida in Lei.)

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Pois ll' este don tan estrãyo ouve dad' e tan fremoso, disse: «Par Deus, muit eãyo seria e orgulloso quen ss' en esta ta cadeira, se tu non es, s' assentasse, nen que per nulla maneira est' alva vestir provasse, ca Deus del se vingaria.» (Dopo che ebbe dato questo raro e prezioso dono, Ella disse: «Per Dio, sarebbe molto grave e folle che, in questo luogo, quando non ci sei, in nessuna maniera alcuno provi a mettersi questa candida veste, perchè Dio si vendicherebbe.») Muito devemos, varões, loar a Santa Maria, que sas graças e seus dões dá a quen por ela fia. (Uomini, innalziamo molte lodi a Santa Maria, che concede le sue grazie e i suoi doni a chi confida in Lei.) Pois do mundo foi partido este confessor de Cristo, Don Siagrio falido foi Arcebispo, poys isto, que o fillou a seu dano; ca, porque foi atrevudo en se vestir aquel pano, foi logo mort' e perdudo, com' a Virgen dit' avia. (Dopo che questo confessore di Cristo partì da questo mondo, Don Siagrio non riuscì a divenire Arcivescovo, in quanto provocò danno su se stesso; perchè con audacia volle indossare quella veste, e subito morì e fu perduto, come aveva detto la Vergine.) Muito devemos, varões, loar a Santa Maria, que sas graças e seus dões dá a quen por ela fia. (Uomini, innalziamo molte lodi a Santa Maria, che concede le sue grazie e i suoi doni a chi confida in Lei.) 

CANTIGA 116: DEREIT' É DE LUME DAR A QUE MADR' É DO LUME Questa cantiga narra una storia popolare di tradizione orale: “Io la conosco per averla udita”.

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La Vergine Maria si mostra grata per l’offerta di due eccellenti candele di Toledo. Un mercante nei suoi viaggi offre candele nelle chiese dedicate alla Vergine. In questa occasione si trova a Salamanca dove le belle candele di Toledo si spengono, ma Santa Maria le fa riaccendere. La forma musicale è semplice, la sua forma sincopata è notevole nella frase che si ripete due volte nel ritornello e quattro volte alla fine della strofa. Il ritmo delle percussioni deriva dalla musica tradizionale di Salamanca.

Testo: Esta é como Santa Maria fez acender duas candeas na sa eigreja en Salamanca, porque o mercador que as y posera llas encomendara. [Questa narra di come Santa Maria fece accendere due candele nella sua Chiesa di Salamanca, in quanto un mercante che li possedeva li aveva offerti.] Dereit' é de lume dar a que Madr' é do lume. [Giusto è illuminare Colei che è la Madre del Dio della luce.] Desto vos quero contar miragre verdadeiro que quis a Virgen mostrar gran por un mercadeiro que aa feira mercar con un seu conpanneiro de Salamanca fora, como an de costume. [Da ciò voglio raccontare un grande vero miracolo che la Vergine volle mostrare, da un mercante che era andato a commerciare alla fiera di Salamanca con un suo compagno, secondo la loro consuetudine.] [109]


Dereit' é de lume dar a que Madr' é do lume. [Giusto è illuminare Colei che è la Madre del Dio della luce.] Aqueste mais d'outra ren amou Santa Maria e con aver e con sen de grado a servia; e jajava tan ben cada que ssa vigia dela foi, que pescado non comiu nen legume. [Costui più di chiunque altro amava Santa Maria e la serviva con i suoi beni e con il suo impegno, e lo mostrava digiunando ogni volta che c'era una delle sue veglie, non mangiava nemmeno pesce o verdura.] Dereit' é de lume dar a que Madr' é do lume. [Giusto è illuminare Colei che è la Madre del Dio della luce.] E atal vida usou per u quer que andava muito, que jajou nas feiras u mercava; mas pero nunca achou, u quer que el estava, quen lle fezesse nojo ond' ouvesse queixume. [E conduceva una vita tale che, dovunque andasse, digiunava perfino alle fiere dove andava a mercanteggiare, e non trovava mai, dovunque fosse, nessuno che gli facesse del male o che potesse lamentarsi di lui.] Dereit' é de lume dar a que Madr' é do lume. [Giusto è illuminare Colei che è la Madre del Dio della luce.] El vivendo vida tal que, u eigrej' achasse da Virgen que pod' e val, que desto non errasse que cande' ou estadal y sigo non levasse; esto en Salamanca fez, dizendo «Adu-me», A un seu sergent' assi, «duas grandes candeas, [110]


as que de Toled' aqui trouxe, que non son feas; ca eu taes alá vi mellor arder que teas nen que niha cousa que o fogo conssume.» [E visse una vita tale che, dovunque trovasse una Chiesa della Vergine che fosse aperta, non mancava mai di portare con sé, per Lei, una candela o un cero; e questo fece a Salamanca dicendo a un suo servo: «Portami qui le due grandi candele che ho portato da Toledo, che non sono brutte; ho visto che bruciano meglio delle tue torce e che non vi è cosa che quel fuoco non consuma.»] Dereit' é de lume dar a que Madr' é do lume. [Giusto è illuminare Colei che è la Madre del Dio della luce.] Segundo com' apres' ey, as candeas trouxeron assi como vos direy, e acender fezeron; e, como per oyr sey, sas guardas y poseron, dizendo: «Guardad' ha que outra non afume.» [Per quanto ne so, gli portarono le candele, come ti dirò, e le fecero accendere e, come so da averlo udito, delle gua die si ise o lì di e do: «Bada he l’alt a o fa ia fu o.»] Dereit' é de lume dar a que Madr' é do lume. [Giusto è illuminare Colei che è la Madre del Dio della luce.] Mas avo per prazer da Virgen groriosa que ouveron de morrer; mas ela piadosa os ar fez pois acender come tan poderosa con Deus, cujos miragres non caben en volume. [Ma è successo, per volontà della Vergine gloriosa, che le hanno dovuto spegnere, ma Lei, misericordiosa, le ha fatti riaccendere, perché è così potente presso Dio, e i suoi miracoli non stanno in un volume solo.] Dereit' é de lume dar a que Madr' é do lume. [Giusto è illuminare Colei che è la Madre del Dio della luce.] [111]


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CANTIGA 212: TOD' AQUEL QUE POLA VIRGEN QUISER DO SEU BEN FAZER Una preziosa storia che ci fa conoscere alcuni dettagli degli antichi costumi di Toledo. Una signora di Toledo prestava una ricca collana di perle a donne povere nel giorno delle loro nozze. Sebbene suo marito glielo avesse proibito, non seppe resistere alla richiesta di una povera donna per le nozze di una figlia. La ragazza era andata a fare il bagno prima delle nozze e le rubarono la collana. Avvertita da una serva mora la signora si disperò. Tornando verso casa passò per una Chiesa e, piangendo e gemendo, chiese aiuto alla Vergine finchè si addormentò sfinita. La donna che aveva rubato la collana passò dalla Chiesa e dentro di sè immaginò che quel che aveva rubato appartenesse alla signora addormentata; la svegliò e le riconsegnò la collana.

Testo: Como ha bõa dona de Toledo enprestou un sartal a ha moller pobre por amor de Santa Maria, e furtaronllo, e fez-llo ela cobrar. [Come successe a una generosa donna di Toledo che prestò una collana di perle a una povera donna per amore verso Santa Maria, e che venne rubata e che Ella fece recuperare.] Tod' aquel que pola Virgen quiser do seu ben fazer, cousa que lle faça mingua grande non á de perder. [Chiunque voglia fare del bene in nome della Vergine, non lo perderà, non importa quale grande cosa faccia.] Com' avo en Toledo a ha bõa moller que polo amor de Santa Maria dava que quer que vess' a sua mão aos pobres que mester avian de lle pediren por seu amor seu aver. [Come successe ad una buona donna di Toledo che per amore verso Santa Maria, prestava quello che poteva dare a qualunque povera che glielo chiedesse per amor di Lei e ne avesse necessità.] Tod' aquel que pola Virgen quiser do seu ben fazer, cousa que lle faça mingua grande non á de perder. [Chiunque voglia fare del bene in nome della Vergine, non lo perderà, non importa quale grande cosa faccia.] En Toled' á un costume que foi de longa sazon, que quando y casar queren as donas que pobres son, peden aas ricas donas de suas dõas enton, que possan en suas vodas mais ricas apparecer.

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[A Toledo è costume che data da lungo tempo che quando le donne povere vogliono sposarsi, poi chiedano ai ricchi qualcosa che possiedono per poter apparire più fastose nel giorno delle nozze.] Tod' aquel que pola Virgen quiser do seu ben fazer, cousa que lle faça mingua grande non á de perder. [Chiunque voglia fare del bene in nome della Vergine, non lo perderà, non importa quale grande cosa faccia.] Aquela dona avia de seu un rico sartal, e quand' as pobres casavan, enprestava-llo sen al; e seu marido porende un dia trouxe-a mal, e que o non emprestasse foi-llo muito defender. [Quella donna teneva tra le sue cose una ricca collana di perle e quando le donne povere si sposavano, la prestava senza problemi; però un giorno suo marito non volle più e le proibì severamente di prestarla.] Tod' aquel que pola Virgen quiser do seu ben fazer, cousa que lle faça mingua grande non á de perder. [Chiunque voglia fare del bene in nome della Vergine, non lo perderà, non importa quale grande cosa faccia.] Ela ja nono ousava porend' enprestar per ren; e aque-vos ha dona mui pobre a ela ven e diss': «Ai, dona, por Santa Maria fazede ben e un sartal me prestade por la mia filla trager en ssa voda.» Mas con medo en llo dar muito dultou; mais poi-la ela por Santa Maria esconjurou que por seu amor llo désse, logo da ucha tirou o sartal e en sa mão llo foi a furto meter. [Per questo motivo lei non osava prestarla più; però una volta una donna molto povera venne da lei e le disse: «“ig o a, i o e di “a ta Ma ia, fai u ’ope a uo a e p estami la collana che mia figlia possa indossare al suo matrimonio.» Pe ò ella, pe il ti o e he aveva, e a olto esita te; l’alt a tuttavia la pregò tanto in nome di Santa Maria che gliela desse per amor suo, che immediatamente tolse la collana dalla sua custodia e gliela diede nelle mani nascostamente.] Tod' aquel que pola Virgen quiser do seu ben fazer, cousa que lle faça mingua grande non á de perder. [Chiunque voglia fare del bene in nome della Vergine, non la perderà, non importa quale grande cosa faccia.] Ela deu-o a sa filla e levou-a a bannar, com' é costum' en Toledo de quantas queren casar; e ha moller furtou-llo e foi-sse per un logar a 'scuso, e nona pode ome nen moller veer.

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[Ella gliela diede a sua figlia e l’a o pag ò pe il ag o, o e è o suetudi e pe le do e he voglio o sposarsi a Toledo; però una donna la rubò e fuggì in un luogo nascosto, dove nè uomo nè donna avrebbero potuto trovarla.] Tod' aquel que pola Virgen quiser do seu ben fazer, cousa que lle faça mingua grande non á de perder. [Chiunque voglia fare del bene in nome della Vergine, non lo perderà, non importa quale grande cosa faccia.] A outra sayu do banno e catou muit' e non viu o sartal u o posera, e deu vozes e carpiu; e ha moura da dona aquelas vozes oyu do sartal que lle furtaran, e logo llo foi dizer. [L’alt a, ua do us ì dal ag o e e ò la olla a e o la t ovò, gridò e si graffiò il volto; e una serva mora della signora sentì quelle grida sul furto della collana di perle e corse a riferirglielo.] Tod' aquel que pola Virgen quiser do seu ben fazer, cousa que lle faça mingua grande non á de perder. [Chiunque voglia fare del bene in nome della Vergine, non la perderà. non importa quale grande cosa faccia.] A dona con mui gran medo do marid' esmorreceu, e foi-ss' a Santa Maria e en prezes sse meteu ant' a sua Majestade, e chorou muit' e gemeu e pediu-lle que aquesta coita tornass' en lezer. [La signora, per la gran paura del marito, fu stravolta in viso, e poi corse da Santa Maria, si mise in preghiera davanti la sua Maestà divina, e piangeva e gemeva molto chiedendo che questa disgrazia si trasformasse in gioia.] Tod' aquel que pola Virgen quiser do seu ben fazer, cousa que lle faça mingua grande non á de perder. [Chiunque voglia fare del bene in nome della Vergine, non lo perderà, non importa quale grande cosa faccia.] A moller que o furtara fora-sse logo sayr da vila; e pois que ome deante nen depois yr viu, prendeu atal conssello de ss' a ssa casa vir, ca non acharia ome que llo podess' entender. [La donna che aveva rubato stava per lasciare il villaggio; ma vedendo che non c'era nessuno che l’avesse seguita, decise di tornare a casa, visto che non c'era nessuno che potesse sapere cosa lei avesse fatto.] Tod' aquel que pola Virgen quiser do seu ben fazer, cousa que lle faça mingua grande non á de perder. [114]


[Chiunque voglia fare del bene in nome della Vergine, non lo perderà, non importa quale grande cosa faccia.] E tornando-ss' a ssa casa, teve que era mellor d'atallar pela eigreja e non yr a derredor; e passand' assi per ela, a dona con gran door e porque muito chorara, fillou-sse d'adormecer. [E tornando a casa, pensò che avrebbe fatto meglio a passare per dentro la chiesa, anziché passarle attorno; e passando per essa, (vide) la donna che, per il suo grande dolore e perché aveva pianto molto, si era addormentata.] Tod' aquel que pola Virgen quiser do seu ben fazer, cousa que lle faça mingua grande non á de perder. [Chiunque voglia fare del bene in nome della Vergine, non la perderà. non importa quale grande cosa faccia.] E jazend' entre dormindo, antollou-xe-lle assy que seu sartal lle levava aquela moller per y; e espertou-ss' e chamó-a, e tirou-lle de sso sy o sartal, que eno so ela fora asconder. [E vedendo che dormiva, i agi ò he la sua olla a l’avesse p esa a uella do la chiamò e tirò fuori la collana che ella aveva nascosto nel suo seno.]

a he e a lì; e ape do,

Tod' aquel que pola Virgen quiser do seu ben fazer, cousa que lle faça mingua grande non á de perder. [Chiunque voglia fare del bene in nome della Vergine, non lo perderà. non importa quale grande cosa faccia.] 

CANTIGA 12: O QUE A SANTA MARIA MAIS DESPRAZ Questa Cantiga narra la storia di un miracolo della Vergine Maria che si addolora per le ingiurie fatte a una immagine in cera di Suo Figlio in un quartiere ebreo di Toledo. Questo avvebbe nel giorno della Vergine nel mese di Agosto, quando l’Arcivescovo celebrava in Cattedrale la Messa solenne. La storia proviene dallo “Speculum Historiae”, facente parte dello “Speculus maius”, opera enciclopedica del XIII secolo, di Vicente de Beauvais (o Bellovacense), che risiedeva a Toledo. Sebbene si tratti di un’offesa rituale su un'immagine, ne segue una persecuzione contro gli ebrei (“pogrom”) con la morte di quelli coinvolti. Sebbene la melodia sia tipica con D-E-C-D finale, che riscontriamo ripetutamente nelle Cantigas, emerge un certo drammatismo consono alla storia narrata. [115]


Si tratta di un virelai con strofe di sei versi e ritornelli di due versi, che troviamo raramente nell’opera alfonsina.

Testo: Esta é como Santa Maria se queixou en Toledo eno dia de ssa festa de agosto, porque os judeus crucifigavan a omagen de cera, a semellança de seu fillo. [Questa è come Santa Maria si lamentò a Toledo nel giorno della sua festa di Agosto, perchè gli Ebrei o ifiggeva o u ’i agi e di cera, a somiglianza del Suo Figlio.] O que a Santa Maria mais despraz, é de quen ao seu Fillo pesar faz. [Quello che a Santa Maria addolora di più, ed è quello che riguarda dolorosamente Suo Figlio.] E daquest' un gran miragre vos quer' eu ora contar, que a Reinna do Ceo quis en Toledo mostrar eno dia que a Deus foi corõar, na sa festa que no mes d'Agosto jaz. [E di questo gran miracolo vi voglio ora raccontare, che la Regina del Cielo volle mostrare a Toledo, nel giorno che da Dio fu incoronata, nella sua festa che ricorre nel mese di Agosto.] O Arcebispo aquel dia a gran missa ben cantou; e quand' entrou na segreda e a gente se calou, oyron voz de dona, que lles falou piadosa e doorida assaz. [L’A ives ovo i uel gio o ele ò la Messa solenne e quando iniziò a pregare in raccoglimento e la gente si zittì, si senti una voce di donna che parlò in modo compassionevole e assai addolorato.] O que a Santa Maria mais despraz, é de quen ao seu Fillo pesar faz. [Quello che a Santa Maria addolora di più, ed è quello che riguarda dolorosamente Suo Figlio.] E a voz, come chorando, dizia: «Ay Deus, ai Deus, com' é mui grand' e provada a perfia dos judeus que meu Fillo mataron, seendo seus, e aynda non queren conosco paz.» [E la voce, come in lacrime, diceva: «O Dio, o Dio, come è grande e comprovata è la perfidia degli Ebrei che uccisero mio Figlio, pur essendo uno di loro, e ancora non vogliono rappacificarsi con Lui.»] Poi-la missa foi cantada, o Arcebispo sayu da eigreja e a todos diss' o que da voz oyu; e toda a gent' assi lle recodyu: «Esto fez o poblo dos judeus malvaz.»

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[Qua do la Messa sole e fi ì, l’A ives ovo us ì fuo i dalla Chiesa e hiese a tutti se avesse o udito la voce, e tutta la gente gli rispose di si: «Questo è ciò che fa il maledetto popolo degli Ebrei.»] O que a Santa Maria mais despraz, é de quen ao seu Fillo pesar faz. [Quello che a Santa Maria addolora di più, ed è quello che riguarda dolorosamente Suo Figlio.] Enton todos mui correndo começaron logo d'ir dereit' aa judaria, e acharon, sen mentir, omagen de Jeso-Crist', a que ferir yan os judeus e cospir-lle na faz. [Poi tutti, correndo veloci, si sono riversati nel quartiere ebraico e hanno trovato – questa è la verità un'immagine (in cera) di Gesù Cristo che gli ebrei avevano sfregiato e su cui avevano sputato nel viso.] E sen aquest', os judeus fezeran a cruz fazer en que aquela omagen querian logo põer. E por est' ouveron todos de morrer, e tornou-xe-lles en doo seu solaz. [E in aggiunta a questo, gli ebrei avevano preparato una croce sulla quale avrebbero poi voluto applicare quell'immagine. E per questo dovettero morire tutti, e questo loro sollazzo si trasformò in lutto.] O que a Santa Maria mais despraz, é de quen ao seu Fillo pesar faz. [Quello che a Santa Maria addolora di più, ed è quello che riguarda dolorosamente Suo Figlio.] 

CANTIGA 122: MIRAGRES MUITOS PELOS REIS FAZ SANTA MARIA Una cantiga autobiografica di un evento accaduto nella chiesa dell’Alcazar di Toledo, il Palazzo Reale. La Principessa Berenguela, sorella del Re Alfonso e figlia di Ferdinando III e Beatrice di Suabia, resuscita dalla morte per le suppliche di sua madre alla Vergine. Successivamente sarà Badessa del Monastero di Las Huelgos a Burgos. I versi sono di 10 sillabe e la struttura è un semplice zejel (una poetica composizione medievale spagnola di origine mozarabica). Il ritmo del brano è in cinque parti, che gli dà un carattere allegro e vivace che riflette lo spirito del testo.

Testo: Questa como Santa Maria resucitou ha infante, filla dun rei, e pois foi monja e mui santa moller. [Questa come Santa Maria risuscitò una bambina, figlia di Re, e che poi divenne suora e una donna di grande santità.] [117]


Miragres muitos pelos reis faz Santa Maria cada que lle praz. [Santa Maria compie molti miracoli in favore dei Re, ogni volta che Ella vuole.] Desto direi un miragre que vi que en Toled' a Virgen fez ali na ssa capela, e creed' a mi que faz y outros miragres assaz. [Di questo dirò un miracolo che avviene a Toledo; la Vergine lo fece lì nella sua cappella, e credetemi che fa molti altri miracoli.] Miragres muitos pelos reis faz Santa Maria cada que lle praz. [Santa Maria compie molti miracoli in favore dei Re, ogni volta che Ella vuole.] Esta capela no alcaçar é da Santa Virgen u ficou a fe, e dentro ha ssa figura sé feita como quando pariu e jaz. [Questa cappella della Santa Vergine dove regna la fede, ha dentro un'immagine di Lei che la raffigura quando ha partorito, ed è coricata.] Miragres muitos pelos reis faz Santa Maria cada que lle praz. [Santa Maria compie molti miracoli in favore dei Re, ogni volta che Ella vuole.] Esta fez pintar o Emperador, o que de tod' Espanna foi sennor; mas o bon Rei Don Fernando mellor a pintou toda, o corp' e a faz. [Questa i agi e la fe e dipi ge e l’I pe ato e ua do eg ava su tutta la “pag a; e il uo Re do Fernando volle che venisse dipinta tutta intera, il corpo e il viso.] Miragres muitos pelos reis faz Santa Maria cada que lle praz. [Santa Maria compie molti miracoli in favore dei Re, ogni volta che Ella vuole.] A este Rei ha filla naceu que a Santa Maria prometeu, des i aa orden offereceu de Cistel, que é santa e de paz. [A questo Re Fernando nacque una figlia che consacrò a Santa Maria, e poi la affidò all'Ordine Cistercense, che è virtuoso e predica pace.] [118]


Miragres muitos pelos reis faz Santa Maria cada que lle praz. [Santa Maria compie molti miracoli in favore dei Re, ogni volta che Ella vuole.] Esta mena ssa madre criar a fez pera às Olgas a levar de Burgos; mais la men' a[n]fermar foi e morreu, de que mao solaz. [Questa bimba sua madre la mandò a Las Huelgas di Burgos, per la sua educazione; ma la bimba, si ammalò e morì, e per questo vi fu un gran lutto.] Toda a noite ssa ama levou, ca de doo a matar-se cuidou; e a sa madre logo o contou, e ela fez como a quen despraz de lle morrer sa filla. E enton foy-a fillar e diss' assi: «Pois non quis a Virgen, a que te dei en don, que vivesses, mais quiso que na az dos mortos fosses por pecados meus, poren deitar-t-ey ant' os pees seus da ssa omagen da Madre de Deus.» E fez-lo logo, par San Bonifaz. [Tutta la notte la Badessa ebbe una gran dolore che desiderava darsi la morte; e poi lo disse a sua madre, e lei si disperò per la morte della sua figlia. Ed ella andò subito a trovarla, e disse così: «Ebbene, la Vergine, a cui ti ho dato in dono, non ha voluto che tu vivessi, ma ha voluto che tu fossi nel novero dei morti a causa dei miei peccati; ti ette ò ai piedi dell’i agi e della Mad e di Dio». E lo fece, per san Bonifacio.] Miragres muitos pelos reis faz Santa Maria cada que lle praz. [Santa Maria compie molti miracoli in favore dei Re, ogni volta che Ella vuole.] A todos da capela fez sayr, des i mandou ben as portas choyr; e as donas fillaron-ss' a carpir, e ela chorando pos seu anfaz. [E fece uscire tutti dalla cappella, e ordinò che si chiudessero le porte; e le donne si graffiavano il volto, ed ella piangendo si coprì il viso di lacrime.] Miragres muitos pelos reis faz Santa Maria cada que lle praz. [Santa Maria compie molti miracoli in favore dei Re, ogni volta che Ella vuole.] [119]


E disse: «Ja mais non me partirei daquesta porta, ca de certo sey que me dará a Madre do bon Rei mia filla viva; senon, de prumaz tragerei doo ou dun anadiu.» E esto dizendo, chorar oyu a menynna, e as portas abryu e fillou-a nos braços mui viaz. [E disse: «E io giammai uscirò da questa porta, perché sono certa che la Madre del buon Re mi restituirà viva mia figlia; altrimenti per il lutto proverò dolore o ne morrò.» E mentre diceva queste parole, sentì la ragazza piangere, e le porte si aprirono e lei la prese tra le braccia, con molta delicatezza.] Chorand' e dizendo: «Beita tu es, mia Sennor, que pariste Jhesu Cristo; e poren, cada logar u for ta eigreja, ben ata en Raz, darei do meu.» E ben assi o fez; e levou ssa filla daquela vez, que deu nas Olgas, logar de bon prez, malgrad' end' aja o demo malvaz. [Piangendo e dicendo: «Benedetta sei tu, mia Signora, che hai partorito Gesù Cristo, e per questo, venga eretta una tua chiesa, che sia ad Arras, e ti darò ciò che possiedo.» E così fece esattamente, e prese sua figlia, da quel momento, e la ridiede alle Huelgas de Burgos, un luogo di buona virtù, malgrado in essa fosse stato albergato un demone malvagio.] Miragres muitos pelos reis faz Santa Maria cada que lle praz. [Santa Maria compie molti miracoli in favore dei Re, ogni volta che Ella vuole.] 

CANTIGA 69: SANTA MARIA OS ENFERMO“ “ÃA Tradizione toledana. La storia si svolge il 21 Aprile 1150 nelle prime ore della mattina di giovedì nella Cattedrale di Santa Maria nell’epoca di Alfonso VII imperatore (1105-1157). Protagonista è Pietro de Solaranas, un villaggio, vicino a Lerma, a Burgos. Egli era il fratello di un monaco amico del Conte Poncio di Minerva, alfiere dell’Imperatore dal 1142 al 1144, creato conte da Ferdinando II (1157-1158), secondo le cronache generali. Il miracolo racconta la guarigione di un sordomuto e la visione di una sfera celeste dentro la Chiesa. Con 21 strofe in questa Cantiga abbondano dettagli e ricordi a caratteri familiari. [120]


Il testo menziona Messina e Salerno, nel regno di Sicilia, famosa per la Scuola di Medicina. La melodia di gran bellezza e leggerezza si presta ai racconti ampi, affascinanti e profondi.

Testo: Questa como Santa Maria fez oyr e falar o que era sordo e mudo, en Toledo. [Questa come Santa Maria fece udire e parlare un uomo sordomuto, a Toledo.] Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] Dest' un miragre quero contar ora, que dos outros non deve seer fora, que Santa Maria, que por nos ora, grande fez na cidade toledãa. [Di questo miracolo voglio narrare adesso, che non deve essere escluso dagli altri, che Santa Maria, che prega per noi grandi fedeli nella città di Toledo.] Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] Seend' y o Emperador d' Espanna e d' omes onrrados gran conpanna con el, e cavalaria tamanna que dentro non cabian ne-na chãa. [C'era l'imperatore di Spagna e con la grande corte degli uomini nobili e una cavalleria così grande che la pianura a mala pena li conteneva.] Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] Ali enton un monje foi vudo que del Cond don Ponç' era connoçudo, e troux' un seu yrmão sord' e mudo que chamavan Pedro de Solarãa. [Allora venne là un monaco che era noto al Conte don Poncio, portando suo fratello, sordo e muto, di nome don Pedro de Solarana.]

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Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] Aqueste non falava nen oya, mais per sinas todo ben entendia o que lle mandavan, e o fazia, ca non vos avia el outr' açãa. [Costui non parlava né udiva, ma capiva tutto bene, attraverso i segni, e qualunque cosa gli dicevano, lo faceva, come nessun altro qui intorno.] Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] E pero non oya nen falava, en Santa Maria muito fiava, e chorand' e mugindo lle rogava que o sãasse. E ha mannãa ll' aveo que foi perant' a ygreja e viu dentro claridade sobeja, e entre ssi disse: «Se Deus me veja, esta claridade non é humãa.» [Ma sebbene non udisse né parlasse, confidava molto in Santa Maria, e piangendo e borbottando, la pregò di guarirlo. E una mattina gli successe di passare davanti alla chiesa e di vedere dentro un chiarore splendente, e dentro di lui disse: «Così mi vede Dio, questo chiarore non è umano.»] Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] Pois isto viu un ome mui fremoso, vestido ben come religioso, que no levar non foi mui preguiçoso cab' o altar u tangen-na canpãa do Corpus Domini. E viu estando un om' ant' o altar, ben como quando está o que diz missa consagrando a hostia a costume romãa. [Poi vide un uomo molto bello, vestito bene come un religioso, che si mosse molto lentamente, incamminandosi verso l'altare, dove suonò la campana del Corpus Domini. E vide un uomo in piedi davanti all'altare, come è colui che dice la messa, consacrando l'ostia, secondo l'usanza romana.]

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Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] E a destro viu estar da capela de gran fremosura ha donzela, que de faiçon e de coor mais bela era que non ést' a nev' e a grãa, [E a destra della cappella vide una fanciulla di grande bellezza, che nei lineamenti e nel colore era più bella della neve e dello scarlatto.] Que lle fezo sinas que sse chegasse ant' o preste e que ss' agollasse; e ao preste fez que o catasse a Virgen piedosa e louçãa, que lle meteu o dedo na orella e tirou-ll' end' un vermen a semella destes de sirgo, mais come ovella era velos' e coberto de lãa. [Ella gli fece cenno di avvicinarsi al sacerdote, e di inginocchiarsi, e questi gli fece rivolgere lo sguardo verso la Vergine pia e maestosa, e gli mise il dito dentro l'orecchio, tirando fuori un baco simile a quelli di seta ma che come una pecora era soffice e ricoperto di lana.] Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] E tan toste oyr ouve cobrado e foi-ss' a casa do monje privado, e logo per sinas ll' ouve mostrado que ja oya o galo e a rãa. [Appena riacquistato l'udito, corse alla casa del monaco e parlandogli con i segni gli mostrò di aver potuto sentire il gallo e la rana.] Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] Enton corrend' o monge como cerva se foi a cas don Ponçe de Minerva e disse: «Conde, non sei con qual erva oe Pedr' e a orella lle mãa.»

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[Allora il monaco, correndo come un cervo, andò a casa di don Ponce de Minerva e disse: «Conte, non so con quale erba medicinale Pedro sente e il suo orecchio funziona.»] Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] Entonçe diss' el conde muit' agynna: «M' ide polo que fez a meezinna, ca ben leu é maestre de Meçinna, ou de Salerna, a çizillãa.» [Allora il conte disse molto compunto: «Merito di chi gli preparò la medicina, sicuramente un maestro messinese o salernitano, della Sicilia.»] Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] E depus esto, vernes madurgada, levava vinn' e pan aa pousada Pedro do monge, u fez sa passada perant' a porta que é mais jusãa da ygreja; e ya pela mão con el un preste. E viu ben de chão Pedro vir a ssi un ome cão ena cabeça, e a barva cãa, que o tirou contra ssi mui correndo a foy-o ena eigreja metendo, u viu a preto do altar seendo a Virgen, d' Elisabet coirmãa, que mandou ao preste revestido que lle fezera cobra-lo oydo, que lle fezesse que logo guarido fosse da lingua, que non dissess' «ãa». [E dopo uel ve e dì atti a, Ped o po tava vi o e pa e all’a itazio e del o a o, e passava davanti al portone della chiesa, nella stessa direzione si muoveva un prete. E Pedro vide chiaramente venire verso di lui un uomo dai capelli e dalla barba bianca che lo prese con sé e correndo lo condusse in chiesa, dove vide, seduta presso l'altare, la Vergine, cugina di Elisabetta,che aveva ordinato al sacerdote che gli facesse recuperare l'udito, che ora lo guarisse dalla malattia della lingua, perchè non dicesse più solo «ana».] Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] Logo o que mandou ela foi feito, [124]


ca o preste sabia de tal preito; poren da lingua, ond' era contreito, lle fez falar paravoa çertãa. [Ciò che Ella ordinò venne eseguito, perché il prete era a conoscenza di quella deficienza; e perciò, con la lingua, che era prima paralizzata, Pedro iniziò a parlare con scioltezza.] Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.] E pois sãydad' ouve reçebuda, diss' a gran voz: «Madre de Deus, ajuda ao teu servo que á connoçuda a ta graça», e cantou antivãa. [E quando fu guarito, disse ad alta voce: «Madre di Dio, aiuta il tuo servo, che ha conosciuto la tua grazia.», e cantava l'antifona.] Quantos aqueste miragre souberon a Santa Maria loores deron; e tantos aa eigreja veeron que non cabian y nena quintãa. [Quanti vennero a conoscenza di questo miracolo diedero lode a Santa Maria, e molti vennero nella chiesa, così numerosi che non li contenevano né la chiesa né l'atrio.] Santa Maria os enfermos sãa e os sãos tira de via vãa. [Santa Maria guarisce gli infermi e libera i sani dalle malattie.]

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Strumenti musicali antichi: il Clavicordo Il clavicordo o clavicordio è uno strumento musicale a corde, dotato di tastiera. Le sue origini non sono chiare. Sembra certo che abbia avuto origine dal monocordo, strumento che, secondo Boezio, fu inventato in Grecia nel VI secolo a.C. da Pitagora di Samo, il quale probabilmente lo aveva conosciuto a sua volta dai sacerdoti dell'Egitto. Il filosofo se ne sarebbe servito per comprovare le sue idee matematiche sui rapporti dei suoni. Anche leggendo quanto ci riporta Sebastian Virdung, autore nel 1511 del primo trattato a stampa dedicato agli strumenti musicali, il clavicordo si costituirebbe come l’evoluzione diretta del monocordo. Il monocordo era composto da una sola corda, tesa sopra una cassa di risonanza tra due ponticelli, e posata su un terzo ponticello intermedio che poteva essere spostato; così facendo si poteva dividere la corda a piacere e ottenere suoni di altezza (e quindi frequenza) variabile.

[Monocordo, ricostruzione]

Attraverso fasi evolutive documentate da varie fonti iconografiche, dall’antico monocordo si giungerà al clavicordo propriamente detto attraverso due linee di sviluppo: l’aumento del numero delle corde a partire dalla corda unica del monocordo e l’introduzione della tastiera, inizialmente in una forma embrionale e successivamente nella struttura classica. È estremamente difficoltoso, se non impossibile, stabilire quando, dove e come il clavicordo sia apparso sulla scena. Nel Medioevo in numerosi testi si cita il Clavicordo come uno strumento musicale che veniva impiegato sia come mezzo per la verifica sperimentale delle leggi dell'armonia, sia come ausilio pratico per l'istruzione dei cantori. Da questi scritti appare chiaro che il clavicordo aveva subito (rispetto al monocordo) una certa evoluzione, almeno a partire dagli inizi del XV secolo: viene infatti descritto munito di dieci corde e dotato di tastiera cromatica. Essendo munito di più corde, il clavicordo era adatto ad essere utilizzato sia in modo melodico che armonico, divenendo presto strumento di esercizio per organisti. [126]


Pare che le corde di questo nuovo tipo di clavicordo sorto nel XV secolo fossero tutte di uguale lunghezza e sezione, anche se le esperienze fatte con altri strumenti, quali cetre e salteri, avevano suggerito di migliorare il suono variando appunto questi valori. Nel tempo aumentò l'estensione, fino a raggiungere una gamma di quattro ottave, mentre fu raddoppiato il numero delle corde, con coppie accordate all'unisono. L’uso del clavicordo era riservato quasi esclusivamente all'insegnamento della musica. Se vogliamo risalire alla prima citazione a noi pervenuta attestante un ruolo didattico e di studio del clavicordo dobbiamo ricorre al trattato di Paulus Pulirinus. Del suo enciclopedico lavoro, intitolato Liber Viginti Artium e databile intorno al 1460, ci rimangono alcuni frammenti relativi a quindici delle venti arti dichiarate. In questa fonte troviamo la prima attestazione del clavicordo come strumento propedeutico allo studio dell’organo e di ogni altro strumento a tastiera. Nel suo testo è inoltre possibile trovare la prima menzione dell’esistenza di un clavicordo provvisto di pedaliera (il calcatorium). Fino al 1540 non esistono strumenti superstiti. Sino a questa data siamo costretti a riferirci a fonti iconografiche e trattati contenenti informazioni utili alla descrizione ipotetica delle prime fasi di questo sviluppo. L’esempio forse più interessante di questo tipo di fonti è costituito dalla famosa tarsia presente nello studiolo di Federigo da Montefeltro presso il palazzo ducale di Urbino, opera eseguita da Baccio Pontelli tra il 1479 e il 1482. Fra i diversi strumenti rappresentati con precisi intenti simbolico-filosofici (flauti, una lira da braccio, una viola, un tamburo, un liuto e un organo) figura un bellissimo esemplare di clavicordo.

Attraverso l’abile gioco di una prospettiva magistralmente eseguita, sono ben visibili tutti gli elementi meccanici collocati dentro la cassa come la piegatura dei tasti, le corde e le tangenti. I primi strumenti fino a noi pervenuti risalgono al sedicesimo secolo. Si tratta di cinque esemplari che documentano il passaggio a una tipologia organologica più complessa. Osserviamo un ampliamento notevole della tavola armonica e il conseguente scivolamento della tastiera verso il lato sinistro dello strumento. Non abbiamo più un unico ponticello piuttosto alto, [127]


ma diversi ponticelli incollati sulla tavola a diverse distanze e di altezza notevolmente ridotta. E infine, la tastiera si amplia fino a contenere oltre quattro ottave. Dei cinque strumenti superstiti, solo uno è sicuramente attribuibile: si tratta di un bellissimo esemplare del celebre costruttore Domenico di Pesaro del 1543, oggi conservato al Museo degli Strumenti dell'Università di Lipsia. Verso la fine del XVI secolo, osserviamo un ampliamento notevole della tavola armonica e il conseguente scivolamento della tastiera verso il lato sinistro dello strumento. Non abbiamo più un unico ponticello piuttosto alto, ma diversi ponticelli incollati sulla tavola a diverse distanze e di altezza notevolmente ridotta. E infine, la tastiera si amplia fino a contenere oltre quattro ottave. La cassa su cui veniva montato lo strumento misurava circa 130 cm per 30 di profondità. Contrariamente a quanto osserviamo per strumenti quali il clavicembalo o l’organo non esistono famiglie storiche di costruttori di clavicordi la cui diffusione è invece affidata all’iniziativa di singoli non necessariamente professionisti. Si tratta spesso di un attività marginale di organari quando non addirittura di organisti e monaci. Il secolo d’oro del clavicordo è certamente il Settecento. È in questa epoca che assume un ruolo centrale nella vita musicale europea divenendo lo strumento sul quale i giovani nelle scuole di musica, nei conventi e nei monasteri venivano introdotti alla tecnica tastieristica. È anche lo strumento sul quale gli organisti potevano esercitarsi in casa e il cui suono suscitava sentimenti di intimità domestica e familiare nelle case borghesi e nobiliari. Anche se non abbiamo riferimenti espliciti del ricorso al clavicordo nella didattica da parte di Johann Sebastian Bach è molto probabile che il maestro di Eisenach abbia iniziato i suoi figli ed allievi all’arte musicale su simili strumenti: a lasciarcelo pensare esistono testimonianze indirette della predilezione di Bach verso il clavicordo. Ampia documentazione ci attesta la familiarità con questo strumento anche da parte di Händel, Mozart, Haydn e Beethoven, i quali utilizzavano lo strumento sia nell’intimità domestica che come mezzo pratico per l’esercizio durante i continui viaggi. Rilievo particolare va riservato a Carl Philipp Emanuel Bach [nel dipinto a dx], certamente uno dei massimi compositori per

clavicordo, il quale trovò in tale strumento l’interprete più autentico del suo particolare stile musicale, caratterizzato dalla ricerca espressiva di tensioni emotive, di delicate sensazioni intime e malinconiche. Il repertorio è costituito da sonate, fantasie e rondò, pubblicate tra il 1779 e il 1787. La predilezione che ebbe per lo strumento è del resto testimoniata da lui stesso nel suo celebre trattato. Dal 1820 la produzione del clavicordo inizia a scemare rapidamente fino ad arrestarsi nel 1840. Inizia l’epoca del pianoforte. [128]


Funzionamento e caratteristiche tecniche All'estremità di ciascun tasto del clavicordo è collocato una piccola lama in ottone, chiamata tangente; quando si preme il tasto la lama si solleva e colpisce la corda vicino ad un’estremità. La

porzione di corda che non vibra, invece, è avvolta da strisce di feltro che vanno a smorzare il suono non appena la tangente si allontana.

[(A/B) Tasto; (1A/1B) Tangente; (2A/2B) bilanciere del tasto; (3) Corda; (4) Fondo di risonanza; (5) ponte fisso; (6) Striscia di feltro]

A differenza che nel pianoforte, in cui il martello una volta percossa la corda torna indietro, nel clavicordo la tangente, finché non si lascia il tasto, resta appoggiata alla corda e fa perdurare il suono. Il suono è inevitabilmente molto tenue, perché la tangente è leggera e percorre una distanza molto breve. Se, mantenendo il tasto premuto, si esercita una serie di micropressioni consecutive (la cui velocità è decisa dall'esecutore), la tangente premerà sulla corda con forza variabile ritmicamente, tendendola ulteriormente a ogni pressione: questa tensione innalza il suono prodotto e crea un effetto di vibrato. Questo vibrato, che non si può realizzare in nessun altro cordofono a tastiera, è generalmente chiamato con il termine tedesco di Bebung.

[Clavicordo – Ricostruzione William Horn Clavicembali]

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Musica e Cinema: I pini di Roma, di Ottorino Respighi (da Fantasia 2000, di Walt Disney) Fantasia 2000 è classificato, secondo il canone ufficiale, il 38º classico Disney: fu ideato e realizzato in occasione del sessantesimo anno di uscita di Fantasia del 1940, oltre che per celebrare l'inizio del 2000. Come il film precedente, pone la musica al centro dello spettacolo e la trasforma in immagini. Trama I Pini di Roma di Ottorino Respighi è il secondo segmento del film d'animazione: ambientato in un paesaggio artico ghiacciato dove le luci dell'aurora boreale brillano nel bellissimo cielo notturno, il segmento presenta una famiglia di affettuose megattere volanti. Due di loro sono adulti e il terzo è il loro cucciolo assai esuberante. La piccola megattera segue i suoi genitori in superficie dove saltano e si tuffano dentro e fuori dalle acque artiche finché non si alzano e volano tranne la piccola megattera. Dopo alcuni salti, riesce finalmente a prendere il volo e si unisce ai suoi genitori. All'improvviso vede un gruppo di gabbiani e decide di volare con loro: i gabbiani infastiditi e arrabbiati l’inseguono fino a quando la piccola megattera scappa in acqua e rimane intrappolata in un enorme iceberg. Circondata da muri ghiacciati, il cucciolo appare illeso ma tutto solo nelle buie caverne ghiacciate. Inizia ad esplorare la grotta alla ricerca di una via d'uscita. Sotto le acque della grotta ci sono molti ghiaccioli appuntiti in ogni direzione. Emerge in superficie e vede l'ombra di sua madre che si trova dall'altra parte delle pareti di ghiaccio; la piccola megattera cerca disperatamente di raggiungerla e, seguendo le ombre dei suoi genitori verso una luce, inizia a fluttuare verso il punto da cui risplende la luce: riesce così a riunirsi ai suoi genitori.

Mentre la stella più luminosa lampeggia, le tre balene tornano nelle acque e si uniscono a un branco più grande di megattere. Presto migliaia di megattere prendono il volo e volano attraverso un [130]


paesaggio boschivo fino alla cima delle nuvole. Volano verso una nuvola di tempesta da cui splende una luce brillante fino a quando, infine, si alzano dalle acque dove la stella brilla come un'alba notturna. L’Autore Ottorino Respighi (Bologna 1879 - Roma 1936) è stato un compositore piuttosto eclettico, in cui sono ravvisabili influenze francesi, russe e tedesche; amò piegare le tradizionali forme sinfoniche in senso evocativo ma è soprattutto nella musica teatrale che sembrano convergere e fondersi le peculiarità della sua musica, cioè un colore armonico e orchestrale ricco e raffinato e una semplicità di disegno essenzialmente latina. Guida all’ascolto I Pini di Roma è uno dei capolavori della cosiddetta “trilogia romana” insieme a Le fontane di Roma e Feste romane. Ciascun movimento descrive l'ubicazione di un gruppo di pini di Roma, nel corso delle ore della giornata. Il primo movimento, chiamato "I pini di Villa Borghese", descrive dei bambini rumorosi che giocano ai soldati e marciano nella pineta della Villa Borghese. Il secondo movimento, "Pini presso una catacomba" è una nenia maestosa, che rappresenta una pineta nei pressi di una catacomba nella campagna romana. Gli strumenti dei timbri bassi dell'orchestra, più l’organo, vogliono descrivere la caratteristica sotterranea della catacomba, mentre i tromboni vogliono ricordare il canto dei preti. Il terzo tempo, un notturno, "I Pini del Gianicolo", è ambientato di notte, presso un tempio del dio Giano dell'antica Roma, sulla collina del Gianicolo. Giano bifronte spalanca porte e portoni, segnando l'inizio di un nuovo anno. Si ode il canto di un usignolo, che Respighi utilizza per descrivere la vita reale ed i suoni degli uccelli, qualcosa di mai fatto fino ad allora. L'ultima sezione, "I Pini della Via Appia", raffigura i pini lungo l'antica consolare romana Via Appia. In un'alba nebbiosa, una legione avanza lungo la via Appia nel fulgore del sole appena sorto. Respighi voleva far sentire la terra tremare sotto i passi del suo esercito e diede all'organo il compito di descriverla. Il pezzo richiede l'impiego della buccina. Il brano si conclude con un trionfo di trombe delle legioni sul Campidoglio. Nel film Fantasia 2000 troviamo una versione arrangiata del brano, il secondo movimento del pezzo è omesso, insieme con l'assolo del corno inglese nel quarto movimento. L’ interpretazione è della Chicago Symphony Orchestra diretta da James Levine.

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Ottorino Respighi

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