GLI AMICI DEL LOGGIONE Numero 19 Settembre 2022
[2] GLI AMICI DEL LOGGIONE Rivista quadrimestrale on-line di Musica Classica Numero 19 – Settembre 2022 Coordinatore editoriale ed autore dei testi: Giuseppe Ragusa
In questo numero: 1a Copertina: Paradiso dantesco, incisione di Gustavo Dorè [3] Requiem in re minore K 626 di W.A. Mozart [33] Gヴaミdi Diヴettoヴi del けΓ00: Bヴuミo Walteヴ Gli Amici del Grammofono. Beethoven: [45] Triplo concerto per pianoforte, violino e violoncello [51] Sonata per pianoforte さGli Addiiざ [54] Coriolano, Ouverture [57] Egmont, Ouverture [61] Le Sinfonie di Gustav Mahler: Sinfonia n° 9 [75] Teatヴi dげItalia: lo Sferisterio di Macerata [81] Musica medievale: Cercamon [100] La glassarmonica [103] Quartetto per archi in mi minore, di Giuseppe Verdi [108] Variazioni Enigma, di Edvard Elgar [118] 4° Copertina: Edvard Elgar Gli articoli e le immagini presenti in questa Rivista sono di dominio pubblico, a titolo gratuito senza alcun riutilizzo commerciale. Ci scusiamo per eventuali e non volute carenze od omissioni nelle indicazioni degli autori di porzioni di testi non virgolettati, o di immagini fotografiche, pittoriche e disegnate, o delle eventuali proprietà editoriali o © o ®, che verranno, se contestate, prontamente rimosse. Per ogni comunicazione: raggius@tim.it
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Le circostanze della nascita del Requiem mozartiano sono avvolte nella leggenda, o, per meglio dire, sono state avvolte nella leggenda dalle innumerevoli storie inventate nel periodo romantico legate all'aura del tutto particolare che attribuisce a questa partitura il fatto di essere rimasta incompiuta in seguito alla morte dell'autore.
LA GENESI DELL’OPERA
Requiem in re minore K 626 di Wolfgang Amadeus Mozart
Mozart compose la quasi totalità della propria musica sacra per i servizi liturgici della corte arcivescovile di Salisburgo. Le tredici Messe nate a Salisburgo, in un periodo compreso tra il 1769 e il 1780, non furono pensate dall'autore seguendo la traccia dettata dalla propria libera fantasia, ma nel rispetto dei precisi canoni imposti dall’Arcivescovo in carica. Quando nel 1781 si trasferì a Vienna, con l'emancipazione da cortigiano a libero professionista, poté interrompere questi rapporti "obbligati" con la liturgia cattolica. [Vienna ai tempi di Mozart]
Non è un caso che siano appena due i grandi lavori sacri degli anni viennesi - la Messa in do minore K. 427/417a e il Requiem K. 626, composti rispettivamente per iniziativa propria e dietro commissione privata, rimasti entrambi incompiuti per motivi diversi (il diminuito interesse dell'autore e la sua prematura scomparsa). Inoltre queste opere, per le imponenti dimensioni e per l'influenza del severo stile contrappuntistico di Bach e Handel (con le cui composizioni Mozart era venuto a contatto dal 1782) rappresentano una svolta rispetto alla concisione delle messe del periodo salisburghese.
Come racconta Stendhal, nel luglio 1791 Mozart - che in quel periodo aveva una condizione finanziaria disperata e la cui salute stava già declinando - ricevette la commissione per la stesura di un Requiem da parte di un anonimo che, corrispondendogli un lauto anticipo, metteva quale unica condizione quella di non ricercare l'identità del committente.
[Scena da Amadeus, di Milos Forman]
Il misterioso latore della richiesta, un signore vestito di nero, gli aveva consegnato una lettera senza firma, in cui l'anonimo scrivente, dopo aver tessuto le lodi del musicista, gli chiedeva se e per quale prezzo egli sarebbe stato disposto a scrivere una Messa funebre. Mozart consentì per 50 ducati, senza accettare però una scadenza fissa per la consegna. Qualche giorno dopo il misterioso messaggero tornò con la somma richiesta, promise un ulteriore compenso a lavoro finito, assicurò il compositore che aveva piena libertà di seguire il proprio gusto, ribadendo l’obbligo di non cercare mai di scoprire il nome del committente. Lo strano modo in cui gli fu commissionato il Requiem impressionò profondamente il musicista già ammalato e acuì tutti i presentimenti di morte, che da tempo ormai soleva esprimere, fino al punto da assumere l'aspetto d'una ossessionante idea fissa: per Mozart lo sconosciuto non poteva essere che un inviato dall'aldilà che gli ordinava di scrivere la sua stessa Messa da Requiem. Solo dopo la morte di Mozart si poté chiarire il mistero della strana commissione: il committente era il conte Franz Graf von Walsegg [ミellげiママagiミe], un compositore dilettante che possedeva una cappella privata nella quale soleva eseguire musiche che spacciava per sue, ma che in realtà erano composte da altri. Il Requiem commissionato a Mozart era destinato a servire per le funzioni in suffragio della sua defunta moglie. Egli stesso l'avrebbe poi copiato di proprio pugno, scrivendoci «composto dal Conte Walsegg».
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Spogliate delle tante fantasticherie, le vicende della genesi appaiono piuttosto semplici.
[5] Il 1791 fu però per Mozart un anno pieno di impegni a cui far fronte rapidamente. Così il Requiem fu completato fino al secondo brano, in gran parte abbozzato, e poi lasciato molti mesi fra le carte che furono ereditate dalla moglie Constanze [ミellげiママagiミe].
Certamente Mozart, di ritorno da Praga, dove aveva curato l'esecuzione della Clemenza di Tito, attese alla partitura del Requiem nei mesi di ottobre e novembre, interrompendola poi solo per finire Il Flauto magico, non senza che il declinante stato di salute avesse influenza sulle sue condizioni nervose e lo portasse, secondo attendibili testimonianze, ad affermare di comporre l'opera per sé stesso. Per rendersi conto della disposizione d'animo in cui lavorava, basta leggere questo passo di una lettera indirizzata presumibilmente a Lorenzo da Ponte: «Aff.mo Signore. Vorrei seguire il vostro consiglio, ma come riuscirvi? Ho il capo frastornato, conto a forza, e non posso levarmi dagli occhi l'immagine di questo sconosciuto! Lo vedo di continuo, esso mi prega, mi sollecita ed impaziente mi chiede il lavoro. Continuo perché il comporre mi stanca meno del riposo. Altronde non ho più da temere. Lo sento a quel che provo che l'ora suona; sono in procinto di spirare; ho finito prima di aver goduto del mio talento. La vita era pur sì bella, la carriera s'apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non si può cangiare il proprio destino. Nessuno misura i propri giorni, bisogna rassegnarsi, ma sarà quel che piacerà alla Provvidenza. Termino ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto». Lo stato d'animo in cui egli lavorava al Requiem era tale che la moglie cercò di sottrargliene la partitura ed anche i suoi amici tentarono di consigliargli il riposo per liberarsi dall'incubo che lo attanagliava. Sembra che un giorno passeggiando per Vienna rispose assorto alla moglie Constanze che stava pensando alla musica per il suo funerale. Con il progredire della composizione, la salute di Mozart peggiorò. E quando morì, il 5 dicembre 1791, Mozart aveva completato solo i primi due pezzi (Introitus, Kyrie e parte del Dies irae). e aveva lasciato appunti, più o meno nutriti fino all'Hostias, con i quali sviluppare le parti Delleseguenti.setteparti dal Dies Irae fino al Hostias sono scritte in partitura solo le parti vocali e il basso, mentre le parti strumentali sono indicate sommariamente. Delle ultime tre parti non esiste nemmeno l'abbozzo autografo, né si sa se Mozart arrivò a tracciarle.
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furono legati da un vincolo di segretezza; nessuno doveva sospettare che Mozart non fosse l'unico autore del Requiem. [Franz Xaver Süssmayer] [Joseph Eybler] [Maximilian Stadler] Constanze, circa due mesi dopo la morte del marito, consegnò all'incaricato del conte la partitura, spacciandola per autentica. In ogni modo la donna, che aveva fiutato l'affare in termini di immagine e di denaro, ne tenne copia anche per sé e sostenne per molti anni che tutto il Requiem fosse originale. Nel 1800 il Süssmayer scrisse una lettera all'editore Breitkopf con l’intento di «chiarire» la verità e asserendo non solo di avere completato la partitura delle sette sezioni dal Dies Irae al Hostias, ma di aver composto per intero la chiusa del Lacrymosa, il Sanctus, il Benedictus e l'Agnus Dei e d'aver ripreso il fugato del Kyrie sulle parole “Cum Sanctis”. La maggioranza degli esegeti dell’Ottocento non gli prestò fede, ed interpretò il suo atteggiamento come un disonesto tentativo di accrescere il proprio prestigio di compositore. In tempi più vicini a noi, invece, critici autorevoli quali l'Einstein si dimostrarono inclini a interpretare le asserzioni del Süssmayer come un atto di «onestà» e di credergli sulla parola. In realtà ci sembra che non sarà mai possibile tracciare un netto confine tra le parti che sono sicuramente della mano di Mozart e quelle integrate dal Süssmayer: qui c'è realmente un velo di mistero che non potrà mai essere del tutto sollevato.
Fino all'ultimo Mozart lottò per strappare qualche giorno di vita che gli permettesse di portare al termine il Requiem. Fino all'ultimo si faceva suonare al pianoforte e cantare da allievi e amici le parti Temendocompiute.cheil committente non accettasse il manoscritto incompleto e pretendesse la restituzione degli anticipi ricevuti, la vedova di Mozart chiese ad altri musicisti di finire il lavoro. Fu l'allievo di Mozart ed amico di famiglia Franz Xaver Süssmayer ad accettare e completare l’incarico, coadiuvato da altri due allievi mozartiani, Joseph Eybler e Franz Jakob Freystädtler, e sotto il probabile coordinamento di un altro musicista vicino alla famiglia Mozart, l'abate Maximilian TuttiStadler.costoro
[7] Comunque, è da tener presente che il Süssmayer era stato uno dei più fedeli allievi di Mozart e gli fu accanto, giorno per giorno, fino al momento della morte. Pare che quando Mozart sentì che non sarebbe riuscito ormai a portare a termine il Requiem, abbia dato a Süssmayer istruzioni orali su come completare il lavoro, lasciandogli anche numerosi appunti, volanti. Süssmayer conosceva perfettamente le intenzioni del Maestro e godeva la piena fiducia di quest'ultimo tant’è vero che già in precedenza Mozart si era fatto aiutare da lui nella composizione della Clemenza di Tito: molte arie di quest'opera furono orchestrate dal Süssmayer, il quale compose anche i recitativi secchi. La sua elaborazione del Requiem presta certo il fianco a taluni dubbi e riserve, ma in nessun caso essi arrivano a intaccare la solidità del complessivo impianto mozartiano e a compromettere la validità di quello che resta uno dei più grandi capolavori della musica. Al Süssmayer va riconosciuto in ogni caso il merito di aver reso possibile l'inserimento del Requiem nel novero delle composizioni Quest'opera,musicali. anche grazie all'ottimo lavoro di propaganda di Constanze, è diventata uno dei maggiori veicoli della fama di Mozart subito dopo la sua morte. Negli ultimi anni del Settecento ebbe innumerevoli esecuzioni in varie città, prima tedesche poi europee, e fu scelto spesso per commemorare la morte di personalità più o meno importanti. In questa composizione sacra il Romanticismo ritrovò subito il suo clima e il Requiem, che alimentava l'aneddotica, anch'essa tutta romantica, della morte tragica e della sua musica, è divenuta fino ai nostri tempi una delle creazioni più famose ed eseguite di Mozart. In ogni modo, il Requiem, sorprendentemente, risulta all'ascolto opera unitaria nella fattura come nell'ispirazione.
LE ESECUZIONI DEL REQUIEM Vi sono alcune indicazioni riferite ad una prima (parziale) esecuzione del Requiem, molto prima della conclusione dell'opera, ovvero il 10 dicembre 1791 (quattro giorni dopo i funerali di Mozart nella Cappella del Crocifisso, situata sul lato nord, fuori dalla Cattedrale di Santo Stefano), durante la Messa da Requiem che Emanuel Schikaneder e Joseph von Bauernfeld organizzarono presso la Chiesa di San Michele a Vienna, dove possiamo trovare oggi una targa commemorativa relativa a questo Vennerofatto.eseguiti solo i primi due movimenti, l'Introito e il Kyrie. Non è noto quali strumenti siano stati utilizzati in questa occasione. La prima dell'opera completa ebbe luogo il 2 gennaio 1793 a Vienna nella Jahn’sche Konzertsaal, la sala da concerto di Jahn, dove Mozart fece la sua ultima esibizione come pianista nel 1791. L’evento fu organizzato da Gottfried van Swieten come parte di un concerto di beneficenza per Constanze Mozart e i suoi figli.
LA STRUTTURA MUSICALE
Il Requiem di Mozart segue quest’ordine: Introitus (cioè introduzione) costituito dall'invocazione all'eterno riposo contenuta nel Requiem aeternam e seguito dall'invocazione al Cristo Salvatore nel Kyrie eleison. Segue la sezione della Sequentia composta da sei brani: il primo è il Dies irae, in cui si descrive il cataclisma del giudizio universale e la fine del mondo; poi, nel Tuba mirum è cantato come, al suono della tromba, i morti si risveglieranno; segue l'apparizione di Cristo giudicante nel Rex tremendae e la rievocazione salvifica del calvario nel brano successivo, il Recordare. L'attuazione del giudizio divino avviene nel Confutatis, nel quale si dipinge il momento in cui i dannati saranno puniti e i beati saranno salvati. Il Lacrimosa è un'addolorata riflessione sul dramma del giudizio finale e un'ulteriore sottolineatura del ruolo centrale di Cristo come figura salvifica, elemento che caratterizza anche la successiva sezione dell'Offertorium costituita dal
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È solo il 14 dicembre 1793 (presso l'abbazia cistercense di Neukloster a Wiener Neustadt) che ebbe luogo la prima esecuzione che adempiva ai criteri dell'ordine e rispettava l'intenzione originaria, ovvero commemorare la defunta contessa di Walsegg. Secondo il racconto di uno dei musicisti presenti, a dirigere l'opera sarebbe stato lo stesso Conte di Walsegg, utilizzando una copia della partitura sulla quale si era iscritto come autore, come da sua abitudine. Un'altra esecuzione ebbe luogo il 14 febbraio 1794, nel terzo anniversario della morte della Contessa di Walsegg, presso la chiesa di Maria Schutz a Schottwien. La fama dell'opera si diffuse oltre Vienna e Wiener Neustadt grazie ad un concerto tenuto al Gewandhaus di Lipsia, il 20 aprile 1796, sotto la direzione di Johann Gottfried Schicht, futuro cantore della Chiesa di San Tommaso. Dopo il Requiem erano previste altre opere di Mozart con due interpreti: Constanze Mozart (voce) e August Eberhard Müller (organo). Müller, in seguito, divenne l'editore della stampa originale della partitura.
Lo spartito era una copia che Constanze Mozart e Süssmayer avevano fatto prima della consegna della partitura. Ciò avvenne probabilmente all'insaputa del conte Walsegg, il quale, avendo commissionato l'opera, ne possedeva quindi i diritti. [Veduta dell'altare maggiore della Chiesa di Saint-Michel. È in questa chiesa che il corpo di Mozart fu esposto durante il servizio funebre il 7 dicembre 1791.]
Il Requiem è una composizione su testo latino, composta da un insieme di brani finalizzati a celebrare la memoria di un defunto. Nel tardo Settecento la struttura della Missa pro defunctis era stabilita da una lunga tradizione, ma la scelta dei testi era in alcune occasioni lasciata alla discrezione del compositore che poteva adattarsi all'usanza locale.
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[Herman N. Matzen: LげAngelo della morte di Haserot. Cleveland] ORGANICO. L'opera è scritta per quattro solisti (soprano, contralto, tenore e basso), un coro e un'orchestra sinfonica ridotta, composta da due corni di bassetto (clarinetti tenore), due fagotti, due trombe, tre tromboni, timpani, un ensemble d'archi e un basso continuo (organo). Sono assenti legni acuti (flauti e oboi) e il corno francese. L'orchestrazione, sobria, rafforza la gravità e la trasparenza dell'opera e crea un'atmosfera cupa e austera. Nel Requiem di Mozart (come è consuetudine, se non la regola, in gran parte della musica religiosa), i solisti (qui quattro voci) occupano tutta la parte anteriore del palco. Sono totalmente assenti le arie e altre analoghe forme di virtuosismo solistico, a differenza di altre opere di musica sacra sia di Mozart che dei suoi contemporanei. Per quanto riguarda il coro, ha una notevole libertà, anche se solo il Kyrie gli consente di mostrare la sua magnificenza. Non ci sono brevi passaggi puramente strumentali. TONALITÀ. La tonalità principale del Requiem è il re minore, tonalità spesso associata ad atmosfere tenebrose o riferite all'Aldilà.
Domine Jesu Christe, appassionata richiesta di salvezza, e dal seguente Hostias, in cui si invita il peccatore alla preghiera. Seguono il Sanctus, evocazione della grandezza di Dio che termina con il canto dell'Osanna, e il Benedictus, ulteriore omaggio alla figura di Cristo, chiuso ancora dall'Osanna. Nell'Agnus Dei il figlio di Dio compare come agnello sacrificale che dona pace e salvezza. Segue poi la sezione finale della Communio, aperta e chiusa dal Lux aeterna in cui si invoca per i beati la luce eterna della salvazione e si canta la gioia dell'assunzione tra i santi.
[10] GUIDA ALL’ASCOLTO [Hans Memling: Trittico del Giudizio universale. Danzica, Muzeum Narodowe w Gdarísku] I. Introitus; Requiem aeternam (coro e soprano solo), Adagio II. Kyrie, (coro), Allegro III. Sequentia1. Dies irae (coro), Allegro assai 2. Tuba mirum (soli), Andante 3. Rex tremendae (coro), Grave 4. Recordare (soli), Andante 5. Confutatis (coro), Andante 6. Lacrimosa (coro), Larghetto IV. Offertorium1.Domine Jesu (soli e coro), Andante 2. Hostias (coro), Andante. Andante con moto V. Sanctus, (coro), Adagio VI. Benedictus, (soli e coro), Andante VII. Agnus Dei (coro) VIII. Communio: Lux aeterna (soprano e coro), Allegro. Adagio
INTROITUS: REQUIEM AETERNAM
L'Introitus è l'unica sezione della partitura interamente scritta da Mozart. Nel Requiem aeternam la musicale si veste subito di un carattere solenne e liturgico che conserva fino all’ultima nota. L'intervento del solista, al centro del brano, acquista il valore di una solitaria invocazione che sposta poeticamente l'attenzione dalla massa al singolo. Non dimentichiamo che diversi degli interventi solistici di quest’opera si pongono in contrasto con il coro, in modo da focalizzare l’interesse sul singolo essere umano e non trasformarla in una sorta di “opera lirica sacra”. Lo stesso discorso vale anche per i brani successivi in cui compaiono solo le linee vocali dei quattro solisti, che si combinano spesso come se volessero incrementare l'afflato della loro implorazione. [Pagina iniziale del Requiem. Biblioteca Nazionale Austriaca, Vienna]
I tromboni annunciano poi l'ingresso del coro, che intona il tema, prima il solo, poi imitato dalle altre sezioni. Gli archi suonano figure di accompagnamento, sincopate e traslate di un sedicesimo, sottolineando così il carattere solenne e regolare della musica. Si staglia come contrasto il purissimo assolo di soprano «Te decet Hymnus». Il contributo del soprano, posto nella parte centrale del brano, acquista il valore di una solitaria invocazione che si sgancia dal coro, come a porre l’attenzione di chi ascolta dalla massa al singolo. Quindi il tema principale viene trattato dal coro e dall'orchestra: le melodie mutano e s'intrecciano, si alternano più passaggi in contrappunto.
Il Requiem inizia con un'introduzione strumentale di sette battute, in cui i legni (prima i fagotti, poi i corni di bassetto) presentano il tema principale dell'opera in una sequenza contrappuntistica ad imitazione. L'attacco dell'Introitus è ricalcato sul Funeral Anthem for Queen Caroline HWV 264 di Georg Friedrich Händel: c'è però nella partitura di Mozart una atmosfera sonora peculiare, legata in gran parte alle scelte di strumentazione, dove gli unici legni presenti sono i corni di bassetto (della famiglia dei clarinetti) e i fagotti; di qui il timbro opaco e spettrale, che intreccia polifonie opponendosi ai pizzicati degli archi.
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TESTO: Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi reddetur votum in Jerusalem. [L'eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. A te si addice la lode, Signore, in Sion, e a te sia sciolto il voto in Gerusalemme.]
Exaudi orationem meam; ad te omnis caro veniet. Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. [Ascolta la mia preghiera, a te ritorna ogni anima mortale. L'eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.] KYRIE Il Kyrie è autografo per le parti corali, mentre i raddoppi strumentali vennero realizzati nei giorni immediatamente seguenti alla morte di Mozart da Franz Jakob Freystädtler, per potere eseguire questa parte musicale alla cerimonia funebre svoltasi nella chiesa di San Michele il 10 dicembre. In seguito Süssmayer aggiunse le parti di trombe e timpani. [Pagina dettagliata del Kyrie, con 3 scritti diversi: quelli di Mozart, Süssmayr e Freistädtler.]
Già nella sua conclusione il Requiem aeternam aveva in un certo qual senso anticipato il grandioso fugato del Kyrie, che qui esplode in tutta la sua drammaticità attraverso la mirabile geometria del contrappunto che viene utilizzato genialmente da Mozart per mostrare e far comprendere l’imperscrutabilità del disegno divino. Questa scelta stilistica, quasi volesse simboleggiarne l’eterno riproporsi tra inizio e fine, si ripresenta alla conclusione del Requiem, più esattamente nel Lux aeterna. I motivi contrappuntistici del tema di questa fuga (che riprende anche un tema di Händel, il Dettingen Anthem HWV 265), riprendono i due temi dell'Introito e ne fanno variazioni. Questo passaggio si rivela alquanto impegnativo nelle altezze, soprattutto per le voci di soprano (che salgono al Si sopra il rigo). Questa sezione termina con un Adagio a tempo rallentato.
[13] TESTO: Kyrie eleison; Christe eleison; Kyrie eleison; Christe eleison; Kyrie eleison; Christe eleison. [Signore pietà, Cristo pietà, Signore pietà.]
SEQUENTIA La parte successiva è la Sequenza divisa in sei sezioni fra loro plasticamente contrapposte in quanto a scelte di organico e contenuto espressivo. Le prime cinque sezioni sono state composte da Mozart in forma abbreviata, ovvero con le parti corali e solistiche complete, la linea del basso e alcune indicazioni di orchestrazione, più o meno precise a seconda dei vari momenti. L'orchestrazione venne completata in un primo momento da Joseph Eybler, quindi nuovamente realizzata da Süssmayer sulla base del completamento di Eybler.
DIES IRAE La prima sezione della Sequenza è il Dies irae, interamente corale, di impatto massiccio; sintetico, drammatico, ricco di effetti figurati inizia senza introduzione e con potenza, essendo l'orchestra e il coro al completo. È il momento più buio, più abissale di tutta l’opera con il coro che flagella l’ascoltatore con i versi del testo apocalittico e con l’incedere di tutta l’orchestra che crea un’onda sonora dal tremendo impatto emotivo. Soltanto Giuseppe Verdi, nel suo Requiem, saprà rappresentare in un modo altrettanto terrificante questo passaggio in cui la luce lascia spazio alle Itenebre.terribili richiami del coro sono rafforzati da un tremolo dell'orchestra e da sincopi introdotti nelle pause corali. Subito dopo, i primi violini suonano diverse sequenze cromatiche di semicrome fino alla ripresa delle strofe del coro. Un passaggio che fa effetto, ripetuto tre volte; l'alternanza "tremante" di Sol diesis e La, interpretati dal basso continuo, i violini nel registro grave e il basso all'unisono sul testo «Quantus tremor est futurus», fanno letteralmente impaurire l’ascoltatore al pensiero di cosa accadrà il giorno del Giudizio Universale.
TESTO: Dies irae, dies illa, Solvet saeclum in favilla, Teste David cum Sibylla. Quantus tremor est futurus, Quando Judex est venturus, Cuncta stricte discussurus!
Dopo un impatto, un monito così abissale, Mozart non poteva chiedere di più all’ascoltatore, provato e atterrito dalla visione dell’Apocalisse. Così, dopo la tempesta torna non certo il sereno, ma un frangente di lirica pausa, nella quale la tromba che annuncia la resurrezione dei corpi, simboleggiata all’inizio dal trombone, descrive con delicatezza il risveglio dei morti. Il brano raggiunge un risultato particolare: abbiamo la sensazione che i morti, aperti gli occhi per risorgere, rimangano essi stessi meravigliati dal prodigio. All’assolo solista del trombone segue un dialogo con la voce del basso, che evocao il giorno del giudizio. Sopraggiunge quindi il tenore solista, seguito successivamente dalla viola solista e dal soprano solista. Sul testo «Cum vix justus sit securus», il brano si trasforma in una strofa omofona1 cantata dalle quattro voci soliste, che si uniscono solo al termine. 1 Omofono: il brano viene eseguito all'unisono da più voci o strumenti, o anche un accompagnamento strumentale che esegua le stesse note della voce cantante.
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TUBA MIRUM
[Giorno d'ira, quel giorno distruggerà il mondo in faville, com'è attestato da Davide e dalla Sibilla. Quanto grande sarà il terrore quando verrà il Giudice a valutare ogni cosa con severità!]
Liber scriptus proferetur in quo totum continetur, Unde mundus judicetur. Judex ergo cum sedebit Quidquid latet apparebit. Nil inultum remanebit. Quid sum miser tunc dicturus? Quem patronum rogaturus, Cum vix justus sit securus? [Sarà portato un libro scritto in cui tutto è annotato per giudicare il mondo. Quando il giudice si sarà assiso tutto ciò che era nascosto apparirà e nulla resterà impunito. Che dirò allora io, misero? A quale avvocato mi appellerò se a mala pena il giusto è sicuro?]
TESTO:
REX TREMENDAE MAIESTATIS Il Rex tremendae majestatis, brano di sole 22 battute, descrive l’apparizione del sommo Giudice. Mozart insiste con un ritmo puntato che compare subito all’inizio e che ne caratterizza l’incedere quasi come se il suono si muovesse a scatti per evocare meglio la tragica solennità del momento in cui tutti gli uomini attendono spasmodicamente di conoscere la propria sorte. Reca nettissima l'impronta di Händel, nell'alternanza (e poi sovrapposizione) dei ritmi puntati degli archi e della massa corale.
Tuba mirum spargens sonum, Per sepulchra regionum, Coget omnes ante thronum. Mors stupebit et natura Cum resurget creatura, ludicanti responsura. [Una tromba, con un suono mai prima udito tra i sepolcri delle nazioni sospingerà tutti davanti al trono. Stupefatte saranno Morte e Natura quando ogni creatura risorgerà per rispondere a Colui che giudica.]
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Il brano si apre con tre Rex del coro, una potente esclamazione che poi sfocia in un declamato “Rex tremendae majestatis” sostenuto dai fiati. Dopo un inizio così grandioso, il Coro si divide: soprani e contralti ripetono a canone la frase, tenore e bassi invocano la grazia di Dio (“Qui salvandos salvas gratis”). Le due sezioni corali si uniscono in chiusura con un “Salva me, fons pietatis” in piano. Il brano è ricco di variazioni: scrittura omofonica e passaggi corali in contrappunto si alternano più volte e terminano in una cadenza corale quasi non accompagnata.
TESTO: Rex tremendae majestatis qui salvandos salvas gratis salva me, fons pietatis. [Re di tremenda maestà che salvi per la tua grazia, salvami, o fonte di misericordia.]
La seconda parte si apre con basso e tenore che impostano a canone «Quaerens me» completata da Contralto e Soprano «sedisti lassus». Il dialogo prosegue («Redemisti crucem passus») sino al declamato «tantus labor non sit cassus».
Il Recordare, che narra il dramma del Calvario, è la sezione più ampia della Sequentia (130 battute) alla quale, nella testimonianza di Constanze, Mozart teneva particolarmente. [Andrea Mantegna: Crocifissione. Museo del Louvre. Parigi] In un'introduzione di 13 battute, i corni di bassetto sono i primi a presentare il primo tema arricchito da un magnifico contrappunto dei violoncelli poi esteso agli archi. Questa introduzione ricorda l'inizio del lavoro, con i suoi spostamenti ritmici e melodici (il primo corno di bassetto inizia una battuta dopo il secondo corno di bassetto, ma un tono più alto; i primi violini sono in relazione con i secondi violini, ma spostati di un quarto di nota, ecc.). Seguono a canone le voci soliste dapprima contralto e basso («Recordare Jesu pie») quindi soprano e tenore («quod sum causae tuae viae») su imitazione degli archi seguiti dai fiati che raddoppiano le voci (Mozart ricorre spesso al raddoppio per rinforzare le armonie).
Il ritorno del tema del Recordare in altra tonalità prepara la confessione «Ingemisco tamquam reus» con le voci che ora procedono in omofonia. Dopo un ultimo sussulto affidato a modulazioni ravvicinate con le voci che ricordano il perdono a Maria Maddalena e ai due ladroni, voci ed
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RECORDARE
Questa prima parte si chiude con la supplica «Ne me perdas» rispetto al quale l'accompagnamento contrasta con quello del primo tema. Invece di scale discendenti, l'accompagnamento è limitato a note ripetute sugli archi.
TESTO: Recordare, Jesu pie, quod sum causa tuae viae. Ne me perdas illa die. Quaerens me sedisti lassus, redemisti crucem passus: tantus labor non sit cassus. Juste judex ultionis, donum fac remissionis ante diem rationis. Ingemisco tamquam reus, culpa rubet vultus meus: supplicanti parce, Deus. [Ricordati, o pio Gesù, che io sono la cagione del tuo cammino. Fa' ch'io non mi perda quel giorno. Cercandomi, ti sedesti stanco e mi redimesti, soffrendo sulla croce: tanto dolore non sia vano! Giusto giudice vendicatore, concedimi la grazia della remissione prima del giorno della sentenza. In quanto reo mi lamento, il mio volto arrossisce per la colpa: risparmia chi ti supplica, o Dio.]
[17] orchestra concludono con una coda soffusa di serenità: le ultime battute del movimento sono affidate all'orchestra, che suona un'ultima volta il contrappunto in scale discendenti.
Qui Mariam absolvisti, et latronem exaudisti, mihi quoque spem dedisti. Preces meae non sunt dignae, sed tu, bonus, fac benigne ne perenni cremer igne. Inter oves locum praesta, Et ab haedis me sequestra, Statuens in parte dextra. [Tu assolvesti Maria ed esaudisti il ladrone; anche a me hai dato speranza. Le mie preghiere non sono degne, ma tu, clemente, fa benignamente ch'io non arda in eterno nel fuoco. Offrimi un posto tra le pecorelle e separami dai caproni ponendomi alla tua destra.]
CONFUTATIS Altro brano d’impatto sonoro sconvolgente, in cui il coro assume un ruolo centrale, mentre l’orchestra, con il procedere ostinato degli archi che da una parte è capace di evocare le fiamme infernali e dall’altra, con la sua ossessiva ripetitività, crea un clima terrificante. Il Confutatis è il protagonista di una delle ultime e più drammatiche scene del film Amadeus di Milos Forman, con Mozart a letto che detta a Salieri la prima parte del brano. Diverse testimonianze conferiscono una certa veridicità a questa scena riferendo di un Mozart ormai allo
TESTO: Confutatis maledictis, Flammis acribus addictis, Voca me cum benedictis. Oro supplex et acclinis, Cor contritum quasi cinis, Gere curam mei finis. [Confutati i maledetti e condannati alle fiamme ardenti, chiamami tra i benedetti. Ti prego, supplicando e prostrandomi, il cuore ridotto quasi in cenere, prenditi cura della mia fine.]
[18] stremo delle forze per la malattia e circondato da Constanze e dagli amici. Naturalmente Salieri non poteva essere presente…
Il Confutatis abbaglia con forte ritmo, dinamica e contrasto, e sorprendenti giri armonici. È su questo tappeto sonoro che il coro si scinde tra le voci maschili, raffiguranti le anime dei dannati e le voci femminili, che simboleggiano le anime dei salvati. La parte maschile del coro canta la forte visione infernale su un ritmo puntato, acuto («Confutatis maledictis, flammis acribus addictis»). L'accompagnamento del basso continuo si interrompe, e le voci femminili del coro cantano sommessamente e sottovoce la preghiera degli eletti («Voca me cum benedictis») [Luca Signorelli: Dannati all'inferno. Cappella di san Brizio, Duomo di Orvieto]
LACRIMOSA
La leggenda vuole che Mozart scoppiò in pianto scrivendola. La verità è che ne scrisse solo le prime otto battute (le ultime note scritte dal compositore prima di morire), il rimanente venne completato da Süssmayer. Sicuramente rappresenta il brano più commovente, più struggente, più desolante di tutta l’opera, con i violini che si lasciano andare a un suono “singhiozzante” che dà l’impressione quasi di veder scendere le lacrime dalle loro corde. Un particolare difficilissimo da rendere orchestralmente e che mette a dura prova l’abilità dei direttori e delle compagini strumentali. Il brano inizia con una breve introduzione degli archi (senza bassi) ed ingresso del coro con due
TESTO: Lacrimosa dies illa, Qua resurget ex favilla, Judicandus homo reus. Huic ergo parce, Deus: Pie Jesu, Domine, Dona eis requiem. Amen. [Giorno di pianto quello in cui risorgerà tra le faville il colpevole, per essere giudicato. Abbi pietà di costui, o Dio. Pio Gesù, Signore, dona loro l'eterno riposo. Così sia.]
DOMINE JESU CHRISTE Il primo movimento dell'Offertorio si apre con il coro che canta in piano il Domine Jesu Christe su un arpeggio discendente dei violini, quindi esalta in forte la gloria di Dio («Rex gloriae!») affinché
[19] battute ripetute, rispettivamente per Lacrimosa e dies illa: è una figurazione semplicissima in piano accompagnata dai fiati. Ma subito dopo la tensione sale, con un acuto del soprano. Il manoscritto di Mozart si ferma dopo 8 battute, al vertice del crescendo, avendo egli scritto di propria mano solo le parti vocali e il basso continuo. Le ultime note di Mozart sono quindi su «homo reus ». L'intera orchestrazione e tutto ciò che segue non sono di Mozart: d’ora in avanti ci sono due battute di Eybler, quindi la penna passa a Süssmayer che ricorre in modo eccessivo ai tromboni in questa prima parte, dove Mozart avrebbe optato per i più discreti corni di bassetto e fagotti. Süssmayr continua l'omofonia del coro, che culmina in una citazione dall'inizio del Requiem (ai soprani) e termina su una cadenza Amen in due accordi. Alcune battute di questo brano sono citate nel Requiem di Franz von Suppé, grande ammiratore del Requiem di Mozart. Un appunto di un tema di fuga su un foglio staccato suggerisce che Mozart aveva pensato di concludere tutta la sequenza con una settima sezione, una fuga sull"'Amen"; una soluzione che venne però scartata da Sussmayer, forse per la sua eccessiva difficoltà.
OFFERTORIUM Il completamento di questa sezione è stato iniziato dall'abate Maximilian Stadler e portato a termine da Süssmayer. Le due parti tradizionali dell’Offertorio elevano la preghiera a Dio perché le anime dei defunti non precipitino nella dannazione eterna ma siano condotte dall’Arcangelo Gabriele verso la luce di Dio promessa ad Abramo e alla sua stirpe.
[20] liberi le anime di tutti i defunti dalle pene dell’inferno in un clima di agitazione segnalato dalle frasi cantate, articolate ad alta voce, spesso all’unisono dal ritmo puntato degli archi, dal sillabato di «profondo lacu» e dall’invocazione «libera eas de ore leonis” » (liberale dalle fauci del leone, ossia dalla dannazione) dove l’implorazione del coro sembra all’improvviso pervaso da un grande terrore. L’attacco del fugato successivo è cantato dai tenori, con ingresso delle altre parti corali: le voci “saltellano”, per riprodurre allegoricamente il precipitare dei corpi negli inferi sulle parole «ne absorbeat eas tartarus ne cadant in obscurum». Il fugato continua con i quattro solisti a cominciare dal soprano. Il movimento si conclude con il «Quam olim Abrahæ» (Quello nel passato di Abramo), che dapprima ha lo stile di una fuga, per poi trasformarsi in un vivace movimento omofono che termina in sol maggiore.
TESTO: Domine, Jesu Christe, Rex gloriae, libera animas omnium fidelium defunctorum de poenis inferni, et de profundo lacu. Libera eas de ore leonis, ne absorbeat eas Tartarus, ne cadant in obscurum: sed signifer sanctus Michael repraesentet eas in lucem sanctam, quam olim Abrahae promisisti et semini eius. [O Signore Gesù Cristo, Re di Gloria, libera le anime di tutti i fedeli defunti dalle pene dell'inferno e dal profondo abisso: liberale dalle fauci del leone affinché non le inghiotta il Tartaro e non cadano nell'oscurità: ma il vessillifero San Michele le riporti alla santa luce che un giorno promettesti ad Abramo e alla sua discendenza.] HOSTIAS Ancora una volta, in questo brano, dopo la tensione spasmodica del precedente, Mozart dona all’ascoltatore un momento di estasi, una provvidenziale oasi di pace momentanea nella quale trovare un nuovo motivo di speranza, contrassegnato dal canto omofonico del coro e dal tenue fraseggio degli archi. La pagina è divisa in tre parti: le prime due con lo stesso testo, con il coro che canta alternando forte e piano-forte, la terza con il ritorno integrale della fuga «Quam olim Abrahæ» di Domine L'istruzioneJesu.
per ripetere questa parte («Quam olim da capo») è probabilmente l'ultima cosa che Mozart ha scritto sul Requiem. Questa nota manoscritta è stata presumibilmente persa all'Esposizione Universale del 1958 a Bruxelles, dove era stato esposto lo spartito: l'angolo inferiore
[21] destro dell'ultima pagina, dove era scritto, sarebbe stato strappato e rubato da una persona la cui identità rimane sconosciuta. Tuttavia, la nota si trova sui facsimili. La scrittura corale è omofona, ma la musica della seconda parte ha un colore più scuro. La chiusa è una coda in piano.
TESTO: Sanctus, sanctus, sanctus, Dominus Deus PieniSabaoth.sunt caeli et terra gloria tua. Hosanna in excelsis. [Santo, Santo, Santo il Signore Dio degli eserciti. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell'alto dei cieli.]
TESTO: Hostias et preces tibi. Domine, laudis offerimus: tu suscipe pro animabus illis, quarum hodie memoriam facimus; fac eas, Domine, de morte transire ad vitam, quam olim Abrahae promisisti et semini eius. [Sacrifici e preghiere in tua lode ti offriamo, o Signore: tu accettali per quelle anime che oggi ricordiamo: fa' che possano passare dalla morte alla vita eterna.]
NOTA. Da ora in poi è impossibile stabilire gli eventuali spunti di Mozart nei pezzi successivi, pervenuti interamente nella grafia dell'allievo. Una analisi dei materiali melodici di base di queste sezioni - nonché dell'"Osanna" che chiude il Sanctus e il Benedictus - mostra delle corrispondenze che suggeriscono come Süssmayer avesse a disposizione alcuni appunti mozartiani rimasti nascosti e che non ci sono quindi pervenuti. SANCTUS Dalla speranza alla gloria, il passo è breve e il Sanctus vede la speranza tramutarsi in un canto quasi gioioso colmo di grazia nei confronti di Dio, sancito dal coro con quest’ultimo che intende rappresentare l’esaltazione delle anime. Il Sanctus è il primo movimento scritto interamente da Franz Xaver Süssmayer, e l'unico in tutto il Requiem ad installare una chiave con un forte rinforzo, vale a dire Re maggiore, una chiave solenne. Il Sanctus si apre con la triplice esclamazione sull’incipit del Dies irae, cui segue una fuga sul testo Osanna in excelsis scolastica e sommaria.
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TESTO: Benedictus qui venit in nomine Domini. [Benedetto colui che viene nel nome del Signore.] AGNUS DEI Nell'Agnus Dei l'elemento espressivo dominante è una scala discendente degli archi, simbologia dell'abbattimento e del dolore. L'Agnus Dei si basa sul contrasto fra la triplice invocazione e la supplica «dona nobis pacem». Gli studi più recenti mostrano che l'Agnus Dei è stato composto interamente dall'allievo di Mozart Joseph Eybler e non da Süssmayer. Questa è la parte più bella delle aggiunte al Requiem, e i musicologi si sono sempre chiesti come Süssmayer abbia potuto comporre un brano del genere (infinitamente superiore a qualsiasi cosa abbia scritto nella sua vita), alcuni avevano addirittura supposto che Mozart avesse sussurrato quasi completamente il pezzo a lui oralmente. Essendo la qualità e l'intelligenza musicale di Eybler molto superiori a Süssmayer, il confronto delle opere di quest'ultimo così come lo studio della scrittura sulla partitura sembrano restituire la paternità della scrittura dell'Agnus Dei a Joseph Eybler, con indicazioni musicali parlato oralmente o negli scritti (perduti) di Mozart.
Il Benedictus, affidato ai solisti e perciò intimistico, è singolarmente esteso e rifinito. Aprono la sezione tre battute di violini e corni di bassetto con una melodia delicata in mezzoforte. Inizia quindi il contralto con «Benedictus…» con archi e fagotti, seguito dal Soprano con corni di bassetto e violini; alla doppia invocazione rispondono i quattro Soli che sviluppano in imitazione le idee appena esposte e chiudono in omofonia sullo stesso verso. Alla fine ricompare l'Osanna in excelsis, che presenta variazioni vocali, mantenendo la stessa tonalità nel Benedictus (diversa da quella del Sanctus), si da rafforzare l’idea di omogeneità.
BENEDICTUS
TESTO: Lux aeterna luceat eis, Domine, cum sanctis tuis in aeternum quia pius es. Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis, cum sanctis tuis in aeternum, quia pius es. [La luce eterna splenda ad essi, o Signore, con i tuoi santi in eterno poiché tu sei misericordioso. L'eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua con i tuoi santi in eterno poiché tu sei misericordioso.]
LUXCOMMUNIOAETERNA
TESTO: Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona eis requiem. Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona eis requiem. Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona eis requiem sempiternam. [Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, dona loro il riposo. Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, dona loro il riposo. Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, dona loro l'eterno riposo.]
Quanto alla Communio, Süssmayer si limitò a riprendere la musica di Introitus e Kyrie; una soluzione che può apparire semplicistica, ma che lo stesso Mozart aveva adottato in altri lavori sacri, come la Messa dell'Incoronazione K. 317, rispettando in tal modo, con il ritorno della stessa musica iniziale, quella logica circolare, così propria dell'epoca, intesa a ribadire i principi eterni della religione. Forse, più che a questioni teologiche, la scelta di Süssmayer deve essere stata legata alla fretta e alla consapevolezza della propria inadeguatezza.
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LETTERA DI MOZART AL PADRE MALATO
"Carissimo papà, ricevo in questo momento una notizia che mi abbatte molto tanto più che stando all’ultima sua lettera potevo supporre che lei, grazie a Dio, fosse in buona salute ma ora sento che lei è molto malato! Non ho certo bisogno di dirle quanto arda dal desiderio di ricevere da lei stesso una notizia consolante; lo spero veramente nonostante abbia fatto l’abitudine a immaginarmi il peggio in ogni Datocosa.chela morte, a ben guardare, è la vera meta della nostra vita, già da un paio di anni sono in buoni rapporti con questa vera, ottima amica dell’uomo, così che la sua immagine non solo non ha per me più niente di terribile, ma anzi molto di tranquillizzante e consolante! Ringrazio Dio per avermi concessa la fortuna e l’occasione – lei mi capisce di riconoscere nella morte la chiave della nostra vera beatitudine. Non vado mai a dormire senza pensare che per quanto io sia giovane il giorno dopo potrei non esserci più, e di tutte le persone che mi conoscono nessuno potrà dire che io abbia un modo di fare imbronciato o triste, e ringrazio tutti i giorni il Signore per questa beatitudine, che auguro di cuore a tutti gli uomini. Nella lettera affidata alla Storace le avevo già esposto i miei punti di vista in materia in occasione del triste decesso del mio ottimo, carissimo amico conte von Hatzield aveva 31 anni, come me non compiango lui bensì me, profondamente, e anche tutti quelli che lo conoscevano bene come me. Spero e mi auguro che lei stia già meglio mentre io scrivo questa lettera; se però invece pensa di non migliorare, allora la prego per… di non tenermelo nascosto, ma di scrivere o farmi scrivere la pura verità, così che io possa essere il più presto possibile tra le sue braccia; la scongiuro per tutto quanto ci è sacro. Però spero di ricevere presto da lei una lettera rassicurante, e con questa piacevole speranza insieme a mia moglie e Carl le bacio mille volte le mani e sono sempre il suo ubbidientissimo figlio ".
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Dellesobrietà.tre incisioni in cui Karajan affrontò la registrazione di questa composizione, la migliore fu la seconda (1976), quando il grande direttore austriaco stava attraversando un momento critico della propria carriera. Ed è questa che recensisco. La bellezza del Requiem è resa in modo magistrale, in una versione coinvolgente, in perfetta sintonia con lo spirito tormentato di un Mozart malato, afflitto e atterrito al momento della sua ideazione, lacerato da oscuri presentimenti di morte. Questo Requiem è potente, violento con le sue percussioni, poi teso come sospeso, tra cielo e terra. È meraviglioso, ti vengono le lacrime agli occhi, in altri passaggi tremi, le emozioni ti trafiggono. L’interpretazione di Karajan risulta in special modo preziosa, dando vita a una esecuzione magistrale e meravigliosa che rende questa registrazione una delle più rilevanti di sempre e sicuramente l’edizione di riferimento del Requiem. I cori del Wiener Singverein sono eloquenti e commoventi in ogni caso, qui meno cupi e più luminosi dell’edizione precedente: il loro canto è un po' fitto, ma all'epoca era il modo di cantare. Vocalmente molto omogeneo, il prestigioso gruppo di cantanti (Anna Tomowa-Sintow, Agnes Baltsa, Werner Krenn, e un eccezionale José van Dam) culmina in un celestiale “Benedictus”. Sublime il suono dell’orchestra, il fraseggio dei Berliner Philharmoniker appare qui ancora più preciso che nel 1962, senza dubbio anche perché la prospettiva acustica è più nitida. Si rileva infine una notevole qualità della registrazione del suono.
Da avere ASSOLUTAMENTE!
La concezione di Karajan di quest’opera si traduce in una concisione sonora esemplare, i passaggi di forza non lasciano respiro né accordano concessioni, ma non appaiono mai stridenti, né aridi. È sempre presente un alito di poesia, di soavità all’interno della disperazione che accompagna la morte; nei frammenti lirici trabocca il sentimento, mentre nei punti più sereni regna una grande
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DISCOGRAFIA
Mozart: Requiem Anna Tomowa-Sintow, Agnes Baltsa, Werner Krenn, José van Dam Wiener Singverein. Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan. Deutsche Grammophon Karajan registrò il Requiem mozartiano tre volte in differenti periodi della sua vita, le prime due con la Filarmonica di Berlino (1962, 1976) e il 1986 con la Filarmonica di Vienna, sempre con risultati di eccezione, che riflettono i diversi stadi dello sviluppo della sua poderosa personalità di direttore.
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Mozart: ElisabethRequiemSchumann,
Kerstin Thorborg, Anton Dermota, Alexander Kipnis Choeuヴs de lげOpèヴa de Vieミミe. OヴIhestヴe Philharmonique de Vienne, dir. Bruno Walter. EMI Un binomio, quello rappresentato da Mozart/Walter, che assicura immediatamente un'elevata affidabilità e un piacevole ascolto, sia per i neofiti che si avvicinano al genio salisburghese che per gli appassionati cultori di Mozart. Non erano molti gli esecutori di prestigio che nella prima metà del '900 amavano rappresentare Mozart, soprattutto quello sinfonico o concertistico, né che ne erano veramente capaci: i numi tutelari del genio tedesco, FurtwänglerKnappertbusch-Klemperer, erano troppo immersi nel mondo romantico, da Beethoven in avanti, per interessarsi del compositore austriaco che non riusciva ad esprimeretranne forse che nel Don Giovanni e nel Flauto Magicoquegli slanci epici e quei valori sovrumani di cui essi andavano alla ricerca; Toscanini, in nome della presunta "oggettività" ci ha lasciato delle esecuzioni abbastanza sommarie, per non dire piatte; né si era ancora indagato Mozart dal punto di vista filologico, ricorrendo agli strumenti dell'epoca - come è avvenuto negli ultimi decenni - preferendo semmai fare di Mozart solo un precorritore di Beethoven ed interpretarlo di conseguenza. In questo quadro, abbastanza desolante, si differenziavano Erich Kleiber, Clemens Krauss e, soprattutto, Bruno Walter, che - privilegiando la scuola di tradizione viennese - andava riscoprendo ed Mozart per giungere, attraverso Schubert e il Beethoven della sesta sinfonia (la più snobbata dagli esecutori sopra citati), fino all'amato Mahler. E il segreto di Walter in Mozart - come peraltro anche in Mahler - è la semplicità, la naturalezza, il lasciarsi abbandonare, è la sua grande lezione e che verrà raccolta decenni dopo da Claudio Abbado. Mozart: Requiem K 626 Arleen Auger, Cecilia Bartoli, Vinson Cole, Renè Pape Konzertvereingung Wiener Staatsopernchor. Wiener Philharmoniker, dir. Sir Georg Solti. Decca Le prove mozartiane di Solti non hanno mai riscosso unanimi consensi. Questo Requiem però è singolare e sicuramente fonte di grande commozione, visto che è stato eseguito il 5 dicembre 1991 nella Cattedrale di Santo Stefano a Vienna per commemorare il bicentenario della morte di
approfondendo
Mozart: Requiem Edith Mathis, Julia Hamari, Wiedaw Ochman, Karl Ridderbusch Konzertvereingung Wiener Staatsopernchor. Wiener Philharmoniker, dir. Karl Böhm Deutsche Grammophon Considerata tra le migliori incisioni del Requiem di tutti i tempi mi lascia qualche piccola perplessità per l’adozione di tempi Quest'esecuzionelunghissimi.in particolare si differenzia da molte altre e le supera in bellezza per una presenza straordinaria della sezione strumentale dedicata agli archi: innegabile il ruolo che questi strumenti hanno nel corso della partitura fin dall'incipit del Requiem aeternam.
Il Requiem è introdotto e concluso dal solenne suono delle campane della cattedrale. L'acustica della Cattedrale di S. Stefano conferisce alla registrazione un'aura particolare che non fa che aumentarne il fascino. Esiste anche una versione video in dvd.
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Mozart. La registrazione audio conserva alcuni brani della Messa celebrata nell'occasione (così come la registrazione del Requiem mozartiano di Leinsdorf del 1964 tramanda brani della messa officiata dall'allora arcivescovo di Boston per commemorare John F. Kennedy, assassinato l'anno prima). Il Requiem doveva essere diretto da Leonard Bernstein, che morì prima della ricorrenza e fu sostituito alla guida dei Wiener Philharmoniker da sir Georg Solti. Ma al di là del valore documentario del disco, bisogna riconoscere che l'esecuzione è di grande, a tratti di grandissimo, livello. Come sempre con Solti non ci si dovranno attendere né un approccio rivoluzionario né straordinarie rivelazioni, si tratta di una lettura ben piantata nel solco della tradizione, con un'orchestra e, soprattutto, un coro in stato di grazia. Quanto ai solisti, Vinson Cole è sorprendentemente accettabile nel suo ruolo; singolare la commistione tra cantanti di vecchia generazione, come la sempre bravissima Augér, e stelle allora nascenti del firmamento canoro, quali René Pape e Cecilia Bartoli, all'inizio di una carriera che si annunciava splendida (e che forse, da certi punti di vista, splendida lo è stata davvero).
Mozart: Requiem Marie Arnet, Anna Stéphany, Andrew Kennedy, Darren Jeffery London Symphony Orchestra and Chorus, dir. Sir Colin Davis. LSO Davis è un grande nome, un direttore d'orchestra ineccepibile! Questa interpretazione del Requiem è semplicemente perfetta, equilibrata nella contrapposizione tra masse corali e sezioni solistiche! tutto è assolutamente perfetto, prodigioso, ammirevole, il coro della London Symphony, l'orchestra, la registrazione sonora. La registrazione è stata realizzata in diretta nel settembre e ottobre 2007 a Londra. Personalmente preferisco quella di Karajan, ma Davis non si smentisce mai: equilibrato, raffinato, ma anche pieno di partecipazione. Le prime note dell'Introito sono un inno all'amore di Dio, il Tuba mirum è raffinato e dolce, il Confutatis tremendo, il Lacrimosa solenne. Questo disco è affascinante.
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Mozart: Requiem Marie McLauglin, Maria Ewing, Jerry Hadlley, Cornelius Haaptmann Chorus e Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks, dir. Leonard Bernstein. Deutsche Grammophon Qualche anno prima di lasciarci, Leonard Bernstein diresse nel 1988 una toccante esecuzione del Requiem di Mozart. L’esecuzione, pubblica ma senza applausi, era dedicata al decimo anniversario della morte della moglie, Felicia di Montealegre (1921-1978), il cui volto il grande direttore volle venisse effigiato in copertina. L’esecuzione del Requiem fu preceduta dalla lettura di Bernstein della celebre “Lettera al padre” di Mozart, una lettera dal tono consolatorio date le gravi condizioni di salute di Leopold. La performance di Leonard Bernstein è meravigliosa: un sentimento travolgente prevale durante l'opera, accompagnato da un suono impeccabile, dove è possibile concentrarsi su ogni sezione dell'orchestra e del coro. I solisti sono di altissimo livello.
Tra tutte le versioni del Requiem, quella del direttore americano è la più sentita, la più romantica esecuzione mai ascoltata della messa mozartiana. Per alcuni è l'amore per la moglie scomparsa, per altri è invece il suo personale commiato dalla vita. È un grande Requiem che ha i tratti di una "sinfonia" piuttosto che quelli di una "messa da morto".
Bernstein sin dall'attacco iniziale chiarisce il senso della sua interpretazione: gli archi che si prolungano in ampi e lenti respiri sonori per approdare, poi, nel Lacrimosa, in un amen che sembra non aver mai termine, un commiato che non si vuole lasciare. La differenza tra il Requiem di Bernstein e quello di Solti è che il primo è il laico che entra in chiesa e resta affascinato dai canti liturgici, il secondo è invece il cattolico osservante che prega e recita: nel primo c’è lo stupore nel secondo la fede. L'ascolto è emozionante. La registrazione è eccellente, con l'organo che improvvisamente compare alle spalle del coro ed i fiati ad assecondare la melodia di una "sinfonia in forma di requiem".
Mozart: Requiem. Exsultate, jubilate*. Helen Donath, Christa Ludwig, Robert Tear, Robert Lloyd. Barbara Hendricks* Philharmonia Chorus & Orcgestra, dir. Carlo Maria Giulini. Academy of St. Martin in the Fields, dir. Sir Neville Marriner* EMI Questa versione di Giulini del 1978 è senza dubbio tra le migliori; magari non avrà l'appariscenza sonora di altri direttori d'orchestra, spesso troppo fine a sé stessa, ma qui l'omogeneità complessiva della partitura nella sua toccante religiosità risalta finalmente appieno. Un vero unicum per spiritualità interpretativa, con orchestra e cantanti di altissimo livello. Siamo qui nel repertorio prediletto da Giulini che - proprio in virtù del suo profondo credo cattolico - sapeva interpretare al meglio le pagine propriamente religiose (si vedano anche le magnifiche esecuzioni dello Stabat Mater rossiniano, della Messa da Requiem verdiana, finalmente sfrondata dalla consueta teatralità, e del Requiem tedesco di Brahms, ove risalta soprattutto il momento consolatorio ed Laintimistico).direzionediGiulini coglie appieno il significato cattolico del Requiem, alternando momenti di sacro terrore allorquando l'uomo viene sottoposto al giudizio divino ("Dies irae", "Rex tremendae maiestatis", "Confutatis Maledictis") ad invocazioni di lode e di preghiera ("Lacrimosa", "Offertorium"), pervenendo infine ad una pacata serenità con la speranza della vita eterna ("Agnus Dei", "Lux eterna").
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Mozart: Requiem Sylvia McNair, Carolyn Watkinson, Francisco Araiza, Robert Lloyd Chorus and Orchestra Academy of St. Martin in the Fields, dir. Sir Neville Marriner. Decca Virtuoso Non stravedo per Marriner, ma il suo Requiem di Mozart è davvero un capolavoro. Ogni componente - solisti, coro, orchestra - compie una performance eccellente, il tutto perfettamente assemblato. L'esecuzione è agilissima e vellutata. La resa sonora è molto buona, in pieno stile Decca.
Oltre al Coro che asseconda perfettamente le intenzioni del direttore, convincono anche i solisti - il soprano Helen Donath, il mezzosoprano Christa Ludwig, il tenore Robert Tear e il basso Robert Lloyd - sia sotto il profilo vocale (il timbro meno gradevole risulta quello di Tear) che interpretativo, i quali tutti - alla presenza di un direttore italiano giustamente esigente - sfoggiano un buon latino, cosa assolutamente dovuta, ma non scontata soprattutto quando la direzione è affidata a pur blasonati direttori stranieri. Disco che mi sento di consigliare sia per chi approcci per la prima volta questo capolavoro, quanto per chi voglia gustarne una prestigiosissima versione diversa da quelle che già possiede. Il CD si completa con l'Exsultate, jubilate, sempre di Mozart, che contiene una laude centrale dedicata alla Vergine, preceduta e seguita da due momenti di gioia, per l'appunto l'"Exsultate" iniziale e l'"Alleluia" conclusivo; l'esecuzione del 1987 è qui affidata a Sir Neville Marriner alla guida della "sua" creatura, quel gioiello della Academy of St. Martin in the Fields, e alla duttile voce del soprano Barbara Hendricks. La resa sonora del disco è molto buona.
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Mozart: ChristineRequiemSchäfer, Bernarda Fink, Kurt Streit, Gerald Finley Arnold Schoenberg Chor Concentus Musicus Wien, dir. Nikolaus Harnoncourt. Deutsche Harmonia Mundi
Wolfgang Amadeus Mozart: Requiem Emma Kirby, Carolyn Watkinson, Anthony Rolfe Johnson, David Thomas
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The Academy of Ancient Music, dir. Cristopher Hogwood.
Deutsche Harmonia Mundi Per quanto ne so, questa famosa registrazione del Requiem di Mozart, risalente al 1983, è l’unica ad adottare l’edizione curata da Richard Maunder, aspetto che rappresenta senza dubbio un motivo di interesse aggiunto. L’ambizioso obiettivo del musicologo inglese è quello di ricondurre l’opera alle intenzioni originali del suo autore, rimuovendo dalla partitura tutti i contributi attribuiti a Süssmayer e sostituendoli, ove possibile, con ricostruzioni basate su schizzi mozartiani. Va da sé che in quest’ottica le differenze più significative rispetto alla versione tradizionale riguardino la seconda parte della composizione. Il Lacrimosa viene profondamente rielaborato: prende le mosse dalle 8 battute scritte da Mozart ma si sviluppa in maniera completamente nuova, prima di culminare in un lungo fugato sulla parola Amen. Il Sanctus e il Benedictus, vale a dire i due brani più facilmente riconducibili a Süssmayer, vengono invece espunti del tutto. Hogwood e la sua Academy of Ancient Music realizzano un’esecuzione notevole, che non si distingue per particolari guizzi interpretativi ma per la misura e l’equilibrio con cui i musicisti riescono a
Come nella Missa Solemnis anche nel Requiem di Mozart, Harnoncourt dà un'interpretazione intima, legge il Requiem di Mozart in termini di umano, umanissimo accoramento, di coinvolgimento esistenziale che trova accenti intensi allorché compare la prima persona («gere curam mei finis»). Bandita ogni propensione per la grandiosità, Harnoncourt predilige una esecuzione incline a esaltare il testo, in un'ottica intima e meditativa, che conserva un sovrano senso della misura anche nei momenti più accesi (Confutatis, Dies irae), tanto da privilegiare, per esempio nel Kyrie, il tono umanamente sommesso della supplica rispetto alle geometrie spettacolari del contrappunto. L'inizio, che evidenzia il timbro soave di uno strumento chiave quale il corno di bassetto, è tra i più belli che si possano ascoltare. L’orchestra asseconda il suo direttore con sensibilità. Un elogio particolare va al coro duttile e profondamente espressivo. Ottimi anche i solisti. La registrazione è di gran livello.
La Cappella Real de Catalunya. Le Concert des Nations. Dir Jordi Savall. Aliavox Finalmente una interpretazione realmente filologica, scevra di ogni strato di romanticismo, che ci restituisce un Mozart più reale. Gli strumenti del tempo rendono l'ascolto indimenticabile. Savall ci dona freschezza e professionalità straordinarie.
Deutsche Harmonia Mundi Un Requiem che è ormai un classico. Perfetto dal punto di vista tecnico, superbo quanto alla interpretazione. La conduzione di Herreweghe è dinamica, tesa ad esaltare la grandiosità dei momenti più drammatici e teatrali ("Rex tremendae maiestatis", "Dies irae", "Confutatis") come il pathos mesto e doloroso del "Recordare" o del "Lacrimosa". Sontuosa l'orchestra: strepitosi gli archi, dal suono meravigliosamente chiaro e arioso, stupendi i fiati, a cominciare dai corni di bassetto che, con il loro suono dolcemente evocativo, introducono l'opera. La qualità del suono è ineguagliabile e l'equilibrio tra l'orchestra e il coro è ottimo.
W.A. Mozart: Requiem K626 / Mauererische Trauermusic K 477
[32] coniugare precisione, eleganza e vigore espressivo. Tra i cantanti, da segnalare la prova del soprano Emma Kirby, il cui timbro angelico e quasi privo di vibrato si armonizza alla perfezione con le voci bianche del coro. In sintesi, un CD importante dal punto di vista musicale ma forse ancora più stimolante sul versante musicologico.
des Champs Elyssèes dir. Philippe Herrewege.
Montserrat Figueras, Claudia Schubert, Gerd Türk, Stephan Schreckenberger
Mozart: OrchestreRequiemeChorus
Stern di Berlino e all'età di nove anni fece la sua prima apparizione pubblica come pianista.
[Gustav Mahler e Bruno Walter. Praga, 1908]
Un evento triste nella vita di Walter fu la morte di Mahler avvenuta il 18 maggio 1911; a conferma dello stretto rapporto tra i due, Bruno Walter era accanto al compositore sul letto di morte. Il 6 giugno di quell’anno scrisse a sua sorella che avrebbe diretto la prima del Das Lied von der Erde di Mahler; lo fece a Monaco il 20
Rimase attivo come compositore fino al 1910 circa, ma - come scrisse egli stesso - fu vedere un concerto del 1889 della Filarmonica di Berlino, guidata da Hans von Bülow, che decise il suo futuro. Nel 1893 fu scritturato come direttore dell'Opera di Colonia. L'anno seguente partì per l'Opera di Amburgo per lavorare come direttore del coro: lì incontrò per la prima volta e lavorò con Gustav Mahler, con la cui musica in seguito si identificò fortemente. Tra i due nacque una forte e solida amicizia. Walter fu successivamente direttore alla Hofoper di Vienna (1901-12); nel 1901 accettò inoltre l'invito di Mahler a essere suo assistente all'Opera di Corte di Vienna. Questa collaborazione rinsaldò i rapporti tra i due. Nel 1896 gli fu offerto un lavoro al Breslau Stadttheater a condizione che cambiasse nome. Forse il direttore dello Stadttheater pensava che il nome Schlesinger suonasse troppo ebreo. Bruno non era contento di cambiare nome, ma cedette alle pressioni. Walter diventò cittadino austriaco cambiando ufficialmente il suo cognome da Schlesinger a Walter. Oltre a cambiare il suo cognome, Bruno Walter cambiò anche credo religioso. Non è del tutto chiaro a quale ramo del cristianesimo si unì, ma probabilmente era il cattolicesimo, poiché le sue ceneri furono sepolte in un cimitero cattolico. La sua conversione sembra essere stata abbastanza sincera. Si dice che sua figlia Lotte abbia detto: “Era un cristiano e molto bravo. E più cresceva, più diventava religioso ".
Bruno Walter (vero nome Bruno Schlesinger) nacque a Berlino il 15 settembre 1876 da una famiglia ebraica della media borghesia. Cominciò la sua formazione musicale all'età di otto anni al Conservatorio
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I grandi direttori del ‘900: Bruno Walter
[34] novembre 1911, nella prima metà di un concerto tutto dedicato al compositore boemo (la seconda metà conteneva la Sinfonia n. 2). Il 26 giugno 1912 diresse la Filarmonica di Vienna nella prima mondiale di Sinfonia n. 9 di Mahler. 06 06-1911: Lettera di Bruno Walter a Justine (Ernestina) RoseMahler. Walter cerca di consolare se stesso e Justine per la morte di Mahler: “Vorrei solo dirti che i miei pensieri saranno con te domani mentre i tuoi cuori afflitti si solleveranno con nuova veeマeミza. Mi pヴeマe aミche ケui…. E posso seマpヴe ヴiミfヴescaヴマi con la speヴaミza di ヴiduヴヴe alマeミo uミ po’ del mio dolore e del mio dolore in azione: nelle due anteprime delle sue opere che darò il prossimo inverno. Questo sarà anche qualcosa per te, spero. Domani andrai con Elsa e Arnold a visitare la sua tomba: come sarei lieto anche io! Addio! In fedele ricordo, saluto te e Arnold. Cordialmente tuo, Bruno.
Nel 1913 lasciò Vienna per diventare direttore musicale dell'opera di Monaco di Baviera, dove rimase fino alla fine del 1922, quindi dal 1925 al 1929 diresse l'Opera di Stato di Berlino.
Walter coprì la carica di Direttore principale dell'Orchestra Gewandhaus di Lipsia dal 1929 fino al marzo 1933, quando il suo mandato fu interrotto dal nuovo governo nazista. Nei discorsi alla fine degli anni '20, il leader nazista Adolf Hitler si era lamentato amaramente della presenza di direttori ebrei all'Opera di Berlino e menzionò Walter diverse volte, aggiungendo al nome di Walter la frase "alias Schlesinger". Quando i nazisti presero il potere, intrapresero un processo sistematico per escludere gli ebrei dalla vita artistica. Il capo della polizia di Lipsia informò la direzione del teatro che avrebbe annullato i concerti se li avesse diretti Walter. La direzione resistette e Walter guidò le prove, ma il giorno in cui si sarebbe tenuto il primo concerto, la polizia, “in nome del ministero degli interni sassone”, proibì le prove generali e i concerti; a questo punto Walter decise di lasciare il suo incarico a Lipsia. Walter avrebbe anche dovuto dirigere la Filarmonica di Berlino, ma i suoi dirigenti furono avvertiti da Joseph Goebbels che al concerto avrebbero potuto verificarsi "manifestazioni spiacevoli" e il Ministero della Propaganda lo chiarì dicendo che ci sarebbero state violenze in sala; sentito questo, Walter scelse di ritirarsi anche da questo incarico, dicendo alla direzione: «Allora non ho più affari qui». Il concerto, alla fine, venne diretto da Richard Strauss. Anche un concerto che Walter avrebbe dovuto condurre a Francoforte venne cancellato. Arrivato a questo totale ostracismo, Walter lasciò la Germania e non avrebbe più diretto nella sua Patria fino a dopo la guerra.
Il 1 ° novembre 1939 salpò per gli Stati Uniti, che divennero la sua dimora permanente. Si stabilì a Beverly Hills, in California, dove tra i suoi numerosi vicini espatriati vi era Thomas Mann.
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Si rifugiò in Austria che divenne il suo principale centro di attività per diversi anni. Lui e la sua famiglia si trasferirono a Vienna, dove diresse regolarmente la Filarmonica di Vienna (con la quale fece numerose registrazioni epocali durante questo periodo), partecipando anche al Festival di DiresseSalisburgo.poi anche a Parigi (1938).
[Bruno Walter, Thomas Mann e Arturo Toscanini] Assunta la cittadinanza statunitense, dal 1941 diresse al Metropolitan e fu direttore stabile della Filarmonica di New York (1947-49). Diresse anche a Detroit, Minnesota e Boston. A partire dal 1947, ritornò a dirigere numerose volte in Europa, diventando una figura di riferimento al Festival di Edimburgo, a Salisburgo, Vienna e a Monaco di Baviera. La vita personale di Walter, nonostante il suo trionfo come direttore d'orchestra, fu piena di delusioni e amarezze. Il fatto che le sue composizioni siano sconosciute fu per lui una fonte di tristezza, anche allo stesso Mahler non piacevano le composizioni di Walter. Un altro lato negativo (e tragico) della sua vita fu quello affettivo. Rimase sposato con sua moglie Elsa per quasi 44 anni fino alla sua morte nel 1945, ma amava una donna diversa, la cantante Delia Reinhardt. Quando poi dovette fuggire dalla Germania e poi dall'Austria dopo che Hitler prese il potere, sua figlia minore, Gretel, si innamorò del baritono Ezio Pinza e fu assassinata dal marito geloso, un uomo di nome Robert Neppach, che poi si uccise. La sua tarda età è stata segnata dalle registrazioni stereo con la Columbia Symphony Orchestra, un ensemble di musicisti professionisti assemblati dalla Columbia Records per le registrazioni. La sua ultima
[36] registrazione
è stata una serie di Ouvertures di Mozart con la Columbia Symphony Orchestra alla fine di marzo del 1961
Walter è ampiamente considerato uno dei grandi direttori del 20° secolo. Di lui ci rimangono molte incisioni e importanti scritti: Von den moralischen Kräften der Musik (1935); G. Mahler (1936); Von der Musik und vom Musizieren (1957; tradotto in italiano Musica e interpretazione, edito nel Il1958).lavoro di Walter è stato documentato su centinaia di registrazioni effettuate tra il 1900 (quando aveva 24 anni) e il 1961.
La maggior parte degli ascoltatori ha familiarizzato con lui attraverso le registrazioni stereo fatte nei suoi ultimi anni, quando la sua salute stava peggiorando, ma molti critici concordano sul fatto che queste registrazioni non trasmettono appieno come doveva suonare l'arte di Walter nel suo periodo migliore. Le ultime registrazioni a volte hanno una genialità che contrasta con le performance più volubili, intense ed energiche che Walter aveva registrato nei decenni precedenti.
DISCOGRAFIA
Bruno Walter morì d’infarto il 17 febbraio 1962, a Beverly Hills, in California, e venne sepolto a Gentilino (nel Canton Ticino, in Svizzera).
Inoltre le ultime registrazioni si concentrano principalmente sulla musica da Mozart a Mahler, ma nella giovinezza Walter spesso dirigeva quella che allora era musica più recente o contemporanea (ad esempio Mahler). La triade dei compositori più eseguiti e che meglio inquadra la personalità di Bruno Walter è quella formata da Mozart, Mahler e Brahms. Per i primi due autori la critica è relativamente facile: infatti, da un lato Walter ebbe buon gioco, nella prima metà del novecento, a ricondurre Mozart nel giusto ambito della sua musicalità, sfrondandolo da eccessi di pre-beethovenismo come si usava allora, restituendo al genio salisburghese i giusti colori e la sua gioia di far musica; nel caso poi di Mahler, fu ancora più facile affermare la propria leadership, lasciando interpretazioni ancor oggi di assoluto riferimento, anche per la mancanza, fino agli anni a noi più vicini, di altri esecutori di pari livello che amassero la musica del compositore boemo. Bruno Walter, come Toscanini e Klemperer, ha avuto una terza età estremamente lucida e feconda, con grandi prospettive discografiche e con la possibilità di avere a disposizione un’orchestra foggiata a sua immagine e somiglianza (nel suo caso, la Columbia Symphony). Ciò ha fatto sì che nel giro di pochi anni egli mettesse in cantiere due incisioni integrali dei cicli di Beethoven e di Brahms (ma lo stesso discorso vale per singole sinfonie dei suoi autentici autori di elezione, Mahler e DaMozart).uninterprete in età così avanzata, sarebbe lecito attendersi che si attestasse sulle posizioni acquisite: invece le letture di Walter, pur in un quadro di continuità stilistica, presentano considerevoli evoluzioni. Le incisioni monofoniche newyorkesi sono contrassegnate, negli allegri,
[37] da tempi piuttosto irruenti (in Brahms la velocità è addirittura supersonica, con effetti talora spiazzanti), associati a un fraseggio garbatamente articolato e ad una concertazione sottile e frizzante: clima ideale per una pagina come la Quarta di Beethoven, che infatti, nel Walter del 1952, trova una delle interpretazioni più effervescenti e fantasiose dell’intera discografia. AA.VV. Columbia Album Collection. Dir. Bruno Walter Sony Non ci possono essere altre parole se non "eccezionale" per definire questa raccolta che riassume le migliori interpretazioni di Bruno Walter, un gigante della direzione d'orchestra di tutti i tempi. Questo magnifico set raccoglie tutte le registrazioni che Walter ha fatto in America tra il 1941, dopo essere emigrato dall'Europa, e la sua morte nel 1962. Comprende oltre settanta album di grande musica da assaporare, oltre altri sette dedicati a sessioni di prova, interviste, tributi e altro materiale promozionale qui raccolto insieme per la prima volta e che serve ad approfondire l'apprezzamento di Walter per la filosofia e la pratica della musica. Questa edizione offre una ricchezza di materiale, soprattutto quello degli anni '40 e primi '50, cioè il periodo creativo con la New York Philharmonic, in cui le interpretazioni di Walter erano ancora più energiche. Qui citiamo il primo ciclo completo di Beethoven (con entrambe le versioni della finale della IX Sinfonia). Ci sono tre versioni dell'Eroica da confrontare, e il Concerto dell'Imperatore con Rudolph Serkin. Anche le numerose registrazioni di Mozart non devono essere dimenticate, le prime registrazioni mono sono più fresche e luminose delle registrazioni stereo successive. E ancora le sue due registrazioni della Settima di Bruckner, di cui la registrazione stereo aggiunge circa 8 minuti alla mono. E come dimenticare Brahms? Eccellente anche la rimasterizzazione. Le vecchie registrazioni gommalacca degli anni '40 ne beneficiano maggiormente: sembrano fresche, aperte e dettagliate con una solida base per bassi senza rumori notevoli. La qualità audio varia dall'eccellenza delle edizioni stereo con la Columbia orchestra a comunque un più che buono delle registrazioni mono con la NYP. In ogni caso anche le registrazioni mono restituiscono un'ottima timbrica e credibilità: ovvio che manca la spazialità e la dinamica delle registrazioni recenti, ma la grandezza di Walter emerge limpida: il suo Beethoven, Mozart e Brahms sono tutt'ora un riferimento, dopo 60-70 anni dalla loro uscita.
Bruno Walter conducts Mozart New York Philharmonic – Columbia Symphony Orchestra, dir. Bruno Walter. Sony Walter è considerato il massimo interprete del repertorio mozartiano- In questo cofanetto ci sono tra le più belle incisioni mai fatte di opere mozartiane, e la qualità delle registrazione a volte è notevole nonostante l'epoca. Forse uno dei più belle registrazioni di tutti i tempi fatte su Mozart. Non erano molti gli esecutori di prestigio che nella prima metà del '900 amavano rappresentare Mozart, soprattutto quello sinfonico o concertistico, né ne erano veramente capaci: i numi tutelari del genio tedesco, Furtwängler-Knappertbusch-Klemperer, erano troppo immersi nel mondo romantico, da Beethoven in avanti, per interessarsi del compositore austriaco che non riusciva ad esprimere - tranne forse che nel Don Giovanni e nel Flauto Magico - quegli slanci epici e quei valori sovrumani di cui essi andavano alla ricerca; Toscanini, in nome della presunta "oggettività" ci ha lasciato delle esecuzioni abbastanza sommarie, per non dire piatte; né si era ancora indagato Mozart dal punto di vista filologico, ricorrendo agli strumenti dell'epoca - come è avvenuto negli ultimi decenni - preferendo semmai fare di Mozart solo un precorritore di Beethoven ed interpretarlo di conseguenza.
Completa il set un bel libro in copertina rigida che comprende un saggio introduttivo di Erik Ryding, una discografia, una tracklist e un indice dei compositori con fotografie e riproduzioni relative alla storia della registrazione.
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In questo quadro, abbastanza desolante, si differenziavano solo Erich Kleiber, Clemens Krauss e, soprattutto, Bruno Walter, che - privilegiando la scuola di tradizione viennese - andava riscoprendo ed approfondendo Mozart. Il segreto di Walter in Mozart è la semplicità, la naturalezza, il lasciarsi abbandonare ai bellissimi temi che sgorgano spontanei, la serenità e il tono agreste delle serenate, la profondità delle opere mature, la scorrevolezza dei concerti, la drammaticità del Requiem, la frivolezza dei Divertimenti, l'esoterismo della Musica massonica. Ci troviamo davanti ad un Mozart effusivo, lirico, caldo, espressivo, naturale, spontaneo, senza eccessi di alcun genere. Si tratta di un Mozart apollineo e dionisiaco. Ha assolutamente tutto. Questo cofanetto, composto da 6 CD, comprende tutta la produzione mozartiana dell'ultimo Walter, quello ormai ultraottantenne alla guida della Columbia Symphony Orchestra, creata
Il suono di questa edizione Sony è notevole. Bruno Walter conducts Mahler: Symphonies nn. 1, 2, 4, 5 e 9 - Das Lied von der Erde - Lieder New York Philharmonic Columbia Symphony Orchestra, dir. Bruno Walter. Sony Bruno Walter è stato allievo diretto ed amico personale di Mahler, la sua interpretazione dell'universo mahleriano è davvero straordinaria, egli amava e comprendeva la musica di Mahler (aveva ascoltato le esecuzioni di Mahler della maggior parte di esse) e la dirigeva spesso. Il grande direttore fu in effetti l'unico degli interpreti di massimo livello a dirigere costantemente l'opera del compositore boemo nella prima parte nel secolo scorso, in quanto Mahler era stato di fatto ostracizzato sia dai direttori tedeschi per motivi razziali essendo egli di origine ebraica, sia da Arturo Toscanini per i forti dissapori risalenti alla
[39] appositamente per lui, e registrata con la consueta professionalità dalla Sony (anche se talune esecuzioni sono ancora mono).
Oltre alle Tre danze tedesche e a due graziosi Minuetti, eseguiti con grande freschezza nonostante l'età del direttore, mi riferisco in primo luogo alle tre ultime sinfonie mozartiane, cupa la 39, riflessiva la 40, olimpica la 41; si ascoltino, per esempio, la Haffner o il finale della Jupiter dove le varie voci dell'orchestra sono tutte perfettamente udibili, come non si è abituati a sentire: viene così perfettamente reso l'aspetto polifonico del brano e della coda in particolare. Riguardo alla Sinfonia K 550 il Maestro dichiarò di avere atteso fino all'età di cinquanta anni prima di trovare il coraggio di proporla in concerto. Come pure ai Concerti per violino n. 3 e n. 4 eseguiti con grande maestria da Zino Francescatti con il suo Stradivari (oggi appartenente ad Accardo); inoltre alla poco rappresentata Musica Massonica KV 477, resa da Walter con grande commozione e partecipazione. Un elogio particolare al Requiem, l'unica opera eseguita con la New York Philharmonic Orchestra, lento, solenne e così dolente, che rappresenta, a mio parere, un punto di riferimento anche ai nostri giorni; è stupendamente cantato dalla Irmgard Seefried (migliore questa edizione rispetto a quella registrata alla fine degli anni '30) e dal tenore Leopold Simoneau (è splendido, che voce!).
Certamente non tutti i brani qui contenuti sono allo stesso livello e in alcuni casi - ad esempio per la deliziosa Eine kleine Nachtmusik - conviene rifarsi ad una precedente esecuzione degli anni '30 (contenuta nell'altrettanto bel cofanetto della serie ICON edito dalla EMI che contiene la discografia iniziale di Walter), ma in altri l'esito è assolutamente rilevante.
[40] scomoda convivenza comune negli Stati Uniti agli inizi del '900 (si vedano anche i poco lusinghieri giudizi di Toscanini su Mahler). Oggi, Mahler è molto ammirato e rappresentato frequentemente, ma era meno popolare durante la prima metà del XX secolo. Il cofanetto, contenente 7 CD, comprende le sinfonie nn. 1, 2, 4, 5 e 9, oltre al "Canto della terra", ai Lieder eines fahrenden Gesellen e ai Lieder und Gesange aus der Jugendzeit, eseguite negli anni '50-'60 con la Columbia Symphony o con la New York Philharmonic (nel caso della prima sinfonia sia dall'una che dall'altra). Incisioni storiche molto importanti che tutti gli estimatori di Mahler dovrebbero avere. Poiché lo stesso Mahler non ha mai diretto la Nona Sinfonia e Das Lied von der Erde, le esecuzioni di Walter non possono essere prese come documentazioni delle interpretazioni di Mahler. Ma alla luce del legame personale di Walter con il compositore e del fatto che egli abbia eseguito le esecuzioni originali, bisogna riconoscerne un’autenticità primaria. L'ascolto non delude certo le aspettative, anche se l'interpretazione data da Walter alle composizioni di Mahler diverge sensibilmente dalle esecuzioni che da ultimo vanno per la maggiore. In effetti le integrali dirette da Bernstein si presentano più esuberanti ed espansive, quelle di Abbado più intime e sofferte, le esecuzioni di Boulez più complesse e cerebrali, ma tutte difettano di un elemento fondamentale: la naturalezza, la facilità di esecuzione, in altri termini l'essenzialità che rendono le composizioni di Mahler più fluide e scorrevoli. Così vanno pertanto lette, a mio parere, le esecuzioni qui presentate: magnifiche la prima, la quinta e la nona sinfonia, oltre al Lied von der Erde. In conclusione, un cofanetto da non perdere (peccato non contenga alcun libretto esplicativo) per iniziare un'avventura entusiasmante per la conoscenza di QuesteMahler.registrazioni sono di particolare interesse per le pratiche esecutive dell'orchestra e anche per l'intensità dell'espressione. Oltre a queste magnifiche registrazioni consiglio anche la sua celeberrima registrazione del Das Lied von der Erde con Kathleen Ferrier, Julius Patzak e la Filarmonica di Vienna (Decca, maggio 1952) registrata di nuovo in studio con la Filarmonica di New York nel 1960. Mahler: Symphony n° 9 Vienna Philharmonic Orchestra, dir. Bruno Walter. Naxos historical La recensione di questo disco è presente a pag. 69 di questo numero della Rivista.
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Bruno Walter conducts Brahms New York Philharmonic Columbia Symphony Orchestra, dir. Bruno Walter.
Sony Diverso e più difficile da definire è il lascito di Walter riguardo a Brahms, qui rappresentato - in un cofanetto della Sony contenente 5 CD - da tutte le esecuzioni effettuate da Walter negli anni '60 prevalentemente alla guida della Columbia Symphony Orchestra. Nel caso di Walter sembra prevalere - almeno per quanto riguarda le sinfonie - un approccio decisamente classico: Brahms - nella visione di Walter - è un autore "borghese" che non si fa prendere da eccessi di eroismo o da crisi depressive, né da slanci epici o da convulsioni intellettualistiche.
Ecco perché l'interpretazione di Walter differisce sensibilmente da quella, ad esempio, di Furtwängler, probabilmente filologicamente meno corretta, volta a proiettare anche Brahms nel mondo romantico, con risultati di sicuro effetto; o da quella di Toscanini, più sintetica e meno pastosa, ma anche più vibrante ed energica; o, passando ad esecutori più moderni, da quella di Karajan, più ricca di colori, o da quella di Bernstein, più tesa e costantemente nervosa, e infine da quella di Abbado, la più raffinata. In conclusione, un Brahms eseguito correttamente da un grande direttore, che ne sviluppa soprattutto le componenti liriche e intimistiche, raggiungendo l'apice nella seconda sinfonia e, a tratti, nella terza, ma che appare caratterizzato da pochi momenti di grande emozione. Riaffermato tale concetto anche per l'esecuzione delle due Ouvertures - la Tragica e l'Accademicacome pure per le quattro danze ungheresi, per la verità piuttosto piatte, il discorso cambia invece per altre due composizioni contenute nel cofanetto.
Mi riferisco innanzitutto al Concerto doppio per violino e violoncello, in cui le parti soliste sono affidate ad esecutori del calibro di Zino Francescatti e di Pierre Fournier: qui il virtuosismo dei due interpreti sovrasta la stessa conduzione orchestrale di Walter. E ancora merita una particolare menzione "Un Requiem tedesco", op. 45, eseguito da Walter nel 1954 alla guida della New York Philharmonic Orchestra e con la partecipazione di Irmgard Seefried - spesso al fianco di Walter, sempre con risultati assai lusinghieri - e di George London: qui il clima è veramente quello giusto, grande intensità e raccoglimento, partecipazione convinta del Westminster Choir alle suggestioni di Walter, intimismo e sacralità dell'esecuzione. Risultati pure eccellenti sono ottenuti da Walter nelle altre due opere corali, la "Alt-Rhapsodie", interpretata da Mildred Miller, e lo "Schicksalslied", convincente canto del destino su versi di Holderlin, a conferma della maggior vicinanza di Walter, almeno nella fase finale della sua lunghissima carriera, alla musica religiosa di Brahms.
Per quanto riguarda la presentazione del cofanetto, l'unico neo - peraltro presente anche negli altri cofanetti Sony della serie "Bruno Walter conducts..." - è l'assenza di alcun libretto esplicativo.
L’Eroica è affrontata in chiave di elegante e discorsiva trasparenza cameristica. Anche la drammaticità della Quinta viene intesa in termini più razionali che tragici: dopo le lunghissime corone dell’incipit, il discorso prosegue a passo agile e abbastanza regolare, concentrando accelerandi e ritardandi quasi esclusivamente nella coda del primo movimento (persino gli sforzandi al centro dello sviluppo sono eseguiti quasi in tempo); seguono un andante solenne, uno
Anche le sinfonie dispari, comunque, riservano grate sorprese. La Settima, ad esempio, esibisce nell’introduzione e nell’allegretto una timbrica calda e un fraseggio avvolgente di straordinario fascino, mentre nei tempi rapidi l’elasticità agogica esalta il senso di progressione dinamica (si pensi ai ritardandi sulle sincopi del primo tempo o alle accelerazioni dello scherzo e del finale).
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Bruno Walter conducts Beethoven New York Philharmonic – Columbia Symphony Orchestra, dir. Bruno Walter. Sony Bruno Walter ha inciso due integrali delle sinfonie beethoveniane, entrambe da conoscere. La versione con la New York Philharmonic è più brillante e fantasiosa, ma quella con la Columbia, oltre a presentare il vantaggio del suono stereofonico, è davvero la quintessenza dell’arte personalissima di un interprete che, nel panorama direttoriale del XX secolo, rappresenta una figura del tutto autonoma da qualunque scuola o corrente.
Le versioni stereofoniche delle sinfonie beethoveniane con la Columbia portano all’estremo grado di affinamento quell’arte del rubato e quel lirismo limpido e solare che sono le cifre inconfondibili di questo genio della bacchetta. Da un carattere misurato e antiretorico come quello del maestro berlinese, riesce naturale attendersi gli esiti più persuasivi nel Beethoven delle sinfonie pari. In effetti, la “sua” sinfonia è in primo luogo la Pastorale, dove la scena al ruscello e l’allegretto conclusivo realizzano autentici prodigi di fluidità e iridescenza. Ancora una volta magnifica la Quarta, Inconfondibile la Seconda, con un larghetto lentissimo, di un lirismo quasi ipnotico; personalissima l’Ottava, dove l’intonazione neoclassica, quasi di parodia dello stile galante, è messa sapientemente in luce attraverso il gioco dei rubati e dei rallentandi (si vedano la presentazione del secondo tema nel primo movimento, l’alternanza tra incedere pomposo e movenze carezzevoli nel minuetto, la dinamica degli sforzandi nel finale).
[43] scherzo flessuoso e un finale luminosamente risoluto. Qualche lieve perplessità sulla Nona, che, rispetto all’agile e luminosa versione newyorkese, si fa qui sensibilmente più lenta: e la lentezza di Walter non sempre possiede la tensione epica di quella di Furtwängler. Completano la panoramica il mirabile Concerto per violino con Zino Francescatti (anche di questo esiste un raccomandabile pendant del periodo newyorkese, impreziosito dagli estri zingareschi di Josef Szygeti) e la Leonore n. 2; chiude un bonus CD con le prove dell’adagio della Quarta, dello scherzo della Nona e dei primi tempi di Quinta e Settima. La qualità del suono risulta nel complesso di soddisfacente livello, anche se bisogna riconoscere che, in quei primi anni dell’era stereofonica, i tecnici della CBS erano un po’ meno perfezionisti di quelli della RCA. Beethoven: Fidelio Kirsten Flagstad (Leonore), René Maison (Florestan), Alexander Kipnis (Rocco), Julius Huehn (don Pizzarro), Marita Farell (Marzelline), Herbert Janssen (Don Fernando) Chorus and Orchestra of the Metropolitan Opera, dir. Bruno Walter. Naxos Immortal Performances Questa performance è assolutamente avvincente, la spinta e la direzione appassionata di Walter in questa opera sono incendiari. La star dello spettacolo qui è ovviamente Kirsten Flagstad, la cui voce è tecnicamente superba, con una notevole espressività. Eccellente il cast. La qualità sonora è senza precedenti. Un classico di tutti i tempi.
[44] Gli Amici del… grammofono Ludwig van Beethoven Triplo Concerto per pianoforte, violino e violoncello op. 56 Sonata per pianoforte n. 26 op. 81 “Gli Addii” Ouverture OuvertureCoriolanEgmont
Noto comunemente come Triplo Concerto, il Grande Concerto in do maggiore per pianoforte, violino e violoncello, fu composto durante le estati 1803 e 1804, molto probabilmente per l'arciduca Rodolfo d'Austria (allievo di Beethoven per il pianoforte).
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Composizione unica nella produzione concertistica di Beethoven, il Triplo Concerto è un po' tenuto in ombra dalla critica come lavoro esteriore e alla moda; in realtà Beethoven, che lo chiamava "Sinfonia concertante", volle rifarsi al sonatismo e concertismo parigino, più brillante ed estroverso di quello viennese creato da Haydn e Mozart. È nell'Allegro che questo aspetto si fa più evidente, per la profusione delle idee introdotte dai solisti. Il 1803 rappresenta un anno proficuo per Beethoven: dopo l'intenso lavoro all'opera Leonore, si dedica alla revisione della Sinfonia n° 3 Eroica, completa il Triplo Concerto e compone le Sonate per pianoforte op. 53 e op. 54, oltre ad abbozzare larghe parti dell'op. 57, l'Appassionata. Sebbene venisse dedicato - nella prima edizione a stampa, del 1807 - al principe Lobkowitz, mecenate del compositore, il concerto fu composto, secondo Schindler, per l'arciduca Rodolfo d'Austria [vedi dipinto a dx], a cui Beethoven aveva da breve tempo iniziato ad impartire lezioni. La prima esecuzione pubblica avvenne soltanto nell'estate del 1808, all'Augarten di Vienna, ma già nel 1805 si era tenuta una esecuzione privata, con lo stesso arciduca (poco più che un dilettante) al pianoforte e due validi strumentisti appartenenti alla sua corte (al violoncello il famoso virtuoso Anton Kraft, al violino il modesto Carl August Seidler). Secondo Thayer-Riemann Beethoven riservò al suo nobile allievo l'esclusiva dell'esecuzione per il periodo di un anno. Alcuni commentatori avanzano l'ipotesi che originariamente l'opera sia stata concepita per il solo violoncello, vista la preponderanza virtuosistica che questo strumento ha nei confronti degli altri due solisti. Il Triplo, insomma, è una pagina d'occasione, nella quale il genio beethoveniano strizza l'occhio al genere brillante e salottiero, scritta su misura per le necessità della committenza; caratteristica che si riflette, secondo la prassi dell'epoca, in un contenuto concettualmente disimpegnato e nelle modeste ambizioni della scrittura solistica. E infatti la parte pianistica, piuttosto semplice ma brillante, tende a non mettere in ombra le più limitate capacità dell'esecutore rispetto agli altri due
Triplo concerto in do maggiore per pianoforte, violino e violoncello, op. 56
È ora la volta dei solisti, che in regolare successione espongono il primo tema: prima il violoncello nel suo registro acuto, seguito dal violino e dal pianoforte in ottava. Un nuovo tema, solenne e un poco retorico, esposto da tutta l'orchestra in fortissimo, precede un'ulteriore ripresa del primo tema, affidato al violoncello e subito elaborato e variato dai tre solisti in un episodio sereno e spensierato. Il secondo tema, esposto in la maggiore, viene ancora una volta affidato al violoncello e viene seguito da un nuovo episodio di sviluppo condotto principalmente dai tre solisti. Ancora il terzo tema, ora in fa maggiore, a tutta orchestra in fortissimo, precede l'ultima apparizione del primo tema, ancora nella successione violoncello-violino-pianoforte.
Primo movimento: Allegro. Il primo movimento si apre con un tema annunciato in pianissimo da violoncelli e bassi e poi ripreso da tutta l'orchestra in un graduale crescendo. Una serie di impetuose scale ascendenti (bassi e violoncelli) conducono alla tonalità della dominante (do maggiore), nella quale prima gli archi e subito dopo i legni presentano il secondo tema. Una breve coda, basata sulla testa del secondo tema, conclude l'esposizione dell'orchestra.
[46] solisti, impegnati - specie il violoncello - in un registro piuttosto acuto. Proprio il carattere intrattenitivo del brano, ascrivibile a un'estetica ancora settecentesca, ha lasciato delusi i cultori del Beethoven titanico e introverso, restii ad apprezzare, del compositore, anche l'aspetto più squisitamente artigianale. D’altra parte, il Triplo, come si è detto, è opera che guarda al passato anche sotto un altro profilo: la destinazione polistrumentale, legata alla antica prassi del Concerto grosso e poi della Sinfonia concertante, e già in marcato declino all'inizio del nuovo secolo, per la prepotente affermazione del Concerto con solista unico, improntato a una forte contrapposizione individuale fra solista e orchestra.
I due temi principali non sono contrastanti, ma piuttosto affini sotto il profilo ritmico e melodico che sotto quello strumentale (i solisti si scambiano il materiale melodico con raffinati e compiaciuti intrecci; mentre modesto, qui come altrove, è il contributo orchestrale); la comparsa di numerosi temi secondari contribuisce a stemperare la dialettica della forma sonata Lo sviluppo è piuttosto convenzionale e non evidenzia quelle tensioni drammatiche tipiche di Beethoven. È formato essenzialmente da due episodi: il primo basato quasi esclusivamente sulla testa del primo tema e condotto su energici arpeggi ascendenti e discendenti dei tre strumenti solisti, il secondo costituito da un nuovo motivo cantabile, esposto dal violoncello e subito raddoppiato dal violino. La ripresa è regolare
[47] e prevede il ritorno di tutti i temi uditi nell'esposizione, più il nuovo motivo cantabile apparso per la prima volta nello sviluppo; un'enfatica coda conclude poi il movimento.
Secondo movimento: Largo. Il Largo, secondo la tendenza tipica dell'autore in quegli anni, è di estrema brevità, appena una parentesi contemplativa, con gli strumenti ad arco sostenuti dagli arpeggi del pianoforte. È una pagina delicata, molto lirica, nella quale le straordinarie capacità cantabili del violoncello emergono in tutta la loro potenza. Poche battute orchestrali iniziali, poi la parola passa al violoncello solista, che espone il tema principale utilizzando il suo registro acuto; una breve transizione condotta dai corni e dal pianoforte conduce alla ripresa del tema principale. La melodia è ora affidata a violoncello e violino solisti, mentre pianoforte e corno sostengono armonicamente. Il sereno discorso musicale si spezza poi bruscamente: tonalità minore, sospensione armonica, lunghi pedali preparano l'arrivo dell'ultimo movimento. Terzo movimento: Rondò alla Polacca. Senza soluzione di continuità succede il Finale, che, nella tradizione della musica d'occasione, mostra una nota di "colore" folklorico; si tratta infatti di un Rondò alla polacca. È una pagina leggera e spensierata, ricca di idee squisite e di sonorità suadenti, una delle poche concessioni beethoveniane alla moda dell'epoca. La sua struttura è quella tipica del rondò, con un refrain (tema principale) che si alterna a diversi couplet (episodi).
Il tema principale, esposto dal violoncello e subito ripreso dal violino, è un motivo semplice e accattivante, che subito l’orchestra riprende con facilità e scorrevolezza, spesso variato e abbellito. Il primo couplet, basato su scorrevoli scalette ascendenti, è affidato ai tre solisti e si presenta come ideale continuazione del tema principale; il secondo couplet, invece, ha il tipico piglio ritmico della Polacca e ha in comune col terzo couplet la tonalità minore. Un veloce e frenetico Allegro, sorta di «moto perpetuo» condotto dai tre solisti sulle delicate punteggiature degli archi, precede il finale, nel quale riappare per l'ultima volta il tema principale. DISCOGRAFIA
Beethoven: Triple Concerto / Brahms: Double Concerto David Oistrakh (violino), Mstislav Rostropovic (violoncello) Svatoslav Richter (pianoforte) Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan. / Cleveland Orchestra, dir. George Szell. Warner Classics
Inoltre questo CD offre il Doppio Concerto per Violino e violoncello di Brahms con Oistrakh e Rostropovich sotto la direzione dei quel mostro sacro di Szell sul podio della Cleveland Orchestra. Un abbinamento eccellente sotto tutti i punti di vista, assolutamente da avere! Quando mai ritroveremo un insieme di solisti di tal fatta nelle sale da concerto al giorno d'oggi ? L'esecuzione dal punto di vista artistico è impeccabile e la direzione di Karajan è fenomenale. Quello che lascia stupefatti è che la qualità della registrazione a distanza di tanto tempo è perfetta e godibilissima anche su impianti audiofili di alto livello. Il concerto di Brahms non è meno potente, registrato nello stesso anno e mai uscito dal catalogo in oltre 50 anni (nemmeno il Beethoven) ed è un'interpretazione di riferimento ideale. ֍ Beethoven: Anne-SophieTripelkonzertMutter(violino), Yo Yo Ma (violoncello), Mark Zeltser (pianoforte)
Pur risalendo al 1969 questa leggendaria incisione resta tra le più importanti del mondo classico musicale, un vero punto di riferimento anche per i musicisti dei giorni d'oggi. Beethoven, Karajan con i Berliner Phliharmoniker, Oistrakh (violino), Rostropovich (violoncello) e Richter (pianoforte): cosa cercare di più? Per chi conosce il Triplo Concerto è una conferma di quanto bello sia, per chi non lo conosce è un'occasione da non perdere: veramente affascinante e sempre di gran impatto emotivo!
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Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan. Deutsche Grammophon Settembre 1979. Accompagnati dal pianista Mark Zeltser, un ventiquattrenne Yo-Yo Ma e una sedicenne Anne-Sophie Mutter andarono alla Philharmonie di Berlino per registrare il Triple Concerto di Beethoven. Li aspettavano Herbert von Karajan con i Berliner Philharmoniker e gli ingegneri della Deutsche KarajanGrammophon.insistette ancora una volta sul Beethoven che gli piace, opulento e sontuoso fornendo una dose maggiore di quella cantabilità e quel senso umanistico che sviluppò solo nell'ultimo periodo della sua carriera. In
questa incisione Ma e Mutter hanno saputo sfoggiare la bellezza sonora, la passione ben controllata e, soprattutto, la cantabilità del più alto volo poetico: non si sente il Largo senza sciogliersi completamente. ֍ Beethoven: Triple Concerto Symphony n° 7 Anne-Sophie Mutter (violino), Yo Yo Ma (violoncello), Daniel Barenboim (pianoforte) West-Eastern Divan Orchestra, dir. Daniel Barenboim.
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musicisti con questa straordinaria orchestra hanno suonato il Triplo concerto in modo inebriante in una gioia sfrenata, lasciandoci una delle più belle registrazioni di questo brano Labeethoveniano.Mutterè magnifica, incandescente, mostrando la bellezza e l'omogeneità sonora del suo strumento e il suo sorprendente virtuosismo; i suoi dialoghi con Ma gettano scintille vere, soprattutto nello sviluppo del primo movimento. Semplificandolo molto, si potrebbe dire che con Karajan i due giovani hanno raggiunto un perfetto equilibrio tra l'apollino e il dionisiaco, mentre nella loro maturità vengono consegnati alle passioni ad alta tensione. Di Barenboim e Beethoven possiamo dire poco che già non sappiamo. O sì: sorprendentemente, nella parte pianistica è molto più sereno e riflessivo dei suoi compagni, più attento alla sensualità e alla singolarità (quale plasticità il suono, quale incredibile maneggevolezza del rubato!), Eccellente la tecnica di registrazione della DG. La Settima Sinfonia abbinata è stata registrata a Buenos Aires il 31 luglio 2019, e può essere considerata la versione «definitiva» dell'opera di Barenboim, la più completa a livello globale, quella che raggiunge il più grande senso organico nel suo sviluppo, la più flessibile e fantasiosa, quella che meglio combina la riflessione con l’ardore , la più visionaria. L'orchestra multiculturale risponde molto bene, ma ovviamente non è paragonabile in alcun modo ai Berliner Philharmoniker. ֍
Deutsche Grammophon Questo concerto venne scelto per il 20° anniversario della fondazione della West East Divan QuestiOrchestra.tregrandi
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Wolfgang Scheneiderhan (violino), Pierre Fournier (violoncello), Geza Anda (pianoforte) . Janos Starker Radio(violoncello)*.Symphonie
Beethoven: Tripelkonzert / Brahms: Double Concerto*
Al Ttriplo di Beethoven è stato affiancato in questo CD il Concerto per violino, violoncello e orchestra op. 102 - più noto come "Doppio concerto" - di Brahms, registrato nel 1961 sempre da Fricsay con la stessa orchestra, avvalendosi ancora di Schneiderhan al violino e di Janos Starker, connazionale di Fricsay, al violoncello. Pure in questo caso l'esecuzione e la registrazione mi sembrano soddisfacenti e anche migliori che per il concerto di Beethoven: pur nell'ambito della consueta lettura trasparente, Fricsay immette molta più passione e calore nell'affrontare Brahms ed i solisti appaiono decisamente all'altezza del compito, ovviamente sempre sotto la vigile coordinazione del direttore. Il suono registrato risalente ai primi anni Sessanta è semplicemente sorprendente. Quindi, per dirla in poche parole, questa deve essere una versione definitiva di queste opere.
La scelta di Fricsay - che era allora all'apice della forma ed in grado di affrontare brillantemente il repertorio sinfonico beethoveniano, lasciandoci fra l'altro una bellissima registrazione della nona sinfonia - era senz'altro condivisibile, anche per le doti umane, oltre che tecniche, del direttore, capace di amalgamare le prestazioni dei solisti. In effetti Fricsay riuscì pienamente nell'intento, anche se la sua interpretazione caratterizzata da estrema leggerezza e trasparenza - caratteristica abbastanza atipica per un direttore in quel periodorisulta certamente elegante, ma forse non abbastanza calda e coinvolgente come avrebbe poi saputo fare Karajan. Dei solisti - che certamente formano un insieme convincente proprio grazie alla direzione di Fricsay - emergono soprattutto Fournier, a sua volta elegante e al contempo dotato di un suono pastoso, e Anda, sempre brillante e in perfetta sintonia con il direttore (con cui aveva già inciso i bellissimi concerti per piano di Bartok), mentre risulta meno in evidenza Wolfgang Schneiderhan, certamente lontano dai risultati ottenuti da Oistrakh.
Orchester Berlin, dir. Ferenc Fricsay. Deutsche Grammophon The Originals
Questa incisione, registrata nel 1960 dalla Deutsche Grammophon, affidata alla direzione di Ferenc Fricsay alla guida dell'Orchestra Sinfonica della Radio di Berlino (in precedenza RIAS), con Geza Anda al piano, Wolfgang Schneiderhan al violino e Pierre Fournier al violoncello, è stata per anni l’edizione di riferimento sino al 1969, anno della leggendaria registrazione con Karajan, Oistrakh, Rostropovich e Richter (recensita prima).
Sonata per pianoforte n. 26 in mi bemolle maggiore, op. 81a
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La Sonata venne infatti pensata in diretto riferimento alla partenza e al ritorno da Vienna dell'Arciduca Rodolfo d'Austria, allontanatosi dalla capitale austriaca con la famiglia imperiale il 4 maggio 1809 per sfuggire all'avvicinarsi delle truppe napoleoniche. Sulla copia originale troviamo infatti scritto: “L’Addio, Vienna 4 maggio 1809, per la partenza di Sua Altezza Imperiale il venerato Arciduca Rodolfo”, e sull’ultimo tempo è ancora scritto: “Il ritorno (Die Ankunft) di S.A. Imper. il venerato Arciduca Rodolfo, 30 Gennaio 1810”. Questa non è l’unica composizione dedicata all’Arciduca: la precedono i Concerti op. 58 e op. 73, il Triplo concerto op. 56, e seguiranno la Sonata per violino op. 96, le Sonate op. 106 e op. 111, la Messa solenne op.123, la Grande fuga per quartetto op. 133. La dedica di tutte queste composizioni scritte in periodi diversi testimonia la grande amicizia e riguardo che legava Beethoven al suo regale allievo e mecenate. E l’Arciduca arcivescovo, amante delle arti, musicista e compositore egli stesso, aveva ben inteso l’eccezionale personalità di Beethoven e gli dimostrava il rispetto e stima che un allievo deve dimostrare al Maestro. Il loro rapporto si accrebbe con il prodigale mecenatismo di Rodolfo. L'Arciduca aveva sottoscritto, nel marzo 1809, con i principi Kinstay e Lobkowitz, un documento nel quale concedeva al compositore una rendita vitalizia, per sollevarlo dalle preoccupazioni materiali, esigendo quale unico corrispettivo la permanenza nei confini dello Stato. Beethoven aveva nel frattempo ricevuto una ricca offerta dal Re di Westfalia Girolamo Bonaparte per trasferirsi in quel Paese, ma decise di rifiutare e di rimanere accanto all’Arcivescovo. Purtroppo la guerra, scoppiata subito dopo, decrebbe a quasi un quinto il valore del fiorino, e dopo pochi anni morirono sia il principe Kinstay (1812) sia il principe Lobowitz (1816). Gli eredi non vollero più pagare la loro quota, solo l’Arciduca Rodolfo mantenne sempre il suo impegno e non abbandonò mai il suo protetto. La Sonata fu pubblicata nel gennaio del 1811 a Londra Nel mese di luglio uscì l'edizione di Lipsia, con il numero d'opera 81: il compositore scrisse al suo editore indicando i titoli da apporsi sopra ciascuno dei movimenti: Abschied (partenza), Abwesenheit (assenza), Das Wiedersehen (il
La Sonata per pianoforte op. 81a è l'unica sonata pianistica e una fra le pochissime composizioni del catalogo beethoveniano per le quali l'autore abbia previsto una precisa e dichiarata idea programmatica.
"Gli addii”, di Ludwig Van Beethoven
II movimento: Abwesenheit (l'Assenza). Andante espressivo. Gli accordi del 1° movimento tornano nel successivo Andante espressivo, in do minore. Le prime dodici battute ripetono, con quasi analoga movenza melodica, l’andamento ritmico dell’Adagio del 1° movimento; la melodia che segue è caratterizzata da una profonda tristezza e senso di solitudine quasi ad esprimere la paura di Beethoven che non ci sarà ritorno del suo protettore.
GUIDA ALL’ASCOLTO I movimento: Abschied ふlげAddioぶ. Adagio – Allegro. La sonata si apre con un Adagio introduttivo, caratterizzato da un breve e semplice motivo di tre accordi, su cui sono scritte le tre sillabe “Le be-wohl "(addio, vivi bene in tedesco). I tre bicordi iniziali danno in seguito origine a elementi musicali chiaramente malinconici, gementi. Il breve inciso discendente viene ripreso e trasformato nel successivo Allegro, una pagina espressivamente movimentata che si alterna ad un secondo tema di natura più lirica. I due temi si seguono e ripetono senza sviluppo. Questa alternanza ritmica rappresenta il dolore per l'assenza. Il movimento ha una coda sorprendentemente lunga che comprende entrambi i temi. In essa troviamo due canoni sul tema Lebewohl: uno limitato all'aspetto melodico, uno esteso anche all'aspetto armonico; quest'ultimo provoca incontri durissimi, che parvero inconcepibili ai contemporanei.
[52] ritorno), con esplicito riferimento "al venerato Arciduca Rodolfo". Poiché l'editore lipsiense aveva pubblicato copie con il titolo in tedesco e copie con il titolo in francese, Beethoven protestò: «Vedo che ha fatto incidere altri esemplari col titolo francese. E perché? Lebewohl è tutt'altra cosa che "Les Adieux": il primo non si dice di cuore che a una persona; l'altro a un'intera riunione, ad intere città».
E Ferdinand Ries, allievo di Beethoven, dovette pensare che il dolore per la partenza dell'Arciduca avesse profondamente sconvolto l’animo del Maestro, tanto che semplicemente soppresse il canone incriminato.
DISCOGRAFIA
[Pianoforte viennese di Conrad Graf esposto nella casa di Beethoven]
Senza soluzione di continuità, una breve e agitata transizione conduce al Finale, una tumultuosa ascensione di note che rende il movimento brioso e pieno di gioia per il ritorno della persona cara. Il Poco Andante che precede le battute finali (vivacissimo) ribadisce l'assunto intimistico dell'intera composizione.
[53] III movimento: Das Wiedersehen (Il Ritorno). Vivacissimamente.
Ho già scritto un Focus sulle Sonate per pianoforte di Beethoven nel numero 3° della Rivista (Gennaio 2018) pagg 28-30 al quale rimando. Per quel che riguarda la sonata Les Adieux (nei dischi sempre abbinata ad altre famose sonate pianistiche beethoveniane), se facessi una classifica per interpretazione, non avrei naturalmente nessun dubbio ad assegnare il primo posto ad Artur Schnabel, uno dei massimi pianisti nonché interpreti delle composizioni pianistiche di Beethoven: rigore, tecnica e fedeltà al testo. Meno scolastico e preciso di altri, ma molto più personale, geniale e con un tocco che non scade mai nel manieristico, e soprattutto senza ripiegamenti narcisistici. Le registrazioni sono però degli anni ‘30 ed in mono e quindi le raccomando ai soli veri appassionati del maestro di Bonn. Consiglio quindi a chi mi legge questi altri interpreti, tutti nell’Olimpo dei pianisti (per non far torto a nessuno, li cito in ordine alfabetico): Claudio Arrau, Wilhelm Backaus, Alfred Brendel, Walter Gieseking, Emil Gilels (l’interpretazione che preferisco personalmente), Friedrich Gulda, Wilhelm Kempff, Stephen Kovacevich, Svatoslaw Richter, Rudolf Serkin. Non trovate Maurizio Pollini? Di lui sono superlative (e consigliatissime) le interpretazioni delle ultime sonate beethoveniane, le altre, a mio gusto, sono troppo asciutte e poco coinvolgenti.
GUIDA ALL’ASCOLTO La struttura e i temi dell'ouverture seguono l'idea dell'opera. Il tema principale in Do minore rappresenta l'impeto bellicoso di Coriolano pronto ad invadere Roma, mentre il più delicato tema in Mi bemolle maggiore rappresenta le suppliche della madre di desistere dal suo intento. Così la commentò Wagner in un suo scritto del 1851: «Dell'intera tragedia Beethoven puntò su un'unica scena, certamente la più decisiva. Egli vi concentrò la vera sostanza sentimentale, puramente umana di quel soggetto. Questa è la scena tra Coriolano, sua madre e sua moglie nel campo avanti alle porte della città. Tutta la forza d'odio che spingeva l'eroe alla distruzione della patria e le mille spade e frecce del suo risentimento, egli le afferra con mano potente e terribile, ne forma una punta sola e se ne trafigge il cuore. Sotto il colpo mortale che si è arrecato, il colosso cade e ai piedi della donna che implora la pace ed esala, morendo, l'ultimo respiro».
Ouverture Coriolano
L'Ouverture del Coriolano fu scritta da Beethoven nei primi mesi del 1807 come intermezzo alla tragedia omonima di gusto classicheggiante di Heinrich Joseph von Collin, poeta drammatico austriaco, autore che godeva ai suoi tempi di una certa fama avallata perfino dall'interesse di Goethe. L'Ouverture, concepita come brano musicale a sé stante e non come componimento di inizio dello spettacolo teatrale, non fu eseguita per la prima rappresentazione del dramma, che ebbe luogo il 24 aprile 1807 a Vienna, ma successivamente, nel dicembre del 1807, dopo essere stata presentata in una edizione privata, in casa del principe Lobkowitz nel marzo precedente, insieme al Quarto Concerto per pianoforte e orchestra e alla Quarta Sinfonia.
Il dramma del Coriolano è ispirato alla leggenda del condottiero romano Gaio Marcio, soprannominato Coriolano, artefice nel 493 a. C. della conquista di Corìoli, capitale dei Volsci. La sua storia è narrata da Plutarco nelle Vite parallele. Esiliato da Roma dopo un fallito tentativo di farsi nominare console, Coriolano, desideroso di vendetta, si rifugia presso Tullio Aufidio, re dei Volsci, per guidarne l'esercito contro Roma; ma, giunto a poche miglia dalla città, viene fermato dalle parole di sua madre Veturia e di sua moglie Volumnia che lo richiamano ai valori dell'amor patrio. Coriolano alla fine si suicida, per l'insanabile contrasto di coscienza tra la parola data ai Volsci e l'incapacità di marciare contro Roma. [Nicolas Poussin: Veturia ai piedi di Coriolano]
Questa possente Ouverture inizia con degli impressionanti accordi in fortissimo d'apertura, ai quali segue la frase ascendente degli archi, ritmicamente inquieta e spezzata da lunghe pause di silenzio.
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La tensione che si è creata viene mitigata dalla comparsa del cantabilissimo secondo tema, affettuosamente
Reich di Hitler (allora già vacillante per i massicci bombardamenti alleati e le catastrofiche inversioni di rotta sul fronte orientale), Furtwängler ha un tumulto interiore che sembra prorompere all’esterno direttamente attraverso la sua bacchetta. Quella notte, la Sinfonia n. 3 ha gridato, calpestato e divorato tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Altrettanto superba per suono ed intensità drammatica l’Ouverture del Coriolano. Disco godibilissimo grazie ad un'ottima rimasterizzazione. ֍
disteso e sentimentale. Segue una varietà di figurazioni ritmiche, prima del ritorno all'inciso tragico dell'inizio. L'atmosfera tesa e sanguigna si dissolve in un impercettibile pianissimo, nel sinistro bagliore del registro grave degli archi.
Berliner Philharmoniker, dir. Wilhelm Furtwängler. OPK Feroci, passionali, disperate, monumentali, ci sono pochi termini per commentare le esecuzioni eseguite da Furtwängler in tempo di guerra, davanti ad un pubblico della Germania nazista.
Beethoven: Symphony n° 5 & 7. Coriolano Ouverture. Fidelio Ouverture Chicago Symphony Orchestra, dir. Fritz Reiner. Living stereo Purtroppo, nella sterminata discografia di Fritz Reiner, non esiste un ciclo beethoveniano organico: tra l’orchestra di Chicago e quella di Pittsburgh, comunque, le sinfonie sono tutte, o quasi, disponibili, e si tratta di interpretazioni che, dopo più di mezzo secolo, pur non essendo forse del tutto in linea con la sensibilità interpretativa odierna, continuano a costituire una testimonianza artistica esemplare. Fra i risultati più vivi e interessanti, quasi inutile dirlo, rientrano le due sinfonie presentate nel nostro CD, Quinta e Settima, incise con la Chicago Symphony rispettivamente nel 1959 e nel 1955.
DISCOGRAFIA
In questa performance scioccante dai ritmi furiosi nel cuore del Terzo
Beethoven: Symphony n°3 Eroica (1944). Coriolano (1943)
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rapido è anche il Coriolano eseguito il 5 maggio 1959, altra interpretazione
notissima: dura sette minuti scarsi, circa due meno di Karajan. Ma la soluzione in fondo è conforme all’indicazione dinamica dell’autore, Allegro con brio, e vale a mettere in risalto l’affinità con il primo movimento della Quinta, di cui condivide tempo e tonalità. Quasi inutile soffermarsi sulla raffinatezza della qualità del suono, visto che abbiamo a che fare con incisioni della collana Living Stereo, per certi versi ancora all’avanguardia dopo oltre sessant’anni. ֍
Insolitamente
Deutsche Grammophon - Galleria Quando si ha a che fare con le incisioni beethoveniane di Karajan occorre innanzitutto distinguere quale, visto che ne ha realizzate ben quattro versioni in disco più una autonoma in video. Quelle presentate dalla DG nella collana Galleria appartengono all’integrale degli anni ’70, commercializzata in occasione delle celebrazioni centocinquantenarie del 1977. In questa magnifica registrazione della Pastorale c'è un flusso alla musica che racchiude perfettamente il sentimento come è stato inteso dal compositore. Si sente quasi il tuono e la pioggia che cade e il calore del sole che esce. Di riferimento sono le tre Ouvertures Coriolano, Prometeo, Rovine di Atene che completano il programma del CD: la concezione energica e scultorea di Karajan si confà soprattutto alla prima.
Beethoven: Symphonie ミ°6 さPastoヴaleざ. Ou┗eヴtuヴeミ: さDie Geschöpfe des Pヴoマetheusざ; さCoヴiolaミざ; さDie ‘uiミeミ ┗oミ Atheミsざ Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan.
scrisse a Goethe: «[...] riceverà presto da Lipsia, tramite Breitkopf & Härtel, la musica per Egmont, questo magnifico Egmont che ho meditato, sentito e tradotto in musica con lo stesso entusiasmo di quando l'ho letto. Desidero molto conoscere il suo giudizio sulla mia musica. Anche se fosse di biasimo sarà proficuo per me e per la mia arte, e sarebbe bene accetto come il più grande elogio». A Goethe la musica piacque, e rispose a Beethoven sottolineando la perfetta coincidenza della musica con le sue idee poetiche. Il compositore in effetti vedeva descritti nel dramma di Goethe quegli ideali morali che gli erano sommamente cari, libertà, eroismo, sacrificio, volti a un fine superiore e al bene comune, oltre al tema della morte di un eroe.
Celebre uomo di guerra olandese, il Conte di Egmont (1522-1568) servì negli eserciti di Carlo V, e per i suoi meriti fu nominato governatore e comandante generale delle Fiandre e dell'Arlois; cercò un accordo tra cattolici e protestanti, e col suo atteggiamento fermo e dignitoso divenne un punto di riferimento della resistenza fiamminga contro il governo spagnolo, invasore personificato dal Duca Goethed'Alba.nefece il protagonista di una sua tragedia in cinque atti del 1787, caratterizzandolo come un personaggio solido e sereno che accetta il ruolo di mediatore perché da un lato è fedele servitore della monarchia dall'altro condivide le sofferenze del suo popolo. Eroe che rifiuta di fuggire davanti alla minaccia, che non rinuncia al suo ideale di libertà, che viene giustiziato nonostante i tentativi della amata Klärchen di mobilitare il popolo che lo aveva osannato e che alla fine lo abbandona. Eroe che interpreta la sua morte come una vittoria sull'oppressione, lanciando un ultimo appello alla lotta per l'indipendenza: «Proteggete i vostri beni! E per salvare quello che vi è più caro, cadete con gioia, come ve ne dò io Quandol'esempio!».Joseph
Marti von Luchsenstein, direttore dell'Hofburgtheater di Vienna nel 1809 chiese a Beethoven, grande ammiratore di Goethe, di scrivere le musiche di scena per una ripresa del dramma, il compositore accettò con entusiasmo (Beethoven scrisse una sola opera, Fidelio, ma fu sempre attratto dal mondo del teatro). La stesura della partitura, che comprende un'Ouverture e nove pezzi (quatto intermezzi, due Lieder per soprano e orchestra, due "melodrammi", cioè scene recitate con accompagnamento strumentale, e una Sinfonia di vittoria, che richiama i temi dell'Ouverture) iniziò nell'ottobre del 1809 e fu portata a termine nel giugno del 1810, e il 15 dello stesso mese ci fu la prima esecuzione Ilall'Hofburgtheater.12aprile1911Beethoven
Ouverture Egmont
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Beethoven: Egmont Pilar Lorengar (soprano), Klaus-Jürgen Wussow (narratore) Vienna Philharmonic Orchestra, dir. George Szell. Decca Tutti coloro che amano la musica di Beethoven conoscono e amano questa epica ouverture, ma sospetto anche che molti amanti della musica non abbiano familiarità con la musica di scena
GUIDA ALL’ASCOLTO
DISCOGRAFIA
La vicenda individuale del personaggio storico viene superata in un'omerica celebrazione di ogni oppresso che lotta per la libertà. Per questa ragione si tratta di una delle composizioni in cui si manifesta più compiutamente il nobile idealismo eroico dell'animo di Beethoven, alimentato dalla lettura dei classici e dalla partecipazione appassionata agli eventi storici della sua età.
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L'introduzione lenta (Sostenuto ma non troppo) si apre con un accordo all'unisono di tutta l'orchestra, poi si muove alternando gli accordi gravi degli archi e gli accenti imploranti degli strumenti a fiato, nei quali esalano il dolore e la disperazione delle vittime. Tali voci vaganti, come se volessero convergere in un blocco di resistenza ad una potenza avversa, gradualmente s'attraggono, si raggrumano, si fondono, esplodendo nell'Allegro quasi a sfida contro la tirannide, ma i rudi accordi degli archi ritornano, riproponendo il tetro clima d'oppressione e la conseguente eliminazione dell'eroe ribelle. L'Allegro, che corrisponde al momento della lotta, è percorso da un'energia selvaggia ed è abilmente costruito da una serie di motivi, ciascuno ricavato da una cellula già ascoltata precedentemente. Gli archi sono trascinati in un grande crescendo, fino a che una transizione modulante dal maggiore al minore affievolisce la tensione e introduce un tema che è una variante del primo tema dell'introduzione e che ripropone la contrapposizione tra archi e fiati. Dopo lo sviluppo, che genera lo stesso clima di tensione e attesa dell'introduzione, la ripresa è prolungata da una coda, ancora giocata sulla opposizione timbrica e dinamica tra il fortissimo di quattro corni e una frase dolente degli archi. Tutto improvvisamente si arresta su un accordo in pianissimo, un momento di calma prima del crescendo e dell'accelerazione ritmica che sfociano su una fanfara gioiosa dei fiati che coincide con il trionfo degli ideali dell'eroe.
Ludwig van Beethoven: Egmont; Wellingtons Sieg; Marsches Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan. Deutsche Grammophon Questa è una registrazione eccellente. Oltre l'opera completa dell'Egmont di Beethoven (quindi non solo la famosa ouverture) contiene anche un pezzo molto raro che non viene eseguito o registrato spesso e perciò è fortemente consigliato a coloro che amano collezionare le opere di EgmontBeethoven.presenta alcune musiche molto originali e belle per voce solista (soprano) e orchestra. Dall'ouverture altamente carica e beethoveniana-drammatica, agli entracte individuali, ai due Lieder, la musica è piacevole e maestosa. Karajan, all'apice della sua carriera al momento di questa registrazione, fa emergere ogni nota magica del pezzo. A me piace La Vittoria di Wellington, anche se ha una bassa
[59] completa per Egmont (inclusi tutti i dialoghi parlati) che è presentata in questo CD inciso alla fine degli anni 60.
La direzione di Szell è nitida, potente e autorevole, il canto del soprano Pilar Lorengar è affascinante, e i Wiener Philharmoniker suonano con la bravura che sempre li contraddistingue. Questa registrazione ha energia, dramma e musicalità. Curiosità: Szell canticchia durante le battute di Nelchiusura.ruolo di narratore troviamo l’attore tedesco Klaus-Jürgen Wussow che racconta la storia di Egmont, particolarmente commovente nel finale, una chiamata alle armi in piena regola e stimolante. Tuttavia, alcuni ascoltatori potrebbero non accogliere con favore le narrazioni in tedesco dall'opera; anche io personalmente, avrei preferito che le narrazioni fossero state omesse. Il suono di Decca è cristallino. Raccomandato! Una nota dolente: questa è stata l'ultima registrazione ufficiale di George Szell. ֍
Come l'ouverture, la musica completa di Beethoven per Egmont è davvero eccezionale. Queste letture sono particolarmente commoventi al culmine quando Egmont viene giustiziato: si coglie la tragica nobiltà di questo rivoluzionario martire che ha fatto appello ai ferventi sentimenti di Beethoven sulla libertà politica.
[60] tra i puristi. Il brano inizia con l'avvicinarsi dell'esercito britannico, con parti di "God Save The King" e “Rule Britannia” che la segnano. Poi entra l'esercito francese, ingresso segnato da una vecchia canzone francese sul Duca di Marlborough. Beethoven usa tamburi, trombe e una quantità crescente di moschetti che sparano, per rappresentare la battaglia. Il conflitto diventa più forte. Sentiamo i cannoni britannici sparare. La battaglia rallenta, e poi arriva la musica della vittoria. La Wellington’s Victory è certamente diversa dalle altre opere musicali, sebbene abbia somiglianze con l'Ouverture di Čajkovskij del 1812. . Le altre musiche militariste di Beethoven sono trascurabili.
reputazione
[61] Le Sinfonie di Gustav Mahler
CENNI STORICI
all'orchestra
[62] Sinfonia n° 9 in re maggiore, di Gustav Mahler
compositore
La Nona Sinfonia rappresenta non solo l'ultimo percorso compiuto dell'autore, ma anche il canto del cigno di tutta la «civiltà della sinfonia», iniziata con Haydn e giunta al termine del suo ciclo dopo un secolo e mezzo di storia. Mahler compose la Nona Sinfonia nell'estate del 1909 a Toblach (Dobbiaco), in Tirolo, dove l’anno precedente aveva portato a compimento Das Lied von der Erde l'ultimo suo lavoro nel quale si univano le voci, e aveva annotato alcuni temi per la nuova sinfonia a cui, a rigor di logica, sarebbe dovuto toccare il numero dieci. Ma nella convinzione sempre più ossessiva che dopo l'Ottava del 1906 il limite di una nona sinfonia che recasse nel titolo quel numero gli sarebbe stato fatale come lo era stato per Beethoven e Bruckner, non numerò questo lavoro come una sinfonia e di riservare il numero nove a quella che ancora doveva comporre. Lo stratagemma non funzionò, giacché la Sinfonia in re maggiore fu davvero l'ultima. La morte in carne e ossa era comparsa nella vita di Mahler nell'estate del 1907. Il 5 luglio il perse all'improvviso la figlia Marie. A distanza di pochi giorni, gli fu diagnosticata una grave disfunzione cardiaca congenita, che non lasciava molte speranze. In queste condizioni di spirito fu portata a termine l'erculea impresa dell'Ottava Sinfonia. A rendere più tragico il periodo, Mahler, disgustato dall’ambiente ostativo nei suoi confronti perpetrato dall’Hofoper di Vienna, rassegnò le dimissioni. Accompagnato da veleni e polemiche, decise quindi di andare a New York per tentare una nuova e poco fortunata avventura. Mahler lasciò quell'anno anche la villa di Maiernigg, in Carinzia, dove era solito trascorrere l'estate componendo. Si trasferì l'anno seguente (1908) in una piccola fattoria ad Alt-Schluderbach, nel Tirolo meridionale, vicino a Dobbiaco. [Villa di Maiernigg e Casa di Alt-Schuluderbach] Il differente paesaggio rispecchia la trasformazione profonda avvenuta nell'animo del musicista.
ETICA DELLA 9A SINFONIA Nell'autunno del 1912 Alban Berg scriveva alla moglie: «Ho suonato di nuovo la Nona di Mahler. Il primo movimento è la cosa più splendida che Mahler abbia scritto. È l'espressione di un amore inaudito per questa terra, del desiderio [Sehnsucht] di vivere in pace con la natura e di poterla godere fino in fondo, in tutta la sua profondità, prima che giunga la morte. Perché essa arriva senza scampo. L'intero movimento è permeato dal presentimento della morte. Si presenta in continuazione. Ogni sogno terreno culmina in questo (da qui la sempre nuova agitazione che cresce impetuosa dopo i passi più delicati), al massimo grado naturalmente in quel passo incredibile in cui il presentimento della morte diviene certezza, in cui la morte stessa si annuncia "con forza inaudita" proprio nel mezzo della più profonda e più dolorosa gioia di vivere. E poi il lugubre assolo di violino e viola e quei suoni soldateschi: la morte in corazza! Contro tutto ciò non c'è più resistenza! Ciò che ancora sopraggiunge mi sembra come rassegnazione. Sempre con il pensiero all'aldilà, che si manifesta proprio in quel passo "misterioso" simile all'aria rarefatta - ancor più in alto delle montagne - sì, come nello spazio che si fa più rarefatto (Etere). E di nuovo, per l'ultima volta, Mahler si rivolge verso la terra - non più alle lotte e alle azioni, di cui si sbarazza (come già nel Lied von der Erde, con i mordenti passaggi cromatici discendenti), bensì soltanto ormai completamente alla natura. Come e quanto a lungo vuole godere ancora delle bellezze della terra! Lontano da ogni fastidio, egli vuole mettere casa [Heimat] nell'aria libera e pura dello Semmerin, per respirare a pieni polmoni questa aria, la più pura di questa terra, con respiri sempre più profondi, perché questo cuore, il più splendido che mai abbia pulsato tra gli uomini, possa espandersi sempre di più, prima di dover cessare di battere».
[63] Mahler aveva abitudini piuttosto rigide. Si rinchiudeva per lavorare in una casetta in mezzo al bosco, come se la sua anima si potesse nutrire solo a contatto con la natura, il mondo "altro" e "felice" contrapposto a quello meschino e di sofferenza degli uomini. Il confronto tra le due casette, quella di Maiernigg e quella di Alt-Schluderbach, è abbastanza impressionante. La prima è una solida costruzione in muratura, nascosta e protetta dalla vegetazione, con i rami degli alberi che entrano fin quasi dentro la finestra; la seconda, invece, una fragile edicola in legno, ai margini del bosco di abeti, immersa nella luce radente filtrata dai rami. L'una pare un tempio, l'altra un eremo. In questa nuova dimensione ascetica Mahler iniziò ad abbozzare la Nona Sinfonia, nell'estate del 1908. La Nona fu completata il 1° aprile 1910, secondo quanto scrisse l'autore all’amico e discepolo Bruno Walter. Egli non poté purtroppo vedere rappresentare questa ultima opera: morì infatti il 18 maggio 1911 a Vienna, dove era dovuto rientrare precipitosamente, interrompendo il soggiorno americano, per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute. La Nona Sinfonia fu quindi eseguita per la prima volta, postuma, il 26 giugno 1912 a Vienna dai Wiener Philharmoniker diretti da Bruno Walter.
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L'interpretazione di Berg merita di essere riportata per intero, perché fornisce un punto di vista sicuramente vicino a quello di Mahler. Le osservazioni di Berg mettono in luce diversi elementi peculiari: il primo e il più importante è il rapporto con la morte. Il tema è costante nel lavoro di Mahler, ma le sue ultime opere (Das Lied von der Erde, Nona Sinfonia e i frammenti della Decima) nascono da una riflessione così pervasa dal pensiero dell'imminente fine, sia nel contenuto, sia nella forma musicale, che il musicologo Hans F. Redlich le ha riassunte nella definizione «Trilogia della morte». STRUTTURA La Sinfonia è divisa in quattro movimenti: I Andante comodo - II «Im Tempo eines gemächlichen Ländlers» (In tempo di un tranquillo Lädndler) - III Rondo-Burleske - IV Adagio. I due movimenti centrali sono concepiti come un unico panello: sommati insieme, equivalgono in durata a ciascuno dei due movimenti esterni. Si delinea quindi una forma complessiva ad arco, ripartita in 3 sezioni: 1 + (1 + 1) + 1. Organico: ottavino, 4 flauti, 3 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo, 3 clarinetti, clarinetto basso, 4 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, grancassa, piatti, tamtam, triangolo, campana, glockenspiel, 2 arpe, archi.
GUIDA ALL’ASCOLTO 1° MOVIMENTO: Andante comodo, Mit Wut, Allegro risoluto, Leidenschaftlich, Tempo I Andante (Andante comodo, Con rabbia, Allegro risoluto, Appassionato, Tempo I Andante). Il primo movimento - l’addio di Mahler alla Natura - è forse la pagina tecnicamente più complessa e raffinata che il compositore boemo abbia mai scritta. Mahler combina assieme, con grandissima abilità, due principi della tecnica compositiva: lo sviluppo e la variazione. Il risultato è una forma che restituisce il senso di equilibrio architettonico caratteristico della forma-sonata, mantenendo allo stesso tempo il sapore di un'estrema libertà espressiva. Nella Introduzione, Mahler accosta alcune figure elementari dotate di diverse proprietà ritmiche, armoniche e melodiche e affidate ciascuna a differenti strumenti dell'orchestra: violoncelli, corni, arpa e viole. Nella prima di queste figure - l'aritmico pulsare dei violoncelli imitato dal corno - si è voluto riconoscere il battito irregolare del cuore inguaribilmente malato di Mahler. Il punto di partenza della Sinfonia è la citazione del «tema della morte» dell'Ottava Sinfonia di Bruckner. Alla quarta battuta un corno suona un tema di cinque note, su cui Mengelberg annotò «Thema Liebe», tema dell'amore. Alla sesta battuta i secondi violini aggiungono l'elemento decisivo, l'intervallo discendente di seconda, che costituisce il vero asse melodico e armonico di tutta la Sinfonia: il tono intero discendente è un vocabolo musicale molto preciso nel linguaggio dell'autore, sempre associato all'idea di abbandono e di distacco.
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2° MOVIMENTO: «Im Tempo eines gemächlichen Ländlers» (In tempo di un tranquillo Lädndler)». I due movimenti centrali offrono un netto contrasto rispetto ai movimenti estremi. Mahler rappresenta in questi due pannelli il mondo degli uomini. L'opposizione natura-civiltà è un tratto caratteristico del pensiero di Mahler, fin dalla giovinezza. «Se l'odioso potere della nostra moderna ipocrisia e menzogna - scriveva a Joseph Steiner nel 1879 - mi ha condotto al punto di disprezzare me stesso, se il rapporto tra vita e arte, che in noi mai si interrompe, ha fatto sì che io provi disgusto per tutto ciò che mi è sacro, arte, amore, religione, non esiste altra scelta che l'autodistruzione». Poi la lettera prosegue in un'altra direzione: «Il mio riso beffardo si scioglie in pianto d'amore. E devo amarlo questo mondo con i suoi inganni e la sua superficialità e con il suo eterno ridere». La frattura tra l'Io e il mondo non si ricompose mai in Mahler. Malgrado la posizione sociale e la stima della parte più aperta del pubblico, Mahler sentiva di non essere accettato fino in fondo a Vienna, in quanto ebreo. Il senso di sradicamento, di separazione dalla società, trova in questo doppio pannello della Nona una realistica raffigurazione.
Dopo quello dell'amore ascoltato all'inizio, compare il tema del destino, affidato ai corni. Il motivo, che annuncia il presagio della morte, si ripresenta varie volte. Il pensiero della morte, all'inizio solo presagito, irrompe in tutta la sua drammatica violenza nello sviluppo del primo movimento, con l'esplosione del ritmo di tre note, suonato "alla massima forza" da tromboni e tuba, la cui sonorità allude per tradizione al mondo soprannaturale. Il passaggio è significativo: l'irruzione di questo pensiero della morte radicato nella vita segna una svolta nel percorso della Sinfonia, che fino a quel momento si era dipanato in una piana, fluente cantabilità, in un'atmosfera nobilmente distesa e appena increspata dalla nostalgia. Dopo la conflagrazione, si presenta una marcia funebre, con ritmi pesanti e laceranti intervalli. Ma a poco a poco, con quella tecnica della rarefazione e della sospensione di cui Mahler era maestro, il tempo torna a dilatarsi e a rallentarsi come all'inizio, lasciando perfino spazio a una cadenza di strumenti solistici da cui emergono, nell'"esitando assai" che annuncia la dissolvenza, prima un solitario episodio del flauto e poi il motivo dell'addio connesso con la citazione del motto«Lebewohl» - della Sonata op. 81 di Beethoven, Les Adieux L'irruzione della Marcia Funebre rappresenta un elemento volgare dal punto di vista estetico, ma il ritorno del primo tema, dopo un simile episodio, assume un significato drammatico di ben altra intensità: dopo aver assistito alla rappresentazione della propria morte, infatti, l'autore si abbandona al dolce respiro dell'intervallo discendente di seconda, nella cullante frase degli archi. Solo alla fine si chiarisce il senso di tutto il percorso. Il movimento è una celebrazione della morte, una drammatica rappresentazione della lotta, del combattimento, della sconfitta e della rassegnazione di fronte alla morte.
Nel Ländler, per esempio, o meglio nella serie di Ländler che costituiscono la nevrotica struttura dello Scherzo, la mimesi di una festa contadina all'aria aperta con le sue danze goffe e robuste, tra lo strimpellare dei violini e le grossolane interiezioni dei corni, trapassa di colpo nell'allegria sfrenata e un po' sinistra di un valzer fastoso, che tuttavia si sfigura via via che acquista maggiore spessore sinfonico, per perdere definitivamente qualsiasi contatto con la realtà e assumere un carattere, spettrale e angoscioso, di danza infernale; come nelle raffigurazioni di danze macabre delle pitture di villaggio, capaci comunque, anche nella loro ingenuità popolare, di suscitare sensazioni di orrore nelle "anime sensibili". [Mahler dirige la 9° sinfonia]
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E qui scatta, come è tipico di Mahler, il meccanismo della riflessione, o meglio della autoderisione che diviene poi autocommiserazione: la realtà sfugge, il desiderio di possederla è solo un sogno abitato da fantasmi. L'uomo si rivolge allora al paesaggio, ascolta i suoni della natura che parlano nella loro immediatezza e vorrebbero consolare; ma anche queste voci si disperdono, possono essere solo registrate e contemplate, ma non ricomposte e afferrate. Quando al termine del movimento ritorna il primo tempo di Ländler della danza contadina, un'ombra di tristezza e di sgomento è calata sulla festa prima così vivace e animata, e la scena è ormai vuota anche prima che la musica scompaia. Mahler è il primo autore a trasfigurare il Valzer in una grande metafora poetica. Le 621 battute che costituiscono il movimento sono forse il primo esempio dell'identificazione del Valzer con la civiltà viennese, alla stregua del Rosenkavalier di Strauss o della Valse di Ravel. Il culmine della tragica pantomima è raggiunto all'inizio dell'ultima sezione, dove la grazia sensuale della danza si trasforma in brutalità quasi animalesca. I violini, come prostitute imbellettate, lanciano striduli arpeggi sopra lo zum pa pa degli ottoni e il tutto sfocia nella grottesca parodia di un'orchestrina da ballo.
[67] Rondo-Burleske. Gli effetti di questa disillusione si consumano nel Rondò-Burleske. Nell'abbozzo manoscritto il tempo portava la dedica: «Meinen Brüdern in Apoll» (Ai miei fratelli in Apollo). E che di ironia qui si tratti, di genere pesante, scopertamente demoniaca, basta a dirlo il plateale sberleffo della tromba che con gesto tracotante introduce la Burleske. Il senso di un tremendo girare a vuoto, la rabbia impotente che monta sino ai limiti della furia distruttiva, selvaggiamente, sono acuiti dalla forma del Rondò, con il suo svolgimento circolare e i suoi periodici ritorni, dove l'insistenza su effetti grotteschi va ben oltre le intenzioni parodistiche del titolo: secondo l'opinione di Mengelberg, il movimento esprime gli inutili sforzi dell'uomo di fronte all'eternità della morte. La tromba scandisce all'inizio un motto, ma compie un'entrata sbagliata dal punto di vista tonale, che crea la sensazione di un accumulo caotico di elementi; segue una banale Marcetta, costruita su frasi di otto misure, che fluttua in una sorta di eterea armonia. La memoria della musica militare è uno degli elementi più caratteristici del linguaggio di Mahler, che associava il suono delle bande ai ricordi infantili di Jihlava e della caserma di fianco alla casa dei genitori. Alla fine del Rondò si apre all'improvviso una parentesi. Mahler spalanca le finestre su un panorama di pace e nel Corale compare una figura musicale, un gruppetto, che diventerà l'elemento fondamentale dell'Adagio finale. La transizione al Burleske conclusivo avviene gradualmente, in dissolvenza incrociata, a partire da una caustica figura graffiata dai clarinetti. Il ritmo squadrato del tema prende consistenza, fino a riportare il movimento nell'alveo del suo carattere percussivo, che si tramuta alla fine in un'orgia sfrenata d'impeto selvaggio.
4° MOVIMENTO: Adagio La densa materia poetica accumulata nel corso della Sinfonia trova sbocco nell'Adagio finale. L'autore risolve il conflitto tra arte e vita, anzi ogni conflitto tra l'essere e il mondo, in un totale abbandono al mistero religioso della morte. Il primo indizio lo troviamo proprio nel famoso gruppetto, chiave di volta della frase all'unisono dei violini. Mahler, che non adopera mai a caso un elemento musicale, si rivolge nella pagina finale della sua «Sinfonia della morte» all'arte di Bach. La struttura dell'Adagio si articola in una serie di forme caratteristiche dello stile delle Passioni: Recitativo libero e accompagnato, Corale-Aria, Aria drammatica. Mahler racconta la storia della propria morte e della trasfigurazione nel divino, identificando sé stesso nella figura di Cristo. Mahler sentiva la figura di Cristo, morto per redimere il mondo dalla sofferenza e dal dolore, come un modello drammatico. Nell'inquietante linea d'ombra che passa tra la l’arte sacra e quella profana, l'Adagio della Nona è forse la musica sacra più profonda che il Novecento abbia prodotto.
3° MOVIMENTO.
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Lo stile richiama l'Abschied di Das Lied von der Erde, nella straordinaria leggerezza con cui la musica sembra sollevarsi da terra. La prima frase, dal timbro scuro, è un Recitativo che ignora quasi il solfeggio. L'ingresso del Corale porta un respiro di tranquillità, alla fine il fagotto, come un Evangelista narratore, introduce una frase in minore, un «Ecce homo» che ha la funzione di ritornello. Lo schema Recitativo-Aria si ripete in varie forme, accumulando la tensione per la grande cadenza verso il grandioso ritorno del Corale. La trasfigurazione musicale raggiunge nella coda del movimento la più assoluta trasparenza, con un incredibile svuotamento e alleggerimento progressivo. A battuta 153 Mahler scrive in tedesco «esterbend», mentre fino allora aveva usato l'italiano "morendo". Nelle battute finali dell'Adagio si mormora un'ultima citazione, dai Kindertotenlieder: «Im Sonnenschein! Der Tag ist schön auf jenen Hòh'n!» ("In pieno sole! La giornata è bella su quelle alture"). L'addio alla vita è dunque nostalgia del calore e della luce. Con intimo sentimento, indica la partitura. L'armonia si ricompone; rimane, a increspare la perfezione immobile dell'ultimo accordo, un alito di vita, il lento battito del gruppetto, prima che il suono scompaia per sempre nel L'Adagionulla. conclusivo è un altro brano di grande intensità espressiva, ricco di contrasti e di momenti di grande emozione poetica, che si chiude con un impercettibile e rarefatto pianissimo, quasi a suggellare l'addio di Mahler alla vita.
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- è la prima incisione nota della sinfonia (anno 1938)
Walter fuggì in America dopo questa esibizione e molti dei musicisti dell'orchestra non torneranno al loro posto quando i concerti sarebbero ripresi dopo la guerra: quindi ecco la fine di un'era commemorata dall'esecuzione di un'opera che a sua volta commemorava la fine di un'altra Questa incisione è imperdibile anche per molte altre ragioni:
- è suonata dai Wiener, orchestra diretta da Mahler fino al 1901 in pianta stabile (e Mahler rimase a Vienna fino al 1907) - è diretta da Walter, assistente di Mahler dal 1901, che diresse nel 1912 la prima del brano. Il pedigree di questa incisione è quindi di assoluto rilievo: possiamo immaginare che è come se suonasse Mahler e si capisse quale fosse il suo approccio alla direzione dei propri brani. La scelta dei tempi è decisamente più rapida che nella versione di Walter del 1962. Quello che balza all'orecchio dall'incipit è la enorme tensione emotiva che Walter ricava dal brano, assieme alla lucidità con cui ricompone, anche emotivamente, i vari frammenti. La drammaticità impetuosa (si senta il Rondo-Burleske) riesce infatti a cedere il passo ad una risoluzione (spesso temporanea) dei contrasti nei passaggi più sereni. Spicca un uso del legato molto intenso. Il discorso musicale resta sempre sospeso in un dualismo tra le due anime che questa sinfonia ha - la pace interiore e la disperazione più profonda - rese entrambe al massimo del pathos: la lettura di Walter è al contempo una delle più tese di sempre ed una di quelle più bilanciate. È probabilmente la mia Nona preferita, diretta e sincera. Con il valore aggiunto della Storia che, volenti o nolenti, esce dalle Ilnote!suo è un Mahler pienamente inserito nel solco della tradizione classico-romantica, dove, se non mancano le accensioni e gli abbandoni lirici, il senso dell’unità e della totalità non vengono mai meno. É un Mahler dove forte è il senso delle radici e che sprigiona tutti i profumi dell’Impero asburgico e dove gli echi della musica boema e dei balli viennesi, del kletzmer ebraico e del sinfonismo classico si accostano con innocente naturalezza. La performance che ne risulta è straordinariamente commovente.
DISCOGRAFIA Mahler: Symphony n° 9 Vienna Philharmonic Orchestra, dir. Bruno Walter. Naxos historical Chiunque sia interessato alla storia di questa sinfonia deve avere questa versione "dal vivo" del 1938 della Filarmonica di Vienna diretta da Bruno Walter Al di là di ogni dettaglio di esecuzione e interpretazione, questo è un documento di un'occasione unica: otto settimane dopo questa performance, l'Austria divenne parte del Terzo Reich di Hitler.
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Tecnicamente: Mark Olbert-Thorn, tecnico esperto di casa Naxos che si autodefinisce come "moderate interventionist", registra in digitale gli originali 78 giri (le cui matrici sono riportate in retro copertina) e restaura il riversamento per renderlo ascoltabile ad orecchie "moderne". L'intento è quello di non snaturare il suono di partenza (la scelta di registrare i 78 giri è nell'ottica di mantenerne la calda timbrica per chi non abbia avuto la fortuna di sentirli) pur correggendo gli elementi più fastidiosi e bilanciando le dinamiche. Il risultato è accettabilissimo (sempre considerando che si tratta di un’incisione del 1938): il fruscio c'è ma non è così preponderante da disturbare l'ascolto, il suono orchestrale nei pieni non eccessivamente compresso, le dinamiche mantenute gli interventi solisti sono evidenziati al punto giusto. Ovviamente, come tutte le registrazioni storiche, è richiesto un approccio all'ascolto differente rispetto a quelle moderne, volto al solo contenuto musicale. Dal punto di vista del tempo, nel complesso è più veloce di quello a cui ci siamo abituati.
Mahler: Symphonie n° 9
Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan. Deutsche Grammophon Certamente Karajan e i Berliner dovrebbero essere di per sé una garanzia. E lo sono! Karajan è stato un direttore che raramente si immedesimava nella partitura che dirigeva, ma piuttosto che plasmava la musica in base la sua personalità egocentrica; ciononostante da questo approccio, sono nate interpretazioni di grande valore come quelle di Strauss e Brahms, e cose belle ma antistoriche come il suo Haydn e certe pagine mozartiane. Ma in questa nona Sinfonia di Mahler, compositore che curiosamente il direttore salisburghese ha eseguito poco, Karajan riesce a darci il meglio di sé: se Karajan avesse registrato l'integrale delle sinfonie con gli esiti di questa nona, forse sarebbe stato il più grande direttore mahleriano di sempre. Karajan ha iniziato tardi nella sua carriera con le opere del compositore boemo. Karajan disse che ci aveva messo tanto tempo perché le opere di Mahler richiedevano e richiedevano all'orchestra una ricchezza di suoni a volte non facile da ottenere. Fu nei primi anni '70 che Karajan ottenne dalla sua orchestra, la Filarmonica di Berlino, il grado di perfezione che voleva per affrontare le opere di Mahler. Questa bellissima incisione ha "la sua brava istoria": Karajan aveva già inciso, pochi anni prima, il 1976-77, la nona di Mahler con i "suoi Berliner". Poi venne la grande crisi, la guerra fredda fra il grande direttore austriaco e la sua orchestra, e nel 1979, proprio per dare un dispiacere a Karajan, i
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Berliner invitarono a dirigerli, per la prima volta, Leonard Bernstein, il grande "nemico personale" del loro direttore. E Lenny diresse, per la sua prima e ultima volta, i Berliner in una esecuzione assolutamente personale ma al contempo straordinaria e forse inarrivabile della nona sinfonia di Mahler (il CD è incluso nella Centenary Edition dei Berliner). Anche Karajan si accorse che l'incisione di Bernstein, dal vivo peraltro, surclassava la sua recente e, finita la crisi con i Berliner e con la scusa dell'avvento della tecnica di registrazione digitale, decise di ri-registrare la nona, quella contenuta in questi CD. E nella registrazione, a sua volta dal vivo (Festival di Berlino 1982) Karajan ci mise tanto impegno che riuscì nell'impresa di "colmare l'abisso" con Bernstein proprio sull'autore, Mahler, già cavallo di battaglia di Lenny. Questo risultato straordinario, però, non è dovuto solo alla volontà di rivalsa, ma al fatto che in quegli anni Karajan aveva avuto la sua prima diagnosi del male che lo avrebbe portato alla morte dopo poco, e quindi "sentì e fece sua" come non aveva fatto prima, l'ultima sinfonia scritta da Mahler che è anche il "congedo" dalla vita del compositore boemo. Ne emerge dunque una lettura sconvolgente per intensità emotiva, e - come sempre per gli standard di Karajan - caratterizzata anche da una tecnica direttoriale ineccepibile, e da un suono da parte dei Berliner all'altezza della loro fama. Dalla prima nota del primo movimento all'ultima del quarto, tutto è perfezione. Il primo movimento è diretto da un equilibrio mozzafiato. Karajan mostra davvero come Mahler descrive in questo primo movimento il modo come il suo mondo emotivo e musicale cade a pezzi. L'Adagio finale viene interpretato senza troppi sentimentalismi (errore in cui cadono molti direttori), e ricrea perfettamente ciò che Mahler voleva esprimere: l'abbandono della vita in modo tranquillo, pacifico, con speranza. E la tecnica di ripresa del suono, in digitale DDD per l'appunto, è all'altezza dell'impresa discografica, con un suono degli archi sempre molto bello e con gli ottoni e i legni sempre in primo Inpiano.conclusione, se si vuol ascoltare una Nona di Mahler che è un riferimento assoluto, se ci si vuole avvicinare il più possibile a quello che Mahler aveva nella sua testa quando l'ha scritta, questa versione è da considerare di riferimento. Questo album ha vinto una registrazione Gramophone dell'anno. Più che meritato premio. Mahler: Symphonie n° 9 / “IhuHeヴt “yマphoミie ミ° Β さIミIoマpiutaざ Chicago Symphony Orchestra, dir. Carlo Maria Giulini Deutsche Grammophon The originals Il CD contiene la registrazione della Sinfonia n. 9 di Mahler e della Sinfonia n.8 "Incompiuta" di Schubert, appartenenti al periodo americano di Carlo Maria Giulini, rispettivamente eseguite nel 1976 e nel 1978 alla guida della Chicago Symphony Orchestra.
Mahler: Symphonie n° 9
Berliner Philharmoniker, dir. Leonard Bernstein Deutsche Grammophon È la memorabile registrazione del vivo della Sinfonia n. 9 di Mahler realizzata nell’ottobre 1979 presso la Philharmonie di Berlino con Leonard Bernstein alla guida dei Berliner Philharmoniker, un’incisione leggendaria che rappresenta l’unica collaborazione tra il mitico direttore americano e la celebre orchestra tedesca. E’ una Nona calda ed emozionale, risente della personalizzazione di Lenny , straordinaria!
Notevole la Nona sinfonia di Mahler, autore peraltro poco frequentato dal direttore, fatta eccezione, per l'appunto, per la Nona sinfonia e per il Canto della Terra, di cui pure restano alcune edizioni di riferimento (sia registrate in studio per la Deutsche Grammophon, che dal vivo a Berlino e a Salisburgo).
La Nona è affrontata, come di consueto per Giulini, staccando tempi lentissimi, ma in questo caso - a differenza che per altri repertori - tale dinamica non risulta esasperante, al contrario asseconda perfettamente, anche grazie ai meravigliosi pianissimi, la linea interpretativa che il Maestro persegue dall'inizio alla fine della sinfonia: quella di una musica assolutamente spirituale, eterea, addirittura fuori dal tempo e dal mondo presenti, o forse propria di un altro tempo, quello futuro, quello ultraterreno che vivremo in un'altra dimensione. Di fronte a questa semplicità assoluta, a questa straordinaria bellezza non si può che restare letteralmente estasiati, o piuttosto annichiliti: qualora si fosse ad un concerto, dopo l'accordo finale non scaturirebbe l'applauso liberatorio, bensì il totale silenzio, lasciando che le ultime note si effondano nell'etere trasportandoci nell'aldilà...
[72] Giulini dirige l'Incompiuta con grande partecipazione assicurando una prestazione di elevato livello, senza peraltro toccare i vertici raggiunti nello stesso anno da Carlos Kleiber alla guida dei Wiener Philharmoniker.
Mahler: Symphonie n° 9
Berliner Philharmoniker, dir. Sir John Barbirolli Warner Classics
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Gustav Mahler: Symphony n° 9 Lucerna Festival Orchestra, dir. Claudio Abbado Arte (DVD) Splendido auditorio, orchestra fantastica ed Abbado che ci lascia uno splendido ricordo della Sua arte con una direzione struggente ed ispirata. Questa edizione dal vivo della stupenda nona di Mahler resterà per sempre un riferimento assoluto per tutti i direttori d'orchestra a venire. Il lungo silenzio alla fine del quarto tempo con Abbado trasfigurato in contemplazione é per me uno dei momenti più profondi che ci sia dato da ascoltare. Ovviamente anche la super orchestra di Lucerna non ha bisogno di commenti. Questa è una delle più grandi esibizioni di qualsiasi sinfonia che conosca. Non c'è da stupirsi che il pubblico esploda in una lunga ovazione alla fine dello spettacolo. C'è ovviamente un grande rapporto tra Abbado e la sua orchestra che suona magnificamente. Immagine e suono sono eccellenti. Un Blu Ray da custodire.
Chicago Symphony Orchestra, dir. Pierre Boulez. Deutsche Grammophon La Nona di Mahler, l'opera portale del Modernismo, secondo la visione di Boulez, il grande analista che rivela strutture formali, lo smembratore e anatomista, il talentuoso direttore d'orchestra del moderno e postmoderno anche delle sue opere! L'interpretazione di Boulez è sufficientemente illuminata e mi dà un concetto globale assolutamente coerente, che però al sottoscritto non prende emotivamente come Abbado o Karajan.
Mahler: Symphony n° 9
Mahler: Symphony n° 9 Vienna Symphony Orchestra, dir. Jascha Horenstein. Pristine XR Il direttore d'orchestra Jascha Horenstein è stato a lungo considerato uno dei massimi esponenti della musica di Gustav Mahler. La sua registrazione in studio del 1952 della Nona Sinfonia fu la prima registrazione del genere ad essere pubblicata in commercio (il Walter del 1938 era parzialmente o interamente dal vivo).
Questa particolare interpretazione live del Festival di Vienna del 1960 disco è una registrazione mono, ma a parte alcuni problemi (due casi di interruzione del nastro, il posizionamento del microfono, lo stridìo durante i passaggi più alti) è molto buona, grazie al trattamento Ambient Stereo di Pristine, che ha prodotto un suono orchestrale particolarmente chiaro, pieno, diretto e vivido.
Mahler: Symphonie n° 9 / Das Lied von der Erde* Janet Baker*, James King* Royal Concertgebouw Orchestra, dir. Bernard Haitink. Philips Duo La Nona diretta da Bernard Haitink rimane una delle migliori versioni disponibili: suonata magnificamente, equilibrata in modo sensibile e registrata con calore nonostante nel 1970 la Philips non avesse ancora imparato a catturare l'estremità dei bassi profondi dello spettro sonoro. Il massimo dei voti deve essere dato a Philips per aver edito questo accoppiamento, che rappresenta essenzialmente le ultime due sinfonie completate di Mahler (Das Lied era terminato
Questa versione (rimasterizzata digitalmente) di Sir John Barbirolli, è stata registrata per la prima volta nel 1964, Il direttore inglese ci consegna una incisione irraggiungibile per sontuosità del suono, l’incidere nobile e nel contempo la trasparenza assoluta delle linee melodiche secondarie ne fanno una edizione di assoluto riferimento. Gli archi suonano benissimo, soprattutto nel famoso Adagio.
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[75] dopo l'8a, ma - come già detto in precedenza - Mahler era riluttante a chiamarla la sua 9a sinfonia per paura di una morte imminente.)La lettura della 9a da parte di Haitink è stata probabilmente la migliore interpretazione del suo ciclo completo negli anni '70; ha molta incandescenza, pensiero profondo, bella esecuzione e una meravigliosa fioritura nel suono, grazie all'acustica del Concertgebouw. La rimasterizzazione digitale è stata poi veramente eccellente. Magnifica l’interpretazione di Das Lied, grazie soprattutto a Janet Baker all'epoca quasi all'apice della sua carriera. L'esecuzione orchestrale è bellissima. Consigliato con entusiasmo. Mahler 9 New Philharmonia Orchestra, dir. Otto Klemperer Warner Classics Klemperer incontrò per la prima volta Mahler nel 1905, quando il giovane direttore aiutò Oskar Fried in un'esibizione della Seconda Sinfonia del compositore boemo, dirigendo i musicisti fuori Lascena.Nona di Mahler di Otto Klemperer gode di una notevole considerazione in Francia, dove la sua cupa mancanza di sentimentalismo e l'incrollabile volontà di esporre la cruda angoscia della musica è sempre stata ammirata. Non si può negare che il vecchio maestro produca una delle esibizioni più avvincenti e convincenti del primo movimento mai inciso su disco Nel terzo movimento Rondo-Burleske i musicisti della New Philharmonia hanno davvero lo spazio di cui hanno bisogno per dare il massimo carattere al loro modo di suonare. È una performance da incubo esagerato interrotto dalla gestione visionaria dello scorcio del finale ultraterreno nel cuore del Lamovimento.registrazione suona fresca e chiara in una rimasterizzazione del 2012.
Teatri d’Italia: lo Sferisterio di Macerata
Il teatro fu progettato nel 1823 dall’architetto neoclassico Ireneo Aleandri, allora ventottenne, e venne inaugurato nel 1829 con una grande festa. La struttura, che si presenta come un'arena semicircolare, originariamente era destinata al gioco del pallone col bracciale, un’attività sportiva molto in voga nel centro Italia nel XIX secolo e considerata principale gioco nazionale italiano in quel periodo, ma ospitava anche spettacoli circensi ed esibizioni di Neltauromachia.corsodeidecenni
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Lo Sferisterio di Macerata è un teatro all'aperto situato nel centro storico di Macerata (a ridosso delle mura urbiche, adiacente alla Porta Picena, più comunemente detta Porta Mercato). Costituisce senza dubbio il monumento simbolo della città. STORIA Lo Sferisterio fu edificato, come gran parte dei teatri storici marchigiani del Sette-Ottocento, grazie all'iniziativa di un gruppo di privati benestanti cittadini, i Cento Consorti, con a capo Guarnieri Pacifico e il Gonfaloniere Nicola Ranaldi, che, desiderosi di donare alla città una nuova struttura per il pubblico spettacolo, si tassarono per finanziarne la realizzazione. Questo generoso atto è ricordato dall’iscrizione apposta sopra l’ingresso: «Ornamento della città, a diletto pubblico. La generosità di cento consorti edificò. A.D. MDCCCXXIX». [“taマpa degli iミizi del けΓ00]
la sua primaria funzione iniziò a declinare, a favore di altri sport come il calcio e il tennis, e a fine Ottocento l'edificio iniziò lentamente a perdere di importanza divenendo durante la Prima Guerra Mondiale alloggio delle truppe e
[77] ricovero per i cavalli.
Nel 1920 fu oggetto di restauro e sistemazione, che trasformarono l'edificio in struttura adatta ad accogliere rappresentazioni liriche. II 1921 costituì un anno di radicale svolta: sotto gli auspici della Società Cittadina, guidata dal conte Pieralberto Conti, sulla scia di esperienze analoghe nella penisola, in particolare dell'Arena di Verona, si decise di trasformare questo ambiente in un tempio della lirica, con la rappresentazione dell'Aida di Giuseppe Verdi. Il Conte cercò con un'opera di forte richiamo di utilizzare questo spazio urbano dalla capienza inusitata per avvicinare la lirica ad un pubblico più esteso, spesso escluso dal circuito tradizionale dei teatri. L'arena venne trasformata in un vero e proprio teatro all'aperto. Si costruì un vastissimo palcoscenico parabolico, con l'orchestra disposta subito a ridosso, e attorno vennero collocate poltrone e sedie numerate. Nel mezzo del muro si aprì una grande porta per consentire il trionfo del conquistatore egiziano. Con la marcia trionfale salirono sulla scena oltre mille comparse, insieme a cammelli, cavalli e buoi. Aida venne interpretata da Francisca Solari e, nelle vesti di Radames, cantò il grande tenore Alessandro Dolci. Si accrebbero al massimo le capacità ricettive e sanitarie e vennero inventati mille accorgimenti per alleviare e prolungare il soggiorno in città. L'Aida venne replicata per 17 serate. Si ebbero oltre 70.000 spettatori provenienti da tutta Italia: record mai eguagliato a Macerata. L’incasso fu di 630 mila lire. [Da sin: Francisca Solari, Alessandro Dolci e Giuseppe Noto. Aida, Macerata 1921]
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L'anno successivo si allestì La Gioconda di Amilcare Ponchielli, ma l’iniziativa si rivelò fallimentare, poi un lungo silenzio interrotto soltanto nel 1927, quando il tenore recanatese Beniamino Gigli tenne un concerto per i mutilati e gli invalidi della Grande Guerra, accompagnato dal maestro Amilcare Zanella, uno tra i più grandi direttori d’orchestra dell’epoca. Il tenore recanatese, erede di Caruso e formidabile interprete della canzone italiana, catturò un’arena gremita. La Società dello Sferisterio ha ricordato questo grande successo con una lapide posta in bella vista nell’atrio dell’ingresso principale. Occorre attendere il 1967 per poter assistere al ritorno definitivo dell'opera lirica in arena, con la nascita di una regolare stagione con cadenza annuale denominata ancora oggi 'Macerata Opera Festival', arrivata quest’anno alla 58° edizione. Il 2006 è l'anno della definitiva trasformazione: con la direzione artistica di Pier Luigi Pizzi la rassegna estiva diviene un Festival. struttura L'edificio è considerato oggi una delle più significative realizzazioni del tardo Neoclassicismo europeo, di chiara declinazione purista e ispirato all'architettura classica e rinascimentale, in particolare all'opera di Andrea Palladio.
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Perfettamente inserita nel tessuto urbano preesistente, la costruzione si impone fin da subito al visitatore per la grandiosa facciata a laterizio, ma ancora più sorprendente è l’ampio e inatteso spazio interno, un’enorme arena di 90 metri per 36 circondata da un’elegante scenografia costituita da una successione di 56 colonne doriche e conclusa da un maestoso muro alto 18 metri e lungo quasi 90, costruzione indispensabile per lo svolgimento delle partite del “pallone con bracciale”. Le 56 colonne sostengono i palchi, tra cui quello reale, e si concludono con una balconata in pietra che fa da cornice e da cui si può godere di una bella veduta panoramica sul paesaggio collinare e sul centro storico.
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L’edificio originariamente poteva contenere anche più di 8000 spettatori, disposti lungo la gradinata rialzata, nei due ordini di palchi e nella balconata in pietra; per i tornei di pallone a bracciale, quando giocava la squadra locale, aggiungendo tribune mobili, la capienza arrivava fino a 10.000 Attualmentetifosi.il
teatro ha una capienza massima di circa 2500 posti (fino a 3000, includendo la balconata). [Rigoletto, 2019]
I giocatori vestivano di bianco con casacca piena di pizzi, mancante della manica destra, calzoni fino al ginocchio, con alla vita una sciarpa di colore rosso o azzurro. Il pubblico attento e tumultuoso si azzuffava e si rovinava con le scommesse.
Il pallone col bracciale è uno dei giochi nazionali italiani più antichi: fu lo spettacolo atletico più popolare in Italia sino a circa il 1921 e un suo famoso sportivo fu il destinatario di un’ode scritta da Giacomo Leopardi. I pallonisti professionisti dell'epoca erano tra gli atleti più ricchi nel mondo di allora: forse solo i toreri spagnoli e i lottatori giapponesi di sumo potevano rivaleggiare con i pallonisti per popolarità e ricchezza. Il gioco che per certi versi assomiglia al tennis moderno - si svolgeva tra due squadre di tre giocatori ciascuno: un pallone di cuoio veniva colpito con un bracciale fatto di legno durissimo di sorbo, munito all’esterno da sette file di denti di corniolo; i giocatori si contendevano la partita colpendo la palla in direzione del campo avversario e utilizzando il grande muro d’appoggio come battipalla. Pallone, pompa e bracciale (Trattato del Giuoco della Palla1555)]
L’uso sportivo: “Ilgiuococlassicodegliitaliani”
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La Musica del medioevo
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Il breve racconto della sua vida, inserito in due codici occitanici, ci dice che Cercamon fu un giullare della Guascogna, (o forse nel Limosino) rimatore al "modo antico". Cercamon è sicuramente un soprannome che in occitano medievale significa "cercamondo", mentre il vero nome è sconosciuto. Da qualche riferimento contenuto nei suoi versi, si congettura che poetasse negli anni 11351145, presso le corti di Guglielmo X di Aquitania e, forse, di Eble III di AlcuniVentadorn.suoicontemporanei
lo indicano come il mentore di Marcabru, il quale secondo quanto racconta la sua vida, soggiornò presso il trovatore Cercamon dove imparò a comporre; tuttavia, buona parte degli studiosi pensa, al contrario, che Cercamon sarebbe stato il discepolo e non il maestro di Marcabru. Alcune prove circostanziali sembrerebbero dimostrare la sua morte alle Crociate al seguito di Luigi VII di CermamonFrancia.fu
l'inventore del Planh (il canto funebre provenzale), della Tenzone (una sorta di contraddittorio in rima in cui due poeti scrivono una stanza ciascuno) e forse del Sirventese (canto di omaggio celebrativo del cortigiano verso il proprio signore). Della sua opera sono rimasti 9 componimenti (di cui due di dubbia attribuzione): due canzoni d'amore, una religiosa, due sirventes morali, un plahn, una tenzone. Sfortunatamente, le sue Pastoretas o pastorelle, ricordate dall'autore della sua Vida, sono andate perdute. D'ispirazione breve e tenue, la sua lirica accenna a qualche motivo d'attesa e di nostalgia amorosa, ma sa trovare improvvisamente la nota sensuale e la parola vigorosa, atteggiamenti che saranno ripresi dai trovatori posteriori.
Cercamon
BIOGRAFIA Cercamon - o anche Cercamons, Cercalmon, Cercalmont, Sercalmonz, italianizzato in Cercamondo - appartiene al gruppo dei trovatori provenzali arcaici, assieme a Guglielmo di Poitiers, IX duca d’Aquitania (vedi Amici del Loggione n° 12 pag. 73), Jaufre Rudel (n° 15 pag. 109) e Marcabru (n° 14 pag. 83).
[Cercamon, miniatura da manoscritto del XIII secolo (Parigi, Bibliothèque Nationale, MS cod. fr. 12473)]
Testo: Ab lo pascor m'es bel qu'eu chan En estiu, a l'entran de mai, Can par la flors sobre·l verjan, E son reverdezit li glai; Mout mi val pauc lo temps cortes, Q'eu non ai joi ni non l'ades, Ni de sa compagnia no·m lau. [A Pasqua trovo bello cantare, in estate, all'inizio di maggio, quando sul prato spunta il fiore e rinverdiscono i gladioli; ma poco mi giova la stagione cortese, perché né ho gioia né la raggiungo, né posso vantare la sua compagnia.] Per qe d'amor an atretan Li malvas enojos savai Com li meillor e·l plus prezan. Jovens s'en fuig, fraing e dechai, E Malvestatz a son luec pres En amistat, c'amics non es Amatz ni d'amigua no·s jau. [Perché l'amore dà lo stesso al male, fastidioso e rozzo, come dà il meglio e il più degno. La giovinezza è sconfitta, spezzata e abbattuta, e la malizia ha preso il suo posto nell'amicizia, perché l'amico non è amato, né gode della sua amica.] Ben sai qe lor es mal estan Als moilleratz car se fan gai Domnejador ni drudejan, E·l guizardo qe lor n'eschai Ditz el reprovier lo pajes : Q'a glazi fer a glazi es Feritz d'eis lo seu colp mortau. [So bene che agli uomini sposati dispiace fare da corteggiatori e amanti galanti, e la ricompensa che manca loro è descritto dal contadino nell'adagio "Chi ferisce con il pugnale è sé stesso ferito dal pugnale, con lo stesso colpo fatale".] Fals amador, al meu semblan, Vostr'er lo danz e non·n pueis mai; De gran folor es acordan Can l'us l'autre gali'e trai;
[84] GUIDA ALL’ASCOLTO AB LO PA“CO‘ MげE“ BEL QげEU CHAN (A Pasqua trovo bello cantare)
E pos vos o aves enqes, Drut, moiller e marit, tug tres, Sias del pechat comunau. [Falsi amanti, mi sembra che vi prendete il male, e che non posso aggiungervi; siete grandemente folli quando vi ingannate e vi tradite a vicenda; e poiché l'avete chiesto, amanti, donne e mariti, possiate voi tutti e tre gruppi prendere parte allo stesso peccato.]
El fuec major seretz creman En la pena qe non trasvai, Enganador fals e truan, Al juzizi del derrer plai, On sera totz lo mals e·l bes Jutjatz; e no clam ja merces Domna c'aja drut desleiau. [Sarete bruciati nel grande fuoco, in una punizione senza fine, ingannatori, falsi e traditori, al giudizio dell'ultima prova, dove tutto il bene e il male saranno giudicati; e possa una signora non pretendere pietà, solo perché il suo amante è infedele.]
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Non a valor d'aissi enan Cela c'ab dos ni ab tres jai; Et ai n'enqer lo cor tristan, Qe Dieus tan falsa no·n fetz sai; Miels li fora ja non nasqes Enans qe'l failliment fezes Don er parlat tro en Peitau. [Non vale niente, quel giorno, che dorme con due o tre; e il mio cuore è ancora addolorato che Dio abbia messo qui una donna così falsa; sarebbe stata meglio non nascere affatto, piuttosto che commettere quella colpa di cui la gente parla fino in fondo a Poitiers.] Saint Salvaire, fai m'albergan Lai el renh on mi donz estai, Ab la genzor, si q'en baizan Sien nostre coven verai E qe·m do zo que m'a promes; Pueis al jorn s'en ira conques, Si be l'es mal al gelos brau. [Santo Salvatore, proteggimi là nel regno dove abita la mia signora, con la donna più nobile affinché, baciandomi, si suggelli il nostro patto ed ella mi dia ciò che mi ha promesso; poi, quel giorno, se ne andrà conquistata, per quanto grave possa provare una rozza gelosia.] Amics, diguas li·m, can la ves, Si passa·l terme q'avem pres, Q'ieu soi mortz, per sain Nicolau!
Testo: Ab lo temps qe fai refreschar Lo segle e·ls pratz reverdezir Vueil un novel chant comenzar D'un amor cui am e dezir; Mas tan s'es de mi loignada Q'ieu non la puesc aconseguir, Ni de mos digz no s'agrada. [Con la stagione che restituisce la giovinezza al mondo e il verdeggiante ai prati, voglio iniziare una nuova canzone su un amore che amo e desidero; ma si è allontanata così tanto da me che non riesco a raggiungerla e le mie parole non sono d'accordo con lei.] Ja mai res no·m pot conortar, Abanz mi laissarai morir, Car m'an fag de mi donz sebrar Lauzenjador, cui Deus azir! Las! tan l'aurai desirada Que per lei plaing, plor e sospir, E vau cum res enaurada. [Nulla può più consolarmi, così mi lascerò morire, perché i calunniatori mi hanno separato dalla mia donna, che Dio li maledica! Ahimè! Avrò tanto desiderato per lei che piango e imploro e sospiro per lei e vado come una cosa insensata.] Aqesta don m'auzetz chantar Es plus bella q'ieu no sai dir; Fresc'a color e bel esgar
[86] [Amico, dille, quando la vedi, che se lascia passare il termine che abbiamo fissato, io sono morto, per San Nicola!]
AB LO TEMPS QE FAI REFRESCHAR (Con la stagione che restituisce giovinezza)
Anc ieu de lei no·m volc clamar, Q'enquer, si·s vol, me pot jauzir, Et a ben poder de donar D'aqo don me pot enrequir; No posc far lonja durada, Qe·l manjar en pert e·l durmir, Car no m'es plus aizinada. [Non voglio mai deplorarla, perché, tuttavia, se vuole, può rendermi felice, ed è in suo potere dare ciò che mi renderebbe ricco; non posso resistere a lungo, perché mi porta via il cibo e il sonno, perché lei è fuori dalla mia portata.]
Amors es douza a l'intrar Et amara al departir, Q'en un jorn vos fara plorar, Et autre jogar e burdir, Q'eu sai d'amor enseigniada, On plus la cujava servir, Ilh s'es vas mi cambiada. [L'amore è dolce quando viene e amaro quando se ne va, perché un giorno ti farà piangere e un altro correre e gioire, perché so dell'amore dotto: più credevo di servirla, più lei si allontanava da me.]
Messatges, vai, si Deus ti guar, E sapchas ab mi donz furmir, Qu'eu non puesc lonjamen estar De sai vius ni de lai guerir, Si josta mi despoliada Non la puesc baizar e tenir
Et es blancha ses brunezir; Oc, e non es vernisada, Ni om de leis non pot mal dir, Tant es fin' et esmerada. [Questa donna di cui mi senti cantare è così bella che sono a corto di parole; fresca di colore e bella di considerazione, è di un bianco che non si scurisce; sì, e non è dipinta, né c'è nessuno che possa parlarne male, tanto è nobile e raffinata.]
E sobre tota·s deu prezar De dig ver, segon mon albir, D'ensegnamen e de parlar, C'anc non volc son amic traïr; Et ieu fols fui la vegada Can crezei ren q'en auzis dir, Ni·l fis so don fos irada. [E bisognerebbe elogiarla soprattutto, secondo me, per le sue parole sincere, la sua cultura e la sua eloquenza, perché non ha mai voluto tradire la sua amica e io sono stato uno sciocco il giorno in cui ho creduto alle cose che avevo sentito su di lei e l'ho fatto sapendo che l'avrebbe infastidita.]
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ASSATZ ES OR' OIMAI Q'EU CHAN (È giunto il momento per me di cantare)
Dins cambra encortinada. [Messaggero, va', e che Dio ti protegga, e che tu sappia come piacere alla mia signora, perché non posso restare vivo a lungo qui né resistere laggiù a meno che, dopo averla spogliata, non possa baciarla e tenerla in una stanza con le tende.]
***
Testo: Assatz es or' oimai q'eu chan; Tant ai estat acondurmitz C'anc mos chanz non fon lueing auzitz, Mas era·m vau ja reveilhan, Et irai mon joi recobran Contre l'ivern e·l freig aurei. [È giunto il momento per me di cantare; ho dormito così a lungo che la mia musica non si sentiva più da lontano, ma ora mi sto svegliando e continuerò a recuperare la mia gioia contro l'inverno e il freddo vento del nord.] De joi no·m cal fugir enan, C'anc un sol jorn no·n fui garnitz, Et es m'al cor prion sorzitz, Si qu'entre gens vau sospiran Lo dezirier c'ai d'amor gran, Ni dorm ni veil, ni aug ni vei. [Non dovrei evitare di nuovo quella gioia, perché non ha brillato su di me un solo giorno, ma oggi mi sgorga nel profondo del cuore così che passo tra le persone sospirando il desiderio che ho di un grande amore e non riesco a dormire né star sveglio, non ascoltare né guardare per questo.]
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[89] S'anc per amor anei velhan, Ni·n fui anc fols ni trassailitz, Ni cambiatz per chamjairitz, Era·n lau Dieu e saint Joan, C'ab tal amor vau amoran C'anc non chamjec per autre mei. [Se mai sono stato tenuto sveglio dall'amore o spaventato e reso pazzo, o cambiato da una donna che cambia, ora sii Dio e sia lodato San Giovanni! vado amando con un amore tale dato che non lo scambierei mai con un altro.] Cesta non cug qe ja m'engan S'ieu ja de leis no soi grazitz, Ni no·n soi tant afolatitz Que ja re·il qeira ni·l deman, Petit ni pro, ni tan ni qan, Ni mal ni be, ni so ni qei. [Non credo che questa mi inganni anche se non sono ancora nelle sue grazie, né ho tanto perso la ragione per lei da chiederle o supplicarla per qualsiasi cosa, piccola o grande, qua o là, cattiva o bene, in un modo o nell'altro.] Tant la vei coinda e prezan, E·l faigz de leis es tant eslitz Qe sai me tenc per enreqitz E lai serai en son coman La nueh e·l jorn e·l mes e l'an, C'aissi soi sieus com esser dei. [La vedo, così aggraziata e degna, e nelle sue azioni c'è una tale distinzione che qui mi considero arricchito e lì sarò a sua disposizione notte e giorno e [ogni] mese e [ogni] anno perché sono suo come devo essere.] Plas es lo vers, vauc l'afinan Ses mot vila, fals, apostitz, E es totz enaissi bastitz C'ap motz politz lo vau uzan, E tot ades va·s meilluran S'es qi be·l chant ni be·l desplei. [Il verso è semplice, e lo sto raffinando senza parole banali, false o assurde; ed è messo insieme così che non ci sono che parole eleganti in esso, e ora sta ancora migliorando.]
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Testo: «Car vei finir a tot dia [L'amor], lo joy e·l deport, E no·m socor la clerzia, Non puesc mudar no·m cofort Co fay, can conois sa mort, Lo signes, que bray e cria En mou son sonet per fort, Que·l cove fenir sa via, E plus no·ia de conort.» [«Poiché vedo, ogni giorno, finire l'amore, la gioia e il piacere, e il clero non mi aiuta, non so a chi rivolgermi, oltre a consolarmi come fa, quando sa della sua morte, il cigno, che si lamenta e piange ed emette suoni con forza quando è tempo che la sua vita finisca e non ha più speranza.»]
«Guilhalmi, non pretz mealha So que·m dizes, per ma fe; Mais volria una calha Estreg tener en mon se No faria un polhe Qu'estes en autrui sarralha, C'atendes la lor merce: Car soven, so cug, badalha Qui s'aten a l'autrui be.» [«Guilhalmi, non m'importa un filo di quello che dici, per mia verità; preferirei avere una quaglia stretta nel petto piuttosto che un'intera voliera che qualcun altro tiene chiusa a chiave mentre attendo pietà: perché spesso, scopro, uno sbadiglia aspettando i beni di qualcun altro.»]
«Maïstre, si Dieus me valha, Ben dizetz so que cove; Mas ja d'aisso no vos calha Car li clerc no vos fan be; Car lo bos temps ve, so cre, Que auretz aital guazalha Que vos dara palafre O renda que mais vos valha, Car lo coms de Peitieus ve.»
CAR VEI FINIR A TOT DIA (Perché vedo ogni giorno finire)
[«Mentore, che Dio mi aiuti, dici certamente cose appropriate; tuttavia, non ti importi che il clero non ti faccia del bene; perché viene un tempo favorevole, credo, in cui avrai un socio tale che ti darà un destriero o una rendita per te che vale ancora di più, perché viene il conte di Poitiers.»]
« Maistre, gran benanansa Podetz aver si softretz. » « Guilhalmi, vanansa Non crei, si com vos dizetz. »
« Maïstre, josca la brosta Vos pareisa· è un romanzo.» « Guilhalmi, ben pauc vos costa Lo mieus ostals del castel. » « Maïstre, conte novel Aurem nos a Pantacosta Que·us pagara ben e bel. » « Guilhalmi, fols qui·eus escota: Vos pagatz d'autrui borcel» [«Mentore, vicino al fogliame possa apparire il tuo nuovo tetto»]
« Maïstre, n'ajatz coratge D'efan ni d'ome leugier. » « Guilhalmi, sobre bon guatge Vos creyria volontier. » «Maïstre, man bon destrier An li ome de paratge Per sufertar al derrier.» « Guilhalmi, fort e .............................salvatge»
« Guilhalmi, ospitarmi nel castello ti costa poco.» «Mentore, in Quaresima avremo un nuovo conte che ti pagherà bene e bene.» «Guilhalmi, è sciocco chi ti ascolta: paghi con la borsa degli altri.»]
E’ un planh composto per la morte di Guilhèm de Peitieus (Guglielmo IX d’Aquitania, raffigurato nella miniatura), avvenuta il 10 Febbraio 1126.
«Guilhalmi, che Dio ti dia una speranza come quella che offri a me.»]
« Maistre, auto no·m crezetz? Gran be vos venra de Fransa Si atendre lo voletz. » « Guilhalmi, tal esperansa Vos don Dieus com vos m'ufretz.»
[«Mentore, non avere il cuore di un bambino o di un uomo volubile.»
«Guilhalmi, con una buona pedina ti crederei volentieri. «Mentore, uomini di spicco hanno molti buoni destrieri per essere pazienti fino alla fine.» « Guilhalmi, forte e selvaggio .............................»]
LO PLAING COMENZ IRADAMEN (Il lamento io comincio mesto)
[«Mentore, puoi avere un grande bene, se sei paziente.»
[91]
« Guilhalmi, non credo alle vane parole che dici.» «Mentore, perché non mi credi? Un grande bene ti verrà dalla Francia, se ti va di aspettarlo.»
[92]
Glorios Dieus, a vos me clam, Car mi toletz aqels qu'ieu am;
Del comte de Peitieu mi plaing Q'era de Proeza compaing; Despos Pretz et Donars soffraing, Peza·m s'a lonjas sai remaing. Segner, d'efern lo faitz estraing, Qe molt per fon genta sa fis. [Qui io piango il Conte di Poitiers che era mio compagno di prodezza; poi che il pregio e la bontà sono svanite, considerami se ancora a lungo resterò. Signore, dall'inferno tenetelo lontano, che per molta gente fu un uomo nobile sino alla fine.]
Testo: Lo plaing comenz iradamen D'un vers don hai lo cor dolen; Ir' e dolor e marrimen Ai, car vei abaissar Joven: Malvestatz puej' e Jois dissen Despois muric lo Peitavis. [Io comincio mesto il lamento in un verso che fa il cuore dolente; ho mestizia, dolore e smarrimento, ahimè, ch'io vedo sminuire la giovinezza: la malizia s'innalza e la gioia declina da quando il Poitevin morì.]
Remazut son li prez e·ill lau Qi solon issir de Peitau. Ai! com lo plagno li Barrau. Peza·m s'a longas sai estau. Segner, lo baro q'ieu mentau Metetz, si·us platz, em paradis. [Riposti sono i pregi e il suo valore che solevano appartenere a Poitou. Ahi! come piango il Barrois. Considerami, se a lungo ancor vivrò. Signore, il barone di cui io parlo accoglietelo, vi prego, in Paradiso.]
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PER FIN' AMOR M'ESBAUDIRA (Mi rallegrerò di un nobile Amore)
Testo: Peヴ fiミげAマoヴ マげesHaudiヴa taミt ケaミt fai Ihaut ミi sげesfヴezis, toz tems serai vas lei aclis, mas non puosc saber enqera si poirai ab joi remaner, o·m voldra per seu retener cella, cui mos cors dezira. [Mi rallegrerò di un nobile Amore quando fa caldo come quando fa freddo; mi sottometterò a lei tutto il tempo, ma non posso ancora saper ese sarò in grado di stare dalla parte della gioia, o se colei che il mio cuore desidera mi manterrà come suo.] Seinhors e dompnas gequira, si·l plagues qe eu li servis e si┗als dげaitaミt マげeミヴeケuis qe dixes qe ma domna era; e del plus fos al seu plazer, de la menzonja o del ver, IげaH sol soミ dig マげeミヴeケuiヴa. [Abbandonerò dame e signori se le piace che la serva; e chiunque mi dicesse di lasciarla, mi farebbe morire sul colpo, perché non ho speranza in nessun'altra donna,nné giorno né notte, né mattina né mezzogiorno, né il mio cuore desidera altro.] Ges taミt leu ミo lげeミケueziヴa sげeu saHes Iaミt gヴieu sげafヴaミケuis; IげaミI ヴes ミo fo ミo sげuマelis ┗as aマoヴ, マas ill ミげes feヴa; en domna non pot ren valer, per riqueza ni per aver, se jois dげaマoヴ ミo l'espiヴa.
[Non l'avrei supplicata così alla leggera se avessi saputo quanto sia difficile addolcirsi. Non c'è essere che non sia umiliato con amore; lei, invece, è brutale nei suoi confronti; e una donna non può valere niente, per potere o per ricchezza, se la gioia dell'amore non la ispira.]
Aissi com vos formetz Adam, Lo defendetz del fel liam Del foc d'efern, qe non l'aflam, Q'aqest segles nos escharnis. [Glorioso Dio, io porgo a Voi il mio lamento perché mi toglieste colui ch'io amo; così come voi formaste Adaマo, pヴoteggetelo da tutti i マali e dal fuoIo dell’iミfeヴミo, Ihe ミoミ lo HヴuIi, Ihe ケuesti secoli non ci ingannino.]
Ja de sos pes no·m partira, si·l plagues ミi マげo Ioミseミtis; e ケui·マ dezia マげeミ paヴtis faria·m morir des era; ケげeミ autヴa ミoミ ai マoミ espeヴ, nuoit ni jorn ni maitin ni ser, ミi dげals マos Ioヴs ミo Ioミsiヴa.
[Non mi separerei dai suoi piedi se mi piacesse e mi accettasse, o se mi arricchisse solo dicendo che è la mia signora, e per il resto, acconsentirei a ciò che le farebbe piacere che sia bugia o verità, perché lei mi arricchirà solo con le sue parole.]
[94]
Entre joi remaing et ira ades qant de leis mi partis, ケげaミI pois ミo la ┗i ケげela·マ dis qe si l'ames, mi amera. Alre no sai del sieu voler, mas ben pot per vertat saber ケげeu マoヴヴai si gaミヴe·マ tiヴa.
[Rimango tra gioia e tristezza quando mi separo da lei; inoltre, non l'ho vista dal giorno in cui mi ha detto che se l'amavo, mi amerà. Non so nient'altro delle sue intenzioni; ma la mia signora lo sa bene che morirò se lei mi tormenterà a lungo.]
Gencer en es mon no·s mira, guaiげe HlaミIa Ioマa eヴマis, plus fresca qe rosa ni lis: ヴeミ als ミo マげeミ desespeヴa.
Dieus! si poiヴai lげoヴa ┗ezeヴ, ケuげieu josta leis puesIa jazeヴ! Eu non, qar vas mi no·s vira. [Non si vede una donna più bella in questo mondo, bella e più bianca di un ermellino, più fresca di una rosa o di un giglio; nient'altro mi porta più alla disperazione. Dio! se potessi vedere l'ora in cui potrei giacere al suo fianco! Non posso, perché lei non si gira verso di me.] Toz マos taleミz マげaeマpliヴa マa doマミa, sol dげuミ Hais マげaizis, ケげeミ gueヴヴejeiヴa マos ┗ezis, e·n fora larcs e donera, e·m fera grazir e temer, e mos enemics bas chader e tengra·l meu e·l garnira. [La mia signora esaudirebbe tutti i miei desideri se mi graziasse con un bacio: allora muoverò guerra contro i miei vicini, sarò generoso e darò, e sarò tenuto in soggezione e timore e farò cadere rovinosamente i miei nemici e manterrò i miei beni e nominarli. E pot ben ma domna saber qe ja nulz hom de mon poder de meillor cor no·ill servira.
[95] [E possa la mia signora sapere che nessun altro uomo della mia condizione la servirà mai con un cuore migliore.] E si·m fezes tant de plazer qe·m laisses pres de si jaser, ja dげaケuest マal ミoミ morira. [E se avesse concesso così tanta grazia da farmi sdraiare al suo fianco, non morirei di questo star male.]
PUOI NOSTRE TEMPS (Poiché il tempo)
Per lieys deu hom esperar e sofrir, Tant es sos pretz valens e cabalos, Qu'anc non ac suenh dels amadors savays, De ric escars ni de paubr' ergulhos; Qu'en plus de mil no·n a dos tan verays Que fin'Amors los deja obezir.
Ist trobador, entre ver e mentir, Afollon drutz e molhers et espos, E van dizen qu'Amors vay en biays, Per que'l marit endevenon gilos,
[Nessuno può tanto servire questo amore senza che mille volte questi non gli raddoppi le ricompense, poiché Pregio e Gioia e tutto quanto è e di più, ne avranno quelli che ne saranno in possesso; ché mai (Amore) oltrepassò patto né lo infranse; ma, a quanto sembra, sarà difficile da conquistare.]
[Per lui si deve sperare e soffrire: tanto il suo prezzo è alto e superiore che mai ebbe cura dei cattivi amanti, del potente avaro né (del) povero orgoglioso, poiché tra più di mille (amanti) non ve ne sono due tanto leali che il nobile Amore debba assecondarli.]
Testo: Puois nostre temps comens'a brunezir, E li verjan son de lor fuelhas blos, E del solelh vei tant bayssatz los rays, Per que·l jorn son escur e tenebros Et hom non au d'auzelhs ni chans ni lays, Per joy d'Amor nos devem esbaudir. [Poiché il tempo qui comincia ad oscurarsi e i rami sono privi delle foglie e vedo i raggi del sole abbassarsi tanto, per la qual cosa i giorni sono scuri e tenebrosi e non vi si ode né canto né gorgheggio di uccello, per gioia d’aマoヴe doHHiaマo ヴallegヴaヴIi.] Aquest Amor no pot hom tan servir Que mil aitans no·n doble·l gazardos: Que Pretz e Joys e tot quant es, e mays, N'auran aisselh qu'en seran poderos; Qu'anc non passet covinens ni·ls enfrays; Mas per semblan greus er a conquerir.
E dompnas son intradas en pantays, Cui mout vol hom escoutar et auzir.
Ves manhtas partz vei lo segle faillir, Per qu'ieu n'estauc marritz e cossiros, Que soudadiers non truep ab cui s'apays, Per lauzengiers qu'an bec malahuros, Qui son pejor que Judas, qui Dieu trays; Ardre·ls degr'om o totz vius sebellir. [Da molte parti vedo il mondo andare in rovina, per la qual cosa me ne sto smarrito e preoccupato che il mercenario non trovi di che nutrirsi per i maldicenti che hanno perfido becco, che sono peggiori di Giuda che Dio tradì: li si dovrebbe ardere e tutti vivi seppellire.]
[Questi trovatori tra il vero e il falso di quanto dicono, corrompono amanti e donne e sposi, e vanno diIeミdo Ihe l’Aマoヴe va di tヴaveヴso, e peヴIiò i マaヴiti diveミgoミo gelosi, e le donne sono entrate in apprensione, e a questi (trovatori) troppo si vuol dare retta e ascolto.]
Nos no·ls podem castiar ni cobrir; Tollam nos d'elhs e dieus acosselh nos! Qu'us joys d'Amor me reverdis e·m pays, E puesc jurar qu'anc ta bella no fos: Petit la vey, mas per ella suy gays Et jauzions, e Dieus m'en do jauzir. [Noi non possiamo correggerli né difenderli: stiamo lontani da loro e che Dio ci guardi! Ché una gioia d’aマoヴe マi ヴiミgiovaミisIe e マi ミutヴe e posso giuヴaヴe Ihe マai ふdoミミaぶ taミto Hella esistesse: poco la vedo, ma per lei sono gaio e felice e Dio mi conceda di gioirne.]
Cist sirven fals fan a plusors gequir Pretz e Joven e lonhar ad estros, Don Proeza no·n cug que sia mais, Qu'Escarsetaz ten las claus dels baros, Manhs n'a serratz dins las ciutat d'Abais, Don Malvestatz no·n laissa un issir. [Questi falsi servitori a molti fanno abbandonare e allontanare completamente Virtù e Gioventù, per la qual cosa non credo che Prodezza esista più, poiché Grettezza è padrona dei baroni: più d’uミo ミe ha rinchiuso nella città di Decadenza, da cui Malvagità non ne lascia uno solo uscire.]
Ara·s pot hom lavar et esclarzir De gran blasme, silh qu'en son encombros; E si es pros yssira ves Roays, E gurpira lo segle perilhos, Et ab aitan pot si liurar del fays Qu'assatz en fai trabucar e perir. [Ora ognuno può lavarsi e purificarsi da grande colpa, quelli che ne sono macchiati; e se vi è valoroso, si dirigerà verso Edessa, e abbandonerà il pericoloso mondo, e così può liberarsi dal fardello, che abbastanza ne fa cadere e precipitare in rovina.]
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Testo: Quant l'aura doussa s'amarzis E·l fuelha chai de sul verjan E l'auzelh chanjan lor latis, Et ieu de sai sospir e chan D'Amor que·m te lassat e pres, Qu'ieu anc no l'agui en poder. [Quando l'aria dolce diventa amara e la foglia cade dai ramoscelli e gli uccelli cambiano il loro canto, sospiro e canto per lui, Amore, che mi tiene strettamente legato, colui che non ho mai avuto in mio potere.] Las! qu'ieu d'Amor non ai conquis Mas cant lo trebalh e l'afan, Ni res tant greu no·s covertis Com fai so qu'ieu vau deziran! Ni tal enveja no·m fai res Cum fai so qu'ieu non posc aver. [Ahimè! Non ho guadagnato nulla d'Amore, ma aveva solo tormento e dolore, perché niente è così difficile da guadagnare quanto quello su cui è piegato il mio desiderio!, Nessun desiderio mi colpisce come quello per ciò che non posso avere.] Per una joja m'esbaudis Fina, qu'anc re non amiey tan! Quan suy ab lieys si m'esbahis Qu'ieu no·ill sai dire montalan, E quan m'en vauc, vejaire m'es Que tot perda·l sen e·l saber.
Cercamon dis: «Qi vas Amors s'irais Meravill'es com pot l'ira suffrir.» Q'ira d'amor es paors et esglais E no·n pot hom trop viure ni murir. [Cercamon dice: «Chi contro Amore si adira, è strano come possa sopportarne lo sdegno». Perché sdegno d’aマoヴe X pauヴa e sgoマeミto e ミoミ se ミe può tヴoppo a luミgo viveヴe ミY マoヴiヴe.] Fagz es lo vers, e non deu veillezir, Segon aisso qe monstra la razos, Q'anc bon'Amors non galiet ni trais, Anz dona joi als arditz amoros. [Fatta è la canzoミe e ミoミ deve iミveIIhiaヴe, seIoミdo Iiò Ihe マostヴa l’aヴgoマeミto, IhY マai leale Aマoヴe ingannò né infranse (patto), anzi dà gioia agli arditi innamorati.] QUANT LげAU‘A DOU““A “げAMA‘)I“ (Quaミdo l’aヴia dolIe diveミta aマaヴaぶ
[Gioisco per un gioiello così bello che non ho amato mai nulla così tanto! Quando sono con lei, balbetto stupidamente, non riesco a pronunciare le mie parole ben intenzionate, e quando mi separo da lei, mi sembra di perdere tutto il mio senso e il mio sapere.]
Tota la genser qu' Encontra lieys no pretz un guan! Quan totz lo segles brunezis, Delai on ylh es si resplan. Dieu prejarai qu'ancar l'ades O que la vej'anar jazer. [La donna più bella che si sia mai vista, in confronto a lei, non vale nulla! Quando il mondo intero si trasforma in oscurità, la luce risplende dal luogo in cui riposa. Pregherò Dio di poterla toccare un giorno o di vederla andare a letto.]
Totz trassalh e bran et fremis Per s'Amor, durmen o velhan. Tal paor ai qu'ieu mesfalhis No m'aus pessar cum la deman, Mas servir l'ai dos ans o tres, E pueys ben leu sabra·n lo ver. [Sveglio o addormentato, tremo e sono tutto sorpreso e scosso dal mio amore per lei. Ho così paura di morire che non oso pensare a come supplicarla, ma la servirò per due o tre anni e poi, forse, scoprirà la verità.] Ni muer ni viu ni no guaris, Ni mal no·m send e si l'ai gran, Quar de s'Amor no suy devis, Non sai si ja l'aurai ni quan, Qu'en lieys es tota la merces Que· m pot sorzer o decazer. [Non muoio né vivo né guarisco, né sento il mio malessere, anche se grave, perché non sono separato dal suo amore e non so se l'avrò, né quando, perché in lei è tutta la grazia che può risollevarmi o abbattermi.] Bel m'es quant ilh m'enfolhetis E·m fai badar e·n vau muzan! De leis m'es bel si m'escarnis O·m gaba dereir'o denan, Qu'apres lo mal me venra bes Be leu, s'a lieys ven a plazer. [Mi piace quando mi fa impazzire e mi fa riflettere e rimanere a bocca aperta per lo stupore; mi fa piacere quando mi insulta e mi prende in giro, alle mie spalle o in faccia, perché dopo il male, il bene arriverà presto, se la sua fantasia gira in quel modo.]
S'elha no·m vol, volgra moris Lo dia que·m pres a coman! Ai, las! tan suavet m'aucis Quan de s'Amor me fetz semblan,
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Que tornat m'a en tal deves Que nuill' autra no vuelh vezer. [Se non mi vuole, vorrei essere morto il giorno in cui mi ha preso al suo servizio! Ahimè! Mi ha ucciso così dolcemente quando sembrava amarmi, perché mi ha afferrato così tanto che non voglio vedere nessun'altra donna.] Totz cossiros m'en esjauzis, Car s'ieu la dopti o la blan, Per lieys serai o fals o fis, O drechuriers o ples d'enjan, O totz vilas o totz cortes, O trebalhos o de lezer. [Benché preoccupato, mi rallegro: poiché, se la temo o la corteggio per lei sarò falso o fedele, o giusto o pieno di astuzia, o del tutto un vile o un o gentiluomo, o tormentato o pacifico.] Mas, cui que plass'o cui que pes, Elham pot, si·s vol, retener. Cercamons ditz: greu er cortes Hom qui d'amor. [Ma chiunque possa piacere o addolorarsi, può trattenermi, se vuole. Cercamon dice: è poco cortese chi dispera d'amore.]
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[Glassarmonica di Franklin (riproduzione da un disegno del 1770]
Tramite un pedale (in quelle moderne vi può essere anche un motore elettrico) l’asta viene fatta girare a velocità costante e l'esecutore produce il suono poggiando le dita, opportunamente inumidite con acqua, sulle varie calotte producendo per sfregamento un suono vellutato e cristallino al tempo stesso.
2 Per idiofono si intende uno strumento prodotto dalla vibrazione del corpo stesso dello strumento, senza l'utilizzo di corde o membrane tese e senza che sia una colonna d'aria a essere fatta vibrare. Tipici esempi sono il triangolo, le maracas, la marimba, lo scacciapensieri.
La glassarmonica (o armonica a bicchieri) utilizza, in luogo di normali tasti da pianoforte, una serie di calotte di vetro poste orizzontalmente in ordine di grandezza e quindi d'intonazione. Queste calotte sono attraversate da un'asta girevole e inserite l'una nell'altra perché siano vicine tra loro senza che si tocchino.
Originariamente era uno strumento musicale idiofono2 costituito da una serie di bicchieri da vino di diversa grandezza e riempiti in varia misura da acqua in modo tale che, sfregando un dito inumidito sul bordo di ciascuno di essi, si produceva una nota musicale. Questo metodo era conosciuto sin dal 1600 e ne troviamo la descrizione in un’opera di Galileo. Fu Benjamin Franklin nel 1761 a creare una versione meccanizzata caratterizzata dalla disposizione dei bicchieri concentricamente lungo un asse orizzontale. Lavorò con il vetraio Charles James trovando la giusta intonazione (aveva studiato fisica del suono e suonava con abilità la viola da gamba), riducendo glia spazi tra i bicchieri ponendoli in orizzontale. Egli battezzò tale strumento "armonica" in onore al linguaggio musicale italiano. Nel nome in inglese, glass harmonica, la 'h' è entrata successivamente ed è di origine germanica.
La glassarmonica
Le calotte più grandi sono alla sinistra del suonatore e producono un suono più basso, le calotte più piccole producono invece un suono più acuto. Le coppe che producono le alterazioni (diesis o bemolle) sono segnate da una striscia colorata per orientare l'esecutore.
Così Franklin descrisse questo suo strumento musicale: «I vantaggi di questo strumento sono che i suoni sono incomparabilmente più dolci di qualsia altro, possono essere suonati piano o forte a piacere a seconda della pressione più o meno intensa delle dita e protratto il suono molto a lungo a piacere; inoltre lo strumento se ben intonato non necessita di alcuna accordatura». Lo strumento creato da Franklin conobbe ben presto una grande popolarità in Europa. Le cronache dell'epoca raccontano che la regina Maria Antonietta d'Asburgo Lorena, moglie di re Luigi XVI di Francia, si dilettasse a suonare l'armonica a bicchieri e che avesse studiato a fondo questo strumento.
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[Angelika Kaufmann: Glassharmonica – collezione Thomas Bloch]
La glassarmonica venne impiegata da Mozart (Adagio KV 357), Beethoven, Johann Adolph Hasse, David August von Apell, Carl Philipp Emanuel Bach, Baldassarre Galuppi, Gaetano Donizetti (nella celeberrima scena della pazzia della Lucia di Lammermoor e nell'aria Par che mi dica ancora da Elisabetta al castello di Enilworth), Richard Strauss. La glassarmonica è stata, nei secoli durante i quali il suo uso fu più diffuso, al centro di un dibattito circa l’opportunità del suo uso; alcuni ritenevano infatti che sia per l’esecutore che per l’ascoltatore potesse essere uno strumento Talenocivo.nocumento sarebbe stato dovuto, da un lato, agli effetti sulla psiche del suono dello strumento, ritenuto troppo penetrante e capace di produrre profondo turbamento, dall’altro, ai possibili danni alla salute dell’esecutore. Questa seconda tesi potrebbe forse trovare un suo fondamento nel fatto che nelle miscele antiche del vetro erano contenute significative quantità di piombo e dunque il prolungato manipolare tali vetri, con l’azione congiunta dello sfregamento, avrebbe potuto causare fenomeni di saturnismo. Il vetro moderno non contiene più quelle elevate quantità di piombo, comunque gli artigiani che ad oggi realizzano armoniche a bicchieri continuano a tener conto del pericolo che rappresenta, tanto che se ne è approntata una in quarzo, quindi priva di piombo.
[102]
Quartetto per archi in mi minore, di Giuseppe Verdi
La vicenda di questa composizione si dipana fra il Teatro San Carlo di Napoli, la redazione del giornale di Casa Ricordi, la “Gazzetta Musicale di Milano”, l’albergo Crocella di Napoli e il salotto meneghino della contessa Clara Maffei, amica di vecchia data del compositore. Ed è singolare leggere le lettere in cui il musicista parla di questo lavoro, perché ne emerge un atteggiamento in qualche momento decisamente poco comprensibile, perfino contraddittorio. All'inizio del marzo 1873 Verdi si era recato a Napoli per la prima rappresentazione al Teatro di San Carlo dell'Aida, ma il soprano Teresa Stolz (già moglie del direttore d’orchestra Angelo Mariani e poi legata da affettuosa amicizia con il compositore), ingaggiata per la parte principale, si ammalò improvvisamente.
[103]
passatempo
La prima fu posticipata, e così Verdi «nei momenti di ozio all'albergo Crocella» scrisse il Quartetto in mi minore, che fu eseguito per la prima volta il 1º aprile 1873, due giorni dopo la rappresentazione di Aida, nel corso di un recital informale presso l'albergo. L'esordio fu affidato ad un ensemble formato dai fratelli Finto ai violini, Salvadore alla viola e Giarritiello al violoncello. Erano presenti non più di sette o otto ascoltatori e fra questi c'era il corrispondente della Gazzetta Musicale di Milano, sulla quale pochi giorni dopo, uscì un grande articolo intitolato: “Un quartetto di Verdi!”. Nei confronti di questa sua composizione da camera Verdi aveva un atteggiamento che oscillava fra la noncuranza un po’ amareggiata, la gelosa protezione e la difesa dall’incomprensione del pubblico, esorcizzata perfino parlando di “voluttà del fiasco”. In realtà, la prima milanese era stata un grande successo. Nel suo resoconto al musicista, Giulio Ricordi aveva raccontato che il consenso maggiore era toccato al terzo movimento, che ricorda uno Scherzo della forma tedesca. Nella suddivisione canonica in tre parti, quella centrale meno rapida e differenziata anche armonicamente (Mi minore La maggiore) è affidata da Verdi al violoncello, con un tema cantabile che è come un colpo di teatro. In esso il pubblico di allora riconosceva il Verdi più amato. Per molto tempo Verdi continuò a negare il consenso ad esecuzioni del quartetto in Italia, sostenendo, forse in modo polemico, che il suo Quartetto non lo conosceva nessuno. Gli arrivò una richiesta anche da Parma, da parte del sindaco e di vari altri notabili, pregandolo di concedere il Quartetto per l'esecuzione, ricevendone questa risposta: «Sono veramente dolente di non poter aderire a quanto ella domanda. Io non mi sono più curato del Quartetto che scrissi per semplice alcuni anni or sono a Napoli e che fu eseguito in casa mia alla presenza di poche persone che erano solite venire da me tutte le sere. Questo per dirle che non ho voluto dare
LA STORIA
[Lげautogヴafo del Quaヴtetto dげaヴIhi sIヴitto da Giuseppe Veヴdi, doミato al Coミseヴ┗atoヴio di “aミ Pietヴo a Majella iミsieマe al Higlietto Ioミ sIヴitto さsaldatoざ]
[104] nissuna importanza a quel pezzo e che non desidero almeno per il momento renderlo noto in nissuna maniera». E ancora, ad un altro corrispondente di Parma, per scusarsi del fatto che non voleva far eseguire il Quartetto: «È vero che questo quartetto mi viene richiesto da qualche società musicale, prima fra le altre dalla cosiddetta Società del Quartetto di Milano, ma lo ricusai perché non volli dare nissuna importanza a quel pezzo». In realtà ciò non corrispondeva al vero, in quanto era già stato eseguito a Vienna e a Parigi con successo enorme e stava per fare il suo debutto anche a Londra, addirittura in una versione adattata per un'orchestra di 80 archi e l'autore, richiesto di assenso, lo aveva concesso, osservando che alcuni temi del primo e del secondo violino sarebbero risultati meglio in versione orchestrale. Più tardi, anche Arturo Toscanini avrebbe realizzato una versione per orchestra d'archi. Verdi si era espresso in tal modo riguardo al suo lavoro: «Se il quartetto sia bello o brutto non so… so però che è certamente un quartetto!». Nonostante le umili parole del Maestro il suo Quartetto in mi minore è in ogni caso una composizione decisamente gradevole e riuscita, un brano da concerto affascinante e persuasivo.
Verdi sosteneva una tesi molto semplice: se i compositori del “Nord” e quelli del “Sud” hanno delle differenze è bene che queste differenze restino. Non aveva senso, in altre parole, rinnegare la grande tradizione operistica dell’Italia in favore di un’inesistente tradizione cameristica. A Ricordi aveva scritto: «È convenuto che noi italiani non dobbiamo ammirare questo genere di composizione se non porta un nome tedesco. Siamo sempre gli istessi, noi italiani». E aveva
[105] aggiunto un’annotazione particolare della quale in realtà non era convinto fino in fondo, visto che attenua in maniera senz’altro insolita il suo parere: «Credevo allora e credo ancora, forse a torto, che il Quartetto in Italia sia pianta fuori di clima». Nella stessa lettera spuntava la polemica “ideologica”: «Io vorrei che le nostre società, licei e conservatori, unitamente ai quartetti a corde, istruissero quartetti a voce per eseguire Palestrina, i suoi contemporanei e Marcello». E così anche la famosa frase verdiana, “Torniamo al passato e sarà un progresso”, riletta sotto questa luce assume una particolare evidenza. Il vero punto di riferimento di Verdi per replicare ai “modernisti” era la grande tradizione polifonica del Cinquecento e i suoi addentellati settecenteschi. Perché, dunque, comporre un Quartetto d’archi? Probabilmente per dimostrare che un compositore d’opera non era affatto un compositore incompleto e che anche lui era in grado di creare un quartetto in grado di rispettare le regole accademiche, con un utilizzo preciso (quasi virtuosistico) del contrappunto e con lo sberleffo di una fuga a concludere il quarto e ultimo movimento, quasi un presagio di quella che, qualche anno più tardi, avrebbe chiuso il Falstaff. La prima esecuzione pubblica del Quartetto avvenne a Milano il 5 dicembre 1876 e preoccupò non poco Verdi. Così scrisse al suo editore Giulio Ricordi: «I tre primi tempi non presentano difficoltà di interpretazione, ma l'ultimo sì. Se alla prova voi sentite, termometro infallibile, qualche squarcio un po' impasticciato, dite pure che, se anche bene eseguito, è male interpretato. Tutto deve sortire, anche nei contrappunti più complicati, netto e chiaro. E questo si ottiene suonando leggerissimamente e molto staccato in modo che si distingua sempre il soggetto, sia dritto che rovesciato. Mi ha sorpreso assai nel sentire che siasi eseguito il quartetto a Vienna. Non avendone mai visto cenno nemmeno nella vostra Gazzetta, suppongo un fiasco, malgrado il buon successo che dice il vostro telegramma. Ditemene pure qualche cosa francamente e con verità: la voluttà del fiasco è qualche cosa nella vita dell'artista». Il Quartetto esprime chiaramente l'intenzione verdiana di definire una diversa pratica musicale, che sintetizzi nella forma classica un gusto e uno stile tipicamente italiani, alieni da qualsiasi pedissequa imitazione. Particolarmente significativa, da questo punto di vista, la scelta di concludere la composizione con una Fuga, che non a caso era la parte cui il compositore teneva di più e per la quale, come si è visto, dettava anche suggerimenti esecutivi. Nel Quartetto la Fuga è stringente, profonda e lieve al tempo stesso e l'ultimo movimento diventa, semplicemente, uno Scherzo-Fuga in tempo “Allegro assai mosso”, con il soggetto affidato al secondo violino chiamato a suonare pianissimo, staccato e leggero. Verdi aveva già scritto un’importante Fuga quattro anni prima, nel 1869, in un pezzo che era rimasto fino al 1873 lettera morta. Si tratta della parte finale di un Requiem in onore di Gioachino Rossini che lo stesso musicista aveva proposto a una decina di compositori italiani di assemblare, ciascuno realizzandone una parte. Lui si era riservato il “Libera Me”, concluso da una grande Fuga corale. Il Requiem per Rossini non aveva mai visto la luce, e l’originale “Libera Me” sarebbe stato rifuso un anno dopo il soggiorno napoletano nella Messa da Requiem verdiana.
GUIDA ALL’ASCOLTO Il Quartetto è scritto per il consueto quartetto d'archi composto da due violini, viola, e violoncello. È suddiviso in quattro tempi: 1. 4.3.2.AllegroAndantinoPrestissimoScherzoFuga.
Allegro assai mosso
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DISCOGRAFIA Verdi Tchaikovsky Smetana: String Quartets Amadeus Quartet Deutsche Grammophon -The Originals Quest’album della collana Originals presenta il Quartetto Amadeus alle prese con vari brani del repertorio cameristico: l'unico quartetto di Verdi e gli esemplari più famosi di Ciajkovskij e Smetana. Nel trattare la forma quartettistica, il nostro massimo operista non si differenzia più di tanto dai suoi colleghi slavi: anzi il più mitteleuropeo dei tre sembra quasi lui, se si giudica dal senso delle nuances e del lavorio tematico con cui cesella i due primi movimenti: il secondo pare a tratti quasi brahmsiano. Il momento più affine al Verdi abituale è lo Scherzo, la cui grandiosa concitazione fa pensare a certe scene d'insieme delle opere, mentre il trio è quasi una romanza da baritono.
Nell’Allegro iniziale il vivace dialogo tra le sezioni orchestrali, con il fuoco e la brevità tipica di Verdi, si riposa sulla melodia riproposta con nitide variazioni timbriche dalle varie voci Seguestrumentali.unAndantino danzante in cui è evidente il lavoro del compositore, ma soprattutto dell'interprete, per fare in modo che la grazia non si trasformi in leziosità. Pause di sospensione interrompono e movimentano il motivo, che riprende poi maestoso e lento fino a spegnersi sulle corde dei contrabbassi. Brucianti l’attacco e la chiusura del Prestissimo: una corsa a perdifiato incalzata da precisi e velocissimi stacchi ritmici in una moltitudine di variazioni cromatiche. Poi l’Allegro assai mosso dello Scherzo-Fuga finale aperto dalla voce leggera e pungente dei violini e ripresa con crescente frenesia, sezione dopo sezione, da tutta l’orchestra. il finale contrappuntistico sembra evocare il genio capriccioso di certi brani dei quartetti di Cherubini (ma anticipa anche l'epilogo fugato del Falstaff: tutto nel mondo è burla).
Fondato dal violinista Paolo Borciani a Reggio Emilia esattamente quasi ottant’anni fa (1945), il Quartetto Italiano è stato uno degli ensemble più prestigiosi e stimati sullo scenario cameristico internazionale per quasi quarant’anni (si sciolse infatti nel 1981), e ha lasciato al disco una notevole ed ampia testimonianza del repertorio per quartetto d’archi.
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Paragon (7 CD)
Quartetto Italiano – The Early Recordings (1946-1952)
La perfezione stilistica individuale e d'assieme del Quartetto Italiano - ancora più mirabile perché i Musicisti suonano a memoria - rendono questo brano unico, come del resto ogni interpretazione degli eccelsi solisti del Quartetto.
L’incisione del meraviglioso (e ahimè ancora troppo poco noto) Quartetto di Verdi è una delle più celebri del Quartetto Italiano, e da sempre è considerata un riferimento assoluto.
Come sempre intelligenti ed equilibrate le letture del Quartetto Amadeus, il cui stile offre un benefico correttivo ai momentanei eccessi di lirismo di queste pagine: per Ciajkovskij si tratta probabilmente della migliore esecuzione in assoluto. ֍
La perfezione del Quartetto Italiano e la grandezza della musica di Giuseppe Vedi rendono questa performance di altissimo livello; il Quartetto Italiano ci fa scoprire un Verdi diverso, rispetto alla grande musica del melodramma, ma non meno grande per intensità, pathos e profondità di analisi, dando spazio alla voce del violoncello, come nel Don Carlos (“Elle ne maime pas”).
Le variazioni vennero poi trascritte per l'orchestra. Di certo è curioso il fatto che, prima di aver scritto queste Variazioni, fino all’età di 42 anni Elgar in realtà non aveva ancora scritto alcun vero e proprio capolavoro che lo portasse veramente nel pantheon dei più grandi ed è altrettanto curioso come, dopo una serie di lavori corali, egli sia riuscito in questa impresa con un lavoro come quello delle variazioni per orchestra, lavoro che inevitabilmente necessita di una grande dose di disciplina compositiva.
Variazioni
[108] su un tema originale per orchestra “Enigma”, op. 36
di Edvard Elgar Le Variazioni su un tema originale, op. 36, comunemente dette Variazioni Enigma, sono un'opera musicale per orchestra scritta da Edward Elgar tra il 1898 e il 1899: è composta dal tema principale e dalle sue quattordici variazioni. In totale il compositore raffigurò 12 dei suoi amici, sua moglie ed egli Questestesso.Variazioni, così complesse, meditate, mature, nacquero per caso (il racconto è dell'autore stesso). Una sera dell'ottobre 1898 Elgar improvvisava sul violino, distratto, senza uno scopo. La moglie l'interruppe ammirando la bellezza di una melodia, della quale egli non si era neppure accorto. Stupito dall'entusiasmo di lei, Elgar, ritrovata la melodia, la sviluppò e poi chiese. «Ti fa pensare a qualcuno?», «Certo, a Billy Baker che esce dalla stanza». In quel momento di serata in famiglia le Variazioni stavano Anascendo.LadyElgar (C.A.E.) toccò la prima variazione, a Billy Baker (alias William Meath Baker: W.M.B) la quarta. E da tutte e quattordici ancora ci arriva il calore di umana simpatia, di quotidiana familiarità e amicizia, di umorismo con cui si erano iniziate. Fu naturale che Elgar le dedicasse «a tutti gli amici che sono qui ritratti ("To my friends pictured within").»
Le Variazioni Enigma lasciarono un profondo segno sia nella carriera di Elgar sia in quello che si potrebbe definire come un Rinascimento della musica inglese alle soglie del XIX secolo. Terminate il 19 Febbraio 1899 (come scrisse Elgar stesso nel manoscritto: “Ended Feb. 19th 1899”), pochi giorni dopo la musica fu inviata al celebre direttore d’orchestra Hans Richer (direttore di prime assolute di lavori come L’Anello del Nibelungo di Wagner a Bayreuth, le Sinfonie no. 4 e 8 di Bruckner e le Sinfonie no. 2 e 3 di Brahms). Richter dirigeva soltanto opere musicali che lui stimava profondamente; le Variazioni comparvero subito nel programma del suo concerto londinese del 19 Giugno 1899, e lo stesso Richter divenne un grandissimo sostenitore e promotore
Il 1904 fu l’anno in cui Elgar fu nominato Sir. Quest’onore contribuì a definire il profilo di Elgar come “il più inglese” di tutti i compositori, un ritratto alquanto paradossale, dato che il genio particolare di Elgar trascendeva anziché nascere dalla musica dei suoi predecessori e «L'Inghilterracontemporanei.riprende
ora il suo posto antico, dopo un intervallo di due secoli, come nazione musicalmente produttiva. Sir Edward Elgar, il cui genio [...] ha raggiunto una tecnica rifinita con lo studio e col trarre buone occasioni dalla pratica, [...] crea musica che è tanto tipicamente inglese quanto è tipica una casa di campagna con scuderia nello Shropshire. Non pongo qui la questione se sia buona musica [...]. Per me il punto è che, se si ami o no, essa è l'espressione caratteristica di un certo tipo di educazione inglese, ed eccellente educazione quanto a questo. Prima che arrivasse Elgar, in Inghilterra non esisteva nulla del genere sul piano sinfonico. Bisognava andare indietro fino a Purcell». L'elogio, arguto come al solito, è di G. B. Shaw [nella foto] convinto ammiratore di Elgar. Di questo riconoscimento Elgar ne era orgoglioso, e a buon diritto: perché lui venerava il sinfonismo tedesco, ne conosceva e praticava i procedimenti costruttivi, teneva alta la tradizione della musica corale e da oratorio e, infine, amava molto l'arte italiana e i soggiorni, anche prolungati, in Italia. Tutto da autentico gentiluomo inglese colto, sicuro del proprio patrimonio intellettuale e discreto. Ancora oggi la musica di Elgar è chiamata, con affettuoso rispetto, “the nobilmente music” . L’«enigma» del titolo. Elgar aggiunse la parola “Enigma” successivamente sulla prima pagina dell’autografo della partitura completa sopra la musica. Il titolo presenta due misteri distinti. Il primo era volto a determinare a chi fosse dedicata ogni variazione, sfruttando anche alcune note del compositore stesso in accompagnamento all'opera. Elgar scrisse ogni variazione traendo ispirazione e dedicandola ad uno dei suoi familiari o amici. Possiamo dire che il mistero è stato completamente risolto e tutti i dedicatari sono stati identificati. Il secondo enigma invece non è stato sciolto e forse non lo sarà mai. Nelle note di programma per la prima esecuzione l'autore dichiarò che «lungo e sopra la costruzione 'procede' [goes] un altro tema più ampio che non si suona», e che nessuno ha individuato: un contrappunto nascosto, per il quale
[109] della musica di Elgar, inaugurando altri suoi lavori come la Sinfonia no.1 e The Dream of Gerontius per cantanti solisti, doppio coro e orchestra. Il successo della prima rappresentazione si allargò prestissimo anche fuori dall’Inghilterra, in tutta l’Europa, segnando l’inizio di un apprezzamento a livello internazionale per le sue composizioni; da allora sono nel repertorio orchestrale sino ai giorni nostri.
Variazione 1 - C.A.E. (L'istesso tempo) Dedicata a Caroline Alice Elgar, sua moglie da qualche mese. Nella variazione sono ripetute le quattro note che Elgar era solito fischiettare al rientro a casa, qualcosa che ricordasse "Cara, sono a casa"«Non vi è interruzione fra il tema e questo movimento - scrisse Elgar. La variazione in verità è un prolungamento del tema con quello che desideravo fossero delle aggiunte romantiche e delicate; quelli che conoscevano C.A.E. capiranno questo riferimento a qualcuno la cui vita era d’ispirazione romantica e delicata.»
[110] hanno pensato di tutto. Alla prima esecuzione, Elgar scrisse: «L'enigma resterà un enigma più ampio e che percorre tutto il lavoro, senza essere mai suonato per intero: come in alcune pieces teatrali, il personaggio principale non è mai in scena». Sono state formulate le più disparate interpretazioni: alcuni riconoscono la melodia dell'inno nazionale britannico, God Save the Queen o di Rule, Britannia!, altri Auld Lang Syne in tonalità minore, altri ancora la Sinfonia Praga di Mozart; un ingegnere chimico formulò poi nel 2007 un'altra teoria, secondo la quale il tema sia la trasposizione musicale del pi greco. Una discreta somiglianza vi è, in alcuni punti, con il celebre Intermezzo della Cavalleria Rusticana; in effetti l’opera di Mascagni andò in scena per la prima volta nel 1890, mentre Elgar scrisse le Variazioni Enigma circa otto anni dopo, quando l'eco del successo di Mascagni era ancora notevole (nel dicembre 1893 Cavalleria Rusticana fu rappresentata anche al Metropolitan Theater di New York). Un'altra ipotesi parla infine di un messaggio d'amore criptato tra i pentagrammi in onore di sua moglie e a tutt'oggi ancora indecifrato. GUIDA ALL’ASCOLTO L'opera consiste nel tema principale, seguito da 14 variazioni, che differiscono dal tema per melodia, armonia e ritmo; l'ultima variazione costituisce il gran finale. Il tema conduce alla prima variazione senza alcuna pausa. Sugli spartiti ogni variazione è introdotta da un nomignolo o da iniziali, riferite al dedicatario della sezione. Così Elgar descrisse l’opera: «Questo lavoro, iniziato in uno spirito d’umorismo e continuato in profonda serietà, contiene gli schizzi degli amici del compositore. Si può capire che questi personaggi commentano o riflettono sul tema originale e ognuno tenta una soluzione dell’Enigma, poiché così viene chiamato il tema. Gli schizzi non sono “ritratti”, ma ogni variazione contiene un’idea distinta fondata su una personalità particolare o forse su un incidente noto solamente a due persone. Questa è la base della composizione, ma il lavoro può essere ascoltato come un “brano musicale” a prescindere da qualsiasi considerazione estranea.»
Dedicata a Isabel Fitton, violista allieva di Elgar qui rappresentata con affettuosa simpatia. La melodia della variazione, elegiaca e trepidante, è appunto suonata da una viola.
Variazione 5 - R.P.A. (Moderato)
Variazione 7 - Troyte (Presto)
2 - H.D.S.-P. (Allegro)
Dedicata a Winifred Norbury, amica di famiglia dal carattere accomodante: la variazione cattura sia la sua risata che l’atmosfera del suo castello settecentesco.
Variazione 6 - Ysobel (Andantino)
Variazione 8 - W.N. (Allegretto)
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Dedicata a Hew David Steuart-Powell, pianista dilettante, con il quale Elgar e Basil Nevinson erano soliti suonare musica da camera, si allenava improvvisando sulla tastiera arpeggi su varie tonalità. Il brano è rapido, ternario e in stile di toccata.
Dedicata a Arthur Troyte Griffiths, un architetto di cui sono rappresentati i tentativi, entusiasti ma vani e sconsolanti, di imparare a suonare il pianoforte. i timpani rappresentano i suoi maldestri tentativi di suonare lo strumento.
Dedicata a Richard Penrose Arnold, figlio del poeta Matthew Arnold. Richard era un melomane stravagante e arguto, amante della musica e pianista amatoriale. La variazione in do minore, seriosa e intervallata da motti umoristici, conduce nella seguente variazione senza alcuna pausa.
Dedicata a Richard Baxter Townshend, anziano eccentrico di Oxford, attore e mimo dilettante, con una voce profonda che all'improvviso diventava acuta e stridente. Queste variazioni del suo tono di voce sono una caratteristica esaltata nel brano, quasi una mazurka. L’oboe fornisce una versione impertinente del tema, ed è evidente ed importante la crescente scontrosità dei fagotti.
Dedicata a William Meath Baker, descritto come un signore di campagna, gentiluomo e uno studioso. Era vicino di casa degli Elgar. Una volta uscì a precipizio dalla stanza sbattendo la porta e a Lady Elgar era rimasto il divertito ricordo. Questa è la più breve delle variazioni.
Variazione 3 - R.B.T. (Allegretto)
Variazione 4 - W.M.B. (Allegro molto)
Variazione
Variazione 10 - Dorabella (Intermezzo: allegretto) Dedicata a Dora Mary Penny Powell. Dorabella era il soprannome che Elgar le dava, una citazione dal Così fan tutte di Mozart. Era balbuziente e la sezione dei legni lo suggerisce, mentre secondo altri sembrerebbe la suaDorarisata.era la nipote di William Meath Baker, dedicatario della quarta variazione, e cognata di Richard Baxter Townsend, ispirazione per la terza. A lei Elgar dedicò un'altra sua opera "enigmatica": Dorabella Cipher. Tutto il movimento evoca una certa leggerezza danzante in una variazione frivola che ricorda lo stile di Ciajkovskij.
[112] Alla fine della variazione una singola nota di violino introduce a quella, ben nota, successiva.
Variazione 9 - Nimrod (Adagio) Dedicata ad August Johannes Jaeger, il migliore amico di Elgar, qui in una delle variazioni più ricche e sincere: «Ho trascurato i tuoi modi esteriori e ho visto soltanto l'anima buona, amabile, onesta che è in te», gli dichiarò l'autore. Jaeger sostenne Elgar nei momenti più difficili mentre cercava di affermarsi come compositore. Momento lirico e commovente, è forse la variazione più celebre dell’intero lavoro. La melodia sembra rappresentare una passeggiata notturna durante la quale i due discutono dei movimenti lenti di Ludwig van Beethoven; le prime otto battute infatti ricordano, e si dice rappresentino, l'inizio del secondo movimento dell'ottava Sonata per pianoforte "Patetica". La variazione è diventata famosa e spesso viene eseguita singolarmente.
Variazione 11 - G.R.S. (Allegro molto) Dedicata a George Robertson Sinclair, organista nella Cattedrale di Hereford. La variazione non ha niente da fare con organi o cattedrali, ma descrive una passeggiata di Elgar con due suoi amici lungo il fiume Wye durante la quale Dan, il bulldog di Sinclair, vi sarebbe caduto dentro: la musica rappresenta il suo sguazzare per il corso d’acqua per trovare un punto d’appoggio e il suo abbaiare di gioia nel trovarlo.
Dedicata a Basil George Nevinson, violoncellista e "amico devoto" di Elgar. La melodia, contenente un assolo di violoncello, è struggente e ricorda lo stile di Purcell. In seguito, Nevinson ispirò Elgar nello scrivere il suo "Concerto per Violoncello".
ipotizzato che la persona dedicataria in questo brano fosse la brillante donna americana Julia Worthington, (conosciuta durante una crociera verso l'Australia) che potrebbe essere stata l’amore segreto di Elgar. La citazione tormentata del clarinetto da Meeresstille und glucidiche Fahrt, Op. 27 (Mare calmo e viaggio felice) di Felix Mendelssohn, potrebbe (forse) confermare quest’ipotesi. In alcuni punti i timpani ricordano i motori di una nave. Un’altra ipotetica dedicataria sarebbe Helen Weaver, fidanzata di Elgar prima che emigrasse in Nuova Zelanda nel 1884. Variazione 14 - E.D.U. (Finale: allegro presto) Dedicata a sé stesso: Edoo era l'affettuoso nomignolo utilizzato per lui da sua moglie Alice. Con ironia e umoristica solennità il musicista nel ritrarre sé stesso esprime la gratitudine alla tradizione sinfonica di cui sa con gioia di far parte. E si congeda dall'Ottocento, fiducioso nel futuro (molta parte del quale poi non gli piacque). Nell'imponente finale vengono ripresi i temi della prima e della nona variazione. La variazione originale n° 14 era più corta: nel luglio del 1899 August Jaeger, l'amico dedicatario della nona variazione, gli suggerì di ampliarla, e Elgar si trovò d'accordo. Durante le settimane seguenti egli aggiunse poco meno di 100 battute dicendo a Jaeger di essere soddisfatto della nuova coda delle variazioni. Il finale rivisitato rappresenta una versione ancor più originale della codaapoteosi tanto amata dal mondo musicale del XIX secolo.
Variazione 12 - B.G.N. (Andante)
Variazione 13 - *** (Romanza: moderato) La pagina più romantica e profonda parla una donna in viaggio per mare, alla quale è rivolto un intimo augurio. Questa è l’unica variazione ad essere intestata con degli asterischi. I biografi di Elgar suppongono che il destinatario fosse Lady Mary Lygon [nella foto], una donna aristocratica, amica e promotrice della musica di Elgar. Il compositore in un suo libro di ricordi del 1913 aveva, più o meno, confermato Recentementel'ipotesi.èstato
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Holst: The Planets / Elgar: Enigma variations
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London Philharmonic & London Symphony Orchestra, dir. Sir Adrian Boult. Emi Classics
Questa compilation è stata pubblicata nel 2012 e rappresenta una rimasterizzazione digitale delle precedenti registrazioni delle due opere risalenti agli anni Settanta.
Le Enigma Variations qui presentate sono state registrate nel 1970 e rappresentano la quarta e ultima registrazione di Boult. Boult era un direttore d'orchestra britannico senza pari versato per la musica inglese, ed Elgar era una delle sue specialità. Boult aveva 81 anni quando andò negli studi per impostare la sua interpretazione sugli Enigmi e la sua vita di esperienza e amore per questa musica brilla attraverso ogni variazione, Nimrod è particolarmente sublime. Sir Adrian trasporta l'ascoltatore attraverso una gamma completa di emozioni, dal dolce e lirico all'alta emozione. La variante finale ha una potente sensazione di apoteosi e Boult porta la performance ad una conclusione fiammeggiante Sontuosa la rimasterizzazione digitale della Emi. ֍ Dvorak: Symphony n° 7 / Elgar: Enigma variations London Symphony Orchestra, dir. Pierre Monteux. Decca Eloquence La leggendaria registrazione di Pierre Monteux delle Enigma Variations di Elgar è stata a lungo considerata una delle più belle del catalogo, e giustamente. Questa registrazione vintage della Decca ha tutti i requisiti necessari; malinconia elgariana e un senso di nostalgia.. emozioni profondamente sentite, ma molto, molto «britanniche». Naturalmente, lo «smalto francese» di Pierre Monteux aggiunge una patina luminosa che si adatta agli «stati d'animo di molti colori» di Elgar. La London Symphony Orchestra sotto la direzione di Monteux è superba, totalmente impegnata e con una musicalità di altissimo livello. La Settima Sinfonia di Dvorak è assolutamente magnifica. Eccezionale la registrazione degli ingegneri della Decca.
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Per Georg Solti, direttore ungherese, ma britannico di adozione (e molto di più, sino a diventare Sir), queste musiche rappresentano una cosa molto seria, tanto da inciderle con la London Philharmonic Orchestra, così come le Variazioni Enigma (con quella splendida macchina da guerra che era la Sua sinfonica di Chicago), opera decisamente più alta e completa di Elgar. Le variazioni Enigma, oltre ad essere un'opera di immediato e gradevole ascolto, sono forse qui nell'esecuzione di riferimento.
Nell'ascoltare questo album riconosceremo celebri motivi, soprattutto la Marcia n. 1, ma anche la n. 4, di Pomp and Circumstance che è quasi un inno in Gran Bretagna e non per caso è titolata "Land of Hope and Glory". È un brano piacevolmente obbligato e sempre atteso nelle performances alla Royal Albert Hall, durante il quale il pubblico di ogni età ed estrazione e informalmente variopinto, salta a ritmo, canta in coro e sventola Union Jack flags di ogni fattezza. Un vero spettacolo.
La tecnica di registrazione della Decca è veramente molto bella (e come dubitarne?). ֍ Elgar: Falstaff ; Enigma variations* Hallè Orchestra / Philharmonia Orchestra*, dir. Sir John Barbirolli. Emi Classics
Questo CD contiene due registrazioni dei primi anni '60 dei principali pezzi orchestrali di Edward Elgar dal grande direttore d'orchestra britannico John Barbirolli, Sia Barbirolli che Solti conducono prestazioni molto belle e ognuno ha punti di forza diversi. L'approccio Barbirolli è più emotivo, con maggiore enfasi sull'interazione contrappuntistica tra gli strumenti e sui contrasti nella partitura; Solti enfatizza un suono orchestrale complessivo più omogeneo e scuro, con suoni registrati meglio. The Enigma Variations, che iniziò il primo periodo di Elgar nel 1899, è il più fine dei due pezzi qui nella registrazione di Barbirolli .
Elgar: Pomp und Circustance Marches 1-5 ; Enigma variations * London Symphony Orchestra / Chicago Symphony Orchestra *, dir. Sir George Solti. Decca Eloquence
Elgar: Enigma variations
Particolarmente bella ed esaltante per il meraviglioso crescendo orchestrale è la bellissima "Nimrod". Bella anche la copertina del disco, raffinata ed appropriata come in tutti i dischi della LSO live concepiti per audiofili. Un suono meraviglioso e ricco. ֍
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Elgar: Enigma variations Pomp und Circustance Marches 1-2 ; さThe Cヴo┘ミ of Iミdiaざ MaヴIh
BBC Symphony Orchestra, dir. Leonard Bernstein.
Deutsche Grammophon Appassionato e concentrato, Bernstein è senza esagerare ai massimi suoi livelli in questa versione.
Notevole lavoro di intelligenza e variazioni di sentimenti rimangono un passaggio obbligatorio per le grandi orchestre. Un pieno successo per questo gioiello musicale. Interpretazione sublime e notevole presa sonora: è un must della musica inglese amplificato dal genio del direttore e dal talento della sua orchestra.
Anche se è quasi un consenso sul fatto che Bernstein abbia conquistato un posto tra i veri grandi, alcune delle sue ultime letture su DG suscitano ancora polemiche. I critici lo accusano di diventare troppo educato, troppo lento e troppo "invadente", come amano dire: una rapida occhiata ai tempi della "Nimrod" mostra che essa dura poco più di sei minuti, più lento del solito.
Bernstein impiegando tempi più lenti, aumenta l'impatto, il coinvolgimento interpretativo è molte volte più intenso del solito. Anche il lento "Nimrod" si muove con grande bellezza elegiaca che ha
Le Variazioni eseguite da Sir Colin Davis sono proposte sempre improntate alle tematiche del "nestos", cifra spirituale propria del controverso animo romantico, ma mai noiose e ripetitive.
LSO Live
London Symphony Orchestra, dir. Sir Colin Davis.
Lo «studio sinfonico» «Falstaff» fu terminato nel 1913 ma occupò Elgar per forse un decennio prima. Trovo che sia un lavoro meno convincente. ֍
[117] una forza emotiva travolgente nel climax. Qui il mondo di Elgar non è luminoso e allegro ma profondamente malinconico, quasi dolorosamente guarda indietro al passato, a un mondo di gloria da tempo scomparso e ora irraggiungibile. La tristezza intrinseca nell'approccio di Bernstein è Ininconfondibile.unasaggiamossa di giudizio interpretativo, Bernstein lascia da parte il suo ritmo più lento e ci dà estratti dal Pomp and Circumstance che sono davvero eccitanti, con energia extra.
Elgar: Enigma variations BBC Symphony Orchestra, dir. Sir Andrew Davis BBC Wordwide (DVD) In un celebre documentario della BBC (TT 85 minuti) assistiamo ad una performance storica delle Variazioni Enigma da parte della BBC Symphony Orchestra diretta da Sir Andrew Davis che si svolge nel grande spazio della Cattedrale di Worcester - dove Elgar ha detto che tutti dovrebbero ascoltare la sua musica - la cui calda acustica conferisce una bella patina sonora alla registrazione.
All'inizio di ogni variazione c'è una fotografia in bianco e nero della persona che la variazione raffigura. E, naturalmente, per la variazione intitolata 'G.R.S.' (organista George Robertson Sinclair) viene mostrata una foto di Dan. Non solo una bella esecuzione dell'opera, ma anche un documentario molto piacevole sul lavoro e "gli amici raffigurati all'interno" con Davis che ci dice molto su ciascuna delle persone che hanno ispirato le singole variazioni. Chiarisce la natura delle relazioni tra Elgar e i suoi soggetti. Periodicamente ci sono appropriati brevi filmati dei primi anni del XX secolo tra cui alcuni del compositore stesso. C'è una clip particolarmente divertente, abilmente sincronizzata con la musica, con diversi cani che corrono e saltano in un ruscello e tornano di nuovo fuori, mentre Davis parla del bulldog dell'amico di Elgar G. R. Sinclair, Dan. Andrew Davis presenta il documentario in uno stile coinvolgente, dando una panoramica delle variazioni, oltre a immergersi in molte di esse.. Il direttore inglese suggerisce che ogni variazione, oltre a riflettere il carattere di un particolare amico, rivela molto su Elgar stesso, "come un attore che interpreta molti ruoli". Davis tocca brevemente il presunto "tema segreto" menzionato da Elgar, ma lo respinge come un problema insolubile. L'audio è in stereo LPCM o surround DTS. Bellissimo! I sottotitoli per la narrazione inglese del documentario sono in tedesco, francese, italiano, spagnolo e inglese.
VIDEOTECA
[118] Edward Elgar